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ELENA RIVA
                                                           L’adolescenza femminile oggi. Il corpo, il
                                                           genere, il soggetto




       L’attuale diffusione dei disturbi alimentari nell’adolescenza femminile ci autorizza a considerarli
espressione di una problematica evolutiva che può essere considerata epidemica nella cultura sociale in cui
viviamo.
       L’allarme non deriva solo dalla constatazione che il disturbo alimentare è il sintomo più diffuso di
sofferenza psichica femminile della nostra epoca, ma è alimentato dalla consapevolezza che le adolescenti
anoressiche e bulimiche rivelano, maltrattando il proprio corpo, un malessere della femminilità
contemporanea di cui solo la punta estrema si esprime nel linguaggio della psicopatologia.
       Nello stile di funzionamento psichico anoressico si rivelano, infatti, i conflitti relativi alla cosiddetta
natura femminile prodotta dalle definizioni culturali della nostra epoca.
       Le adolescenti anoressiche utilizzano il corpo per annunciare al mondo e alla propria famiglia,
attraverso la magrezza assunta a simbolo di potere e controllo, il rifiuto autarchico di qualsivoglia
dipendenza e bisogno.
       E’ sotto gli occhi di tutti, e lo ha segnalato la provocatoria campagna pubblicitaria di Oliviero Toscani
che, non a caso, ha sollevato tante polemiche, che il corpo malato delle anoressiche a stento si distingue dal
corpo ideale delle icone della bellezza femminile contemporanea: l’uno e l’altro s’ispirano a un’estetica che
appiattisce il corpo femminile alla dimensione dell’immagine, annullando la materia e le pulsioni vitali.
       Le anoressiche rappresentano gli ascetici ideali della femminilità contemporanea, che attraverso il
controllo del peso e dell’alimentazione aspira a realizzare l’assoluto dominio della mente su un corpo da
modellare in base ai propri desideri e ai valori; in questo senso rivelano una sofferenza derivante dalla
declinazione della femminilità imposta dalla nostra cultura.
       In questa rappresentazione del corpo femminile che la ricerca esasperata della perfezione rende
dipendente dallo sguardo dell’altro e dalle sue attribuzioni, viene annullata l’unicità dell’individuo.
       Il tema dello sguardo è centrale nella cultura dell’immagine, così come nella rappresentazione di sé
dell’adolescente anoressica, cui è mancato uno sguardo materno capace di riconoscerne ed apprezzarne la
soggettività, invece di proiettare su di lei i propri desideri irrisolti, trasformandola da bambina viva in una
graziosa bambolina modellata dal desiderio della madre. La futura anoressica, resa fragile e dipendente da un
vissuto d’inconsistenza e disvalore soggettivo, quando incontra con la pubertà la differenza sessuale, e con
questa l’incompletezza e la complementarietà, vive il desiderio dell’altro come una minaccia cui
contrapporre un corpo compatto, impenetrabile, autosufficiente, dunque vincente, in contrasto con il
fantasma di una femminilità vulnerabile, aperta, segnata da orifizi e ferite, fragile perché esposta a bisogni e
desideri.
       E’ a partire da queste riflessioni che consideriamo importante non pensare alle ragazze che non
mangiano, oppure mangiano troppo e male, come malate delle sindromi che i manuali di psicopatologia
definiscono anoressia e bulimia nervosa, ma considerarle innanzitutto adolescenti che rivelano con il
disturbo alimentare una sofferenza psichica femminile diffusa, ed esprimono con il corpo e il comportamento
il disagio evolutivo che deriva dalla difficoltà di integrare i valori dell’identità di genere femminile
nell’immagine di sé.
Le future anoressiche giungono all’adolescenza con specifiche vulnerabilità che riguardano il corpo, la
femminilità, l’identità, in un quadro di complessiva fragilità narcisistica.
       Per questo è importante evidenziare il rapporto fra i disturbi alimentari e i compiti di sviluppo delle
diverse fasi dell’adolescenza, cogliendo differenze ed analogie fra le situazioni in cui l’esordio sintomatico
avviene in preadolescenza, durante la piena adolescenza o nella fase conclusiva dell’adolescenza stessa.
