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Desidero ricordare tutti coloro che mi hanno aiutato nella stesura della tesi con
suggerimenti, critiche ed osservazioni: a loro va la mia gratitudine, anche se a
me spetta la responsabilità per ogni errore contenuto in questa tesi.
Ringrazio prima di tutto la Professoressa Angela Besana, Relatrice; senza il Suo
supporto, la grande disponibilità e la cortesia dimostratemi questa tesi non
esisterebbe.
Proseguo con il Dottore in economia Amir S. Sadeghi Emamgholi, assistente
ricercatore presso il South Asia Region Office di The World Bank (Washington,
DC), per essersi più volte dimostrato disponibile nel facilitare le mie ricerche.
Un sentito ringraziamento ai miei genitori e a mia sorella, che, con il loro solido
sostegno morale ed economico, mi hanno permesso di raggiungere questo
traguardo.
Un ultimo ringraziamento ai miei amici, colleghi e alla mia fidanzata che mi
hanno incoraggiato o che hanno speso parte del proprio tempo a leggere e
discutere con me le bozze del lavoro.
A Voi è dedicata questa tesi.
Indice
Introduzione
Capitolo 1: I mercati emergenti
1.1 Definizione e significato di mercato emergente
1.2 Il caso del sud-est asiatico
1.2.3 ASEAN: dalla crisi del 1997 all'ascesa degli anni recenti
1.3 Le politiche monetarie della FED: una minaccia per i mercati
emergenti
1.4Dai BRICs ai MINT
Capitolo 2: La gestione d'impresa nel sud-est asiatico
2.1 Analisi di mercato
2.2 FDI, Foreign Direct Investment
2.3Sostenibilità economica e finanziare per un'impresa
2.3.1 Fattori di successo
2.3.2 Livello di tassazione per le aziende
2.4L'Italia investe in Vietnam; il caso Piaggio
Capitolo 3: Prospettive future: Nuove opportunità o minacce celate?
3.1Fattori e tassi di crescita dei paesi emergenti
3.1.1 Fattori di crescita
3.1.2 Tassi di crescita
3.2 I punti di fragilità delle economie emergenti
3.3Le minacce e le opportunità, per l'Europa e per il Made in Italy
derivanti dall'avvio di nuove start-up
3.3.1 Italia e start up
Conclusione
Bibliografia e sitografia
Introduzione
Lo scopo della presente tesi è quello di dare al lettore una panoramica dei mercati
emergenti localizzati nella Regione del sud-est asiatico. In ragione di ciò, dopo
una breve definizione di “Mercato Emergente”, si indagheranno le opportunità,
ma anche le minacce per investitori ed imprese celate dietro i sostenuti tassi di
crescita registrati.
Nel 2001, l'economista Jim O'Neill1
ha coniato il termine BRICs, utilizzando
l'acronimo per indicare Brasile, Russia, India e Cina come le Nazioni che
avrebbero guidato la crescita globale del XXI secolo. Riponendo la fiducia nel
futuro di queste Nazioni e in un'economia sempre più attiva, i Paesi
industrializzati hanno iniziato a comprare un numero crescente di assets e a
intrattenere solide relazioni finanziarie con i sopracitati mercati. Tuttavia, in
seguito allo shock della crisi economica nel 2008, il sistema capitalistico
occidentale, per anni considerato il propulsore dell'economia moderna, ha
iniziato a sgretolarsi, trascinando con se le certezze degli investitori. Non solo; il
processo di globalizzazione, che ha portato ad un mondo sempre più connesso,
dove le transazioni finanziarie avvengono con intervalli brevissimi, ha implicato
una stretta interdipendenza tra le Nazioni, intaccando anche quei prosperi tassi di
crescita dei Paesi emergenti.
L'ipotesi che viene presentata in questa trattazione è quella di ritenere le Nazioni
del sud-est asiatico come un “post-BRICs”, ricche di punti di forza, testimoniati
da un crescente flusso di FDI stranieri, ma anche affette da minacce come
corruzione e complicata burocrazia. Come si avrà più volte modo di leggere e
assumere dai grafici nel corso dell'argomentazione, le Nazioni costituenti
l'ASEAN, Association of Southeast Asian Nations, sono tutte caratterizzate da
tassi di crescita, misurati come prodotto interno lordo percentuale, positivi e fino
al 5% superiori rispetto alle economie leader del XX secolo, Stati Uniti ed
1 Jim O'Neill, Global Economics Paper No: 66, Edited by Goldman Sachs, 2001, New York,
www.goldmansachs.com [Ultimo accesso 2 settembre 2014];
Europa. Tuttavia, come sosteneva Robert Kennedy2
, Senatore degli Stati Uniti
d'America, la ricchezza di una nazione non si può misurare solamente attraverso
il PIL, per questo motivo verranno considerati altri fattori, come la presenza di
infrastrutture, la stabilità politica, e il livello di educazione.
