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MACCHINE TERMICHE
CRONOLOGIA
1698 macchina di Savery
1712-15 macchina di Newcomen
1765 macchina di Watt
1824 anticipazione del secondo principio della
termodinamica da parte di Carnot
1842 Mayer e Joule (1847) identità tra lavoro e calore
1847 primo principio della termodinamica di Helmholtz
1850-51 formulazioni equivalenti del secondo principio
da parte di Clausius e Kelvin
La termodinamica intesa come studio delle leggi relative a
scambi di calore, ebbe origine in Europa nel 18esimo
secolo, in un contesto più tecnico e applicativo che
scientifico in senso stretto. La seconda legge della
termodinamica ha un’origine per così dire economica; essa
deriva dai tentativi di convertire in modo efficiente calore
in lavoro e di sviluppare una teoria per spiegare il
funzionamento delle macchine costruite a tale scopo: le
macchine termiche.
La richiesta di sempre maggiore potenza, come diremmo
oggi, imponeva la ricerca e l'approvvigionamento di energia
oltre che di altre materie prime.
L'energia dell'acqua fluente o in caduta e del vento non
bastavano più. Si incrementò sempre di più l'attività
estrattiva, soprattutto di carbone, da miniere scavate nel
sottosuolo. Proprio sul finire del Seicento già si avevano
miniere con profondità di 120 metri; nel 1750 tali profondità
arrivarono a 190 metri. E le necessità oltre al desiderio di
profitto, spingevano sempre più giù. Solo che più si scendeva
più l'acqua inondava tutti i tunnel sotterranei impedendo il
lavoro.
EVOLUZIONE DELLA MACCHINA A VAPORE
Nel 1698, Thomas Savery brevettò una sua macchina a
vapore per prosciugare l'acqua che inondava le miniere.
Tale macchina, denominata dallo stesso Savery «L'Amico
del Minatore», mostrando un ottimo senso della pubblicità
e del commercio, era però inadatta allo scopo
preannunciato (una sola di esse fu utilizzata a prosciugare
miniere mentre le altre furono usate come pompe per
rifornire di acqua potabile grandi edifici, ruote idrauliche,
case di campagna o simili).
StrutturaCaldaia
Cilindro
Miniera
Discarica
Fase I
L’acqua viene introdotta nella caldaia, attraverso la valvola
A, dove viene portata ad ebollizione, cioè trasformata in
vapore.
Fase II
Il cilindro, inizialmente pieno d’acqua, viene messo in collegamento sia
con la caldaia (valvola B) sia con la discarica (valvola D),mentre la
valvola di collegamento con la miniera (C) rimane chiusa. A questo
punto il vapore proveniente dalla caldaia, esercita una pressione sulla
superficie dell’acqua del cilindro, che viene spinta nella discarica.
Fase III
Quando il vapore occupa tutto il volume del cilindro, si chiudono le valvole
D e B e si apre la valvola C. Il vapore nel cilindro dunque inizia a
raffreddarsi, aiutato anche da un getto di acqua fredda; in questo modo si
viene a creare un vuoto parziale all’interno del cilindro e l’acqua nella
miniera viene spinta dalla pressione atmosferica nel cilindro stesso.
Fase IV
Quando il cilindro è pieno d’acqua, si chiude il rubinetto di
collegamento con la miniera, si riaprono gli altri due e si ricomincia il
ciclo.
La macchina aveva il limite di sollevare l'acqua non oltre i
circa 10 metri (limite torricelliano). Per risolvere tale problema
Savery spinse sulla pressione, portandola alle circa 10
atmosfere (se si pensa che non vi erano valvole di sicurezza
ci si rende conto che tali macchine erano delle potenziali
bombe); la qual cosa, nelle previsioni teoriche, avrebbe
moltiplicato per 10 il normale sollevamento ad una sola
atmosfera, portandolo a circa 100 metri. Il tutto però avveniva
con grande consumo di combustibile (carbone e legna), circa
20 volte quello di una normale macchina a vapore di alcuni
anni dopo. Ecco perché non ebbe lo sperato successo
LA MACCHINA DI NEWCOMEN
Thomas Newcomen aveva concepito, l'idea di far muovere
un pistone dentro un cilindro sfruttando la pressione
atmosferica. Il vapore che era immesso nel cilindro serviva
esclusivamente a fare un vuoto parziale sotto il pistone
mediante la sua condensazione prodotta con un getto di
acqua fredda. Il vuoto risultante consentiva alla pressione
atmosferica di spingere lo stantuffo verso il basso (fase
attiva) con conseguente salita del pistone della pompa.
