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Caratteristiche del disturbo non verbale
dell’apprendimento
“Le parole della lingua, siano scritte o pronunciate,
sembra non abbiano alcun ruolo nel mio meccanismo di
pensiero. Le entità psicologiche che sembrano fungere da
elementi nel pensiero sono certi segni e immagini, più o
meno chiari, che possono essere volontariamente riprodotti o
combinati…. Gli elementi menzionati sopra sono, nel mio
caso, di tipo visivo e alcuni di tipo muscolare”.
A. Einstein.
1. Introduzione
Se consultiamo la quarta revisione del “Manuale diagnostico e statistico
dei disturbi mentali” (DSM IV), alla sezione intitolata “Disturbi solitamente
diagnosticati nell’infanzia, nella fanciullezza o nell’adolescenza” troviamo un
capitolo dedicato ai disturbi dell’apprendimento. I disturbi specifici inclusi in
questa sezione sono “Disturbo della Lettura”, “Disturbo del Calcolo”,
“Disturbo dell'Espressione Scritta” e “Disturbo dell'Apprendimento Non
Altrimenti Specificato”. La classificazione del DSM IV non fa quindi alcun
riferimento specifico al tipo di disturbo che sarà esaminato, almeno
parzialmente, in questa prima parte: il “Disturbo Non-verbale
dell’Apprendimento”. Questo disturbo presenta caratteristiche che il DSM IV
cita, ma che non raccoglie in quanto tipiche di un particolare disturbo. Credo
10
che questo sia dovuto al fatto che le problematiche legate ad un ambito più
specifico, come può essere la matematica o la lettura, sono più facilmente
identificabili.
Nella decima revisione della “Classificazione delle sindromi e dei
disturbi psichici e comportamentali” (ICD-10), oltre alla sezione dedicata ai
“Disturbi evolutivi specifici delle abilità scolastiche”, ne è stata inserita una
dedicata al “Disturbo evolutivo specifico della funzione motoria”. Questo
disturbo, che non è quindi incluso tra i disturbi dell’apprendimento, presenta
molte caratteristiche del “Disturbo Non-verbale dell’Apprendimento”, ma
l’ICD-10 pone l’accento sulle compromissioni motorie piuttosto che su quelle
cognitive.
Il quadro che sto cercando di delineare si complica fin dalle prime
battute:
• Non è del tutto chiaro se si tratti effettivamente di un disturbo
specifico dell’apprendimento o se invece il problema sia di carattere
principalmente motorio;
• Nonostante si tratti di un disturbo che interessa, secondo l’ICD-10, gli
aspetti motori e visuo-spaziali, vi è la tendenza a chiamarlo disturbo
non verbale dell’apprendimento, ponendo l’accento sul linguaggio.
Sicuramente la seconda complicazione deriva da un retaggio culturale
che attribuiva al linguaggio un’importanza centrale, ma credo non si possa
negare che la componente visuo-spaziale riveste un ruolo molto importante
nell’ambito scolastico e nella vita di tutti i giorni. In questo senso ritengo
importante una miglior comprensione di queste problematiche legate
all’apprendimento per ottenere una maggior efficacia nell’intervento volto alla
riduzione delle stesse.
11
In questa parte introduttiva descriverò le caratteristiche principali del
disturbo non verbale dell’apprendimento (da ora in avanti NLD) basandomi
sulle osservazioni di Rourke (1995).
2. Abilità non intaccate dal NLD
Nonostante l’alto grado di compromissione, pressoché generalizzata, che
caratterizza i bambini con NLD, alcune abilità cognitive e motorie risultano
preservate e ben sviluppate; è mia intenzione descriverle, sotto forma di
elenco, in questo paragrafo:
• Le abilità motorie semplici e ripetitive sono ben sviluppate,
specialmente in età adulta.
• La percezione uditiva, dopo una prima fase di ritardo nello sviluppo
rispetto alla media, è molto buona. Questi bambini sembrano, infatti,
prediligere la modalità uditiva per raccogliere informazioni
dall’ambiente. Bisogna notare in ogni modo che nell’infanzia i
soggetti NLD sembrano un po’ “duri d’orecchio”; quest’impressione
è rinforzata da un ritardo nell’acquisizione del linguaggio.
• L’acquisizione del linguaggio, dopo il suddetto ritardo, è molto
rapida, più del normale, tanto da consentire un relativo recupero
rispetto ai coetanei. In particolare, alcune abilità linguistiche si
sviluppano in modo molto rapido privilegiando la percezione, la
segmentazione, la fusione e la ripetizione dei fonemi. Sono tipiche
alcune forme ripetitive e/o stereotipate del linguaggio che vengono
memorizzate e tendono ad accumularsi con gli anni.
12
• La lettura della singola parola, dopo gli iniziali problemi con l’analisi
visuo-spaziale delle caratteristiche peculiari della parola scritta, è
decifrata in modo eccellente ma la comprensione del testo risulta
deficitaria. Questa lacuna risulta molto evidente all’età di 10 o 12
anni, periodo in cui le attività scolastiche richiedono abilità tipiche
del pensiero ipotetico-deduttivo.
• Le abilità di scrittura, e più in generale la coordinazione oculo-
manuale, raggiungono con la pratica un buon livello. Le capacità di
spelling o di scrittura sotto dettatura sono acquisite ad un’età
mediamente adeguata o un po’ in ritardo.
• L’attenzione selettiva e sostenuta, in particolare per alcuni materiali
uditivi e verbali semplici, diventa molto ben sviluppata. Questa
differenza spicca quando messa a confronto con le prestazioni
ottenute con materiali visivi.
• La memoria, per materiali di tipo ripetitivo, o d’altro genere,
codificati attraverso modalità verbali e uditive, è molto ben sviluppata
mentre, la memorizzazione del materiale scritto, può risultare
difficile.
In generale si osserva che, nei primi mesi e anni di vita, tutte le
fondamentali tappe evolutive vengono raggiunte in ritardo.
13
3. Deficit peculiari del NLD
Ritengo che, esaminando deficit peculiari del NLD riportati di seguito, si
evidenzino due fattori caratteristici:
1. Molti deficit lamentati dai soggetti NLD tendono a peggiorare in
funzione del tempo.
2. Alcune componenti generali (attenzione, memoria, ecc.) che in
precedenza mostravano degli aspetti preservati (elencati quindi tra le
abilità), sono compromesse per altri versanti.
Seguendo la trattazione offerta da Rourke (1995) descriverò
sinteticamente i deficit in questione; il lettore potrà facilmente rendersi conto
che i due fattori appena citati rivestono un ruolo molto importante rispetto alla
difficoltà legata alla singola modalità.
La percezione tattile presenta una compromissione a livello bilaterale
(più evidente a sinistra), anche se normalmente vi è una recessione parziale
spontanea con l’andare degli anni.
Sono evidenti deficit psicomotori e di coordinazione spesso più marcati
nella parte sinistra del corpo. Questi deficit, ad eccezione di abilità molto
esercitate (come la scrittura) peggiorano col tempo.
Il comportamento esplorativo è poco sviluppato a tutti i livelli; sia nei
confronti di oggetti situati nelle immediate vicinanze, che possono essere
esplorati mediante il tatto (spazio di prensione), sia per quelli più lontani che
possono essere esplorati mediante la vista (spazio distale). La spiccata
tendenza alla sedentarietà di questi bambini, fa in modo che essi si procurino
comunque alcune occasioni per manipolare oggetti, purché si trovino nelle
immediate vicinanze. La manipolazione, o un certo tipo di manipolazione,
14
finisce quindi per rientrare in quelle attività ripetitive che a lungo andare
diventano ben padroneggiate dal bambino. Questa limitazione
comportamentale, unita alla tendenza alla sedentarietà, tende ad aggravarsi
con gli anni.
Il linguaggio è caratterizzato da deficienze medie nelle prassie orali-
motorie1
, scarsa o assente prosodia, verbosità e ripetitività. Sono inoltre
presenti alcuni errori parafasici di tipo fonemico2
. Il linguaggio viene
utilizzato come principale mezzo per instaurare relazioni sociali, per
raccogliere le informazioni e per alleviare l’ansia. Tutte queste caratteristiche
tendono a diventare – tranne le difficoltà prassiche orali-motorie – più
evidenti negli anni.
L’apprendimento della lettura, come accennavo in precedenza, ha un
esordio lento e tardivo ma successivamente vi è un notevole recupero,
soprattutto per la lettura di parole singole. Ad esempio un bambino di terza
elementare riesce a decodificare parole tipiche del “vocabolario” di un
bambino di prima media, di terza media quando è in quarta elementare e
addirittura delle superiori quando è in quinta elementare (Rourke, 1995). In
generale dopo la terza elementare grado l’abilità verbale di un bambino NLD
eccede quella di un suo coetaneo. Nonostante ciò, esiste un alto rischio di
sviluppare disabilità nella lettura perché per leggere sono necessarie due
abilità:
1. Le abilità naturali del linguaggio proprie di bambini di cinque o sei
anni;
1
Queste sono da considerarsi analoghe alla disartria. La disartria consiste in una difficoltà
nell’articolare le parole che dipende da problematiche di tipo motorio. Le componenti linguistiche
della formulazione del linguaggio sono intatte: ad esempio, la scelta dei fonemi e la sequenza con cui
vengono prodotti sono corrette.
2
La parafasia fonemica è rappresentata da sostituzioni, omissioni, ripetizioni o aggiunte di fonemi
all’interno della stessa parola.
15
2. La capacità di analisi visuo-spaziale delle caratteristiche delle parole,
tipiche di quest’età (Rourke, 1995).
In particolare la seconda abilità viene padroneggiata dai bambini NLD
non prima dei sette anni e questo rappresenta una delle cause del ritardo
dell’apprendimento della lettura. La loro difficoltà maggiore comunque non
consiste nella decodifica del testo quanto piuttosto nella comprensione del
contenuto di quanto hanno letto.
La scrittura, agli esordi, è fonte di difficoltà: sia con lo stampatello che
con il corsivo i bambini NLD incontrano parecchi problemi; con molta pratica
comunque, la scrittura diventa abbastanza buona.
L’attenzione di tipo selettivo e sostenuto, per stimoli di tipo visivo o
tattile, è povera e tende a diminuire col tempo (ad eccezione degli stimoli ben
noti). La “forza” dell’attenzione è maggiore, e permette prestazioni molto
migliori, in presenza di materiali verbali semplici e ripetitivi (specialmente se
si presentato sotto forma uditiva) rispetto a stimoli non verbali nuovi e
complessi (specialmente se presentati con modalità visiva o tattile). La
differenza nelle prestazioni attentive tende a aumentare col tempo.
Per quanto riguarda la memoria, si riscontra uno scarso ricordo degli
stimoli visivi e tattili se il materiale non viene codificato verbalmente, e i
deficit tendono ad aumentare col tempo. Quanto detto è vero in generale ad
esclusione dei materiali che sono super appresi.
E’ tipico uno scarso riconoscimento e un’inadeguata discriminazione dei
dettagli e delle relazioni visive; in generale queste abilità d’organizzazione
visuo-spaziale peggiorano con il tempo. Qualunque materiale, per quanto
risulta non familiare, è trattato in modo povero e non appropriato a causa di
una spiccata tendenza all’assimilazione che aumenta col passare degli anni.
16
I soggetti NLD mostrano difficoltà molto evidenti nell’acquisizione dei
concetti, nella soluzione dei problemi, nella generazione di strategie e nella
verifica delle ipotesi. L’uso dei feedback è scarso; si riscontrano inoltre
marcati problemi nello stabilire il nesso tra causa ed effetto.
L’acquisizione delle competenze matematiche appare costantemente in
ritardo se lo si mette in relazione con le competenze linguistiche e con la
lettura (riconoscimento di parole e spelling). Col passare degli anni il divario
tra buone capacità di lettura di una singola parola e cattive “performances” in
matematica diventa sempre più grande. In particolare è il ragionamento
matematico, in contrasto con il calcolo aritmetico meccanico, a rimanere
molto povero.
La matematica pone dei problemi per questi bambini che riflettono i loro
limiti in relazione alle abilità visuo-spaziali, all’apprezzamento dei dati nuovi,
alla formazione dei concetti, alla generazione di strategie e alla verifica delle
ipotesi. Raramente essi riescono a risolvere problemi tipicamente proposti in
quinta elementare o in prima media, ma fino all’età di sette o otto anni non è
facile rendersi conto del deficit. Il loro principale problema riguarda la
difficoltà nel riconoscere quando e come applicare le regole semplici
dell’aritmetica (riporto, somma ecc.): Rourke (1995) definisce questa
caratteristica “forget to remember” che mette in contrapposizione al concetto
di “learning to learn”.
Per quanto riguarda le scienze si evidenziano difficoltà persistenti nello
svolgere e risolvere problemi, e nella acquisizione dei concetti complessi tipici
di materie come la fisica.
Quando hanno quattro o cinque anni questi bambini sembrano disinibiti,
invadenti e persistenti. Queste manifestazioni sono spesso considerate
indicatori di iperattività e di un sottostante deficit d’attenzione. I compagni di
17
scuola e i bidelli reagiscono male alle loro “gaffe” comportamentali e
relazionali; ciò tende a renderli sempre meno intraprendenti nei confronti degli
altri trasformando la loro tendenza all’iperattività in una sostanziale
ipoattività, nel tentativo di evitare la frustrazione derivante dal fallimento e dal
rifiuto operato dai compagni. Per queste ragioni viene spesso prescritto a
questi soggetti del metilfeidato. Questo, in concomitanza con l’aumento delle
capacità di lettura, viene interpretato come la remissione anche dei problemi
attentivi.
Sono frequenti in questi soggetti disordini della condotta, forme d’ansia
eccessiva e depressione, tanto che alcuni sono a rischio di sviluppare forme di
psicopatologia.
4. Adattamento e abilità sociali
Che cosa è necessario per avere successo nelle relazioni sociali? E’
risaputo che i bambini popolari sono predisposti a comunicare efficientemente,
sanno come iniziare una conversazione, hanno consapevolezza dello stato
emotivo altrui e sono capaci di empatia, ma soprattutto, sono in grado di
adattare le loro abilità sociali alle richieste della situazione; in altre parole
hanno successo in tutti quegli ambiti che si mostrano difficili ai soggetti NLD.
L’accuratezza del riconoscimento e della classificazione del comportamento
emotivo aumentano in diretta relazione con l’età. I Soggetti normali
riconoscono le emozioni non appena sono in grado di definirle in modo
appropriato. Studi effettuati in età prescolare hanno rivelato che, il
riconoscimento e la qualificazione delle emozioni, sono positivamente e
significativamente correlati con gli indici d’intelligenza e con le abilità
18
percettive e motorie, sia nei soggetti normali sia nei “disabili”. Queste abilità
si sono rivelate, tra l’altro, affidabili predittori della rapidità nell’acquisizione
della lettura e di alcune abilità di calcolo (Izard, 1977).
In situazioni nuove o complesse i bambini con NLD mostrano
un’estrema difficoltà di adattamento ed un eccessivo affidamento a forme di
comunicazione e di comportamento banali, semplici o ripetitive (e perciò,
spesso inappropriate). La scarsa competenza sociale, e i deficit nella
percezione, nella interazione e nel giudizio sociale, tendono a divenire più
gravi con l’aumentare dell’età; spesso sfociano in una marcata tendenza al
ritiro sociale.
Il quadro fin qui delineato risulta preoccupante soprattutto in funzione
alla tendenza di molti deficit ad aggravarsi progressivamente. Rourke, Young
& Leenaars (1989) sostennero che l’isolamento sociale e difficoltà nel trovare
e mantenere un buon impiego in età adulta (a causa delle limitazioni
cognitive, dell’impaccio motorio e delle difficoltà nei rapporti con i colleghi)
inducessero uno stato depressivo ed aumentassero il rischio di comportamento
suicida. Questa ipotesi di Rourke et al. (1989) suscitò alcune critiche
(Fletcher, 1989; Kowalchuk & King, 1989; Bigler, 1989) che indussero
Rourke (1989b) a rivedere i parte la sua posizione.
5. Esempio
Desidero, a questo, punto riportare un esempio, citato da Rourke (1995),
in quanto mi sembra in grado di chiarire concretamente quali differenze
intercorrano tra esperienze conoscitive che caratterizzano un bambino normale
e quelle che sono tipiche per un bambino affetto da NLD:
19
“…Consideriamo cosa fa una normale bambina ai primi passi in una sala piena di
oggetti antichi o comunque vistosi. La seguente scena può essere una conseguenza molto
plausibile della distrazione dei genitori: ella punta con lo sguardo un interessante vaso
sopra il tavolo al centro della stanza, si alza in piedi e cammina verso il tavolo, tocca il
vaso per un attimo, lo afferra e lo butta per aria. Appena il vaso si rompe sul pavimento
sente il suo genitore gridare, “Mio Dio! E’ un vaso di zia Gertrude!” Ciò è seguito
immediatamente da uno sculaccione e dall’ammonizione di non toccare più i vasi di zia
Gertrude (o cose simili) in futuro.
In contrasto con questo evento, quello che probabilmente succede a un bambino NLD
nella stessa situazione può essere descritto nel modo seguente: mollemente seduto nella
sala con i suoi genitori, egli vede il vaso, ma non cerca di raggiungerlo in alcun modo;
chiede piuttosto che cosa sia. La risposta giunge immediata “E’ un vaso di zia Gertrude.”
Probabilmente non chiede più nulla su quel vaso e procede ponendo altre domande su
altri oggetti e i genitori continuano a rispondere, con indicazioni verbali, alle sue
domande.
Confrontiamo cosa i due bambini hanno imparato durante questo processo. La
bambina “normale” punta la sua attenzione su un interessante oggetto, quindi aziona le
sue risorse motorie per raggiungerlo. Durante il tragitto continua a fissarlo, e appena è
abbastanza vicino, lo tocca. A ciò segue il trascinamento, il lancio, il rumore del vaso che
si frantuma, dei cocci che si sparpagliano ai quattro angoli della stanza e il lamento dei
genitori che gridano disperati. Tutto ciò è seguito da una sensazione dolorosa e da
ulteriori espressioni dei genitori stessi.
