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Tecniche d’indagine della Personalità
Metodi e contesti nell’ottica della Psicologia di Comunità
2
INDICE
Analisi storica
La P.d.C. secondo vari autori
Gli psicologi di Comunità
Le strategie d’intervento
Gli strumenti della P.d.C.
Settori di applicazione della P.d.C.
Analisi storica 1/3
• Il termine "psicologia" deriva dal greco psyché (ψυχή) =spirito, anima
e da logos (λόγος) = discorso, studio;
• Inizialmente deriva dalla Filosofia [philosophía (φιλοσοφία),
composto di φιλεῖν (phileîn), "amare", e σοφία (sophía), "sapienza",
ossia "amore per la sapienza "];
• La Psicologia classica è incentrata sullo studio dell’essere umano, in
svariate scuole di pensiero che descrivono in maniera multimodale il
funzionamento della mente sana e malata.*
* Notare che esiste anche la Psicologia animale
3
Analisi storica 2/3
4
• L’avvento del comportamentismo (USA 1913-1930) (Watson,
Thorndike) pone le basi per una nuova forma di psicologia: la
Psicologia sociale, intesa come lo studio delle interazioni tra gli
individui;
• Nell’ambito della Psicologia della Gestalt, importata negli anni
quaranta in USA, Lewin sviluppò la teoria del campo che produsse un
cambio di paradigma, per cui la psicologia sociale non si sarebbe più
interessata dell'individuo isolato, ma dei suoi rapporti con l'ambiente,
così come veniva percepito dall'individuo stesso. Di conseguenza la
metodologia di ricerca fu modificata: il ricercatore infatti sarebbe
intervenuto nell'ambiente osservato modificando il campo di forze e
osservandone le conseguenze.
• Nel 1965 nasce formalmente un nuovo settore della Psicologia: La
Psicologia di comunità* intesa come un'area di ricerca e di intervento
sui problemi umani e sociali, che si rivolge in modo particolare
all’interfaccia tra la sfera personale e quella collettiva, tra la sfera
psicologica individuale e quella sociale.
• Adler (1870-1937) è stato un precursore della P.d.C. per le sue
riflessioni sulle dimensioni sociali e comunitarie del disagio e
dell'oggetto d'intervento dell'azione psicologica.
Analisi storica 3/3
* d’ora in avanti designata con la sigla P.d.C.
Torna all’INDICE
5
La P.d.C. secondo vari autori
Kurt Lewin (1951)
rapporto individuo contesto cioè la vita del singolo individuo non può essere
disgiunta dalla società in cui vive. Quest’ultima, però, non può essere disgiunta da
ciò che ha o non ha contribuito a costituirla. Ogni contesto ha il suo passato ed un
futuro per il quale si delineano speranze e timori che devono ugualmente essere
tenuti in considerazione per una valutazione delle proprie risorse e potenzialità.
C= f (P, A)
Comportamento= funzione della Persona, dell’Ambiente e della loro interazione.
1/11
6
La P.d.C. secondo vari autori
Barker (1968)
Mette a punto un metodo di osservazione naturalistica: all’interno di un setting, il
comportamento e l’ambiente sociale sono in sincronia; l’ambiente sociale e il
comportamento sono isomorfici: vi è adattamento o corrispondenza tra il
comportamento e il suo ambiente sociale.
I pattern di comportamento sono correlati ai diversi contesti spazio temporali,
quindi il concetto di BEHAVIOR SETTING è inteso come unità ambientale minima in
cui si attuano comportamenti intenzionali significativi.
2/11
7
Moos (1974)
Studia le percezioni di coloro che vivono o lavorano in un particolare setting o di
quelli che sono stati educati al suo interno e individua un profilo che rappresenta
l’opinione generale dei partecipanti circa l’atmosfera o il clima del setting. A tal fine
realizza questionari e scale (WAYS -COPES-FES) per misurare il clima percepito in
relazione ai fattori fisici, organizzativi e interpersonali che caratterizzano una
determinata struttura.
La P.d.C. secondo vari autori 3/11
8
Brofenbrenner (1979)
Crea un modello denominato processo-persona-contesto-ambiente, basato
sull'analisi dei processi che regolano interazione tra l'individuo e il suo contesto.
Individua 4 strutture concentriche tra loro interdipendenti:
1. MICROLIVELLO, composto dei sistemi di cui l'individuo ha esperienza diretta;
2. MESOLIVELLO, composto di due o più sistemi di microlivello e dai legami tra
essi;
3. ESOLIVELLO, comprende sistemi con i quali l'individuo non interagisce
direttamente ma che influenzano la vita delle persone che interagiscono con lui;
4. MACROLIVELLO, comprende il contesto sociale allargato, le sovrastrutture che
hanno potere di influenzare tutti i livelli sottostanti soprattutto attraverso
processi di socializzazione condotti dalle istituzioni sociali.
La P.d.C. secondo vari autori 4/11
1/2
9
2/2
La P.d.C. secondo vari autori 5/11
10
James George Kelly (1966)
teorizza la “metafora ecologica” per analizzare i cambiamenti nei particolari setting
in cui essi avvengono. Definisce quattro principi:
1. Interdipendenza;
2. Ciclicità delle risorse;
3. Adattamento;
4. Successione.
Tale approccio è definito “socio-ecologico” e si propone di analizzare l’impatto degli
ambienti fisici e sociali per l’individuo che è inserito in essi.
La P.d.C. secondo vari autori 6/11
11
Levine (1969)
Individua cinque principi che consentono di comprendere la realtà:
1) Un problema sorge in un setting o in una situazione: i fattori situazionali causano,
esagerano e/o mantengono il problema.
2) Un problema sorge perché la capacità adattiva (di problem-solving) del setting
sociale è bloccata.
3) Per essere efficace, un aiuto deve essere collocato in modo strategico rispetto
all’insorgere del problema.
4) Gli scopi e i valori dell’operatore e del servizio di aiuto devono essere coerenti con
gli scopi e i valori del setting.
5) La forma dell’aiuto deve poter essere stabilita in modo sistematico, usando le
risorse naturali del setting o mediante l’introduzione di risorse che possono diventare
istituzionalizzate come parte del setting.
La P.d.C. secondo vari autori 7/11
12
J. Orford (1995)
Ricerca una teoria generale ed identifica i 5 requisiti fondamentali:
1. identificare i meccanismi che collegano le sfere dell’individuo e dell’ambiente
sociale;
2. analizzare l’interdipendenza tra comportamenti e benessere individuale da una
parte e contesto sociale e ambiente dall’altra;
3. essere semplice ed esaustiva;
4. essere in grado di esplorare i modi in cui le persone e i loro contesti sono collegati;
5. individuare gli aspetti dell’ambiente sociale che hanno un forte impatto sulla salute
psicofisica e sul benessere degli individui che abitano questi ambienti e dovrebbe
orientarci verso interventi preventivi possibilmente efficaci.
A livello individuale si devono considerare la valorizzazione dei ruoli, il senso di
controllo o di essere agente, il sostegno, la possibilità e opportunità di prospettive
future.
La P.d.C. secondo vari autori 8/11
13
Piero Amerio (1996)
Propone la teoria dell’azione, come il modello che meglio spiega l’agire dell’essere
umano nei contesti.
In questa prospettiva, la P.d.C. diventa la disciplina che indaga l’agire umano, le sue
finalità e i suoi effetti finalizzati al raggiungimento e/o mantenimento del benessere
individuale e collettivo.
«… il sociale entra nella Psicologia di Comunità essenzialmente a tre livelli:
1. a livello eziologico cioè come fattore che contribuisce alla determinazione dei
fenomeni dei quali la psicologia di comunità si occupa;
2. a livello “terapeutico” cioè nella formulazione dei modi di intervento e nel
recupero delle risorse possibili;
3. a livello della definizione stessa dei problemi»
La P.d.C. secondo vari autori 9/11
14
Stanley Murrell (1973)
Studia le transazioni* fra reti, popolazioni ed individui; sviluppa e valuta metodi di
intervento che migliorano l'armonia fra persona e ambiente; pianifica e valuta
nuovi sistemi sociali; da queste conoscenze e cambiamenti cerca di aumentare le
opportunità psicosociali dell'individuo.
I principi che agiscono in un contesto sono:
• Totalità (un cambiamento in una parte produce cambiamento in tutto il sistema);
• Retroazione (carattere circolare dei sistemi interattivi);
• Equifinalità (da ogni punto del sistema è raggiungibile un obiettivo);
• Multifinalità (da condizioni simili si può arrivare a risultati diversi).
La P.d.C. secondo vari autori 10/11
1/2
* Nella psicologia contemporanea, la relazione nella quale si determinano reciprocamente il soggetto che
percepisce e l’oggetto percepito
15
Il benessere è dato dall’accordo psicosociale, cioè dal grado di armonia e
congruenza tra aspettative e capacità dell’individuo e richieste e risorse della rete
sociale.
I livelli d’intervento si articolano dal particolare al generale e si pone attenzione
non sui singoli livelli bensì sull’interazione:
• Ricollocamento individuale
• Interventi sull’individuo
• Interventi sulla popolazione
• Interventi sul sistema sociale
• Interventi intersistemici
• Interventi sull’intera rete sociale
La P.d.C. secondo vari autori 11/11
2/2
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16
Gli psicologi di Comunità
• Identità di uno psicologo di comunità: privilegiare la prevenzione,
lavorare insieme agli utenti, incoraggiandone la partecipazione,
operare nel territorio, inteso come sistema, cioè un insieme
complesso e organizzato.
• È possibile affermare che la promozione della salute e il
miglioramento della qualità della vita degli individui nei loro contesti
di appartenenza rappresentino l'obiettivo principale e più generale
della psicologia di comunità.
