Corso di digitalizzazione e reti per segretario amministrativo
NONNA RACCONTAMI UNA STORIA
1. Istituto Comprensivo
Minà Palumbo di Castelbuono e Isnello
A.S. 2014/2015
Scuola dell’Infanzia
( Immagini e parole dal passato )
Scuola Primaria
Scuola Secondaria di primo grado
2.
3. Gli alunni della III e della IV
sezione della Scuola
dell’infanzia ( plesso Via
Mazzini), delle classi I sez. A e
V sez. A della scuola Primaria
(plesso San Paolo) e delle
classi IA, IB, IC, ID e IE della
Scuola Secondaria di primo
grado sono stati invitati dai
rispettivi docenti di italiano
ad ascoltare, dalla diretta
voce dei nonni, storie e
filastrocche antiche e a
trasferire le memorie raccolte
in una produzione grafica,
orale e/o scritta, a seconda
dell’ordine scolastico
frequentato.
Tale attività didattica,
progettata e realizzata in
coerenza con il curriculo
verticale dell’Istituto,
nell’ottica di una continuità
dinamica dei contenuti e
dei metodi, si propone di
far conoscere, comprendere
e valorizzare il patrimonio
culturale tradizionale
depositato nella memoria
collettiva popolare.
8. Gli alunni delle classi prime vengono invitati dai docenti di italiano a recarsi nelle
case dei loro nonni per farsi raccontare una storia:
Attraverso questo lavoro gli alunni dovranno recuperare, consolidare, potenziare le seguenti
abilità di base, previste dal curricolo per le classi prime del nostro Istituto:
ASCOLTARE:
Ascoltare testi orali individuando scopo, argomento e informazioni principali.
PARLARE:
Riferire esperienze personali e non organizzando il messaggio
in modo essenziale e chiaro, rispettando l’ordine cronologico e logico
SCRIVERE:
Produrre testi coerenti, corretti e coesi
METODI/MEZZI / STRUMENTI:
Induttivo, deduttivo, lavoro di gruppo, didattica laboratoriale,
vocabolari, computer , lettore CD, audio visivi ecc…
LAVORO COORDINATO DAI DOCENTI:
Di Garbo Daniela, Di Garbo M.Antonietta, Lupo Giuseppina,
Scerrino Maria Vincenza.
9. CLICCARE SU UNO DI
QUESTI NOMI PER POTER
LEGGERE IL RACCONTO
DELL’ ALUNNO
CORRISPONDENTE.
CAMMARATA SOFIA ID
CANCILA ENRICA ID
CANGELOSI LUCIANA IC
CICERO VALERIA IC
DI GARBO FABRIZIO IB
FIASCONARO CARLO IA
FIASCONARO MARTINA IB
FICARRA VINCENZO IB
GENCHI ROSARIO IE
GUARCELLO ERICA IB
GUGLIUZZA MARCO IC
LOMONACO TERESA IA
PIRO ANTONELLA IC
PORTOGALLO CHIARA IC
SCHICCHI ALEX IC
SPALLINO ANITA IB
SPALLINO FRANCESCO IC
TROZZO DELIA IC
VACCARO ALESSIA IA
VIRGILIO CHIARA ID
VIRGILIO NICCCOLO’ ID
ZITO ALESSIO I B
10. CLICCA SUL NOME E
LEGGI LA STORIA.
ANTISTA VINCENZO IA
BIUNDO ELENA IC
CANCILA ENRICA ID
CANCILA PAOLA IB
CAMMARATA SOFIA ID
CANNIZZARO MARIA ANNA IA
CASCIO DAVIDE ID
CASTIGLIA ESTER IE
CASTIGLIA FEDERICO IE
CICERO VALERIA IC
CITTA’ GABRIELE IA
CUSIMANO MICHELE IB
D’IPPOLITO MARIA RITA IE
GAMBARO GABRIELLA IE
MARTORANA FEDERICO IC
GENTILE VIRGINIA ID
LA IUPPA VANESSA IE
MADONIA ENRICO IB
MAZZOLA AURORA FRANCESCA IA
MINA’ ELEONORA ID
MINUTELLA DOMIZIA IE
MONTORO NICOLO’ IA
PANTANO FEDERICA IC
PIAZZA CARLA IA
SCHICCHI ALEX IC
SPALLINO GIULIA IC
VRABIE MARIA IA
12. La povera-bella
C'era una volta una vecchia che aveva una nipote bellissima. Ma le due donne erano talmente
povere che vivevano di elemosina. Un giorno passò da lì un indovino e convinse la ragazza a
farsi leggere la mano, a patto che lei gli desse come ricompensa il lenzuolo che aveva steso. La
ragazza accettò e l'indovino le disse che un giorno avrebbe avuto in sposo il figlio del re. A
queste parole la ragazza rise, ma nello stesso tempo l'idea non le dispiaceva. Il re abitava nel
palazzo che si trovava sopra la sua misera casa. Un giorno il figlio del re, che aveva assistito alla
scena, iniziò a prendere in giro la ragazza dicendo che per dare retta all'indovino, non solo
aveva perduto il lenzuolo, ma non aveva avuto neanche il re. Ma la ragazza, credendo molto
alle parole dell'indovino, gli disse che un giorno il figlio del re sarebbe stato suo. Il ragazzo si
mise a ridere ma, allo stesso tempo, rimase colpito da quelle parole. Intanto la vecchia si
disperava e piangeva perché non trovava più quel lenzuolo che aveva steso; e piangeva così
tanto che il re gliene regalò uno suo. Col passare del tempo il figlio del re si innamorava sempre
più della ragazza. Sua madre, la regina, voleva farlo sposare con una principessa, ma lui voleva
per sposa una che somigliasse alla povera-bella. Intanto la regina invitò al castello una
principessa per combinare il matrimonio. Disse alla vecchia di portare al castello sua nipote per
farla sposare con il figlio. La povera-bella andò di corsa dalla regina. L'indomani sera fu
organizzato il matrimonio. Ma la regina aveva ingannato la povera-bella, in quanto le aveva
proibito di coricarsi con il figlio perché al posto suo doveva esserci la principessa. Al momento
di andare a letto il re si accorse dell'inganno e iniziò a gridare facendo accorrere tutta la servitù.
Ormai i suoi piani erano falliti e la regina fu costretta a dare in sposa suo figlio alla povera-
bella, proprio come aveva detto l'indovino. Antonella Piro
14. Ciccia
La mamma chiama la figlia Ciccia e le chiede: «Ciccia andiamo in campagna a fare il
pane?»
Ciccia tutta contenta risponde di si.
Arrivati in campagna, Ciccia trova i suoi giochi e comincia a giocare.
La mamma prende gli ingredienti per fare il pane e comincia con la farina, si accorge
che manca l'acqua e chiede a Ciccia: «Ciccia, vai al pozzo a prendere l'acqua!»
Ciccia si rifiuta.
La mamma le dice: «Se non vai a prendere l'acqua chiamo il lupo
per farti mangiare». Ciccia la ignora e continua a giocare.
La mamma chiama il lupo: «Lupo, lupo, mangia Ciccia perché non vuole andare al
pozzo a prendere l'acqua».
Il lupo, che stava riposando beatamente, risponde: «Non voglio mangiare Ciccia perché
non mi ha fatto niente di male».
La mamma chiama il cane: «Cane, cane, abbaia al lupo, perché non vuole mangiare
Ciccia che non è andata al pozzo a prendere l'acqua”.
Il cane risponde: «Non voglio abbaiare al lupo, perché il lupo non mi ha fatto niente di
male».
La mamma adirata chiama il bastone: «Bastone, bastone, picchia il cane, perché non
vuole abbaiare al lupo, che non vuole mangiare Ciccia, che non è andata al pozzo a
prendere l'acqua».
15. Il bastone risponde : «Non voglio picchiare il cane perché il cane non mi ha fatto
niente di male».
La mamma chiama il fuoco : «Fuoco, fuoco, brucia il bastone perché non ha picchiato
il cane, che non ha abbaiato al lupo, che non ha mangiato Ciccia, che non è andata al
pozzo a prendere l'acqua”.
l fuoco risponde: «Non voglio bruciare il bastone, perché non mi ha fatto niente di
male».
La mamma chiama l'acqua: «Acqua, acqua, spegni il fuoco che non ha voluto bruciare
il bastone, che non ha picchiato il cane, che non ha abbaiato al lupo, che non ha
mangiato Ciccia, che non è andata al pozzo a prendere l'acqua».
Risponde l'acqua: «Non voglio spegnere il fuoco, perché non mi ha fatto niente di
male».
La mamma chiama il bue: «Bue, bue, bevi l'acqua perché non ha voluto spegnere il
fuoco, che non ha voluto bruciare il bastone, che non ha picchiato il cane, che non ha
mangiato Ciccia, che non è andata al pozzo a prendere l'acqua».
Risponde il bue. « Non voglio bere l’acqua, perché non mi ha fatto niente di male».
La mamma chiama la corda: «Corda, corda lega il bue che non ha voluto bere l'acqua,
perché non ha voluto spegnere il fuoco, che non ha voluto bruciare il bastone, che
non ha picchiato il cane, che non ha abbaiato al lupo, che non ha mangiato Ciccia,
che non è andata al pozzo a prendere l'acqua».
16. La corda risponde: «Non voglio legare il bue perché non mi ha fatto niente di male.
La mamma chiama il topo: «Topo, topo, rosicchia la corda perché non ha voluto
legare il bue, che non ha voluto bere l'acqua, perché non ha voluto spegnere il
fuoco, che non ha voluto bruciare il bastone, che non ha picchiato il cane, che non
ha abbaiato al lupo, che non ha mangiato Ciccia, che non è andata al pozzo a
prendere l'acqua».
Il topo risponde : «Non voglio rosicchiare la corda perché non mi ha fatto niente di
male».
