2. Introduzione
A 16 anni dalla sua introduzione nel Codice Civile, la Legge
6/20041 istitutiva della figura dell’Amministratore di Sostegno, che
veniva presentata come una forma di tutela giuridica più blanda ed
elastica rispetto all’interdizione e all’inabilitazione, è diventata, in
moltissimi casi, uno strumento attraverso il quale è possibile limitare
fortemente la libertà e violare i diritti dei diretti interessati
(cosiddetti “beneficiari“).
È infatti emerso nel corso degli anni, sia dagli organi di stampa che
dalle testimonianze degli amministrati o dei loro familiari, un forte
malcontento sull’operato di un numero sempre crescente di
amministratori di sostegno.
Capita raramente che la cronaca dia conto di vicende connesse
all’istituto giuridico dell’amministrazione di sostegno. Quando
accade è perché purtroppo si sono verificati casi di mala gestione o
comunque illeciti legati al patrimonio dell’amministrato.
Purtroppo però non si tratta solo di questo: forse in tanti non sanno
che, nonostante la legge non preveda che l’amministratore si
sostituisca totalmente al “beneficiario”, questa è la tendenza che si
è venuta ad instaurare. Spesso è l'amministratore ad interfacciarsi
con i servizi sanitari e/o prestare al posto dell’amministrato il
consenso informato alle cure e ad effettuare le scelte al suo
posto.
1https://www.camera.it/parlam/leggi/04006l.htm
3. Si assiste così, del tutto inconsapevoli,
impreparati, non debitamente informati e/o ascoltati,
all’emanazione, da parte dei Giudici Tutelari, di decreti che
conferiscono “ampi poteri” agli amministratori di sostegno, spesso
estranei alla famiglia, in cui si prevede, oltre alla gestione del
patrimonio, anche il consenso informato ai trattamenti sanitari, ai
ricoveri, agli esami diagnostici etc., spesso in presenza di soggetti
assolutamente capaci di esprimere un giudizio, parere, consenso
o dissenso.
L’utilizzo concreto dello strumento gestionale dell’istituto
dell’amministrazione di sostegno si esprime spesso sotto forma di
mera costrizione della persona sottoposta a tutela, sovente senza
possibilità di replica dato che, quasi sempre, i Giudici Tutelari si
interfacciano esclusivamente con gli amministratori, i sanitari e i
servizi sociali, escludendo anche i familiari quando definiti “non
collaboranti”.
Per quanto concerne i diritti dei soggetti con disabilità, la
Convenzione ONU2 (ratificata dall’Italia attraverso la
promulgazione della legge 18/2009), all’art. 12 riconosce loro piena
capacità giuridica, ne sancisce “pari riconoscimento davanti
alla legge” e stabilisce che il supporto al processo decisionale
venga effettuato nel rispetto della loro volontà e delle loro
preferenze.
2https://www.esteri.it/mae/resource/doc/2016/07/c_01_convenzione_onu_ita.pdf
4. Criticità
La legge sull’amministrazione di sostegno così com’è in molti casi
funziona benissimo. Purtroppo però contiene delle trappole logico-
giuridiche che consentono anche di utilizzarla come strumento di
interdizione impropria su qualsiasi soggetto debole. Essa estende
infatti smisuratamente le categorie di persone sottoponibili al
provvedimento, perché stabilisce che il Giudice Tutelare possa
sottoporre ad amministrazione di sostegno, su richiesta o
segnalazione, la persona afflitta da una “infermità o menomazione
fisica o psichica” che la renda “anche solo parzialmente e
temporaneamente” impossibilitata a provvedere ai suoi interessi.
La legge non offre la minima certezza giuridica sulla tipologia ed il
grado dell’infermità e dell’incapacità necessarie e sufficienti a
limitare le libertà della persona (perché di questo si tratta),
sottoponendo la vita di un qualsiasi soggetto fragile, ed i suoi beni,
ad un amministratore di sostegno, che molto spesso si sostituirà
alla volontà del soggetto, negandone così il diritto costituzionale
ad autodeterminarsi nel rispetto delle leggi vigenti.
Si rileva una certa ambiguità nella Legge n. 6/2004 laddove il
Giudice Tutelare competente può, discrezionalmente e senza
garanzie particolari, imporre un amministratore di sostegno diverso
da quello scelto e pre-designato dallo stesso beneficiario. Giova
ricordare, inoltre, che non costituisce condizione necessaria per
l’applicazione della misura dell’amministrazione di sostegno la
circostanza che il beneficiario abbia chiesto o, quanto meno
accettato, il sostegno e abbia indicato la persona da nominare, nel
senso che il rifiuto non preclude l’istituzione della protezione
giuridica nei suoi confronti.
Attraverso prassi ormai consolidate dai supposti legislativi dalle
maglie molto ampie, l’istituto dell’amministrazione di sostegno può
dare origine a veri e propri abusi che il Giudice Tutelare ha il potere
e l’obbligo di impedire verificando le relazioni periodiche degli
amministratori, ma che nel concreto non ne ha né il tempo né i
mezzi, e finisce per autorizzare o lasciar compiere anche operazioni
quantomeno discutibili.
5. La legge 6/2004, non può e non deve assumere connotati di
ulteriore menomazione, limitazione personale e violenza
psicologica nei confronti dei soggetti deboli e/o delle loro famiglie,
poiché non è con, e per quello scopo, che è stata istituita.
Dalla relazione del Garante Nazionale per i diritti delle persone private
della libertà personale, anno 2020 (La Persona Tutelata) :
"Spesso, si concretizza il rischio che lo strumento giuridico della tutela
possa paradossalmente diventare ‘garanzia’ di esclusione della persona,
certamente fragile, ma non per questo incapace di comprendere la sua
vita e le decisioni che la riguardano, trovandosi così, suo malgrado e
nonostante le previsioni delle norme sovranazionali, a essere sottratta a
una vita libera."
Legenda acronimi
A.D.S. Amministrazione/tore di Sostegno
C.R.P.D. Convention for the Rights of People with Disabilities
P.O. Personal Ombudsman
D.S.M. Distretto Salute Mentale
C.S.M. Centro Salute Mentale
C.P.S. Centro Psico Sociale
T.S.O. Trattamento Sanitario Obbligatorio
A.S.O. Accertamento Sanitario Obbligatorio
G.T. Giudice Tutelare
S.I.L. Servizio Inserimento Lavorativo
R.S.A. Residenza Sanitaria Assistita
C.R.T. Comunità Riabilitazione Terapeutica
R.E.M.S. Residenza per l’Esecuzione Misure di Sicurezza
6. 1
Qui di seguito alcune testimonianze a noi pervenute, su esperienze
negative avute con gli amministratori di sostegno.
Ringraziamo quanti ci hanno scritto e quanti continueranno
insieme a noi questo necessario e lungo percorso.
Rinnoviamo il nostro invito ad inviarci le vostre testimonianze,
scriveteci a dirittiallafollia@gmail.com , saranno pubblicate in
anonimato.
“Se la tutela diventa ragnatela”
Testimonianze
E.F.
Buongiorno, sono una disabile, ero ogni giorno assistita da un
bravo operatore che mi assisteva negli atti della vita, dopo che ho
7. 2
avuto una diagnosi di malattia mentale me lo hanno tolto, sono
stata licenziata e un assistente sociale che non mi conosce mi ha
messo un ADS, io chiesi aiuto ad una associazione che si batte
per i diritti dei disabili, all’inizio mi risposero poi sparirono. Ancora
adesso aspetto che qualcuno si interessi alla mia storia ma
nessuno si fa mai vivo.
A tutto questo si aggiunge che sono stata derubata dei miei
risparmi.
U.R.
La mia non è una situazione felice, il mio non può considerarsi un
caso ben gestito.