E’ possibile che questa sequenza di eventi abbia permesso alla bambina di formarsi
una elementare, ma cruciale, relazione tra mezzi e fini, un senso di efficacia e confidenza
nel utilizzare le proprie risorse per raggiungere uno scopo, la nozione che un oggetto
rimane costante nonostante la grandezza dell’immagine retinica e la luce riflessa
dall’oggetto vari, l’esperienza che l’oggetto in questione ha una superficie liscia e una
massa che le permette di trascinarlo, alcune elementari interazioni tra l’aerodinamica e la
gravità quando l’oggetto volteggia nell’aria, la nozione che il peso e le qualità della
superficie si perdono quando l’oggetto si rompe contro una superficie inamovibile come
un pavimento di legno, il nome dell’oggetto, le conseguenze a cui si può andare incontro
quando si intraprendono azioni di questo tipo e ulteriori etichette verbali e qualificatori
per questa attività e per l’oggetto in questione. Per la bambina normale l’oggetto
20
acquisisce un nome solo dopo che alcune caratteristiche fisiche sono state incontrate, se
non esplorate, in alcuni dettagli.
Bisogna ammettere che per un bambino ai primi passi o durante l’infanzia questo non
è soltanto il modo più usuale per assegnare i nomi agli oggetti, ma anche la maniera
preferita per la manifestazione dell’attività denominativa in questo periodo. I prerequisiti
per questa sequenza di eventi, naturalmente, sono le abilità neuropsicologiche della
percezione tattile e visiva, le abilità psicomotorie complesse e la capacità di interagire con
le novità. Deficit in tutti questi ambiti costituiscono la base della sindrome NLD.
Ora, tornando alle considerazioni sull’apprendimento che è derivato, per il bambino
NLD riguardo al vaso di zia Gertrude, siamo di fronte a una semplice risposta: egli ha
probabilmente imparato che quell’oggetto è un “vaso” e che ha qualcosa a che fare con
zia Gertrude. Nulla di più” [Rourke, 1995, pp. 8-9 ].
La citazione di Einstein (McKim, 1972), inserita all’inizio voleva essere
una specie di provocazione. Non credo la si possa investire di una, pur
minima, rilevanza scientifica ma al tempo stesso ritengo che offra un ottimo
spunto di riflessione.
Come spero sia emerso da quanto scritto finora i soggetti affetti (e
afflitti) da questo disturbo si trovano a dover affrontare una situazione molto
pesante avendo a disposizione ben poche armi. Scambiati per iperattivi,
“rifiutati” dai compagni e messi in difficoltà da praticamente ogni compito che
l’ambiente scolastico chiede loro (neppure le abilità linguistiche costituiscono
una stampella efficace), necessitano, a mio parere, di una particolare
attenzione.
Nella parte che seguirà ho inquadrato la situazione in oggetto da un
punto di vista neuropsicologico.
21
Disturbo non verbale dell’apprendimento?
Ciò di cui abbiamo bisogno non è la volontà di
credere bensì il desiderio di scoprire.
B. Russell
In letteratura vi sono molte ricerche effettuate con soggetti che
presentano disturbi dell’apprendimento simili, per alcuni aspetti, a quella che
Rourke chiama NLD. Si tratta dello stesso disturbo dell’apprendimento?
Non è certamente semplice dare una risposta definitiva a questa
domanda. Nel 1990 Semrud-Clikeman & Hynd hanno raccolto in un unico
articolo un insieme di questi disturbi dell’apprendimento. In questo lavoro
panoramico emerge con chiarezza una caratteristica comune: il
coinvolgimento dell’emisfero cerebrale destro.
E’ mia intenzione riproporre, nel primo paragrafo di questa seconda
parte, le caratteristiche principali dei disturbi elencati da Semrud-Clikeman &
Hynd (1990) per accennare, in seguito, ad alcuni studi relativi alle
caratteristiche del nostro cervello e in particolare dell’emisfero destro. In
questo modo sarà possibile comprendere più chiaramente alcune spiegazioni
offerte dagli esperti del settore e, in particolare, ciò mi permetterà in seguito
(cap. terzo pp. 51-52) di collegarmi con il “Modello della memoria di lavoro
visuo-spaziale” proposto da Cornoldi (1995).
22
1. I sottotipi del “Disturbo non verbale dell’apprendimento.
“Nonverbal Perceptual Organization Output Disabled Classification
(NPOOD)”: Rourke & Finlayson (1978) identificarono con questo acronimo
dei bambini le cui abilità di lettura e di spelling erano nella media, o sopra di
essa, ed evidenziavano particolari abilità nella percezione uditiva. Le abilità
aritmetiche invece erano relativamente compromesse ed ulteriori problemi
furono riscontrati nei compiti che richiedevano abilità spaziali. Rourke &
Finlayson conclusero che questi bambini fossero caratterizzati da disfunzioni
relative all’emisfero destro.
Strang e Rourke (1983, 1985) trovarono che gli errori aritmetici di questi
soggetti, in base al “Wide Range Achievement Test”, riguardavano
l’organizzazione spaziale, erano causati dalla mancata attenzione nei confronti
degli aspetti visivi, e da errori procedurali e di perseverazione. Altre difficoltà
riguardavano l’utilizzo di operazioni apprese in precedenza in contesti nuovi.
Strang e Rourke riscontrarono ulteriori problematiche psicomotorie e della
percezione tattile (più pronunciate a sinistra).
Ozols & Rourke (1985) osservano che i Soggetti NPOOD avevano
difficoltà nell’utilizzare e nell’interpretare i suggerimenti comunicativi non
verbali come le posture e le espressioni facciali, abilità tipicamente correlate
all’emisfero destro.
A scanso di equivoci, bisogna dire che Rourke ha usato l’indicazione
NPOOD approssimativamente fino al 1988; dal 1989 (vedi Rourke, 1989a) è
scomparso l’acronimo NPOOD in favore di NLD (che esattamente starebbe
per nonverbal learning disability) ma il disturbo dell’apprendimento a cui
l’autore si riferisce è lo stesso.
23
La “Sindrome di Asperger” è caratterizzata da una grave e perdurante
compromissione dell’interazione sociale e dallo sviluppo di modalità di
comportamento, interessi, e attività ristretti e ripetitivi. Contrariamente al
disturbo autistico, non vi sono ritardi clinicamente significativi
nell’acquisizione del linguaggio (per es., singole parole sono usate all'età di
due anni, frasi comunicative sono usate all'età di tre anni), né nello sviluppo
cognitivo, nelle capacità di autoaccudimento adeguate all'età, nel
comportamento adattivo (tranne che nell'interazione sociale), e nella curiosità
riguardo all'ambiente.
Secondo Semrud-Clikeman & Hynd (1990) ci sono molte similitudini tra
i bambini NPOOD e quelli a cui era stata diagnosticata la sindrome di
Asperger anche se alcuni autori hanno riscontrato in questi ultimi buone
capacità in ambito matematico e scientifico (Wing, 1981; Wolff & Chick,
1980; Wolff & Barlow,1979),capacità che risultano carenti nei bambini NLD.
La “Sindrome di Gerstmann evolutiva”. Nel 1924 e negli anni seguenti,
Gerstmann descrisse l’associazione di alcuni sintomi neuropsicologici che da
allora ha preso il suo nome. Disgrafia, discalculia, agnosia digitale,
disorientamento destra-sinistra sono tipici mentre l’aprassia costruttiva3
è
spesso presente ed è stata aggiunta in un secondo tempo (Gerstmann, 1927).
Gerstmann sosteneva che responsabile di questa sintomatologia fosse
una lesione del lobo parietale dominante, in articolare del giro angolare (area
39 di Brodmann, vedi fig.1). La specificità di questa sindrome è molto
controversa ed è tuttora oggetto di discussione tra i neuropsicologi (Benton,
1977; 1992).
3
L’aprassia costruttiva consiste nell’incapacità di costruire strutture complesse ponendo gli elementi
costituenti nei corretti rapporti spaziali reciproci. Essa comprende, tra l’altro, attività di costruzione,
composizione e disegno.
24
Figura 1: Rappresentazione schematica dell’emisfero sinistro. In grigio è stato
evidenziato il giro angolare (area 39 di Brodmann) che risulta leso
negli adulti con Sindrome di Gerstmann.
Ancora più incerta ed opinabile è l’esistenza di una sindrome di
Gerstmann evolutiva, in altre parole della presenza dei classici sintomi di
Gerstmann in infanzia, in assenza di lesioni cerebrali acquisite (Calzolari,
Paris & Ramponi, 1998). Rourke & Strang (1978) sostennero che questa
sindrome è analoga alla NPOOD.
Il punto di maggior disaccordo tra i diversi autori è rappresentato dal
fatto che nell’adulto la sindrome di Gerstmann si manifesta, come già detto, in
conseguenza a lesioni parietali sinistre mentre la NLD è normalmente
attribuita all’emisfero destro.
“Left Hemisyndrome Classification”. Denckla (1978) suggerì un modo
addizionale per classificare i bambini con specifici deficit relativi ai compiti
visuo-spaziali, all’aritmetica ed alle abilità di comunicazione non verbale.
Ella rilevò che questi bambini presentavano una serie di problematiche a
carico dell’emisoma sinistro le quali supponevano una disfunzione
dell’emisfero destro. I bambini cui Denckla faceva riferimento mostravano
almeno tre indicatori a carico del sistema motorio che presupponevano un
25
coinvolgimento dell’emisfero destro. Questi indicatori includevano disordini
dei riflessi, debolezza del tono muscolare, tremori, scoordinazione motoria,
nistagmo, strabismo e disartria4
.
I soggetti in questione mostravano un profilo neuropsicologico che
documentava un ritardo medio, nell’acquisizione del linguaggio e della lettura,
che comunque in seguito si normalizzavano. Rimanevano invece evidenti delle
difficoltà nel ragionamento verbale, deficit nel pensiero inferenziale, difficoltà
in matematica, deficit d’orientamento (che si evidenziavano in particolare
nella vita di tutti i giorni e con le piantine geografiche) e difficoltà nel
comprendere i segnali tipici della comunicazione non verbale come la
gestualità e l’intonazione vocale.
Secondo Denckla la Sindrome di Asperger costituisce il grado più severo
di compromissione lungo un continuum che colloca la NPOOD ad un estremo,
la “Left hemisyndrome” nel mezzo e la sindrome di Asperger all’altro
estremo.
“Sindrome dell’emisfero destro”. Voeller (1986) descrisse 15 Bambini
che mostravano strette similitudini con quelli segnalati da Rourke & Finlayson
(1978) e da Denckla (1978). Esaminando i risultati delle batterie di test
neuropsicologici, la CT scans e i tracciati EEG, Voeller trovò indicazioni di
deficit a carico dell’emisfero destro in tutti loro.
I soggetti studiati da questa autrice mostravano un’estrema difficoltà
nella comprensione degli stati emotivi altrui. I punteggi ottenuti nei test QI
mostravano prestazioni migliori per quanto riguardava la “Scala Verbale”
rispetto a quella di “Performance”. Per quanto riguardava invece alcune
attività scolastiche tipiche, i bambini esaminati da Voeller si rivelavano abili
lettori ma erano messi in difficoltà da compiti aritmetici. Dalle osservazioni di
4
Vedi nota 1.
26
Voeller emerse inoltre un’alta percentuale di ADD5
(con e senza iperattività);
particolare che non è menzionato da Denckla (1978) né da Rourke & Strang
(1978).
In un lavoro successivo Voeller & Heilman (1988) evidenziarono che i
bambini cui era stata diagnosticata questa sindrome soddisfacevano i criteri
diagnostici per l’ADDH, e, prendendo spunto dall’ipotesi che l’instabilità
motoria fosse relata a danni all’emisfero destro negli adulti (Kertesz,
Nicholson, Cancelliere, Kassa & Black 1985), ipotizzarono che L’ADDH
potesse essere collegato alla sindrome dell’emisfero destro nei bambini,
ipotesi parzialmente confermata da Sandson, Bachna & Morin (2000).
“Right Parietal Lobe Classification”. Weinberg & McLean (1986)
identificarono due diversi tipi di disturbi dell’apprendimento nei bambini con
difficoltà aritmetiche e sociali.
Tipo R 1: detta anche sindrome evolutiva dell’emisfero parietale destro
(developmental right parietal lobe syndrome), è fortemente caratterizzata da
eloquio cantilenante, scarsa consapevolezza sia nel comprendere che
nell’utilizzare gli aspetti non verbali della comunicazione e altri indizi come il
tono del linguaggio. Weinberg & McLean osservarono inoltre come prove
ripetitive si rivelassero difficili per i bambini R1: ad esempio, spesso essi
cominciavano la prova ma non la concludevano.
In relazione alle principali attività scolastiche questi autori facevano
notare inoltre come, per questi bambini, la lettura fosse lenta e laboriosa ma
non presentasse altre problematiche rispetto ai compagni, mentre l’aritmetica
si rivelasse fonte di difficoltà e la scrittura fosse pasticciata.
5
ADD è un’abbreviazione usata per indicare il disturbo dell’attenzione che spesso è associato
all’iperattività (ADDH). La caratteristica fondamentale del Disturbo da Deficit di
Attenzione/Iperattività è una persistente modalità di disattenzione, e/o di iperattività-impulsività, che è
più frequente e più grave di quanto si osserva, tipicamente, nei soggetti allo stesso livello di sviluppo.
27
Tipo R 2: è identica a R1 con la differenza che in questi bambini le
compromissioni sono meno evidenti.
Secondo Weinberg & McLean (1986) entrambe queste tipologie sono da
imputare al lobo parietale destro. Sfortunatamente questa classificazione
sembra non essere supportata da dati o da altri campioni di casi clinici con
queste caratteristiche. I dati precedenti, infatti, si dimostrano non concordi con
questa formulazione, nel senso che, i processi cognitivi associati alle abilità
aritmetiche sono probabilmente frutto di attivazioni bilaterali, con
coinvolgimenti delle aree sottocorticali. In aggiunta, Ross (1981) dimostrò che
la prosodia del linguaggio, non dipende solo dall’emisfero parietale destro, ma
anche da diverse zone, anteriori e posteriori, dello stesso. Secondo questo
autore le regioni anteriori contribuiscono alla espressione della prosodia e
quelle posteriori contribuiscono al riconoscimento della stessa. Sembra quindi
che Weinberg & McLean abbiano grossolanamente semplificato le cose
nell’indicare le localizzazioni cerebrali correlate ai deficit osservati.
Più recentemente, Nichelli & Venneri (1995), hanno descritto il caso di
un giovane che presentava un quadro cognitivo-comportamentale
sovrapponibile a quello dei casi fin qui descritti. Gli autori si riferiscono a
questo quadro sintomatologico col nome “Right hemisphere developmental
learning disability” e fanno notare come, a dispetto di esami CT scan e MRI
normali, l’EEG e la PET evidenzino una cospicua asimmetria tra i due
emisferi. In particolare l’asimmetria metabolica mostrata dalla PET indica
un’attivazione inferiore in una larga porzione dell’emisfero destro.
28
2. Considerazioni neuropsicologiche
Lo studio dei disturbi cognitivi, associati a lesioni emisferiche sinistre,
portò Jackson, nel lontano 18686
, alla definizione della nozione di “dominanza
emisferica”, secondo la quale, l’emisfero sinistro riveste un ruolo
fondamentale per qualunque attività comportamentale e di pensiero dell’uomo.
Questa definizione era motivata dall’importanza assegnata al linguaggio. In
seguito si osservò che mentre l’emisfero sinistro è specialmente deputato alle
funzioni linguistiche, il destro gioca un ruolo prevalente in altre funzioni
superiori che non coinvolgono il linguaggio, particolarmente funzioni di tipo
visivo-spaziale.
Alla nozione classica di dominanza venne quindi sostituita quella di
“specializzazione emisferica”, secondo la quale, entrambi gli emisferi
prevalgono a turno a seconda della funzione coinvolta. Per quanto riguarda
invece le attività elementari di senso e di moto i due emisferi cerebrali sono
considerati attualmente del tutto equivalenti.
Anche questo modello è stato contraddetto da alcune ricerche dalle quali
è emersa una specializzazione destra per stimoli apparentemente verbali e una
specializzazione sinistra per stimoli apparentemente non verbali (Umiltà et al.
1980; Umiltà et al. 1978). I risultati di tali ricerche hanno portato a due nuove
versioni del “modello Verbale/Spaziale”. La prima sostiene che il dato della
specializzazione emisferica dipende dal modo in cui l’informazione è
rappresentata internamente. In altre parole, è il formato o il codice della
rappresentazione interna, e non lo stimolo in quanto tale, a determinare la
prevalenza dell’uno o dell’altro emisfero (Umiltà 1982; Moscovitch, Scullion
& Cristie 1976).
6
Citato in C. Umiltà (a cura di): “Manuale di neuroscienze” (1995) a p. 479.
29
La seconda versione del modello sostiene invece che, la specializzazione
emisferica, dipenda dal modo in cui viene elaborata l’informazione
(Moscovitch 1979; Berlucchi 1982). Il tipo di compito non ha importanza: tutti
i compiti che richiedono, o ammettono, una mediazione linguistica, portano ad
una superiorità dell’emisfero sinistro. Se invece i problemi da affrontare sono
di tipo spaziale, o più genericamente non linguistico, anche stimoli linguistici
producono una superiorità dell’emisfero destro. Questa versione del modello
risolve in parte il problema presentato da compiti né linguistici né spaziali che
pur dimostrano una chiara lateralizzazione funzionale. Ad esempio, non vi è
nulla di spaziale nell’emozione in sé, tuttavia, essendo l’emozione espressa
attraverso le caratteristiche fisionomiche e le loro reciproche relazioni spaziali,
è possibile che il riconoscimento delle emozioni richieda un tipo di
elaborazione spaziale non diverso da quello richiesto dal riconoscimento di un
volto (Moscovitch 1979; Berlucchi 1982).
Osservando dati clinici che dimostrano come le conseguenze e i
fenomeni di recupero funzionale di una lesione siano diversi a seconda dell’età
del paziente, Segalowitz & Gruber (1977) hanno introdotto il concetto di
plasticità dei due emisferi.
I dati clinici possono essere così riassunti:
• A parità di altre condizioni il danno funzionale è meno grave nei
bambini che negli adulti. I deficit cognitivi conseguenti a lesioni nei
bambini sono più lievi e transitori di quelli dell’adulto.