Sono diverse, infatti, le problematiche evolutive che sottendono la sofferenza psichica di un’undicenne sul
cui corpo s’intuiscono i primi segni delle trasformazioni puberali, di una sedicenne incerta nell’espressione
della propria femminilità o di una ventenne in crisi nell’affrontare il passaggio alla vita adulta, anche se tutte
accusano il corpo delle difficoltà e degli scacchi della propria adolescenza.
       La “scelta” condivisa di modificare la condotta alimentare per esprimere il proprio disagio sottende
differenze importanti, che riguardano sia le problematiche evolutive sottostanti, sia le modalità d’espressione
del sintomo.
       Nella piena adolescenza il disturbo si manifesta di solito nei modi canonici descritti dai manuali di
psichiatria sotto la voce anoressia: l’alimentazione si riduce progressivamente in quantità e qualità e lo stesso
accade per i comportamenti sociali e relazionali. La vita assume ritmi frenetici ma abitudinari, ripetitivi e
insofferenti ad ogni cambiamento come i rituali alimentari, mentre solo la dedizione allo studio aumenta,
benchè l’attenzione ossessiva a memorizzare dettagli ed accumulare nozioni piuttosto che a com-prendere ed
interiorizzare conoscenze segnali l’ipernutrizione della mente contrapposta al digiuno imposto al corpo.
Altrettanto totalizzanti diventano le preoccupazioni per il peso e l’aspetto: la percezione di una se stessa
grassa e pesante angoscia e paralizza.
       La preadolescente che soffre di un disturbo alimentare spesso non condivide queste ossessioni,
afferma invece che non le importa di essere magra e che le piacerebbe riprendere a mangiare senza che un
senso di pesantezza e di gonfiore e una nausea ostinata le tappino la bocca e lo stomaco. E’ il corpo, non la
volontà, a rifiutare di assumere il cibo necessario alla crescita e allo sbocciare della femminilità, e Il
dimagramento è vissuto come un effetto collaterale poco gradito.
       Intorno ai vent’anni è presente una consapevolezza del tutto diversa del significato emotivo di rifiuto
di sè e degli altri che assume il digiuno, o, più spesso, l’alternanza di abbuffate e vomito che scandisce la
quotidianità e il disprezzo di sé che ne consegue.
       Da quando, intorno agli anni ’70, la diffusione dei disturbi alimentari ha cominciato ad assumere
proporzioni allarmanti, queste patologie sono state interpretate prevalentemente come esito dell’incontro fra
la fragilità narcisistica e i compiti di sviluppo dell’adolescenza femminile.
       Le diagnosi psicodinamiche confermano la presenza di diversi quadri di personalità in adolescenti dal
comportamento uniforme e seriale, non solo sul piano alimentare, e l’esperienza clinica consente di
riconoscere trame affettive diverse nelle giovani donne che manifestano la sofferenza psichica modificando
la condotta alimentare, spesso correlate alla fase evolutiva in cui avviene l’esordio del sintomo.
       Intorno alla pubertà il lavoro psichico dell’adolescenza si focalizza sul compito di mentalizzare il
corpo sessuato attribuendogli nuovi significati sociali, relazionali, erotici ed affettivi. Le premesse dei
processi di mentalizzazione del corpo affondano nell’infanzia, nel primo rapporto con la madre in cui si
fonda una rappresentazione unitaria di sé; quando tale esperienza è carente o distorta e lo sguardo materno
incapace di riconoscere i bisogni, il corpo è destinato a rimanere estraneo, un oggetto-altro che può essere
aggredito e svalutato, mentre alla mente iper-investita vengono affidate funzioni di sostegno e contenimento.
Uno sviluppo abnorme di competenze intellettive sostituisce allora il contenimento materno in bambine
precocemente autosufficienti, che con la pubertà stenteranno ad integrare la rappresentazione del corpo
sessuato nell’immagine idealizzata di sé su cui hanno fondato la propria crescita; la scissione mente-corpo si
radicalizza e la presenza di nuove pulsioni induce ad irrigidire l’asservimento alla mente e alla volontà di un
corpo di cui si temono e disconoscono i desideri. Occorre bloccare, anche a costo del digiuno, le
trasformazioni puberali, che rischiano di rivelare la presenza nascosta di una giovane donna negli abiti
troppo stretti dell’ex-bambina. Quando l’esordio anoressico avviene intorno alla pubertà e rivela
l’impossibilità o il rifiuto di accettare le trasformazioni del corpo, la psiche spesso non è in grado di
comprendere ed esprimere il conflitto che il corpo dichiara. Il sintomo alimentare segnala un disagio non
elaborabile simbolicamente: la difficoltà, fisiologica in preadolescenza, di accedere al pensiero simbolico, è
aggravata dalla necessità di zittire la minaccia dei desideri attivati dalla pubertà e dall’attaccamento ad un
falso sé infantile e compiacente, riluttante a cedere il passo alle ribellioni dell’adolescenza.