La scelta di un tale argomento deriva dalla consapevolezza che, come sostengono
le principali testate economiche, tra cui The Economist3
e The Wall Street
Journal4
, le Nazioni del sud-est asiatico, uscite rinforzate dalla crisi del 1997,
saranno per i prossimi 30 anni le principali piazze di scambio internazionali,
capaci di risollevare la pigra economia globale.
Inoltre, secondo uno dei guru di Wall Street, Warren Buffett5
, possedere
un'elevata consapevolezza della direzione intrapresa dall'economia, può fare la
differenza tra l'avere un return on investment elevato oppure mediocre. Per
questo motivo, mi servirò, nel corso della tesi, di strumenti economici e
finanziari in grado di fornire dettagliate descrizioni su quali possano essere i
Paesi in via di sviluppo più propensi a fornire ottime chance di guadagno e quali
invece hanno ancora bisogno di solide certezze.
Se i primi due capitoli della tesi forniranno una panoramica delle condizioni
economiche delle Nazioni dell'ASEAN, concluderò l'elaborato procedendo ad
elencare quali possano essere le opportunità non solo per le multinazionali, ma
anche per quelle medie e grandi aziende o start up che si sforzano di esportare il
brand Made in Italy verso nuovi orizzonti. Nei prossimi trent'anni, 600 milioni di
persone, con un reddito medio di 35 mila dollari annui si affacceranno sui
mercati del sud-est asiatico; le opportunità di sviluppo per le imprese sono
solamente iniziate.
2 Robert Kennedy, Senatore degli Stati Uniti d'America, Il PIL e la felicità, discorso del 18 marzo 1968,
Kansas University;
3 The Economist Insights, South-East Asia Summit 2014, 27 agosto 2014, www.economistinsights.com
[Ultimo accesso 1 settembre 2014];
4 The Wall Street Journal, ASEAN: An Emerging Global Player, agosto 2014, in collaborazione con Asia
Business Council, www.asiabusinesscouncil.org [Ultimo accesso 3 settembre 2014];
5 Warren Buffett, The Essays of Warren Buffett: Lessons for Investors and Managers, Edited by
Lawrence A. Cunningha, IV edizione, Singapore, 2013, pp.35-37.
Capitolo 1
I Mercati Emergenti
Il presente capitolo si pone l'obiettivo di dare una definizione di mercato
emergente, considerando l'attuale clima economico e lo spostamento degli
investimenti verso i Paesi in via di sviluppo, focalizzando particolarmente
l'attenzione sui mercati con un forte tasso di crescita nel sud est asiatico.
L'evoluzione dell'economia globale, con la rimozione delle barriere transazionali
e degli intermediari finanziari, ha permesso a sempre più nazioni di entrare a far
parte di quella che viene definita oggi la global supply chain. L'avvento del web
ha permesso di creare connessioni solide, anche tra Paesi situati a grandi distanze
l'uno dagli altri. In questo modo il network finanziario globale, fino ai primi anni
di questo secolo, ha svolto una funzione di primaria importanza nel creare un
mercato mondiale di risorse tangibili ed intangibili, le quali hanno sostenuto
considerevolmente lo sviluppo economico planetario. La crisi economica del
2008, che ha preso rapidamente avvio in tutto il mondo in seguito ad una crisi del
mercato immobiliare statunitense, ha causato un aumento dell'attrattività e del
potenziale redditizio delle nuove economie, considerate ad alto fattore di crescita.
Di conseguenza, molte multinazionali e molti investitori occidentali hanno
osservato con curiosità il continuo e stabile evolversi dei mercati emergenti negli
ultimi anni. Il flusso di capitali dai Paesi occidentali a quelli soprattutto orientali
ha dato un grande impulso ai nuovi mercati, che per i prossimi decenni vengono
considerati da esperti economici come le locomotive che traineranno l'economia
globale. In particolare il sud est asiatico sta diventato una delle destinazioni
principali di investimenti e filiali occidentali. Avendo subito in maniera minore il
contraccolpo della crisi, alcuni Paesi dell'ASEAN sono considerati il polo
mondiale degli scambi finanziari. Grazie anche ad una situazione politica stabile,
la fiducia degli investitori è destinata ad aumentare. Tuttavia, alcuni analisti
ritengono che l'euforia dei mercati emergenti sia solo una bolla, pronta ad
esplodere e a causare una nuova crisi, ben più devastante di quella in atto. A
testimonianza di questa tesi sono i recenti cali di redditività dei Paesi emergenti e
un calo nel flusso di investimenti verso queste nazioni. Eventi negativi causati
anche dalle politiche di tapering recentemente attuate dalla FED per incentivare
la crescita interna degli Stati Uniti. Di conseguenza la fiducia verso i nuovi
mercati diminuisce, portando ad un flusso di capitali sempre minore; nonostante
ciò, Paesi come Cina, India ed Indonesia mantengono un PIL superiore e in
costante crescita rispetto ai Paesi industrializzati. Il prodotto interno lordo,
secondo recenti stime è destinato a espandersi da un 6.6% del 2013 ad un 6.7%
nel 2014, contro le previsioni più pessimistiche del 2012 del 6.1% (Dati Asian
Development Outlook (ADO), 2013).
