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IL GOLOSO, IL DIETISTA, IL 
NOSTALGICO E IL SEDUTTORE. 
Figure, Stereotipi e Archetipi nel mondo della Cucina. 
Portate all'eccesso certe "passioni culinarie" possono 
dipingere dei ruoli. 
Quale è il tuo? 
Il cibo è innanzitutto passione. Noi sappiamo che le passioni 
hanno un radicamento modale, ed è proprio attraverso 
questo percorso patemico che il soggetto si trasforma in 
individuo attivo passando all’azione.
Si vengono così a delineare dei ruoli attanziali che 
investono l’assaggiatore-soggetto di diverse modalità in 
relazione al cibo in quanto per lui oggetto di valore. 
Il soggetto potrebbe essere definito come un bricoleur del 
cibo e del bere dominato da passioni caratterizzate da 
intensità, ritmi, aspettualità e temporalità, spesso 
imprevedibili. 
Riprendendo un gioco di archetipi sociali che potrebbe 
essere caro a Propp, certe passioni portate all’eccesso 
dipingono ruoli come quello del «goloso», del «dietista» 
(sull’asse opposto), del «nostalgico» e del 
«seduttore». 
Per approfondire il tema della pubblicità e dell'analisi 
semiotica degli spot potete trovare QUI 
un'interessante esempio sul caso di studio Twinings. 
Il goloso è per definizione colui che non riesce a gestire 
la passione per il cibo, in una tendenza verso la smodatezza 
e l’assoluto. In questo caso lo schema passionale che si 
istituisce è quello di un soggetto che desidera un oggetto 
che egli investe di un plus-valore. Come in ogni fiaba che si 
rispetti l’obiettivo finale non può che essere quello della 
congiunzione con l’oggetto desiderato; questo non solo in 
senso fisico ma anche psicologico.
Come in ogni racconto abbiamo bisogno di un anti-eroe che 
compete per il possesso del medesimo obiettivo. A 
contrastare il programma narrativo del goloso non 
ritroveremo un nemico non fisico, bensì quello di una norma 
morale sociale superiore. Si pone in antitesi ad un volere un 
dovere simbolo della proibizione; per tutti questi infatti 
tutto ciò che è buono, o troppo buono, fa male. Ma il 
dramma, alla base del racconto sul goloso sta nel fatto che 
soggetto e antagonista, in fondo, non sono altro che la
stessa persona che vive una condizione esistenziale di 
sdoppiamento tra un volere ed un non volere la stessa 
cosa. Si rompe così completamente con il ruolo del cibo 
come nutrimento e se ne ritaglia spesso una dimensione di 
gratificazione fuori dai pasti, così come «fuori dalla legge» 
(Ferraro 1998; Marrone 2012; Fontanille 2006; Floch 
1995). 
Il dietista: in antitesi potremmo pensare alla figura del 
dietista come individuo che si pone in maniera disforica nei 
confronti delle passioni alimentari, ma questo sarebbe un 
errore. Costui in realtà vive la stessa passione euforizzante, 
nei confronti del cibo, che vive il goloso. In questo caso 
però il dietista individua delle ragioni per imporsi un veto 
proibizionista, relegando ad oppositore ogni licenza 
trasgressiva che sente il desiderio di concedersi. Sono 
proprio questi capricci gli antagonisti di quel «dovere» per il 
loro essere investiti del significato di piccola gioia. Di nuovo 
felicità e salute si trovano agli estremi opposti del 
medesimo filo che l’individuo attraversa appesantito dal 
doppio ruolo di chi vuole ciò che non si deve volere. La 
dieta costruisce perciò un individuo che rassomiglia ad un 
automa biologico, perdendo persino quel piano sociale 
regolato dal buon senso e dalle passioni, soppiantate dai 
forti principi espressi dalle norme. Queste trasportano il 
soggetto fuori da sé e dal suo mondo in uno sforzo più di 
fede che di fiducia, in cui si esaltano riti collettivi. La sfida 
che si pongono le diete con il soggetto sono di tipo 
aspettuale: l’obiettivo è quello di farlo passare dall’incoativo 
al durativo, attraverso l’applicazione di uno schema 
iterativo. L’oggetto di valore che si viene di volta in volta a 
delineare può essere la salute, la bellezza, il benessere,
l’energia e comunque, quasi in ogni caso, l’integrazione 
sociale (Grignaffini 2000; Landowski 2005). 
