Elogio della zanzara Raul Gabriel Avvenire pagine cultura 27-06-2019

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Il poeta nordirlandese ha ricevuto il Sigillo
d’Ateneo dell’Università di Urbino: «Sono
stato felicissimo che Dylan abbia ricevuto
il premio Nobel. Ma c’è una differenza
tra canzone e poesia: il testo della canzone
dev’essere presentato in un certo modo,
mentre quello di una lirica va scovato
nelle profondità magmatiche della lingua»
RAUL GABRIEL
iamo in estate. E anche se a Milano
il tema non conosce stagioni,
certamente quello della zanzara
rappresenta una delle epifanie di questo
momento dell’anno. Si facesse un
referendum sulle zanzare sarebbe
certamente plebiscitario. Perché esiste la
zanzara? Possiamo percepirne solo i lati
fastidiosi e non intravediamo alcun
motivo logico per la sua esistenza. A volte
anche portatrice di malattie, quasi
sempre gravi, disturba sonni e veglie di
tutti noi e non teme alcuna forma di
prevenzione o dissuasione. La zanzara è
ostinatamente presente quanto,
all’apparenza, inutile. Marginale nel
marginale, senza alcuna giustificazione
intelligibile e con innumerevoli aspetti di
cui si farebbe volentieri a meno. Allora
perché esiste? Forse il suo significato è
proprio in questa lampante
contraddizione. Forse la zanzara è lì per
farci riflettere su quanto la nostra
illusione di decidere il cosa e il come
dell’esistenza sia frutto di una egoistica,
voluttuaria quanto patetica illusione.
L’esistenza non necessità di utilità.
Esistere è un diritto che si esercita in se
stesso. Inalienabile e proprietario, come
si usa dire dei software. Dal momento
che esisti non servono certificati
giustificativi. Esisti ed erediti
immediatamente tutti diritti che questo
fatto essenziale porta in sé. Questo modo
assertivo
dell’esistenza
può anche
risultare
sgradevole. Ma è
sgradevole
esclusivamente
per la nostra
propensione ad
immaginarci
padroni di
qualcosa. Anche
delle ragioni
dell’esistenza.
Una filastrocca
inglese recita
una cosa simile a
proposito delle
mosche: «The
Lord in his
wisdom made
the fly, and then
forgot to tell us
why». Tradotto:
«Dio nella sua
saggezza ha
creato la mosca e
poi si è
dimenticato di
dirci perché». Un
gioco di parole
per bambini.
Che porta con sé una mentalità
totalmente fuori strada. Né Dio, per chi ci
crede, né la natura per chi non crede in
Dio, devono giustificare alcunché. E se
sembra un atto di prepotenza da
contestare, dobbiamo ricordarci che è
l’atto su cui si basa ogni nostro singolo
respiro. Il nostro essere non si è mai
dovuto giustificare. E noi esistiamo sic et
simpliciter perché le cose stanno così. I
danni che combiniamo quotidianamente
sorpassano di gran lunga le punture di
tutte le zanzare del mondo. Quanto
siamo ingiustificabili nell’esistere per
questo? L’ingresso nell’esistere è un
evento sempre sovversivo, sempre
dinamico, sempre valido in sé. Con ogni
forma dell’esistenza si stabilisce quindi
un rapporto, con le inevitabili lotte e le
contraddizioni che questo comporta. Ma
senza perdere di vista l’unico fatto
essenziale: tutto ciò che esiste possiede
in ogni suo atomo il diritto di ciò che è.
Non c’è credo politico, filosofico,
religioso che possa darci l’autorizzazione
a stabilire la inutilità della zanzara come
di ogni altra entità esistente. Figurarsi di
un essere umano. Il problema sono le
persone, non le fedi. Il problema è che ci
si prende troppo seriamente finendo per
credere di essere gestori della vita. Il
nostro erigerci a giudici, in un mondo
dove la gratuità dell’esistere viene
distribuita a piene mani, è un gesto che
sarebbe di una arroganza intollerabile se
non fosse che alla sua radice vi è
probabilmente una profonda stupidità.