1.1 Definizione e significato di mercato emergente
Durante gli anni settanta, il termine “Paesi in via di sviluppo” veniva utilizzato
per designare quei mercati meno sviluppati rispetto agli Stati Uniti, all'Europa e
al Giappone. Tuttavia questa definizione venne presto sostituita da “mercati
emergenti”, considerata più ottimistica e positiva. Le economie di certi Paesi,
furono classificate per la prima volta come “emergenti” nel 1986 dalla Società
Finanziaria Internazionale (World Bank International Financial Investments IFC)
che, fondata nel 1956 con lo scopo di promuovere lo sviluppo dell'industria nei
Paesi e nelle economie emergenti, stilò un rapporto dei mercati con i più elevati
tassi di crescita e di redditività. Una definizione universale di mercato emergente
è quella che tiene in considerazione due aspetti fondamentali; l'aumento di
mercati con accesso libero e la privatizzazione di imprese governative. Il primo
requisito permette alle imprese o al flusso di capitali da parte di investitori di
poter entrare liberamente in un mercato, grazie all'assenza di barriere come dazi o
tasse doganali. L'assenza di discriminazione rispetto ai possibili imprenditori,
garantisce la possibilità di sviluppare la propria idea di business in libertà. Il
secondo requisito, permette a cittadini privati di entrare in possesso di aziende o
imprese precedentemente controllate dallo stato. La privatizzazione consente la
cessazione del monopolio, in favore di un libero mercato concorrenziale e
l'eliminazione di vincoli e limiti imposti precedentemente dallo stato nei
confronti delle imprese private. Altre condizioni sono relative ai processi
legislativi, ai sistemi giudiziari, all'amministrazione della res publica, alle
politiche tassative e ai di debiti. “...alle condizioni precedenti si aggiungono la
sostenibilità dei flussi di investimento e la direzione dello sviluppo economico
locale” (Dr. J.M.Mobius, 1996). “I mercati emergenti sono quei Paesi all'interno
dei quali la cura per la gestione della politica equivale alla cura per la gestione
dell'economia.” (Braker, Bremmer, Gordon, 2008). Nonostante il termine fosse
stato coniato negli anni ottanta, è entrato nel linguaggio d'uso quotidiano
solamente negli anni novanta. Di recente esso descrive quei mercati con un
notevole tasso di crescita, caratterizzati da un elevata profittabilità e da un
altrettanto elevato fattore di rischio, che si situano a cavallo tra i Paesi in via di
sviluppo e tra i Paesi sviluppati.
“...sono quelle regioni del mondo che sono sempre più soggette ad un
processo di informatizzazione, nonostante siano limitatamente o
parzialmente industrializzati.”
(Center for Knowledge Societies, 2008).
Alcuni esempi sono: Indonesia, Iran, Brasile, Argentina, Sud Africa, Russia. Nel
corso di questa tesi, mi focalizzerò sempre di più sui Paesi del sud-est asiatico.
La definizione di mercato emergente è diventata molto popolare tra i media, tra le
politiche estere, tra i dibattiti finanziari e tra le società di rating. Per questo il
termine racchiude una definizione molto ampia. “I mercati emergenti sono quelle
nazioni che stanno attraversando una forte fase di sviluppo in confronto alle
nazioni industrializzate.” (Guy Poupet, 2004). Definire un mercato emergente
significa indagare gli aspetti economici di un paese per poi confrontarli con i
risultati dei Paesi sviluppati.