La famiglia intera e le badanti si azzuffano, mi derubano, usano la
psichiatria e la polizia per punirmi."Se non accetti l'invalidità sei
malato di mente” – questo mi dice lo psichiatra, vuole parlare solo
lui.
Lui, gli operatori, negano la realtà domestica che vivo, zeppa di
malesseri e perversioni dei familiari e di qualche condomino, ma
giustificano la mia presa in carico coatta. Continue chiamate al
DSM e alle forze dell'ordine, TSO e ADS, internamento e
interdizione. Dopo 12 anni l’assegno mensile di 270 euro lo
gestiranno emissari e diagnosti; mi sento danneggiato dai
neurolettici, da cattiva alimentazione e dall’internamento a vita
presso questi luoghi segreti chiamati SIR (Strutture intermedie
residenziali) o Comunità ad alta protezione per residui manicomiali
o psicotici, luoghi mai scoperti ed indagati, dove raramente sono
effettuati controlli dai NAS dei Carabinieri.
Ho assistito a violenze su altri pazienti.
8. 3
Le invalidità civili per malattia mentale sono proprio la privazione di
tutti i diritti che devono essere liberamente esercitati per garantire il
benessere sia mentale che fisico, quindi la stessa salute mentale,
lo star bene con se stessi e gli altri. Mi sento privato delle
possibilità concrete di affrontare la sofferenza , la vita, di crescere,
di essere autonomo e incluso nel mondo sociale.
Chi ha capito e sa intende, chi è estraneo e si improvvisa sapiente
continui a fantasticare.
Si impadroniscono della vita altrui, ne fanno ciò che vogliono, la
distruggono.
Ho chiesto aiuto a chi si dice contro gli usi e abusi della psichiatria,
la continua risposta non è altro che quella di accettare la realtà e
sottostare, non ribellarsi e comportarsi bene, abbassare la testa,
quindi mi hanno dato torto al pari degli altri.
Se mi rifiuto mi fanno la lobotomia chimica; TSO e ADS o REMS,
costretto nuovamente ad essere folle come tutti i folli, contro la mia
volontà, "bravo" fare il "bravo",pensare e agire come loro, facendo
come loro male a se stessi e agli altri. Questo è il prezzo della
negazione: negazione della realtà, dei diritti/doveri, dei conflitti, del
tempo e degli spazi, dei luoghi e delle persone stesse.
Mi hanno tolto il diritto di lavorare, vorrei vivere da solo lontano da
tutti.
Non ho diritto al tempo, allo studio, allo spazio, alla mia libertà e
alla tranquillità, né ad avere i miei soldi del mio conto online che
gestisce mio cugino indebitamente. Ed è vietato denunciarli. Chi li
autorizza? Non hanno titolo, facoltà e autorità per farlo. Qui si sta
scherzando con la mia vita.
A.F.
9. 4
La mia è stata ed è una sostituzione, quasi non esistessi.
In 5 anni mi è costata 7000 euro per fare documenti per la
successione ereditaria che non hanno ancora finito. Per non
parlare dei TSO che mi hanno fatto, dovuti alla situazione
insopportabile nella quale mi trovo, veri e propri sequestri di
persona. Il resto non è sintetizzabile. Sono caduta in un tranello. Il
giudice continua a prorogarmi l’ADS per questi ricoveri in
psichiatria.
M.B.
Anche per mio figlio abbiamo preso l'ADS. Avevo chiesto ad un
avvocato, si è preso 1500 euro, spendeva continuamente e mio
figlio non ha più voluto. Il giudice ha nominato un altro
amministratore tramite un’associazione che si è presa subito 600
euro. Sarebbe stato bene che l'ADS fosse un familiare, me ne
rendo conto solo ora, e mi sembra sia troppo tardi.
Un avvocato mi ha detto che fare l’ADS è una rogna ...
Mio figlio prende l'assegno di invalidità di 280 euro al mese e
questi non gli dà neanche la tredicesima perché dice : " ci sono le
spese", oltre a prendersi altri soldi sempre con l'autorizzazione del
giudice tutelare. A noi genitori non dice niente, chiede solo soldi,
noi siamo solo gli ufficiali pagatori.
M.A.
10. 5
L’ADS ha risolto tutti i problemi relativi all’aspetto economico senza
mai dare peso alla mia volontà perché ero soltanto una persona
malata di mente come dichiarato dai medici ospedalieri.
C. S.
Non sono contenta di come operano giudice tutelare e ADS nei
confronti delle mie richieste. Mia madre subisce tutti i giorni la
violenza della Legge 6/2004.
Sono la figlia di una signora di 81 anni affetta da deterioramento
cognitivo avanzato, ricoverata presso una struttura convenzionata
e soggetta ad ADS dal 2013.
Mia madre soffre di allucinazioni e delirio sin dall’insorgenza della
sua malattia neurodegenerativa, negli anni è stato redatto specifico
piano terapeutico per la sua persona, da uno psichiatra del CSM
prima e poi da un neurologo del SSN, presso l’ospedale, che però
dal 2017 è andato in pensione.
Da allora la dose di psicofarmaco è stata progressivamente ridotta
dal medico di medicina generale (MMG) che collabora con la
struttura per tutti gli ospiti paganti. Ciò ha comportato una
recrudescenza del delirio in mia madre che sembra immersa in
una trance dolorosa, dove piange e si dispera e si lamenta per ore,
non riesco ad interagire con lei se non con grande fatica a causa
della sua totale assenza dalla realtà circostante.
Ho provato a segnalare il problema agli infermieri diverse volte, ma
loro si rifiutano di parlarmi o negano che il problema esista. Ho
quindi richiesto di far fare una visita specialistica a mia madre con
spesa a mio carico, nulla si è risolto però: la geriatra (da me scelta
su indicazione di altri familiari e alla quale avevo delineato
precisamente le mie perplessità) venuta a visitare mia madre in
11. 6
struttura dichiara, al contrario di quanto mi aveva assicurato al
telefono precedentemente, che non si sentiva di poter cambiare o
alterare in alcun modo la terapia prescritta dal MMG, limitandosi a
redigere una relazione del tutto vaga e di valutazione molto
superficiale, addebitando le lamentele e il pianto di mia madre a
una generica “richiesta di aiuto” tipica dei malati di quella malattia
neurodegenerativa.
Recentemente ho chiesto nuovamente all’ADS di poterle far fare
una visita specialistica, questa volta da parte di uno psichiatra
esperto, ma l’ADS mi ha scritto:
• di non sapere nulla della sofferenza di mia madre (la stessa
dell’anno scorso) visto che i sanitari della struttura non lo hanno
informato di nulla al riguardo (ma il problema è lo stesso dell’anno
scorso);
• di poter autorizzare la visita solo se presente anche mio fratello.
Specifico che detto ADS, così come il giudice tutelare, è ben a
conoscenza della violenza e dell’aggressività sistematica di cui
sono stata fatta oggetto da parte di mio fratello. Nel 2017 è stato
precluso a tutti i famigliari il contatto con i sanitari della struttura,
provvedimento scaturito dalla rinuncia di mio fratello alla potestà
sanitaria su nostra madre. Il giudice tutelare l’ha accolta senza
esitazione ma ha anche escluso tutti gli altri famigliari da questo
diritto, me compresa.
Questo allontanamento ha sicuramente portato gravi conseguenze
allo stato di mia madre, la continuativa frequentazione quotidiana
con lei mi ha reso una brava interprete delle sue esigenze e poi io
conosco il suo trascorso medico, potrei dare notizie utili a chi si
prende cura di lei in questo momento. Come può essere che il
Giudice Tutelare a questo non dia importanza?