• Il recupero della funzione compromessa avviene più rapidamente nei
bambini. Da questo punto di vista sono molto importanti le
osservazioni su pazienti che hanno subito una emisferectomia
sinistra nei primissimi anni di vita. Tali pazienti sviluppano
competenze linguistiche praticamente indistinguibili da quelle dei
30
soggetti normali fatta eccezione per un deficit di tipo sintattico
(Dennis & Whitekar 1977; Springer & Deutsch 1981). Al contrario
se l’emisferectomia ha avuto luogo in età adulta tutte le funzioni
linguistiche rimangono seriamente compromesse.
• Lesioni dell’emisfero destro nei Bambini possono produrre disturbi
linguistici, mentre negli adulti i disturbi afasici dopo lesioni destre
sono rarissimi, con eccezioni per alcuni mancini.
In conclusione, appare evidente che il cervello infantile è già
specializzato ma a dispetto di ciò presenta un alto grado di plasticità.
Per quanto riguarda il caso in esame, se è vero che il NLD è dovuto a una
disfunzione dell’emisfero destro, data la plasticità, i soggetti con questa
patologia dovrebbero supplire alle loro carenze attraverso il ruolo vicario
dell’altro emisfero ma ciò non sembra avvenire, perché?
3. Goldberg & Costa: “The right to left shift”
Alcuni studi dedicati alla definizione delle differenze anatomiche
cerebrali condussero LeMay (1976) alla conclusione che, nell’uomo, si
riscontra usualmente un maggior volume del ventricolo laterale sinistro e un
maggior peso dell’emisfero destro rispetto a quello sinistro (vedi figura 2).
Nello stesso ambito, sulla base di una serie di tomografie computerizzate, Gur,
Packer, Hungerbuhler, Reivich, Obrist, Amarnek e Sackeim (1980)
dimostrarono che la quantità media di sostanza grigia è maggiore
nell’emisfero sinistro rispetto a quello destro, il quale risulta, a sua volta,
caratterizzato da una prevalenza di sostanza bianca rispetto all’altro. Gli stessi
31
autori osservarono inoltre che le aree associative (temporoparietale e
prefrontale) sono più estese nell’emisfero destro.
Figura 2: Sezione orizzontale. Nella figura si può notare chiaramente come i corni
frontale e posteriore del ventricolo laterale sinistro siano più estesi
rispetto a quelli del ventricolo destro. Nella stessa si può osservare anche
la classica torsione in senso antiorario dovuta al maggior volume del polo
frontale destro e del polo occipitale sinistro.
Se considerato alla luce dei risultati di LeMay questi indici possono
riflettere una maggior presenza, in media, di fibre mielinizzate lunghe
(sostanza bianca) rispetto alla massa neuronale e alle fibre corte non
mielinizzate (sostanza grigia) nell’emisfero destro.
Secondo Goldberg & Costa (1981), emerge, in seguito a queste
osservazioni, una caratteristica molto particolare del nostro cervello:
l’emisfero sinistro mostra una predominante connettività di tipo intraregionale
mentre in quello destro le connessioni sono prevalentemente interregionali.
32
Partendo dai risultati di svariati esperimenti che utilizzavano differenti
metodologie sperimentali come le rilevazioni EEG, esperimenti di percezione
visiva, di ascolto dicotico o di riconoscimento di lettere o di volti, e
considerando inoltre le differenze neuroanatomiche dei due emisferi, Goldberg
& Costa (1981) ritennero plausibili due conseguenze a livello funzionale:
1. L’emisfero destro possiede una grande capacità di affrontare la
complessità informazionale.
2. L’emisfero destro ha una grande abilità nel processare più modelli
d’informazione in una singola esposizione, mentre l’emisfero sinistro
si mostra più adatto a compiti che richiedono una singola modalità di
rappresentazione o d’esecuzione.
Ulteriori conseguenze si possono riscontrare nell’acquisizione e
nell’utilizzo delle strategie cognitive.
La comprensione delle conseguenze a questo livello necessita
l’introduzione del concetto di sistema descrittivo. Un sistema descrittivo
consiste di un insieme di unità discrete di codifica o di regole di
trasformazione che possono essere utilizzate durante l’elaborazione di alcune
classi di stimoli. Un sistema descrittivo è quindi una “super-struttura” imposta
sui semplici meccanismi di detenzione degli stimoli. Il linguaggio naturale
costituisce, per i membri di uno stesso dominio culturale, un sistema
descrittivo fisso. All’interno del dominio culturale però si possono individuare
determinate sottoclassi del linguaggio contenenti dei termini o dei concetti
non utilizzati da tutti (ad esempio alcuni termini e/o concetti specialistici).
E’ ovvio che i concetti espressi attraverso termini specifici possono
essere comunicati utilizzando altri termini padroneggiati da tutti i membri di
quel dominio ma ciò, spesso, richiede delle circonlocuzioni.
33
Altri sistemi descrittivi, non necessariamente linguistici, rintracciabili
all’interno della nostra cultura, sono i linguaggi formali della matematica, il
codice Morse, le notazioni musicali o quelle utilizzate per indicare la
posizione dei pezzi su una scacchiera. Questi sistemi vengono utilizzati da un
piccolo sottoinsieme di parlanti la stessa lingua ma sono simili al linguaggio
in quanto determinati culturalmente e acquisiti attraverso la comunicazione
(quindi legati al linguaggio).
Un terzo insieme di sistemi descrittivi è costituito da quelli
intraindividuali che si sviluppano, durante l’acquisizione di una nuova abilità
(o l’elaborazione di classi di stimoli precedentemente sconosciute), in un
modo “caratteristico”, più che attraverso l’utilizzo un codice preesistente (in
processi di questo tipo il ruolo svolto dal linguaggio non è facilmente
definibile).
Una delle conseguenze più evidenti di questo stato di cose emerge
considerando il “comportamento” di due individui, alle prese con lo stesso
compito, immaginando che uno dei due (professionista) possieda il sistema
descrittivo appropriato alle richieste del compito, e l’altro (principiante) ne sia
sprovvisto. Il professionista può individuare le componenti che costituiscono il
problema, ridurre la sua complessità e il conseguente carico cognitivo che il
compito comporta.
Goldberg & Costa (1981) sostengono che, nella costituzione di un
sistema descrittivo, in generale vi sia un iniziale coinvolgimento dell’emisfero
destro, il quale, grazie alla prevalenza di connessioni “interregionali” (fibre
mielinizzate lunghe), permette di cogliere le caratteristiche essenziali del
compito, le sue regolarità e le eventuali relazioni tra le sue componenti,
promuovendo un’analisi multifocale. Dopo le prime interazioni con qualunque
“materiale sconosciuto” vi è un progressivo aumento della confidenza nel
34
trattarlo; ciò coincide con un coinvolgimento dell’emisfero sinistro, il quale,
grazie alle sue connessioni “intraregionali” (fibre corte non mielinizzate),
favorisce un’elaborazione di tipo analitico attraverso il sistema descrittivo che
si va progressivamente costituendo.
E’ in questo senso che Goldberg & Costa identificano uno “shift” di
attivazione progressivo dall’emisfero di destra a quello di sinistra (The right to
left shift).
4. Il modello di Rourke
Il modello di Golberg & Costa (1981) deriva da investigazioni sul
cervello umano adulto; nonostante la cautela da usare quando si trasportano
osservazioni fatte sull’adulto a livello infantile, le osservazioni e le idee di
Golberg & Costa (1981) sono state utilizzate per interpretare il NLD.
L’apporto principale portato da questa teoria risiede nell’ipotesi che ci sia una
progressiva lateralizzazione di funzioni verso l’emisfero sinistro nel corso
della vita. Secondo questa prospettiva Rourke (1982) predispose un modello
(“The right-left model”), nel tentativo di interpretare le deficienze espresse dei
soggetti NLD. In quel modello Rourke sottolineò come i bambini NLD
manifestino deficienze a livello dell’emisfero destro in presenza di ben
consolidate, stereotipate e rigide abilità dell’emisfero sinistro (ad esempio
certe abilità linguistiche). In particolare egli pensava che i problemi nello
stabilire saldamente le relazioni di causa ed effetto (che stanno alla base
35
dell’apprendimento per prove ed errori) nell’infanzia e nella fanciullezza
avrebbero limitato la loro capacità di sviluppare livelli più astratti di pensiero7
.
Indipendentemente dal fatto che i problemi manifestati dai bambini NLD
avessero direttamente origine da un deficit dell’emisfero destro o da problemi
di accesso delle informazioni verso un sistema inizialmente integro, Rourke
fondò le sue argomentazioni su tre principi.
1. In generale, quanta più materia bianca (in relazione alla massa
cerebrale totale) è lesa, rimossa o disfunzionale, tanto più probabile è
la presenza di una NLD.
2. Il periodo in cui il danno occorre e il tipo di materia bianca che ne è
interessato ha grande importanza ai fini della manifestazione della
NLD.
3. La materia bianca dell’emisfero destro è cruciale per lo sviluppo e il
mantenimento delle sue prerogative (l’integrazione intermodale,
soprattutto di fronte a situazioni nuove).
Proseguendo in questa direzione Rourke (1987, 1988, 1989a, 1995)
ampliò il suo modello (“The right-left, down-up, back-front model”)
osservando che vi potevano essere differenti conseguenze a seconda del tipo di
fibre danneggiate. Partendo dal fatto che nel nostro cervello si possono
individuare principalmente tre tipi di fibre lunghe mielinizzate: le fibre
commessurali (right-left), le fibre associative (back-front) e le fibre di
proiezione (down-up); e puntualizzandone la maggior presenza nell’emisfero
destro, Rourke (1995) ipotizzò che alcune patologie avrebbero intaccato in
modo peculiare alcuni (o tutti) i tipi di fibre causando la sindrome NLD. Ad
esempio:
7
Lo stesso Rourke (1982) suggerì che, la formazione dei concetti, dipenda dall’emisfero destro e che
36
…. “condizioni come l’idrocefalo avranno il loro principale effetto sulle fibre
commessurali (right-left) e di proiezione (down-up), lasciando le fibre associative (back-
front) relativamente intatte.” [Rourke, 1995, p. 22].
In questo modo, Rourke si spinge molto al di là rispetto agli argomenti
trattati in questo lavoro, andando a registrare comportamenti caratteristici della
sindrome NLD associati ad altri disturbi primari come l’idrocefalo, la
sindrome di Turner, la leucemia ed altre forme tumorali infantili trattate con
radioterapia, le forme congenite di agenesia del corpo calloso, eccetera. (si
veda Rourke, 1995 per una rassegna).
All’inizio di questa seconda parte mi sono posto due domande, una delle
quali era presente fin dal titolo: si tratta di un disturbo non verbale
dell’apprendimento?
Secondo l’ipotesi avanzata da Goldberg & Costa (1981) definire il
problema secondo il dualismo verbale/spaziale è una scelta quantomeno
affrettata. In base alla loro teoria, i deficit che si osservano a livello visuo-
spaziale, e che preservano alcune capacità linguistiche nei soggetti NLD, sono
la conseguenza di uno stato di cose molto più complesso.
Il loro modello teorico consente di spiegare i deficit caratteristici del
NLD sostenendo che la principale carenza di questi soggetti, rappresentata da
un malfunzionamento dell’emisfero destro, complica il normale costituirsi dei
sistemi descrittivi necessari ad affrontare i diversi compiti. In questa
prospettiva solamente alcune abilità fortemente sollecitate, come il linguaggio,
che riveste un ruolo molto importante in tutte le società umane, e alcune altre
abilità molto esercitate riescono ad emergere; prospettiva che viene sostenuta
in particolar modo da Rourke.
si stabilisca durante il periodo sensomotorio definito dalla teoria piagetiana.
37
I diversi lavori descrivono lo stesso disturbo dell’apprendimento?
Questa domanda mi era sorta spontanea nel momento in cui mi sono reso
conto di quante sigle ed etichette fossero state utilizzate per riferirsi a problemi
che, tutto sommato, presentavano molti punti in comune. Secondo Rourke
(1989a, 1995), il filo conduttore che lega tutti questi disturbi è rappresentato
da un coinvolgimento della materia cerebrale bianca che, come facevano
notare Gur et al. (1980), è presente in maggiore quantità nell’emisfero destro.
La proposta offerta da Rourke, ma soprattutto il modello di Goldberg &
Costa (1981), permettono quindi di inquadrare praticamente tutte le
caratteristiche del NLD e di spiegarle nell’ottica dello shift da destra verso
sinistra, offrendo in questo modo una spiegazione molto economica. Vorrei
comunque sottolineare che, anche se questa soluzione è molto utile da un
punto di vista esplicativo, questo modello non ha riscosso molto successo tra i
nueropsicologi e gli studiosi delle asimmetrie cerebrali. Per questa ragione
sono andato alla ricerca di alcuni lavori più o meno recenti che potessero
offrire sostegno a questa “originale teoria”.
Una conferma all’ipotesi dello shift proviene da una ricerca realizzata da
Baciu, Koening, Vernier, Bedoin, Rubin e Sergebart (1999).
Utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fMRI) questi autori
hanno osservato l’andamento dell’attivazione emisferica durante lo
svolgimento di compiti spaziali. I compiti in questione erano due, uno di tipo
categorico (decidere se un punto si trovasse sopra o sotto una linea di
riferimento), e uno di tipo coordinato8
(decidere se il punto fosse più o meno
lontano dalla linea rispetto a distanza di riferimento). Gli effetti della pratica
8
Kosslyn, Koeing, Barret, Cave, Tang & Gabrielli (1989) hanno proposto che il cervello computi due
differenti tipi di rappresentazione delle relazioni visuo-spaziali. Un tipo di rappresentazione
(categorico) è utilizzato per assegnare ad una relazione spaziale una categoria, ad esempio “dentro”,
“fuori da”, “sopra”, “sotto”, ecc. L’altro tipo di rappresentazione (coordinato) utilizza il sistema
metrico con il quale le distanze sono definite in maniera effettiva.
38
nello svolgimento delle prove sono stati quantificati attraverso due differenti
modalità. In base alla prima modalità, veniva confrontato il numero di pixel
(che indicavano aree cerebrali attive) rilevati durante il processo nelle prime
due prove e nelle ultime due prove di una serie. La seconda modalità di
rilevazione consisteva nell’osservazione del cambiamento dell’attivazione col
passare del tempo.
I risultati si rivelano interessanti in quanto emergeva che, durante la
prima parte del compito coordinato, l’emisfero destro era significativamente
più attivato di quello sinistro. La seconda osservazione mostrava che non vi
era differenza nell’attivazione dei due emisferi e, in particolare, che vi era
stato un incremento significativo dell’attivazione del giro angolare sinistro.
Un altro esperimento, compiuto utilizzando la fMRI, che ha ottenuto
risultati simili a sostegno dell’ipotesi di Goldberg & Costa è rappresentato dal
lavoro di Seger, Poldrack, Prabhakaran, Zhao, Glover & Gabrieli (2000).
A una più attenta lettura di questi lavori, si può obiettare loro che, sia la
ricerca di Baciu et al., sia quella di Seger et al. non riguardano apprendimenti
consolidati e che quindi non si sia stabilito alcun sistema descrittivo.
In un altro lavoro Jeupter, Stephan, Frith, Brooks, Frackowiak &
Passingham (1997) hanno osservato un fenomeno analogo a quello teorizzato
da Goldberg & Costa in contesti di apprendimento consolidato e l’hanno
documentato utilizzando la PET.
E’ chiaro che i risultati dei lavori a cui ho accennato non possono
comunque, ritenersi sufficienti per chiarire definitivamente il problema. La
spiegazione di Goldberg & Costa è molto efficace nell’inquadrare il NLD ma
non ostante le conferme che l’ipotesi avrebbe recentemente ricevuto necessita
a mio parere di ulteriori, e più stringenti conferme.
39
Il sistema della memoria di lavoro
Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem
Guglielmo di Ockham
1. Introduzione
Tra le prime descrizioni del “Disturbo non verbale dell’apprendimento”
vi è quella proposta da Johnson & Myklebust (1971), i quali definivano questo
disordine come caratteristico di bambini …. “incapaci di comprendere il
significato di molti aspetti dell’ambiente in cui vivono”, aspetti….. “ che non
riescono ad immaginare e prevedere” (Johnson & Myklebust 1971).
Sembrava inoltre che questi stessi fallissero nell’apprendere e nell’interpretare
le implicazioni di posture ed espressioni facciali.
L’inabilità “non verbale” di questi soggetti pregiudicava, secondo
Johnson & Myklebust, la percezione, l’immaginazione visiva (imagery) e
costituiva una distorsione fondamentale dell’esperienza percettiva totale.
In seguito Myklebust (1975) suggerì che tali difficoltà non fossero dovute a
problemi percettivi in se, quanto piuttosto a problematiche legate alla
memoria, al richiamo delle informazioni e alle capacità d’immaginazione
visiva.
40
Del tutto indipendentemente dalle idee di Myklebust (1975), Cornoldi,
Friso, Giordano, Molin, Poli, Rigoni & Tressoldi (1997), hanno realizzato un
programma volto a sviluppare le abilità visuo-spaziali, pensando a tutti quei
bambini e ragazzi che si trovano in difficoltà nel momento in cui devono
ricorrere a tali abilità per risolvere un problema. Il punto di continuità tra le
idee di Myklebust e quelle di Cornoldi et al. è rappresentato dal fatto che, in
entrambi i casi, si è ritenuto centrale il ruolo della memoria e delle immagini
mentali. In particolare, nel progetto di Cornoldi et al. (1997) ci si riferiva ad
un precedente lavoro di Cornoldi (1995), nel quale lo stesso autore aveva
proposto il modello della “Memoria di lavoro visuo-spaziale” (MLVS).
Questa terza parte è dedicata all’approfondimento dei contributi apportati
dallo studio della memoria di lavoro alla comprensione del NLD e dei disturbi
visuo-spaziali.
Se, come sostiene Baddeley, la memoria di lavoro costituisce un
…“sistema per il mantenimento temporaneo per la manipolazione
dell’informazione durante l’esecuzione di differenti compiti, come la
comprensione, l’apprendimento, e il ragionamento [Baddeley, 1990, trad. it. p.