“...un mercato emergente si presenta come un'economia in costante
crescita e caratterizzata da un forte impegno istituzionale in termini di
infrastrutture, legislazione e diritti al lavoro.” (Meyer e Tran, 2006)
Di particolare rilevanza è l'impegno istituzionale. Lo stato deve garantire delle
leggi che siano in grado di favorire l'accesso e il libero sviluppo finanziario
all'interno del paese preso in esame. Se il governo, democraticamente eletto, è in
grado di garantire i presupposti e le basi per una crescita sostenibile, allora
aumenterà la fiducia in quel paese e quindi la probabilità che nuovi investitori
tenteranno di accedervi. Al contrario se un governo è instabile e incapace di
varare riforme per salvaguardare l'economie e gli investimenti stranieri, allora la
fiducia verso quel paese diminuirà, allontanando i capitali. Nel processo di
crescita di un mercato emergente, non si può non considerare il ruolo che le
nazioni leader devono avere nel salvaguardare il nuovo habitat. La maggior parte
degli investimenti, misurati attraverso l'FDI (Foreign Direct Investment)
provengono da investitori e multinazionali occidentali. La crisi finanziaria
scoppiata nel 2008 ha avuto effetti negativi sul flusso di capitali provenienti
dall'occidente. Le conseguenze più devastanti si sono palesate, in particolar
modo, in quei Paesi che intrattenevano delle strette relazioni economiche con le
nazioni industrializzate. Ad esempio, la Cina ha subito un calo di produttività in
alcuni settori a causa di numerose imprese americane, che in seguito della crisi
furono costrette a chiudere non solo le filiali nel paese straniero, ma a fermare la
produzione del prodotto. Nel contempo, se da un lato Stati Uniti e Europa hanno
subito un forte rallentamento nella crescita e nella disponibilità di capitale, altre
nazioni come Cina, sud Africa e America Latina, spinti da un costante sviluppo,
hanno iniziato ad investire nel sud est asiatico. In questo modo si è creato un
flusso di investimenti interno ai Paesi emergenti, sostenuto da un'economia in
crescita. Il nuovo triangolo economico permette ai mercati emergenti di
autofinanziarsi e di prendere il posto che prima avevano i Paesi industrializzati.
Un altro aspetto molto importante che i Paesi occidentali non dovrebbero
sottovalutare, è la salvaguardia dei mercati in via di sviluppo. Oggi una delle più
diffuse tendenze è quella di sovraccaricare di merci i mercati globali e soprattutto
quelli in crescita, creando stagnazione e costringendo le aziende a concorrere sui
prezzi. Quando un mercato è saturo e le aziende si fanno concorrenza sui prezzi,
irrimediabilmente molte di queste saranno costrette ad uscire dal mercato, a
causa dei ricavi insufficienti a coprire gli elevati costi sostenuti per concorrere.
I criteri che possono essere utilizzati per definire i mercati emergenti sono i
seguenti:
TABELLA 1: CRITERI UTILIZZATI PER DEFINIRE UN MERCATO
EMERGENTE
Categoria Criterio
Povertà • Basso/Medio livello di entrate
statali;
• Basso/Medio standard di vita;
• Bassa o non aggiornata
tecnologia. industriale
Mercato di capitali • Bassa capitalizzazione del
mercato paragonato al PIL
statale;
• Basso turnover aziendale;
• Elevati costi e difficoltà per
l'accesso ai capitali;
• Basso raiting finanziario.
Crescita potenziale • Mercato liberalizzato;
• Privatizzazioni governative;
• Apertura verso investimenti
stranieri;
• Recente crescita economica ed
industriale.
Fonte: Khanna e Palepu (2010)
I mercati emergenti hanno un grande ruolo nello sviluppo della crescita dei
consumi di prodotti, servizi e risorse al mondo. Questo è un aspetto importante
poiché diventano protagonisti e motori dello sviluppo economico globale. Nel
corso degli anni sono stati creati nuovi termini per definire i mercati emergenti,
acronimi che rappresentano i Paesi con un elevato tasso di crescita. La nozione
più utilizzata, coniata nel 2001, è quella di BRIC, Brasile, Russia, India e Cina;
considerati da qualche decennio nazioni emergenti a livello globale, per il fatto
che raccolgono circa il 50% della popolazione mondiale e si affacciano sul
mercato richiedendo sempre un maggiore numero di merci di consumo. In
seguito alla crisi del 2008, si sono scoperti nuovi mercati nei quali investire;
Paesi con grandi risorse economiche e lavorative sono stati sempre più attrattivi
per le multinazionali occidentali, in cerca di territori dove espandersi per
aumentare i propri profitti. Ai BRIC si sono aggiunti i BRICET (BRIC più
Europa dell'est e Turchia), i BRICS (BRIC più Sud Africa), BRICK (BRIC più
Corea). Queste nazioni non hanno obiettivi in comune, ma stanno tutte
concorrendo ad avere un ruolo dominante nella crescita economica globale.
Gli economisti, per valutare e riconoscere quali possano essere i mercati
emergenti, fanno ricorso ad un'analisi dell'evoluzione del PIL (Prodotto Interno
Lordo) di diversi Paesi.
