A Biella, il Cai e la Fondazione Sella festeggiano i 30 anni della fondazione di Mountain Wilderness, con un convegno sul futuro delle 'terre alte'. Nella suggestiva location dell'ex lanificio Sella, oltre 200 tra alpinisti, guide alpine, giornalisti specializzati, ambientalisti, protagonisti del 'ritorno alla montagna' e lo scrittore Paolo Cognetti.
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1. | 33LUNEDÌ 13 NOVEMBRE 2017 | Eco di Biella
VITA&ARTI
LA MOSTRA SUI 30 ANNI DEL SODALIZIO
Ricordata la figura
di Lodovico Sella
Trent’annifa,ilClubAlpinoAccademicoItaliano
- sezione di eccellenza alpinistica del Cai, par-
ticolarmente sensibile ai temi ambientali – fon-
dava l’associazione Mountain Wilderness. La
scelta di Biella non fu casuale: l’evento fu infatti
possibile grazie al sostegno e all’ospitalità della
Fondazione Sella, presieduta da Lodovico Sella,
erede e custode di una tradizione famigliare che
risale a Quintino Sella, lo statista e alpinista biel-
lese che un secolo e mezzo fa aveva fondato il
Club Alpino Italiano. Di quel memorabile mo-
mento,laFondazioneSellaconservauncospicuo
archivio fotografico, da cui è stato tratto un rac-
contoperimmaginicheripercorrelafasenascente
di Mountain Wilderness: una sorta di album di
famigliaincuiappaiono,giovanieentusiasti,isoci
fondatori,daquelliancoraattivinell’associazione,
comeCarloAlbertoPinelli,achiogginonc’èpiù,
come Lodovico Sella, scomparso lo scorso anno
all’età di 87 anni. «Senza di lui Mountain Wil-
derness sarebbe nata ugualmente, ma probabil-
mente non sarebbe nata a Biella», ha ricordato
Maurizio Sella in apertura del convegno “Ripen-
sare alla montagna”, che sabato ha celebrato i
trent’anni dell’associazione (vedi servizio in basso).
IlritornoallamontagnapartedaBiella
Alla Fondazione Sella festeggiati tra eventi e ospiti i 30 anni di Mountain Wilderness
E l’alpinismo ambientalista discute sul futuro, tra clima, tecnologia e “nuovi montanari”
PLATEA
I presenti al convegno
“Ripensare alla montagna”
Per un giorno, Biella è tornata a
ospitare gli “stati generali” della
montagna: come trent’anni fa,
quando proprio qui si radunava il
gotha dell’alpinismo internazio-
naleperdarevitaaMountainWil-
derness, associazione che da al-
lora si batte, in tutto il mondo, in
difesa dell’ambiente alpino.
IlCaidiBiellahavolutocelebrare
quella data, che ha segnato una
svolta nel mondo dell’alpinismo,
insiemealgrandesponsordiquel-
l’evento,laFondazioneSella.Elo
hanno fatto con il percorso “Ri-
pensareallamontagna”,unaserie
di eventi tutti dedicati all’ambien-
tealpinoculminati,sabatoscorso,
con una kermesse finale che ha
richiamato, nello spazio suggesti-
vo dell’ex lanificio Sella, oltre 200
partecipanti: tanti addetti ai lavori
- alpinisti, esperti, ambientalisti,
fotografi, scrittori e giornalisti –
ma anche semplici appassionati e
curiosi.
Una giornata densa: due semi-
nari sul difficile rapporto tra am-
bientealpinoeattivitàumane;una
tavola rotonda sulla realtà attuale
diMountainWilderness,conide-
legati di Svizzera, Francia, Ca-
talogna,Germa-
nia a raccontare
le proprie attivi-
tà; una mostra
fotografica che
ripercorre,conle
immagini di ar-
chiviodellaFon-
dazione Sella, i
primi passi del-
l’associazione;
un mercatino di
piccoliprodutto-
riagricolidelleterrealte,chehan-
no proposto birra, formaggi, mie-
le,antichevarietàdipatate,vinodi
alta quota. Non è mancato un
affollatissimomomentoletterario,
con Paolo Cognetti e (in colle-
gamento video) Matteo Righetto,
autori di “romanzi di montagna”
di grande successo, e infine una
chiusura ad effetto, in Piazza
Duomo, con il concerto del coro
Sant’IlariodiRovereto,accompa-
gnato da testi tratti dall’enciclica
LaudatoSìedaunaproiezionedi
immagini storiche e di fotografie.
Il compleanno di Mountain Wil-
derness è stata l’occasione per di-
scutere del rapporto tra uomo e
montagna, tra errori del passato,
contraddizionidelpresente,rischi
edopportunitànelfuturo.Tantigli
interventi autorevoli che hanno
offertosguardidiversi,avoltecon-
trastanti: «Opinioni diverse che ci
arricchiscono - ha sottolineato,
aprendo i lavori, il presidente del
Cai Vincenzo Torti - perché guar-
dano tutte nella stessa direzione:
riconsegnare la montagna alle ge-
nerazioni future così come ci è
stata data».