Se chiedo delle visite specialistiche a mie spese continuano a
impormi come condizione preliminare la presenza di mio fratello,
12. 7
eppure le spese rimarrebbero a mio totale carico, mio fratello non
vuole contribuire in nulla per la sua congiunta. Per rimediare a
questo ho anche più volte proposto di recapitare a lui il certificato
finale di visita.
Non solo mi è stata preclusa la potestà sanitaria, mi sono stati
vietati dal giudice anche i rapporti puramente conoscitivi sulle
condizioni di salute di mia madre, questo perché l’ADS gli ha
riportato che la sottoscritta non aveva fatto “del suo meglio per
andare d’accordo con la struttura”, non menzionando quindi tutti i
problemi che la struttura stessa aveva causato a mia madre e che
sono stati puntualmente da me segnalati allo stesso ADS. Ciò
comporta che se mia madre sta male, se viene portata in
ospedale, nessuno mi dice ciò che è successo. Questo trattamento
è stato voluto per me dai dirigenti della struttura e dall'ADS di mia
madre, ratificato e approvato dal giudice tutelare, senza nessuna
possibilità di replica o di difesa della mia persona. Tale
atteggiamento psicologico e morale proviene inoltre da dirigenti
strettamente osservanti della fede cattolica, essendo la struttura di
proprietà della Curia territoriale.
Le mie istanze al tribunale, per l’ADS, non hanno avuto alcuna
risposta né è di mia conoscenza se siano effettivamente
pervenute all’attuale GT. Questa mancanza di segnali, di
comunicazione tra Istituzioni e cittadini immagino sia un
comportamento solito, passa per normale e non mi sembra giusto.
F.B.
La storia psichiatrica di mio fratello, inizia nel 1999 con il primo
ricovero in psichiatria. Seguono altri ricoveri negli anni fino a che
13. 8
nel 2003, viene inserito in una comunità C.R.T. per circa un anno
per poi fare ritorno a casa. La diagnosi è schizofrenia (uditore di
voci). La stessa identica terapia per tipologia e quantità, all’uscita
della comunità, verrà protratta in tutti gli anni a venire, fino al 2020
(antipsicotici, antidepressivi, ansiolitici). Un anno dopo
quell’evento, nel 2004, decido di distaccarmi dalla famiglia ed inizio
una convivenza, ancora attuale, con la mia compagna, a circa 30
km di distanza, in altra provincia adiacente. Mantengo negli anni i
rapporti con la famiglia. Arriviamo al 2017, anno in cui entrambi i
nostri genitori si ammalano di cancro e decedono pochi mesi dopo,
a cavallo tra il 2017 e 2018. Fin dall’inizio del decorso dei nostri
genitori, mi occupo di mamma, papà e mio fratello. Dopo i primi
mesi di malattia, decido volontariamente di dimettermi dall’azienda
per quale lavoravo, con ruolo tra l’altro cardine per l’attività. Prendo
questa decisione in quanto iniziavano ad essere numerosi i ricoveri
in emergenza dei nostri genitori e per poter seguire più da vicino
mio fratello. Contestualmente inizio a prendere rapporti anche con
il CPS di mio fratello, sostituendomi in toto ai miei genitori.
A giugno 2018, si chiudono le 2 successioni per decesso dei nostri
genitori ed io e mio fratello, ereditiamo tutto al 50% non essendoci
testamento specifico. Ereditiamo sia immobili, sia una consistente
liquidità economica, sempre al 50%. Tra gli immobili ereditati, vi è
una casa sfitta da anni, in condizioni vetuste, un piccolo negozietto
in affitto ed un bilocale in affitto. Anche la casa dei nostri genitori
diviene di nostra proprietà al 50% tra me e mio fratello.
Appartamento che viene utilizzato esclusivamente da lui (quindi
non 1° casa per il sottoscritto). Decido quindi come priorità, di poter
mettere almeno in vendita l’immobile sfitto decadente, onde evitare
inutili spese in quanto impossibile da mettere a reddito. Per fare
ciò, decido di chiedere una procura semplice per agevolare un
domani mio fratello, nelle pratiche notarili in quanto mio fratello,
può spostarsi autonomamente solo entro un tot di km
14. 9
dall’abitazione dei nostri defunti genitori mentre per giungere in
posti nuovi, preferisce almeno le prime volte, avere la sicurezza
della mia presenza.
Tuttavia, pur avendo trovato nel frattempo un acquirente pronto ad
acquistare e rogitare tale immobile, non abbiamo più notizie dal
notaio che doveva rogitare. Mi contatta il notaio qualche settimana
seguente, comunicandomi che, dopo essersi confrontata con la
psichiatra del CPS che segue mio fratello, mi informa che non può
più rogitare. Per rogitare, occorre che io chieda ad un tribunale di
poter diventare ADS di mio fratello.
Tra l’altro contestualmente, la psichiatra storica di mio fratello che
lo aveva seguito per 20 anni, decide di non tenerlo più in carico
dopo che il sottoscritto ha effettuato poche settimane prima un
incontro specifico con tale dottoressa per parlare espressamente
della possibilità di un percorso alternativo al CPS, con altri medici,
volto ad una dismissione graduale delle terapie farmacologiche fin
dove possibile e a determinate condizioni (avvicinamento di mio
fratello al sottoscritto). Tale possibilità viene espressamente
negata e secondo il parere del CPS, mio fratello dovrà continuare
ad assumere a vita le terapie prescritte valutando come
assolutamente non attuabile, una riduzione nel tempo degli
psicofarmaci, per tipologia e quantità.
A dicembre 2018, giungono quindi in tribunale, le pratiche per
diventare ADS di mio fratello e a gennaio 2019, abbiamo la 1°
udienza con il GT In occasione dell’udienza, dichiaro in modo del
tutto trasparente al giudice che:
1) Dei 2 affitti che percepiamo, il 50% destinato a mio fratello è
stato trattenuto dal sottoscritto diversi mesi dopo la chiusura delle
successioni (antecedentemente infatti, utilizzo tutta la mia
liquidazione dalla dimissioni lavorative), in virtù di un accordo tra
me e mio fratello in quanto, quest’ultimo gode in via del tutto
esclusiva dell’appartamento dei nostri genitori (mentre io, pago
15. 10
l’affitto con la mia compagna nell’immobile dove risediamo). Per
me inoltre, l’appartamento dove vive mio fratello, non è prima casa
e quindi mi sono ritrovato a pagare unicamente l’IMU (tra l’altro
molto elevata) su tale immobile. Inoltre, pur avendone diritto, non
ho mai chiesto alcuna indennità di locazione a mio fratello per
l’utilizzo esclusivo dell’appartamento dei genitori defunti
nonostante fosse in comproprietà al 50%.
2) A dimostrazione della mia totale trasparenza e buona fede nei
confronti di mio fratello, riferisco al giudice che nonostante io
incassi il 50% degli affitti di mio fratello, per me tutto ciò è
comunque una perdita economica perché il mio stipendio, pre-
dimissioni l’anno precedente, era ben più consistente rispetto la
cifra totale incassata dagli affitti.
3) Informo il giudice del motivo esclusivo per richiedere di essere
nominato ADS di mio fratello, ovvero poter vendere l’immobile
sfitto vetusto come da richiesta del notaio ed un domani, poter
trovare una soluzione abitativa per mio fratello più vicina a me e
alla mia compagna, anche perché la zia che abita sotto casa di mio
fratello, non gradisce la sua presenza. Quindi, vendere in futuro
anche l’appartamento dei nostri genitori dove vive mio fratello per
poter comprare un nuovo immobile vicino alla mia residenza.
Questa soluzione comunque, da verificarne la fattibilità nei modi e
nei tempi più opportuni per mio fratello, dato che lui ha sempre
vissuto con i nostri genitori. Per nessun altro motivo, richiedo di
diventare ADS di mio fratello in quanto lui conserva diverse
autonomie.