46]”… è ragionevole ipotizzare che i soggetti con disturbi o difficoltà
nell’area visuo-spaziale mostrino una compromissione della memoria di
lavoro e in particolare degli aspetti visuo-spaziali della stessa. In questo
contesto, notando alcune analogie, proporrò un tentativo di collegamento tra il
modello MLVS di Cornoldi (1995) e la teoria proposta da Goldberg & Costa
(1981).
41
2. La memoria di lavoro
Probabilmente la prima persona che tentò misurare la memoria a breve
termine fu un maestro di Londra, Joseph Jacobs (1887), il quale voleva
valutare le capacità mentali dei suoi alunni. E’ a lui che si deve la tecnica
divenuta famosa col nome di “span di memoria9
”.
Nel suo ormai celebre articolo, Miller (1956) mostrò che lo span di
memoria immediata era quantificabile intorno a sette elementi
(indipendentemente dal fatto che si trattasse di elementi singoli o di
raggruppamenti).
Era in questo periodo che nasceva la diatriba tra i sostenitori della teoria
secondo la quale la memoria era costituita da un unico sistema (Melton, 1963)
e quelli che invece ritenevano che la stessa fosse composta da più sistemi
(Broadbent, 1958; Atkinson & Schiffrin, 1968).
Uno dei più famosi modelli che prevedono più magazzini di memoria è
sicuramente il “modello modale” di Atkinson & Schiffrin (1968), ma a
dispetto dell’iniziale entusiasmo suscitato da questo modello, si andarono
accumulando numerose evidenze ad esso contrarie10
. In ogni caso, nonostante
le idee di Atkinson & Shiffrin siano state attualmente accantonate, va dato loro
il merito di aver introdotto l’idea di “memoria a breve termine” che interviene
nello svolgimento di molti compiti cognitivi. Secondo Atkinson & Shiffrin il
magazzino a breve termine, previsto dal loro modello, è un sistema di
mantenimento attivo delle informazioni sulla base delle quali ci è possibile
pensare, comprendere, agire, ragionare, decidere ecc.
9
Prova nella quale si richiede al soggetto di ripetere una sequenza di stimoli, solitamente numeri,
immediatamente dopo la presentazione.
10
In particolare viene spesso citato in letteratura il paziente K. F. studiato da Shallice & Warrington
(1970).
42
Una formulazione più chiara ed articolata fu proposta da Baddeley &
Hitch (1974), il cui modello della memoria di lavoro distingueva una serie di
componenti all’interno della memoria a breve termine (vedi figura 3). Al posto
di un magazzino unitario ne fu proposto uno a più dimensioni, controllato da
un sistema attentivo: l’esecutivo centrale. Questo sistema di controllo opera
sui dati provenienti dai servosistemi; in particolare Baddeley & Hitch (1974)
ne identificarono due: uno adibito all’elaborazione e al mantenimento
dell’informazione linguistica (il ciclo fonologico), l’altro implicato
nell’elaborazione e nel mantenimento dell’informazione visuo-spaziale (il
taccuino visuo-spaziale).
Figura 3: Versione modificata del modello della memoria di lavoro proposto da
Baddeley & Hitch (1974).
Il sistema del ciclo fonologico si avvaleva di un magazzino di memoria,
che manteneva le tracce di materiale acustico e verbale per tempi brevissimi (il
magazzino fonologico), e di un processo di articolazione sub-vocale, che
Ciclo Fonologico
Esecutivo Centrale
Taccuino Visuo-Spaziale
43
consentiva il consolidamento della traccia (attraverso la reiterazione
[Baddeley, 1990]).
Più recentemente è stato proposto anche per il taccuino visuo-spaziale
un’ipotesi che prevede l’esistenza di un magazzino di memoria passivo (il
visual cache), e di un sistema che permette una reiterazione visiva (l’inner
scribe [Logie & Reisberg, 1992]).
In particolare Logie & Reisberg hanno ipotizzato che l’inner scribe sia di
natura spaziale osservando un effetto analogo alla soppressione articolatoria11
ottenuto attraverso compiti tattilo-motori: la soppressione motoria-spaziale. In
realtà resta ancora da dimostrare che questa soppressione abbia effetti più
evidenti di altre (semplice attività visiva, esplorazione visiva, ecc.). Tuttavia è
stato mostrato che, quando l’attività motoria sottende in qualche modo, anche
generico, una rappresentazione spaziale (evento molto frequente, considerando
il fatto che ci si muove nello spazio) essa presenta processi simili a quelli
implicati nell’uso di immagini mentali (Brooks, 1968; Baddeley & Lieberman,
1980; Johnson, 1982).
Un parere critico rispetto all’idea multicomponenziale di Baddeley è stato
espresso da Cornoldi (1995) il quale, propendendo per una soluzione unitaria
della memoria di lavoro, ha ipotizzato che il ciclo fonologico e il taccuino
visuo-spaziale abbiano, sia una corrispondenza funzionale, sia una parziale
sovrapposizione di strutture interessate. Questa prospettiva, in particolare,
permette in molti casi, di parlare di coincidenza dei principi implicati piuttosto
che di analogia.
11
Si tratta di una prova nella quale si richiede al soggetto di ripetere una sequenza di stimoli
immediatamente dopo la presentazione. Sebbene l’articolazione esplicita non sia necessaria per il
funzionamento del linguaggio interno, l’operazione del ciclo fonologico è disturbata da
un’articolazione esplicita o implicita concomitante. Quindi se a un soggetto si richiede di pronunciare
una serie di suoni irrilevanti durante un compito standard di span, lo span stesso subisce una
riduzione.
44
Riconoscendo i pregi del modello di Baddeley, quali la semplicità, la
chiarezza e la scomponibilità, Cornoldi (1995) ha proposto un suo modello nel
quale le diverse componenti si collocano secondo un rapporto di continuità.
Figura 4: Rappresentazione grafica del “Modello a Scivolo” della memoria di
lavoro visuo-spaziale e uditivo-articolatoria di Cornoldi (1995).
A seconda delle richieste imposte dal compito vi sarà una maggiore o
minore impegno di risorse attentive; vi potrà inoltre risultare implicato uno o
più servosistemi nelle rispettive aree, e questi potranno contribuire in modo
differente a seconda dei casi. La figura 4 mostra come Cornoldi ha concepito il
continuum dell’impegno attentivo, che va dall’estremo di attività controllate,
quando si eseguono compiti estremamente impegnativi, all’estremo opposto,
quando si svolgono processi passivi che richiedono un impegno attentivo quasi
nullo. Nel primo caso, per lo svolgimento del compito, si fa riferimento al
sistema di controllo attivo (SAC), negli altri casi si ricorre ai sistemi di
memoria temporanei o sistemi passivi. Lungo questo continuum, di tipo
Attivazione
costo attentivo
Sistema attivo centrale
Sistemi attivi meno specifici
Sistemi attivi specifici di routine
Sistemi passivi altamente specifici
Aree del loop articolatorio (LA)
Aree della memoria di lavoro
visuo-spaziale (MLVS)
+
–
45
verticale, l’informazione specifica ha una probabilità sempre maggiore di
perdersi, risalendo lungo lo “scivolo”, dal sistema passivo al SAC. Ai livelli
intermedi di questo continuum si collocano dei processi attivi di diversa
complessità, ognuno dei quali esercita una diversa richiesta attentiva.
Un secondo continuum, di tipo orizzontale, è stato ipotizzato tra le diverse
modalità di elaborazione previste dai sistemi passivi. A seconda del compito
da svolgere possono intervenire contemporaneamente, o in successione, più
sistemi passivi assicurando un certo grado di interscambio tra le diverse
modalità.
3. Aspetti neuropsicologici
Al fine di sostenere la distinzione tra i diversi sistemi che compongono la
memoria di lavoro, Baddeley (1990) riporta i risultati di svariati esperimenti,
dati ottenuti da studi di tipo psicofisiologico e osservazioni neuropsicologiche
(questi studi sono descritti in alcuni dettagli in Baddeley, 1995: Cap.4, 5 e 6
[trad. it. del lavoro del 1990]).
Ulteriori riscontri in questo senso sono stati evidenziati, nel volume
“Cognitive Neuropsychology”, da McCarthy & Warrington12
(1990). Le due
autrici, in un capitolo specificamente dedicato alla memoria a breve termine,
fanno notare come le compromissioni dell’area uditiva-verbale siano spesso
associate a lesioni del lobo parietale dell’emisfero sinistro (De Renzi &
Nichelli, 1975; Warrington, James, Maciejewski, 1986). Nel caso in cui si
riscontrino deficit alla memoria a breve termine visiva, McCarthy &
Warrington, fanno una distinzione tra visivo-verbale e visivo-spaziale. Nel
46
caso in cui il deficit sia di tipo visivo-verbale la lesione associata è occipitale
sinistra (Kinsbourne & Warington, 1963; Warrington & Rabin, 1971; Shallice
& Saffran, 1986), se invece il deficit è visuo-spaziale la lesione è parietale
destra (Warrington & James, 1967; De Renzi & Nichelli, 1975; De Renzi,
Faglioni & Previdi, 1977; ecc.).
Il quadro fin qui delineato si presenta coerente con l’idea generale che, in
ogni caso, i deficit d’ordine linguistico siano associati all’emisfero sinistro e
quelli visuo-spaziali al destro (vedi figura 5).
Figura 5: Nella figura sono indicate le localizzazioni approssimative delle lesioni in
conseguenza alle quali si manifesta un disturbo della memoria a breve
termine (fonte McCarthy & Warrington 1992).
Come ho fatto notare nella precedente sezione molti autori, confermando
questa teoria, riscontrano un interessamento dell’emisfero destro anche nei
disturbi non verbali dell’apprendimento. Sembrerebbe in questo modo che
l’ipotesi di Goldberg & Costa (1981), e le conseguenti speculazioni teoriche di
Rourke (1989a, 1995), ricevano poco sostegno di fronte a tutto ciò.
Con tutta la cautela imposta dalla situazione devo dire che, nonostante tutto,
l’ipotesi di Goldberg & Costa non è ancora da scartare.
12
Per un approfondimento consiglio al lettore di consultare McCarthy & Warrington (1992) cap.13
pp.283- 304 [trad. it. del lavoro del 1990].
47
In un lavoro abbastanza recente, Fastenau, Conant & Lauer (1998), hanno
riconsiderato le conclusioni di McCarthy & Warrington (1990) mettendole in
discussione. Questi autori hanno fatto notare come nello studio di Warrington
& James (1967) i deficit riscontrati possano essere attributi a deficit percettivi
più che di span visuo-spaziale; la stessa obiezione è stata fatta allo studio di
De Renzi & Nichelli (1975). Nello stesso studio di De Renzi & Nichelli e in
un terzo lavoro (De Renzi, Faglioni & Previdi, 1977), Fastenau e col.
osservarono come, secondo i risultati, gli stessi deficit di prestazione (visuo-
spaziale) si mostrassero, sia in presenza di lesioni destre, sia in presenza di
lesioni controlaterali. Fastenau et al. conclusero che molte evidenze per la
correlazione tra, tipo di servosistema della memoria di lavoro e substrato
anatomico, in particolare per il taccuino visuo-spaziale, risultavano
quantomeno confuse se si consideravano gli studi su individui adulti.
Quando invece Fastenau et al. presero in considerazione lavori con soggetti
in età evolutiva la situazione cambiò aspetto. Secondo i risultati di Baddeley &
Wilson (1993), Hitch, Halliday, Shaafstal & Shraagen (1988) e Hitch, Woodin
& Baker (1989), e in base alle osservazioni degli stessi Fastenau e col. (1998),
sembrava che l’identificazione dei servosistemi previsti dal modello di
Baddeley fossero possibili o meno a seconda dell’età dei soggetti che
partecipavano allo studio. Più precisamente, fino all’età di 7/8 anni si poteva
notare una netta distinzione tra compiti che richiedevano l’intervento specifico
del taccuino visuo-spaziale e compiti che necessitavano invece del ciclo
fonologico; dai nove anni in avanti questa distinzione diventava sempre meno
netta. Fastenau e col. (1998) interpretarono questo fenomeno ipotizzando che i
processi visuo-spaziali fossero supportati sempre più da processi di
verbalizzazione con l’aumentare dell’abilità di lettura.
48
Questa ipotesi è sostenuta anche da Adams & Sheslow (1990) i quali
notarono come tra i bambini di 6/8 anni la memoria visuo-spaziale correli con
le abilità di lettura e di spelling mentre la memoria uditivo-verbale non lo
faccia. Per ragazzi di 16/17 anni la situazione s’inverte: la memoria uditivo-
verbale correla significativamente con la lettura e lo spelling mentre la
memoria visuo-spaziale non correla affatto.
Tutti questi risultati suggeriscono che l’elaborazione puramente visuo-
spaziale passa progressivamente ad un ruolo subordinato nel periodo che va
dai cinque agli undici anni.
Ulteriori conferme provengono da uno studio fatto su bambini che stavano
imparando a leggere, utilizzando i potenziali evocati. In questo esperimento la
N36013
mostrò cambiamenti asimmetrici all’aumentare delle abilità di lettura.
In particolare la corteccia temporale destra sembrava avere un ruolo molto
importante nelle prime fasi di acquisizione della lettura; questo “focus” si
spostava alla corteccia temporale sinistra all’aumentare dell’abilità da parte
dei bambini (Licht, Bakker, Kok & Bouma, 1992).
Da ultimo per rinforzare l’ipotesi che questo fenomeno fosse dovuto
all’alfabetizzazione, e non ad un effetto di maturazione, Fastenau et al. (1998)
riferirono di uno studio fatto su popolazioni non alfabetizzate dello Zaire e del
Laos. In tale studio emerse come le componenti visuo-spaziale e uditivo-
verbale rimanessero ben distinte sia all’età di sei che a quella di tredici anni
(Conant, Fastenau, Giordani, Boivin, Opel & Nseyilia, 1997).
13
Gli autori di questo studio hanno interpretato la N360 come un indice dell’attivazione di un
“processo cerebrale” deputato al riconoscimento delle parole. Le ricerche di Kutas e Hillyard (1980)
evidenziarono la comparsa di una componente negativa tra i 300 e i 600 msec (N400) durante la
lettura di una frase. La N400 riflette, secondo Kutas e Hillyard, un processo di analisi della relazione
semantica tra una parola e il suo contesto unitamente ad alcune caratteristiche di congruenza
fonologica tra gli stimoli. La N360 è da considerarsi omologa alla N400.
49
Tornando al modello espresso da Cornoldi (1995), vorrei tentare a questo
punto di costruire un parallelismo con il modello di Goldberg & Costa (1981).
Nel modello di Cornoldi (1995) è previsto un sistema attivo centrale, nel
quale le informazioni perdono la loro specificità, vi è un’elaborazione di tipo
attivo ed un’elevata richiesta attentiva. Senza ombra di dubbio quando ognuno
di noi si trova di fronte a uno stimolo o ad un compito nuovo l’attenzione che
questo compito richiede è massima, risulta senz’altro opportuno un
atteggiamento di tipo attivo e, in quanto novità, risulta privo di specificità.
Potrebbe sembrare che il sistema attivo centrale coincida con l’esecutivo
centrale di Baddeley, ma come sostiene lo stesso, l’esecutivo centrale
“…..funziona più come un sistema attentivo che come un magazzino di
memoria…”[Baddeley, 1990, trad. it. p. 139]. A questo sistema l’autore fa
corrispondere attività come la vigilanza, la selezione percettiva, la
suddivisione delle risorse attentive durante l’esecuzione di più compiti, ecc.
Ancora, a detta di Baddeley (1990), vi sarebbe una corrispondenza del suo
esecutivo centrale con il Sistema attentivo supervisore di Norman & Shallice
(1986) e un ulteriore parallelismo in questo senso può essere notato con il
Sistema operativo teorizzato da Johnson-Laird (1983). In un sistema di questo
tipo non avvengono elaborazioni (più o meno specifiche), esso sembra
piuttosto, votato alla coordinazione dei sistemi in cui le elaborazioni stesse
hanno luogo. Il sistema attivo centrale nel modello di Cornoldi, a me, sembra
svolgere un ruolo analogo a quello che Goldberg & Costa (1981) hanno
proposto per l’emisfero destro e, in questo senso, i sistemi intermedi proposti
da Cornoldi (1995) potrebbero rappresentare situazioni in cui alcuni compiti
cognitivi non hanno ancora acquisito un proprio sistema descrittivo. In questi
casi quindi, lo shift verso l’emisfero sinistro non è ancora stabile. I sistemi
passivi altamente specifici costituirebbero, a questo punto, i vari sistemi
50
descrittivi che permettono un’elaborazione molto meno costosa da un punto di
vista delle risorse attentive.
5. Conclusioni
Esaminando la letteratura riguardante il disturbo non verbale
dell’apprendimento, e più in generale, alcune caratteristiche dei compiti visuo-
spaziali, vi ho potuto riscontrare due ipotesi che vanno per la maggiore:
1. In base a risultati di test neuropsicologici, a indici di carattere
motorio unilaterali e a tecniche come l’EEG, la PET e la CT scans,
una prima conclusione è che il disturbo non verbale
dell’apprendimento è causato da una disfunzione, a qualche livello,
dell’emisfero destro;
2. Sfruttando il concetto di memoria di lavoro, altri studiosi hanno
sostenuto che, in ogni caso, il disturbo oggetto d’esame è da
imputare a un ridotto funzionamento della memoria di lavoro, e in
particolare alle componenti visuo-spaziali della stessa.
Essendo i due punti di vista non reciprocamente escludentisi, ho cercato di
costruire un quadro coerente nel quale fosse possibile conciliare, in qualche
modo, le due prospettive. E’ certo che, trattandosi di due alternative che
vogliono spiegare il medesimo problema, dovrebbero, in linea di massima,
esistere dei punti di convergenza ed è stato questo pensiero che ha animato i
miei studi a livello teorico.
Onde non correre il rischio di generare confusioni, credo sia opportuno
riprendere e chiarire alcuni aspetti teorici fin qui discussi.
51
In primo luogo, le argomentazioni proposte da Fastenau et al (1998) non
vogliono, né possono, mettere in crisi il modello di Baddeley, al contrario,
offrono un completamento e un chiarimento rispetto a certi dati contraddittori.
