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Il persistente divario del Mezzogiorno
Francesco Pigliaru
 
Università di Cagliari and CRENoS, Italy
Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali
Viale S. Ignazio, 17 - 09123 Cagliari (Italy)
pigliaru@unica.it
Di cosa parleremo
1. Teorie, fatti, domande
2. Stato stazionario?
3. Dimensioni e persistenza
4. Ha ancora senso parlare di Mezzogiorno?
5. Pochi soldi pubblici?
6. Politiche pubbliche: qualità insufficiente?
7. Il ruolo di istituzioni e cultura
8. Politiche/1: i rischi del decentramento
9. Politiche/2: i rischi di uno scarso capitale sociale
1/9 Teorie, fatti, domande
La fisiologia dei divari economici nella storia
Robert Lucas (2000): una forma a U
La divergenza come condizione necessaria per la successiva convergenza
Un meccanismo basato sulla diffusione di tecnologia e sulle esternalità che
lentamente quel processo crea
Molta evidenza storica a supporto
End point: molta uniformità. Come all’inizio ma tutti più ricchi
E il Mezzogiorno?
Teorie, fatti, domande
Teorie, fatti, domande
2/9 Stato stazionario?
Per capire il 1970 bisogna ragionare sulla fase di convergenza
1950-1970: alta crescita con alta convergenza
Golden Age dell’Europa: il bonus di crescita del cambiamento strutturale
(Cfr: Golden Age della Cina oggi)
Finita la migrazione, finita l’alta crescita con convergenza
Implicazione: la convergenza non dura all’infinito, prima o poi emerge uno
“stato stazionario” (si corre tutti alla stessa velocità)
Allora dov’è il problema?
3/9 Dimensioni e persistenza
Il problema è questo
Ancora oggi l’area ha un divario dal resto del paese pari a circa 40 punti
percentuali, con un miglioramento di circa 10 punti sul livello minimo
toccato all’inizio degli anni ’50 e un peggioramento di circa 10 punti sul
miglior risultato raggiunto nella seconda metà degli anni ’70, alla fine della
“golden age” della convergenza.
I dati di 147 regioni di 14 paesi tra il 1955 e il 2005, mostrano l’unicità del
caso italiano: nel 1955 in sei paesi su 14 una quota della popolazione
superiore al 2% era residente in regioni con un prodotto pro capite uguale o
inferiore al 65% della media nazionale. Tra queste sei nazioni, l’Italia ha il
dato più negativo, il 25,5%, seguita dalla Spagna con l’11,7%. Cinquant’anni
dopo, una sola nazione, l’Italia, ha regioni (e le corrispondenti popolazioni
residenti) al di sotto di quella soglia.
4/9 Mezzogiorno?
Divario di prodotto pro capite, regioni meridionali,
1982-1994 e 1995-2007 (Centro-Nord=100)
Livelli. Le regioni del sud raggiungono a stento il 65-67% (Sardegna e Molise),
con quattro fra loro al di sotto della soglia del 60%.
Con l’esclusione dell’Abruzzo la massima differenza tra le regioni del sud è di
circa10%, a fronte di una differenza minima di oltre 30 punti con la media delle
altre regioni
Dinamica. La dispersione interna diminuisce, quella media con l’Italia stabile/in
crescita. Se aveva senso parlare di Mezzogiorno qualche anno fa, ha forse
ancora più senso continuare a farlo ora.
5/9 Pochi soldi pubblici?
Confronto internazionale
“il trasferimento netto di risorse correnti … non è inferiore in Italia rispetto alla
media dei Paesi europei caratterizzati dalla presenza di divari di sviluppo (112 It v
111 media altri Paesi)”
Confronto interno
Al netto delle prestazioni sociali, la spesa primaria pro-capite nel Mezzogiorno
supera quella del Nord e riduce notevolmente il divario con quella media nazionale
(96%) [Bd’I, 2009]
Deficit corrente: una stima
Nel periodo 2004-2006, l’ammontare di trasferimenti dalle regioni più ricche
verso il Mezzogiorno è stato pari al 16% del PIL delle regioni meridionali, e al
5% di quello del Centro-Nord
Spesa in conto capitale
Nel confrontare la spesa in conto capitale italiana e spagnola a favore delle
regioni in ritardo, quella italiana è sistematicamente più alta
6/9 Politiche: qualità insufficiente?
