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6 settembre 2017 16:48
Adozione maggiorenne. La questione del cognome
di Isabella Cusanno
Tutt’ora uno dei problemi nelle sentenze di adozione di un maggiorenne
straniero, ad esempio bielorusso, rimane quello del cognome da attribuire all’adottato. A partire dall’ultima riforma
del diritto di famiglia, ma in alcuni tribunali italiani, a Roma ad esempio, ancora prima, si è cercato di forzare la
mano attribuendo de imperio all’adottando il cognome del padre adottante. Questo per semplificare il processo
sociale di integrazione del maggiorenne adottato, integrazione che però non dipende , se non in percentuale
minima dal cognome che porta, ma in modo molto più profondo dall’accettazione sociale e giuridica di cui la norma
e la comprensione dei sui nuovi parenti lo rende partecipe. L’integrazione di una persona di qualsiasi età, ma in
particolare l’integrazione di un individuo da poco entrato nella maggiore età, dipende dal suo reale inserimento nel
mondo in cui entra a far parte. L’integrazione è quindi data dall’accettazione sociale e dalla norma che ne tutela lo
sviluppo e ne garantisce la continuità dell’esito. Il grado di integrazione è quindi misurato dal grado di incidenza di
questi due fattori.
A loro volta gli elementi dell’integrazione sociale sono : la possibilità di un individuo di interagire nel medesimo
contesto territoriale, di vivere come membro riconosciuto la medesima realtà familiare, di mostrarsi all’esterno
come titolare di diritti e di obblighi identici o simili da quelli vantati dal suo medesimo gruppo sociale. Semplificando
essi sono: 1) la possibilità di vivere sul territorio 2) a pieno titolo 3) quale parte integrante di una famiglia italiana
Il cognome da dare all’individuo che viene adottato è insomma simile ad uno stendardo, importante certo, ma non
più di una insegna: se essa c’è ma manca il contenuto a cui si riferisce se ne può fare tranquillamente a meno.
Per questo abbiamo tanto insistito per i recepimenti in Bielorussia delle sentenze italiane di adozione maggiorenni,
ma solo perché queste comportavano il pieno inserimento del ragazzo in Italia : facciamo ancora un esempio con
riferimento ai permessi di soggiorno. Lo straniero ha diritto a rimanere in Italia fin quando permane un rapporto di
parentela con un cittadino italiano, venendo meno questo non ha titolo per la permanenza. L’adottato
maggiorenne proveniente da paesi extra UE, alla morte dei genitori adottivi, gli unici con i quali ha contratto vincolo
di parentela in forza della norma attuale, rientra in patria se non sono sopravvenuti altri fattori come la cittadinanza,
il matrimonio, un lavoro stabile. Il mero cambio del cognome non modifica questa situazione che invece delinea
l’evidente estraneità dal tessuto sociale del maggiorenne adottato.
Facciamo un altro esempio: la limitata capacità di succeder. L’adottato maggiorenne non succede per
rappresentazione in caso di premorte, e via dicendo. Nel campo del riconoscimento dei legami parentali: la figlia o
il figlio dei suoi genitori adottivi non diventa sorella dell’adottato maggiorenne. Sono tutti segnali di estraneità che il
cambio del cognome non cancella anzi in fin dei conti acuisce.
E fin qui credo che siamo tutti d’accordo. Ciò che si chiede alla giustizia è equità sociale, non il balsamo di un
placebo.
Ma d’altra parte il giudice deve statuire sul cognome dell’adottando, in modo o nell’altro e va pure bene che
statuisca sul cognome attribuendogli il cognome del padre adottivo, sempre che ovviamente ci sia stata una
esplicita richiesta dalle parti procedenti, ed anche secondo le modalità e le scelte delle parti.
Quello che ad oggi non ci è dato di capire è come mai invece molti Comuni insistano per l’applicazione immediata
della sentenza, quando non hanno giurisdizione né competenza sulla persona che viene a risiedere in Italia in
forza di una sentenza che non consente il cambio immediato di cittadinanza, né tanto meno l’integrazione sociale.
Ma il problema più grave è che l’adozione maggiorenne è possibile nei confronti degli stranieri perché essi stessi
optano per l’applicazione della legge italiana nei limiti in cui la stessa legge può essere applicata, in forza degli
stessi principi di diritto internazionale privato italiano e quindi in esclusione dei principi generali in tema di diritto
pubblico e di sovranità dello Stato e degli Stati. Dobbiamo ricordare la Convenzione di Monaco del 1980 in materia,
se non bastano le linee generali di diritto internazionale.
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Al contrario, complice la scaramuccia del cognome ad ogni costo, è stata realizzata esattamente in quella
fattispecie che ogni istituzione italiana ed europea, ogni legge e ogni giurista che si rispetti considera assurda ed
antigiuridica: la presenza nel territorio nazionale di una persona a cui appartengono due o più identità che non
riescono in alcun modo a conciliarsi ed ad amalgamarsi.
Un esempio: ANNA VALERIEVNA G. e diventa ANNA VALERIEVNA D. viene adottata in Italia come ANNA G , ma
avrà già il passaporto come ANNA VALERIEVNA D ha quindi già tre identità. Se le viene cambiato il cognome per
l’adozione prima che diventi cittadina italiana ed abbia quindi il diritto a documenti italiani sostitutivi, sarà ANNA F.
quale quarta identità.
La situazione è sicuramente poco gestibile e da adito ad ogni genere di manomissioni e confusioni, tutte a scapito
del soggetto debole, ossia proprio quel diciottenne disorientato che perde coscienza di se ma non acquista
sicurezza familiare né sociale.
E dunque perché i Comuni Italiani scelgono la via dell’obbedienza alla sentenza anche la dove la sentenza deve
rimanere quiescente fino al consolidamento della giurisdizione italiana sulla persona che chiede ( se chiede) il
cambio del cognome?
Perché tutta questa scaramuccia nei confronti delle famiglie italiane che hanno adottato un maggiorenne di una
Nazione extra UE e nei confronti di questi adottati a cui la normativa non assicura neppure la permanenza in suolo
italiano?
Perché semplicemente e senza nessuna presunzione non applicano la normativa italiana senza strappi
incongruenti? L’identità dell’adottato rimane quella di provenienza fin quando non opterà per la cittadinanza
italiana. In questo caso non ci sarà nessun problema ad applicare la decisione del tribunale italiano nella sua
interezza senza dover compier un ulteriore procedura di richiesta al Presidente della Repubblica di cambio del
cognome.
Nessuno strappo ed ogni cosa al suo posto nel rispetto della parte più debole. E’ assurdo che si creda che tutto
quello di cui ha bisogno un diciottenne sia un cognome nuovo, mentre gli si nega stabilità giuridica, sociale ed
affettiva. E quindi rimane la domanda di fondo: perché i Comuni insistono per il cambio del cognome, mentre
vengono ancora violati i diritti veri all’integrità della vita familiare?
A questa domanda bisogna trovare risposta.
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