In secondo luogo, il modello “a scivolo” proposto da Cornoldi (1995) deve
ottenere delle conferme a livello teorico, clinico e neuroanatomico prima di
essere preso in seria considerazione.
52
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Disturbo non verbale di apprendimento 1

  • 1. 9 Caratteristiche del disturbo non verbale dell’apprendimento “Le parole della lingua, siano scritte o pronunciate, sembra non abbiano alcun ruolo nel mio meccanismo di pensiero. Le entità psicologiche che sembrano fungere da elementi nel pensiero sono certi segni e immagini, più o meno chiari, che possono essere volontariamente riprodotti o combinati…. Gli elementi menzionati sopra sono, nel mio caso, di tipo visivo e alcuni di tipo muscolare”. A. Einstein. 1. Introduzione Se consultiamo la quarta revisione del “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali” (DSM IV), alla sezione intitolata “Disturbi solitamente diagnosticati nell’infanzia, nella fanciullezza o nell’adolescenza” troviamo un capitolo dedicato ai disturbi dell’apprendimento. I disturbi specifici inclusi in questa sezione sono “Disturbo della Lettura”, “Disturbo del Calcolo”, “Disturbo dell'Espressione Scritta” e “Disturbo dell'Apprendimento Non Altrimenti Specificato”. La classificazione del DSM IV non fa quindi alcun riferimento specifico al tipo di disturbo che sarà esaminato, almeno parzialmente, in questa prima parte: il “Disturbo Non-verbale dell’Apprendimento”. Questo disturbo presenta caratteristiche che il DSM IV cita, ma che non raccoglie in quanto tipiche di un particolare disturbo. Credo
  • 2. 10 che questo sia dovuto al fatto che le problematiche legate ad un ambito più specifico, come può essere la matematica o la lettura, sono più facilmente identificabili. Nella decima revisione della “Classificazione delle sindromi e dei disturbi psichici e comportamentali” (ICD-10), oltre alla sezione dedicata ai “Disturbi evolutivi specifici delle abilità scolastiche”, ne è stata inserita una dedicata al “Disturbo evolutivo specifico della funzione motoria”. Questo disturbo, che non è quindi incluso tra i disturbi dell’apprendimento, presenta molte caratteristiche del “Disturbo Non-verbale dell’Apprendimento”, ma l’ICD-10 pone l’accento sulle compromissioni motorie piuttosto che su quelle cognitive. Il quadro che sto cercando di delineare si complica fin dalle prime battute: • Non è del tutto chiaro se si tratti effettivamente di un disturbo specifico dell’apprendimento o se invece il problema sia di carattere principalmente motorio; • Nonostante si tratti di un disturbo che interessa, secondo l’ICD-10, gli aspetti motori e visuo-spaziali, vi è la tendenza a chiamarlo disturbo non verbale dell’apprendimento, ponendo l’accento sul linguaggio. Sicuramente la seconda complicazione deriva da un retaggio culturale che attribuiva al linguaggio un’importanza centrale, ma credo non si possa negare che la componente visuo-spaziale riveste un ruolo molto importante nell’ambito scolastico e nella vita di tutti i giorni. In questo senso ritengo importante una miglior comprensione di queste problematiche legate all’apprendimento per ottenere una maggior efficacia nell’intervento volto alla riduzione delle stesse.
  • 3. 11 In questa parte introduttiva descriverò le caratteristiche principali del disturbo non verbale dell’apprendimento (da ora in avanti NLD) basandomi sulle osservazioni di Rourke (1995). 2. Abilità non intaccate dal NLD Nonostante l’alto grado di compromissione, pressoché generalizzata, che caratterizza i bambini con NLD, alcune abilità cognitive e motorie risultano preservate e ben sviluppate; è mia intenzione descriverle, sotto forma di elenco, in questo paragrafo: • Le abilità motorie semplici e ripetitive sono ben sviluppate, specialmente in età adulta. • La percezione uditiva, dopo una prima fase di ritardo nello sviluppo rispetto alla media, è molto buona. Questi bambini sembrano, infatti, prediligere la modalità uditiva per raccogliere informazioni dall’ambiente. Bisogna notare in ogni modo che nell’infanzia i soggetti NLD sembrano un po’ “duri d’orecchio”; quest’impressione è rinforzata da un ritardo nell’acquisizione del linguaggio. • L’acquisizione del linguaggio, dopo il suddetto ritardo, è molto rapida, più del normale, tanto da consentire un relativo recupero rispetto ai coetanei. In particolare, alcune abilità linguistiche si sviluppano in modo molto rapido privilegiando la percezione, la segmentazione, la fusione e la ripetizione dei fonemi. Sono tipiche alcune forme ripetitive e/o stereotipate del linguaggio che vengono memorizzate e tendono ad accumularsi con gli anni.
  • 4. 12 • La lettura della singola parola, dopo gli iniziali problemi con l’analisi visuo-spaziale delle caratteristiche peculiari della parola scritta, è decifrata in modo eccellente ma la comprensione del testo risulta deficitaria. Questa lacuna risulta molto evidente all’età di 10 o 12 anni, periodo in cui le attività scolastiche richiedono abilità tipiche del pensiero ipotetico-deduttivo. • Le abilità di scrittura, e più in generale la coordinazione oculo- manuale, raggiungono con la pratica un buon livello. Le capacità di spelling o di scrittura sotto dettatura sono acquisite ad un’età mediamente adeguata o un po’ in ritardo. • L’attenzione selettiva e sostenuta, in particolare per alcuni materiali uditivi e verbali semplici, diventa molto ben sviluppata. Questa differenza spicca quando messa a confronto con le prestazioni ottenute con materiali visivi. • La memoria, per materiali di tipo ripetitivo, o d’altro genere, codificati attraverso modalità verbali e uditive, è molto ben sviluppata mentre, la memorizzazione del materiale scritto, può risultare difficile. In generale si osserva che, nei primi mesi e anni di vita, tutte le fondamentali tappe evolutive vengono raggiunte in ritardo.
  • 5. 13 3. Deficit peculiari del NLD Ritengo che, esaminando deficit peculiari del NLD riportati di seguito, si evidenzino due fattori caratteristici: 1. Molti deficit lamentati dai soggetti NLD tendono a peggiorare in funzione del tempo. 2. Alcune componenti generali (attenzione, memoria, ecc.) che in precedenza mostravano degli aspetti preservati (elencati quindi tra le abilità), sono compromesse per altri versanti. Seguendo la trattazione offerta da Rourke (1995) descriverò sinteticamente i deficit in questione; il lettore potrà facilmente rendersi conto che i due fattori appena citati rivestono un ruolo molto importante rispetto alla difficoltà legata alla singola modalità. La percezione tattile presenta una compromissione a livello bilaterale (più evidente a sinistra), anche se normalmente vi è una recessione parziale spontanea con l’andare degli anni. Sono evidenti deficit psicomotori e di coordinazione spesso più marcati nella parte sinistra del corpo. Questi deficit, ad eccezione di abilità molto esercitate (come la scrittura) peggiorano col tempo. Il comportamento esplorativo è poco sviluppato a tutti i livelli; sia nei confronti di oggetti situati nelle immediate vicinanze, che possono essere esplorati mediante il tatto (spazio di prensione), sia per quelli più lontani che possono essere esplorati mediante la vista (spazio distale). La spiccata tendenza alla sedentarietà di questi bambini, fa in modo che essi si procurino comunque alcune occasioni per manipolare oggetti, purché si trovino nelle immediate vicinanze. La manipolazione, o un certo tipo di manipolazione,
  • 6. 14 finisce quindi per rientrare in quelle attività ripetitive che a lungo andare diventano ben padroneggiate dal bambino. Questa limitazione comportamentale, unita alla tendenza alla sedentarietà, tende ad aggravarsi con gli anni. Il linguaggio è caratterizzato da deficienze medie nelle prassie orali- motorie1 , scarsa o assente prosodia, verbosità e ripetitività. Sono inoltre presenti alcuni errori parafasici di tipo fonemico2 . Il linguaggio viene utilizzato come principale mezzo per instaurare relazioni sociali, per raccogliere le informazioni e per alleviare l’ansia. Tutte queste caratteristiche tendono a diventare – tranne le difficoltà prassiche orali-motorie – più evidenti negli anni. L’apprendimento della lettura, come accennavo in precedenza, ha un esordio lento e tardivo ma successivamente vi è un notevole recupero, soprattutto per la lettura di parole singole. Ad esempio un bambino di terza elementare riesce a decodificare parole tipiche del “vocabolario” di un bambino di prima media, di terza media quando è in quarta elementare e addirittura delle superiori quando è in quinta elementare (Rourke, 1995). In generale dopo la terza elementare grado l’abilità verbale di un bambino NLD eccede quella di un suo coetaneo. Nonostante ciò, esiste un alto rischio di sviluppare disabilità nella lettura perché per leggere sono necessarie due abilità: 1. Le abilità naturali del linguaggio proprie di bambini di cinque o sei anni; 1 Queste sono da considerarsi analoghe alla disartria. La disartria consiste in una difficoltà nell’articolare le parole che dipende da problematiche di tipo motorio. Le componenti linguistiche della formulazione del linguaggio sono intatte: ad esempio, la scelta dei fonemi e la sequenza con cui vengono prodotti sono corrette. 2 La parafasia fonemica è rappresentata da sostituzioni, omissioni, ripetizioni o aggiunte di fonemi all’interno della stessa parola.
  • 7. 15 2. La capacità di analisi visuo-spaziale delle caratteristiche delle parole, tipiche di quest’età (Rourke, 1995). In particolare la seconda abilità viene padroneggiata dai bambini NLD non prima dei sette anni e questo rappresenta una delle cause del ritardo dell’apprendimento della lettura. La loro difficoltà maggiore comunque non consiste nella decodifica del testo quanto piuttosto nella comprensione del contenuto di quanto hanno letto. La scrittura, agli esordi, è fonte di difficoltà: sia con lo stampatello che con il corsivo i bambini NLD incontrano parecchi problemi; con molta pratica comunque, la scrittura diventa abbastanza buona. L’attenzione di tipo selettivo e sostenuto, per stimoli di tipo visivo o tattile, è povera e tende a diminuire col tempo (ad eccezione degli stimoli ben noti). La “forza” dell’attenzione è maggiore, e permette prestazioni molto migliori, in presenza di materiali verbali semplici e ripetitivi (specialmente se si presentato sotto forma uditiva) rispetto a stimoli non verbali nuovi e complessi (specialmente se presentati con modalità visiva o tattile). La differenza nelle prestazioni attentive tende a aumentare col tempo. Per quanto riguarda la memoria, si riscontra uno scarso ricordo degli stimoli visivi e tattili se il materiale non viene codificato verbalmente, e i deficit tendono ad aumentare col tempo. Quanto detto è vero in generale ad esclusione dei materiali che sono super appresi. E’ tipico uno scarso riconoscimento e un’inadeguata discriminazione dei dettagli e delle relazioni visive; in generale queste abilità d’organizzazione visuo-spaziale peggiorano con il tempo. Qualunque materiale, per quanto risulta non familiare, è trattato in modo povero e non appropriato a causa di una spiccata tendenza all’assimilazione che aumenta col passare degli anni.
  • 8. 16 I soggetti NLD mostrano difficoltà molto evidenti nell’acquisizione dei concetti, nella soluzione dei problemi, nella generazione di strategie e nella verifica delle ipotesi. L’uso dei feedback è scarso; si riscontrano inoltre marcati problemi nello stabilire il nesso tra causa ed effetto. L’acquisizione delle competenze matematiche appare costantemente in ritardo se lo si mette in relazione con le competenze linguistiche e con la lettura (riconoscimento di parole e spelling). Col passare degli anni il divario tra buone capacità di lettura di una singola parola e cattive “performances” in matematica diventa sempre più grande. In particolare è il ragionamento matematico, in contrasto con il calcolo aritmetico meccanico, a rimanere molto povero. La matematica pone dei problemi per questi bambini che riflettono i loro limiti in relazione alle abilità visuo-spaziali, all’apprezzamento dei dati nuovi, alla formazione dei concetti, alla generazione di strategie e alla verifica delle ipotesi. Raramente essi riescono a risolvere problemi tipicamente proposti in quinta elementare o in prima media, ma fino all’età di sette o otto anni non è facile rendersi conto del deficit. Il loro principale problema riguarda la difficoltà nel riconoscere quando e come applicare le regole semplici dell’aritmetica (riporto, somma ecc.): Rourke (1995) definisce questa caratteristica “forget to remember” che mette in contrapposizione al concetto di “learning to learn”. Per quanto riguarda le scienze si evidenziano difficoltà persistenti nello svolgere e risolvere problemi, e nella acquisizione dei concetti complessi tipici di materie come la fisica. Quando hanno quattro o cinque anni questi bambini sembrano disinibiti, invadenti e persistenti. Queste manifestazioni sono spesso considerate indicatori di iperattività e di un sottostante deficit d’attenzione. I compagni di
  • 9. 17 scuola e i bidelli reagiscono male alle loro “gaffe” comportamentali e relazionali; ciò tende a renderli sempre meno intraprendenti nei confronti degli altri trasformando la loro tendenza all’iperattività in una sostanziale ipoattività, nel tentativo di evitare la frustrazione derivante dal fallimento e dal rifiuto operato dai compagni. Per queste ragioni viene spesso prescritto a questi soggetti del metilfeidato. Questo, in concomitanza con l’aumento delle capacità di lettura, viene interpretato come la remissione anche dei problemi attentivi. Sono frequenti in questi soggetti disordini della condotta, forme d’ansia eccessiva e depressione, tanto che alcuni sono a rischio di sviluppare forme di psicopatologia. 4. Adattamento e abilità sociali Che cosa è necessario per avere successo nelle relazioni sociali? E’ risaputo che i bambini popolari sono predisposti a comunicare efficientemente, sanno come iniziare una conversazione, hanno consapevolezza dello stato emotivo altrui e sono capaci di empatia, ma soprattutto, sono in grado di adattare le loro abilità sociali alle richieste della situazione; in altre parole hanno successo in tutti quegli ambiti che si mostrano difficili ai soggetti NLD. L’accuratezza del riconoscimento e della classificazione del comportamento emotivo aumentano in diretta relazione con l’età. I Soggetti normali riconoscono le emozioni non appena sono in grado di definirle in modo appropriato. Studi effettuati in età prescolare hanno rivelato che, il riconoscimento e la qualificazione delle emozioni, sono positivamente e significativamente correlati con gli indici d’intelligenza e con le abilità
  • 10. 18 percettive e motorie, sia nei soggetti normali sia nei “disabili”. Queste abilità si sono rivelate, tra l’altro, affidabili predittori della rapidità nell’acquisizione della lettura e di alcune abilità di calcolo (Izard, 1977). In situazioni nuove o complesse i bambini con NLD mostrano un’estrema difficoltà di adattamento ed un eccessivo affidamento a forme di comunicazione e di comportamento banali, semplici o ripetitive (e perciò, spesso inappropriate). La scarsa competenza sociale, e i deficit nella percezione, nella interazione e nel giudizio sociale, tendono a divenire più gravi con l’aumentare dell’età; spesso sfociano in una marcata tendenza al ritiro sociale. Il quadro fin qui delineato risulta preoccupante soprattutto in funzione alla tendenza di molti deficit ad aggravarsi progressivamente. Rourke, Young & Leenaars (1989) sostennero che l’isolamento sociale e difficoltà nel trovare e mantenere un buon impiego in età adulta (a causa delle limitazioni cognitive, dell’impaccio motorio e delle difficoltà nei rapporti con i colleghi) inducessero uno stato depressivo ed aumentassero il rischio di comportamento suicida. Questa ipotesi di Rourke et al. (1989) suscitò alcune critiche (Fletcher, 1989; Kowalchuk & King, 1989; Bigler, 1989) che indussero Rourke (1989b) a rivedere i parte la sua posizione. 5. Esempio Desidero, a questo, punto riportare un esempio, citato da Rourke (1995), in quanto mi sembra in grado di chiarire concretamente quali differenze intercorrano tra esperienze conoscitive che caratterizzano un bambino normale e quelle che sono tipiche per un bambino affetto da NLD:
  • 11. 19 “…Consideriamo cosa fa una normale bambina ai primi passi in una sala piena di oggetti antichi o comunque vistosi. La seguente scena può essere una conseguenza molto plausibile della distrazione dei genitori: ella punta con lo sguardo un interessante vaso sopra il tavolo al centro della stanza, si alza in piedi e cammina verso il tavolo, tocca il vaso per un attimo, lo afferra e lo butta per aria. Appena il vaso si rompe sul pavimento sente il suo genitore gridare, “Mio Dio! E’ un vaso di zia Gertrude!” Ciò è seguito immediatamente da uno sculaccione e dall’ammonizione di non toccare più i vasi di zia Gertrude (o cose simili) in futuro. In contrasto con questo evento, quello che probabilmente succede a un bambino NLD nella stessa situazione può essere descritto nel modo seguente: mollemente seduto nella sala con i suoi genitori, egli vede il vaso, ma non cerca di raggiungerlo in alcun modo; chiede piuttosto che cosa sia. La risposta giunge immediata “E’ un vaso di zia Gertrude.” Probabilmente non chiede più nulla su quel vaso e procede ponendo altre domande su altri oggetti e i genitori continuano a rispondere, con indicazioni verbali, alle sue domande. Confrontiamo cosa i due bambini hanno imparato durante questo processo. La bambina “normale” punta la sua attenzione su un interessante oggetto, quindi aziona le sue risorse motorie per raggiungerlo. Durante il tragitto continua a fissarlo, e appena è abbastanza vicino, lo tocca. A ciò segue il trascinamento, il lancio, il rumore del vaso che si frantuma, dei cocci che si sparpagliano ai quattro angoli della stanza e il lamento dei genitori che gridano disperati. Tutto ciò è seguito da una sensazione dolorosa e da ulteriori espressioni dei genitori stessi. E’ possibile che questa sequenza di eventi abbia permesso alla bambina di formarsi una elementare, ma cruciale, relazione tra mezzi e fini, un senso di efficacia e confidenza nel utilizzare le proprie risorse per raggiungere uno scopo, la nozione che un oggetto rimane costante nonostante la grandezza dell’immagine retinica e la luce riflessa dall’oggetto vari, l’esperienza che l’oggetto in questione ha una superficie liscia e una massa che le permette di trascinarlo, alcune elementari interazioni tra l’aerodinamica e la gravità quando l’oggetto volteggia nell’aria, la nozione che il peso e le qualità della superficie si perdono quando l’oggetto si rompe contro una superficie inamovibile come un pavimento di legno, il nome dell’oggetto, le conseguenze a cui si può andare incontro quando si intraprendono azioni di questo tipo e ulteriori etichette verbali e qualificatori per questa attività e per l’oggetto in questione. Per la bambina normale l’oggetto
  • 12. 20 acquisisce un nome solo dopo che alcune caratteristiche fisiche sono state incontrate, se non esplorate, in alcuni dettagli. Bisogna ammettere che per un bambino ai primi passi o durante l’infanzia questo non è soltanto il modo più usuale per assegnare i nomi agli oggetti, ma anche la maniera preferita per la manifestazione dell’attività denominativa in questo periodo. I prerequisiti per questa sequenza di eventi, naturalmente, sono le abilità neuropsicologiche della percezione tattile e visiva, le abilità psicomotorie complesse e la capacità di interagire con le novità. Deficit in tutti questi ambiti costituiscono la base della sindrome NLD. Ora, tornando alle considerazioni sull’apprendimento che è derivato, per il bambino NLD riguardo al vaso di zia Gertrude, siamo di fronte a una semplice risposta: egli ha probabilmente imparato che quell’oggetto è un “vaso” e che ha qualcosa a che fare con zia Gertrude. Nulla di più” [Rourke, 1995, pp. 8-9 ]. La citazione di Einstein (McKim, 1972), inserita all’inizio voleva essere una specie di provocazione. Non credo la si possa investire di una, pur minima, rilevanza scientifica ma al tempo stesso ritengo che offra un ottimo spunto di riflessione. Come spero sia emerso da quanto scritto finora i soggetti affetti (e afflitti) da questo disturbo si trovano a dover affrontare una situazione molto pesante avendo a disposizione ben poche armi. Scambiati per iperattivi, “rifiutati” dai compagni e messi in difficoltà da praticamente ogni compito che l’ambiente scolastico chiede loro (neppure le abilità linguistiche costituiscono una stampella efficace), necessitano, a mio parere, di una particolare attenzione. Nella parte che seguirà ho inquadrato la situazione in oggetto da un punto di vista neuropsicologico.