       La giovanissima anoressica spesso non è consapevole dei motivi del proprio digiuno, ed attribuisce al
corpo inappetenza, nausea e gonfiore allo stomaco. Spesso è il pediatra, consultato per i sintomi di un corpo
malato, a tradurre il malessere fisico in segnale di un disagio psicologico, non di rado suscitando perplessità
e resistenze nella ragazza e nei suoi genitori.
       Nell’adolescenza piena, invece, il sintomo alimentare rivela difficoltà e conflitti nella costruzione
dell’identità di genere. Le domande che il linguaggio del corpo pone ruotano intorno ad alcune questioni: è
possibile affermare il desiderio di essere femminile e attraente senza rinunciare agli aspetti affermativi di Sé?
E’ possibile trasformarsi in donna senza diventare la propria madre? Se “chi sono io?” è l’interrogativo
centrale dell’adolescenza, una sua declinazione più specifica - “voglio, posso, devo essere una femmina?”-
ottiene dall’adolescente anoressica una risposta negativa.
       ll conflitto sulla femminilità è una costante nei disturbi del comportamento alimentare: il corpo
femminile, di cui la pubertà rivela la propensione materna, è vissuto come una minaccia. Non è semplice
oggi per le adolescenti costruire l’identità di genere integrando valori femminili e materni: l’anoressica tende
a sottrarsi a questo compito facendo propri i valori che tradizionalmente appartengono agli ambiti maschili -
indipendenza, determinazione nel perseguire i propri progetti, competizione sportiva e intellettuale - ed
esasperando le contraddizioni dell’identità femminile nella contrapposizione fra affermazione narcisistica e
cura del legame. Se oggi molte adolescenti impegnate nel compito di costruire l’identità di genere spesso
considerano i valori femminili tradizionali difficilmente coniugabili con la realizzazione personale, per le
ragazze che digiunano il conflitto fra desideri narcisistici e bisogni oggettuali, fra autoaffermazione e
dedizione agli altri, fra solidarietà e competizione, appare irrisolvibile.
       Il compito di definire l’identità femminile esaspera il conflitto fra il desiderio di perseguire
un’affermazione separata e autonoma di Sé, profondamente radicato nel sistema di valori individuali e
sociali, e gli ideali materni, e la difficoltà ad identificarsi con una figura materna spesso troppo fragile e
tirannica per tollerare la differenziazione della figlia, alimenta questo conflitto; il timore di diventare come la
madre spinge l’adolescente anoressica verso un padre apparentemente più forte e vincente, nella speranza di
sottrarsi a un destino femminile svalutato per perseguire gli ideali maschili di affermazione intellettuale,
sociale e professionale.
       Le adolescenti il cui corpo pretende di non aver bisogno di essere nutrito, rispondono con la chiusura
autarchica all’impossibilità di scegliere fra vecchie e nuove declinazioni dei valori maschili e femminili,
mentre la cultura del narcisismo, di cui sono impregnate famiglia e società, sembra incapace di suggerire loro
integrazioni armoniche fra i valori affettivi, capaci di articolare obiettivi narcisistici e relazionali e di
contemplare il limite, e esaspera invece le scissioni suggerendo ideali onnipotenti nei cui confronti le giovani
donne si sentono del tutto inadeguate.
       L’ultima fase d’esordio del disturbo alimentare in adolescenza avviene intorno ai vent’anni, all’epoca
delle scelte, nella fase in cui le competenze affettive e cognitive acquisite nei processi di rimaneggiamento
psichico dell’adolescenza si sperimentano nell’incontro con la realtà, mentre un’identità ancora potenziale si
concretizza con l’assunzione di responsabilità relazionali e sociali.