La mamma chiama il gatto: «Gatto, gatto, mangia il topo che non ha voluto
rosicchiare la corda, che non ha voluto legare il bue, che non ha voluto bere
l'acqua, che non ha voluto spegnere il fuoco, che non ha voluto bruciare il bastone,
che non ha picchiato il cane, che non ha abbaiato al lupo, che non ha mangiato
Ciccia, che non è andata al pozzo a prendere l'acqua”.
Il gatto ghiotto di topi, cercò di afferrarlo; il topo iniziò a rosicchiare la corda; la
corda legò il bue; il bue bevve l'acqua; l'acqua spense il fuoco; il fuoco bruciò il
bastone; il bastone picchiò il cane; il cane abbaiò al lupo; il lupo tentò di mangiare
Ciccia; CICCIA CORSE AL POZZO A PRENDERE L'ACQUA.
Marco Gugliuzza
19. Il ritrovamento delle sacre ossa di Sant’Anna
Mio nonno mi ha raccontato la leggenda di sant’Anna. Sant'Anna, assistita
amorevolmente dalla figlia Maria, morì a Gerusalemme. Con il passare dei
secoli il culto di Sant'Anna si diffuse nell’Occidente Europeo, favorito dal fatto
che le reliquie del suo corpo erano state portate da devoti da Gerusalemme in
Francia, e depositate in una cattedrale. Nel tempo in cui iniziarono le
persecuzioni degli infedeli contro i cristiani d'Europa, le sacre ossa,
temendone la profanazione, furono nascoste, ben murate nel sotterraneo
della chiesa, entro una cassa di cipresso, con sopra la scritta per una futura
identificazione. Un giorno inaspettatamente un episodio miracoloso fece
scoprire le reliquie del corpo di Sant'Anna. Giovanni, si chiamava il ragazzo, o
così si racconta, era un sordomuto, figlio di un importante Barone, che un
giorno incominciò a gesticolare e ad emettere grida, indicando il sotterraneo
della Cappella. Si comprese che doveva succedere qualcosa di straordinario,
l'Imperatore e l'Arcivescovo presenti, ordinarono di aprire un varco: Giovanni
fu fatto entrare per primo, e d'un tratto scandì ad alta voce: "Qui si trova il
Corpo di Sant'Anna". La verifica della targhetta diede conferma. Il giovane
aveva acquistato parola e udito. Elena Biundo
20.
21. IL PRETE E SETTE DENARI
C’ era un prete che aveva sette denari e stava andando al trappeto per comprare
l’olio, per strada incontrò una donna che gli disse: “ Prete! Sono disperata,
perché non ho niente, mi dai sette denari per comprarmi il pane?
- «No! mi devo comprare l’olio per condire l’ insalata!» rispose il prete.
Più avanti incontrò una vecchietta: “ Prete mi date sette denari per cucirmi una
calza ?
«No ! Mi devo comprare l’olio per condire l’insalata!» disse ancora il prete.
Vicino alla fontana di San Vito incopntrò un monaco di cerca: «Prete , prete mi dai
i denari per il convento?» «No ! mi devo comprare l’ olio per condire l’insalata !»
Stava per scendere alla Badia e incontra un mendicante tutto gonfio e pieno di
dolori. «Prete, prete, mi date due soldi per andarmi a curare ? ”»
«No! mi devo comprare l’ olio per condire l’ insalata !».
Poi ha incontrato satanassu. «Prete mi dia sette denari se no gli tiro il collo,
presto, presto!» e il prete ha aperto la sacchina e gliene diede otto!
All’ angolo dopo incontrò il Signore e gli disse «Prete così si fa ? Ai miei figli non gli
hai dato niente e a satanassu gli hai dato di più ?»
Questo mi ha imparato il Signore che i preti sono fatti per trattare i soldi e li
escono solo per salvarsi il collo. Portogallo Chiara
23. Maria di legno
Maria di Legno era una ragazza semplice, ma sveglia e attenta. Le piaceva leggere il
giornale e un giorno trovò un annuncio della Regina dove si cercava una cuoca
bravissima. Maria di Legno decise di presentarsi.
Si fece preparare dal falegname un ampio vestito di legno con tanti cassettini. Tre di
questi erano i più importanti, perché contenevano tre vestiti.
Il primo un vestito speciale, bello come la Luna. Il secondo un vestito luminoso come
il sole. Il terzo infine un vestito specialissimo, completamente ricoperto di
campanellini
La Regina prima di mettere alla prova Maria di Legno, la avvertì: il Principe suo figlio
soffriva di grande malinconia, e difficilmente qualche cuoco della corte era riuscito a
farlo mangiare con appetito.
Maria di Legno in cucina preparò per quel giorno una pietanza favolosa, che il
Principe mangiò con grande entusiasmo, chiedendo alla madre:
- Chi l'ha cucinato? - Maria di Legno, gli fu risposto.
La Regina, per festeggiare la guarigione del principe, organizzò un gran ballo. Sul
finire della serata, entrò nel salone delle danze una ragazza molto bella, che
indossava un abito bello come la Luna. Il principe le domandò: - Chi sei? - Ella non
rispose e andò via. Il principe chiese alla madre di organizzare un altro ballo. Anche
questa volta apparve una ragazza più bella delle altre, con un vestito splendente
come il sole.
Incantato il principe le donò un anello, lei lo prese e andò via.
24. Il giorno seguente la regina ordinò a Maria di Legno una grande torta. La
ragazza la preparò, ma nell'impastare, l'anello le cadde dentro alla torta.
Al momento in cui tutti gustavano l'ottimo dolce, il principe si ritrovò l'anello
fra i denti, l'osservò stupito e chiese alla madre: - Chi c'è in cucina? Voglio
conoscerla.-
La madre rispose: - C'è Maria di Legno, la nostra bravissima cuoca - e la mandò
a chiamare.
Dalle scale che scendevano dalla cucina si udì un tintinnare.
La Regina esclamò: Vieni con tutto il vasellame appeso?
Maria di Legno indossava l'abito ricoperto dai mille campanellini.
- Sei tu? - esclamò il principe, pieno d'amore e si sposarono e vissero felici e
contenti.
Valeria Cicero
26. “SUAREDDA”
C’era una volta una bambina che aveva la mamma molto malata. La donna, pensando di
morire, disse al marito: “Nasconderò un anello e chi lo troverà sarà il tuo sposo”.
La bambina diventò una bella fanciulla e si occupava anche della casa. Un giorno, mentre
spolverava, trovò l’anello e lo fece vedere al padre che le disse: “ Tu diventerai mia moglie!”.
La fanciulla si mise a piangere e pregò la Madonna affinché l’aiutasse. Una notte la fanciulla
sognò la Madonna che le disse: “Dì a tuo padre che prima di sposarlo vuoi un vestito bianco
pieno di stelle”, e così fece la ragazza. Il padre disperato si recò in una montagna gridando,
quando apparve un signore che promise di aiutarlo, ma in cambio voleva timbrargli il petto.
Così fece e portò il vestito alla figlia.
La notte la fanciulla sognò di nuovo la Madonna che le disse: “Digli che ne vuoi un altro con le
stelline d’oro”. Il padre si recò di nuovo nella montagna e chiese all’uomo il vestito, ma in
cambio voleva vedere il ginocchio. Quando la ragazza vide il vestito scoppiò a piangere e la
notte sognò nuovamente la Madonna che le disse: “Fatti portare un vestito di sughero con le
campanelle dorate”.
Il padre ritornò nella montagna e l’uomo gli diede il vestito. La ragazza era disperata e allora la
Madonna le disse: ” Prepara i vestiti e vieni con me, metti due colombe nella vasca con piatti e
posate”.
Una sera, dopo che il padre si addormentò tranquillamente, sentendo il rumore dei piatti e
delle posate e credendo che fosse la figlia in cucina, la ragazza, insieme alla Madonna, volarono
verso il palazzo di un principe. Giunta al palazzo la ragazza raccontò la sua triste storia , fu
accolta con benevolenza e le fu dato l’incarico di occuparsi del pollaio. Siccome indossava il
vestito di sughero la chiamarono “Suaredda”.
27. Una sera la fanciulla fu invitata ad una festa organizzata dal principe, ma non accettò perché
non aveva un vestito da mettere.
Allora la Madonna le disse di indossare il vestito bianco, ma aggiunse che a mezzanotte doveva
ritornare a casa e che ci sarebbe stato un vento fortissimo, in modo da rientrare senza che
nessuno sospettasse che fosse Suaredda. Tutta la sera ballarono insieme e il principe si
innamorò di lei. Il giorno dopo indossò un altro vestito e il principe le regalò un bracciale e un
anello, ma nemmeno questa sera riuscì a capire dove abitasse.
Un giorno “Suaredda” salì in cucina per portare le uova e vedendo che preparavano il pane per
il principe prese un po’ di pasta fece un pugnetto tutto sporco e gli mise dentro il braccale e
l’anello, quando il pane lievitò era tutto bianco e lo portarono al principe che trovò l’anello e il
bracciale, chiamò la regina per sapere chi aveva fatto quel pane.
La regina confermò che era stata “Suaredda”, così si sposarono e vissero felici e contenti.
Francesco Spallino
29. Il monaco eremita
Tanti anni fa, in una grotta fuori dal paese, viveva un monaco eremita. Ogni
mattina girava per le case del paese chiedendo l’elemosina o qualcosa da
mangiare, ripetendo spesso la stessa frase: “Cu fa,fa pi iddru”.
Spesso andava da una signora, la quale infastidita dalle continue visite, pensò
bene di avvelenare la pagnotta da donare al monaco.
Il monaco contento dell’offerta ricevuta, la ringraziò sempre con la stessa frase:
“Cu fa,fa pi iddru.”
Mentre tornava alla propria grotta scoppiò una forte tempesta, sentì bussare alla
porta, aprì e vide un giovane che cercava un rifugio.
Il monaco lo fece entrare, lo asciugò e gli offrì del pane e acqua, riconobbe che
era il figlio della signora che gli aveva dato il pane, lui mangiò tutto il pane e dopo
poco morì lentamente. L’eremita, disperato, corse dalla signora per raccontare
l’accaduto. La signora in preda alla disperazione farfugliava : ”Cu fa fa pi iddru
veramenti!”.