Dovremmo ringraziare in ogni momento
che la nostra oggettiva inutilità non sia
stato motivo per negarci l’esistenza. Solo
questo dovrebbe renderci gioiosi di
fronte a ogni cosa. Ogni secondo
meravigliosamente inutile che ci è
regalato dovrebbe essere motivo di festa.
Ingiustificato, pura dichiarazione di vita,
regalo senza mezzi termini, giudizio
senza appello sulla nostra piccolezza.
Viva la zanzara. Viva la vita.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
S
Il nostro erigerci
a giudici,
in un mondo
dove la gratuità
dell’esistere
viene distribuita
a piene mani,
è arroganza,
se non solo
profonda
stupidità
Viva la zanzara,
che ci ricorda
la gratuità della vita
ALBERTO FRACCACRETA
Urbino
ichiamaMuldoonesqueobsessioned
è“unasottilemalattia”–-comelade-
finisce Luca Guerneri nella postfa-
zione al volume dello Specchio Mondado-
ri dedicato a Paul Muldoon (2008) –, pre-
sente «in tanta produzione contempora-
neainlinguainglese»:loscrivere,cioè,poe-
sieàlaMuldoonconquellagabbiaritmica
narcotizzante di pararime e mezze rime;
con quella partitura musicale dei versi co-
sìprecisamenteconcertataecalibrata;con
lapesantedigestionedell’interovocabola-
rio di Oxford e dell’Enciclopedia Britanni-
ca per setacciare etimologie, sfumature di
significato, diritture linguistiche, per con-
dire le parole di una patina arcana e bival-
ve che tanto atterrisce i traduttori. Che la
poesiadelnordirlandeseclasse’51,profes-
sore a Princeton e proveniente da una fa-
miglia cattolica dell’Ulster settentrionale,
dia un senso di sospensione e di perples-
sità, per non dire di allusività sardonica al
limitedelvirtuosismo,chesiaimpastatain-
somma di un’ineliminabile decentralizza-
zione testuale capace di costringere il let-
tore a cercare le ragioni profonde in un al-
trovesmisurato,inunfurordivinoammic-
catoappena,èabbastanzachiaro.InItalia,
oltrealvolumemondadoriano,èstatapub-
blicata la silloge vincitrice del Pulitzer nel
2003,Sabbia(iningleseMoySandandGra-
vel), curata per Guanda da Giovanni Pil-
lonca.MuldoonharicevutoilSigillod’Ate-
neo dell’Università degli Studi di Urbino
Carlo Bo per «il principio di una resistenza
umanistica che punta all’esigenza di ac-
cordarenuovacentralitàallaparola»,come
haricordatoilrettoreVilbertoStocchi.L’in-
controaPalazzoPassioneièstatointrodotto
da Salvatore Ritrovato e Luca Guerneri. In
seratailpoetasièesibitoconilgruppoblues
urbinate Black Cat Trio, suonando pezzi
scritti di proprio pugno all’insegna di Ira
Gershwin e Bob Dylan.
Professore,hatradottoL’anguilladiMon-
taleeneharaccontatoanchel’esperienza
interpretativa nelle lezioni a Oxford. Che
rapporto ha con la poesia italiana?
Ho studiato latino al liceo – questo è il mo-
tivopercuiconoscoabbastanzabenelalin-
guaitaliana–e,dall’etàdiquindicianni,ho
S
letto i classici, Ovidio, Virgilio e Dante in
particolare. Potrei impiegare una vita inte-
ra a studiare questi tre poeti, e molti altri
come Petrarca e Ariosto. L’autore italiano
del Novecento che più mi ha affascinato è
stato Eugenio Montale. Ho letto Montale
con il testo a fronte nella traduzione di
Lowell e ho potuto constatare che, dentro
la sua poesia, tutto è collegato: una parola
che si trova, poniamo, a pagina cinque è in
correlazione con un’altra a pagina cin-
quantacinque.Questoèestremamentein-
dicativo di come la sua opera in versi pos-
segga una grande ampiezza di visione.
Comesipone,invece,lasuapoesianeicon-
frontidellatradizioneingleseedeuropea?