L'acqua di condensazione veniva espulsa attraverso un
tubo e una valvola a chiusura idraulica.
La macchina di Newcomen, fu la prima ad avere successo
e trovò largo impiego anche fuori dell'Inghilterra.
Quando Newcomen, dopo 10 anni e più di lavoro
sperimentale, costruì la sua prima macchina efficiente, si
trovò la strada sbarrata dal brevetto concesso a Savery
(per qualsiasi macchina che impiegasse la forza del fuoco)
e per commercializzare la sua invenzione dovette entrare
in società con lui. Attorno al 1725 la macchina di
Newcomen era impiegata in moltissime miniere ma anche
per rifornire di acqua le ruote idrauliche più grandi. Il difetto
principale di questa macchina è il continuo raffreddamento
del cilindro che causa un enorme consumo di carbone. Il
suo rendimento termico era solo dell'1%, cioè ogni 100 Kg
di carbone bruciati solo 1 veniva utilizzato per far muovere
la pompa.
Nonostante questi gravi difetti la macchina non ebbe rivali
nelle miniere inglesi per circa 60 anni. Il pregio di questa
macchina fu quello di funzionare con vapore a pressione
atmosferica, compatibile con la tecnologia dell'epoca.
La macchina di Newcomen del 1712 aveva una piccola
caldaia che, come abbiamo visto, produceva vapore a
pressione atmosferica, il bilanciere vibrava 12 volte al
minuto e ad ogni corsa lo stantuffo della pompa aspirava
45 litri di acqua che venivano poi sollevati a 46 metri di
altezza. La potenza della macchina era di circa 5,5 cavalli
vapore. La salita del pistone della macchina (fase passiva)
era dovuta alla discesa della pesante asta e del pesante
stantuffo della pompa.
LA MACCHINA DI WATT
Circa 60 anni dopo, nel 1764, James Watt perfezionò la
macchina di Newcomen, migliorandone l'efficienza.
L'aggiunta di un secondo cilindro, un condensatore,
permise al cilindro principale di funzionare ad una
ragionevole temperatura senza raffreddarsi per pre-
condensare il vapore. Questo fu il problema principale della
macchina di Newcomen che, in questo modo, perdeva
di potenza e rendimento. La soluzione di Watt prevedeva
che il vapore del cilindro principale caldo fosse "succhiato"
all'interno del secondo cilindro di condensazione immerso
in acqua fredda formando, in questo modo, un vuoto
parziale all'interno del cilindro principale stesso.
SCHEMA DELLA MACCHINA DI WATT
C
Il vapore bollente prodotto dalla caldaia viene immesso nel
cilindro con la valvola A aperta e la B chiusa. Chiudendo
anche la valvola A il vapore, espandendosi, fa sollevare il
pistone, facendo lavoro; quando il pistone raggiunge la
massima corsa, viene aperta la valvola B e il vapore
fuoriesce dal cilindro ed entra nel condensatore dove viene
raffreddato da un getto d’acqua. Il vapore si condensa e la
depressione fa abbassare il pistone. Ora si chiude la valvola
B e si apre la C e il vapore condensato esce dalla
macchina. Chiudendo la valvola C e aprendo la A un nuovo
getto di vapore dalla caldaia fa ricominciare il ciclo.
La macchina di Watt, massimo perfezionamento delle
macchine a vapore, troverà applicazioni non solo nelle
miniere ma come motrice nelle fabbriche e come
alimentazione di navi e treni.