Mio fratello in udienza, alla domanda del giudice riguardo la sua
volontà di un possibile trasferimento abitativo più vicino al
sottoscritto (o in convivenza previo acquisto di adeguato immobile)
risponde che “ci devo pensare, al momento non sono sicuro di
trasferirmi”, come normale che sia e in diritto di qualunque
persona, prendersi del tempo prima di fare una scelta simile.
16. 11
Passano alcuni mesi in attesa del decreto di nomina e a mia
sorpresa, viene nominato come ADS di mio fratello, un
commercialista con poteri unicamente amministrativi per gli atti di
straordinaria amministrazione mentre per le scelte terapeutiche,
tali decisioni rimangono totalmente in carico al beneficiario. Il GT in
decreto dichiara che l’incasso del 50% degli affitti, è contrario agli
interessi del beneficiario ed inoltre, rilevando in udienza che mio
fratello non era sicuro di trasferirsi, interpreta la mia
ipotesi/suggerimento di valutare in futuro il trasferimento di mio
fratello come una forzatura nei suoi confronti adducendo quindi,
che il mio comportamento, è inadeguato agli interessi e alle
volontà del beneficiario. A mio fratello viene quindi limitato l’uso del
suo conto corrente tramite una tessera che può essere ricaricata
unicamente dall’ADS cosa che prima non aveva in quanto lui ha
sempre avuto un suo bancomat gestito da lui in totale autonomia e
mai in passato, anche in presenza dei genitori, ha utilizzato il suo
denaro in maniera sconsiderata.
Nel corso di tutto il 2019, nonostante la nomina esterna di un ADS,
continuo ad occuparmi di mio fratello. Tutte le settimane, lo porto 2
volte a settimana presso la mia residenza per fare assieme dei
lavori di artigianato che a lui piacciono, facendo circa 200 km ogni
settimana, per tutto il 2019. Questo in virtù del fatto, di aver chiesto
che mio fratello, non frequentasse più una cooperativa che
frequentava nel 2018 a causa di alcuni spiacevoli episodi che
riportava al sottoscritto. Inoltre, propongo questa soluzione anche
per iniziare ad abituare mio fratello ad allontanarsi da casa sua,
viste le sue note storiche difficoltà a raggiungere e frequentare
luoghi e persone a lui poco conosciuti, distanti da casa. Tutto ciò,
dopo le prime iniziali difficoltà, avviene in maniera del tutto naturale
per mio fratello tant’è che nel 2019, effettua con la mia presenza
oltre 100 trasferimenti dalla sua residenza a casa mia, per fare
17. 12
questi lavori d’artigianato nel box del garage condominiale dove
vivo.
Tralascio il dettaglio dei primi colloqui avvenuti tra il sottoscritto, la
mia compagna ed il 1° ADS colloqui in cui in modo del tutto palese,
l’ADS si pone nei miei confronti in modo molto provocatorio,
cercando il più possibile di distaccare la mia presenza e i miei
interventi nella vita e quotidianità di mio fratello. Da sottolineare
che da inizio 2019 fino a maggio 2019, riesco con molta fatica a
trovare uno psichiatra privato ed uno psicologo che dichiarano di
potersi prendere in carico mio fratello anche in seguito ad un
ipotetico trasferimento e che soprattutto, sono disposti a valutare
positivamente un percorso mirato ad una possibile graduale
riduzione delle terapie farmacologiche nel tempo, a differenza del
CPS, come da volontà espressa più volte negli anni da mio fratello
in famiglia. Difatti, nel corso dei primi mesi del 2019, i due
professionisti privati effettuano diverse sedute di psicoterapia
domiciliari con mio fratello e addirittura nell’ultima occasione, prima
della nomina dell’ADS, mio fratello effettua anche una seduta di
psicoterapia direttamente in studio da uno dei 2 professionisti, a
molti KM di distanza da casa sua, questo a dimostrazione della
capacità di mio fratello di allontanarsi anche molto da casa e di
affrontare nuove sfide nella vita, con il mio supporto.
Tuttavia, nel 1° incontro fra mio fratello e l’ADS, l’ADS prova a
indebolire la convinzione di mio fratello nel proseguire il percorso
privato terapeutico che stavamo costruendo da alcuni mesi in
accordo e fuori dal CPS, uscendo in tal modo dalle funzioni che
per decreto gli spettano. Dice che sono troppo costosi i medici che
abbiamo trovato e che il CPS è più vicino e comodo da
raggiungere. Il percorso terapeutico privato di mio fratello viene di
fatto, interrotto bruscamente dall’ADS non conoscendo inoltre
minimamente, cosa era stato fatto negli anni passati ed i risultati
invece ottenuti grazie alla mia costante presenza e a quella della
18. 13
mia compagna. Tutto ciò in occasione del suo primissimo incontro
con mio fratello.
Arriviamo ad ottobre 2019, mese in cui il 1° ADS di dimette
volontariamente dal suo incarico in quanto mio fratello, nel corso
dei mesi del 2019 in ambito ADS, decide volontariamente di fare
questo passo, ovvero di trasferirsi in convivenza con il sottoscritto
e la compagna in adeguato immobile da acquistare o in immobile
del tipo villetta a schiera. Comunica quindi in totale autonomia al
CPS, al SIL e all’ADS, la sua intenzione di trasferirsi vicino a me e
alla mia compagna.
Le dimissioni di questo 1° ADS, vengono giustificate dallo stesso
“a causa di problemi famigliari e lavorativi” proprio quando avrebbe
invece dovuto iniziare ad adempiere al suo lavoro di ADS.
Io e il mio avvocato tuttavia, non sappiamo nulla delle dimissioni
dell’ADS ad ottobre 2019 infatti veniamo informati dallo stesso
ADS che il giudice tutelare, fisserà un udienza per decidere il da
farsi in merito al trasferimento ma ciò non corrisponde al vero. Solo
dopo un accesso del mio avvocato al fascicolo cartaceo in
cancelleria a dicembre 2019 (nel fascicolo telematico non vengono
spesso riportati gli allegati in PDF dei provvedimenti e
comunicazioni del GT e ADS), scopriamo che l’ADS si è dimesso,
che il giudice non ha mai voluto fissare un’udienza e che
soprattutto lo stesso ADS, come da richiesta specifica del giudice,
comunica a quest’ultimo di “non essere a conoscenza di alcun
eventuale percorso psicoterapeutico post trasferimento” quando
invece aveva in mano ben 3 relazioni mediche dei nostri
professionisti privati nelle quali si spiegava appunto, la loro futura
presa in carico di mio fratello e cosa avrebbero fatto dal punto di
vista farmacologico, psico-sociale, lavorativo, famigliare. Inoltre lo
stesso ADS, aveva conosciuto di persona lo psichiatra privato su
richiesta del sottoscritto in occasione di un meeting richiesto da
me, direttamente in CPS. Inoltre, conosceva perfettamente cosa
19. 14
aveva fatto anche lo psicologo privato e cosa avrebbe fatto post
trasferimento.
Accedendo a dicembre 2019 al fascicolo cartaceo, scopriamo che
il giudice nel frattempo, nomina un nuovo amministratore di
sostegno (un avvocato), il tutto a insaputa del sottoscritto, del mio
avvocato e di mio fratello. Il nuovo ADS, diviene effettivamente
operativo solo dopo i giorni seguenti l’epifania 2020. Nel frattempo,
chiede al tribunale un preventivo di rimborso di equo indennizzo di
800€ per l’anno 2019, cifra a parere del sottoscritto spropositata in
quanto lo stesso ADS, non aveva nemmeno ancora gli accessi al
c/c dell’amministrato, gestito ancora a tutti gli effetti, dal
precedente dimissionario ADS, né aveva gestito minimamente
alcun aspetto burocratico da adempiere ne confronti di mio fratello
tale da giustificare per l’anno 2019, una richiesta di tale portata.