       E’ il tempo delle decisioni, dell’impegno in un ruolo sociale e nella costruzione di relazioni
caratterizzate da intimità e dipendenza reciproca, consentite da un Sé sufficientemente soggettivato da poter
incontrare l’altro senza perdere i propri confini. La vulnerabilità narcisistica delle giovani donne che
rischiano in questa fase di diventare anoressiche o bulimiche rende loro difficile affrontare questo passaggio
per l’incapacità di tollerare i limiti del reale abbandonando modelli idealizzati. Quando l’onnipotenza
narcisistica ha oltrepassato indenne le prove dell’adolescenza, in cui è stata anzi alimentata dai successi
scolastici e sociali regalati da una relazionalità diffusa quanto emotivamente poco impegnativa, questo
compito può risultare troppo difficile: sia il passaggio da innamoramenti adolescenziali ad alta quota di
gratificazione narcisistica a relazioni intime caratterizzate da reciproca interdipendenza, sia la messa alla
prova delle competenze cognitive facilmente rispecchiate da ben sperimentati rituali scolastici nelle incerte
esperienze in ambiti più complessi, possono risultare insostenibili per un’autostima fragile quanto grandiosa.
Eventuali insuccessi vengono allora addebitati al corpo e all’immagine, come probabilmente era già accaduto
in qualche crisi dell’adolescenza senza suscitare allarme, magari grazie al travestimento di una dieta
interpretata in famiglia come segnale positivo di cura di sé e poi spontaneamente superata grazie al vortice di
gratificazioni narcisistiche di un’adolescenza di successo.
       Alle prime prove della vita adulta, quando il compito di nascere socialmente impone il confronto fra
l’ambizione degli ideali e i limiti del reale, queste giovano donne si ritrovano disarmate; ancor prima di
sperimentare dei fallimenti, l’impossibilità di rinunciare al ventaglio pressoché illimitato di percorsi possibili
le inibisce, mettendone in scacco i processi decisionali. In qualche caso l’ex-adolescente che ha conquistato
la maturità scolastica con il massimo dei voti, percorrendo senza titubanze l’iter unanimemente giudicato il
migliore da un’ideologia familiare concorde nel considerare eccellente l’indirizzo di studi e l’istituto
scolastico prescelto, per la prima volta è costretta a scegliere, dunque a rinunciare, dall’ampio ventaglio di
opzioni che si aprono dopo la maturità.
       In altri casi la fragilità narcisistica di un’adolescenza in-conclusa è evidenziata dalle intense reazioni
emotive allo sfaldarsi della coppia dell’adolescenza e alla perdita del rispecchiamento narcisistico che
garantiva. Lo spettro della libertà alimenta l’ansia di perdere i propri confini ed attiva quell’alternarsi
d’irruzioni impulsive ed irrigidimenti superegoici che caratterizza il comportamento alimentare e lo stile di
vita dei soggetti bulimici. Un’identità labile e diffusa, spesso compiacente e inautentica, si rivela in relazioni
che alternano tentativi di ritrovare la fusionalità saturando provvisoriamente i vissuti di vuoto ma attivando
anche l’angoscia di essere inglobata, e chiusure difensive in rigide corazze caratteriali che proteggono il Sé
da vissuti di annichilimento. Alle soglie della vita adulta un blocco evolutivo impedisce l’accesso all’amore e
al lavoro.

       Nell’adolescenza femminile contemporanea i compiti evolutivi fase specifici - la mentalizzazione del
corpo sessuato, la costruzione dell’identità di genere e il compimento del processo di soggettivazione -
devono essere affrontati in un contesto ambiguo nella proposta di modelli femminili adulti affettivamente e
socialmente spendibili.
       Le polarità pieno e vuoto, chiuso ed aperto, slittano e pericolosamente si confondono, attraverso
l’identificazione con il genitore dell’uno e dell’altro sesso, con le categorie del maschile e del femminile,
facilmente falsificate nella dicotomia fallico-castrato.
       Il rischio di rappresentazioni confusive incapaci di distinguere quanto appartiene alla natura e quanto
alla cultura, quanto ai ruoli e ai modelli sociali e quanto alla psicopatologia, di cui le adolescenti che
soffrono di disturbi alimentari sono espressione, è riflesso dagli ambigui modelli di femminilità proposti
dalle donne-bambine androgine, con gli occhi enormi e gli sguardi vuoti, che popolano le riviste patinate e
trasmettono alle nostre figlie messaggi e modelli davvero inquietanti.