Anche se la tecnica della macchina a
vapore nacque e si sviluppò in
Inghilterra, per trovare uno studio
analitico di stampo scientifico,
dobbiamo spostarci nella Francia
postnapoleonica per incontrare un
personaggio che, sebbene ancorato
alla teoria del «calorico», fu tuttavia
rivoluzionario per il modo di studiare i
processi in cui il calore si trasforma in
lavoro: era il fisico ed ingegnere
dell’Ecole Polytechnique Sadi Carnot
(1796-1832).
Tra i maggiori fisici dell'Ottocento, viene considerato uno
dei fondatori della termodinamica per averne posto le basi
nell'unica opera che pubblicò: Réflexions sur la puissance
motrice du feu et sur les machines propres à développer
cette puissance (1824; Riflessioni sulla potenza motrice del
fuoco e sulle macchine in grado di svilupparla). Carnot
postulò che, analogamente a quanto avviene nelle
macchine idrauliche (nelle quali il lavoro prodotto dipende
dal peso dell'acqua per l'altezza da cui cade), nelle
macchine termiche il lavoro dipende dalla quantità di
calorico (inteso come fluido imponderabile e indistruttibile)
trasferita dalla sorgente a temperatura maggiore (caldaia) a
quella a temperatura minore (refrigeratore) e che il
rendimento non dipende dalle caratteristiche del fluido, ma
solo dalla differenza di temperatura fra le due sorgenti.
Carnot poté provare questo suo fondamentale teorema
dando una formulazione ideale del funzionamento della
macchina, in base ai concetti di ciclicità e reversibilità, e
dimostrando che se tale teorema non fosse valido si
avrebbe produzione di moto perpetuo. Condizione generale
per il massimo rendimento della macchina è l'assenza di
dispersione del calore. L'opera di Carnot, che rappresenta
un esemplare contributo della tecnica alla fisica teorica,
rimase pressoché ignota sino alla metà dell'Ottocento
quando Helmhotz e soprattutto Clausius e Thomson ne
trassero le fondamentali implicazioni per la fondazione
della nuova termodinamica.

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Macchine termiche e rivoluzione industriale

  • 2. CRONOLOGIA 1698 macchina di Savery 1712-15 macchina di Newcomen 1765 macchina di Watt 1824 anticipazione del secondo principio della termodinamica da parte di Carnot 1842 Mayer e Joule (1847) identità tra lavoro e calore 1847 primo principio della termodinamica di Helmholtz 1850-51 formulazioni equivalenti del secondo principio da parte di Clausius e Kelvin
  • 3. La termodinamica intesa come studio delle leggi relative a scambi di calore, ebbe origine in Europa nel 18esimo secolo, in un contesto più tecnico e applicativo che scientifico in senso stretto. La seconda legge della termodinamica ha un’origine per così dire economica; essa deriva dai tentativi di convertire in modo efficiente calore in lavoro e di sviluppare una teoria per spiegare il funzionamento delle macchine costruite a tale scopo: le macchine termiche.
  • 4. La richiesta di sempre maggiore potenza, come diremmo oggi, imponeva la ricerca e l'approvvigionamento di energia oltre che di altre materie prime. L'energia dell'acqua fluente o in caduta e del vento non bastavano più. Si incrementò sempre di più l'attività estrattiva, soprattutto di carbone, da miniere scavate nel sottosuolo. Proprio sul finire del Seicento già si avevano miniere con profondità di 120 metri; nel 1750 tali profondità arrivarono a 190 metri. E le necessità oltre al desiderio di profitto, spingevano sempre più giù. Solo che più si scendeva più l'acqua inondava tutti i tunnel sotterranei impedendo il lavoro.