  • 13. 21 Disturbo non verbale dell’apprendimento? Ciò di cui abbiamo bisogno non è la volontà di credere bensì il desiderio di scoprire. B. Russell In letteratura vi sono molte ricerche effettuate con soggetti che presentano disturbi dell’apprendimento simili, per alcuni aspetti, a quella che Rourke chiama NLD. Si tratta dello stesso disturbo dell’apprendimento? Non è certamente semplice dare una risposta definitiva a questa domanda. Nel 1990 Semrud-Clikeman & Hynd hanno raccolto in un unico articolo un insieme di questi disturbi dell’apprendimento. In questo lavoro panoramico emerge con chiarezza una caratteristica comune: il coinvolgimento dell’emisfero cerebrale destro. E’ mia intenzione riproporre, nel primo paragrafo di questa seconda parte, le caratteristiche principali dei disturbi elencati da Semrud-Clikeman & Hynd (1990) per accennare, in seguito, ad alcuni studi relativi alle caratteristiche del nostro cervello e in particolare dell’emisfero destro. In questo modo sarà possibile comprendere più chiaramente alcune spiegazioni offerte dagli esperti del settore e, in particolare, ciò mi permetterà in seguito (cap. terzo pp. 51-52) di collegarmi con il “Modello della memoria di lavoro visuo-spaziale” proposto da Cornoldi (1995).
  • 14. 22 1. I sottotipi del “Disturbo non verbale dell’apprendimento. “Nonverbal Perceptual Organization Output Disabled Classification (NPOOD)”: Rourke & Finlayson (1978) identificarono con questo acronimo dei bambini le cui abilità di lettura e di spelling erano nella media, o sopra di essa, ed evidenziavano particolari abilità nella percezione uditiva. Le abilità aritmetiche invece erano relativamente compromesse ed ulteriori problemi furono riscontrati nei compiti che richiedevano abilità spaziali. Rourke & Finlayson conclusero che questi bambini fossero caratterizzati da disfunzioni relative all’emisfero destro. Strang e Rourke (1983, 1985) trovarono che gli errori aritmetici di questi soggetti, in base al “Wide Range Achievement Test”, riguardavano l’organizzazione spaziale, erano causati dalla mancata attenzione nei confronti degli aspetti visivi, e da errori procedurali e di perseverazione. Altre difficoltà riguardavano l’utilizzo di operazioni apprese in precedenza in contesti nuovi. Strang e Rourke riscontrarono ulteriori problematiche psicomotorie e della percezione tattile (più pronunciate a sinistra). Ozols & Rourke (1985) osservano che i Soggetti NPOOD avevano difficoltà nell’utilizzare e nell’interpretare i suggerimenti comunicativi non verbali come le posture e le espressioni facciali, abilità tipicamente correlate all’emisfero destro. A scanso di equivoci, bisogna dire che Rourke ha usato l’indicazione NPOOD approssimativamente fino al 1988; dal 1989 (vedi Rourke, 1989a) è scomparso l’acronimo NPOOD in favore di NLD (che esattamente starebbe per nonverbal learning disability) ma il disturbo dell’apprendimento a cui l’autore si riferisce è lo stesso.
  • 15. 23 La “Sindrome di Asperger” è caratterizzata da una grave e perdurante compromissione dell’interazione sociale e dallo sviluppo di modalità di comportamento, interessi, e attività ristretti e ripetitivi. Contrariamente al disturbo autistico, non vi sono ritardi clinicamente significativi nell’acquisizione del linguaggio (per es., singole parole sono usate all'età di due anni, frasi comunicative sono usate all'età di tre anni), né nello sviluppo cognitivo, nelle capacità di autoaccudimento adeguate all'età, nel comportamento adattivo (tranne che nell'interazione sociale), e nella curiosità riguardo all'ambiente. Secondo Semrud-Clikeman & Hynd (1990) ci sono molte similitudini tra i bambini NPOOD e quelli a cui era stata diagnosticata la sindrome di Asperger anche se alcuni autori hanno riscontrato in questi ultimi buone capacità in ambito matematico e scientifico (Wing, 1981; Wolff & Chick, 1980; Wolff & Barlow,1979),capacità che risultano carenti nei bambini NLD. La “Sindrome di Gerstmann evolutiva”. Nel 1924 e negli anni seguenti, Gerstmann descrisse l’associazione di alcuni sintomi neuropsicologici che da allora ha preso il suo nome. Disgrafia, discalculia, agnosia digitale, disorientamento destra-sinistra sono tipici mentre l’aprassia costruttiva3 è spesso presente ed è stata aggiunta in un secondo tempo (Gerstmann, 1927). Gerstmann sosteneva che responsabile di questa sintomatologia fosse una lesione del lobo parietale dominante, in articolare del giro angolare (area 39 di Brodmann, vedi fig.1). La specificità di questa sindrome è molto controversa ed è tuttora oggetto di discussione tra i neuropsicologi (Benton, 1977; 1992). 3 L’aprassia costruttiva consiste nell’incapacità di costruire strutture complesse ponendo gli elementi costituenti nei corretti rapporti spaziali reciproci. Essa comprende, tra l’altro, attività di costruzione, composizione e disegno.
  • 16. 24 Figura 1: Rappresentazione schematica dell’emisfero sinistro. In grigio è stato evidenziato il giro angolare (area 39 di Brodmann) che risulta leso negli adulti con Sindrome di Gerstmann. Ancora più incerta ed opinabile è l’esistenza di una sindrome di Gerstmann evolutiva, in altre parole della presenza dei classici sintomi di Gerstmann in infanzia, in assenza di lesioni cerebrali acquisite (Calzolari, Paris & Ramponi, 1998). Rourke & Strang (1978) sostennero che questa sindrome è analoga alla NPOOD. Il punto di maggior disaccordo tra i diversi autori è rappresentato dal fatto che nell’adulto la sindrome di Gerstmann si manifesta, come già detto, in conseguenza a lesioni parietali sinistre mentre la NLD è normalmente attribuita all’emisfero destro. “Left Hemisyndrome Classification”. Denckla (1978) suggerì un modo addizionale per classificare i bambini con specifici deficit relativi ai compiti visuo-spaziali, all’aritmetica ed alle abilità di comunicazione non verbale. Ella rilevò che questi bambini presentavano una serie di problematiche a carico dell’emisoma sinistro le quali supponevano una disfunzione dell’emisfero destro. I bambini cui Denckla faceva riferimento mostravano almeno tre indicatori a carico del sistema motorio che presupponevano un
  • 17. 25 coinvolgimento dell’emisfero destro. Questi indicatori includevano disordini dei riflessi, debolezza del tono muscolare, tremori, scoordinazione motoria, nistagmo, strabismo e disartria4 . I soggetti in questione mostravano un profilo neuropsicologico che documentava un ritardo medio, nell’acquisizione del linguaggio e della lettura, che comunque in seguito si normalizzavano. Rimanevano invece evidenti delle difficoltà nel ragionamento verbale, deficit nel pensiero inferenziale, difficoltà in matematica, deficit d’orientamento (che si evidenziavano in particolare nella vita di tutti i giorni e con le piantine geografiche) e difficoltà nel comprendere i segnali tipici della comunicazione non verbale come la gestualità e l’intonazione vocale. Secondo Denckla la Sindrome di Asperger costituisce il grado più severo di compromissione lungo un continuum che colloca la NPOOD ad un estremo, la “Left hemisyndrome” nel mezzo e la sindrome di Asperger all’altro estremo. “Sindrome dell’emisfero destro”. Voeller (1986) descrisse 15 Bambini che mostravano strette similitudini con quelli segnalati da Rourke & Finlayson (1978) e da Denckla (1978). Esaminando i risultati delle batterie di test neuropsicologici, la CT scans e i tracciati EEG, Voeller trovò indicazioni di deficit a carico dell’emisfero destro in tutti loro. I soggetti studiati da questa autrice mostravano un’estrema difficoltà nella comprensione degli stati emotivi altrui. I punteggi ottenuti nei test QI mostravano prestazioni migliori per quanto riguardava la “Scala Verbale” rispetto a quella di “Performance”. Per quanto riguardava invece alcune attività scolastiche tipiche, i bambini esaminati da Voeller si rivelavano abili lettori ma erano messi in difficoltà da compiti aritmetici. Dalle osservazioni di 4 Vedi nota 1.
  • 18. 26 Voeller emerse inoltre un’alta percentuale di ADD5 (con e senza iperattività); particolare che non è menzionato da Denckla (1978) né da Rourke & Strang (1978). In un lavoro successivo Voeller & Heilman (1988) evidenziarono che i bambini cui era stata diagnosticata questa sindrome soddisfacevano i criteri diagnostici per l’ADDH, e, prendendo spunto dall’ipotesi che l’instabilità motoria fosse relata a danni all’emisfero destro negli adulti (Kertesz, Nicholson, Cancelliere, Kassa & Black 1985), ipotizzarono che L’ADDH potesse essere collegato alla sindrome dell’emisfero destro nei bambini, ipotesi parzialmente confermata da Sandson, Bachna & Morin (2000). “Right Parietal Lobe Classification”. Weinberg & McLean (1986) identificarono due diversi tipi di disturbi dell’apprendimento nei bambini con difficoltà aritmetiche e sociali. Tipo R 1: detta anche sindrome evolutiva dell’emisfero parietale destro (developmental right parietal lobe syndrome), è fortemente caratterizzata da eloquio cantilenante, scarsa consapevolezza sia nel comprendere che nell’utilizzare gli aspetti non verbali della comunicazione e altri indizi come il tono del linguaggio. Weinberg & McLean osservarono inoltre come prove ripetitive si rivelassero difficili per i bambini R1: ad esempio, spesso essi cominciavano la prova ma non la concludevano. In relazione alle principali attività scolastiche questi autori facevano notare inoltre come, per questi bambini, la lettura fosse lenta e laboriosa ma non presentasse altre problematiche rispetto ai compagni, mentre l’aritmetica si rivelasse fonte di difficoltà e la scrittura fosse pasticciata. 5 ADD è un’abbreviazione usata per indicare il disturbo dell’attenzione che spesso è associato all’iperattività (ADDH). La caratteristica fondamentale del Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività è una persistente modalità di disattenzione, e/o di iperattività-impulsività, che è più frequente e più grave di quanto si osserva, tipicamente, nei soggetti allo stesso livello di sviluppo.
  • 19. 27 Tipo R 2: è identica a R1 con la differenza che in questi bambini le compromissioni sono meno evidenti. Secondo Weinberg & McLean (1986) entrambe queste tipologie sono da imputare al lobo parietale destro. Sfortunatamente questa classificazione sembra non essere supportata da dati o da altri campioni di casi clinici con queste caratteristiche. I dati precedenti, infatti, si dimostrano non concordi con questa formulazione, nel senso che, i processi cognitivi associati alle abilità aritmetiche sono probabilmente frutto di attivazioni bilaterali, con coinvolgimenti delle aree sottocorticali. In aggiunta, Ross (1981) dimostrò che la prosodia del linguaggio, non dipende solo dall’emisfero parietale destro, ma anche da diverse zone, anteriori e posteriori, dello stesso. Secondo questo autore le regioni anteriori contribuiscono alla espressione della prosodia e quelle posteriori contribuiscono al riconoscimento della stessa. Sembra quindi che Weinberg & McLean abbiano grossolanamente semplificato le cose nell’indicare le localizzazioni cerebrali correlate ai deficit osservati. Più recentemente, Nichelli & Venneri (1995), hanno descritto il caso di un giovane che presentava un quadro cognitivo-comportamentale sovrapponibile a quello dei casi fin qui descritti. Gli autori si riferiscono a questo quadro sintomatologico col nome “Right hemisphere developmental learning disability” e fanno notare come, a dispetto di esami CT scan e MRI normali, l’EEG e la PET evidenzino una cospicua asimmetria tra i due emisferi. In particolare l’asimmetria metabolica mostrata dalla PET indica un’attivazione inferiore in una larga porzione dell’emisfero destro.
  • 20. 28 2. Considerazioni neuropsicologiche Lo studio dei disturbi cognitivi, associati a lesioni emisferiche sinistre, portò Jackson, nel lontano 18686 , alla definizione della nozione di “dominanza emisferica”, secondo la quale, l’emisfero sinistro riveste un ruolo fondamentale per qualunque attività comportamentale e di pensiero dell’uomo. Questa definizione era motivata dall’importanza assegnata al linguaggio. In seguito si osservò che mentre l’emisfero sinistro è specialmente deputato alle funzioni linguistiche, il destro gioca un ruolo prevalente in altre funzioni superiori che non coinvolgono il linguaggio, particolarmente funzioni di tipo visivo-spaziale. Alla nozione classica di dominanza venne quindi sostituita quella di “specializzazione emisferica”, secondo la quale, entrambi gli emisferi prevalgono a turno a seconda della funzione coinvolta. Per quanto riguarda invece le attività elementari di senso e di moto i due emisferi cerebrali sono considerati attualmente del tutto equivalenti. Anche questo modello è stato contraddetto da alcune ricerche dalle quali è emersa una specializzazione destra per stimoli apparentemente verbali e una specializzazione sinistra per stimoli apparentemente non verbali (Umiltà et al. 1980; Umiltà et al. 1978). I risultati di tali ricerche hanno portato a due nuove versioni del “modello Verbale/Spaziale”. La prima sostiene che il dato della specializzazione emisferica dipende dal modo in cui l’informazione è rappresentata internamente. In altre parole, è il formato o il codice della rappresentazione interna, e non lo stimolo in quanto tale, a determinare la prevalenza dell’uno o dell’altro emisfero (Umiltà 1982; Moscovitch, Scullion & Cristie 1976). 6 Citato in C. Umiltà (a cura di): “Manuale di neuroscienze” (1995) a p. 479.