Dunque, molte politiche ben finanziate sono state effettivamente attuate,
senza che ciò abbia prodotto risultati apprezzabili sul piano
macroeconomico.
Tre possibili spiegazioni vengono subito in mente.
Primo, esiste la possibilità che il divario rifletta una situazione
“naturale”, non modificabile
Secondo, che le politiche adottate siano semplicemente sbagliate, che
siano cioè politiche che fallirebbero ovunque e comunque
Terzo, che politiche giuste in generale – che funzionerebbero in molti
altri luoghi – falliscono nel caso meridionale a causa di qualche fattore
locale non sufficientemente compreso.
Politiche: qualità insufficiente?
Escludendo il primo punto, trascuro per ora il secondo (molto analizzato nella
letteratura) e mi concentro sul terzo, sottovalutato.
Il caso del gap infrastrutturale: molta letteratura attribuisce a questo evidente
gap parte del ritardo economico del Mezzogiorno
Non è così semplice
Se il problema è sotto gli occhi di tutti (il gap), la causa non lo è.
Ci sono meno infrastrutture perché si spende meno o perché si spende
peggio?
Politiche: qualità insufficiente?
Golden e Picci (2005) utilizzano una ipotesi di “costi standard” (media
nazionale) per la costruzione di infrastrutture, e controllando per differenze
geografiche di varia natura, misurano quanto è stato effettivamente
realizzato in ogni regione a fronte di quanto sarebbe stato realizzato se ci
fosse stata perfetta coincidenza tra costi effettivi e costi standard.
Gli autori interpretano questa differenza come un indice di corruzione, e
descrivono così i risultati ottenuti: “the most corrupt region spends four
times more per unit of public capital than the best performing areas,
suggesting massive amounts of fraud and inefficiency have historically
characterized large portions of the Italian peninsula.” (p. 53).
Gli indici più bassi riguardano le regioni del Mezzogiorno
Questi indici sono fortemente correlati con quelli di Putnam su civicness e
social capital
Politiche: qualità insufficiente?
In sintesi, nel Mezzogiorno sono state adottate politiche semplicemente
sbagliate, che fallirebbero ovunque, e politiche che altrove funzionano molto
meglio che nelle regioni meridionali.
L’analisi dell’insuccesso locale di questo secondo tipo di politiche rivela
elementi preziosi per chi studia il Mezzogiorno. In particolare, suggerisce
l’esistenza di un diffuso e radicato problema di qualità istituzionale, anch’esso
– almeno in parte – locale.
Molti altri dati su diffusi “fallimenti istituzionali” nelle regioni del sud
potrebbero infatti essere citati a sostegno di questa conclusione (ricerche Bd’I)
Per capire la persistenza del ritardo economico meridionale serve
approfondire il problema della minore qualità istituzionale che
caratterizza l’area
7/9 Istituzioni e cultura
The fact that the same institutions function so differently in different
environments suggests that informal institutions play an important role.
The judicial system works very differently in Southern and Northern Italy, for
instance.
Similar evidence applies to regional differences in the functioning of hospitals,
schools, or public administrations, or to moral hazard inside large private
corporations with branches in different regions ...
These systematic differences in behaviour can be traced back to different regional
histories. But why do they persist for generations, despite identical political and
legal institutions? (Guido Tabellini, 2007).
Istituzioni e cultura
Cosa intendiamo per cultura
“those customary beliefs and values that … social groups transmit fairly
unchanged from generation to generation” (Guiso, Pazienza e Zingales, 2006
Quale origine hanno queste differenze?
Radici storiche che tendono a persistere attraverso trasmissione
intergenerazionale di cultura (trust). Molta evidenza a sostegno
Putnam / Guiso et al. / Tabellini / Nunn / Acemoglu & Robinson
Attraverso quali canali influenzano l’economia?
Per esempio, meccanismo elettorale. Una società con basso trust esercita un
controllo meno rigoroso sull’uso delle risorse pubbliche, è meno interessato
all’elargizione di beni collettivi, è più interessato alla possibilità di ottenere
“rendite” particolaristiche [sanzioni elettorali: evidenza]
8/9 Politiche/1: i rischi del decentramento
Cosa ha interrotto la convergenza del Mezzogiorno?
