1. “Spesso il necrofilo – e con la parola necrofilo indico non certo la perversione sessuale ma,
secondo le indicazioni di Fromm ne “La psicanalisi dell’amore”, l’istinto di morte che
uccide la voglia di vivere – si riconosce da una mania fobica per la pulizia: lo vedi con lo
straccetto imbevuto d’alcol che sterilizza dovunque si poggi. Non è una sana attenzione
all’igiene, ma il terrore di qualsiasi contaminazione: difficilmente vi stringe la mano e, se lo
fa, poi va di corsa a disinfettarsi. D’altronde in obitorio tutto è asettico.
Il necrofilo amministrativo, che di questa sindrome è un caso di specie interessante, si
riconosce invece dalla costante paura della responsabilità e dal tentativo di sterilizzare
qualsiasi scelta facendola diventare un adempimento obbligatorio, dettato da leggi
eteronome, che svincoli il vertice amministrativo da qualsiasi contaminazione.
Il necrofilo amministrativo aborre, quindi, qualsiasi scelta soggettiva, qualsiasi attribuzione
di valore che non derivi da un algoritmo, nella gestione delle persone preferisce gli
avanzamenti automatici, alla scelta di chi promuovere basata sull’intuitu personae, si
trova a proprio agio tra la ceralacca e i bizantinismi delle gare piuttosto che nell’impegno
della valutazione, pulisce con cura qualsiasi atto amministrativo dall’impura presenza di
un rischio.
Il necrofilo amministrativo vive bene tra i tagli lineari, con l’ossessione continua della spesa
che vede sempre come un costo e mai come un investimento, odia pensare ai risultati e
alla missione della sua amministrazione che percepisce come astorica e quindi
svincolata dal tempo e dai bisogni; non sa immaginare modi per risolvere problemi reali,
ma solo per portare avanti atti e pratiche, ampliando, se può e gliene si dà spazio, il
corpus normativo che per lui non è mai troppo dettagliato, mai completamente
esauriente. Non guarda fuori dal suo palazzo, considera proibito tutto quello che non è
esplicitamente contemplato da qualche articolo di legge
Il necrofilo amministrativo pensa di vivere in un mondo sporco e malato, vede pericoli
ovunque, il suo terrore maggiore è essere coinvolto: il suo campo d’azione parte dal
guardarsi le spalle. Le sue leggi preferite sono la vecchia 626 sulla sicurezza con i suoi
infiniti adempimenti, il codice della privacy con le sue firmette salvagente, la normativa
anticorruzione e addendi vari, con i suoi infiniti piani e le sue dettagliate istruzioni per
evitare qualsiasi scelta responsabile (che non vuol dire arbitraria, ma che è quella che dà
tra l’altro un senso agli stipendi dei dirigenti che, se non possono più scegliere nulla
perché tutto è normato, o si suicidano o accettano di mangiare pane a ufo).
Ha del tutto torto? Non esiste forse uno stato di corruzione tale da dargli ragione? La
finanza pubblica non ci chiede risparmi “ad ogni costo”? Non siamo tutti così indignati da
accettare di rinunciare alla responsabilità in cambio di un po’ di pulizia? Non chiede
questo il paese profondo, la pancia della gente che non ce la fa ad arrivare a fine mese
e vede il consigliere regionale che mette in conto al contribuente le sue cene di lusso, ma
anche le sue caramelle?
Sì. Io credo che abbia torto sia nel metodo sia nella sostanza.
Nel metodo: perché come le grandi società di auditing non hanno visto le più evidenti
truffe finanziarie, come le mille leggi non hanno diminuito la corruzione, così il deprimere la
responsabilità e l’autonomia può alla lunga solo peggiorare il male, non curarlo alla
radice. Perché l’unica cura nasce da dentro le coscienze, nella libertà, nella speranza,
nell’educazione.
Nella sostanza perché con l’ossessione a “non spendere”, cosa del tutto diversa dalla
cura (sottolineo la parola “cura”) a spendere bene, e con la bulimia normativa ottiene
esattamente quello che un necrofilo vuole: uccidere l’amministrazione, trasformarla in
cosa inanimata, rendendo impossibile la soluzione dei problemi reali, impedendo una
riflessione coraggiosa sulla stessa geografia delle istituzioni e delle organizzazioni che si
rifaccia sempre ai perché politici, alla costruzione del valore pubblico, alla crescita del
capitale sociale e del benessere equo e sostenibile.
2. Certo la mia descrizione è paradossale e volutamente stereotipica, ma ne conosco
parecchi, e potrei dare molti nomi e cognomi a questi necrofili.
Noi non abbiamo bisogno di necrofili, ma di biofili nella nostra amministrazione come
nella nostra politica. Di biofili che aprano porte e finestre e facciano entrare insieme
all’aria pulita anche la cultura della scelta e della responsabilità, l’orgoglio di fare del
proprio meglio anche con un po’ di fantasia e di creatività, il gusto del rischio a costo di
perdere un po’ di sicurezza, l’attenzione alla stella polare che è costituita sempre dai
bisogni che dobbiamo soddisfare e dalla capacità del government di “abilitare
capabilities” per dirla con Amartya Sen, o più semplicemente di mettere in grado cittadini
e imprese di “funzionare”, ossia di raggiungere meglio i fini che essi si sono prefissi.
Il biofilo non è uno sprecone né un fan del “partito della spesa”, ma sa che per ogni soldo
che riceve dal contribuente deve restituire valore e quindi si attrezza e non accetterà mai
di avere, come purtroppo abbiamo, una macchina tutto sommato relativamente
costosa, ferma perché non abbiamo i soldi per la benzina. Una metafora che ahimè
diventa spesso vera in senso letterale, basti pensare alle macchine ferme delle forze
dell’ordine o alla proibizione sostanziale di spostarsi che stanno subendo i lavoratori
pubblici che, nel delirio dell’impedire sprechi, sono murati nei loro uffici come dentro
castelli medievali.
Di biofili ce ne sono numerosi, ne conosco tanti nella nostra PA, ma sono in clandestinità,
rappresentano una cultura subalterna. Forza ragazzi, forziamo la porta, diciamo ad alta
voce che non ne possiamo più e proviamo a cambiare il senso della nostra marcia.”
Proviamo finalmente ad aprire un dibattito e una riflessione di merito su questo
argomento!
Gioia del Colle, 14/11/2013
Il Sindaco
Sergio Povia