  • 5. EVOLUZIONE DELLA MACCHINA A VAPORE Nel 1698, Thomas Savery brevettò una sua macchina a vapore per prosciugare l'acqua che inondava le miniere. Tale macchina, denominata dallo stesso Savery «L'Amico del Minatore», mostrando un ottimo senso della pubblicità e del commercio, era però inadatta allo scopo preannunciato (una sola di esse fu utilizzata a prosciugare miniere mentre le altre furono usate come pompe per rifornire di acqua potabile grandi edifici, ruote idrauliche, case di campagna o simili).
  • 7. Fase I L’acqua viene introdotta nella caldaia, attraverso la valvola A, dove viene portata ad ebollizione, cioè trasformata in vapore.
  • 8. Fase II Il cilindro, inizialmente pieno d’acqua, viene messo in collegamento sia con la caldaia (valvola B) sia con la discarica (valvola D),mentre la valvola di collegamento con la miniera (C) rimane chiusa. A questo punto il vapore proveniente dalla caldaia, esercita una pressione sulla superficie dell’acqua del cilindro, che viene spinta nella discarica.
  • 9. Fase III Quando il vapore occupa tutto il volume del cilindro, si chiudono le valvole D e B e si apre la valvola C. Il vapore nel cilindro dunque inizia a raffreddarsi, aiutato anche da un getto di acqua fredda; in questo modo si viene a creare un vuoto parziale all’interno del cilindro e l’acqua nella miniera viene spinta dalla pressione atmosferica nel cilindro stesso.
  • 10. Fase IV Quando il cilindro è pieno d’acqua, si chiude il rubinetto di collegamento con la miniera, si riaprono gli altri due e si ricomincia il ciclo.
  • 11. La macchina aveva il limite di sollevare l'acqua non oltre i circa 10 metri (limite torricelliano). Per risolvere tale problema Savery spinse sulla pressione, portandola alle circa 10 atmosfere (se si pensa che non vi erano valvole di sicurezza ci si rende conto che tali macchine erano delle potenziali bombe); la qual cosa, nelle previsioni teoriche, avrebbe moltiplicato per 10 il normale sollevamento ad una sola atmosfera, portandolo a circa 100 metri. Il tutto però avveniva con grande consumo di combustibile (carbone e legna), circa 20 volte quello di una normale macchina a vapore di alcuni anni dopo. Ecco perché non ebbe lo sperato successo
  • 12. LA MACCHINA DI NEWCOMEN Thomas Newcomen aveva concepito, l'idea di far muovere un pistone dentro un cilindro sfruttando la pressione atmosferica. Il vapore che era immesso nel cilindro serviva esclusivamente a fare un vuoto parziale sotto il pistone mediante la sua condensazione prodotta con un getto di acqua fredda. Il vuoto risultante consentiva alla pressione atmosferica di spingere lo stantuffo verso il basso (fase attiva) con conseguente salita del pistone della pompa. L'acqua di condensazione veniva espulsa attraverso un tubo e una valvola a chiusura idraulica. La macchina di Newcomen, fu la prima ad avere successo e trovò largo impiego anche fuori dell'Inghilterra.
  • 13.
  • 14. Quando Newcomen, dopo 10 anni e più di lavoro sperimentale, costruì la sua prima macchina efficiente, si trovò la strada sbarrata dal brevetto concesso a Savery (per qualsiasi macchina che impiegasse la forza del fuoco) e per commercializzare la sua invenzione dovette entrare in società con lui. Attorno al 1725 la macchina di Newcomen era impiegata in moltissime miniere ma anche per rifornire di acqua le ruote idrauliche più grandi. Il difetto principale di questa macchina è il continuo raffreddamento del cilindro che causa un enorme consumo di carbone. Il suo rendimento termico era solo dell'1%, cioè ogni 100 Kg di carbone bruciati solo 1 veniva utilizzato per far muovere la pompa.