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  • 1. ELENA RIVA L’adolescenza femminile oggi. Il corpo, il genere, il soggetto L’attuale diffusione dei disturbi alimentari nell’adolescenza femminile ci autorizza a considerarli espressione di una problematica evolutiva che può essere considerata epidemica nella cultura sociale in cui viviamo. L’allarme non deriva solo dalla constatazione che il disturbo alimentare è il sintomo più diffuso di sofferenza psichica femminile della nostra epoca, ma è alimentato dalla consapevolezza che le adolescenti anoressiche e bulimiche rivelano, maltrattando il proprio corpo, un malessere della femminilità contemporanea di cui solo la punta estrema si esprime nel linguaggio della psicopatologia. Nello stile di funzionamento psichico anoressico si rivelano, infatti, i conflitti relativi alla cosiddetta natura femminile prodotta dalle definizioni culturali della nostra epoca. Le adolescenti anoressiche utilizzano il corpo per annunciare al mondo e alla propria famiglia, attraverso la magrezza assunta a simbolo di potere e controllo, il rifiuto autarchico di qualsivoglia dipendenza e bisogno. E’ sotto gli occhi di tutti, e lo ha segnalato la provocatoria campagna pubblicitaria di Oliviero Toscani che, non a caso, ha sollevato tante polemiche, che il corpo malato delle anoressiche a stento si distingue dal corpo ideale delle icone della bellezza femminile contemporanea: l’uno e l’altro s’ispirano a un’estetica che appiattisce il corpo femminile alla dimensione dell’immagine, annullando la materia e le pulsioni vitali. Le anoressiche rappresentano gli ascetici ideali della femminilità contemporanea, che attraverso il controllo del peso e dell’alimentazione aspira a realizzare l’assoluto dominio della mente su un corpo da modellare in base ai propri desideri e ai valori; in questo senso rivelano una sofferenza derivante dalla declinazione della femminilità imposta dalla nostra cultura. In questa rappresentazione del corpo femminile che la ricerca esasperata della perfezione rende dipendente dallo sguardo dell’altro e dalle sue attribuzioni, viene annullata l’unicità dell’individuo. Il tema dello sguardo è centrale nella cultura dell’immagine, così come nella rappresentazione di sé dell’adolescente anoressica, cui è mancato uno sguardo materno capace di riconoscerne ed apprezzarne la soggettività, invece di proiettare su di lei i propri desideri irrisolti, trasformandola da bambina viva in una graziosa bambolina modellata dal desiderio della madre. La futura anoressica, resa fragile e dipendente da un vissuto d’inconsistenza e disvalore soggettivo, quando incontra con la pubertà la differenza sessuale, e con questa l’incompletezza e la complementarietà, vive il desiderio dell’altro come una minaccia cui contrapporre un corpo compatto, impenetrabile, autosufficiente, dunque vincente, in contrasto con il fantasma di una femminilità vulnerabile, aperta, segnata da orifizi e ferite, fragile perché esposta a bisogni e desideri. E’ a partire da queste riflessioni che consideriamo importante non pensare alle ragazze che non mangiano, oppure mangiano troppo e male, come malate delle sindromi che i manuali di psicopatologia definiscono anoressia e bulimia nervosa, ma considerarle innanzitutto adolescenti che rivelano con il disturbo alimentare una sofferenza psichica femminile diffusa, ed esprimono con il corpo e il comportamento il disagio evolutivo che deriva dalla difficoltà di integrare i valori dell’identità di genere femminile nell’immagine di sé.