17
Le strategie d’intervento 1/2
• Favorire un’interpretazione molteplice di un problema sociale,
• Studiare le origini storiche del problema sociale,
• Promuovere la produzione di nuove metafore non convenzionali,
• Attuare e favorire progetti di empowerment,
• Individuare i punti di forza per poter ottenere cambiamenti,
• Selezionare tra i problemi prioritari quelli che possono essere risolti a
livello del gruppo coinvolto e quelli che invece richiedono interventi
ad altri livelli.
18
• Gli interventi potranno essere di tipo terapeutico, quindi focalizzati
maggiormente sull’individuo, o di tipo preventivo, focalizzati quindi
sul sistema
• Uno degli interventi fondamentali è quello di favorire l’empowerment
cioè il processo di crescita, sia dell'individuo sia del gruppo, basato
sull'incremento della stima di sé, dell'autoefficacia e dell'auto-
determinazione per far emergere risorse latenti e portare l'individuo
ad appropriarsi consapevolmente del suo potenziale.
19
Le strategie d’intervento 2/2
Strategia preventiva nella P.d.C.
• 3 tipi di azione preventiva:
• La prevenzione primaria è intesa a ridurre le possibilità di malattia di una
popolazione che ne è esposta al rischio, come accade quando si mette a punto un
nuovo tipo di vaccino. Il fine è di impedire addirittura che le persone si ammalino.
• La prevenzione secondaria cerca di ridurre la durata, la diffusione e il contagio
della malattia, in una popolazione in cui essa è già penetrata. Importano qui
soprattutto l'individuazione e il trattamento precoce del male.
• La prevenzione terziaria cerca di attenuare le conseguenze di una malattia in
coloro che già l'hanno avuta; potrà trattarsi per esempio di fornire un atto
artificiale a pazienti che abbiano subito un'amputazione.
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20
Gli strumenti: Indice
• Reti sociali e sostegno sociale.
• L’analisi organizzativa multidimensionale.
• I gruppi di lavoro ed il lavoro di gruppo.
• I gruppi di self-help.
• Gestione della crisi e dello stress.
• La ricerca qualitativa, diagnostica e sperimentale.
• La valutazione degli interventi.
• Il lavoro di rete
• La consulenza
21
Gli strumenti 1/31
• Definizione di reti sociali: struttura delle relazioni interpersonali che
caratterizza la vita quotidiana e l'intreccio delle risorse sociali istituzionali e
spontanee presenti nella comunità.
• Sono caratterizzate da quattro dimensioni:
1. Struttura. Questa dimensione comprende variabili morfologiche quali l'ampiezza, la densità, la
frequenza di interazione e la posizione dell'individuo nella rete.
2. Interazione. Questa dimensione è composta da variabili che descrivono la relazione tra vari attori
della rete, la reciprocità, l'asimmetria, la direzionalità, la molteplicità.
3. Qualità. Vengono incluse in questa dimensione variabili che descrivono la qualità affettiva dei legami.
Le reti possono cioè essere rappresentate in termini di amicizia, intimità, vicinanza affettiva.
4. Funzione. Questa dimensione descrive la specifica funzione svolta dai membri della rete. Le reti
possono infatti fornire informazioni e feedback, sostegno emotivo, aiuto materiale o consigli per
risolvere problemi.
Reti sociali.
22
Gli strumenti 2/31
23
• Definizione di sostegno sociale: è il supporto emotivo, informativo, interpersonale e
materiale che è possibile ricevere e scambiare nelle reti sociali.
• Esistono due tipi di sistemi supportivi: il sistema informale e quello formale.
Il sistema informale comprende i legami con parenti, amici intimi, persone con cui sia un buon
grado di conoscenze e confidenza o con cui comunque si condividono alcune basilari idee e
concezioni della vita, affetti, interessi, conoscenze culturali e obiettivi sociali, oppure, in altri
termini, gruppi primari ( a partire dalla famiglia) e aggregazioni spontanee di varia natura.
Il sistema formale è composto da strutture istituzionali: professionisti che operano in contesti di
cura, e riabilitazione e prevenzione psicosociale.
È dall'azione di questi due tipi di sistemi, spesso interdipendenti sebbene non sempre
integrati fra loro, che si origina il sostegno sociale in grado di promuovere il sano
sviluppo individuale e di rafforzare le capacità di reazione allo stress.
Sostegno sociale 1/2
• Dimensioni e fattori del sostegno sociale. La prima dimensione può essere denominata
“sostegno emozionale” e comprende i comportamenti di ascolto che esprimono
interesse e comprensione. Attraverso questa forma di sostegno espressivo e
confidenziale la persona che riceve aiuto si sente considerata e accettata nonostante le
proprie difficoltà. Anzi, la sua autostima si rafforza proprio quando avverte attenzione e
sostegno per le proprie esperienze o vissuti problematici. La seconda dimensione può
essere definita come “sostegno informativo”, ovvero aiuto nel definire, comprendere e
affrontare eventi problematici. Può anche essere inteso come guida cognitiva, offerta di
direttive e consigli, sostegno nella valutazione dell'evento. La terza dimensione è relativa
alla ”affiliazione sociale”. Esiste cioè una forma di sostegno derivante dall'appartenenza
a gruppi informali e/o associazioni più formali che deriva, in generale, dalla possibilità di
avere rapporti sociali soddisfacenti e trascorrere del tempo libero in attività ricreative
svolte con altri. L'ultima dimensione che è possibile identificare è il “sostegno
strumentale”, ovvero l'offerta di servizi, lo svolgimento di compiti, l'aiuto finanziario.
Gli strumenti 3/31
Sostegno sociale 2/2
24
• Per poter intervenire sui sistemi sociali è necessario procedere prima
di tutto con un’analisi organizzativa del sistema e delle sue interazioni
con l’individuo.
• Le organizzazioni non possono essere lette, come propone Morgan,
secondo paradigmi specifici in quanto ciascuno di essi esamina solo
una porzione del problema o del sistema.
• L’approccio multidimensionale proposto da Francescato invece cerca
di tener conto di tutti gli aspetti strutturali, funzionali, psicoambientali
e psicodinamici di un sistema
Gli strumenti 4/31
L’Analisi Organizzativa Multidimensionale (AOM) 1/4
25
Gli strumenti 5/31
I postulati sui quali si basa una tale analisi sono:
1. E’ possibile identificare variabili comuni a tutte le realtà organizzative;
2. Le diverse teorie organizzative privilegiano fenomeni organizzativi diversi;
3. Ogni teoria dispone di strumenti e tecniche per la lettura organizzativa;
4. Nessuna lettura è “più vera” delle altre, ma esprime una diversa visione
della realtà.
L’analisi multidimensionale non deve comprendere ogni possibile lettura, ma
seguire uno schema-guida in grado di orientare l’individuazione degli aspetti
salienti; l’analisi efficace deve rilevare i punti-forza e le aree-problema, le
variabili relative e i fattori funzionali ai cambiamenti auspicati.
26
L’Analisi Organizzativa Multidimensionale (AOM) 2/4
Gli strumenti 6/31
Schema-guida per l’analisi organizzativa.
Visto che, normalmente, il consulente non è interpellato per un check-up
diagnostico generale, ma in relazione a situazioni di crisi in ambiti specifici, lo
schema-guida dovrebbe offrire i seguenti benefici:
1. Visione di insieme del funzionamento dell’organizzazione.
2. Utilità anche all’interno.
3. Valutazione del grado di accordo psicosociale.
4. Valutazione dell’impatto psicologico di variabili oggettive.
5. Esplorazione dell’organizzazione lungo il continuum oggettivo-soggettivo.
6. Aspetti politici del cambiamento.
27
L’Analisi Organizzativa Multidimensionale (AOM) 3/4
Gli strumenti 7/31
Lo schema-guida dell’analisi organizzativa multidimensionale è basato su 4 dimensioni:
1) Dimensione strategico-strutturale (o giuridico-politico-economica).
2) Dimensione funzionale.
3) Dimensione psicodinamica.
4) Dimensione psicoambientale.
Mediante l’AOM, si ottiene un elenco di aree-problema e punti-forza per ogni
dimensione. Un ulteriore passaggio è l’analisi delle interdipendenze tra le 4 dimensioni,
poiché i punti critici e le aree-di forza di una dimensione avranno probabilmente
influenza anche sulle altre. Infine, insieme ai partecipanti, si stabiliscono le priorità di
cambiamento decidendo da quale dimensione è opportuno partire.
28
L’Analisi Organizzativa Multidimensionale (AOM) 4/4
Gli strumenti 8/31
• Sono centrati su un obiettivo da raggiungere.
• Il gruppo di lavoro rappresenta un’unità organizzativa dotata di un
certo grado di autonomia, mentre il lavoro di gruppo è da intendersi
come metodo di auto-coordinamento di individui portatori di scopi,
bisogni e desideri interdipendenti.
Spaltro studia i gruppi nell’ottica della P.d.C., sostiene che il passaggio
dalla cultura di coppia a quella di gruppo richiede lo sviluppo di una
mentalità nuova, di capacità specifiche per “fare lavoro di gruppo” e, a
livello di sviluppo psichico individuale, una transizione sociale.
29
I gruppi di lavoro ed il lavoro di gruppo 1/3
Gli strumenti 9/31
La coppia Il gruppo
La cultura di coppia, oltre
che basarsi sul rapporto
edipico, si caratterizza per i
valori centrali della
dipendenza e della fedeltà;
La cultura di gruppo implica
come valori centrali il
pluralismo, la leadership, la
coesione e il cambiamento.
30
I gruppi di lavoro ed il lavoro di gruppo 2/3
Gli strumenti 10/31
• Differenze tra gruppi e gruppi di lavoro: il gruppo è una pluralità di
interazioni, il gruppo di lavoro è una pluralità di integrazioni cioè un
sistema che tende ad armonizzare le disuguaglianze.