  • 15. Nonostante questi gravi difetti la macchina non ebbe rivali nelle miniere inglesi per circa 60 anni. Il pregio di questa macchina fu quello di funzionare con vapore a pressione atmosferica, compatibile con la tecnologia dell'epoca. La macchina di Newcomen del 1712 aveva una piccola caldaia che, come abbiamo visto, produceva vapore a pressione atmosferica, il bilanciere vibrava 12 volte al minuto e ad ogni corsa lo stantuffo della pompa aspirava 45 litri di acqua che venivano poi sollevati a 46 metri di altezza. La potenza della macchina era di circa 5,5 cavalli vapore. La salita del pistone della macchina (fase passiva) era dovuta alla discesa della pesante asta e del pesante stantuffo della pompa.
  • 16. LA MACCHINA DI WATT Circa 60 anni dopo, nel 1764, James Watt perfezionò la macchina di Newcomen, migliorandone l'efficienza. L'aggiunta di un secondo cilindro, un condensatore, permise al cilindro principale di funzionare ad una ragionevole temperatura senza raffreddarsi per pre- condensare il vapore. Questo fu il problema principale della macchina di Newcomen che, in questo modo, perdeva di potenza e rendimento. La soluzione di Watt prevedeva che il vapore del cilindro principale caldo fosse "succhiato" all'interno del secondo cilindro di condensazione immerso in acqua fredda formando, in questo modo, un vuoto parziale all'interno del cilindro principale stesso.
  • 18. Il vapore bollente prodotto dalla caldaia viene immesso nel cilindro con la valvola A aperta e la B chiusa. Chiudendo anche la valvola A il vapore, espandendosi, fa sollevare il pistone, facendo lavoro; quando il pistone raggiunge la massima corsa, viene aperta la valvola B e il vapore fuoriesce dal cilindro ed entra nel condensatore dove viene raffreddato da un getto d’acqua. Il vapore si condensa e la depressione fa abbassare il pistone. Ora si chiude la valvola B e si apre la C e il vapore condensato esce dalla macchina. Chiudendo la valvola C e aprendo la A un nuovo getto di vapore dalla caldaia fa ricominciare il ciclo. La macchina di Watt, massimo perfezionamento delle macchine a vapore, troverà applicazioni non solo nelle miniere ma come motrice nelle fabbriche e come alimentazione di navi e treni.
  • 19. Anche se la tecnica della macchina a vapore nacque e si sviluppò in Inghilterra, per trovare uno studio analitico di stampo scientifico, dobbiamo spostarci nella Francia postnapoleonica per incontrare un personaggio che, sebbene ancorato alla teoria del «calorico», fu tuttavia rivoluzionario per il modo di studiare i processi in cui il calore si trasforma in lavoro: era il fisico ed ingegnere dell’Ecole Polytechnique Sadi Carnot (1796-1832).
  • 20. Tra i maggiori fisici dell'Ottocento, viene considerato uno dei fondatori della termodinamica per averne posto le basi nell'unica opera che pubblicò: Réflexions sur la puissance motrice du feu et sur les machines propres à développer cette puissance (1824; Riflessioni sulla potenza motrice del fuoco e sulle macchine in grado di svilupparla). Carnot postulò che, analogamente a quanto avviene nelle macchine idrauliche (nelle quali il lavoro prodotto dipende dal peso dell'acqua per l'altezza da cui cade), nelle macchine termiche il lavoro dipende dalla quantità di calorico (inteso come fluido imponderabile e indistruttibile) trasferita dalla sorgente a temperatura maggiore (caldaia) a quella a temperatura minore (refrigeratore) e che il rendimento non dipende dalle caratteristiche del fluido, ma solo dalla differenza di temperatura fra le due sorgenti.
  • 21. Carnot poté provare questo suo fondamentale teorema dando una formulazione ideale del funzionamento della macchina, in base ai concetti di ciclicità e reversibilità, e dimostrando che se tale teorema non fosse valido si avrebbe produzione di moto perpetuo. Condizione generale per il massimo rendimento della macchina è l'assenza di dispersione del calore. L'opera di Carnot, che rappresenta un esemplare contributo della tecnica alla fisica teorica, rimase pressoché ignota sino alla metà dell'Ottocento quando Helmhotz e soprattutto Clausius e Thomson ne trassero le fondamentali implicazioni per la fondazione della nuova termodinamica.