  • 2. Le future anoressiche giungono all’adolescenza con specifiche vulnerabilità che riguardano il corpo, la femminilità, l’identità, in un quadro di complessiva fragilità narcisistica. Per questo è importante evidenziare il rapporto fra i disturbi alimentari e i compiti di sviluppo delle diverse fasi dell’adolescenza, cogliendo differenze ed analogie fra le situazioni in cui l’esordio sintomatico avviene in preadolescenza, durante la piena adolescenza o nella fase conclusiva dell’adolescenza stessa. Sono diverse, infatti, le problematiche evolutive che sottendono la sofferenza psichica di un’undicenne sul cui corpo s’intuiscono i primi segni delle trasformazioni puberali, di una sedicenne incerta nell’espressione della propria femminilità o di una ventenne in crisi nell’affrontare il passaggio alla vita adulta, anche se tutte accusano il corpo delle difficoltà e degli scacchi della propria adolescenza. La “scelta” condivisa di modificare la condotta alimentare per esprimere il proprio disagio sottende differenze importanti, che riguardano sia le problematiche evolutive sottostanti, sia le modalità d’espressione del sintomo. Nella piena adolescenza il disturbo si manifesta di solito nei modi canonici descritti dai manuali di psichiatria sotto la voce anoressia: l’alimentazione si riduce progressivamente in quantità e qualità e lo stesso accade per i comportamenti sociali e relazionali. La vita assume ritmi frenetici ma abitudinari, ripetitivi e insofferenti ad ogni cambiamento come i rituali alimentari, mentre solo la dedizione allo studio aumenta, benchè l’attenzione ossessiva a memorizzare dettagli ed accumulare nozioni piuttosto che a com-prendere ed interiorizzare conoscenze segnali l’ipernutrizione della mente contrapposta al digiuno imposto al corpo. Altrettanto totalizzanti diventano le preoccupazioni per il peso e l’aspetto: la percezione di una se stessa grassa e pesante angoscia e paralizza. La preadolescente che soffre di un disturbo alimentare spesso non condivide queste ossessioni, afferma invece che non le importa di essere magra e che le piacerebbe riprendere a mangiare senza che un senso di pesantezza e di gonfiore e una nausea ostinata le tappino la bocca e lo stomaco. E’ il corpo, non la volontà, a rifiutare di assumere il cibo necessario alla crescita e allo sbocciare della femminilità, e Il dimagramento è vissuto come un effetto collaterale poco gradito. Intorno ai vent’anni è presente una consapevolezza del tutto diversa del significato emotivo di rifiuto di sè e degli altri che assume il digiuno, o, più spesso, l’alternanza di abbuffate e vomito che scandisce la quotidianità e il disprezzo di sé che ne consegue. Da quando, intorno agli anni ’70, la diffusione dei disturbi alimentari ha cominciato ad assumere proporzioni allarmanti, queste patologie sono state interpretate prevalentemente come esito dell’incontro fra la fragilità narcisistica e i compiti di sviluppo dell’adolescenza femminile. Le diagnosi psicodinamiche confermano la presenza di diversi quadri di personalità in adolescenti dal comportamento uniforme e seriale, non solo sul piano alimentare, e l’esperienza clinica consente di riconoscere trame affettive diverse nelle giovani donne che manifestano la sofferenza psichica modificando la condotta alimentare, spesso correlate alla fase evolutiva in cui avviene l’esordio del sintomo. Intorno alla pubertà il lavoro psichico dell’adolescenza si focalizza sul compito di mentalizzare il corpo sessuato attribuendogli nuovi significati sociali, relazionali, erotici ed affettivi. Le premesse dei processi di mentalizzazione del corpo affondano nell’infanzia, nel primo rapporto con la madre in cui si fonda una rappresentazione unitaria di sé; quando tale esperienza è carente o distorta e lo sguardo materno incapace di riconoscere i bisogni, il corpo è destinato a rimanere estraneo, un oggetto-altro che può essere aggredito e svalutato, mentre alla mente iper-investita vengono affidate funzioni di sostegno e contenimento. Uno sviluppo abnorme di competenze intellettive sostituisce allora il contenimento materno in bambine precocemente autosufficienti, che con la pubertà stenteranno ad integrare la rappresentazione del corpo sessuato nell’immagine idealizzata di sé su cui hanno fondato la propria crescita; la scissione mente-corpo si radicalizza e la presenza di nuove pulsioni induce ad irrigidire l’asservimento alla mente e alla volontà di un corpo di cui si temono e disconoscono i desideri. Occorre bloccare, anche a costo del digiuno, le trasformazioni puberali, che rischiano di rivelare la presenza nascosta di una giovane donna negli abiti troppo stretti dell’ex-bambina. Quando l’esordio anoressico avviene intorno alla pubertà e rivela l’impossibilità o il rifiuto di accettare le trasformazioni del corpo, la psiche spesso non è in grado di