Marco Gugliuzza
31. Il tesoro
C 'era una volta un vecchio contadino che aveva il suo campetto, la
sua vanga e i suoi tre figliuoli .
Giunto alla morte volle i suoi tre figliuoli accanto al letto .
Ragazzi disse:- Vado al mio destino e vi lascio un tesoro, è nel
campetto.
Quando morì i tre cercavano il tesoro . Volta nel sole e trita le zolle
videro che non trovarono nulla .
Allora decisero di seminare frumento nel campo.
Il campo diventò color grano . Quando il grano vinse i granai videro il
tesoro di cui aveva parlato il vecchio e che era nelle loro mani: era la
vanga dalla punta d 'oro.
Luciana Cangelosi
33. La nascita dei cortili
Le donne di Castelbuono amavano sparlare e chiacchierare su tutti e di
tutti, e amavano riunirsi per comunicarsi le ultime novità. Un giorno
alcune di loro si trovarono ad ascoltare la dichiarazione del conte ad una
donna che non era sua moglie! Una di loro, furba e astuta più delle altre,
proibì a tutte di spettegolare e le convinse a recarsi al castello. Una volta
giunte ad udienza dal conte, essendo la donna di nobili origini poté
permettersi di ricattare il conte: se voleva che tutto restasse segreto
doveva costruire un luogo di riunione per le donne in ogni quartiere ove
e potevano riunirsi a parlottare . Il conte dovette annuire ma fece anche
di più costruì le strade non principali strette strette cosicché anche
affacciandosi al balcone o alla finestra le donne potevano parlare. I cortili
inoltre presero nome di “curtigli” in onore del curtigliu (sparlare).
Martorana Federico
35. La pasta con le lenticchie
In un casolare di montagna vivevano due vecchietti : marito e moglie .
Un giorno, mentre la moglie si apprestava a preparare il pranzo , sentì bussare alla
porta. Si affrettò ad aprire e sull’uscio della porta c’era un uomo vestito di stracci .
La vecchietta gli chiese di cosa avesse bisogno e lui rispose che insieme ai suoi amici
avevano affrontato un lungo viaggio ed erano stanchi e affamati .
La vecchietta disse di aver poco da mangiare e l’uomo rispose che anche quel poco
sarebbe bastato .
La vecchietta, stava cucinando la pasta con le lenticchie e si accorse che più mescolava più la
pasta e le lenticchie si moltiplicavano .
Quando tutti i commensali si sedettero a tavola, la vecchietta cominciò a suddividere la pasta e
più ne metteva nel piatto più essa aumentava all’interno della pentola .
La donna rimase stupita e senza dire una parola osservò quell’uomo.
Anche il vino nella brocca sembrava non finire mai.
Dopo pranzo, gli ospiti ringraziarono i due vecchietti e ripartirono per un lungo viaggio.
La moglie si rivolse al marito dicendogli che quell’uomo era Gesù e gli disse di rincorrerlo per
chiedergli una grazia.
Il vecchietto uscì immediatamente ma non vide nulla, solo un grande nuvolone bianco che
emanava luce splendente.
Al ritorno verso casa trovò sull’uscio della porta lenticchie e pasta dentro enormi sacchi .
La vecchietta e il marito capirono che quell’uomo era veramente Gesù e furono felici di aver
condiviso il pranzo con lui . Delia Trozzo
37. A VECCHIA
C’era una volta una vecchia che viveva in una grotta sui “Pizzi gemelli”.
Questa vecchia signora camminava lentamente ed era con la schiena curva.
Portava sempre un fazzoletto in testa, indossava una gonna lunga e
rattoppata, metteva sempre un grembiule sulla gonna, aveva una maglia di
colore scuro e le scarpe erano nere e rotte.
Ogni mattina lavava i panni nel fiume e poi stendeva la biancheria tra gli
alberi. Per riscaldarsi accendeva il carbone nel braciere e, per cucinare,
bruciava la legna.
La vecchia c'è ancora e osserva i bambini dalla montagna e, la notte del 30
dicembre, prepara il suo sacco mettendo dentro caramelle e carbone.
Scende a piedi e va nelle case dove ci sono bambini e lascia dietro la porta
un mucchio di caramelle, se i bambini si sono comportati bene, se invece
sono stati cattivi lascia solo cenere e carbone.
Alex Schicchi
39. I lupi mannari
Mia nonna racconta che c’erano una volta delle persone che avevano una strana
malattia: nei giorni di luna piena diventavano pericolose. Venivano chiamati «Lupi
mannari”, perché la notte, quando avevano la crisi, gli si allungavano le unghie e gli
spuntavano i peli folti in tutto il corpo diventando come dei lupi. Quando avveniva
questa trasformazione i lupi mannari venivano tenuti in gabbia perché, se
riuscivano a scappare, potevano far del male alle persone che incontravano, anche
ad un familiare, perché non riconoscevano nessuno. Si mettevano a gridare negli
incroci, così le persone capivano che in giro c‘erano i lupi mannari e scappavano
impaurite verso le loro case. I lupi mannari non potevano salire i gradini perché, a
quanto pare, camminavano gattonando. In paese si raccontava che di lupi mannari
ce n’erano diversi. La storia, anche se non abbiamo prove che sia vera, veniva
raccontata a mio nonno da suo papà, perché prima le persone si radunavano nelle
case attorno al ”braciere” e si raccontavano storie e leggende.
Valeria Cicero
41. Nonna raccontami una storia antica .
La nonna mi racconta sempre tante storie ma in particolare mi piace questa.
Da piccolina con la sua famiglia andava a villeggiare in campagna, in CONTRADA
PORTELLA PIRO.
Si aspettava la festa di SANT’ANNA e l‘indomani si partiva per andare a villeggiare e
stare tutti insieme, perché il nonnino lavorava in quella campagna per la raccolta
della manna.
La nonna e le due sorelle aiutavano i loro genitori a raccogliere la manna.
La nonna era la più piccola e il padre le comprò una piccola scatola e una «rasùla»,
uno strumento per la raccolta della manna, così chiamato in dialetto.
La manna veniva raccolta dal frassino, si poggiava la scatola e con la rasùla si
raschiava la manna e così cadeva dentro. Dopo si metteva ad asciugare al sole negli
«asciugaturi», e questo era il procedimento della raccolta della manna. Questo
avveniva tutti gli anni, finché la nonna non si sposò e non poté più andare nella
campagna dei genitori come faceva quando era bambina. La nonna mi racconta
questa sua esperienza per far capire a tutti noi che una volta si lavorava anche da
piccoli, e oggi non è più come prima .
GIULIA SPALLINO CLASSE 1 C
43. Mia nonna ha sempre raccontato che quando i suoi genitori andavano
a raccogliere le olive, partivano sempre molto presto, quando era
ancora buio e si camminava a piedi. Arrivando nella loro campagna,
ancora era molto buio e non potendo raccogliere le olive, perché non si
vedeva stavano dentro la casa, aspettando che diventasse giorno e
stavano là dentro al buio senza luce e fuoco. All’interno della casa,
capitava di sentire dei rumori e avevano paura che fossero dei topi, ma
invece era solo il vento. Quando diventava giorno, si iniziava a
raccogliere le olive. A mezzogiorno si mangiava quel poco che avevano:
pane fatto in casa, olive raccolte che erano già maturate e qualche
volta anche il formaggio e dopo aver finito si ricominciava a lavorare
fino a tardi. Ora invece dice mia nonna che: si ci va più tardi, a
mezzogiorno si fa la carne alla griglia il pomeriggio si comincia a
lavorare più tardi e si finisce un po’ più presto.
E per questo si dice, che quando si rompeva una bottiglia di olio, c’era
molto dispiacere, perché dietro c’era molto sacrificio.
Federica Pantano
46. La festa del primo maggio
Circa 50 anni fa si faceva la festa del primo maggio. In questo giorno
passavano per le vie principali di Castelbuono i carri trainati dai muli
e dagli asini decorati con le ginestre dove sfilavano i lavoratori del
paese e una volta arrivati in piazza Margherita si faceva un comizio e
si cantavano canzoni popolari.
La sagra delle ciliegie
In passato a Castelbuono si festeggiava la sagra delle ciliegie. Gente
straniera e dei dintorni, quel giorno, veniva a Castelbuono per
gustare questo frutto molto buono. Non sapendo cosa provocavano
le ciliegie, le persone ne mangiavano in gran quantità e ci bevevano
di sopra; proprio per questo spesso cominciavano ad accusare mal di
pancia e un ragazzo, andando a mare, ebbe un blocco intestinale e
morì. Da quel momento il comune di Castelbuono ha venduto il
titolo di questa sagra ad altri paesi e così non si festeggiò più
Cancila Paola IB
48. STORIE CASTELBUONESI
I ladri e i morti :
Si narra che tanti anni fa , nella matrice vecchia , vennero dei ladri a rubare tutto l’oro
della chiesa. Quando arrivarono i ladri videro uscire dalla cripta dei morti e dovettero
fare un lungo combattimento . Così la mattina dopo il prete trovò sparsi per la chiesa
tutto l’ oro e i morti.
Il rapimento del teschio:
Si racconta che nel 1605 venne rubata la reliquia di S.ANNA da un carcerato che, nel
momento della festa della Santa , scappò dal castello con il teschio . A Messina si trovò il
carcerato evaso moribondo e il principe Ventimiglia non riuscì a farsi dire dove aveva
nascosto la reliquia . La cercarono per 10 anni finché, nel decimo anno , in un orto di un
convento a Palermo , il frate trovò sottoterra il teschio e così per la felicità il principe
fece fare nove giorni di festeggiamento.
Questa è la ragione della nascita della novena di S. ANNA .
La peste e i santi:
Si racconta che, nel periodo della peste , a Castelbuono la peste non poteva entrare. Il
motivo era che alle porte del paese comandava S.ANNA dal sud del paese e dal nord
S.GUGLIELMO. Così la gente di Castelbuono non fu colpita dalla peste .