• Il lavoro di gruppo è l’espressione dell’azione complessa propria del
gruppo di lavoro e comprende la pianificazione del compito, la
gestione delle relazioni ecc. Fattore indispensabile è l’organizzazione
di esso.
• Il ruolo del facilitatore è fondamentale per il lavoro di gruppo.
• Una delle tecniche è il brainstorming ed il problem solving.
31
I gruppi di lavoro ed il lavoro di gruppo 3/3
• Si costituiscono gruppi di self-help (auto-aiuto) quando non
professionisti si riuniscono con regolarità per promuovere, mantenere
o recuperare la salute, cioè il completo benessere fisico, psicologico e
sociale di una comunità, tali gruppi costituiscono strumenti di
prevenzione secondaria, in quanto affrontano o limitano un disagio
già in corso.
• Fattori di efficacia:
1. Dinamica socio emotiva fra pari. Lo scambio informativo, il sostegno,
il rinforzo e l’identificazione avvengono in un gruppo di persone alla
pari, senza status, ruoli istituzionali e gerarchie ascritte a priori.
Gli strumenti 11/31
32
I gruppi di self-help 1/3
2. Valore terapeutico del ruolo di helper. Ogni membro, prima o poi,
svolge il ruolo di chi aiuta. Questo accresce il senso di controllo,
autostima e competenza, apporta riconoscimento e approvazione
sociale (quindi migliora l’auto percezione, i vissuti depressivi e
autolesionistici).
3. Spinta ideologica come forza trainante. Tutti i gruppi di self-help
strutturano un sistema di principi e valori fortemente persuasivi.
Contribuire a costruire o aderire a questi ideali permette di
interiorizzare un’innovazione sociale e rimuove pregiudizi e
atteggiamenti autolesionisti.
Gli strumenti 12/31
33
I gruppi di self-help 2/3
• Fattori dominanti:
1. Controllo del comportamento: Identificazione e modellamento.
2. Portatori di handicap e malattie croniche: Sostegno emotivo, scambio
informativo, identificazione, stimolo della carica ideologica, valore
terapeutico del ruolo di helper.
3. Parenti di persone con problemi gravi: Sostegno affettivo, strumentale
e informativo.
4. Persone che attraversano un periodo di crisi: Identificazione e aiuto
reciproco. Permettono alle persone di rafforzarsi, diventare più
competenti nell’affrontare la propria situazione e ridefinire la crisi come
momento di crescita.
Gli strumenti 13/31
34
I gruppi di self-help 3/3
• La crisi è un evento la cui evoluzione è aperta a più esiti che dipendono, oltre che
dalla drammaticità e della violenza dell’evento scatenante, dalle risorse
individuali e ambientali disponibili o attivabili per poterla affrontare.
• Si sono interessati alle crisi ed alla loro gestione:
1. Lindemann, psichiatra di Boston, fra i primi ad avere analizzato la condizione di crisi;
2. Erikson che ha influenzato profondamente la concezione evolutiva della crisi;
3. Caplan che descrive una serie di stati per lo sviluppo della crisi, il tempo utili per
l’intervento è limitato;
4. Selye che definisce la reazione allo stress come “sindrome generale di adattamento”;
5. Barbara Dohrenwend che propone un modello multidimensionale integrato per
descrivere ciò che segue l’immediata reazione transitoria.
Gli strumenti 14/31
35
Gestione della crisi e dello stress 1/4
• Tipologie di crisi:
1. Eventi critici NORMATIVI: previsti o prevedibili e quindi in qualche modo
attesi dall’individuo, che sviluppa una mappa mentale tramite la quale ipotizza
gli accadimenti del prossimo futuro e valuta l’adeguatezza del proprio
comportamento. Essendo associata alle transizioni fra stadi di sviluppo, questo
tipo di crisi è anche detta crisi evolutiva La prevedibilità della crisi determina
una differenza sostanziale nel modo di intervenire, poiché apre la strada alla
prevenzione.
2. Eventi critici PARANORMATIVI: Eventi accidentali e improvvisi: morti,
incidenti, malattie improvvise, invalidità, sequestri, rapine, disastri naturali,
licenziamenti, gravidanze indesiderate. Si parla in questo caso di crisi
situazionale.
Gli strumenti 15/31
36
Gestione della crisi e dello stress 2/4
• Tra le modalità d’intervento sulla crisi specialmente di tipo normativo
una delle fondamentali è la gestione dello stress (stress management)
• In situazioni di crisi paranormative, l’analisi di comunità è
estremamente utile in quanto permette di creare una mappa
approfondita della realtà territoriale, delle sue risorse, carenze, e
bisogni. Tutto ciò non solo facilita la programmazione di interventi in
caso di eventi drammatici, ma traccia anche i presupposti per la
partecipazione degli individui e attiva la costruzione di reti sociali tra
agenzie, formali e non, presenti sul territorio.
Gli strumenti 16/31
37
Gestione della crisi e dello stress 3/4
Gli strumenti 17/31
38
• Le tecniche di gestione dello stress migliorano le capacità di coping, ma
non considerando gli aspetti materiali e sociali degli stressors vanno
integrate con strumenti che considerino anche le variabili del contesto.
• Analogamente le tecniche di intervento sulla crisi prevedibile devono
essere integrate, infatti vengono esaminate le narrative personali, ma non
sempre vengono esplorate anche quelle comunitarie e culturali, che
comunque sostengono e influenzano le prime.
• Infine, anche le tecniche di gestione della crisi in atto, pur incoraggiando
interpretazioni pluralistiche del problema e attivando una forte
collaborazione tra i membri delle reti sociali, spesso non esaminano le
origini storiche della crisi.
Gestione della crisi e dello stress 4/4
• La P.d.C. predilige la ricerca di tipo qualitativo, in quanto il rigore
empirico e i disegni standardizzati della ricerca quantitativa
limiterebbero eccessivamente l’analisi dei dati.
• La ricerca diagnostica viene attuata in contesti organizzativi o
comunitari per analizzare bisogni, esplorare risorse e identificare
problemi prioritari, in vista della formulazione di nuovi programmi o
del miglioramento di quelli esistenti.
• La ricerca sperimentale segue il rigoroso schema sperimentale che
verifica ipotesi controllando variabili in applicazioni sul campo e
consente di compiere inferenze sulle relazioni causali tra di esse.
Gli strumenti 18/31
39
La ricerca qualitativa, diagnostica e sperimentale 1/4
• La ricerca-intervento di Kurt Lewin (action-research) si avvale della
teoria del campo, secondo cui la comprensione dei fenomeni sociali e
psicologici richiede l’osservazione della dinamica delle forze agenti nel
contesto. Si fonda su 2 principi fondamentali:
- Rapporto non lineare, ma circolare fra teoria e prassi;
- Partecipazione dei soggetti ai quali l’intervento di conoscenza e
cambiamento è diretto.
• Si evolve in ricerca-intervento partecipante che, al fine della
promozione di un cambiamento sociale, coinvolge i destinatari
dell’intervento integrando il sapere locale di individui e gruppi con la
competenza professionale di esperti.
Gli strumenti 19/31
40
La ricerca qualitativa, diagnostica e sperimentale 2/4
• Lo schema di Cunningham prevede 3 fasi, suddivise in ulteriori sotto
fasi e che si applicano al nucleo di lavoro.
1. Sviluppo del gruppo: Percezione del problema; Costituzione del gruppo
di lavoro; Definizione delle mete; Training del gruppo.
2. Ricerca: Formulazione delle ipotesi; Modalità di raccolta delle
informazioni; Raccolta dei dati; Analisi dei dati; Presentazione dei dati;
Ipotesi di intervento.
3. Intervento: Pianificazione; Organizzazione; Attuazione.
Gli strumenti 20/31
41
La ricerca qualitativa, diagnostica e sperimentale 3/4
Gli strumenti 21/31
42
La ricerca qualitativa, diagnostica e sperimentale 4/4
• Confronto tra ricerca sperimentale e ricerca-intervento partecipante:
Ricerca sperimentale Ricerca-intervento partecipante
Verifica ipotesi e stabilisce rapporti di
causalità. Trattamenti su campioni
rappresentativi consentono di generalizzare i
risultati in leggi universali.
Agisce su gruppi particolarmente motivati o a
rischio per ottenere cambiamenti
socialmente rilevanti. I criteri-guida non
riguardano la rappresentatività e la validità
dei risultati, ma l’utilità attuale e potenziale.
L’oggetto della ricerca è ben identificato e
fermato nel tempo, le variabili vengono
isolate il più possibile, le condizioni
sperimentali e di controllo sono ben distinte
e governate.
Soggetto e oggetto della ricerca sono spesso
difficilmente distinguibili, le variabili vengono
considerate nei loro processi dinamici, esiste
quasi sempre un unico gruppo oggetto di
studio, senza condizione di controllo.
• E’ fondamentale per fornire un feedback all’intervento stesso, è favorita
dall’attuale legislazione, è mirata a verificare l’efficacia, l’efficienza e
l’utilità dei programmi di intervento attuati o anche da attuare, produce
vantaggi a livelli diversi:
a) Operatori. Produce coinvolgimento e partecipazione al lavoro di gruppo, protegge dalla
routine e dallo stress;
b) Organizzazione. Contribuisce al miglioramento del servizio offerto, facilita la costruzione di
un patrimonio culturale nell’organizzazione, conferisce credibilità, media il dialogo con
l’esterno;
c) Utente. Promuove l’atteggiamento partecipativo, aumenta il potere di intervento e controllo;
d) Amministratore/Politico. Dimostra la bontà delle decisioni prese, promuove interventi
alternativi.