Tra i molti fattori che possono essere citati, uno è il decentramento politico e
amministrativo (in congiunzione con gabbie salariali)
È infatti possibile che gli aumentati poteri attribuiti in quegli anni ai governi regionali
siano stati una opportunità per alcune aree e un danno per altre, quelle meridionali.
È in effetti ciò che ci si dovrebbe aspettare in un paese fortemente caratterizzato da
profonde e persistenti differenze regionali di capitale sociale, come l’Italia. E nel quale,
come è ovvio, le differenze di capitale sociale determinano un analogo divario nel
funzionamento delle istituzioni locali.
Così, quando il decentramento accresce il ruolo svolto dalle istituzioni locali nella
fornitura di beni pubblici essenziali, le differenze di capitale sociale entrano in gioco con
più forza che nel passato nel determinare le performance economiche dei singoli
territori, con probabili conseguenze negative per le Regioni meridionali.
9/9 Politiche/2: il problema di uno scarso capitale sociale
L’esperienza della Nuova Politica Regionale
Punto di partenza: “il deficit di relazioni fiduciarie [è il] frutto non di una
‘dotazione civile’ scarsa, di una mancanza innata di civicness … bensì del modo in
cui lo stato ha agito in quest’area, il deficit si è aggravato nel dopoguerra proprio a
causa della politica economica sbagliata” (Barca, 2008, p. 4).
Soluzione proposta: è necessario favorire lo sviluppo di relazioni fiduciarie
soprattutto fra soggetti pubblici e privati, attraverso "forme di accompagnamento
istituzionale volte a dare impulso alla capacità progettuale e alla formazione di
aggregazioni dei soggetti locali [che] possano effettivamente stimolare la
formazione di esternalità d’offerta e quindi, per questa via, lo sviluppo locale"
(Cannari et al., 2009, p. 64).
Ma basta questo? E la long-term persistence?
Per approfondimenti (e info bibliografiche)
F. Pigliaru (2009), Il ritardo economico del Mezzogiorno: uno stato stazionario? in:
QA Rivista dell’Associazione Rossi-Doria, 113-139
F. Pigliaru e L. Mauro (2011), Capitale sociale, crescita e shock istituzionali, in: D.
De Blasio e P. Sestito, Il capitale sociale, Donzelli
F. Pigliaru e L. Mauro (2013), Decentralization, social capital and regional
convergence, FEEM Working Paper no. 57.2013 (
http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2283079##)

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  • 2. Di cosa parleremo 1. Teorie, fatti, domande 2. Stato stazionario? 3. Dimensioni e persistenza 4. Ha ancora senso parlare di Mezzogiorno? 5. Pochi soldi pubblici? 6. Politiche pubbliche: qualità insufficiente? 7. Il ruolo di istituzioni e cultura 8. Politiche/1: i rischi del decentramento 9. Politiche/2: i rischi di uno scarso capitale sociale
  • 3. 1/9 Teorie, fatti, domande La fisiologia dei divari economici nella storia Robert Lucas (2000): una forma a U La divergenza come condizione necessaria per la successiva convergenza Un meccanismo basato sulla diffusione di tecnologia e sulle esternalità che lentamente quel processo crea Molta evidenza storica a supporto End point: molta uniformità. Come all’inizio ma tutti più ricchi E il Mezzogiorno?
  • 6. 2/9 Stato stazionario? Per capire il 1970 bisogna ragionare sulla fase di convergenza 1950-1970: alta crescita con alta convergenza Golden Age dell’Europa: il bonus di crescita del cambiamento strutturale (Cfr: Golden Age della Cina oggi) Finita la migrazione, finita l’alta crescita con convergenza Implicazione: la convergenza non dura all’infinito, prima o poi emerge uno “stato stazionario” (si corre tutti alla stessa velocità) Allora dov’è il problema?
  • 7. 3/9 Dimensioni e persistenza Il problema è questo Ancora oggi l’area ha un divario dal resto del paese pari a circa 40 punti percentuali, con un miglioramento di circa 10 punti sul livello minimo toccato all’inizio degli anni ’50 e un peggioramento di circa 10 punti sul miglior risultato raggiunto nella seconda metà degli anni ’70, alla fine della “golden age” della convergenza. I dati di 147 regioni di 14 paesi tra il 1955 e il 2005, mostrano l’unicità del caso italiano: nel 1955 in sei paesi su 14 una quota della popolazione superiore al 2% era residente in regioni con un prodotto pro capite uguale o inferiore al 65% della media nazionale. Tra queste sei nazioni, l’Italia ha il dato più negativo, il 25,5%, seguita dalla Spagna con l’11,7%. Cinquant’anni dopo, una sola nazione, l’Italia, ha regioni (e le corrispondenti popolazioni residenti) al di sotto di quella soglia.