CUSIMANO MICHELE IB
49. La matacona
C’era una volta un uomo che non aveva un lavoro, ma solo un pezzo di
terra e per nutrirsi doveva zappare, solo che lui non ne voleva
sentire niente .
Allora un giorno decise di farsi monaco . Quando arrivò in
parrocchia il Padre Guardiano gli disse che doveva andare nel
seminterrato per prendere la matacona.
Il giovane monaco scese nel seminterrato e iniziò a cercare la
matacona. Purtroppo, però, non sapeva cosa fosse la matacona e
quindi andò dal Padre Guardiano e gli disse:
” IO MATACONA NON NE HO TROVATA “.
Il Padre Guardiano allora scese nel seminterrato e disse al
monaco:
“E QUESTA COSA TI SEMBRA ? “ .
Il monaco rispose : “E QUINDI LA MATACONA SAREBBE LA ZAPPA?
“
Il monaco tra sé e sé disse: “SONO CONDANNATO A ZAPPARE! “
ERICA GUARCELLO
51. “A CUMMARI E A LAVANNARA” (La comare e la lavandaia)
Ai tempi antichi quando due persone diventavano comari si diceva che tra di loro c’era
“U San Giuvanni”.
Un giorno una lavandaia con la comare andarono alla Fiumara a lavare i panni, ad un
tratto cominciano a litigare con brutte parole e insulti. La comare mortificata disse alla
lavandaia: ”Basta !Basta! Pinzati o San Giuvanni!” e lei arrabbiata le rispose : “Chi San
Giuvanni e San Giuvanni!”- Allora la comare le disse “Non dite così cummari mia
perché San Giovanni geloso è”. La lavandaia, arrabbiata, prese i suoi panni e se ne
andò.
L’indomani ritornò alla Fiumara a lavare una tela, ma aveva appena immerso i primi
panni, quando rimase pietrificata. Le lavandaie che erano lì cominciarono a gridare-
“Murì-murì a lavannara!”- Arrivarono subito i becchini ma non riuscirono a spostarla
perché era pesante come una montagna, allora arrivarono i preti e solo dopo la
benedizione riuscirono a trascinarla.
Si racconta che per tanto tempo lo Spirito della «lavannara» andò a lavare la tela alla
Fiumara e che prima che il gallo cantasse si metteva sul tetto della chiesa di San
Giovanni e alle prime luci del giorno scompariva.
Anita Spallino
53. L’ asino e la luna
Una sera un marito e una moglie andarono ad abbeverare il loro asino; e
siccome c’era in cielo la luna, questa si rispecchiava nell’acqua
dell’abbeveratoio.
L’asino cominciò a bere; ecco che una nuvola coprì la luna e, nell’acqua, non
la si vide più.
La moglie allora, tutta impaurita, credendo che l’asino se la fosse bevuta,
gridò al marito che si trovava a cavallo sull’asino:-L’ asino si è bevuta la luna!
Il marito, più bestia dell’asino, cominciò a bastonare l’infelice quadrupede
gridando:-Vomita la luna! Vomita la luna!
Il povero asino che cosa doveva vomitare?....L’acqua?
Ma la nuvola scomparve e la luna si rispecchiò di nuovo nell’acqua. Allora
moglie e marito se ne tornarono a casa felici e contenti di aver fatto vomitare
all’asino la luna bevuta.
Fabrizio Di Garbo
55. LA STELLA CADENTE
Quando mia mamma era piccola, la nonna, la sera prima di andare a letto, le
raccontava delle fiabe. Questa è una delle tante che si ricorda mia nonna.
C'era una volta un RE e una REGINA che vivevano in un castello. I due si amavano
tanto e desideravano avere dei figli. Però questo grande desiderio non si avverava
mai e i due ne soffrivano tanto. Una notte d'estate, mentre erano seduti in
giardino, videro una stella cadente: essa lasciò una scia luminosa. Era talmente
bella che i due innamorati rimasero a bocca aperta ed espressero subito un
desiderio, quello di avere al più presto un bambino. Infatti dopo poco tempo la
regina si accorse di essere in dolce attesa. Così dopo un po' di tempo nacquero
due bambini e non uno come si aspettavano. Erano molto felici, il re e la regina,
che finalmente erano diventati mamma e papà. I due bambini li chiamarono
Olimpia e Sofia e poi diventati adulti presero il trono dei loro genitori, diventando
le due principesse del castello. Così vissero tutti felici e contenti.
Alessio Zito
56.
57.
58. Mia nonna Sara, un pomeriggio, mi ha raccontato la storia di un personaggio
caratteristico castelbuonese. Il suo nome (o più precisamente così come veniva
chiamato da tutti) era Micu u Pagliaru. Questo personaggio, vissuto nel Novecento,
era davvero particolare nel suo modo di vivere la vita e il paese.
Abitava in una traversa dei Cappuccini, ma viveva in simbiosi con le sue pecore.
Questo “bambinone” era sempre circondato da bambini che lo seguivano perché
incuriositi dal suo modo di fare con gli animali, tanto che si racconta che facesse la
comunione alle sue pecore e dormisse nel pagliaro per stare vicino a loro.
Suonava lo zufolo e scriveva poesie, ma usava il suo “tascapane” come foglio. Si
vestiva sempre alla stessa maniera, con la coppola marrone con i copri orecchie in
velluto legati l’un l’altro e distintivo il tintinnio del suo grande mazzo di chiavi
tenute dalla cinta.
Micu suonava il tamburo e i «mazzuocculi» e così aveva lui l’onore di aprire la
processione del Sacro Cuore di Gesù circondato da bambini con ramoscelli di
alloro.
Di lui si ricorda il caratteristico “carruzzzuni”, una sorta di tavola con quattro
cuscinetti o ruote che permettevano di correre con allegria per le vie del paese.
Era una persona molto devota, ma quando morì suo fratello, prematuramente,
prese a sassate il crocifisso della Chiesa dei Cappuccini, vicino casa.
Micu u Pagliaru morì scivolando sulla neve durante la nevicata del 1981, sbattendo
la testa contro un masso.
Enrico Madonia
60. «Ci azziccai l’asinu e i carrubi»
Un giorno, un contadino andò a raccogliere le carrube. Riempì i
sacchi li caricò sull’asino e partì.
Camminando, camminando, arrivò alla piazza del paese; un uomo
di “malaffari” gli si avvicinò, infilò le mani nel sacco e prese un
pugno di carrube. Il contadino se ne accorse e dai nervi gli diede
un calcio, l’uomo cadde a terra e le persone che erano in piazza
cominciarono a gridare al contadino: “Mischinazzu! Mischinazzu!
chi ci facistivi!”
Poi lo accerchiarono e cominciarono a picchiarlo.
L’uomo di “malaffari”, approfittando della confusione, si alzò,
prese l’ asino con tutte le carrube e se ne andò.
E fu così che il povero contadino rimase fregato e senza niente.
Anita Spallino
61.
62. STORIA DI UN MARITO GELOSO
C’era una volta u scarparu (un ciabattino) che aveva sposato una delle più belle
ragazze del paese. Dopo il matrimonio l’uomo divenne gelosissimo della moglie e
diffidente per ogni cosa. La donna aveva l’abitudine di affacciarsi alla finestra
mentre faceva le faccende domestiche e gli uomini che passavano per quella strada
ne approfittavano per dare una sbirciatina. Il marito, assai geloso, la rimproverava e
subito la faceva rientrare in casa. La gelosia dell’uomo ben presto prese il
sopravvento, impedendogli persino di lavorare perché sempre impegnato a
controllare la moglie. Dopo svariate liti, il marito aveva obbligato la moglie a
starsene tutto il giorno dietro il vetro della finestra in modo che lui la potesse
controllare in ogni momento della giornata. La donna stufa di ubbidire aveva
escogitato un piano: dietro la finestra aveva poggiato una grossa zucca rossa, che
aveva poi adornato con scialle e gioielli mentre lei se ne andava liberamente in giro
per il paese a fare i propri comodi. Un giorno il ciabattino vide passare a cavallo una
bella donna insieme ad un uomo; la donna sembrava somigliare a sua moglie e
inoltre portava delle scarpe che proprio lui gli aveva confezionato ma lui, guardando
verso la finestra, fu rassicurato vedendola sempre lì dietro il vetro. Quando l’uomo
la sera rientrò a casa trovò l’amara sorpresa: una bella zucca alla finestra.
Ficarra Vincenzo
64. A pricissioni di muorti
La leggenda vuole che la notte precedente il due novembre, una processione di morti si snodi dai
Cappuccini per giungere alla Matrice Vecchia. Si parla di una moltitudine, ordinata in
processione, ognuno recante una candela in mano. Procedono secondo un ordine preciso, sia
gerarchico che per tipologia di morte. Apre il corteo un Angelo, detto “u rapprisintanti” e, a
seguire, i dicullati, i picciriddi senza vattiati, l’armuzzi ‘mpisi, i muorti senza nuddu ecc.
La particolarità del racconto sta nel fatto che indicava anche la presenza delle confraternite
(ovviamente dei morti delle confraternite) come se si trattasse di una processione vera…. “Ci su i
papau! vistuti comi pà pricissioni du Signuri!” (vestiti con la cappa e con il cappuccio).
La processione, che si svolgeva ad un’ora imprecisata della notte, percorreva alcune strade del
paese, secondo questa versione scendeva per i Cappuccini, Sant’Agostino, San Francesco, Rua
Fera, Piazza Margherita, per arrivare alla Matrice Vecchia. Qui, un “campanaru muortu suona u
campanuni di muorti” e annunzia la messa. Chi tra il popolo, destato nel sonno, avesse confuso
quel suono con quello della normale Celebrazione e si fosse diretto in chiesa, si sarebbe ritrovato
tra i morti e avrebbe potuto passare dei guai. In molti giuravano di avervi partecipato: una donna
del quartiere Salvatore diceva di essere entrata, aver preso posto ed essersi accorta dell’errore
solo quando entrarono i sacerdoti, l’altro sosteneva di essere entrato ma, appena sedutosi, vide
un parente morto accanto a lui che lo avvertì di scappare.