TABELLA 2: EVOLUZIONE DEL PRODOTTO INTERNO LORDO DAL 2000
AL 2010
Nazione PIL 2000 PIL 2010 % PIL 2000 % PIL 2010 Crescita PIL
2000-2010
Cina 1,2 5,93 3,72% 9,39% 5,67%
Brasile 0,64 2,09 2,00% 3,31% 1,31%
India 0,46 1,73 1,43% 2,74% 1,31%
Russia 0,26 1,48 0,81% 2,34% 1,54%
BRIC 2,56 11,22 7,95% 17,78% 9,83%
USA 9,9 14,59 30,70% 23,11% -7,60%
Germania 1,89 3,28 5,85% 5,20% -0,65%
Italia 1,1 2,05 3,40% 3,25% 0,15%
Economie
Sviluppato
20,35 30,19 63,13% 47,82% -15,3%
Fonte: Dati dalla Banca Mondiale (2012)
Come è possibile notare, mentre le economie sviluppate hanno visto una
decrescita del PIL di circa il 15%, i BRIC sono cresciuti del 9.83% nel periodo
2000-2010. Inoltre, se da un lato i Paesi sviluppati come Germania e Stati Uniti
hanno risentito della crisi in maniera più forte, dall'altro lato Cina e Russia hanno
ottenuto dei risultati di modesta crescita. Secondo gli economisti Pacek (2007),
O'Neill (2010) e Agtmael (2007), il trend positivo delle economie emergenti si
manterrà al di sopra delle economie sviluppate per i prossimi trenta anni.
Quest'ultimo aspetto enfatizza il potenziale di investimento che i mercati
emergenti possiedono. La globalizzazione porta sempre più multinazionali a
vendere prodotti e servizi ai nuovi clienti che si affacciano sul mercato. Di
conseguenza molte aziende devono affrontare le differenze di business che
esistono tra i Paesi sviluppati e quelli emergenti, creando nuove strategie di
successo e mantenendo un'elevata flessibilità.
1.2 Il caso del sud est asiatico
Le nazioni del sud est asiatico si distinguono dagli altri Paesi emergenti per un
constante aumento del flusso degli investimenti provenienti dai Paesi occidentali.
Gli analisti ritengono che la principale ragione sia dovuta, prima di tutto, a
specifiche restrizioni nelle politiche commerciali verso determinati Paesi e, in
secondo luogo, a salde regolamentazioni sulle politiche finanziarie, sia interne
che esterne. Le restrizioni commerciali garantiscono una minore concorrenza tra
le imprese nel territorio e una maggiore possibilità di successo. In questa tesi i
Paesi sud-est asiatici che saranno presi in esame sono Singapore, Malesia,
Indonesia, Vietnam, Corea e Tailandia.
Negli ultimi venti anni, l'influenza dell'Asia nell'economia globale è aumentata
considerevolmente. In seguito alla crisi finanziaria mondiale, la crescita
economica dei Paesi asiatici ha seguito un trend totalmente opposto rispetto le
nazioni più industrializzate; infatti, lo sviluppo dell'oriente è rimasto a livelli pre-
crisi e in alcune circostanze, come per la regione del sud-est asiatico, sono stati
raggiunti livelli di maggiore sviluppo economico in grado di portare queste
nazioni a guidare l'intera economia planetaria. La recente crescita è stata
rinforzata da una costante domanda interna che riduce l'impatto negativo della
crisi. Ma, mentre le politiche monetarie e fiscali sono stabili, alcune
preoccupazioni sorgono per quanto riguarda il livello dell'inflazione, connesso ad
un aumento dei prezzi del cibo e delle risorse energetiche. Per sostenere la
crescita, nel futuro devono essere applicati alcuni accorgimenti. Prima di tutto,
dopo aver creato dei programmi di regolamentazione macroeconomica, si
dovrebbero rinforzare le attività strutturali della regione; si intende estendere le
attività economiche inter-regionali ed intra-regionali tra i Paesi del sud est
asiatico e creare in questo modo delle relazioni più salde. A livello
macroeconomico, si dovrebbero concordare le decisioni di politiche monetarie e
finanziarie, oltre che regolare il flusso di investimenti in entrata in modo equo tra
le diverse nazioni.
1.2.3 ASEAN: dalla crisi del 1997 all'ascesa degli anni recenti
L'associazione delle nazioni del sud-est asiatico è un'organizzazione politica ed
economica costituita da dieci nazioni situate nell'estremo oriente. Essa fu fondata
l'8 agosto 1967 da Indonesia, Malesia, Singapore, Filippine e Tailandia, con lo
scopo principale di promuovere la cooperazione e l'assistenza reciproca fra gli
stati membri. Negli anni successivi vennero inclusi Paesi come il Brunei (1984),
Vietnam (1995), Laos e Myanmar (1997) e Cambogia (1999), creando quelli che
sono oggi gli stati membri dell'ASEAN. Gli obiettivi di questa organizzazione
sono numerosi e tutti rivolti positivamente verso una maggiore stabilità. Primo
fra tutti, accelerare la crescita economica, il progresso sociale e culturale nelle
regioni, creando uno spirito di uguaglianza e di collaborazione. Promuovere la
pace e la stabilità tra le nazioni membri. Creare collaborazioni e reciproca
assistenza su materie economiche di comune interesse. Provvedere ad una rete di
assistenza sanitaria, professionale, amministrativa, tecnica ed educativa.