  • 21. 29 La seconda versione del modello sostiene invece che, la specializzazione emisferica, dipenda dal modo in cui viene elaborata l’informazione (Moscovitch 1979; Berlucchi 1982). Il tipo di compito non ha importanza: tutti i compiti che richiedono, o ammettono, una mediazione linguistica, portano ad una superiorità dell’emisfero sinistro. Se invece i problemi da affrontare sono di tipo spaziale, o più genericamente non linguistico, anche stimoli linguistici producono una superiorità dell’emisfero destro. Questa versione del modello risolve in parte il problema presentato da compiti né linguistici né spaziali che pur dimostrano una chiara lateralizzazione funzionale. Ad esempio, non vi è nulla di spaziale nell’emozione in sé, tuttavia, essendo l’emozione espressa attraverso le caratteristiche fisionomiche e le loro reciproche relazioni spaziali, è possibile che il riconoscimento delle emozioni richieda un tipo di elaborazione spaziale non diverso da quello richiesto dal riconoscimento di un volto (Moscovitch 1979; Berlucchi 1982). Osservando dati clinici che dimostrano come le conseguenze e i fenomeni di recupero funzionale di una lesione siano diversi a seconda dell’età del paziente, Segalowitz & Gruber (1977) hanno introdotto il concetto di plasticità dei due emisferi. I dati clinici possono essere così riassunti: • A parità di altre condizioni il danno funzionale è meno grave nei bambini che negli adulti. I deficit cognitivi conseguenti a lesioni nei bambini sono più lievi e transitori di quelli dell’adulto. • Il recupero della funzione compromessa avviene più rapidamente nei bambini. Da questo punto di vista sono molto importanti le osservazioni su pazienti che hanno subito una emisferectomia sinistra nei primissimi anni di vita. Tali pazienti sviluppano competenze linguistiche praticamente indistinguibili da quelle dei
  • 22. 30 soggetti normali fatta eccezione per un deficit di tipo sintattico (Dennis & Whitekar 1977; Springer & Deutsch 1981). Al contrario se l’emisferectomia ha avuto luogo in età adulta tutte le funzioni linguistiche rimangono seriamente compromesse. • Lesioni dell’emisfero destro nei Bambini possono produrre disturbi linguistici, mentre negli adulti i disturbi afasici dopo lesioni destre sono rarissimi, con eccezioni per alcuni mancini. In conclusione, appare evidente che il cervello infantile è già specializzato ma a dispetto di ciò presenta un alto grado di plasticità. Per quanto riguarda il caso in esame, se è vero che il NLD è dovuto a una disfunzione dell’emisfero destro, data la plasticità, i soggetti con questa patologia dovrebbero supplire alle loro carenze attraverso il ruolo vicario dell’altro emisfero ma ciò non sembra avvenire, perché? 3. Goldberg & Costa: “The right to left shift” Alcuni studi dedicati alla definizione delle differenze anatomiche cerebrali condussero LeMay (1976) alla conclusione che, nell’uomo, si riscontra usualmente un maggior volume del ventricolo laterale sinistro e un maggior peso dell’emisfero destro rispetto a quello sinistro (vedi figura 2). Nello stesso ambito, sulla base di una serie di tomografie computerizzate, Gur, Packer, Hungerbuhler, Reivich, Obrist, Amarnek e Sackeim (1980) dimostrarono che la quantità media di sostanza grigia è maggiore nell’emisfero sinistro rispetto a quello destro, il quale risulta, a sua volta, caratterizzato da una prevalenza di sostanza bianca rispetto all’altro. Gli stessi
  • 23. 31 autori osservarono inoltre che le aree associative (temporoparietale e prefrontale) sono più estese nell’emisfero destro. Figura 2: Sezione orizzontale. Nella figura si può notare chiaramente come i corni frontale e posteriore del ventricolo laterale sinistro siano più estesi rispetto a quelli del ventricolo destro. Nella stessa si può osservare anche la classica torsione in senso antiorario dovuta al maggior volume del polo frontale destro e del polo occipitale sinistro. Se considerato alla luce dei risultati di LeMay questi indici possono riflettere una maggior presenza, in media, di fibre mielinizzate lunghe (sostanza bianca) rispetto alla massa neuronale e alle fibre corte non mielinizzate (sostanza grigia) nell’emisfero destro. Secondo Goldberg & Costa (1981), emerge, in seguito a queste osservazioni, una caratteristica molto particolare del nostro cervello: l’emisfero sinistro mostra una predominante connettività di tipo intraregionale mentre in quello destro le connessioni sono prevalentemente interregionali.
  • 24. 32 Partendo dai risultati di svariati esperimenti che utilizzavano differenti metodologie sperimentali come le rilevazioni EEG, esperimenti di percezione visiva, di ascolto dicotico o di riconoscimento di lettere o di volti, e considerando inoltre le differenze neuroanatomiche dei due emisferi, Goldberg & Costa (1981) ritennero plausibili due conseguenze a livello funzionale: 1. L’emisfero destro possiede una grande capacità di affrontare la complessità informazionale. 2. L’emisfero destro ha una grande abilità nel processare più modelli d’informazione in una singola esposizione, mentre l’emisfero sinistro si mostra più adatto a compiti che richiedono una singola modalità di rappresentazione o d’esecuzione. Ulteriori conseguenze si possono riscontrare nell’acquisizione e nell’utilizzo delle strategie cognitive. La comprensione delle conseguenze a questo livello necessita l’introduzione del concetto di sistema descrittivo. Un sistema descrittivo consiste di un insieme di unità discrete di codifica o di regole di trasformazione che possono essere utilizzate durante l’elaborazione di alcune classi di stimoli. Un sistema descrittivo è quindi una “super-struttura” imposta sui semplici meccanismi di detenzione degli stimoli. Il linguaggio naturale costituisce, per i membri di uno stesso dominio culturale, un sistema descrittivo fisso. All’interno del dominio culturale però si possono individuare determinate sottoclassi del linguaggio contenenti dei termini o dei concetti non utilizzati da tutti (ad esempio alcuni termini e/o concetti specialistici). E’ ovvio che i concetti espressi attraverso termini specifici possono essere comunicati utilizzando altri termini padroneggiati da tutti i membri di quel dominio ma ciò, spesso, richiede delle circonlocuzioni.
  • 25. 33 Altri sistemi descrittivi, non necessariamente linguistici, rintracciabili all’interno della nostra cultura, sono i linguaggi formali della matematica, il codice Morse, le notazioni musicali o quelle utilizzate per indicare la posizione dei pezzi su una scacchiera. Questi sistemi vengono utilizzati da un piccolo sottoinsieme di parlanti la stessa lingua ma sono simili al linguaggio in quanto determinati culturalmente e acquisiti attraverso la comunicazione (quindi legati al linguaggio). Un terzo insieme di sistemi descrittivi è costituito da quelli intraindividuali che si sviluppano, durante l’acquisizione di una nuova abilità (o l’elaborazione di classi di stimoli precedentemente sconosciute), in un modo “caratteristico”, più che attraverso l’utilizzo un codice preesistente (in processi di questo tipo il ruolo svolto dal linguaggio non è facilmente definibile). Una delle conseguenze più evidenti di questo stato di cose emerge considerando il “comportamento” di due individui, alle prese con lo stesso compito, immaginando che uno dei due (professionista) possieda il sistema descrittivo appropriato alle richieste del compito, e l’altro (principiante) ne sia sprovvisto. Il professionista può individuare le componenti che costituiscono il problema, ridurre la sua complessità e il conseguente carico cognitivo che il compito comporta. Goldberg & Costa (1981) sostengono che, nella costituzione di un sistema descrittivo, in generale vi sia un iniziale coinvolgimento dell’emisfero destro, il quale, grazie alla prevalenza di connessioni “interregionali” (fibre mielinizzate lunghe), permette di cogliere le caratteristiche essenziali del compito, le sue regolarità e le eventuali relazioni tra le sue componenti, promuovendo un’analisi multifocale. Dopo le prime interazioni con qualunque “materiale sconosciuto” vi è un progressivo aumento della confidenza nel
  • 26. 34 trattarlo; ciò coincide con un coinvolgimento dell’emisfero sinistro, il quale, grazie alle sue connessioni “intraregionali” (fibre corte non mielinizzate), favorisce un’elaborazione di tipo analitico attraverso il sistema descrittivo che si va progressivamente costituendo. E’ in questo senso che Goldberg & Costa identificano uno “shift” di attivazione progressivo dall’emisfero di destra a quello di sinistra (The right to left shift). 4. Il modello di Rourke Il modello di Golberg & Costa (1981) deriva da investigazioni sul cervello umano adulto; nonostante la cautela da usare quando si trasportano osservazioni fatte sull’adulto a livello infantile, le osservazioni e le idee di Golberg & Costa (1981) sono state utilizzate per interpretare il NLD. L’apporto principale portato da questa teoria risiede nell’ipotesi che ci sia una progressiva lateralizzazione di funzioni verso l’emisfero sinistro nel corso della vita. Secondo questa prospettiva Rourke (1982) predispose un modello (“The right-left model”), nel tentativo di interpretare le deficienze espresse dei soggetti NLD. In quel modello Rourke sottolineò come i bambini NLD manifestino deficienze a livello dell’emisfero destro in presenza di ben consolidate, stereotipate e rigide abilità dell’emisfero sinistro (ad esempio certe abilità linguistiche). In particolare egli pensava che i problemi nello stabilire saldamente le relazioni di causa ed effetto (che stanno alla base
  • 27. 35 dell’apprendimento per prove ed errori) nell’infanzia e nella fanciullezza avrebbero limitato la loro capacità di sviluppare livelli più astratti di pensiero7 . Indipendentemente dal fatto che i problemi manifestati dai bambini NLD avessero direttamente origine da un deficit dell’emisfero destro o da problemi di accesso delle informazioni verso un sistema inizialmente integro, Rourke fondò le sue argomentazioni su tre principi. 1. In generale, quanta più materia bianca (in relazione alla massa cerebrale totale) è lesa, rimossa o disfunzionale, tanto più probabile è la presenza di una NLD. 2. Il periodo in cui il danno occorre e il tipo di materia bianca che ne è interessato ha grande importanza ai fini della manifestazione della NLD. 3. La materia bianca dell’emisfero destro è cruciale per lo sviluppo e il mantenimento delle sue prerogative (l’integrazione intermodale, soprattutto di fronte a situazioni nuove). Proseguendo in questa direzione Rourke (1987, 1988, 1989a, 1995) ampliò il suo modello (“The right-left, down-up, back-front model”) osservando che vi potevano essere differenti conseguenze a seconda del tipo di fibre danneggiate. Partendo dal fatto che nel nostro cervello si possono individuare principalmente tre tipi di fibre lunghe mielinizzate: le fibre commessurali (right-left), le fibre associative (back-front) e le fibre di proiezione (down-up); e puntualizzandone la maggior presenza nell’emisfero destro, Rourke (1995) ipotizzò che alcune patologie avrebbero intaccato in modo peculiare alcuni (o tutti) i tipi di fibre causando la sindrome NLD. Ad esempio: 7 Lo stesso Rourke (1982) suggerì che, la formazione dei concetti, dipenda dall’emisfero destro e che
  • 28. 36 …. “condizioni come l’idrocefalo avranno il loro principale effetto sulle fibre commessurali (right-left) e di proiezione (down-up), lasciando le fibre associative (back- front) relativamente intatte.” [Rourke, 1995, p. 22]. In questo modo, Rourke si spinge molto al di là rispetto agli argomenti trattati in questo lavoro, andando a registrare comportamenti caratteristici della sindrome NLD associati ad altri disturbi primari come l’idrocefalo, la sindrome di Turner, la leucemia ed altre forme tumorali infantili trattate con radioterapia, le forme congenite di agenesia del corpo calloso, eccetera. (si veda Rourke, 1995 per una rassegna). All’inizio di questa seconda parte mi sono posto due domande, una delle quali era presente fin dal titolo: si tratta di un disturbo non verbale dell’apprendimento? Secondo l’ipotesi avanzata da Goldberg & Costa (1981) definire il problema secondo il dualismo verbale/spaziale è una scelta quantomeno affrettata. In base alla loro teoria, i deficit che si osservano a livello visuo- spaziale, e che preservano alcune capacità linguistiche nei soggetti NLD, sono la conseguenza di uno stato di cose molto più complesso. Il loro modello teorico consente di spiegare i deficit caratteristici del NLD sostenendo che la principale carenza di questi soggetti, rappresentata da un malfunzionamento dell’emisfero destro, complica il normale costituirsi dei sistemi descrittivi necessari ad affrontare i diversi compiti. In questa prospettiva solamente alcune abilità fortemente sollecitate, come il linguaggio, che riveste un ruolo molto importante in tutte le società umane, e alcune altre abilità molto esercitate riescono ad emergere; prospettiva che viene sostenuta in particolar modo da Rourke. si stabilisca durante il periodo sensomotorio definito dalla teoria piagetiana.
  • 29. 37 I diversi lavori descrivono lo stesso disturbo dell’apprendimento? Questa domanda mi era sorta spontanea nel momento in cui mi sono reso conto di quante sigle ed etichette fossero state utilizzate per riferirsi a problemi che, tutto sommato, presentavano molti punti in comune. Secondo Rourke (1989a, 1995), il filo conduttore che lega tutti questi disturbi è rappresentato da un coinvolgimento della materia cerebrale bianca che, come facevano notare Gur et al. (1980), è presente in maggiore quantità nell’emisfero destro. La proposta offerta da Rourke, ma soprattutto il modello di Goldberg & Costa (1981), permettono quindi di inquadrare praticamente tutte le caratteristiche del NLD e di spiegarle nell’ottica dello shift da destra verso sinistra, offrendo in questo modo una spiegazione molto economica. Vorrei comunque sottolineare che, anche se questa soluzione è molto utile da un punto di vista esplicativo, questo modello non ha riscosso molto successo tra i nueropsicologi e gli studiosi delle asimmetrie cerebrali. Per questa ragione sono andato alla ricerca di alcuni lavori più o meno recenti che potessero offrire sostegno a questa “originale teoria”. Una conferma all’ipotesi dello shift proviene da una ricerca realizzata da Baciu, Koening, Vernier, Bedoin, Rubin e Sergebart (1999). Utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fMRI) questi autori hanno osservato l’andamento dell’attivazione emisferica durante lo svolgimento di compiti spaziali. I compiti in questione erano due, uno di tipo categorico (decidere se un punto si trovasse sopra o sotto una linea di riferimento), e uno di tipo coordinato8 (decidere se il punto fosse più o meno lontano dalla linea rispetto a distanza di riferimento). Gli effetti della pratica 8 Kosslyn, Koeing, Barret, Cave, Tang & Gabrielli (1989) hanno proposto che il cervello computi due differenti tipi di rappresentazione delle relazioni visuo-spaziali. Un tipo di rappresentazione (categorico) è utilizzato per assegnare ad una relazione spaziale una categoria, ad esempio “dentro”, “fuori da”, “sopra”, “sotto”, ecc. L’altro tipo di rappresentazione (coordinato) utilizza il sistema metrico con il quale le distanze sono definite in maniera effettiva.
  • 30. 38 nello svolgimento delle prove sono stati quantificati attraverso due differenti modalità. In base alla prima modalità, veniva confrontato il numero di pixel (che indicavano aree cerebrali attive) rilevati durante il processo nelle prime due prove e nelle ultime due prove di una serie. La seconda modalità di rilevazione consisteva nell’osservazione del cambiamento dell’attivazione col passare del tempo. I risultati si rivelano interessanti in quanto emergeva che, durante la prima parte del compito coordinato, l’emisfero destro era significativamente più attivato di quello sinistro. La seconda osservazione mostrava che non vi era differenza nell’attivazione dei due emisferi e, in particolare, che vi era stato un incremento significativo dell’attivazione del giro angolare sinistro. Un altro esperimento, compiuto utilizzando la fMRI, che ha ottenuto risultati simili a sostegno dell’ipotesi di Goldberg & Costa è rappresentato dal lavoro di Seger, Poldrack, Prabhakaran, Zhao, Glover & Gabrieli (2000). A una più attenta lettura di questi lavori, si può obiettare loro che, sia la ricerca di Baciu et al., sia quella di Seger et al. non riguardano apprendimenti consolidati e che quindi non si sia stabilito alcun sistema descrittivo. In un altro lavoro Jeupter, Stephan, Frith, Brooks, Frackowiak & Passingham (1997) hanno osservato un fenomeno analogo a quello teorizzato da Goldberg & Costa in contesti di apprendimento consolidato e l’hanno documentato utilizzando la PET. E’ chiaro che i risultati dei lavori a cui ho accennato non possono comunque, ritenersi sufficienti per chiarire definitivamente il problema. La spiegazione di Goldberg & Costa è molto efficace nell’inquadrare il NLD ma non ostante le conferme che l’ipotesi avrebbe recentemente ricevuto necessita a mio parere di ulteriori, e più stringenti conferme.
  • 31. 39 Il sistema della memoria di lavoro Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem Guglielmo di Ockham 1. Introduzione Tra le prime descrizioni del “Disturbo non verbale dell’apprendimento” vi è quella proposta da Johnson & Myklebust (1971), i quali definivano questo disordine come caratteristico di bambini …. “incapaci di comprendere il significato di molti aspetti dell’ambiente in cui vivono”, aspetti….. “ che non riescono ad immaginare e prevedere” (Johnson & Myklebust 1971). Sembrava inoltre che questi stessi fallissero nell’apprendere e nell’interpretare le implicazioni di posture ed espressioni facciali. L’inabilità “non verbale” di questi soggetti pregiudicava, secondo Johnson & Myklebust, la percezione, l’immaginazione visiva (imagery) e costituiva una distorsione fondamentale dell’esperienza percettiva totale. In seguito Myklebust (1975) suggerì che tali difficoltà non fossero dovute a problemi percettivi in se, quanto piuttosto a problematiche legate alla memoria, al richiamo delle informazioni e alle capacità d’immaginazione visiva.
  • 32. 40 Del tutto indipendentemente dalle idee di Myklebust (1975), Cornoldi, Friso, Giordano, Molin, Poli, Rigoni & Tressoldi (1997), hanno realizzato un programma volto a sviluppare le abilità visuo-spaziali, pensando a tutti quei bambini e ragazzi che si trovano in difficoltà nel momento in cui devono ricorrere a tali abilità per risolvere un problema. Il punto di continuità tra le idee di Myklebust e quelle di Cornoldi et al. è rappresentato dal fatto che, in entrambi i casi, si è ritenuto centrale il ruolo della memoria e delle immagini mentali. In particolare, nel progetto di Cornoldi et al. (1997) ci si riferiva ad un precedente lavoro di Cornoldi (1995), nel quale lo stesso autore aveva proposto il modello della “Memoria di lavoro visuo-spaziale” (MLVS). Questa terza parte è dedicata all’approfondimento dei contributi apportati dallo studio della memoria di lavoro alla comprensione del NLD e dei disturbi visuo-spaziali. Se, come sostiene Baddeley, la memoria di lavoro costituisce un …“sistema per il mantenimento temporaneo per la manipolazione dell’informazione durante l’esecuzione di differenti compiti, come la comprensione, l’apprendimento, e il ragionamento [Baddeley, 1990, trad. it. p. 46]”… è ragionevole ipotizzare che i soggetti con disturbi o difficoltà nell’area visuo-spaziale mostrino una compromissione della memoria di lavoro e in particolare degli aspetti visuo-spaziali della stessa. In questo contesto, notando alcune analogie, proporrò un tentativo di collegamento tra il modello MLVS di Cornoldi (1995) e la teoria proposta da Goldberg & Costa (1981).