La messa, manco a dirlo, è celebrata da sacerdoti defunti. Nella fattispecie erano “i viicchi da
matrici”, quei sacerdoti mummificati e sepolti nella cripta fino ad anni recenti.
Terminata la celebrazione i morti risalivano verso i Cappuccini salendo “pà strata longa”.
Guai a chi osa interrompere il rito! Guai per lui e per tutti!
Davide Cascio ID
66. “A VECCHIA”
A Castelbuono era tradizione che l’anno che se ne andava portasse con
sé doni ai bambini. Questo anno vecchio veniva rappresentato dalla “Vecchia”,
antesignana della Befana, che scendeva dai “Munticieddi” e, durante la notte
del 30 dicembre, portava ai bambini “cosi chini, pizzichintì, ficu sicchi” e
qualche giocattolo o carbone per i monelli.
I ragazzi aspettavano con ansia l’arrivo della “Vecchia”. Nei giorni precedenti si
riunivano a frotte e confezionavano alla buona un pupazzo che la
rappresentava e lo portavano in processione lungo le vie, cantando e facendo
baldoria con campanacci. Quando sui monti notavano del fumo,
probabilmente proveniente dai “fussuni” dei carbonai, pensavano che la
vecchia ardeva “u furnu” per cuocere i “cosi chini”.
Per i bambini questo era uno dei momenti più attesi dell’anno, non solo perché
era occasione di divertimento fino a tarda notte, ma anche perché l’indomani
mattina, ai piedi del letto, avrebbero trovato i tanto attesi doni portati dalla
“Vecchia” durante la notte.
Eleonora Minà ID
68. I MONACI DI LICCIA
Si dice che alcune sere, nell’ex-monastero in contrada
Liccia, un esercito di monaci vaghi e ballino con le
lanterne, spaventando chi lì si trova. Le origini della
leggenda sono legate possibilmente al fatto che il
riposo eterno dei monaci lì sepolti era stato interrotto,
in quanto l’edificio era crollato sulle tombe e i monaci
sono così divenuti fantasmi.
Sofia Cammarata ID
70. LA MOGLIE GHIOTTA
Si racconta che c'erano una moglie e un marito. Il marito la mattina faceva la spesa e portava
alla moglie carne e pasta per preparare un bel pranzetto. La moglie si metteva a cucinare e poi,
quando erano un po' cotti, cominciava ad assaggiare e, assaggia ora assaggia poi, si mangiava
tutto. Poi cominciava a preoccuparsi, pensando che il marito presto sarebbe tornato per
mangiare e aveva escogitato di dirgli che aveva mangiato tutto la gatta. Un giorno suona
mezzogiorno e il marito torna affamato e le dice: " Nina, apparecchia la tavola e mangiamo
perché ho una fame che mi fa svenire " e lei rispose: " Non posso apparecchiare, perché la gatta
ha mangiato tutto ! ". Il marito disperato e affamato, perché questa storia andava avanti da un
po’ di giorni, esce per strada e incontra un compare che, vedendolo triste, gli chiede: " Che avete
compare ? " " Sono disperato, non mangio da tre giorni, porto la spesa a casa e mia moglie si fa
mangiare tutto dalla gatta ! ". Il compare risponde: " Non preoccupatevi, ve lo do io il rimedio, vi
do una noce, una mandorla, una castagna e una nocciolina, li dovete mettere agli angoli della
stanza e vedrete che così mangerete voi soltanto e lei no ! ". Ascoltato il consiglio, l'indomani
mattina esce a fare la spesa al solito e, al ritorno, le raccomanda di non farsela mangiare dalla
gatta. La moglie comincia a cucinare e al solito le viene voglia di assaggiare, ma, quando porta il
cibo alla bocca sente: " Olà ! Che si farà? Senza di lui non si mangerà ! ". A sentire quelle voci,
cominciò a tremare dalla paura, pensando che in casa ci fossero gli spiriti e che doveva andare
via di lì. Tornò il marito, ma lei non volle mangiare e diceva di voler cambiare casa. Cambiarono
casa diverse volte, ma il marito metteva sempre la noce, la castagna, la nocciolina e la mandorla
agli angoli della casa fino a quando lei si tolse il vizio.
Favula ditta, favula scritta, diciti la vostra ca la mia è ditta.
Chiara Virgilio ID
71. La vendetta dei Vecchi “a Matrici”
Nel 1820, quando ci fu il terremoto a Castelbuono ,crollò la cupola
della Madrice Nuova portandosi dietro l’intera navata centrale . La
popolazione sostiene che sia stata la vendetta dei “vecchi”, ossia dei
sacerdoti defunti esposti alla Madrice Vecchia ,nella cripta. Dopo la
costruzione della nuova madrice , infatti, nessuno si curò più del culto
dei poveri vecchi dell’antica matrice, allora questi si ribellarono e
distrussero quello che era diventato il vanto della città, la nuova
Matrice.
Enrica Cancila ID
73. Quannu u Sarvaturi era nicareddu
Quannu u Sarvaturi era nicareddu a so Matri Maria a facia
stupiri! “ Figghiu mia, ma chi stai facennu?” “Fazzu du
palummeddi pi iucari!” “Teccà stu pani e fallu a cuddureddi
accussì ca a chiddu veri ci pigghianu rassumigghiu.”
Gesuzzu si misi a ‘mpastari ,ci fa a uzzaredda ,a tistuzza,
l’ali, u biccuzzi e l’ucchiuzzu apertu e ci lu fa vidiri a so matri
. “Oh chi bella palummedda ca facisti Gesù ! Mettiti ddocu
e ioca tanticchia ca ia haiu a fari sta ‘nfurnata,” ma mentri
Maria si vota pi pigghiari u criscenti, Gesuzzu, cù un signali i
cruci, duna vita a palummedda e a fa vulari.
Enrica Cancila ID
74.
75. Rutta pi rutta, rumpemula tutta
Un jornu Ciccu Ciccareddu Furriaciccu iava all’acqua. A
funtana era china di cristiani ca parravanu dicennu milli
discussioni. Ciccu Ciccareddu Furriaciccu era misu ‘ncapu
u muragghiuni ca ascutava a Masciu Cola Culiceddu ca
dicia cu summa maistria “rutta pi rutta, rumpemula tutta”.
Lesti ca Ciccu fici pi movisi, va cadi a lancedda! Si rumpiu
sulu u manicu, ma chiddu, scartu, vista a vista di Masciu
Cola, pigghiavi a lancedda e a rumpivi propriu.
Sofia Cammarata ID
77. Tredicino
In un regno lontano viveva un re con una bella figlia di nome Bianca Maria Pavone.
Un giorno un orco cattivo, che viveva nel bosco, rubò al re un cavallo bianco alato e
parlante che si chiamava Pegaso e una copertina tutta rivestita di campanelli d'oro. Il
re, arrabbiato, promise che avrebbe dato in sposa la sua bella figlia a chi avesse
avuto il coraggio di riportargli il cavallo e la coperta. Tutti avevano paura tranne uno:
Tredicino. Prima di partire si fece dare tre sacchi, uno pieno di cimici, uno pieno di
pulci e uno pieno di pidocchi. Arrivò di notte nel palazzo dell'orco e si nascose sotto il
letto, non poteva tirare la coperta perché i campanellini avrebbero suonato, così
gettò sull'orco il sacco con le pulci. Questi cominciò a grattarsi mentre Tredicino
arrotolava la coperta, poi svuotò il sacco con le cimici e continuò ad arrotolare e poi i
pidocchi fino a quando arrotolò tutta la coperta, mentre l'orco era troppo intento a
grattarsi, lui scappò. Arrivò dal re con la coperta e per la seconda missione si fece
dare una sega e un sacchetto di zollette di zucchero. Tredicino andò nella stalla
dell'orco e cominciò a segare la catena che teneva legato il cavallo, questi stava
cominciando a gridare: “Tredicino mi prende ! " quando la sua bocca fu riempita di
zollette di zucchero. Spezzata la catena, Tredicino saltò in groppa a Pegaso che
spiccò il volo sotto lo sguardo stupito dell'orco. Arrivò al palazzo con Pegaso e il re si
complimentò moltissimo per l'astuzia di Tredicino, ma disse che prima di darle in
sposa sua figlia doveva portargli l'orco in carne ed ossa.
78. Tredicino andò nel bosco dell'orco e cominciò a segare gli alberi, l'orco sentì quel
rumore e cominciò a gridare: " Chi osa entrare nel mio giardino ! " e poi " Sei tu
Tredicino, io ti mangio vivo ! ".
Ma Tredicino rispose: " Io sono Pasqualino e sto facendo una cassa di legno per
rinchiudere Tredicino che ne ha combinate di tutti i colori, se vuoi aiutarmi distenditi
dentro la cassa e dimmi dove vedi entrare luce ! ". " Certo che ti aiuto " rispose l'orco "
se si tratta di acciuffare quel furfante ! ". L'orco si distese nella cassa e Tredicino
gridava: " Dove vedi la luce? ", l'orco glielo indicava e Tredicino piantava un chiodo,
fino a quando la cassa fu tutta ben sigillata. A quel punto l'orco disse: " Pasqualino ora
apri " e si sentì rispondere: " Iu sugnu Tridicinu, chi ti portu 'nta lu spallinu, ti n'ha fattu
e ti n'ha fari, a lu Re t'ha cunsignari ! ". Lo portò dal re e Bianca Maria Pavone si
innamorò di questo coraggioso e astuto giovane, si sposarono e vissero felici e
contenti. E noi qua senza far niente.