Molto spesso accade anche che questa tendenza venga 
portata all’eccesso. L’isotopia, spesso espressa nelle 
pubblicità di prodotti considerati «magri», ribalta i ruoli 
posizionando come oggetto di valore, verso cui tendere, un 
vestito particolarmente aderente o un paio di jeans molto 
stretti (Ferraro 1998; Marrone 2012; Fabbri 1991). 
Questi rappresentano allora la «giusta» forma verso cui 
orientare il nostro corpo (materia che deve essere plasmata 
in funzione della forma) in uno slancio di congiunzione 
verso quell’oggetto grazie al quale possiamo diventare 
attraenti (programma d’uso). Food Advertising: Nello spot 
dei Pavesini «Cosa fa Federica Pellegrini quando non 
nuota?» accade che la protagonista nuotatrice concepisca 
se stessa come un oggetto di valore di un programma 
narrativo altrui e non come un soggetto nel proprio 
programma di base. 
Fig. 24 Frame dello spot Pavesini 2012 
La nostra Cenerentola per essere accettata dal principe 
deve entrare perfettamente dentro la scarpetta
(programma d’uso) e per farlo dovrà rinunciare a molti dei 
suoi desideri e valori. Gusto e vista allora agirebbero in 
direzione opposta per lei, essendo il primo molto più 
orientato internamente, mentre il secondo all’esterno, nel 
rapporto con lo sguardo altrui e con il riflesso che ne 
percepiamo. Sembrano essere le taglie i nuovi valori pratici 
che risultano dominanti in questo gioco dell’apparire e 
alcuni prodotti si pongono come aiutanti magici per la 
«prova costume» glorificante. Il compromesso che viene 
proposto sta a metà strada tra buono e salutare, goloso ma 
non calorico... 
Il nostalgico: molto meno pericolosa dal punto di vista 
del messaggio culturale che restituisce è invece la pratica 
sociale della «cucina del ritorno» (Ferraro 1998). Ma ritorno 
a che cosa? Alle origini, alla famiglia, al guscio materno e 
protettivo: ritorno all’interno di uno spazio chiuso e sicuro. 
Simboli di questo itinerario verso un gusto tradizionale sono 
tutti quei cibi che riproducono quest’idea di sicurezza: cibi 
ripieni come il tacchino per la festa del Ringraziamento
negli USA, tortelli e ravioli nella cucina tosco-emiliana, 
panettoni farciti di uvetta e canditi al loro interno che 
galleggiano nella morbidezza della pasta, il cuore dolce di 
molti pandori, le uova di cioccolato con le forme rotonde e 
morbide che nascondono al loro interno una sorpresa, tutta 
la frutta secca che esprime questo duplice rapporto di 
contenitore (guscio) e contenuto. Si vengono a creare in 
questi momenti, siano essi a Natale, Pasqua e ad ogni altra 
festività sentita fortemente nell’ambito familiare, isotopie 
tendenti a rafforzare legami che si erano allentati, in un 
ritorno nostalgico e romantico alla maternità, ai ruoli 
familiari, agli affetti, manifestando con forza una volontà di 
chiusura verso tutto ciò che sta fuori di quel nucleo. 
https://www.youtube.com/watch?v=mAvmrNcA3AY: 
“A Natale puoi” spot Bauli. 
Le assiologie inclusione/esclusione, interno/esterno, 
unità/dispersione si rafforzano per mezzo di barriere erette 
in prima istanza dalle metafore e metonimie che esprimono 
i cibi stessi. Tutto inoltre è teso a svicolare dalla realtà, 
attraverso un débrayage enunciazionale che proietta in un
«non luogo e un non tempo» dove però tutto è teso a far 
ritrovare una solida posizione, ad ancorarsi a quelle 
certezze che sono state perse durante la vita quotidiana. 
Tutto in questa dimensione è infatti al suo posto, dove è 
sempre stato, con lo stesso ruolo, con gli stessi tempi lenti: 
il camino che riproduce l’idea di antico punto di ritrovo, i 
cibi che hanno bisogno di una lunga fase di preparazione e 
cottura, i ripieni che devono essere manualmente ricuciti 
per mezzo di una pratica da bricoleur che avvicina la cucina 
al ricamo. Tutto necessita di un «saper fare» antico che 
deve trasmettersi di generazione in generazione, ma 
rimanendo sempre all’interno della stessa famiglia in modo 
da custodire gelosamente questo bene raro (Ferraro 1998; 
Douglas 1982; Bastide 1987). 