Gli strumenti 22/31
43
La valutazione degli interventi 1/5
• Definizione di ricerca valutativa (Rossi e Freeman): uso delle
metodologie della ricerca sociale al fine di giudicare e migliorare la
pianificazione, il monitoraggio, l’efficacia e l’efficienza dei programmi
sociali.
• I più importanti orientamenti nella progettazione di un intervento
valutativo sono:
1. Orientamento Realista;
2. Orientamento Costruttivista.
Gli strumenti 23/31
44
La valutazione degli interventi 2/5
• La seguente tabella illustra le differenze tra i due orientamenti
Gli strumenti 24/31
45
La valutazione degli interventi 3/5
confronto tra Orientamento REALISTA
Orientamento
COSTRUTTIVISTA
Definizione di realtà
La realtà esterna è oggettiva ,
regolata da meccanismi stabili e
rilevabili ed è indipendente
dall’osservatore e dal contesto di
osservazione. Il ricercatore si può
quindi concentrare sull’individuazione
dei metodi di misurazione più adatti.
La realtà non è oggettiva e unica, ma
molteplice. Il rapporto tra ricercatore e
oggetto di studio non può essere di
indipendenza, poiché la realtà si costruisce
sull’esperienza individuale e i fattori
ambientali. I processi valutativi non
possono prescindere quindi dal
coinvolgimento di attori diversi; questo è
coerente con i principi della PdC.
Funzione della valutazione
Misurare variazioni oggettive di
variabili in relazione a criteri di
efficacia ed efficienza.
Misurare i risultati sulla base di un accordo
tra gli attori coinvolti nel processo.
Ruolo dell’osservatore
Definisce gli obiettivi della
valutazione, ma è un possibile
elemento di disturbo per la sua
oggettività.
Definisce gli obiettivi della valutazione e ne
individua i criteri.
Ruolo della valutazione
Importante, ma non costitutiva della
progettazione.
Propriamente costitutiva della
progettazione.
• La classificazione della valutazione può essere fatta in funzione dei
possibili orientamenti, che danno enfasi ad aspetti diversi e implicano
il ricorso a metodi differenti, o in base a un criterio temporale, o in
base all’anzianità del programma valutato, o, infine al tipo di
approccio (qualitativo: Valutazione formativa) (quantitativo:
Valutazione consuntiva)
• La stima dell’efficacia e dell’efficenza è poi una valutazione in senso
stretto, intesa come stima della bontà dei risultati di un intervento
effettuato, che a parità di efficacia può rivalersi più o meno efficiente
in base alle risorse richieste.
Gli strumenti 25/31
46
La valutazione degli interventi 4/5
Stima dell’EFFICACIA Stima dell’EFFICIENZA
Determina la validità degli effetti prodotti dall’intervento; misura quindi il
risultato. Anche assumendo la visione probabilistica e circolare di
causalità che riflette la complessità dei fenomeni sociali, identifica le
misure dei cambiamenti e isola gli effetti attribuibili al solo intervento.
Comporta molte difficoltà;
• Qualunque indicatore di cambiamento deve avere requisiti di validità e
attendibilità;
• E’ necessario poter distinguere i risultati grezzi (cambiamenti
osservabili in seguito al trattamento) da quelli netti (attribuibili al solo
intervento);
• Disegni di ricerca adeguati alla stima dell’efficacia richiedono
campionamenti casuali, confronti tra gruppi sperimentali e di controllo,
ecc.
In breve, una valutazione accurata dell’efficacia richiede una conformità ai
canoni sperimentali o per lo meno quasi-sperimentali.
Altri possibili fattori di disturbo sono:
• Auto-selezione: la ricorrente cooperazione volontaria nei programmi
coinvolge persone predisposte al cambiamento;
• Effetto Hawthorne: la stessa osservazione sperimentale determina
particolari effetti.
Il metodo tradizionale dell’analisi costi-benefici in termini monetari pone
molti problemi nei programmi sociali complessi:
• Costi. La valutazione dei costi non è semplice, ma normalmente
possibile; serve considerare ogni risorsa investita nel programma, le
variazioni dei costi nel tempo, i costi derivanti da effetti collaterali ed
occasioni perdute per le scelte fatte. Inoltre, serve stabilire la
prospettiva di valutazione dei costi (destinatari dell’intervento, servizio,
società).
• Benefici. La quantificazione economica è sempre molto ardua, dovendo
attribuire un valore alla diminuzione di fattori stressanti e conflitti
organizzativi, alla prevenzione e riduzione di devianze o allo sviluppo
del sostegno sociale. Anche stimando i benefici economici per chi
partecipa direttamente al programma, le cose si complicano allargando
la prospettiva alla diffusione verso gruppi e reti di sistemi.
La Cost-effectiveness analysis determina il valore monetario dei costi e
stima i benefici attraverso unità di misura non monetarie, cioè indicatori
pertinenti (es. numero delle vite salvate, soddisfazione per la qualità di
vita nel quartiere); poi determina i costi per l’ottenimento di benefici
unitari. A differenza di un’analisi costi-benefici tradizionale, non consente
la comparazione tra programmi diversi, ma solo tra programmi con
obiettivi simili e indicatori confrontabili.
Gli strumenti 25/31
47
La valutazione degli interventi 5/5
• La presenza in una comunità di reti sociali siano esse formali o
informali fornisce alla P.d.C. un potente strumento per eliminare
resistenze e contrapposizioni tra figure appartenenti a servizi diversi,
contribuendo alla costruzione di una cultura comune e alla
produzione di regole condivise sulle metodologie di intervento e sui
criteri di valutazione. Inoltre il lavoro di rete incoraggia interpretazioni
pluralistiche di un problema sociale ed integra tipi di conoscenze e
competenze professionali diverse, lasciando emergere le conoscenze
locali provenienti dalle persone coinvolte nel problema sociale
affrontato. Il lavoro di rete si presta dunque a promuovere progetti di
empowerment aumentando il capitale sociale di una comunità.
Gli strumenti 26/31
48
Il lavoro di rete 1/3
• I punti di forza del lavoro di rete:
1. Cultura condivisa;
2. Diversità;
3. Le pratiche operative;
4. Le modalità di pianificazione e controllo dell’efficacia;
5. I sistemi premianti;
6. Il consenso sul campo d’azione;
7. Il consenso ideologico;
8. La valutazione positiva;
9. Il coordinamento operativo.
Gli ultimi 4 sono proposti da Benson (1988)
Gli strumenti 27/31
49
Il lavoro di rete 2/3
• La strategia fondamentale ma non unica è quella democratica
collaborativa, Benson ne propone altre 4:
1. Strategie cooperative (scambio di valori);
2. Strategie di rottura (intenzionalmente tendono ad indebolire la
posizione di un’organizzazione):
3. Strategie di manipolazione (interferenze nel flusso delle risorse o
nell’accesso ad esse);
4. Strategie autoritarie (potere accentrato in un nodo).
Gli strumenti 28/31
50
Il lavoro di rete 3/3
• La sua peculiarità è il tipo di processo comunicativo che si instaura tra
il consulente e il consultante.
• Alcune definizioni di consulenza
1. Smith. Scopo generale il miglioramento dell’uso, da parte di chi la richiede,
della proprie capacità e risorse nel conseguimento di determinati obiettivi.
2. Lippit. Si propone di aiutare una persona, gruppo, organizzazione o più ampio
sistema a mobilitare risorse interne ed esterne per risolvere problemi o tentare
dei cambiamenti.
3. Caplan. Processo di interazione tra il consulente e il consultante, che chiede
aiuto per un problema di lavoro in cui incontra difficoltà e che ritiene essere
nell’area di competenza del consulente.
Gli strumenti 29/31
51
La consulenza 1/3
4. Jacoby. Il consulente può agire in modi diversi:
- Affrontare un problema in cui il consultante ha scarse conoscenze;
- Fornire un’opinione indipendente, soprattutto se il consultante comprende di non avere una
visione obiettiva;
- Offrire competenze addizionali in un’area che conosce.
• Fasi della consulenza
1. Stadio iniziale
2. Analisi e diagnosi.
3. Progettazione e intervento.
4. Valutazione.
Gli strumenti 30/31
52
La consulenza 2/3
Gli strumenti 31/31
• Il consulente psicologo di comunità opera per la progettazione,
promozione, coordinamento, gestione valutazione di programmi di
prevenzione e promozione della salute e del benessere e dei
cambiamenti sociali e organizzativi (community–based).
53
La consulenza 3/3
Torna all’INDICE
• Gli interventi della P.d.C. dipendono da:
a) Fattori esterni: sociali, politici e culturali.
b) Fattori interni: evoluzione della disciplina e conoscenze personali.
• Da un lato la ricerca di intervento è dovuto alla maggiore «visibilità»
di un problema sociale scaturita da fattori sociopolitici e culturali,
dall’altro gli stessi «professionisti» possono determinare la «visibilità»
di un problema che sta' loro a cuore.
Settori di applicazione della P.d.C. 1/2
54
Settori tradizionali:
• Settore scolastico;
• Settore sanitario;
Settori innovativi:
• Mondo del lavoro;
• Volontariato e privato sociale;
• Istituzioni politiche pubblica amministrazione;
• Sistemi formativi tradizionali o online (e-learning e aggiornamento
continuo)
Settori di applicazione della P.d.C. 2/2
55
Tradizionali e innovativi
• Gli interventi di Psicologia di Comunità descritti nei testi studiati
fanno riferimento principalmente a realtà non italiane. In Italia il
campo degli interventi nell’ottica della P.d.C. è ancora poco diffuso, sia
perché l’introduzione della P.d.C. come disciplina universitaria è
relativamente recente sia perché le varie comunità, salvo rari casi,
non sentono il bisogno di favorire interventi in questo contesto.