C’è un segmento di congiunzione tra tra-
dizione e lingua. Ma ritengo che la lingua
sia essenzialmente innovazione. In questo
senso è fondamentale comprendere lo
“spazio”fisicocheoccupa,peresempio,un
sonetto.Cisonodueconvenzioni,all’incir-
ca, sulla tradizione di tale forma metrica:
Petrarca e Shakespeare. La tradizione rife-
ribile a Shakespeare si fonda sulla struttu-
razione organica di un pensiero; ma esi-
stono anche altre tipologie che aggiungo-
no qualcosa di più alla linea shakespearia-
na o fanno esattamente il contrario: in es-
se è presente una sorta di corrispondenza
traideaedomanda.Lacosapiùdifficileog-
gi è, forse, ricreare questo tipo di composi-
zionenellospettroreduplicabilediuncom-
ponimento lungo, come accade in alcuni
miei testi. Mi sono divertito moltissimo a
leggerelecritichechehoricevutoperlama-
niera con cui ho provato, attraverso poe-
sie-fiume, a ribaltare il sonetto....
Quali autori sono stati decisivi per la sua
formazione artistica e intellettuale?
Senza dubbio John Donne, il poeta mag-
giormenteautorevoletraimetafisiciingle-
si. Era importante per me a sedici anni e lo
è tuttora, a sessantotto. Si può imparare a
scriverepoesiadaluiinmanierapressoché
onnicomprensiva:nessunsegretoglièpre-
cluso. D’altra parte, in poesia e in psicote-
rapiatuvaidaimiglioripercapireeperve-
dere come si fa. Diciamo pure che non c’è
nessun motivo d’imparare da persone che
sono nella media. Si cerca sempre di ap-
prendere l’arte da persone che sono pro-
babilmente impossibili da seguire, irrag-
giungibili. E John Donne è una di queste.
Hascrittounalungaelegiasullascompar-
sa di Séamus Heaney, nella quale ritorna
ossessivamente il verso «Non riesco a tol-
lerare il pensiero che Séamus Heaney sia
morto».Cosa ricorda del suo amico?
È stato fondamentale per me non solo co-
mepoeta,macomeuomo.Esièdimostra-
toassaigenerosoneimieiconfrontiall’ini-
zio della mia carriera, quando bussai alla
portadelsuostudioallaQueen’sUniversity
persottoporglialcunepoesie.Perquantori-
guarda, però, l’ispirazione poetica e il con-
frontoconimodellinoncredoonestamente
di essere molto influenzato da lui.
Nostra Signora di Ardboe, che lei ha de-
finito una «lirica heaniana»,si conclude
con le litanie lauretane. Che significato
hanno per lei?
Non rileggevo questa poesia da circa qua-
rant’anni e vi ringrazio per averla inserita
nellascalettadiletturadurantelamattina-
ta,eperavermirammentatoilsensopiùri-
posto. Nell’irlandese vernacolare utilizzia-
mospessol’espressione«unbracciolungo
quanto l’altro» [il finale della poesia, ndr]
per dire che, in un tal frangente, non si è in
grado di trasportare nulla. Ed è come un
non saper rispondere in pienezza a quella
particolare situazione, a quell’immagine.
È rimasto sorpreso dal conferimento del
Nobel per la letteratura a Bob Dylan nel
2017?Credechelacanzonesiadavverou-
na forma di poesia?
Sono stato felicissimo che Dylan abbia ri-
cevuto il premio Nobel. Ritengo, tuttavia,
che la differenza principale tra la canzone
e la poesia risieda nel fatto che il testo del-
lacanzonedev’esserepresentatoinuncer-
tomodo,mentreiltestodiunaliricavasco-
vato nelle viscere, nelle profondità mag-
matiche della parola. Nel testo della can-
zone,imperfettopernatura,mancasempre
qualcosa; anzi si può asserire con certezza
checiòchemancaèlamusica.Mentreque-
st’ultima è già inglobata nella poesia che,
per altro, ha l’ambizione di essere assolu-
tamente perfetta, conchiusa in sé stessa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Muldoon: «I miei
versi, nelle viscere
della parola»
INTERVISTA
Paul
Muldoon
è nato a
Portadown
nel 1951;
nel 2003
è stato
insignito
del premio
Pulitzer
per la
poesia
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Giovedì 27 giugno 2019