La casa diventa l’icona di questo movimento centripeto: le 
tradizioni più vengono da lontano e hanno origini popolari e 
più devono essere ricostruite e seguite alla lettera. Ogni 
elemento è essenziale e conta allo stesso modo in una 
cucina fortemente timbrica e tendente all’unità,
all’amalgama tra i sapori e ad un unico motivo conduttore 
(di volta in volta rappresentato dal sugo, da discese di 
cioccolato o da fondute di formaggio). Cibi come questi 
producono piacere perché fanno rivivere esperienze 
gustative già sperimentate, rievocando e rendendo 
«presenti» (forse sarebbe altrettanto giusto dire: 
«riportando al passato», «riaccompagnando indietro» 
poiché a innescare questo movimento sono soprattutto gli 
anziani con i più giovani) storie, memorie e affetti (Buosi 
2004). 
Un buon esempio di questa figura di cucina lo troviamo ad 
esempio ben espresso nella canzone dialettale «A cimma» 
di F. De Andrè. 
Il seduttore: sebbene questa pratica delinei una 
chiusura all’interno, non per questo non può esserne 
riconosciuto il suo aspetto fortemente socializzante e 
aggregante. La direzione centripeta inversa a questo mondo 
è quella della rappresentazione del cibo come apertura, 
strumento finalizzato all’interazione e allo scambio. Il gusto 
in questo caso non è altro che una moneta di scambio. 
Stiamo infatti entrando nel campo d’azione del «seduttore». 
In questo ambito la figura materna che prepara ancora lo 
zabaione al figlio ormai trentenne, nel film «Benvenuti al 
Sud» di L. Miniero, come simbolo di una dipendenza 
alimentare che ha origini nell’allattamento e viene da quel 
momento gelosamente custodita ed esibita, non può 
esistere.
Stiamo scivolando verso l’ambito del trasgressivo e del 
proibito, sostituendo la madre con la figura dell’amante con 
cui condividere un sottile piacere nascosto in un vortice di 
allusioni e giochi sensuali. Se questo è palese nel nuovo 
spot dei Baci Perugina «Chi si ama: baci», è abbastanza 
sorprendente come perfino Barilla, testimonial storico di 
una «cucina del ritorno» («dove c’è Barilla c’è casa»), abbia 
improntato la sua nuova campagna sui sughi pronti (non è 
difficile capire il perché, ma è comunque ugualmente una 
rottura per i toni particolarmente sensuali) sul tema della 
seduzione e sulla rottura degli schemi tipici della tavola.

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  • 1. IL GOLOSO, IL DIETISTA, IL NOSTALGICO E IL SEDUTTORE. Figure, Stereotipi e Archetipi nel mondo della Cucina. Portate all'eccesso certe "passioni culinarie" possono dipingere dei ruoli. Quale è il tuo? Il cibo è innanzitutto passione. Noi sappiamo che le passioni hanno un radicamento modale, ed è proprio attraverso questo percorso patemico che il soggetto si trasforma in individuo attivo passando all’azione.
  • 2. Si vengono così a delineare dei ruoli attanziali che investono l’assaggiatore-soggetto di diverse modalità in relazione al cibo in quanto per lui oggetto di valore. Il soggetto potrebbe essere definito come un bricoleur del cibo e del bere dominato da passioni caratterizzate da intensità, ritmi, aspettualità e temporalità, spesso imprevedibili. Riprendendo un gioco di archetipi sociali che potrebbe essere caro a Propp, certe passioni portate all’eccesso dipingono ruoli come quello del «goloso», del «dietista» (sull’asse opposto), del «nostalgico» e del «seduttore». Per approfondire il tema della pubblicità e dell'analisi semiotica degli spot potete trovare QUI un'interessante esempio sul caso di studio Twinings. Il goloso è per definizione colui che non riesce a gestire la passione per il cibo, in una tendenza verso la smodatezza e l’assoluto. In questo caso lo schema passionale che si istituisce è quello di un soggetto che desidera un oggetto che egli investe di un plus-valore. Come in ogni fiaba che si rispetti l’obiettivo finale non può che essere quello della congiunzione con l’oggetto desiderato; questo non solo in senso fisico ma anche psicologico.