  • 8. 4/9 Mezzogiorno? Divario di prodotto pro capite, regioni meridionali, 1982-1994 e 1995-2007 (Centro-Nord=100) Livelli. Le regioni del sud raggiungono a stento il 65-67% (Sardegna e Molise), con quattro fra loro al di sotto della soglia del 60%. Con l’esclusione dell’Abruzzo la massima differenza tra le regioni del sud è di circa10%, a fronte di una differenza minima di oltre 30 punti con la media delle altre regioni Dinamica. La dispersione interna diminuisce, quella media con l’Italia stabile/in crescita. Se aveva senso parlare di Mezzogiorno qualche anno fa, ha forse ancora più senso continuare a farlo ora.
  • 9. 5/9 Pochi soldi pubblici? Confronto internazionale “il trasferimento netto di risorse correnti … non è inferiore in Italia rispetto alla media dei Paesi europei caratterizzati dalla presenza di divari di sviluppo (112 It v 111 media altri Paesi)” Confronto interno Al netto delle prestazioni sociali, la spesa primaria pro-capite nel Mezzogiorno supera quella del Nord e riduce notevolmente il divario con quella media nazionale (96%) [Bd’I, 2009] Deficit corrente: una stima Nel periodo 2004-2006, l’ammontare di trasferimenti dalle regioni più ricche verso il Mezzogiorno è stato pari al 16% del PIL delle regioni meridionali, e al 5% di quello del Centro-Nord Spesa in conto capitale Nel confrontare la spesa in conto capitale italiana e spagnola a favore delle regioni in ritardo, quella italiana è sistematicamente più alta
  • 10. 6/9 Politiche: qualità insufficiente? Dunque, molte politiche ben finanziate sono state effettivamente attuate, senza che ciò abbia prodotto risultati apprezzabili sul piano macroeconomico. Tre possibili spiegazioni vengono subito in mente. Primo, esiste la possibilità che il divario rifletta una situazione “naturale”, non modificabile Secondo, che le politiche adottate siano semplicemente sbagliate, che siano cioè politiche che fallirebbero ovunque e comunque Terzo, che politiche giuste in generale – che funzionerebbero in molti altri luoghi – falliscono nel caso meridionale a causa di qualche fattore locale non sufficientemente compreso.
  • 11. Politiche: qualità insufficiente? Escludendo il primo punto, trascuro per ora il secondo (molto analizzato nella letteratura) e mi concentro sul terzo, sottovalutato. Il caso del gap infrastrutturale: molta letteratura attribuisce a questo evidente gap parte del ritardo economico del Mezzogiorno Non è così semplice Se il problema è sotto gli occhi di tutti (il gap), la causa non lo è. Ci sono meno infrastrutture perché si spende meno o perché si spende peggio?
  • 12. Politiche: qualità insufficiente? Golden e Picci (2005) utilizzano una ipotesi di “costi standard” (media nazionale) per la costruzione di infrastrutture, e controllando per differenze geografiche di varia natura, misurano quanto è stato effettivamente realizzato in ogni regione a fronte di quanto sarebbe stato realizzato se ci fosse stata perfetta coincidenza tra costi effettivi e costi standard. Gli autori interpretano questa differenza come un indice di corruzione, e descrivono così i risultati ottenuti: “the most corrupt region spends four times more per unit of public capital than the best performing areas, suggesting massive amounts of fraud and inefficiency have historically characterized large portions of the Italian peninsula.” (p. 53). Gli indici più bassi riguardano le regioni del Mezzogiorno Questi indici sono fortemente correlati con quelli di Putnam su civicness e social capital
  • 13. Politiche: qualità insufficiente? In sintesi, nel Mezzogiorno sono state adottate politiche semplicemente sbagliate, che fallirebbero ovunque, e politiche che altrove funzionano molto meglio che nelle regioni meridionali. L’analisi dell’insuccesso locale di questo secondo tipo di politiche rivela elementi preziosi per chi studia il Mezzogiorno. In particolare, suggerisce l’esistenza di un diffuso e radicato problema di qualità istituzionale, anch’esso – almeno in parte – locale. Molti altri dati su diffusi “fallimenti istituzionali” nelle regioni del sud potrebbero infatti essere citati a sostegno di questa conclusione (ricerche Bd’I) Per capire la persistenza del ritardo economico meridionale serve approfondire il problema della minore qualità istituzionale che caratterizza l’area
  • 14. 7/9 Istituzioni e cultura The fact that the same institutions function so differently in different environments suggests that informal institutions play an important role. The judicial system works very differently in Southern and Northern Italy, for instance. Similar evidence applies to regional differences in the functioning of hospitals, schools, or public administrations, or to moral hazard inside large private corporations with branches in different regions ... These systematic differences in behaviour can be traced back to different regional histories. But why do they persist for generations, despite identical political and legal institutions? (Guido Tabellini, 2007).