Con il mio avvocato, continuiamo a fare istanze su istanze, sia per
chiedere urgentemente udienza sia per mettere in rilievo i fatti
trascorsi incongruenti con quanto comunicato dagli ADS ma il
tribunale non risponde alle nostre richieste di riceverci a udienza
né approfondisce il lavoro svolto dagli ADS offrendoci un
contraddittorio, né approfondendo la situazione in ambito sanitario
in relazione a CPS, medici privati e famigliari. I rapporti avvengono
sostanzialmente fra tribunale, ADS e CPS.
Arriviamo ai primi giorni di febbraio 2020, pochi giorni prima che
scoppiasse ufficialmente la pandemia covid-19 il Italia con le prime
restrizioni sociali/sanitarie. Da evidenziare che nel corso dell’anno
precedente, nel 2019, si erano inoltre verificati dei fatti spiacevoli
tra la badante di mio fratello (assunta per cucinare e pulire casa 3
ore al giorno). Fatti riguardanti non solo puramente il modo di
gestire la casa da parte della signora ma anche dei rapporti tra la
badante e mio fratello, palesemente a parere del sottoscritto, nel
condizionarlo psicologicamente per evitare di trasferirsi
(salvaguardando così il suo posto di lavoro). Il sottoscritto nel 2019
20. 15
e 2020, segnala al tribunale e agli ADS, l’urgenza di sostituire
quella persona ma anche in questo caso, sia il tribunale sia gli
ADS, ritengono le nostre richieste infondate e di poco conto pur
avendole dimostrate come reali, nei fatti, con tanto di prove
fotografiche. Propongo così a mio fratello i primi giorni di febbraio,
di trasferirsi a casa nostra per una prova di convivenza dato che né
il tribunale, né gli ADS, né il CPS, né la badante agevolano in
alcun modo questo passaggio. Decisione volta a dare un segnale
forte al tribunale, per farmi ricevere almeno in udienza dal GT ed
anche per salvaguardare mio fratello dalla situazione che si era
creata a casa sua con la badante, in evidenti rapporti di fiducia con
l’ADS.
Mio fratello il giorno stesso della proposta, si trasferisce da noi. Per
questo trasferimento, il GT segnala prontamente alla Procura della
Repubblica questo fatto per accertare eventuali provvedimenti di
penale rilevanza nei miei confronti. Il motivo di questo
provvedimento da parte del giudice risulta agli atti come “un
trasferimento coercitivo e illegittimo su iniziativa del fratello in
quanto il CPS dichiara nell’ultima relazione clinica che, nel caso
mio fratello si trasferisse dal sottoscritto, potrebbe avere
potenzialmente rilevanti scompensi psichici per fobie da
allontanamento dal suo abituale luogo di residenza” aspetto
ampiamente non veritiero in quanto nel corso del 2019, mio fratello
ha frequentato e conosciuto spesse volte, la città e la residenza
dove vivo, come già descritto addietro in questo documento.
Tale provvedimento del GT ci perviene pochi giorni l’inizio della
convivenza provvisoria (bilocale condominiale). A quel punto,
capisco che non ci sono più speranze per un futuro definitivo
trasferimento di mio fratello né per una possibile futura dismissione
graduale delle terapie farmacologiche come era in progetto di fare
al trasferimento, a determinate condizioni, con i medici privati.
Propongo quindi di sfruttare tale situazione di trasferimento
21. 16
temporanea, per iniziare in autonomia con mio fratello, a ridurre
gradualmente le terapie farmacologiche.
Dismissione parziale che avverrà per un totale del 50% circa
rispetto le quantità della terapia abituale, nel corso dei 3 mesi di
convivenza, durante i quali mio fratello non solo migliora in modo
evidente la sua situazione psico-emotiva ma anche fisica (registro
a tal proposito, diversi video di vita quotidiana facendoli visionare
anche all’ADS). Difatti mio fratello, fino ad una settimana prima del
suo rientro a casa dei genitori, dopo 3 mesi di convivenza, diventa
anche completamente autonomo in alcuni spostamenti, senza il
supporto della mia presenza.
Tuttavia dopo 3 mesi di convivenza, mio fratello mi comunica di
voler rientrare a casa sua in quanto preferirebbe come giusto e
normale che sia, avere una casa sua e degli spazi tutti suoi in
quanto non riesce ad adattarsi ad alcune situazioni di convivenza
con la mia compagna, di condivisione degli spazi comuni (non ha
una sua camera da letto, dorme sul divano letto in sala), routine e
situazione di vita che mai aveva affrontato prima, se non con il
sottoscritto.
Anche in questi 3 mesi, il GT richiede all’ADS di relazionare in
merito alla situazione di convivenza ma l’ADS non effettua
addirittura alcuna telefonata al suo amministrato di sua iniziativa.
Anzi… gli unici 3 contatti telefonici tra l’amministrato e l’ADS
avvengono su iniziativa di mio fratello, per richiedere la ricarica
della tessera ricaricabile.
Una volta che mio fratello torna a casa sua, lo sento
telefonicamente nei 3 giorni seguenti e vado a trovarlo anche una
volta per sincerarmi che stesse bene, cosa che a tutti gli effetti
noto rilevando che non ci sono particolari problemi di ansia.
8 giorni dopo tuttavia, vengo a conoscenza che mio fratello
richiede all’ADS che vuole assolutamente trasferirsi in quanto si
22. 17
trova a disagio nell’essere rientrato a casa sua e alla fine, riferisce
di trovarsi meglio in compagnia del sottoscritto.
L’ADS ne prende atto, lo comunica al GT. Due giorni dopo,
interviene a domicilio la psichiatra del CPS e mi riferisce
telefonicamente che mio fratello è in uno stato di forte ansia. Gli
viene ripristinata quasi la totalità delle terapie dismesse
parzialmente durante la convivenza, tutte in una volta sola.
La badante, continua a recarsi al domicilio di mio fratello ed il suo
posto di lavoro, è stato mantenuto nel corso dei 3 mesi di
convivenza a casa del sottoscritto.
DA EVIDENZIARE QUANTO SEGUE, IN RIFERIMENTO
ALL’ADS:
Se dovessi riassumere le criticità degli ADS con i quali sono
venuto a contatto:
- non pagavano le utenze della casa intestata a A. o lo facevano
sempre in ritardo rischiando la chiusura di luce/gas
dell’appartamento
- non hanno mai rimborsato la zia che abita sotto casa di A. e che
anticipava le somme dovute da mio fratello per il giardino,
fognatura, luce comune, acqua comune
- al sottoscritto, non hanno mai rimborsato diverse spese,
nonostante fossero di totale competenza di A.; mi è stato
riconosciuto dopo oltre 1 anno solo un parziale rimborso
- Il tribunale ha imposto la tessera ricaricabile ad Andrea, con
ricariche di circa 250/300 euro. Mio fratello ha sempre avuto il suo
bancomat personale senza alcuna limitazione, ed è stato sempre
autonomo in tal senso, e non ha mai creato problemi
dimostrandosi sempre cauto nelle spese. Non capisco perché
abbiano applicato questa misura con lui.
- Il secondo ADS, così come il primo, non risponde mai alle mie e-
mail su argomenti che mi riguardano direttamente avendo in
23. 18
comunione immobili e adempimenti burocratici, spesso da risolvere
urgentemente
- Il tribunale non fa alcun commento né accenno alle relazioni dei
medici privati ma fa unicamente e sempre riferimento, alle relazioni
cliniche del CPS che mai hanno agevolato il mio interesse fraterno
per A.