Niccolò Virgilio ID
80. U votu da zà Cicca
C’era una volta una signora, che chiamavano “ a zà Cicca,” che non
poteva avere figli e, se le nascevano, morivano subito. Un giorno
andò a pregare San Giuseppe, nella chiesa di Sant’Agostino,
promettendo che avrebbe fatto il mangiare a cinque Santi se San
Giuseppe le avesse fatto partorire un figlio. Il tempo passava, finchè
un giorno il bimbo nacque, era bello e molto grazioso, con due occhi
che sembravano stelle. Per vari motivi la signora Cicca si dimenticò
del voto fatto a San Giuseppe. Il mercoledì dedicato a San Giuseppe,
la signora Cicca si trovava in campagna a cucinare quando, dal fondo
della pentola, le apparve il volto del Santo che la guardava male. La
signora si ricordò allora della promessa non mantenuta. Questa storia
ci vuole ricordare che non si scherza con i Santi e che ogni promessa
è un debito.
Virginia Gentile ID
82. Cicirello
C’era una volta un uomo povero che aveva tre figli, due femmine e un maschio che si chiamava
Cicirello. I figli erano piccini e l’uomo si dava da fare per procurare loro da mangiare.
Quando Cicirello fu più grandicello, il padre gli disse: “Cicirello, tu ora porterai i buoi al pascolo e
io zapperò la terrà”.
- Sì, certo - rispose Cicirello.
Il padre gli diede il bastone con la punta di ferro e gli disse: - Se i buoi non ti ubbidiscono pungili.
Poiché un giorno uno dei due buoi non voleva saperne di stare tranquillo Cicirello lo punse, come
gli raccomandò il padre. Il bue giurò di vendicarsi e nel pomeriggio approfittando del fatto che
Cicirello si era addormentato dietro un cespuglio, si avvicinò e lo divorò con tutto il cespuglio.
La sera il padre, non vedendo comparire il figlio, cominciò a cercarlo e a chiamare: - Cicirello!
Cicirello!
Ma Cicirello non rispondeva. Il padre continuò a cercarlo e a chiamarlo finché lontano lontano
sentì Cicirello che diceva: - Sono qui! Sono qui!
- Qui dove?
- Nella pancia del bue.
- E perché non esci?
- Perché non posso, qui è tutto nero! Non vedo niente!
Molta gente intanto era accorsa e il padre per salvare il figlio con l’aiuto degli altri uccise il bue, gli
aprì la pancia e finalmente Cicirello uscì.
E tutti vissero felici e contenti.
Rosario Genchi
83.
84. “La Santa reliquia”
Durante la seconda guerra mondiale i Francesi volevano impossessarsi della sacra reliquia,
aprirono la grata e la estrassero. Appena usciti dalla cappella, giunti sulle scale, la reliquia
diventò pesantissima. I Francesi scendevano e la reliquia diventava sempre più pesante finché
il peso divenne insostenibile e loro fuggono impauriti. Successivamente la reliquia fu
ricondotta dai Castelbuonesi in cappella senza alcuno sforzo.
Sempre durante la guerra gli Americani cercarono d'impossessarsi della reliquia, ma appena la
reliquia varcò l'uscio della cappella...tutte le campane suonarono per dar tempo ai
Castelbuonesi d'accorrere. Come la volta precedente la santa fece in modo che più scalini i
ladri scendevano più le scale aumentavano. Appena la gente accorse mise in fuga gli
Americani e ricondussero la reliquia dentro la cappella.
Vanessa La Iuppa
85.
86. A festa di “iadruzza”
Una vecchia festa tradizione castelbuonese era quella che si svolgeva “o cuozzu u
Rusariu”, oggi dove sorge l’attuale ufficio postale.
Il gioco consisteva nel mettere in palio “iadruzza”, cioè gallinelle, distanti dai
partecipanti,
Veniva data una certa somma (per esempio 10 lire) e le persone avevano a
disposizione “deci curpi i puntala”, cioè dieci colpi di pietra per colpire le galline.
Chi riusciva a “struppiare na iaddruzza cu un cuorp i puntala sa putiva purtari a so
casa e sa putiva manciari picchi era struppiata” (cioè chi faceva male alla gallinella
con un colpo di pietra se la poteva portare a casa sua e mangiarla).
Questo gioco era stato creato, perché in quel periodo si soffriva “u pitittu”, cioè la
fame e ciò portava il popolo ad attuare queste violenze nei confronti degli animali,
ma col passare degli anni questo problema andava sempre più svanendo, perché ci fu
un miglioramento nel modo di vivere e non si è ritenuto più opportuno continuare
questo gioco.
Questa storia risale all’ infanzia dei miei nonni tra il 1930 e il 1950.
Gabriella Gambaro
87.
88. Il viaggio di Sant’Antonio
Si racconta che nel XIII secolo, durante il secondo viaggio in Sicilia di S. Antonio da Padova,
mentre era in costruzione la cattedrale di Cefalù , fu mandato a ritirare una campana con
altri confratelli a Gonato dove c’era una fonderia. Allora, siccome si raccontava della sua
santità, i monaci che lavoravano nella fonderia gli dissero che se si fosse caricato e
avrebbe portato da solo la campana fino a Cefalù in spalla, non gliel’avrebbero fatta
pagare, ma lui, sbalordendo tutti, la caricò sulle spalle e la portò fino a Cefalù.
La leggenda vuole che arrivato nel paesino di Ypsigro si fermò presso una cappelletta e si
mise a pregare e proprio lì, secondo la leggenda, i conti dei Ventimiglia fecero edificare la
chiesa di S. Francesco con il cappellone di S. Antonio. Successivamente nel cappellone
esagonale sono stati sepolti alcuni dei conti di Ventimiglia.
In realtà non ci sono dati certi che S. Antonio sia passato per questo nostro paese, che
allora si chiamava Ypsigro… ma esiste solo una lapide nella cattedrale di Cefalù e la
testimonianza orale degli abitanti di Castelbuono. Comunque ci piace pensare che questo
Santo, così importante per la Cristianità, abbia calpestato il suolo del nostro paese.
Maria Rita D’Ippolito
89. Storia su San Guglielmo
Si racconta che nella chiesa di San Guglielmo le persone andavano al mulino a prendere
la farina, ma un giorno c’è stato un furto, così il giorno seguente hanno mandato un altro
uomo, il quale ha subito lo stesso trattamento.
Infine viene mandato Guglielmo, il quale quando si sono presentati i ladri, lui ha spezzato
la zampa al mulo così i ladri si sono spaventati e sono scappati.
Lui però, pensando che gli altri non avessero creduto all’accaduto, gliel’ha riattaccata al
contrario per fare in modo che gli altri notassero la differenza e si accorgessero di
quello che aveva fatto. Quando ritornò tutti rimasero senza parole e così da allora hanno
mandato sempre lui a prendere la farina e i ladri non si sono più avvicinati a Guglielmo.
Ester Castiglia
91. LA FIERA INCANTATA
“Si cunta e s’arraccunta un bellissimu cuntu, si un lu sacciu raccuntari amici mia m’ ata
scusari.”
Un pastore si aggirava su una montagna vicino Castelbuono sul far del tramonto, con il suo
gregge e, tutto ad un tratto, vide una luce. La seguì e arrivò in una caverna in cui trovò un
gallo dalla bella e maestosa cresta davanti all’ingresso. In quella grotta c’era una fiera.
Il pastore prese il gallo e tutta la fiera si trasformò in oro. Allora il pastore diventò ricco.
Secondo la leggenda la fiera compare ogni sette anni, la sera dell’Epifania e solo le persone
ignare possono trovarla.
“Ciciu, ciciu, ca u cunti finiu”
Federico Castiglia
93. “ Pi Sant’ Anna t’accattu u gelatu”
Si racconta che una volta i nostri vecchi dicevano... " Per S. Anna ti compro il gelato"!
Perché si diceva così?
Perché quando non c'erano i frigoriferi e i frizeer non si poteva fare nè il ghiaccio e nè
ghiacciare i liquidi, ma c'erano delle persone che ogni anno in primavera andavano nelle
nostre Madonie a coprire i ghiacciai in modo da mantenere il ghiaccio integro fino a luglio,
quando si festeggiava la festa di S. Anna, la nostra Patrona.
Gli addetti ai lavori andavano in alta montagna con i muli, tagliavano con delle seghe
particolari il ghiaccio e facevano dei blocchi; li rimettevano dentro i sacchi di iuta
avvolgendoli dentro la paglia in modo da mantenersi freschi. Si caricavano sui muli e
venivano trasportati giù dalla montagna fino in paese. Questi blocchi di ghiaccio venivano
portati ai nostri baristi che si affrettavano a lavorarli per fare la granita.
Questo delizioso, dissetante e rinfrescante miscuglio fatto di ghiaccio, limone e zucchero
che rinfrescava i palati dei nostri castelbuonesi è chiamata " Ranita ".
Domizia Minutella
95. C'era na vota un puviriddri ca un na via casa, allura un jorni
chiuviva e si vagnavi. Passavi davanti na chiisi e dissi: “ Ora
mi ni vai dintra a chiesa accussì un mi vagni.”
Truvavi un parrini no pulpiti chi pridicava e incuminciavi a
diri: «Siimi tutti frati, u riccu avi aiutari u poviri, picchì siimi
tutti frati».
U puviriddri allura dissi: “ Ca ia allura sugnu frati du
parrini?”
Niscivi da chisi e dissi: ”Ora mi ni vai a casa du parrini visti
ca sugnu so frati!”
Tuppuliavi na porta e arrispunnivi a cammarera e ci dissi:
«Cu è, cu è?»
Rispunnivi u puviriddri: «Sugnu u frati du parrini».
96. «Lei è il fratello del prete? Venga, salga!»
La cameriera lo fece lavare, gli diede della biancheria
pulita,
poi uccise un «Crasto» e gli diede da mangiare.
Nel frattempo arrivò il prete e la cameriera gli disse:
« E’ arrivato suo fratello, venga, venga»
«Mio fratello? Io non ho fratelli!»
«Come, feci uccidere u «crasto» e gliel’ho cucinato!»
Il prete chiese al povero: «Tu sei mio fratello?»