• Per esempio nel sistema scolastico vige ancora il concetto di
livellamento degli studenti ai fini dell’apprendimento e la valutazione
dei singoli si basa solo sulle capacità individuali come se queste
fossero determinate solo dalla genetica.
Riflessioni personali
56
Riflessioni personali
57
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Tecniche d’indagine della personalità

  • 1. Tecniche d’indagine della Personalità Metodi e contesti nell’ottica della Psicologia di Comunità
  • 2. 2 INDICE Analisi storica La P.d.C. secondo vari autori Gli psicologi di Comunità Le strategie d’intervento Gli strumenti della P.d.C. Settori di applicazione della P.d.C.
  • 3. Analisi storica 1/3 • Il termine "psicologia" deriva dal greco psyché (ψυχή) =spirito, anima e da logos (λόγος) = discorso, studio; • Inizialmente deriva dalla Filosofia [philosophía (φιλοσοφία), composto di φιλεῖν (phileîn), "amare", e σοφία (sophía), "sapienza", ossia "amore per la sapienza "]; • La Psicologia classica è incentrata sullo studio dell’essere umano, in svariate scuole di pensiero che descrivono in maniera multimodale il funzionamento della mente sana e malata.* * Notare che esiste anche la Psicologia animale 3
  • 4. Analisi storica 2/3 4 • L’avvento del comportamentismo (USA 1913-1930) (Watson, Thorndike) pone le basi per una nuova forma di psicologia: la Psicologia sociale, intesa come lo studio delle interazioni tra gli individui; • Nell’ambito della Psicologia della Gestalt, importata negli anni quaranta in USA, Lewin sviluppò la teoria del campo che produsse un cambio di paradigma, per cui la psicologia sociale non si sarebbe più interessata dell'individuo isolato, ma dei suoi rapporti con l'ambiente, così come veniva percepito dall'individuo stesso. Di conseguenza la metodologia di ricerca fu modificata: il ricercatore infatti sarebbe intervenuto nell'ambiente osservato modificando il campo di forze e osservandone le conseguenze.
  • 5. • Nel 1965 nasce formalmente un nuovo settore della Psicologia: La Psicologia di comunità* intesa come un'area di ricerca e di intervento sui problemi umani e sociali, che si rivolge in modo particolare all’interfaccia tra la sfera personale e quella collettiva, tra la sfera psicologica individuale e quella sociale. • Adler (1870-1937) è stato un precursore della P.d.C. per le sue riflessioni sulle dimensioni sociali e comunitarie del disagio e dell'oggetto d'intervento dell'azione psicologica. Analisi storica 3/3 * d’ora in avanti designata con la sigla P.d.C. Torna all’INDICE 5
  • 6. La P.d.C. secondo vari autori Kurt Lewin (1951) rapporto individuo contesto cioè la vita del singolo individuo non può essere disgiunta dalla società in cui vive. Quest’ultima, però, non può essere disgiunta da ciò che ha o non ha contribuito a costituirla. Ogni contesto ha il suo passato ed un futuro per il quale si delineano speranze e timori che devono ugualmente essere tenuti in considerazione per una valutazione delle proprie risorse e potenzialità. C= f (P, A) Comportamento= funzione della Persona, dell’Ambiente e della loro interazione. 1/11 6
  • 7. La P.d.C. secondo vari autori Barker (1968) Mette a punto un metodo di osservazione naturalistica: all’interno di un setting, il comportamento e l’ambiente sociale sono in sincronia; l’ambiente sociale e il comportamento sono isomorfici: vi è adattamento o corrispondenza tra il comportamento e il suo ambiente sociale. I pattern di comportamento sono correlati ai diversi contesti spazio temporali, quindi il concetto di BEHAVIOR SETTING è inteso come unità ambientale minima in cui si attuano comportamenti intenzionali significativi. 2/11 7
  • 8. Moos (1974) Studia le percezioni di coloro che vivono o lavorano in un particolare setting o di quelli che sono stati educati al suo interno e individua un profilo che rappresenta l’opinione generale dei partecipanti circa l’atmosfera o il clima del setting. A tal fine realizza questionari e scale (WAYS -COPES-FES) per misurare il clima percepito in relazione ai fattori fisici, organizzativi e interpersonali che caratterizzano una determinata struttura. La P.d.C. secondo vari autori 3/11 8
  • 9. Brofenbrenner (1979) Crea un modello denominato processo-persona-contesto-ambiente, basato sull'analisi dei processi che regolano interazione tra l'individuo e il suo contesto. Individua 4 strutture concentriche tra loro interdipendenti: 1. MICROLIVELLO, composto dei sistemi di cui l'individuo ha esperienza diretta; 2. MESOLIVELLO, composto di due o più sistemi di microlivello e dai legami tra essi; 3. ESOLIVELLO, comprende sistemi con i quali l'individuo non interagisce direttamente ma che influenzano la vita delle persone che interagiscono con lui; 4. MACROLIVELLO, comprende il contesto sociale allargato, le sovrastrutture che hanno potere di influenzare tutti i livelli sottostanti soprattutto attraverso processi di socializzazione condotti dalle istituzioni sociali. La P.d.C. secondo vari autori 4/11 1/2 9
  • 10. 2/2 La P.d.C. secondo vari autori 5/11 10
  • 11. James George Kelly (1966) teorizza la “metafora ecologica” per analizzare i cambiamenti nei particolari setting in cui essi avvengono. Definisce quattro principi: 1. Interdipendenza; 2. Ciclicità delle risorse; 3. Adattamento; 4. Successione. Tale approccio è definito “socio-ecologico” e si propone di analizzare l’impatto degli ambienti fisici e sociali per l’individuo che è inserito in essi. La P.d.C. secondo vari autori 6/11 11
  • 12. Levine (1969) Individua cinque principi che consentono di comprendere la realtà: 1) Un problema sorge in un setting o in una situazione: i fattori situazionali causano, esagerano e/o mantengono il problema. 2) Un problema sorge perché la capacità adattiva (di problem-solving) del setting sociale è bloccata. 3) Per essere efficace, un aiuto deve essere collocato in modo strategico rispetto all’insorgere del problema. 4) Gli scopi e i valori dell’operatore e del servizio di aiuto devono essere coerenti con gli scopi e i valori del setting. 5) La forma dell’aiuto deve poter essere stabilita in modo sistematico, usando le risorse naturali del setting o mediante l’introduzione di risorse che possono diventare istituzionalizzate come parte del setting. La P.d.C. secondo vari autori 7/11 12
  • 13. J. Orford (1995) Ricerca una teoria generale ed identifica i 5 requisiti fondamentali: 1. identificare i meccanismi che collegano le sfere dell’individuo e dell’ambiente sociale; 2. analizzare l’interdipendenza tra comportamenti e benessere individuale da una parte e contesto sociale e ambiente dall’altra; 3. essere semplice ed esaustiva; 4. essere in grado di esplorare i modi in cui le persone e i loro contesti sono collegati; 5. individuare gli aspetti dell’ambiente sociale che hanno un forte impatto sulla salute psicofisica e sul benessere degli individui che abitano questi ambienti e dovrebbe orientarci verso interventi preventivi possibilmente efficaci. A livello individuale si devono considerare la valorizzazione dei ruoli, il senso di controllo o di essere agente, il sostegno, la possibilità e opportunità di prospettive future. La P.d.C. secondo vari autori 8/11 13
  • 14. Piero Amerio (1996) Propone la teoria dell’azione, come il modello che meglio spiega l’agire dell’essere umano nei contesti. In questa prospettiva, la P.d.C. diventa la disciplina che indaga l’agire umano, le sue finalità e i suoi effetti finalizzati al raggiungimento e/o mantenimento del benessere individuale e collettivo. «… il sociale entra nella Psicologia di Comunità essenzialmente a tre livelli: 1. a livello eziologico cioè come fattore che contribuisce alla determinazione dei fenomeni dei quali la psicologia di comunità si occupa; 2. a livello “terapeutico” cioè nella formulazione dei modi di intervento e nel recupero delle risorse possibili; 3. a livello della definizione stessa dei problemi» La P.d.C. secondo vari autori 9/11 14
  • 15. Stanley Murrell (1973) Studia le transazioni* fra reti, popolazioni ed individui; sviluppa e valuta metodi di intervento che migliorano l'armonia fra persona e ambiente; pianifica e valuta nuovi sistemi sociali; da queste conoscenze e cambiamenti cerca di aumentare le opportunità psicosociali dell'individuo. I principi che agiscono in un contesto sono: • Totalità (un cambiamento in una parte produce cambiamento in tutto il sistema); • Retroazione (carattere circolare dei sistemi interattivi); • Equifinalità (da ogni punto del sistema è raggiungibile un obiettivo); • Multifinalità (da condizioni simili si può arrivare a risultati diversi). La P.d.C. secondo vari autori 10/11 1/2 * Nella psicologia contemporanea, la relazione nella quale si determinano reciprocamente il soggetto che percepisce e l’oggetto percepito 15
  • 16. Il benessere è dato dall’accordo psicosociale, cioè dal grado di armonia e congruenza tra aspettative e capacità dell’individuo e richieste e risorse della rete sociale. I livelli d’intervento si articolano dal particolare al generale e si pone attenzione non sui singoli livelli bensì sull’interazione: • Ricollocamento individuale • Interventi sull’individuo • Interventi sulla popolazione • Interventi sul sistema sociale • Interventi intersistemici • Interventi sull’intera rete sociale La P.d.C. secondo vari autori 11/11 2/2 Torna all’INDICE 16