- Nel fascicolo telematico, risultano approvate dal GT 3 atti di
straordinaria amministrazione tra cui il benestare per la vendita
della casa sfitta in condizioni vetuste, ma io non ho avuto
comunicazione di questo da nessuno, nemmeno da parte dell’ADS
- Tutti gli ADS non si sono mai interessati ai pareri medici dei
professionisti privati, privilegiando di fatto le relazioni cliniche del
pubblico
- Tutti gli ADS sono risultati palesemente impreparati nel gestire un
amministrato con diagnosi psichiatrica, adottando provvedimenti e
iniziative non previste nei loro decreti di nomina.
24. L' OMBUDSMAN PERSONALE (OP) svedese,
un ottimo modello da cui prendere esempio
Dal 1995, la PO-Skåne , un’organizzazione non governativa (ONG) con sede
nella provincia svedese di Skåne, attua convenzioni con i comuni e nelle
aree rurali per fornire un servizio attraverso delle figure professionali
denominate Ombudsman Personali, dei supporter, impiegate esclusivamente
su richiesta degli utenti psichiatrici, i clienti.
Premesso che in Svezia il sistema giuridico relativo alla Tutela prevede
poteri parziali in capo al Tutore il quale decide solo su questioni patrimoniali,
l’ombudsman personale (OP) identifica le esigenze di assistenza dei clienti e
garantisce che ricevano l'aiuto di cui hanno bisogno. Non esiste una legge
specifica a riguardo, l’OP rappresenta una valida alternativa alla figura del
Tutore (chi ha un OP non necessita di un Tutore e la gestione del danaro
avviene in autonomia), infatti attualmente in Svezia questo servizio è stato
adottato in tantissimi Comuni. La maggior parte degli utenti/clienti che negli
anni hanno usufruito di questo servizio (gratuito per gli utenti) ha ridotto, se
non azzerato, i ricoveri, le istituzionalizzazioni, il ricorso alla psichiatria in
generale.
Skåne è la provincia più a sud della Svezia, ha circa un milione e centomila
abitanti. PO-Skåne è una ONG gestita da utenti, ex utenti, sopravvissuti alla
psichiatria e da un’associazione di familiari.
Il sistema con Ombudsman Personale (OP) in favore di utenti psichiatrici è
un’innovazione svedese sviluppatasi in seguito alla riforma psichiatrica del
1995.
Uno dei compiti più importanti di un OP è quello di aiutare i suoi clienti
ad assumere il controllo della propria vita .
Un'altro è quello di richiedere alle autorità pubbliche , l'aiuto e il servizio a cui
hanno diritto i clienti.
Gli OP non hanno alcuna responsabilità sanitaria nè prendono decisioni
come farebbe un’ autorità, essi lavorano per rappresentare il cliente.
Sebbene gli OP siano di solito impiegati formalmente dal Comune, l'attività è
distinta da quella dei servizi sociali .
25. I contratti con i Comuni durano generalmente due anni. Alcuni vengono
rinnovati automaticamente, altri devono essere negoziati per un nuovo
periodo. Gli OP lavorano a tempo pieno e sono pagati dalla PO-Skåne; a sua
volta, il Comune paga PO-Skåne, in base alla convenzione, una somma che
copre gli stipendi degli OP, le spese, la formazione e le spese generali.
Chi è l’OP ?
Un OP è un professionista altamente qualificato che lavora al 100% ed
esclusivamente su commissione dell’utente/cliente. L’OP non ha alcun
legame né con la psichiatria, né con i servizi sociali o altre autorità, né
tantomeno con i familiari del paziente stesso o il suo entourage.
L’OP fa soltanto ciò che il cliente vuole che lui faccia.
Poiché può occorrere molto tempo, a volte anche molti mesi, prima che il
cliente sappia o voglia esprimere quale tipo di aiuto desideri, l’OP deve saper
aspettare, anche se molte questioni possono apparire caotiche e disastrate.
Ciò significa che un OP deve impegnarsi per lungo tempo per i suoi clienti, di
solito per molti anni. Questa è una condizione necessaria per sviluppare una
relazione di fiducia e per poter entrare nell’ambito di questioni più essenziali.
E’ l’esatto opposto di quanto solitamente avviene nei servizi tradizionali dove
il paziente psichiatrico viene inviato da una persona all’altra per tutto il tempo
e, a volte, non ottiene assolutamente alcun aiuto.
In alcune zone della Svezia gli OP sono assunti direttamente dal Comune,
ma ciò causa molti problemi e conflitti d’interesse e rende impossibile all’OP il
contatto con gli utenti psichiatrici che sono sospettosi e ostili verso i
rappresentanti delle autorità.
L’organizzazione del servizio è totalmente controllata dagli utenti membri
della PO-Skane e gli OP lavorano seguendo le linee guida degli utenti.
Alcune di queste linee guida sono:
L’OP lavora per quaranta ore settimanali secondo uno schema flessibile
che adegua in relazione ai desideri dei suoi clienti, l’OP non lavora
soltanto in orario d’ufficio come avviene nella maggior parte degli altri
servizi. La settimana dell’OP ha sette giorni e ogni giorno ha 24 ore. L’OP
deve essere preparato a lavorare anche in queste fasce orarie perché i
problemi dei clienti possono presentarsi a qualsiasi ora.
26. L’OP non ha alcun ufficio, perchè “ufficio è potere”. Egli lavora da casa
propria con l’aiuto del telefono e di internet incontrando i suoi clienti nel
loro domicilio o fuori.
L’OP lavora fondamentalmente secondo un modello relazionale.
Dal momento che molti clienti per diversi motivi sono molto sospettosi,
ostili, o difficili da raggiungere, l’OP deve uscire e incontrarli nei luoghi che
sono soliti frequentare e deve cercare di raggiungerli gradualmente
attraverso vari passi:
1. Realizzazione del contatto 2. Sviluppo della comunicazione, 3.
Costruzione di una relazione 4. Inizio del dialogo 5. Programmazione di
alcuni impegni.
La realizzazione di ognuno di questi passi può richiedere molto tempo.
Entrare in contatto a volte può richiedere alcuni mesi.
Per ottenere un OP attraverso la PO-Skåne non occorre alcuna
procedura formale. Dopo che si è stabilita una relazione l’OP chiede
semplicemente “Mi vuoi come tuo OP ?”, se la risposta è affermativa il
tutto viene sistemato.
L’OP dovrebbe essere capace di supportare il cliente in ogni tipo di
situazione. Le priorità del cliente spesso non sono le stesse che
possono avere le autorità o i familiari. Le priorità dei clienti di solito non
sono una casa o un’occupazione, ma questioni esistenziali (perché
dovrei vivere? Perché la mia vita è diventata la vita di un paziente
psichiatrico? Ho qualche speranza che le cose cambino?), la propria
sessualità e i problemi con i familiari. Un OP deve essere capace di
concedere molto tempo al dialogo con il cliente anche su questo tipo di
questioni e non solo su quelle “pratiche”.
Un OP deve essere ben preparato per tutelare in concreto i diritti dei
clienti di fronte alle autorità o di fronte al tribunale. Tutti gli OP della
PO-Skåne hanno qualche titolo accademico universitario o qualche
altro tipo di formazione similare. La maggior parte di loro ha il diploma
di assistente sociale, altri hanno studiato legge o hanno alle spalle altre
specializzazioni nel campo dei diritti umani.
Il cliente ha il diritto all’anonimato. La PO-Skåne riceve fondi dai
Comuni per il servizio offerto, ma nel contratto c’è scritto chiaramente
che l’OP può rifiutarsi di dire il nome dei loro clienti al Comune.
Il servizio è finanziato per 2/3 dallo Stato e per 1/3 dai Comuni.
27. È stata condotta una ricerca per valutare i risultati del sistema degli OP.