Collaborare in modo efficace per un migliore uso delle risorse agricole e
industriali. Infine, mantenere delle salde e benefiche relazioni di cooperazione
con le organizzazioni internazionali di altri Paesi, creando un mercato equo,
trasparente e in continua espansione. Il più importante risultato raggiunto
dall'ASEAN è stato quello di creare una forte identità comune al suo interno, che
anche oggi, ne garantisce l'esistenza e la prosperità.
Grafico: 1
Con queste premesse le nazione
dell'ASEAN si affacciarono sul
mercato globale, ottenendo
risultati economici superiori a
qualsiasi altra economia
mondiale. Per tre decenni, fino
al 1997, il sud-est asiatico aveva
mantenuto dei tassi di crescita
elevati, abbattendo la povertà e
alzando il reddito medio pro capite. Il “miracolo asiatico” era garantito da
politiche governative orientate al risparmio e da un'attenta ridistribuzione degli
investimenti su tutto il territorio. L' espansione economica era sostenuta dalla
facilità con cui il credito bancario veniva erogato e da bassi tassi di interesse, che
incoraggiavano gli investimenti in attività produttive. Tuttavia il settore
finanziario era deregolamentato e fragile. Senza restrizioni le banche
incoraggiavano investimenti interni ed esterni, sicuri che in caso di insolvenza
sarebbe intervenuto lo stato. Le imprese, seguendo questa logica, apparivano
eccessivamente indebitate ed esposte al rischio di volatilità nel breve termine.
Una qualsiasi variazione nel mercato regionale, avrebbe provocato una reazione a
catena di larga scala, colpendo tutti i settori produttivi.
Sul finire degli anni '90, il mercato dei capitali nella regione era piuttosto
sottosviluppato e il flusso di denaro proveniente dai Paesi stranieri veniva gestito
da intermediari finanziari e banche che avevano il controllo sui tassi di cambio
delle monete locali. Tuttavia le politiche di gestione finanziaria tenevano poco
conto delle valute di Paesi stranieri; in molti casi sia i prestatori di denaro che i
creditori non badavano a delle possibili fluttuazioni dei tassi di interesse. Queste
furono le premesse con le quali i Paesi dell'ASEAN affrontarono la crisi del
1997.
Principale fattore scatenante fu la svalutazione della moneta cinese Remnimbi e
dello Yen giapponese, che ebbe delle conseguenze gravi sui tassi di interesse. In
Tailandia, il paese coinvolto più duramente, oltre ad avere subito un calo dei
prezzi di vendita e quindi una diminuzione dei ricavi, fu attraversata da severe
speculazioni a livello finanziario, che portarono al collasso la moneta Bath nel
luglio del 1997. In un solo giorno, la moneta locale crollò del 13,5%, per
chiudere il mese giù del 23%.
L'economia tailandese fu attraversata da un elevato calo della competitività.
Molti investitori iniziarono a diminuire i flussi di denaro, sinonimo di una
riduzione della fiducia nel paese. Nei mesi seguenti ulteriori svalutazioni
monetarie e una caduta dei titoli azionari si espansero in un primo momento nelle
nazioni dell'ASEAN e successivamente in tutto il sud est asiatico. L'anno
successivo al collasso del Bath, le monete correnti dei diversi stati persero dal
35% al'83% del valore iniziale contro il dollaro statunitense, mentre i titoli in
borsa cedettero punti da un minimo del 40% al 60% del valore iniziale. I flussi di
crediti che venivano erogati dalle banche rallentarono, mentre i tassi di interesse
sui prestiti aumentarono considerevolmente. Il panico che si era diffuso tra i
depositari di titoli bancari, sfociò in una crisi di liquidità per le banche, che non
avendo abbastanza cash per soddisfare la domanda dei clienti furono costrette a
chiudere. Quelle aziende che rimanevano scoperte nel breve termine, a causa di
leverage elevati, già prima della crisi, si ritrovarono senza liquidità per far fronte
ai debiti e furono costrette a dichiarare bancarotta.