  • 33. 41 2. La memoria di lavoro Probabilmente la prima persona che tentò misurare la memoria a breve termine fu un maestro di Londra, Joseph Jacobs (1887), il quale voleva valutare le capacità mentali dei suoi alunni. E’ a lui che si deve la tecnica divenuta famosa col nome di “span di memoria9 ”. Nel suo ormai celebre articolo, Miller (1956) mostrò che lo span di memoria immediata era quantificabile intorno a sette elementi (indipendentemente dal fatto che si trattasse di elementi singoli o di raggruppamenti). Era in questo periodo che nasceva la diatriba tra i sostenitori della teoria secondo la quale la memoria era costituita da un unico sistema (Melton, 1963) e quelli che invece ritenevano che la stessa fosse composta da più sistemi (Broadbent, 1958; Atkinson & Schiffrin, 1968). Uno dei più famosi modelli che prevedono più magazzini di memoria è sicuramente il “modello modale” di Atkinson & Schiffrin (1968), ma a dispetto dell’iniziale entusiasmo suscitato da questo modello, si andarono accumulando numerose evidenze ad esso contrarie10 . In ogni caso, nonostante le idee di Atkinson & Shiffrin siano state attualmente accantonate, va dato loro il merito di aver introdotto l’idea di “memoria a breve termine” che interviene nello svolgimento di molti compiti cognitivi. Secondo Atkinson & Shiffrin il magazzino a breve termine, previsto dal loro modello, è un sistema di mantenimento attivo delle informazioni sulla base delle quali ci è possibile pensare, comprendere, agire, ragionare, decidere ecc. 9 Prova nella quale si richiede al soggetto di ripetere una sequenza di stimoli, solitamente numeri, immediatamente dopo la presentazione. 10 In particolare viene spesso citato in letteratura il paziente K. F. studiato da Shallice & Warrington (1970).
  • 34. 42 Una formulazione più chiara ed articolata fu proposta da Baddeley & Hitch (1974), il cui modello della memoria di lavoro distingueva una serie di componenti all’interno della memoria a breve termine (vedi figura 3). Al posto di un magazzino unitario ne fu proposto uno a più dimensioni, controllato da un sistema attentivo: l’esecutivo centrale. Questo sistema di controllo opera sui dati provenienti dai servosistemi; in particolare Baddeley & Hitch (1974) ne identificarono due: uno adibito all’elaborazione e al mantenimento dell’informazione linguistica (il ciclo fonologico), l’altro implicato nell’elaborazione e nel mantenimento dell’informazione visuo-spaziale (il taccuino visuo-spaziale). Figura 3: Versione modificata del modello della memoria di lavoro proposto da Baddeley & Hitch (1974). Il sistema del ciclo fonologico si avvaleva di un magazzino di memoria, che manteneva le tracce di materiale acustico e verbale per tempi brevissimi (il magazzino fonologico), e di un processo di articolazione sub-vocale, che Ciclo Fonologico Esecutivo Centrale Taccuino Visuo-Spaziale
  • 35. 43 consentiva il consolidamento della traccia (attraverso la reiterazione [Baddeley, 1990]). Più recentemente è stato proposto anche per il taccuino visuo-spaziale un’ipotesi che prevede l’esistenza di un magazzino di memoria passivo (il visual cache), e di un sistema che permette una reiterazione visiva (l’inner scribe [Logie & Reisberg, 1992]). In particolare Logie & Reisberg hanno ipotizzato che l’inner scribe sia di natura spaziale osservando un effetto analogo alla soppressione articolatoria11 ottenuto attraverso compiti tattilo-motori: la soppressione motoria-spaziale. In realtà resta ancora da dimostrare che questa soppressione abbia effetti più evidenti di altre (semplice attività visiva, esplorazione visiva, ecc.). Tuttavia è stato mostrato che, quando l’attività motoria sottende in qualche modo, anche generico, una rappresentazione spaziale (evento molto frequente, considerando il fatto che ci si muove nello spazio) essa presenta processi simili a quelli implicati nell’uso di immagini mentali (Brooks, 1968; Baddeley & Lieberman, 1980; Johnson, 1982). Un parere critico rispetto all’idea multicomponenziale di Baddeley è stato espresso da Cornoldi (1995) il quale, propendendo per una soluzione unitaria della memoria di lavoro, ha ipotizzato che il ciclo fonologico e il taccuino visuo-spaziale abbiano, sia una corrispondenza funzionale, sia una parziale sovrapposizione di strutture interessate. Questa prospettiva, in particolare, permette in molti casi, di parlare di coincidenza dei principi implicati piuttosto che di analogia. 11 Si tratta di una prova nella quale si richiede al soggetto di ripetere una sequenza di stimoli immediatamente dopo la presentazione. Sebbene l’articolazione esplicita non sia necessaria per il funzionamento del linguaggio interno, l’operazione del ciclo fonologico è disturbata da un’articolazione esplicita o implicita concomitante. Quindi se a un soggetto si richiede di pronunciare una serie di suoni irrilevanti durante un compito standard di span, lo span stesso subisce una riduzione.
  • 36. 44 Riconoscendo i pregi del modello di Baddeley, quali la semplicità, la chiarezza e la scomponibilità, Cornoldi (1995) ha proposto un suo modello nel quale le diverse componenti si collocano secondo un rapporto di continuità. Figura 4: Rappresentazione grafica del “Modello a Scivolo” della memoria di lavoro visuo-spaziale e uditivo-articolatoria di Cornoldi (1995). A seconda delle richieste imposte dal compito vi sarà una maggiore o minore impegno di risorse attentive; vi potrà inoltre risultare implicato uno o più servosistemi nelle rispettive aree, e questi potranno contribuire in modo differente a seconda dei casi. La figura 4 mostra come Cornoldi ha concepito il continuum dell’impegno attentivo, che va dall’estremo di attività controllate, quando si eseguono compiti estremamente impegnativi, all’estremo opposto, quando si svolgono processi passivi che richiedono un impegno attentivo quasi nullo. Nel primo caso, per lo svolgimento del compito, si fa riferimento al sistema di controllo attivo (SAC), negli altri casi si ricorre ai sistemi di memoria temporanei o sistemi passivi. Lungo questo continuum, di tipo Attivazione costo attentivo Sistema attivo centrale Sistemi attivi meno specifici Sistemi attivi specifici di routine Sistemi passivi altamente specifici Aree del loop articolatorio (LA) Aree della memoria di lavoro visuo-spaziale (MLVS) + –
  • 37. 45 verticale, l’informazione specifica ha una probabilità sempre maggiore di perdersi, risalendo lungo lo “scivolo”, dal sistema passivo al SAC. Ai livelli intermedi di questo continuum si collocano dei processi attivi di diversa complessità, ognuno dei quali esercita una diversa richiesta attentiva. Un secondo continuum, di tipo orizzontale, è stato ipotizzato tra le diverse modalità di elaborazione previste dai sistemi passivi. A seconda del compito da svolgere possono intervenire contemporaneamente, o in successione, più sistemi passivi assicurando un certo grado di interscambio tra le diverse modalità. 3. Aspetti neuropsicologici Al fine di sostenere la distinzione tra i diversi sistemi che compongono la memoria di lavoro, Baddeley (1990) riporta i risultati di svariati esperimenti, dati ottenuti da studi di tipo psicofisiologico e osservazioni neuropsicologiche (questi studi sono descritti in alcuni dettagli in Baddeley, 1995: Cap.4, 5 e 6 [trad. it. del lavoro del 1990]). Ulteriori riscontri in questo senso sono stati evidenziati, nel volume “Cognitive Neuropsychology”, da McCarthy & Warrington12 (1990). Le due autrici, in un capitolo specificamente dedicato alla memoria a breve termine, fanno notare come le compromissioni dell’area uditiva-verbale siano spesso associate a lesioni del lobo parietale dell’emisfero sinistro (De Renzi & Nichelli, 1975; Warrington, James, Maciejewski, 1986). Nel caso in cui si riscontrino deficit alla memoria a breve termine visiva, McCarthy & Warrington, fanno una distinzione tra visivo-verbale e visivo-spaziale. Nel
  • 38. 46 caso in cui il deficit sia di tipo visivo-verbale la lesione associata è occipitale sinistra (Kinsbourne & Warington, 1963; Warrington & Rabin, 1971; Shallice & Saffran, 1986), se invece il deficit è visuo-spaziale la lesione è parietale destra (Warrington & James, 1967; De Renzi & Nichelli, 1975; De Renzi, Faglioni & Previdi, 1977; ecc.). Il quadro fin qui delineato si presenta coerente con l’idea generale che, in ogni caso, i deficit d’ordine linguistico siano associati all’emisfero sinistro e quelli visuo-spaziali al destro (vedi figura 5). Figura 5: Nella figura sono indicate le localizzazioni approssimative delle lesioni in conseguenza alle quali si manifesta un disturbo della memoria a breve termine (fonte McCarthy & Warrington 1992). Come ho fatto notare nella precedente sezione molti autori, confermando questa teoria, riscontrano un interessamento dell’emisfero destro anche nei disturbi non verbali dell’apprendimento. Sembrerebbe in questo modo che l’ipotesi di Goldberg & Costa (1981), e le conseguenti speculazioni teoriche di Rourke (1989a, 1995), ricevano poco sostegno di fronte a tutto ciò. Con tutta la cautela imposta dalla situazione devo dire che, nonostante tutto, l’ipotesi di Goldberg & Costa non è ancora da scartare. 12 Per un approfondimento consiglio al lettore di consultare McCarthy & Warrington (1992) cap.13 pp.283- 304 [trad. it. del lavoro del 1990].
  • 39. 47 In un lavoro abbastanza recente, Fastenau, Conant & Lauer (1998), hanno riconsiderato le conclusioni di McCarthy & Warrington (1990) mettendole in discussione. Questi autori hanno fatto notare come nello studio di Warrington & James (1967) i deficit riscontrati possano essere attributi a deficit percettivi più che di span visuo-spaziale; la stessa obiezione è stata fatta allo studio di De Renzi & Nichelli (1975). Nello stesso studio di De Renzi & Nichelli e in un terzo lavoro (De Renzi, Faglioni & Previdi, 1977), Fastenau e col. osservarono come, secondo i risultati, gli stessi deficit di prestazione (visuo- spaziale) si mostrassero, sia in presenza di lesioni destre, sia in presenza di lesioni controlaterali. Fastenau et al. conclusero che molte evidenze per la correlazione tra, tipo di servosistema della memoria di lavoro e substrato anatomico, in particolare per il taccuino visuo-spaziale, risultavano quantomeno confuse se si consideravano gli studi su individui adulti. Quando invece Fastenau et al. presero in considerazione lavori con soggetti in età evolutiva la situazione cambiò aspetto. Secondo i risultati di Baddeley & Wilson (1993), Hitch, Halliday, Shaafstal & Shraagen (1988) e Hitch, Woodin & Baker (1989), e in base alle osservazioni degli stessi Fastenau e col. (1998), sembrava che l’identificazione dei servosistemi previsti dal modello di Baddeley fossero possibili o meno a seconda dell’età dei soggetti che partecipavano allo studio. Più precisamente, fino all’età di 7/8 anni si poteva notare una netta distinzione tra compiti che richiedevano l’intervento specifico del taccuino visuo-spaziale e compiti che necessitavano invece del ciclo fonologico; dai nove anni in avanti questa distinzione diventava sempre meno netta. Fastenau e col. (1998) interpretarono questo fenomeno ipotizzando che i processi visuo-spaziali fossero supportati sempre più da processi di verbalizzazione con l’aumentare dell’abilità di lettura.
  • 40. 48 Questa ipotesi è sostenuta anche da Adams & Sheslow (1990) i quali notarono come tra i bambini di 6/8 anni la memoria visuo-spaziale correli con le abilità di lettura e di spelling mentre la memoria uditivo-verbale non lo faccia. Per ragazzi di 16/17 anni la situazione s’inverte: la memoria uditivo- verbale correla significativamente con la lettura e lo spelling mentre la memoria visuo-spaziale non correla affatto. Tutti questi risultati suggeriscono che l’elaborazione puramente visuo- spaziale passa progressivamente ad un ruolo subordinato nel periodo che va dai cinque agli undici anni. Ulteriori conferme provengono da uno studio fatto su bambini che stavano imparando a leggere, utilizzando i potenziali evocati. In questo esperimento la N36013 mostrò cambiamenti asimmetrici all’aumentare delle abilità di lettura. In particolare la corteccia temporale destra sembrava avere un ruolo molto importante nelle prime fasi di acquisizione della lettura; questo “focus” si spostava alla corteccia temporale sinistra all’aumentare dell’abilità da parte dei bambini (Licht, Bakker, Kok & Bouma, 1992). Da ultimo per rinforzare l’ipotesi che questo fenomeno fosse dovuto all’alfabetizzazione, e non ad un effetto di maturazione, Fastenau et al. (1998) riferirono di uno studio fatto su popolazioni non alfabetizzate dello Zaire e del Laos. In tale studio emerse come le componenti visuo-spaziale e uditivo- verbale rimanessero ben distinte sia all’età di sei che a quella di tredici anni (Conant, Fastenau, Giordani, Boivin, Opel & Nseyilia, 1997). 13 Gli autori di questo studio hanno interpretato la N360 come un indice dell’attivazione di un “processo cerebrale” deputato al riconoscimento delle parole. Le ricerche di Kutas e Hillyard (1980) evidenziarono la comparsa di una componente negativa tra i 300 e i 600 msec (N400) durante la lettura di una frase. La N400 riflette, secondo Kutas e Hillyard, un processo di analisi della relazione semantica tra una parola e il suo contesto unitamente ad alcune caratteristiche di congruenza fonologica tra gli stimoli. La N360 è da considerarsi omologa alla N400.
  • 41. 49 Tornando al modello espresso da Cornoldi (1995), vorrei tentare a questo punto di costruire un parallelismo con il modello di Goldberg & Costa (1981). Nel modello di Cornoldi (1995) è previsto un sistema attivo centrale, nel quale le informazioni perdono la loro specificità, vi è un’elaborazione di tipo attivo ed un’elevata richiesta attentiva. Senza ombra di dubbio quando ognuno di noi si trova di fronte a uno stimolo o ad un compito nuovo l’attenzione che questo compito richiede è massima, risulta senz’altro opportuno un atteggiamento di tipo attivo e, in quanto novità, risulta privo di specificità. Potrebbe sembrare che il sistema attivo centrale coincida con l’esecutivo centrale di Baddeley, ma come sostiene lo stesso, l’esecutivo centrale “…..funziona più come un sistema attentivo che come un magazzino di memoria…”[Baddeley, 1990, trad. it. p. 139]. A questo sistema l’autore fa corrispondere attività come la vigilanza, la selezione percettiva, la suddivisione delle risorse attentive durante l’esecuzione di più compiti, ecc. Ancora, a detta di Baddeley (1990), vi sarebbe una corrispondenza del suo esecutivo centrale con il Sistema attentivo supervisore di Norman & Shallice (1986) e un ulteriore parallelismo in questo senso può essere notato con il Sistema operativo teorizzato da Johnson-Laird (1983). In un sistema di questo tipo non avvengono elaborazioni (più o meno specifiche), esso sembra piuttosto, votato alla coordinazione dei sistemi in cui le elaborazioni stesse hanno luogo. Il sistema attivo centrale nel modello di Cornoldi, a me, sembra svolgere un ruolo analogo a quello che Goldberg & Costa (1981) hanno proposto per l’emisfero destro e, in questo senso, i sistemi intermedi proposti da Cornoldi (1995) potrebbero rappresentare situazioni in cui alcuni compiti cognitivi non hanno ancora acquisito un proprio sistema descrittivo. In questi casi quindi, lo shift verso l’emisfero sinistro non è ancora stabile. I sistemi passivi altamente specifici costituirebbero, a questo punto, i vari sistemi
  • 42. 50 descrittivi che permettono un’elaborazione molto meno costosa da un punto di vista delle risorse attentive. 5. Conclusioni Esaminando la letteratura riguardante il disturbo non verbale dell’apprendimento, e più in generale, alcune caratteristiche dei compiti visuo- spaziali, vi ho potuto riscontrare due ipotesi che vanno per la maggiore: 1. In base a risultati di test neuropsicologici, a indici di carattere motorio unilaterali e a tecniche come l’EEG, la PET e la CT scans, una prima conclusione è che il disturbo non verbale dell’apprendimento è causato da una disfunzione, a qualche livello, dell’emisfero destro; 2. Sfruttando il concetto di memoria di lavoro, altri studiosi hanno sostenuto che, in ogni caso, il disturbo oggetto d’esame è da imputare a un ridotto funzionamento della memoria di lavoro, e in particolare alle componenti visuo-spaziali della stessa. Essendo i due punti di vista non reciprocamente escludentisi, ho cercato di costruire un quadro coerente nel quale fosse possibile conciliare, in qualche modo, le due prospettive. E’ certo che, trattandosi di due alternative che vogliono spiegare il medesimo problema, dovrebbero, in linea di massima, esistere dei punti di convergenza ed è stato questo pensiero che ha animato i miei studi a livello teorico. Onde non correre il rischio di generare confusioni, credo sia opportuno riprendere e chiarire alcuni aspetti teorici fin qui discussi.
  • 43. 51 In primo luogo, le argomentazioni proposte da Fastenau et al (1998) non vogliono, né possono, mettere in crisi il modello di Baddeley, al contrario, offrono un completamento e un chiarimento rispetto a certi dati contraddittori. In secondo luogo, il modello “a scivolo” proposto da Cornoldi (1995) deve ottenere delle conferme a livello teorico, clinico e neuroanatomico prima di essere preso in seria considerazione.
  • 44. 52 Riferimenti bibliografici Adams W. & Sheslow D., 1990. WRAML: Wide Range Assessment of Memory and learning. Jastak, Wilmington , DE. American Psychiatric Associaton (1994). Diagnostic and statistical manual of mental disorder, fourth edition. Washington d.c.: A.P.A. Trad. it. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, 1995. Milano: Masson Italia. Atkinson K. C. & Siffrin R. M., 1968. Human memory: A proposed system and is control processes. In: The psychology of learning and motivation: Advances in research and theory. K W. Spence (Ed.). new York: Academic Press., Vol. 2 (pp. 89-195). Baciu M., Koenig O., Vernier M. P., Bedoin N., Rubin C., Segerbarth C., 1999. Categorial and coordinate spatial relation: fMRI evidence for hemispheric specialization. Neuroreport, 10(6): 1373-1378. Baddeley A. D. (1990). Human memory. Theory and practice. Hove: Lawrence Erlbaum Associates. Trad. it.: La memoria umana (1995). Bologna: Il Mulino. Baddeley A. D. & Hitch G., 1974. Working memory. In: Recent advances in learning and motivation. Bower (Ed.). New York: Academic Press. Vol. 8. G. A.Pp. 47-89.
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