Sono emersi aspetti estremamente positivi, sia sotto il profilo del recupero
personale, sia sotto il profilo economico. In certi casi la situazione è talmente
migliorata dal punto di vista individuale che, non solo sono diminuite le spese
assistenziali, ma si è passati dal ciclo assistenziale a quello produttivo. Il
parlamento svedese ha deciso quindi di estendere a tutta la Svezia il nuovo
sistema.
Maths Jesperson è stato il promotore della PO-Skane , qui di seguito ce ne
parla nel dettaglio :
“Il servizio dell’Ombudsman Personale è diventato famoso in tutto il mondo,
specialmente in relazione alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle
persone con disabilità (CRPD). Esso è iniziato 10 anni prima dell'entrata in
vigore della Convenzione ONU, in un altro contesto, cioè quello
dell'esperienza di noi utenti e sopravvissuti alla psichiatria, e delle nostre idee
sul sostegno di cui sappiamo di aver bisogno in determinate situazioni .
Nel gennaio 2006 ho presentato PO-Skåne nel Quartier Generale delle
Nazioni Unite a New York.
Dato che l'ombudsman personale è un esempio concreto di "processo
decisionale supportato", attualmente c'è un grande interesse per questo
modello e molti paesi stanno considerando la possibilità di abolire i loro
vecchi sistemi di Tutela.
Quando abbiamo iniziato il nostro servizio nel 1995, avevamo solo due OP,
io ero direttore del progetto che è stato l'unico, nell’ambito della riforma
psichiatrica del 1995, che ha avuto successo. Ciò ha portato nel 2000 alla
decisione del Parlamento svedese di sostenere l’inserimento del servizio con
gli OP in tutto il paese .
Attualmente il servizio con OP è stato introdotto anche in Norvegia (Oslo), in
Perù e con grande successo anche in Israele, dove da anni si è addirittura
modificata la normativa nazionale : per tutte le disabilità, prima si prova il
sostegno con l’OP e solo nel caso non funzioni, si sostituisce con il Tutore.
28. Autodeterminazione
Dignità & Diritti
Scelte
Nel 2016 il Comitato ONU per i diritti delle persone con disabilità ha
pubblicato le “Osservazioni Conclusive al primo rapporto
dell’Italia” 1
.
Nella sua relazione il Comitato raccomanda di abrogare tutte le leggi
che permettono sia ai tutori che agli amministratori di sostegno di
sostituirsi ai soggetti interessati nel prendere le decisioni, e di
emanare e attuare provvedimenti per il sostegno al processo
29. decisionale, compresa la formazione dei professionisti che operano
nel sistema giudiziario, sanitario e sociale. Consci del fatto che ci
vorrà del tempo per poter realizzare tutto questo, è su questa linea
che intendiamo procedere. Tra le righe delle norme già esistenti in
Italia e in quelle internazionali, stiamo delineando un modello di
sostegno rispettoso della persona. Come primo passo abbiamo
elaborato una serie di proposte concrete volte ad una riflessione
critica ed a un confronto sull’attuale normativa relativa all’istituto
dell’amministrazione di sostegno. Abbiamo inoltre individuato
nell’Ombudsman Personale (OP) svedese una figura perfettamente in
linea con la CRPD ed è su questo modello che intendiamo focalizzare i
nostri approfondimenti e proposte (la descrizione dettagliata la
trovate nel documento dedicato).
http://www.anffas.net/dld/files/comitato-onu-osservazioni-
conclusive-settembre-2016.pdf
Suggerimenti & Proposte
Eliminazione di ogni riferimento legislativo all'interdizione e
all’inabilitazione dalla normativa relativa all’amministrazione
di sostegno ;
Sostituzione del termine “amministratore di sostegno” con
“supporter personale”(sul modello svedese dell’
Ombudsman Personale OP) ;
Sostituzione della dicitura “menomazione psichica”, con
altro concetto che implichi necessariamente una valutazione
certificabile oggettivamente;
Sostituzione del concetto di “miglior interesse” con quello
di “miglior interpretazione della volontà dell’amministrato”;
Attivare il procedimento innanzitutto dietro richiesta diretta
del soggetto interessato tenendo conto della sua volontà :
uno dei presupposti per l'applicazione dell'amministrazione
30. personale deve essere l'assenza di una manifesta
opposizione dell’amministrando;
Limitazione delle procedure per la nomina dell’amministratore
“provvisorio” ai veri e propri casi “urgenti” documentati,
previa informazione chiara e dettagliata al futuro
amministrato e familiari sul provvedimento che si andrà ad
attivare;
Tenere conto delle salvaguardie previste dall’art.12 della
“Convenzione per i diritti delle Persone con Disabilità” (CRPD)
sulla capacità giuridica delle persone con disabilità, sulle
quali proporzionare il livello di sostegno da parte
dell’amministratore;
Il decreto di nomina dell’amministratore contenga in modo
chiaro tutte le informazioni elencate all’art. 405 della Legge 6/
2004. Di questo decreto si producano copie in numero
sufficiente, nelle mani dell’amministrato e di un congruo
numero di familiari da lui autorizzati, con conferma di
avvenuta presa d’atto all’ufficio dello stato civile e successiva
annotazione, accanto al nome dell’amministrato, di chi è in
possesso delle copie del decreto. Lo stesso avvenga ogni
volta che ci siano modifiche al decreto.
Durante tutte le fasi del procedimento, l’interessato sia
assistito da un difensore di fiducia o d’ufficio.
Conseguentemente, che non si possa pronunziare la nomina
dell'amministratore senza che si sia proceduto (da parte del
Giudice ) all'esame dell’amministrando in presenza
dell’avvocato difensore (anche recandosi, ove occorra, nel
luogo ove l’amministrando si trova);
Il Giudice può in questo esame farsi assistere da consulenti
tecnici ai quali il difensore può contrapporre consulenti di
parte. Può anche d'ufficio disporre i mezzi istruttori utili ai fini
del giudizio, interrogare i parenti prossimi dell’amministrando e
assumere le necessarie informazioni;
Il Giudice può, quando ricorrano gravi motivi, in ogni tempo,
modificare o integrare le decisioni assunte con la
sentenza di nomina dell’amministratore, ma si dovrà prevedere
che l’amministrato venga informato e coinvolto
personalmente in tutte le fasi successive all’attivazione
31. dell’amministrazione (per es. in caso di istanza di sostituzione,
revoca o altro);
Formazione dei familiari di persone con limitazioni
dell’autonomia decisionale sugli strumenti atti a sostenere il
loro impegno a favore dell’amministrato;
Informare gli amministrati e familiari sulle modalità e
procedure di presentazione di istanza di sostituzione o
revoca dell’amministratore e di reclamo alla corte d'appello
contro il decreto del Giudice;
Possibilità sia per l’amministrato che per i familiari di poter
conferire, comunicare e formulare istanze al Giudice
Tutelare, senza dover necessariamente rivolgersi ad un
legale;
L'amministratore, anche quando trattasi di un familiare, deve
tempestivamente informare l’amministrato, in maniera
documentabile, circa gli atti ordinari e non ordinari da
compiere, nonchè il Giudice in caso di dissenso con
l'amministrato stesso;
Nel caso in cui l’amministrato abbia redatto e depositato le
proprie “Disposizioni anticipate di trattamento” (D.A.T.) se ne
dovrà chiaramente tener conto.
In assenza di D.A.T., in via generale, la decisione sul “se” e
“come” curarsi spetta all’amministrato. Accade spesso che nel
decreto di nomina siano stati conferiti all’amministratore
compiti e prerogative inerenti alle decisioni in materia
sanitaria, che spaziano dall’assistenza necessaria sino alla
rappresentanza esclusiva, a seconda dell’ estensione dei
suoi poteri. In questi casi, secondo la Legge n.219 del 2017,
art.3 comma 4 (Norme in materia di consenso informato e di
disposizioni anticipate di trattamento) «il consenso informato
è espresso o rifiutato anche dall’amministratore di sostegno
o solo da quest’ultimo, tenendo conto della volontà del
beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di
intendere e di volere» .