  • 15. Istituzioni e cultura Cosa intendiamo per cultura “those customary beliefs and values that … social groups transmit fairly unchanged from generation to generation” (Guiso, Pazienza e Zingales, 2006 Quale origine hanno queste differenze? Radici storiche che tendono a persistere attraverso trasmissione intergenerazionale di cultura (trust). Molta evidenza a sostegno Putnam / Guiso et al. / Tabellini / Nunn / Acemoglu & Robinson Attraverso quali canali influenzano l’economia? Per esempio, meccanismo elettorale. Una società con basso trust esercita un controllo meno rigoroso sull’uso delle risorse pubbliche, è meno interessato all’elargizione di beni collettivi, è più interessato alla possibilità di ottenere “rendite” particolaristiche [sanzioni elettorali: evidenza]
  • 16. 8/9 Politiche/1: i rischi del decentramento Cosa ha interrotto la convergenza del Mezzogiorno? Tra i molti fattori che possono essere citati, uno è il decentramento politico e amministrativo (in congiunzione con gabbie salariali) È infatti possibile che gli aumentati poteri attribuiti in quegli anni ai governi regionali siano stati una opportunità per alcune aree e un danno per altre, quelle meridionali. È in effetti ciò che ci si dovrebbe aspettare in un paese fortemente caratterizzato da profonde e persistenti differenze regionali di capitale sociale, come l’Italia. E nel quale, come è ovvio, le differenze di capitale sociale determinano un analogo divario nel funzionamento delle istituzioni locali. Così, quando il decentramento accresce il ruolo svolto dalle istituzioni locali nella fornitura di beni pubblici essenziali, le differenze di capitale sociale entrano in gioco con più forza che nel passato nel determinare le performance economiche dei singoli territori, con probabili conseguenze negative per le Regioni meridionali.
  • 17. 9/9 Politiche/2: il problema di uno scarso capitale sociale L’esperienza della Nuova Politica Regionale Punto di partenza: “il deficit di relazioni fiduciarie [è il] frutto non di una ‘dotazione civile’ scarsa, di una mancanza innata di civicness … bensì del modo in cui lo stato ha agito in quest’area, il deficit si è aggravato nel dopoguerra proprio a causa della politica economica sbagliata” (Barca, 2008, p. 4). Soluzione proposta: è necessario favorire lo sviluppo di relazioni fiduciarie soprattutto fra soggetti pubblici e privati, attraverso "forme di accompagnamento istituzionale volte a dare impulso alla capacità progettuale e alla formazione di aggregazioni dei soggetti locali [che] possano effettivamente stimolare la formazione di esternalità d’offerta e quindi, per questa via, lo sviluppo locale" (Cannari et al., 2009, p. 64). Ma basta questo? E la long-term persistence?
  • 18. Per approfondimenti (e info bibliografiche) F. Pigliaru (2009), Il ritardo economico del Mezzogiorno: uno stato stazionario? in: QA Rivista dell’Associazione Rossi-Doria, 113-139 F. Pigliaru e L. Mauro (2011), Capitale sociale, crescita e shock istituzionali, in: D. De Blasio e P. Sestito, Il capitale sociale, Donzelli F. Pigliaru e L. Mauro (2013), Decentralization, social capital and regional convergence, FEEM Working Paper no. 57.2013 ( http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2283079##)