Le nuove sfide. Ma che ruolo ha
oggi una associazione ambienta-
listacomeMountainWilderness?
«Davanti ai fenomeni epocali che
incidono pesantemente sulla
montagna,inprimisilcambiocli-
matico, è evidente – ha affermato
Alberto Rampini, presidente del
ClubAlpinoAccademicoItaliano
- che la difesa della montagna da
sola non basta, ma deve neces-
sariamente includere temi più ge-
nerali,dalmodellodisviluppoagli
stili di vita: dunque è necessaria
una sinergia con tutte le altre or-
ganizzazioni ambientaliste e un
focus particolare sulle attività di
sensibilizzazione e di educazione
delle nuove generazioni».
Ma i principi ispiratori dell’asso-
ciazionerestano
– secondo il suo
presidente ono-
rario Kurt
Diemberger e
l’attuale presi-
dente Jordi
Quera – quanto
mai validi, di
fronte ad uno
sfruttamento
sempre più
“commerciale”
della montagna: sempre più spet-
tacolarizzata, usata come scena-
riodacartolinaperattivitàdiogni
genere, vissuta come un parco av-
ventura, in cui chiunque può ci-
mentarsi spensieratamente con
l’emozione del pericolo oppure
vissuta “con l’orologio” nelle at-
tività competitive, dal trail allo
skyrunning, dove conta arrivare
rapidamente alla meta, piuttosto
che assaporare il percorso.
E’ un tipo di fruizione che con-
fliggefortementeconitradizionali
valori fondanti dell’alpinismo: la
fatica, la lentezza, il silenzio, la
solitudine, la conoscenza e il ri-
spetto profondo dell’ambiente al-
pino, la preparazione tecnica e fi-
sica, la conoscenza dei propri li-
miti. Un approccio personale e
intimo, quello dell’alpinista clas-
sico, che implica una preparazio-
ne fisica, mentale e soprattutto
culturale.
La “svendita” della montagna.
Oggi invece la montagna viene
considerata un prodotto come un
altro,davendererendendolasem-
pre più facile, più accessibile, più
sicura, più confortevole: «I miei
clienti – racconta una guida – mi
chiedonospessosenelrifugioc’èil
wi-fi, ormai lo considerano una
dotazione indispensabile». La
barriera della fatica, sia fisica che
mentale, è stata smontata, elimi-
nando quel filtro che per secoli ha
preservato l’ambiente alpino dal-
l’uomo: basti pensare alla pratica
dell’eliski, contro cui le associa-
zioniambientalistesibattonoinu-
tilmente da tempo.
E, di fronte ad una domanda che
cresce, la strategia è stata finora
quella di aumentare l’offerta: più
stradediaccesso,piùrifugi,esem-
pre più grandi, più funivie, più
impianti di risalita. Un modello
tipicodeglianni’60,cheoggimo-
stratuttiisuoilimiti,machemolte
istituzioni locali continuano a se-
guire: ad esempio, riversando in-
genti finanziamenti sull’inneva-
mento artificiale di stazioni a bas-
sa quota, in omaggio a quella
“monocultura della pista da sci”
che in passato ha indubbiamente
portato turismo e benessere nelle
valli alpine, ma che oggi va ri-
pensata, a fronte dei cambi cli-
maticichelarendonosempreme-
no sostenibile, lasciando sul ter-
ritorio solo relitti di impianti or-
mai inutili.
Non è possibile, ha sostenuto il
giornalistaEnricoCamanni,con-
siderarelamontagnacomeunsu-
burbio urbano per cittadini in cer-
ca di aria buona e di facile svago.
Né d’altronde si può pensare di
imbalsamare le Alpi in un museo
del passato, anch’esso idealizzato
da una cultura tipicamente urba-
na.Serveuncompromessoragio-
nevole, una terza via, del resto già
indicata chiaramente dalla Con-
venzione delle Alpi del 1991 e
applicata,quaelà,datantebuone
pratiche sul territorio. Gli stru-
menti esistono da tempo, ma la
politicanonsembraaccorgersene:
«Perquestoc’èancorapiùchemai
bisognodiMountainWilderness,
diunavoceautorevolecheurli,se
necessario,perrompereun“mon-
do liquido”, in cui tutti a parole si
dichiarano d’accordo ma poi, nei
fatti,continuanoaseguiremodelli
obsoleti».
L’abbandono delle terre alte.