  • 3. comprendere ed esprimere il conflitto che il corpo dichiara. Il sintomo alimentare segnala un disagio non elaborabile simbolicamente: la difficoltà, fisiologica in preadolescenza, di accedere al pensiero simbolico, è aggravata dalla necessità di zittire la minaccia dei desideri attivati dalla pubertà e dall’attaccamento ad un falso sé infantile e compiacente, riluttante a cedere il passo alle ribellioni dell’adolescenza. La giovanissima anoressica spesso non è consapevole dei motivi del proprio digiuno, ed attribuisce al corpo inappetenza, nausea e gonfiore allo stomaco. Spesso è il pediatra, consultato per i sintomi di un corpo malato, a tradurre il malessere fisico in segnale di un disagio psicologico, non di rado suscitando perplessità e resistenze nella ragazza e nei suoi genitori. Nell’adolescenza piena, invece, il sintomo alimentare rivela difficoltà e conflitti nella costruzione dell’identità di genere. Le domande che il linguaggio del corpo pone ruotano intorno ad alcune questioni: è possibile affermare il desiderio di essere femminile e attraente senza rinunciare agli aspetti affermativi di Sé? E’ possibile trasformarsi in donna senza diventare la propria madre? Se “chi sono io?” è l’interrogativo centrale dell’adolescenza, una sua declinazione più specifica - “voglio, posso, devo essere una femmina?”- ottiene dall’adolescente anoressica una risposta negativa. ll conflitto sulla femminilità è una costante nei disturbi del comportamento alimentare: il corpo femminile, di cui la pubertà rivela la propensione materna, è vissuto come una minaccia. Non è semplice oggi per le adolescenti costruire l’identità di genere integrando valori femminili e materni: l’anoressica tende a sottrarsi a questo compito facendo propri i valori che tradizionalmente appartengono agli ambiti maschili - indipendenza, determinazione nel perseguire i propri progetti, competizione sportiva e intellettuale - ed esasperando le contraddizioni dell’identità femminile nella contrapposizione fra affermazione narcisistica e cura del legame. Se oggi molte adolescenti impegnate nel compito di costruire l’identità di genere spesso considerano i valori femminili tradizionali difficilmente coniugabili con la realizzazione personale, per le ragazze che digiunano il conflitto fra desideri narcisistici e bisogni oggettuali, fra autoaffermazione e dedizione agli altri, fra solidarietà e competizione, appare irrisolvibile. Il compito di definire l’identità femminile esaspera il conflitto fra il desiderio di perseguire un’affermazione separata e autonoma di Sé, profondamente radicato nel sistema di valori individuali e sociali, e gli ideali materni, e la difficoltà ad identificarsi con una figura materna spesso troppo fragile e tirannica per tollerare la differenziazione della figlia, alimenta questo conflitto; il timore di diventare come la madre spinge l’adolescente anoressica verso un padre apparentemente più forte e vincente, nella speranza di sottrarsi a un destino femminile svalutato per perseguire gli ideali maschili di affermazione intellettuale, sociale e professionale. Le adolescenti il cui corpo pretende di non aver bisogno di essere nutrito, rispondono con la chiusura autarchica all’impossibilità di scegliere fra vecchie e nuove declinazioni dei valori maschili e femminili, mentre la cultura del narcisismo, di cui sono impregnate famiglia e società, sembra incapace di suggerire loro integrazioni armoniche fra i valori affettivi, capaci di articolare obiettivi narcisistici e relazionali e di contemplare il limite, e esaspera invece le scissioni suggerendo ideali onnipotenti nei cui confronti le giovani donne si sentono del tutto inadeguate. L’ultima fase d’esordio del disturbo alimentare in adolescenza avviene intorno ai vent’anni, all’epoca delle scelte, nella fase in cui le competenze affettive e cognitive acquisite nei processi di rimaneggiamento psichico dell’adolescenza si sperimentano nell’incontro con la realtà, mentre un’identità ancora potenziale