“...le istituzioni finanziarie del sud est asiatico avevano accumulato
un'eccessiva quantità di obbligazioni, che però non erano state trasformate
in moneta liquida, creando un elevata vulnerabilità nel breve termine. Un
interruzione nel flusso internazionale di denaro, si dimostrava in questo
modo decisiva tanto che lo stato non poteva intervenire con politiche di
risanamento.” (Radelet e Sachs, 1998)
Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) intervenne con un prestito per la
Tailandia di oltre 20 miliardi di dollari, nel tentativo di risanare il deficit
nazionale e ripristinare la fiducia nella moneta. Tuttavia i fondi versati erano visti
con sospetto e come un tentativo per aiutare le banche occidentali, che avevano
prestato denaro alle imprese locali, a risollevarsi dalla crisi. Una tesi ampiamente
dibattuta dall'economista americano Joseph Stiglitz.
“...L'FMI ha inutilmente esposto economie con alti tassi di risparmio alla
volatilità dei capitali esteri, nonché ha versato ingenti somme nelle casse
dei Paesi in difficoltà con l'unico scopo di rimborsare le banche creditrici
occidentali e causando ulteriori danni alle economie già in difficoltà.”
(Joseph Stiglitz, Verso un nuovo paradigma dell'economia monetaria,
2003, pp.315-316)
Al di la di queste indiscrezioni, il tentativo dell'FMI fu smorzato da continue
speculazioni e fughe di capitali. Oltre a misure finanziarie il governo tailandese
approvò misure strutturali come un aumento dei tassi di interesse, una riduzione
della spesa pubblica ed un aumento della pressione fiscale. Solamente nel 2001 la
Tailandia manifestò i primi segnali di ripresa e nel 2008 il Bath veniva scambiato
con un rapporto di 31 a 1 con il Dollaro.
TABELLA 3: PIL DEL SUD EST ASIATICO
Espresso in percentuale di crescita annua
1987-1996 1997-1999 2000-2006
Hong Kong 5,2 -0,8 4,7
Indonesia 7,1 -6,4 4,9
Corea 8,1 1 4,6
Malesia 9,5 -0,8 4,7
Filippine 3,6 1,4 4,6
Singapore 9,2 2,8 4,6
Taiwan 7,2 5,1 3,3
Tailandia 9,5 -3,3 5,1
Sud est asiatico 7,6 0 4,5
Fonte: IMF, CEIC, RBA
Le prospettive di crescita, negli anni immediatamente successivi alla crisi,
subirono forti rallentamenti. I costi per questa crisi furono molto elevati e le
speranze che venivano riposte nel sud est asiatico, lasciarono il posto a molte
incertezze. La dimensione finanziaria della crisi non riguardò solamente la
Tailandia, ma presto si diffuse in tutta la regione asiatica con pesanti
ripercussioni in termini di produttività e competitività. Escludendo Cina e
Giappone, il PIL calò di circa il 9% nella regione, in Indonesia del 15%. Secondo
le stime i prestiti insolventi (Non Performing Loans NPLs) in Indonesia ed in
Tailandia avevano raggiunto la metà dei prestiti sottoscritti. In seguito alla crisi,
molti economisti e analisti finanziari analizzarono la situazione, cercando di
scoprire quali furono le specifiche cause che portarono ad una delle più onerose
crisi finanziarie.
Un primo punto di debolezza delle nazioni asiatiche, fu quello di non avere delle
infrastrutture finanziarie abbastanza solide da reggere a delle variazioni del flusso
di capitali internazionali e a variazioni nelle politiche monetarie straniere. In
questi casi di fondamentale importanza è la flessibilità degli istituti di credito, in
modo tale da non mettere eccessivamente sotto intenso sforzo le risorse
disponibili, causando un'incontrollata fluttuazione dei tassi di interesse. Un
secondo punto di debolezza fu la scarsa capacità dei mercati asiatici di gestire la
crisi. I piani dei governi in termini di risoluzione delle emergenze tenevano poco
conto delle possibili esposizioni a fluttuazioni dei valori monetari.
TABELLA 4: PIL PRO CAPITE DEL SUD EST ASIATICO
Cambiamenti
percentuali in seguito
alla crisi del 1997
Anni necessari per la
ripresa
Hong Kong -6.4% 3
Indonesia -15,00% 7
Corea -7.5% 2
Malesia -9.5% 6
Filippine -2.7% 3
Singapore -4.6% 2
Tailandia -11.6% 5
Sud est asiatico -8.8% 3
Fonte: IMF, CEIC, Thomson Financial, ABS, RBA
In seguito alla crisi, le nazioni del sud est asiatico attuarono una serie di politiche
di prevenzione per evitare possibili crisi future. Prima di tutto, i Paesi cercarono
di auto-assicurarsi, creando una riserva monetaria in grado di far fronte a nuove
speculazioni. Nel caso in cui si fosse verificata una nuova crisi di liquidità, le
riserve monetarie sarebbero state in grado di soddisfare la domanda delle banche.