Ma la montagna non è fatta solo
di alte quote, di vette più o meno
incontaminate da proteggere dal
turismo di mas-
sa. Ci sono le
medie quote,
storicamente
popolate dal-
l’uomo che – ha
ricordato l’an-
tropologo An-
nibale Salsa - ne
ha plasmato il
paesaggio: mal-
ghe,pascoli,ter-
razzamenti, al-
levamenti, piccole attività agrico-
le e casearie, tutta quella “eco-
nomia dell’alpeggio” che ha ca-
ratterizzato per secoli le nostre
montagne, come la stessa etimo-
logia del nome “Alpi” conferma.
Unarealtà–quel“mondodeivin-
ti” descritto da Nuto Revelli – che
si è andata perdendo, abbando-
nando valli e pendici dei nostri
monti, dove la natura sta ripren-
dendo il sopravvento, con il ri-
tornodeiboschieperfinodigran-
di predatori quali l’orso e il lupo:
un “re-wilding” spontaneo che
però,inunambienteantropizzato
dasecoli,comportaildegradodel
paesaggio, la perdita di una eco-
nomia tradizionale e sostenibile,
la scomparsa di una cultura se-
colare.
Qui, nelle terre alte, il discorso si
fa dunque completamente diver-
so: non si tratta più di limitare e
selezionare l’accesso ma, al con-
trario, di combattere lo spopola-
mento e l’abbandono, con ade-
guate politiche che favoriscano il
“ritorno alla montagna”.
Ma non sempre - ha ricordato
Francesco Pastorelli, di Cipra Ita-
lia, la Commissione internazio-
nale per la protezione delle Alpi –
«il reinsediamento produttivo in
montagna è dettato da nobili in-
tenti». Finanziamenti e sussidi,
spesso distribuiti a pioggia, in as-
senza di controlli e verifiche, han-
no creato tanti “falsi alpeggi”:
speculatori, finti allevatori e agri-
coltori, che magari impiegano
personaleextracomunitarioinne-
ro,malgheristrutturateperdiven-
tare seconde case, piste di accesso
e infrastrutture inutili, finite nel-
l’abbandonodopoaverintascatoi
fondi,ruspechespiananoiterreni
per renderli coltivabili. «Non si
tratta di rincorrere il mito di una
Arcadia felice, con il pastore che
suona il flauto. Ma non possiamo
neanche continuare a finanziare
un’economiadiquestotipo:ème-
glio che sui nostri monti tornino i
boschi e i lupi, piuttosto».
I “nuovi montanari”. Ma, tra
spopolamento e speculazione, c’è
per fortuna una terza via. Sta cre-
scendo infatti una generazione di
“nuovi montanari” che, per ne-
cessità economica ma soprattutto
perscelta,ritornanoinmontagna,
riprendendo antichi mestieri – al-
levatore, contadino, artigiano –
conlacultura(econletecnologie)
del terzo millennio. E a volte per-
fino portando in montagna - gra-
zie alle connessioni digitali che
permettono di annullare l’isola-
mento fisico -
esperienze, pro-
fessionalità e
culture tipiche
del mondo citta-
dino: i casi di
giovani profes-
sionisti o artisti
(lo scrittore Pao-
lo Cognetti è un
caso emblemati-
co) che scelgono
divivereinmon-
tagna non sono più rari. Ne na-
scono contaminazioni culturali
feconde – il festival “Il richiamo
della foresta”, organizzato in Val
d’Ayas dallo stesso Cognetti, ne è
un esempio – ma anche una sen-
sibilità ambientale che spesso i
“montanari doc” sembrano avere
smarrito, nella rincorsa ad uno
stile di vita consumistico.
E allora, è stata la domanda che
hapercorsoinumerosiinterventi,
chi è oggi il “montanaro”? Chi è
natoinmontagna,emagarisogna
uno stile di vita urbano o un red-
ditizioturismodimassa?Oinvece
chi in montagna ha scelto di vi-
verci, magari adottando uno stile
di vita spartano e adoperandosi
per proteggerne l’ambiente? «La
montagna – è stato sintetizzato
durante il convegno – è di chi la
protegge». E il compito dell’am-
bientalismo è far sì che la schiera
dei “montanari honoris causa”
sia sempre più numerosa, a par-
tire dalle istituzioni, spesso sorde
a questo messaggio. Un ruolo
dunque soprattutto culturale,
quello dell’alpinismo ambientali-
sta: quello di ricostruire, con un
nuovo patto tra uomo e ambiente
montano, una nuova antropolo-
gia della montagna, in grado di
affrontare le sfide del terzo mil-
lennio.
l Simona Perolo
Difendere le terre
alte? Non basta
più: necessario
ragionare anche
su altri temi
Tra spopolamento
e speculazione,
la terza via
sono i “nuovi
montanari”
I MOMENTI DELLA GIORNATA
SUL PALCO Alcuni momenti della giornata: dall’alto, i re-
latori del mattino, quelli del pomeriggio e l’incontro con
lo scrittore Paolo Cognetti