  • 17. Gli psicologi di Comunità • Identità di uno psicologo di comunità: privilegiare la prevenzione, lavorare insieme agli utenti, incoraggiandone la partecipazione, operare nel territorio, inteso come sistema, cioè un insieme complesso e organizzato. • È possibile affermare che la promozione della salute e il miglioramento della qualità della vita degli individui nei loro contesti di appartenenza rappresentino l'obiettivo principale e più generale della psicologia di comunità. 17
  • 18. Le strategie d’intervento 1/2 • Favorire un’interpretazione molteplice di un problema sociale, • Studiare le origini storiche del problema sociale, • Promuovere la produzione di nuove metafore non convenzionali, • Attuare e favorire progetti di empowerment, • Individuare i punti di forza per poter ottenere cambiamenti, • Selezionare tra i problemi prioritari quelli che possono essere risolti a livello del gruppo coinvolto e quelli che invece richiedono interventi ad altri livelli. 18
  • 19. • Gli interventi potranno essere di tipo terapeutico, quindi focalizzati maggiormente sull’individuo, o di tipo preventivo, focalizzati quindi sul sistema • Uno degli interventi fondamentali è quello di favorire l’empowerment cioè il processo di crescita, sia dell'individuo sia del gruppo, basato sull'incremento della stima di sé, dell'autoefficacia e dell'auto- determinazione per far emergere risorse latenti e portare l'individuo ad appropriarsi consapevolmente del suo potenziale. 19 Le strategie d’intervento 2/2
  • 20. Strategia preventiva nella P.d.C. • 3 tipi di azione preventiva: • La prevenzione primaria è intesa a ridurre le possibilità di malattia di una popolazione che ne è esposta al rischio, come accade quando si mette a punto un nuovo tipo di vaccino. Il fine è di impedire addirittura che le persone si ammalino. • La prevenzione secondaria cerca di ridurre la durata, la diffusione e il contagio della malattia, in una popolazione in cui essa è già penetrata. Importano qui soprattutto l'individuazione e il trattamento precoce del male. • La prevenzione terziaria cerca di attenuare le conseguenze di una malattia in coloro che già l'hanno avuta; potrà trattarsi per esempio di fornire un atto artificiale a pazienti che abbiano subito un'amputazione. Torna all’INDICE 20
  • 21. Gli strumenti: Indice • Reti sociali e sostegno sociale. • L’analisi organizzativa multidimensionale. • I gruppi di lavoro ed il lavoro di gruppo. • I gruppi di self-help. • Gestione della crisi e dello stress. • La ricerca qualitativa, diagnostica e sperimentale. • La valutazione degli interventi. • Il lavoro di rete • La consulenza 21
  • 22. Gli strumenti 1/31 • Definizione di reti sociali: struttura delle relazioni interpersonali che caratterizza la vita quotidiana e l'intreccio delle risorse sociali istituzionali e spontanee presenti nella comunità. • Sono caratterizzate da quattro dimensioni: 1. Struttura. Questa dimensione comprende variabili morfologiche quali l'ampiezza, la densità, la frequenza di interazione e la posizione dell'individuo nella rete. 2. Interazione. Questa dimensione è composta da variabili che descrivono la relazione tra vari attori della rete, la reciprocità, l'asimmetria, la direzionalità, la molteplicità. 3. Qualità. Vengono incluse in questa dimensione variabili che descrivono la qualità affettiva dei legami. Le reti possono cioè essere rappresentate in termini di amicizia, intimità, vicinanza affettiva. 4. Funzione. Questa dimensione descrive la specifica funzione svolta dai membri della rete. Le reti possono infatti fornire informazioni e feedback, sostegno emotivo, aiuto materiale o consigli per risolvere problemi. Reti sociali. 22
  • 23. Gli strumenti 2/31 23 • Definizione di sostegno sociale: è il supporto emotivo, informativo, interpersonale e materiale che è possibile ricevere e scambiare nelle reti sociali. • Esistono due tipi di sistemi supportivi: il sistema informale e quello formale. Il sistema informale comprende i legami con parenti, amici intimi, persone con cui sia un buon grado di conoscenze e confidenza o con cui comunque si condividono alcune basilari idee e concezioni della vita, affetti, interessi, conoscenze culturali e obiettivi sociali, oppure, in altri termini, gruppi primari ( a partire dalla famiglia) e aggregazioni spontanee di varia natura. Il sistema formale è composto da strutture istituzionali: professionisti che operano in contesti di cura, e riabilitazione e prevenzione psicosociale. È dall'azione di questi due tipi di sistemi, spesso interdipendenti sebbene non sempre integrati fra loro, che si origina il sostegno sociale in grado di promuovere il sano sviluppo individuale e di rafforzare le capacità di reazione allo stress. Sostegno sociale 1/2
  • 24. • Dimensioni e fattori del sostegno sociale. La prima dimensione può essere denominata “sostegno emozionale” e comprende i comportamenti di ascolto che esprimono interesse e comprensione. Attraverso questa forma di sostegno espressivo e confidenziale la persona che riceve aiuto si sente considerata e accettata nonostante le proprie difficoltà. Anzi, la sua autostima si rafforza proprio quando avverte attenzione e sostegno per le proprie esperienze o vissuti problematici. La seconda dimensione può essere definita come “sostegno informativo”, ovvero aiuto nel definire, comprendere e affrontare eventi problematici. Può anche essere inteso come guida cognitiva, offerta di direttive e consigli, sostegno nella valutazione dell'evento. La terza dimensione è relativa alla ”affiliazione sociale”. Esiste cioè una forma di sostegno derivante dall'appartenenza a gruppi informali e/o associazioni più formali che deriva, in generale, dalla possibilità di avere rapporti sociali soddisfacenti e trascorrere del tempo libero in attività ricreative svolte con altri. L'ultima dimensione che è possibile identificare è il “sostegno strumentale”, ovvero l'offerta di servizi, lo svolgimento di compiti, l'aiuto finanziario. Gli strumenti 3/31 Sostegno sociale 2/2 24
  • 25. • Per poter intervenire sui sistemi sociali è necessario procedere prima di tutto con un’analisi organizzativa del sistema e delle sue interazioni con l’individuo. • Le organizzazioni non possono essere lette, come propone Morgan, secondo paradigmi specifici in quanto ciascuno di essi esamina solo una porzione del problema o del sistema. • L’approccio multidimensionale proposto da Francescato invece cerca di tener conto di tutti gli aspetti strutturali, funzionali, psicoambientali e psicodinamici di un sistema Gli strumenti 4/31 L’Analisi Organizzativa Multidimensionale (AOM) 1/4 25
  • 26. Gli strumenti 5/31 I postulati sui quali si basa una tale analisi sono: 1. E’ possibile identificare variabili comuni a tutte le realtà organizzative; 2. Le diverse teorie organizzative privilegiano fenomeni organizzativi diversi; 3. Ogni teoria dispone di strumenti e tecniche per la lettura organizzativa; 4. Nessuna lettura è “più vera” delle altre, ma esprime una diversa visione della realtà. L’analisi multidimensionale non deve comprendere ogni possibile lettura, ma seguire uno schema-guida in grado di orientare l’individuazione degli aspetti salienti; l’analisi efficace deve rilevare i punti-forza e le aree-problema, le variabili relative e i fattori funzionali ai cambiamenti auspicati. 26 L’Analisi Organizzativa Multidimensionale (AOM) 2/4
  • 27. Gli strumenti 6/31 Schema-guida per l’analisi organizzativa. Visto che, normalmente, il consulente non è interpellato per un check-up diagnostico generale, ma in relazione a situazioni di crisi in ambiti specifici, lo schema-guida dovrebbe offrire i seguenti benefici: 1. Visione di insieme del funzionamento dell’organizzazione. 2. Utilità anche all’interno. 3. Valutazione del grado di accordo psicosociale. 4. Valutazione dell’impatto psicologico di variabili oggettive. 5. Esplorazione dell’organizzazione lungo il continuum oggettivo-soggettivo. 6. Aspetti politici del cambiamento. 27 L’Analisi Organizzativa Multidimensionale (AOM) 3/4
  • 28. Gli strumenti 7/31 Lo schema-guida dell’analisi organizzativa multidimensionale è basato su 4 dimensioni: 1) Dimensione strategico-strutturale (o giuridico-politico-economica). 2) Dimensione funzionale. 3) Dimensione psicodinamica. 4) Dimensione psicoambientale. Mediante l’AOM, si ottiene un elenco di aree-problema e punti-forza per ogni dimensione. Un ulteriore passaggio è l’analisi delle interdipendenze tra le 4 dimensioni, poiché i punti critici e le aree-di forza di una dimensione avranno probabilmente influenza anche sulle altre. Infine, insieme ai partecipanti, si stabiliscono le priorità di cambiamento decidendo da quale dimensione è opportuno partire. 28 L’Analisi Organizzativa Multidimensionale (AOM) 4/4
  • 29. Gli strumenti 8/31 • Sono centrati su un obiettivo da raggiungere. • Il gruppo di lavoro rappresenta un’unità organizzativa dotata di un certo grado di autonomia, mentre il lavoro di gruppo è da intendersi come metodo di auto-coordinamento di individui portatori di scopi, bisogni e desideri interdipendenti. Spaltro studia i gruppi nell’ottica della P.d.C., sostiene che il passaggio dalla cultura di coppia a quella di gruppo richiede lo sviluppo di una mentalità nuova, di capacità specifiche per “fare lavoro di gruppo” e, a livello di sviluppo psichico individuale, una transizione sociale. 29 I gruppi di lavoro ed il lavoro di gruppo 1/3