«Sì, stamattina lei anava ripetendo che siamo tutti fratelli e
io
sono venuto a casa sua».
«Sì, è vero, però siamo fratelli in Cristo non in crasto!»
Nicolò Montoro
97. Tri frati partiri pa caccia, dui orvi e unu un ci vidiva,cu tri fucila,dui senza i
cartucci e uni senza canni, battiru un pizzu i mari e ammazzaru tri cuniglia.
U frati chiù nicu che unn’era u chiù ranni, giura che vitti un cunigliu che curriva
chiù veloci di na lepri inseguita da un pescicani.
Partiri pa casa in fila indiana, pi strada bussarunu a na casa senza porta, ci
arrispunnivi cu un c’era, e ci dissi:
-“Chi vuliti?”
-“Ni servi na pignata pi manciari i cunigli ca un pigliammi.”
C’ ha arrispunnivi :
-“Ci ni suni dui, una sfunnata e l’atra senza funnu, quali vuliti vi pigliati!”
U frati chiù ranni ci dissi:
“Chi nami a fari cu chiddra sfunnata, pigliamini chiddra senza funnu.”
Si pigliaru un cutiddri senza denti, e na furchetta senza corna e i piatti senza
funnu.
98. Si inchiri un cufini i vinu e un panaru di acqua, si misiru o friscu sutta un pedi
di piddrisini, pigliarini un mazzi di rami nto boscu di menta e si arrustiri cu
fuochi che non c’era i cuniglia che non pigliaru.
Manciarunu e vippiru ,poi partirunu pa casa; mentre passavanu supra na saia
cu l’acqua, u frat chiù nicu, che non era u chiù ranni ,ci sciddricavi u pedi e si
bruciò a iamma finu u ginucchiu; curreru camminannu nu dutturi e un lu
truvari ;
Cercaru u medicu : era in campagna, irunu dra e truvarinu u medicu ca
zappava e u duttur che rimunnava e ci dissiri:
-“nostru frati si bruciò na iamma finu a u ginucchiu”
U medicu u guardò e u dutturi u visito’.
-“Un è gravi”
-Si campa un mori, se un mori non campa!
-“Grazie dutturi”
-“Prego”, ci dissi u miedicu.
Vinni putiti iri, mettitivi i coppuli; ci diss u medicu.
“Coppuli un avimi.”
“Quando vaccatati vi mittiti!”
Ci dissi u medicu.
Città Gabriele
100. C’era una volta Concetta che viveva con la sua mamma .Ogni
mattina la mamma andava a messa .Una mattina disse a Concetta:-
«Cucitteda tu cucini la carne e quando vengo io la mangiamo
assieme». Detto questo mise una padella sul fuoco e ci mise la
carne. Dopo un po’la mamma ancora non arrivava e Concetta
aveva fame e la carne era pronta. Allora si affaccio nel balcone e
chiese :
- «Signora Annetta Signora Annetta avete visto mia mamma ?» -
«No, no»- rispose lei.
Allora entrò dentro e si mangiò un pezzo di carne, ma aveva
ancora fame .Così si affacciò e chiese:
- «Signora Liboria, Signora Liboria avete visto mia mamma?»
- «No,no»- rispose lei . Allora se ne mangiò un altro pezzo, ma
aveva ancora fame, allora uscì e chiese:
101. - «Signora Rosa, Signora Rosa .Avete visto a mia mamma?»
- «No,no»- rispose lei.
Allora Concetta finì tutta la carne , ma la mamma non veniva
e la padella si era bruciata . Quando arrivò la mamma sentì
puzza di bruciato. Dal piano di sotto si sentiva la mamma
chiamare Concetta. Allora lei si spaventò e non voleva che le
desse botte così prese la padella e si nascose in bagno. Per
nasconderla vi si sedette di sopra e si bruciò il sedere e
quindi piangeva. La mamma sentendo piangere la cercò
ovunque, finché non la trovò e la rimproverò. «Ma cosa hai
combinato!?»
«Io avevo fame e tu non venivi»- rispose lei. «Scusa, scusami
mamma» La perdonò e vissero felici e contenti.
Maria Vrabie
102.
103. Si cunta e si raccunta nu bellissimu raccuntu…
C’ era una volta un sagrestano. Ogni giorno un lattaio andava a
portargli il latte. Mentre il sagrestano andava a servire la messa un
topolino andava a bere il latte. Un giorno il sagrestano si nascose
per vedere cosa succedeva. Quando vide il topolino gli tagliò la
coda. Il topolino chiese implorando che gli si fosse riattaccata la
codina, ma il sagrestano voleva in cambio il latte e gli consigliò di
andare dalla capretta. Quando arrivò lì il topo chiese:- Capretta bella
capretta mi puoi dare il tuo lattuccio? Così il sagrestano mi riattacca
la codina! E la capretta rispose:- Ma tu m’ hai portato l’ erbetta? Se
non la mangio non posso fare il latte: vai dalla montagna e te la fai
dare.
Il topo arrivò dalla montagna e chiese:- montagnella bella
montagnella, mi puoi dare la tua erbetta?
104. Così la porto dalla capretta che mi dà il latte; poi lo porto dal
sagrestano e lui mi ridà la codina.
Ma la montagna rispose:- ma tu m’ hai portato l’ acqua?
Senza di quella non posso far crescere l’ erbetta! Vai dalla
fontanella.
Così il topo recatosi dalla fontanella chiese:- mi puoi dare la tua
acqua?! Perché mi serve per far crescere l’ erbetta che devo
portare alla capretta che mi da il latte; poi lo porto dal sagrestano
che mi attacca la codina.
Ma la fontana rispose:- Ma tu ce l’ hai il secchiello? Altrimenti
come fai a portarla via? Vai a comprarlo al negozio. Arrivato lì il
topo chiese:- Caro negozio, mi puoi dare un secchiello? Così lo
porto alla fontana per prendere l’ acquetta che devo portare dalla
montagna che mi da l’ erbetta; l’ erbetta la porto dalla capretta che
mi da il latte; poi lo porto dal sagrestano che mi da la codina
105. Ma il negozio rispose:- Ma tu hai portato i soldini? Fatteli dare dal
Re.
Allora il topo arrivato dal re chiese:- Sommo Re, Sommo Re, mi
puoi dare i soldini? Così li porto dal negozio che mi da il secchiello
che mi serve per prendere l’ acqua dalla fontanella; l’ acqua la
porto alla montagna che mi da l’ erbetta che porto dalla capretta
che mi da il latte; il latte lo porto al sagrestano che mi da la codina.
Il Re, sbalordito, diede i soldi al topolino che si recò al negozio per
prendere il secchiello che gli servì per portare l’acqua alla
montagna che fece crescere l’ erbetta che venne mangiata dalla
capretta che gli diede il latte. Il latte lo diede al sagrestano che gli
riattaccò la codina. I due rimasero per sempre amici.
Ciciu ciciu u cuntu finiu.
Maria Anna Cannizzaro
106.
107. Cèra una volta un vicchiarieddu che aveva un surdicieddu e diceva:-
Che cosa m’accattu cu stu surdiccieddu? Si m’accattu un arancio
c’haiu a livari a scorcia , si m’accattui favi ,ci haiu a livari a scorcia , si
m’accattu i patati l’ haiu a munnari .
Allura pinsò d’accattari un surdicieddu di latti .U misi ‘nta tazza e
ammucciò darria a maidda. Siniu a missa e quannu turnò, si vuliva
viviri u latti, ma truvò un surcitieddu chi viveva’nta tazza.
U vicchiarieddu cu un corpu di vastuni ci fici satari a cura e ci
dissi :-Dammi u latti .
U surci arrispunniu:- e tu dammi a cura. E u latti unni u pigghiu?
U vicchiarieddu ci dissi :-Voi ’na capra.
U surci va ’na capra e ci dissi :- dammi u latti ca io ciu porto o
vicchiarieddu, chi mi duna a cura e io m’ ha impiccicu .
E a capra ci dissi:-Etu dammi l’erba.
E u surci:-E l’ erba a unni a va pigghiu?-
A capra arrispunniù:-In campagna
108. U surci va a campagna e ci dissi :-Dammi l’erba, ca io a portu a
capra, a capra mi duna u latti , io ci u portu o vi cchiarieddu ,
iddu mi duna a cura e io m’ha impiccicu-.
A campagna ci dissi :- Dammi l’acqua -.
U surci:-E l’ acqua unni a va pigghiu?-.
A campagna ci dissi – A funtana .
U surci va a funtana e ci dissi :-Dammi l’ acqua ca io a portu a
campagna , a campagna mi duna l’erba , l’erba a portu a capra,a
capra mi duna u latti,io u porto o vecchiu ,iddu mi duna a cura
e io m’ha m’ impiccicu .
A funtana ci dissi:- E a lanciiedda unni a va pigghiu?
A funtana :-O stazzuni -.U surci va o stazzuni , u stazzuni ci
detti a lanciedda, a lanciedda, a purtò a funtana , ci detti l’
acqua , l’ acqua a purtò a campagna , a campagna ci detti l’
erba, l’erba a purtò a capra ,a capra ci detti u latti , u latti u
purtò o vecchiu , u vecchiu ci detti a cura e iddu sa m’
impiccicò. Vincenzo Antista
110. Vannuzzu è un cristianu di Castelbuonu di l’ anni 40-50.
E’canisciutu picchì facìa u sacristanu na chiesa da Badia. Unn’era
di bell’aspettu ma era buonu comu u pani. Era nicu nicu e avìa i
pedi storti. Era vistutu sempri alla stissa maniera: Avìa i
pantaluna sciarriati chi scarpi, na giacca chiù ranni d’iddru, a
coppola sempri n’testa e un paio di scarpuna correttivi. Quannu
a matina arrivava davanti a chiesa, rapiva l’acqua e abbivirava i
rasti, pua sunava i campani, addrumava i cannili e arrisittava. Pa
nuvena di Natali, sunava i campani e quattru di matina e siddri i
vicini di casa un si prisintavanu, iava a bussari darrìa i porti. No
pomeriggiu facìa cumpagnia o scarparu. So matri avìa u compitu
di accumpagnari in chiesa i picciriddri sutta u so scialli quannu
savianu a vattiari.
