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Lunedì, 22 marzo 2010
Caro Cartesio,
In effetti non so davvero come cominciare questa lettera..sai, non capita proprio tutti i giorni di
ritrovarsi a scrivere ad un filosofo, soprattutto della tua portata ed importanza!
Sono imbarazzata e indecisa e le parole mi sfuggono mentre scrivo, ma tenterò ugualmente il
compito, certa che capirai.
Dunque, per quell’assaggio che abbiamo potuto affrontare riguardo il tuo pensiero e la tua filosofia
(certamente raggiunti attraverso innumerevoli ed articolate riflessioni), mi è sembrato evidente il
modo in cui tu, come numerosi altri filosofi e pensatori illustri, abbia affrontato temi e ti sia posto
domande specialmente su “dubbi” sorti dal vissuto personale e inerenti i vari strani casi della vita.
Giudico la tua filosofia coerente e rispondente in modo esaustivo, nella maggior parte dei casi, ai
quesiti posti.
La tua indagine, come mi sembra d’intendere, parte e si ramifica dalla presa di coscienza della
relatività e inconsistenza delle conoscenze acquisite nel corso della tua permanenza, durante gli
studi adolescenziali, nel collegio della Flèche che accumulano in te quell’insoddisfazione e bisogno
di accrescimento culturale che ti portano a viaggiare nel “grande libro del mondo”, ma anche in te
stesso, per conoscere altre culture ed usanze e ti spronano al proseguimento delle ricerche atte a
trovare soluzione ai tuoi dubbi.
Un po’ come Socrate e riprendendo un pizzico della filosofia platonica, anche tu ritieni la Ragione
il mezzo più idoneo per il raggiungimento di una conoscenza certa e veritiera nella sua
strutturazione.
Concordo certamente con questa convinzione, e ritengo la ricetta vincente, poiché trovo che la
Ragione sia l’unica sovrana adatta a condurci nel cammino che ci allontana dall’ignoranza, sempre
sostenuta dalla logica e dalla coerenza: sue eterne e degne compari.
Forse, spesso, è questo che si sbaglia, nel mondo d’oggi, quando si affrontano i problemi di
qualsiasi natura; si tende, infatti, a non utilizzare o nemmeno a prendere in considerazione l’idea di
condurre un “ragionamento” che sia lineare, ma spesso si crea un accozzaglia di idee e opinioni
diverse che, malgestite, vengono assemblate in una sola unità: rendendo così il particolare pensiero,
una generale opinione.
Comunque, questo tuo punto di partenza ti porta a discostarti e a non basarti su ciò che hai appreso
dai vecchi libri, né tantomeno a fare affidamento sui sensi che spesso e volentieri sono facili
portatori di inganni, infatti anch’essi ci fanno credere di vivere un esperienza reale pur nel sogno e,
come anche tu sostieni, “non vi sono indizi concludenti né segni abbastanza certi per cui sia
possibile distinguere nettamente la veglia dal sonno” perciò, con questa convinzione, arrivi a
dubitare di tutto ciò che ti circonda (il nominato “dubbio iperbolico”).
Avendo, però, bisogno di punti di riferimento certi che non facciano crollare la tua costruzione
edificata con il pensiero, subito ti metti alla ricerca di certezze.
La prima tra queste in assoluto è la certezza dell’ “Io”, dell’ “Essere” che esiste in quanto “pensa” e
viene raggiunta tramite il processo logico che, partendo dalla sicurezza di voler dubitare di tutto, ci
porta ad accorgerci che nell’atto del dubitare stiamo anche pensando; e, se pensiamo, siamo certi di
essere degli esseri pensanti (cogito ergo sum).
Chiamando ciò “res cogitans”, ovvero “cosa che pensa” ti sei accorto che l’uomo è formato, però,
anche da una sua dimensione, estensione, occupazione dello spazio (“res extensa”).
Ecco qui il più grande problema rimasto insoluto!
Se, infatti, da un lato ti si può riconoscere la capacità, la forza e la risolutezza nel procedere oltre il
dubbio iperbolico e nell’andare a ricercare nelle viscere l’essenza dell’essere in quanto tale (punto
al quale molti filosofi in precedenza si erano arrestati); dall’altro, mio caro Cartesio, lasci un gran
bell’interrogativo ai tuoi successori: e come diavolo faranno a coincidere pensiero ed estensione in
un’unica realtà?
Giustifichi brevemente ideando un’ipotetica “ghiandola pineale”, ma è certo una risposta che lascia
l’amaro in bocca!
In fin dei conti, però, nulla si può voler togliere all’iniziatore dell’Illuminismo più puro e genuino
che da te si dipartirà e dilagherà in tutt’Europa a partire da questo momento.
Portatore della chiave di svolta rispetto al secolo precedente ed introduttore del beneamato
“metodo” di cui si farà largo uso nei secoli successivi e di cui, tutt’ora, si conserva l’utilità, risoluto
nella tua scelta di allontanamento di un sapere “verbale”, “precostituito”, “cristallizzato” e non
provato praticamente e deciso nel raggiungimento dei tuoi obbiettivi, hai coronato il tuo secolo nel
migliore dei modi, ed hai lasciato il tuo segno lasciando aperto un interrogativo, come del resto
sanno fare i veri “grandi”, perché in fondo non ci sarebbe progresso e ricerca se tutto ci fosse dato
di sapere.