  • 30. Gli strumenti 9/31 La coppia Il gruppo La cultura di coppia, oltre che basarsi sul rapporto edipico, si caratterizza per i valori centrali della dipendenza e della fedeltà; La cultura di gruppo implica come valori centrali il pluralismo, la leadership, la coesione e il cambiamento. 30 I gruppi di lavoro ed il lavoro di gruppo 2/3
  • 31. Gli strumenti 10/31 • Differenze tra gruppi e gruppi di lavoro: il gruppo è una pluralità di interazioni, il gruppo di lavoro è una pluralità di integrazioni cioè un sistema che tende ad armonizzare le disuguaglianze. • Il lavoro di gruppo è l’espressione dell’azione complessa propria del gruppo di lavoro e comprende la pianificazione del compito, la gestione delle relazioni ecc. Fattore indispensabile è l’organizzazione di esso. • Il ruolo del facilitatore è fondamentale per il lavoro di gruppo. • Una delle tecniche è il brainstorming ed il problem solving. 31 I gruppi di lavoro ed il lavoro di gruppo 3/3
  • 32. • Si costituiscono gruppi di self-help (auto-aiuto) quando non professionisti si riuniscono con regolarità per promuovere, mantenere o recuperare la salute, cioè il completo benessere fisico, psicologico e sociale di una comunità, tali gruppi costituiscono strumenti di prevenzione secondaria, in quanto affrontano o limitano un disagio già in corso. • Fattori di efficacia: 1. Dinamica socio emotiva fra pari. Lo scambio informativo, il sostegno, il rinforzo e l’identificazione avvengono in un gruppo di persone alla pari, senza status, ruoli istituzionali e gerarchie ascritte a priori. Gli strumenti 11/31 32 I gruppi di self-help 1/3
  • 33. 2. Valore terapeutico del ruolo di helper. Ogni membro, prima o poi, svolge il ruolo di chi aiuta. Questo accresce il senso di controllo, autostima e competenza, apporta riconoscimento e approvazione sociale (quindi migliora l’auto percezione, i vissuti depressivi e autolesionistici). 3. Spinta ideologica come forza trainante. Tutti i gruppi di self-help strutturano un sistema di principi e valori fortemente persuasivi. Contribuire a costruire o aderire a questi ideali permette di interiorizzare un’innovazione sociale e rimuove pregiudizi e atteggiamenti autolesionisti. Gli strumenti 12/31 33 I gruppi di self-help 2/3
  • 34. • Fattori dominanti: 1. Controllo del comportamento: Identificazione e modellamento. 2. Portatori di handicap e malattie croniche: Sostegno emotivo, scambio informativo, identificazione, stimolo della carica ideologica, valore terapeutico del ruolo di helper. 3. Parenti di persone con problemi gravi: Sostegno affettivo, strumentale e informativo. 4. Persone che attraversano un periodo di crisi: Identificazione e aiuto reciproco. Permettono alle persone di rafforzarsi, diventare più competenti nell’affrontare la propria situazione e ridefinire la crisi come momento di crescita. Gli strumenti 13/31 34 I gruppi di self-help 3/3
  • 35. • La crisi è un evento la cui evoluzione è aperta a più esiti che dipendono, oltre che dalla drammaticità e della violenza dell’evento scatenante, dalle risorse individuali e ambientali disponibili o attivabili per poterla affrontare. • Si sono interessati alle crisi ed alla loro gestione: 1. Lindemann, psichiatra di Boston, fra i primi ad avere analizzato la condizione di crisi; 2. Erikson che ha influenzato profondamente la concezione evolutiva della crisi; 3. Caplan che descrive una serie di stati per lo sviluppo della crisi, il tempo utili per l’intervento è limitato; 4. Selye che definisce la reazione allo stress come “sindrome generale di adattamento”; 5. Barbara Dohrenwend che propone un modello multidimensionale integrato per descrivere ciò che segue l’immediata reazione transitoria. Gli strumenti 14/31 35 Gestione della crisi e dello stress 1/4
  • 36. • Tipologie di crisi: 1. Eventi critici NORMATIVI: previsti o prevedibili e quindi in qualche modo attesi dall’individuo, che sviluppa una mappa mentale tramite la quale ipotizza gli accadimenti del prossimo futuro e valuta l’adeguatezza del proprio comportamento. Essendo associata alle transizioni fra stadi di sviluppo, questo tipo di crisi è anche detta crisi evolutiva La prevedibilità della crisi determina una differenza sostanziale nel modo di intervenire, poiché apre la strada alla prevenzione. 2. Eventi critici PARANORMATIVI: Eventi accidentali e improvvisi: morti, incidenti, malattie improvvise, invalidità, sequestri, rapine, disastri naturali, licenziamenti, gravidanze indesiderate. Si parla in questo caso di crisi situazionale. Gli strumenti 15/31 36 Gestione della crisi e dello stress 2/4
  • 37. • Tra le modalità d’intervento sulla crisi specialmente di tipo normativo una delle fondamentali è la gestione dello stress (stress management) • In situazioni di crisi paranormative, l’analisi di comunità è estremamente utile in quanto permette di creare una mappa approfondita della realtà territoriale, delle sue risorse, carenze, e bisogni. Tutto ciò non solo facilita la programmazione di interventi in caso di eventi drammatici, ma traccia anche i presupposti per la partecipazione degli individui e attiva la costruzione di reti sociali tra agenzie, formali e non, presenti sul territorio. Gli strumenti 16/31 37 Gestione della crisi e dello stress 3/4
  • 38. Gli strumenti 17/31 38 • Le tecniche di gestione dello stress migliorano le capacità di coping, ma non considerando gli aspetti materiali e sociali degli stressors vanno integrate con strumenti che considerino anche le variabili del contesto. • Analogamente le tecniche di intervento sulla crisi prevedibile devono essere integrate, infatti vengono esaminate le narrative personali, ma non sempre vengono esplorate anche quelle comunitarie e culturali, che comunque sostengono e influenzano le prime. • Infine, anche le tecniche di gestione della crisi in atto, pur incoraggiando interpretazioni pluralistiche del problema e attivando una forte collaborazione tra i membri delle reti sociali, spesso non esaminano le origini storiche della crisi. Gestione della crisi e dello stress 4/4
  • 39. • La P.d.C. predilige la ricerca di tipo qualitativo, in quanto il rigore empirico e i disegni standardizzati della ricerca quantitativa limiterebbero eccessivamente l’analisi dei dati. • La ricerca diagnostica viene attuata in contesti organizzativi o comunitari per analizzare bisogni, esplorare risorse e identificare problemi prioritari, in vista della formulazione di nuovi programmi o del miglioramento di quelli esistenti. • La ricerca sperimentale segue il rigoroso schema sperimentale che verifica ipotesi controllando variabili in applicazioni sul campo e consente di compiere inferenze sulle relazioni causali tra di esse. Gli strumenti 18/31 39 La ricerca qualitativa, diagnostica e sperimentale 1/4
  • 40. • La ricerca-intervento di Kurt Lewin (action-research) si avvale della teoria del campo, secondo cui la comprensione dei fenomeni sociali e psicologici richiede l’osservazione della dinamica delle forze agenti nel contesto. Si fonda su 2 principi fondamentali: - Rapporto non lineare, ma circolare fra teoria e prassi; - Partecipazione dei soggetti ai quali l’intervento di conoscenza e cambiamento è diretto. • Si evolve in ricerca-intervento partecipante che, al fine della promozione di un cambiamento sociale, coinvolge i destinatari dell’intervento integrando il sapere locale di individui e gruppi con la competenza professionale di esperti. Gli strumenti 19/31 40 La ricerca qualitativa, diagnostica e sperimentale 2/4
  • 41. • Lo schema di Cunningham prevede 3 fasi, suddivise in ulteriori sotto fasi e che si applicano al nucleo di lavoro. 1. Sviluppo del gruppo: Percezione del problema; Costituzione del gruppo di lavoro; Definizione delle mete; Training del gruppo. 2. Ricerca: Formulazione delle ipotesi; Modalità di raccolta delle informazioni; Raccolta dei dati; Analisi dei dati; Presentazione dei dati; Ipotesi di intervento. 3. Intervento: Pianificazione; Organizzazione; Attuazione. Gli strumenti 20/31 41 La ricerca qualitativa, diagnostica e sperimentale 3/4
  • 42. Gli strumenti 21/31 42 La ricerca qualitativa, diagnostica e sperimentale 4/4 • Confronto tra ricerca sperimentale e ricerca-intervento partecipante: Ricerca sperimentale Ricerca-intervento partecipante Verifica ipotesi e stabilisce rapporti di causalità. Trattamenti su campioni rappresentativi consentono di generalizzare i risultati in leggi universali. Agisce su gruppi particolarmente motivati o a rischio per ottenere cambiamenti socialmente rilevanti. I criteri-guida non riguardano la rappresentatività e la validità dei risultati, ma l’utilità attuale e potenziale. L’oggetto della ricerca è ben identificato e fermato nel tempo, le variabili vengono isolate il più possibile, le condizioni sperimentali e di controllo sono ben distinte e governate. Soggetto e oggetto della ricerca sono spesso difficilmente distinguibili, le variabili vengono considerate nei loro processi dinamici, esiste quasi sempre un unico gruppo oggetto di studio, senza condizione di controllo.