Carla Piazza
111. C’era una volta una famiglia povera con un figlio che si chiamava Giufà.
Una mattina la mamma disse al figlio:
- Giufà, vai a cercarti un lavoro sennò non possiamo mangiare!-
Giufà uscendo di casa trovò una bottega di abbigliamento e chiese al
proprietario se c’era un posto libero per lavorare e lui rispose:
-Non c’è posto per te qui!-
Uscendo da quella bottega si trovò davanti una macelleria e chiese al
macellaio se poteva lavorare lì e lui rispose:
-Mi dispiace, niente da fare!-
Uscendo dalla macelleria trovò un bar e domandò, di nuovo, se c’era un
posto di lavoro e anche là glielo negarono. Uscendo dal bar trovò un bel
ristorante e domandò al proprietario se poteva lavorare e lui rispose:
-Vieni! Domani mattina comincierai a lavorare!-
Giufà contentissimo ritornò a casa della mamma e le disse:
112. - «Finalmente ho trovato un lavoro!»-
L’indomani mattina il proprietario del ristorante dà a Giufà una trippa
da andare a lavare al mare.
Giufà cammina cammina arriva al mare comincia a lavare la trippa e,
siccome voleva sapere se era pulita, vide una barca lontano e
cominciò a gridare.
I pescatori, sentendo queste grida, si avvicinarono velocemente e
quando arrivarono vicino a Giufà gli dissero:
- «Cosa vuoi da noi?»
Giufà rispose che voleva sapere se la trippa era pulita.
I pescatori, arrabbiati, dissero a Giufà:-Ora tu devi dire sempre
«Signore, fateli correre!»
Giufà, nel cammino che portava in città, incontrò due cacciatori che
stavano per sparare ad una lepre e Giufà disse:-Signore, fateli correre!-
I cacciatori, infuriati,dissero a Giufà:-Da ora in poi dovrai dire sempre
«Signore,fateli ammazzare!»
113. Camminando, Giufà, arrivò in città e trovò due persone che
stavano litigando e disse loro:-Signore, fateli ammazzare!-E le
persone, che si trovavano là dissero a Giufà:-Da ora in poi dovrai
sempre dire «Signore, fateli dividere! Cammina cammina, Giufà,
arrivò in Chiesa durante un bellissimo matrimonio e disse
gridando:-Signore, fateli dividere!-e tutti parenti lo
schiaffeggiarono dicendo che doveva sempre dire «mille di questi
giorni!».
Arrivato al ristorante trovò tutto in fiamme e Giufà disse al
padrone:- «Mille di questi giorni!»-e il padrone, sentendo questo,
lo cacciò dandogli solamente la trippa. Arrivato a casa, Giufà e la
sua famiglia mangiarono la trippa felici e contenti.
Carlo Fiasconaro, IA
114.
115. Mia nonna materna mi ha raccontato che quando lei era piccola non
c’erano tutti i giocattoli che ci sono oggi, e solo le figlie delle persone più
ricche potevano avere bambole di plastica, cavallucci a dondolo o
giocattoli di latta. La famiglia di mia nonna era molto numerosa e
nonostante il mio nonnino avesse un’attività commerciale ben avviata, i
soldi servivano per provvedere al necessario e non era possibile fare
spese superflue. Mia nonna mi ha raccontato che desiderava tanto avere
una bambola e, non potendola avere, vestiva con pezzi di stoffa una
vecchia paletta di legno, alla quale aveva disegnato gli occhi e la bocca e
creato i capelli con la stoppa. Con quella “bambolina” la nonna ricorda
di aver passato pomeriggi interi a giocare e fantasticare.
116. Una mattina, però, e precisamente una mattina di Natale, al
risveglio una magnifica sorpresa attendeva la nonna: sotto
l’alberello di natale c’era un regalo per lei. Era una bambola di
pezza, che la zia Marietta aveva cucito a mano, con una perfezione
tale da sembrare una bambola vera. La gioia della nonna fu
immensa, da quel momento “Sarina”(questo fu il nome dato alla
bambola) divenne la sua compagna inseparabile di gioco e quando
usciva la portava con orgoglio sempre con sé.
Aurora Mazzola
118. Giufà una notte si trovò vicino a un pozzo e vide la luna
riflessa nell’acqua;
pensò che la luna era caduta dentro ,decise, allora, di
salvarla. Prese un secchio e lo buttò nel pozzo, quando
vide la luna riflessa nel secchio cominciò a tirare, ma il
secchio salendo rimase impigliato nella parete del pozzo.
Giufà tirando forte forte spezzò la corda e cadde a terra.
Alzando gli occhi verso il cielo vide la luna e disse:- Meno
male sono caduto, mi sono fatto male ma in compenso
ho salvato la luna dall’annegamento!
GIUFA’ E LA LUNA
119.
120. Una mattina la madre di Giufà, prima di andare a
messa gli disse:- Giufà vado a messa, quando ti alzi
tirati la porta e mi vieni a trovare in chiesa.
Giufà si alzò e prima di uscire prese la porta e
iniziò a tirarla cosi forte cosi forte che la
porta si ruppe .
Giufà se la caricò sulle spalle e andò in chiesa da
sua madre.
Sua madre quando lo vide si mise ad urlare:
- «Cretino che hai combinato, imbecille, scemo
Sono cose che si fanno?»
121. Giufa’ na matina si nni ivi a finocchi , e si arriduci arricuglirisi o lu
paisi di notti ; mentri camminava c’ era la luna ed era annuvulata
, e la luna affacciava e cuddava ; s’ assettò‘ncapu na petra e si
misi a taliari la luna ca affacciava e cuddava , e cci dicia quann’
affacciava : - affaccia affaccia ,quann’ cuddava cci dicia’ : -
cudda , cudda , è un allintava di diri «affaccia affaccia!»
Ntantu dà sutta la via c’eranu du ladri ca scurciavanu na vitedda
ca l’avianu arrulatu ; quann’ u ntisiru diri : - affaccia e cudda , si
scantarunu ca vinia la Giustizia ; accuminciari a curriri e lassarini
la carni . Giufa’ quannu’ vitti curriri a li latri , iy a vidiri chi cc’ era
e truvavi la vitedda scurciata ; pigliò lu cutieddu , accuminciò a
tagliare li carni e inghi lu saccu e si nnivi : arrivannu nni so matri
dissi: « apri».
So matri cci dissi : «pirchi vinisti a cussi tardi?»
122. «Vinni di notti ca purtai la carni e dumani l’ ati a vinniri tutta , li
dinari mi siervunu». Cci dissi so matri : «dumani ti nni va fora arria ,
ca ia vinnu la carni» .
Quannu la matina fu yournu Giufa’ si nni ivi fora , e so matri vinnivi
tutta la carni . la sira vinni Giufa’ e cci dissi: «ma la vinnistuvu la
carni ?»
«Sì , la detti a cridenza a li muschi» ,
«E li grana (i dinari ) quannu vi l’ hannu a dari ?»
« Quannu l’ hannu» .
Pasaru ottu iorna e i dinari li muschi un li purtavanu ; si partì Giufa’ e
Va nni lu giudice e cci dissi : - «Signori giudice , vogliu fatta giustizia ,
ca detti la carni a cridenza a li muschi è un hannu vinuti a pagarimi» .
Lu giudici cci dissi : - «ti dugnu prisintezza ca unni li vidi l’ amazzi .
Giustu giustu ( nel frattempo ) si posò na musca supra la testa di lu
giudice , Giufa’ duna un pugnu e rumpi la testa a lu giudice .
Teresa Lomonaco
123. RACCONTO :LA FIERA INCANTATA
-ASCOLTO DEL TESTO
-COMPRENSIONE DEL TESTO
-PRODUZIONE VERBALE
-PRODUZIONE GRAFICO-PITTORICA
COMPETENZE:
ASCOLTARE E COMPRENDERE LA LETTURA DI STORIE ,RACCONTI ,INVENTARE NARRAZIONI
DIALOGARE ,DISCUTERE,CHIEDERE SPIEGAZIONI E SPIEGARE
OBIETTIVO
ACQUISIRE CAPACITÀ DI ASCOLTO E DI COMPRENSIONE
USARE UN LESSICO ADEGUATO
STRUTTURARE IN MODO CORRETTO ED ARTICOLATO UNA FRASE
RIELABORARE ORALMENTE IN MODO CHIARO E COERENTE ESPERIENZE E VISSUTI,
RACCONTI ASCOLTATI
RACCONTARE UNA STORIA ,INDIVIDUARNE GLI ELEMENTI ESSENZIALI ,RIELABORARE I
CONTENUTI
DIALOGARE ,DISCUTERE NEL GRUPPO
124. IV Sezione III Sezione
Cliccate su una sezione
per vedere i disegni dei
bambini
ALBERTI GIUSEPPE
ANTISTA GIUSEPPE
BANNO’ MARTA
BARRECA FEDE MARIA
BONANNO GIADA
CONOSCENTI MARTA
DI DONATO CRISTINA
FIASCONARO ARIANNA
FIASCONARO MARTA
GUARCELLO CHIARA
IGNAT RAZVAN
COSTANTIN
MADONIA NICOLO’
MAZZOLA FEDERICO
NACCI LUCE MARIA
OCCORSO VINCENZO
POLLARA DEBORA
PRESTIGIOVANNI
MIRYAM
GENTILE VERONICA
MAMMANO LUPO GIORGIA
MAZZOLA GIORGIO
RESTIVO CHRISTIAN
TOSCANO CRYSTEL
ASSENTI : PERI DIEGO
SFERRUZZA GIANLUCA
PRISINZANO CARLA
SPALLINO GAIA
SPALLINO LUCIO
ASSENTI:
BOOMO GINEVRA
GESANI GIUSEPPE
MOGAVERO ANTONIO