Si raccomanda quindi che, nei decreti in cui si conferiscono
così “ampi poteri” all’amministratore, vi sia l’indicazione
esplicita che il suo compito sia quello di sostenere le
decisioni e le scelte dell’amministrato e non di sostituirsi a
32. lui/lei. In via generale, costituiranno eccezione solo ed
esclusivamente le situazioni in cui sia del tutto impossibile,
da parte dell’amministrato, poter manifestare ed esprimere
la propria volontà. Tale impossibilità dovrà obbligatoriamente
essere dimostrata attraverso esami clinici e/o diagnostici
oggettivi ( per es. in soggetti affetti da morbo di Alzheimer ,
demenza senile in stadio avanzato, ictus, coma, ecc.), allorchè
si sia invano effettuato ogni tentativo di comunicazione,
anche in ambito di comunicazione aumentativa-alternativa.
o In ipotesi di trattamento sanitario obbligatorio (T.S.O.),
l’amministratore non può in nessun caso richiedere, in
nome e per conto dell’amministrato, il ricovero in regime
volontario, né la protrazione dello stesso presso la stessa
struttura ovvero altra extra-ospedaliera, prestando
all’uopo il proprio consenso.
I responsabili a livello dirigenziale dei servizi sanitari e sociali
direttamente impegnati nella cura e assistenza a della
persona, hanno la facoltà di proporre l’attivazione
dell’amministrazione di sostegno ma non l’obbligo o dovere;
Gli operatori dei servizi pubblici o privati che hanno in cura o in
carico l'amministrato, non possono ricoprire le funzioni di
amministratore e neppure persone a loro collegate da
interessi comuni, o da loro indicate ;
Limitazione ad un massimo di due del numero degli
amministrati per un singolo amministratore;
Il Tribunale si doti di strutture, procedimenti agili e personale
sufficienti al controllo e verifica effettiva di tutti gli atti di
protezione emanati ;
Monitoraggio dell’operato dell’amministratore in merito
all’esecuzione della miglior interpretazione della volontà
dell’assistito da parte del Giudice in collaborazione con le
organizzazioni del 3° settore impegnate nella difesa dei diritti
degli amministrati;
Pubblicazione da parte di tutti i tribunali di dati analitici sulle
amministrazioni (numero degli amministratori, suddividendoli
tra familiari e professionisti, tipologia dei professionisti), in
modo da permettere un monitoraggio da parte di Uffici già
33. esistenti, coinvolgendo le varie associazioni impegnate nel
campo della tutela dei diritti e tenendo sotto osservazione il
fenomeno che riguarda migliaia di persone;
Formazione degli amministratori sugli strumenti atti a
sostenere il loro impegno a svolgere tale funzione con la
minore limitazione possibile della capacità di agire
dell’amministrato e nel rispetto della sua facoltà di compiere gli
atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita
quotidiana, bisogni, richieste e aspirazioni, anche per gli
assistiti con capacità di comunicazione ridotte o assenti
(comunicazione aumentativa-alternativa);
Percorso formativo per i soggetti del 3° settore impegnati
nella difesa e nella rappresentanza di persone prive in tutto o
in parte di autonomia;
Istituzione di elenchi (anche in raccordo con gli uffici dei
Giudici Tutelari) ai quali possano iscriversi le persone
disponibili ad assumere l'incarico di amministratore, da cui
selezionarli esclusivamente in mancanza dei soggetti previsti
dalla legge (art. 408, Legge 6/ 2004);
Presentazione di più rendiconti al Giudice durante l’anno
(ogni tre mesi) e dotazione ad ogni tribunale di personale che
sia di supporto ai giudici stessi (la mole di lavoro è enorme);
Formulazione di un tabellario/tariffario nazionale indicante le
commissioni, di routine e straordinarie, proprie all’ufficio di
amministratore, tariffario grazie al quale l’amministratore
rendiconterà ogni trimestre, insieme al suo operato e
all’andamento del rapporto con l’amministrato, l’ammontare del
rimborso spese dovutogli. Il rimborso non derivi dal
patrimonio dell’amministrato e/o dei suoi familiari ma dalle
Casse Pubbliche.
Destinatari delle proposte :
Membri della Commissione Giustizia di Camera e Senato
Ministero della Giustizia
Presidente della Repubblica
Gruppi parlamentari
Gruppi dei Consigli Regionali
Consiglio Superiore della Magistratura
34.
35. Raccomandazioni
Tutte le forme imposte di sostituzione nei processi decisionali
andrebbero eliminate e di conseguenza ciò comporterebbe
l’abolizione degli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione.
Si raccomandano figure di riferimento sul modello svedese
dell’Ombudsman Personale, che non si sostituiscano alla
persona nell’espressione della sua volontà, scelte e decisioni,
ma che, in conformità alle raccomandazioni rivolte all’Italia
nella Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità
(CRPD), pongano al centro la persona umana, la sua volontà
e le sue preferenze. In tale ottica, si raccomanda la revisione
dell’amministrazione di sostegno nelle residuali ipotesi di
effetti incapacitanti collegati alla massima estensione
dell’istituto e di superamento della volontà dell’amministrato (v.
designazione coatta dell’amministratore).
36. Si raccomanda vivamente di affrontare le problematiche
legate all’emanazione di decreti in cui siano stati conferiti
all’amministratore compiti e prerogative inerenti alle decisioni
in materia sanitaria, concetti sanciti nella Legge n.219 del
2017, art.3 comma 4 (Norme in materia di consenso informato
e di disposizioni anticipate di trattamento).
Occorre definire una normativa che assicuri e disciplini
l’accesso alle misure di supporto per il processo decisionale
autonomo nell’esercizio della capacità giuridica.
Tali misure devono garantire alle persone con disabilità più
opzioni di assistenza nei processi decisionali e devono essere
dirette a promuovere l’autonomia e a favorire la
determinazione di decisioni che rispondano alle preferenze
della persona. Come raccomandato nella CRPD, occorre
assicurare e promuovere la formazione di professionisti in
materia di giustizia, salute e settore sociale per quanto
concerne la fornitura dei supporti.
Si dovrebbe dunque intervenire in tale settore rafforzando la
rete di supporto nei processi decisionali attraverso figure
professionali e familiari che abbiano un’adeguata
preparazione per svolgere un ruolo che non si limita alla mera
amministrazione del patrimonio della persona assistita, ma
metta al centro la volontà e le preferenze dell’individuo in
conformità a quanto indicato nella CRPD.
A tal fine potrebbe essere utile elaborare delle linee guida
idonee a facilitare la comprensione della varietà dei supporti e
a promuovere il loro utilizzo .
Il Comitato della CRPD ha sottolineato l’obbligo degli Stati di
consultare e coinvolgere attivamente le persone con
disabilità attraverso le loro organizzazioni rappresentative,
nella definizione e nell’esecuzione della normativa e delle
politiche relativi all’attuazione dell’art. 12 della Convezione.
37. Approfondimenti
Documenti
A New Profession is
Born pdf.pdf
Good practices on
supported decision making.pdf
International Guide
on different laws about Guardianship and others models.pdf
Testo_della_legge_n
__6_del_2004.pdf
ADS Germania.pdf
ADS ist sost senza
nome tribunale.pdf
comitato-onu-osserv
azioni-conclusive-settembre-2016.pdf
Dossier Abusi ADS La
Voce di Trieste 2013.pdf
Riferimenti legislativi
https://www.camera.it/parlam/leggi/04006l.htm
https://www.esteri.it/mae/resource/doc/2016/07/c_01_convenzione_onu_ita.pdf
39. Contatti
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