  • 3. Come in ogni racconto abbiamo bisogno di un anti-eroe che compete per il possesso del medesimo obiettivo. A contrastare il programma narrativo del goloso non ritroveremo un nemico non fisico, bensì quello di una norma morale sociale superiore. Si pone in antitesi ad un volere un dovere simbolo della proibizione; per tutti questi infatti tutto ciò che è buono, o troppo buono, fa male. Ma il dramma, alla base del racconto sul goloso sta nel fatto che soggetto e antagonista, in fondo, non sono altro che la
  • 4. stessa persona che vive una condizione esistenziale di sdoppiamento tra un volere ed un non volere la stessa cosa. Si rompe così completamente con il ruolo del cibo come nutrimento e se ne ritaglia spesso una dimensione di gratificazione fuori dai pasti, così come «fuori dalla legge» (Ferraro 1998; Marrone 2012; Fontanille 2006; Floch 1995). Il dietista: in antitesi potremmo pensare alla figura del dietista come individuo che si pone in maniera disforica nei confronti delle passioni alimentari, ma questo sarebbe un errore. Costui in realtà vive la stessa passione euforizzante, nei confronti del cibo, che vive il goloso. In questo caso però il dietista individua delle ragioni per imporsi un veto proibizionista, relegando ad oppositore ogni licenza trasgressiva che sente il desiderio di concedersi. Sono proprio questi capricci gli antagonisti di quel «dovere» per il loro essere investiti del significato di piccola gioia. Di nuovo felicità e salute si trovano agli estremi opposti del medesimo filo che l’individuo attraversa appesantito dal doppio ruolo di chi vuole ciò che non si deve volere. La dieta costruisce perciò un individuo che rassomiglia ad un automa biologico, perdendo persino quel piano sociale regolato dal buon senso e dalle passioni, soppiantate dai forti principi espressi dalle norme. Queste trasportano il soggetto fuori da sé e dal suo mondo in uno sforzo più di fede che di fiducia, in cui si esaltano riti collettivi. La sfida che si pongono le diete con il soggetto sono di tipo aspettuale: l’obiettivo è quello di farlo passare dall’incoativo al durativo, attraverso l’applicazione di uno schema iterativo. L’oggetto di valore che si viene di volta in volta a delineare può essere la salute, la bellezza, il benessere,
  • 5. l’energia e comunque, quasi in ogni caso, l’integrazione sociale (Grignaffini 2000; Landowski 2005). Molto spesso accade anche che questa tendenza venga portata all’eccesso. L’isotopia, spesso espressa nelle pubblicità di prodotti considerati «magri», ribalta i ruoli posizionando come oggetto di valore, verso cui tendere, un vestito particolarmente aderente o un paio di jeans molto stretti (Ferraro 1998; Marrone 2012; Fabbri 1991). Questi rappresentano allora la «giusta» forma verso cui orientare il nostro corpo (materia che deve essere plasmata in funzione della forma) in uno slancio di congiunzione verso quell’oggetto grazie al quale possiamo diventare attraenti (programma d’uso). Food Advertising: Nello spot dei Pavesini «Cosa fa Federica Pellegrini quando non nuota?» accade che la protagonista nuotatrice concepisca se stessa come un oggetto di valore di un programma narrativo altrui e non come un soggetto nel proprio programma di base. Fig. 24 Frame dello spot Pavesini 2012 La nostra Cenerentola per essere accettata dal principe deve entrare perfettamente dentro la scarpetta
  • 6. (programma d’uso) e per farlo dovrà rinunciare a molti dei suoi desideri e valori. Gusto e vista allora agirebbero in direzione opposta per lei, essendo il primo molto più orientato internamente, mentre il secondo all’esterno, nel rapporto con lo sguardo altrui e con il riflesso che ne percepiamo. Sembrano essere le taglie i nuovi valori pratici che risultano dominanti in questo gioco dell’apparire e alcuni prodotti si pongono come aiutanti magici per la «prova costume» glorificante. Il compromesso che viene proposto sta a metà strada tra buono e salutare, goloso ma non calorico... Il nostalgico: molto meno pericolosa dal punto di vista del messaggio culturale che restituisce è invece la pratica sociale della «cucina del ritorno» (Ferraro 1998). Ma ritorno a che cosa? Alle origini, alla famiglia, al guscio materno e protettivo: ritorno all’interno di uno spazio chiuso e sicuro. Simboli di questo itinerario verso un gusto tradizionale sono tutti quei cibi che riproducono quest’idea di sicurezza: cibi ripieni come il tacchino per la festa del Ringraziamento