si concretizza con l’assunzione di responsabilità relazionali e sociali. E’ il tempo delle decisioni, dell’impegno in un ruolo sociale e nella costruzione di relazioni caratterizzate da intimità e dipendenza reciproca, consentite da un Sé sufficientemente soggettivato da poter incontrare l’altro senza perdere i propri confini. La vulnerabilità narcisistica delle giovani donne che rischiano in questa fase di diventare anoressiche o bulimiche rende loro difficile affrontare questo passaggio per l’incapacità di tollerare i limiti del reale abbandonando modelli idealizzati. Quando l’onnipotenza narcisistica ha oltrepassato indenne le prove dell’adolescenza, in cui è stata anzi alimentata dai successi scolastici e sociali regalati da una relazionalità diffusa quanto emotivamente poco impegnativa, questo compito può risultare troppo difficile: sia il passaggio da innamoramenti adolescenziali ad alta quota di
  • 4. gratificazione narcisistica a relazioni intime caratterizzate da reciproca interdipendenza, sia la messa alla prova delle competenze cognitive facilmente rispecchiate da ben sperimentati rituali scolastici nelle incerte esperienze in ambiti più complessi, possono risultare insostenibili per un’autostima fragile quanto grandiosa. Eventuali insuccessi vengono allora addebitati al corpo e all’immagine, come probabilmente era già accaduto in qualche crisi dell’adolescenza senza suscitare allarme, magari grazie al travestimento di una dieta interpretata in famiglia come segnale positivo di cura di sé e poi spontaneamente superata grazie al vortice di gratificazioni narcisistiche di un’adolescenza di successo. Alle prime prove della vita adulta, quando il compito di nascere socialmente impone il confronto fra l’ambizione degli ideali e i limiti del reale, queste giovano donne si ritrovano disarmate; ancor prima di sperimentare dei fallimenti, l’impossibilità di rinunciare al ventaglio pressoché illimitato di percorsi possibili le inibisce, mettendone in scacco i processi decisionali. In qualche caso l’ex-adolescente che ha conquistato la maturità scolastica con il massimo dei voti, percorrendo senza titubanze l’iter unanimemente giudicato il migliore da un’ideologia familiare concorde nel considerare eccellente l’indirizzo di studi e l’istituto scolastico prescelto, per la prima volta è costretta a scegliere, dunque a rinunciare, dall’ampio ventaglio di opzioni che si aprono dopo la maturità. In altri casi la fragilità narcisistica di un’adolescenza in-conclusa è evidenziata dalle intense reazioni emotive allo sfaldarsi della coppia dell’adolescenza e alla perdita del rispecchiamento narcisistico che garantiva. Lo spettro della libertà alimenta l’ansia di perdere i propri confini ed attiva quell’alternarsi d’irruzioni impulsive ed irrigidimenti superegoici che caratterizza il comportamento alimentare e lo stile di vita dei soggetti bulimici. Un’identità labile e diffusa, spesso compiacente e inautentica, si rivela in relazioni che alternano tentativi di ritrovare la fusionalità saturando provvisoriamente i vissuti di vuoto ma attivando anche l’angoscia di essere inglobata, e chiusure difensive in rigide corazze caratteriali che proteggono il Sé da vissuti di annichilimento. Alle soglie della vita adulta un blocco evolutivo impedisce l’accesso all’amore e al lavoro. Nell’adolescenza femminile contemporanea i compiti evolutivi fase specifici - la mentalizzazione del corpo sessuato, la costruzione dell’identità di genere e il compimento del processo di soggettivazione - devono essere affrontati in un contesto ambiguo nella proposta di modelli femminili adulti affettivamente e socialmente spendibili. Le polarità pieno e vuoto, chiuso ed aperto, slittano e pericolosamente si confondono, attraverso l’identificazione con il genitore dell’uno e dell’altro sesso, con le categorie del maschile e del femminile, facilmente falsificate nella dicotomia fallico-castrato. Il rischio di rappresentazioni confusive incapaci di distinguere quanto appartiene alla natura e quanto alla cultura, quanto ai ruoli e ai modelli sociali e quanto alla psicopatologia, di cui le adolescenti che soffrono di disturbi alimentari sono espressione, è riflesso dagli ambigui modelli di femminilità proposti dalle donne-bambine androgine, con gli occhi enormi e gli sguardi vuoti, che popolano le riviste patinate e trasmettono alle nostre figlie messaggi e modelli davvero inquietanti.