  • 43. • E’ fondamentale per fornire un feedback all’intervento stesso, è favorita dall’attuale legislazione, è mirata a verificare l’efficacia, l’efficienza e l’utilità dei programmi di intervento attuati o anche da attuare, produce vantaggi a livelli diversi: a) Operatori. Produce coinvolgimento e partecipazione al lavoro di gruppo, protegge dalla routine e dallo stress; b) Organizzazione. Contribuisce al miglioramento del servizio offerto, facilita la costruzione di un patrimonio culturale nell’organizzazione, conferisce credibilità, media il dialogo con l’esterno; c) Utente. Promuove l’atteggiamento partecipativo, aumenta il potere di intervento e controllo; d) Amministratore/Politico. Dimostra la bontà delle decisioni prese, promuove interventi alternativi. Gli strumenti 22/31 43 La valutazione degli interventi 1/5
  • 44. • Definizione di ricerca valutativa (Rossi e Freeman): uso delle metodologie della ricerca sociale al fine di giudicare e migliorare la pianificazione, il monitoraggio, l’efficacia e l’efficienza dei programmi sociali. • I più importanti orientamenti nella progettazione di un intervento valutativo sono: 1. Orientamento Realista; 2. Orientamento Costruttivista. Gli strumenti 23/31 44 La valutazione degli interventi 2/5
  • 45. • La seguente tabella illustra le differenze tra i due orientamenti Gli strumenti 24/31 45 La valutazione degli interventi 3/5 confronto tra Orientamento REALISTA Orientamento COSTRUTTIVISTA Definizione di realtà La realtà esterna è oggettiva , regolata da meccanismi stabili e rilevabili ed è indipendente dall’osservatore e dal contesto di osservazione. Il ricercatore si può quindi concentrare sull’individuazione dei metodi di misurazione più adatti. La realtà non è oggettiva e unica, ma molteplice. Il rapporto tra ricercatore e oggetto di studio non può essere di indipendenza, poiché la realtà si costruisce sull’esperienza individuale e i fattori ambientali. I processi valutativi non possono prescindere quindi dal coinvolgimento di attori diversi; questo è coerente con i principi della PdC. Funzione della valutazione Misurare variazioni oggettive di variabili in relazione a criteri di efficacia ed efficienza. Misurare i risultati sulla base di un accordo tra gli attori coinvolti nel processo. Ruolo dell’osservatore Definisce gli obiettivi della valutazione, ma è un possibile elemento di disturbo per la sua oggettività. Definisce gli obiettivi della valutazione e ne individua i criteri. Ruolo della valutazione Importante, ma non costitutiva della progettazione. Propriamente costitutiva della progettazione.
  • 46. • La classificazione della valutazione può essere fatta in funzione dei possibili orientamenti, che danno enfasi ad aspetti diversi e implicano il ricorso a metodi differenti, o in base a un criterio temporale, o in base all’anzianità del programma valutato, o, infine al tipo di approccio (qualitativo: Valutazione formativa) (quantitativo: Valutazione consuntiva) • La stima dell’efficacia e dell’efficenza è poi una valutazione in senso stretto, intesa come stima della bontà dei risultati di un intervento effettuato, che a parità di efficacia può rivalersi più o meno efficiente in base alle risorse richieste. Gli strumenti 25/31 46 La valutazione degli interventi 4/5
  • 47. Stima dell’EFFICACIA Stima dell’EFFICIENZA Determina la validità degli effetti prodotti dall’intervento; misura quindi il risultato. Anche assumendo la visione probabilistica e circolare di causalità che riflette la complessità dei fenomeni sociali, identifica le misure dei cambiamenti e isola gli effetti attribuibili al solo intervento. Comporta molte difficoltà; • Qualunque indicatore di cambiamento deve avere requisiti di validità e attendibilità; • E’ necessario poter distinguere i risultati grezzi (cambiamenti osservabili in seguito al trattamento) da quelli netti (attribuibili al solo intervento); • Disegni di ricerca adeguati alla stima dell’efficacia richiedono campionamenti casuali, confronti tra gruppi sperimentali e di controllo, ecc. In breve, una valutazione accurata dell’efficacia richiede una conformità ai canoni sperimentali o per lo meno quasi-sperimentali. Altri possibili fattori di disturbo sono: • Auto-selezione: la ricorrente cooperazione volontaria nei programmi coinvolge persone predisposte al cambiamento; • Effetto Hawthorne: la stessa osservazione sperimentale determina particolari effetti. Il metodo tradizionale dell’analisi costi-benefici in termini monetari pone molti problemi nei programmi sociali complessi: • Costi. La valutazione dei costi non è semplice, ma normalmente possibile; serve considerare ogni risorsa investita nel programma, le variazioni dei costi nel tempo, i costi derivanti da effetti collaterali ed occasioni perdute per le scelte fatte. Inoltre, serve stabilire la prospettiva di valutazione dei costi (destinatari dell’intervento, servizio, società). • Benefici. La quantificazione economica è sempre molto ardua, dovendo attribuire un valore alla diminuzione di fattori stressanti e conflitti organizzativi, alla prevenzione e riduzione di devianze o allo sviluppo del sostegno sociale. Anche stimando i benefici economici per chi partecipa direttamente al programma, le cose si complicano allargando la prospettiva alla diffusione verso gruppi e reti di sistemi. La Cost-effectiveness analysis determina il valore monetario dei costi e stima i benefici attraverso unità di misura non monetarie, cioè indicatori pertinenti (es. numero delle vite salvate, soddisfazione per la qualità di vita nel quartiere); poi determina i costi per l’ottenimento di benefici unitari. A differenza di un’analisi costi-benefici tradizionale, non consente la comparazione tra programmi diversi, ma solo tra programmi con obiettivi simili e indicatori confrontabili. Gli strumenti 25/31 47 La valutazione degli interventi 5/5
  • 48. • La presenza in una comunità di reti sociali siano esse formali o informali fornisce alla P.d.C. un potente strumento per eliminare resistenze e contrapposizioni tra figure appartenenti a servizi diversi, contribuendo alla costruzione di una cultura comune e alla produzione di regole condivise sulle metodologie di intervento e sui criteri di valutazione. Inoltre il lavoro di rete incoraggia interpretazioni pluralistiche di un problema sociale ed integra tipi di conoscenze e competenze professionali diverse, lasciando emergere le conoscenze locali provenienti dalle persone coinvolte nel problema sociale affrontato. Il lavoro di rete si presta dunque a promuovere progetti di empowerment aumentando il capitale sociale di una comunità. Gli strumenti 26/31 48 Il lavoro di rete 1/3
  • 49. • I punti di forza del lavoro di rete: 1. Cultura condivisa; 2. Diversità; 3. Le pratiche operative; 4. Le modalità di pianificazione e controllo dell’efficacia; 5. I sistemi premianti; 6. Il consenso sul campo d’azione; 7. Il consenso ideologico; 8. La valutazione positiva; 9. Il coordinamento operativo. Gli ultimi 4 sono proposti da Benson (1988) Gli strumenti 27/31 49 Il lavoro di rete 2/3
  • 50. • La strategia fondamentale ma non unica è quella democratica collaborativa, Benson ne propone altre 4: 1. Strategie cooperative (scambio di valori); 2. Strategie di rottura (intenzionalmente tendono ad indebolire la posizione di un’organizzazione): 3. Strategie di manipolazione (interferenze nel flusso delle risorse o nell’accesso ad esse); 4. Strategie autoritarie (potere accentrato in un nodo). Gli strumenti 28/31 50 Il lavoro di rete 3/3
  • 51. • La sua peculiarità è il tipo di processo comunicativo che si instaura tra il consulente e il consultante. • Alcune definizioni di consulenza 1. Smith. Scopo generale il miglioramento dell’uso, da parte di chi la richiede, della proprie capacità e risorse nel conseguimento di determinati obiettivi. 2. Lippit. Si propone di aiutare una persona, gruppo, organizzazione o più ampio sistema a mobilitare risorse interne ed esterne per risolvere problemi o tentare dei cambiamenti. 3. Caplan. Processo di interazione tra il consulente e il consultante, che chiede aiuto per un problema di lavoro in cui incontra difficoltà e che ritiene essere nell’area di competenza del consulente. Gli strumenti 29/31 51 La consulenza 1/3
  • 52. 4. Jacoby. Il consulente può agire in modi diversi: - Affrontare un problema in cui il consultante ha scarse conoscenze; - Fornire un’opinione indipendente, soprattutto se il consultante comprende di non avere una visione obiettiva; - Offrire competenze addizionali in un’area che conosce. • Fasi della consulenza 1. Stadio iniziale 2. Analisi e diagnosi. 3. Progettazione e intervento. 4. Valutazione. Gli strumenti 30/31 52 La consulenza 2/3
  • 53. Gli strumenti 31/31 • Il consulente psicologo di comunità opera per la progettazione, promozione, coordinamento, gestione valutazione di programmi di prevenzione e promozione della salute e del benessere e dei cambiamenti sociali e organizzativi (community–based). 53 La consulenza 3/3 Torna all’INDICE
  • 54. • Gli interventi della P.d.C. dipendono da: a) Fattori esterni: sociali, politici e culturali. b) Fattori interni: evoluzione della disciplina e conoscenze personali. • Da un lato la ricerca di intervento è dovuto alla maggiore «visibilità» di un problema sociale scaturita da fattori sociopolitici e culturali, dall’altro gli stessi «professionisti» possono determinare la «visibilità» di un problema che sta' loro a cuore. Settori di applicazione della P.d.C. 1/2 54
  • 55. Settori tradizionali: • Settore scolastico; • Settore sanitario; Settori innovativi: • Mondo del lavoro; • Volontariato e privato sociale; • Istituzioni politiche pubblica amministrazione; • Sistemi formativi tradizionali o online (e-learning e aggiornamento continuo) Settori di applicazione della P.d.C. 2/2 55 Tradizionali e innovativi
  • 56. • Gli interventi di Psicologia di Comunità descritti nei testi studiati fanno riferimento principalmente a realtà non italiane. In Italia il campo degli interventi nell’ottica della P.d.C. è ancora poco diffuso, sia perché l’introduzione della P.d.C. come disciplina universitaria è relativamente recente sia perché le varie comunità, salvo rari casi, non sentono il bisogno di favorire interventi in questo contesto. • Per esempio nel sistema scolastico vige ancora il concetto di livellamento degli studenti ai fini dell’apprendimento e la valutazione dei singoli si basa solo sulle capacità individuali come se queste fossero determinate solo dalla genetica. Riflessioni personali 56