  • 7. negli USA, tortelli e ravioli nella cucina tosco-emiliana, panettoni farciti di uvetta e canditi al loro interno che galleggiano nella morbidezza della pasta, il cuore dolce di molti pandori, le uova di cioccolato con le forme rotonde e morbide che nascondono al loro interno una sorpresa, tutta la frutta secca che esprime questo duplice rapporto di contenitore (guscio) e contenuto. Si vengono a creare in questi momenti, siano essi a Natale, Pasqua e ad ogni altra festività sentita fortemente nell’ambito familiare, isotopie tendenti a rafforzare legami che si erano allentati, in un ritorno nostalgico e romantico alla maternità, ai ruoli familiari, agli affetti, manifestando con forza una volontà di chiusura verso tutto ciò che sta fuori di quel nucleo. https://www.youtube.com/watch?v=mAvmrNcA3AY: “A Natale puoi” spot Bauli. Le assiologie inclusione/esclusione, interno/esterno, unità/dispersione si rafforzano per mezzo di barriere erette in prima istanza dalle metafore e metonimie che esprimono i cibi stessi. Tutto inoltre è teso a svicolare dalla realtà, attraverso un débrayage enunciazionale che proietta in un
  • 8. «non luogo e un non tempo» dove però tutto è teso a far ritrovare una solida posizione, ad ancorarsi a quelle certezze che sono state perse durante la vita quotidiana. Tutto in questa dimensione è infatti al suo posto, dove è sempre stato, con lo stesso ruolo, con gli stessi tempi lenti: il camino che riproduce l’idea di antico punto di ritrovo, i cibi che hanno bisogno di una lunga fase di preparazione e cottura, i ripieni che devono essere manualmente ricuciti per mezzo di una pratica da bricoleur che avvicina la cucina al ricamo. Tutto necessita di un «saper fare» antico che deve trasmettersi di generazione in generazione, ma rimanendo sempre all’interno della stessa famiglia in modo da custodire gelosamente questo bene raro (Ferraro 1998; Douglas 1982; Bastide 1987). La casa diventa l’icona di questo movimento centripeto: le tradizioni più vengono da lontano e hanno origini popolari e più devono essere ricostruite e seguite alla lettera. Ogni elemento è essenziale e conta allo stesso modo in una cucina fortemente timbrica e tendente all’unità,
  • 9. all’amalgama tra i sapori e ad un unico motivo conduttore (di volta in volta rappresentato dal sugo, da discese di cioccolato o da fondute di formaggio). Cibi come questi producono piacere perché fanno rivivere esperienze gustative già sperimentate, rievocando e rendendo «presenti» (forse sarebbe altrettanto giusto dire: «riportando al passato», «riaccompagnando indietro» poiché a innescare questo movimento sono soprattutto gli anziani con i più giovani) storie, memorie e affetti (Buosi 2004). Un buon esempio di questa figura di cucina lo troviamo ad esempio ben espresso nella canzone dialettale «A cimma» di F. De Andrè. Il seduttore: sebbene questa pratica delinei una chiusura all’interno, non per questo non può esserne riconosciuto il suo aspetto fortemente socializzante e aggregante. La direzione centripeta inversa a questo mondo è quella della rappresentazione del cibo come apertura, strumento finalizzato all’interazione e allo scambio. Il gusto in questo caso non è altro che una moneta di scambio. Stiamo infatti entrando nel campo d’azione del «seduttore». In questo ambito la figura materna che prepara ancora lo zabaione al figlio ormai trentenne, nel film «Benvenuti al Sud» di L. Miniero, come simbolo di una dipendenza alimentare che ha origini nell’allattamento e viene da quel momento gelosamente custodita ed esibita, non può esistere.
  • 10. Stiamo scivolando verso l’ambito del trasgressivo e del proibito, sostituendo la madre con la figura dell’amante con cui condividere un sottile piacere nascosto in un vortice di allusioni e giochi sensuali. Se questo è palese nel nuovo spot dei Baci Perugina «Chi si ama: baci», è abbastanza sorprendente come perfino Barilla, testimonial storico di una «cucina del ritorno» («dove c’è Barilla c’è casa»), abbia improntato la sua nuova campagna sui sughi pronti (non è difficile capire il perché, ma è comunque ugualmente una rottura per i toni particolarmente sensuali) sul tema della seduzione e sulla rottura degli schemi tipici della tavola.