Grazie!
                                                                                      Con stima, Claudia

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Lettera a cartesio (2)

  • 1. Lunedì, 22 marzo 2010 Caro Cartesio, In effetti non so davvero come cominciare questa lettera..sai, non capita proprio tutti i giorni di ritrovarsi a scrivere ad un filosofo, soprattutto della tua portata ed importanza! Sono imbarazzata e indecisa e le parole mi sfuggono mentre scrivo, ma tenterò ugualmente il compito, certa che capirai. Dunque, per quell’assaggio che abbiamo potuto affrontare riguardo il tuo pensiero e la tua filosofia (certamente raggiunti attraverso innumerevoli ed articolate riflessioni), mi è sembrato evidente il modo in cui tu, come numerosi altri filosofi e pensatori illustri, abbia affrontato temi e ti sia posto domande specialmente su “dubbi” sorti dal vissuto personale e inerenti i vari strani casi della vita. Giudico la tua filosofia coerente e rispondente in modo esaustivo, nella maggior parte dei casi, ai quesiti posti. La tua indagine, come mi sembra d’intendere, parte e si ramifica dalla presa di coscienza della relatività e inconsistenza delle conoscenze acquisite nel corso della tua permanenza, durante gli studi adolescenziali, nel collegio della Flèche che accumulano in te quell’insoddisfazione e bisogno di accrescimento culturale che ti portano a viaggiare nel “grande libro del mondo”, ma anche in te stesso, per conoscere altre culture ed usanze e ti spronano al proseguimento delle ricerche atte a trovare soluzione ai tuoi dubbi. Un po’ come Socrate e riprendendo un pizzico della filosofia platonica, anche tu ritieni la Ragione il mezzo più idoneo per il raggiungimento di una conoscenza certa e veritiera nella sua strutturazione. Concordo certamente con questa convinzione, e ritengo la ricetta vincente, poiché trovo che la Ragione sia l’unica sovrana adatta a condurci nel cammino che ci allontana dall’ignoranza, sempre sostenuta dalla logica e dalla coerenza: sue eterne e degne compari. Forse, spesso, è questo che si sbaglia, nel mondo d’oggi, quando si affrontano i problemi di qualsiasi natura; si tende, infatti, a non utilizzare o nemmeno a prendere in considerazione l’idea di condurre un “ragionamento” che sia lineare, ma spesso si crea un accozzaglia di idee e opinioni diverse che, malgestite, vengono assemblate in una sola unità: rendendo così il particolare pensiero, una generale opinione. Comunque, questo tuo punto di partenza ti porta a discostarti e a non basarti su ciò che hai appreso dai vecchi libri, né tantomeno a fare affidamento sui sensi che spesso e volentieri sono facili portatori di inganni, infatti anch’essi ci fanno credere di vivere un esperienza reale pur nel sogno e, come anche tu sostieni, “non vi sono indizi concludenti né segni abbastanza certi per cui sia possibile distinguere nettamente la veglia dal sonno” perciò, con questa convinzione, arrivi a dubitare di tutto ciò che ti circonda (il nominato “dubbio iperbolico”). Avendo, però, bisogno di punti di riferimento certi che non facciano crollare la tua costruzione edificata con il pensiero, subito ti metti alla ricerca di certezze. La prima tra queste in assoluto è la certezza dell’ “Io”, dell’ “Essere” che esiste in quanto “pensa” e viene raggiunta tramite il processo logico che, partendo dalla sicurezza di voler dubitare di tutto, ci porta ad accorgerci che nell’atto del dubitare stiamo anche pensando; e, se pensiamo, siamo certi di essere degli esseri pensanti (cogito ergo sum). Chiamando ciò “res cogitans”, ovvero “cosa che pensa” ti sei accorto che l’uomo è formato, però, anche da una sua dimensione, estensione, occupazione dello spazio (“res extensa”). Ecco qui il più grande problema rimasto insoluto! Se, infatti, da un lato ti si può riconoscere la capacità, la forza e la risolutezza nel procedere oltre il dubbio iperbolico e nell’andare a ricercare nelle viscere l’essenza dell’essere in quanto tale (punto al quale molti filosofi in precedenza si erano arrestati); dall’altro, mio caro Cartesio, lasci un gran bell’interrogativo ai tuoi successori: e come diavolo faranno a coincidere pensiero ed estensione in un’unica realtà? Giustifichi brevemente ideando un’ipotetica “ghiandola pineale”, ma è certo una risposta che lascia l’amaro in bocca!
  • 2. In fin dei conti, però, nulla si può voler togliere all’iniziatore dell’Illuminismo più puro e genuino che da te si dipartirà e dilagherà in tutt’Europa a partire da questo momento. Portatore della chiave di svolta rispetto al secolo precedente ed introduttore del beneamato “metodo” di cui si farà largo uso nei secoli successivi e di cui, tutt’ora, si conserva l’utilità, risoluto nella tua scelta di allontanamento di un sapere “verbale”, “precostituito”, “cristallizzato” e non provato praticamente e deciso nel raggiungimento dei tuoi obbiettivi, hai coronato il tuo secolo nel migliore dei modi, ed hai lasciato il tuo segno lasciando aperto un interrogativo, come del resto sanno fare i veri “grandi”, perché in fondo non ci sarebbe progresso e ricerca se tutto ci fosse dato di sapere. Grazie! Con stima, Claudia