In secondo luogo furono fatti sforzi per cercare di aumentare la stabilità delle
istituzioni finanziarie, con piani di gestione delle crisi e regolamentazioni per un
intervento rapido e incisivo. Venne ridotta a burocrazia, attraverso la quale si
doveva passare per varare delle azioni immediate. Enfasi venne posta anche
sull'operato delle banche; furono assunti molti supervisori, che avevano il
compito di controllare le transazioni dirette soprattutto verso il settore privato. I
supervisori avevano il compito di fare ricerche sui sottoscriventi il prestito e
considerare le variabili di ricavo o di insolvenza.
La crisi economica asiatica fu molto costosa e portò a un nuovo modo di
concepire la regione, sia in Asia che in tutto il mondo. Le politiche appropriate
per gestire la crisi e il ruolo di enti nazionali e internazionali garantirono nel
medio periodo una ripresa costante. Se nei primi anni questa ripresa era garantita
da nuove regolamentazioni e spirito imprenditoriale del settore privato, negli anni
successivi si dimostrò una ripresa fondata sul flusso degli investimenti
proveniente dai Paesi più sviluppati. Questi ultimi, infatti, incoraggiati dalla
velocità delle riforme e dalla stabilità politica avevano ritrovato la fiducia per
investire in un settore industriale ed informatico in costante ascesa.
“Riteniamo che il futuro, sia da un punto di vista demografico che di risorse
tangibili e intangibili, appartenga all'ASEAN.” (Trinh Nguyen, 2013).
Secondo la Banca dello sviluppo asiatico, gran parte delle economie orientali
stanno ottenendo ottimi risultati, sia in termini di aumento della domanda di beni
interni, sia in termini di esportazioni. A testimonianza del fatto, il PIL dell'anno
2013 si è attestato attorno ad una crescita del 6.6%, rispetto al 6% dell'anno
precedente (Fonte dati, Banca Asiatica). In aggiunta, contemporaneamente alla
ripresa di alcune nazioni industrializzate dalla crisi mondiale, le nazioni del sud
est asiatico continuano ad attivare politiche volte a creare una maggiore
cooperazione e coordinazione tra le nazioni dell'ASEAN. Gli esperti di politiche
finanziarie cercano di creare regolamentazioni di breve termine che non abbiano
conseguenze su quelle di lungo termine, in questo modo l'obiettivo è quello di
creare più stabilità, sostenibilità e una maggiore integrazione nazionale delle
economie. Nonostante un cambio di direzione delle esportazioni asiatiche, dovute
ad una diminuzione della domanda soprattutto estera, nel 2011 gli scambi
interregionali si sono mantenuti al 56%. Questo fatto dimostra come le nazioni
del sud est asiatico si stiano trasformando in uno stato autosufficiente, capace di
autoregolarsi, di far circolare i capitali e di soddisfare la domanda interna con
l'offerta delle imprese locali. L'ASEAN costituisce circa il 15% dell'output
asiatico e circa il 25% del mercato orientale regionale. L'espansione dei
collegamenti tra i diversi mercati riflette l'importanza delle economie sud est
asiatiche nella scena globale.
TABELLA 5: CRESCITA ECONOMICA DEL SUD EST ASIATICO 2008-2014
2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014*
Indonesia 6 4,6 6,2 6,5 6,2 6,4 6,6
Malesia 4,8 -1,5 7,2 5,1 5,6 5,3 5,5
Singapore 1,7 -0,8 14,8 5,2 1,3 2,6 3,7
Laos 7,2 7,3 7,5 7,8 7,9 7,7 7,7
Vietnam 6,3 5,3 6,8 5,9 5 5,2 5,6
Cambogia 6,7 0,1 6 7,1 7,2 7,2 7,2
Tailandia 2,5 -2,3 7,8 0,1 6,4 4,9 5
Sud Est
Asia
4,4 1,4 7,9 4,7 5,5 5,4 5,7
*Previsione secondo la Banca dello sviluppo asiatico
Fonte: outlook ministero dello sviluppo asiatico, 22 aprile 2013
Dalla tabella riportata è comprensibile notare come le regioni meno soggette a
capitali e investimenti provenienti da Paesi industrializzati abbiano sentito in
modo minore gli effetti della crisi del 2008. Ad esempio Laos e Cambogia hanno
mantenuto dei tassi di crescita elevati per tutto l'arco temporale analizzato, infatti
l'FDI da parte dei mercati occidentali si è mantenuto basso fino ai primi segnali
di ripresa odierni. In questo modo le due regioni non hanno risentito del taglio
dei capitali operato dagli investitori in seguito ala crisi finanziaria.
Grande importanza, nella recente crescita dei Paesi sud est asiatici, è stata data
dagli accordi per un mercato libero (FTAs, Free Trade Agreements), che si
fondano su due principi; consolidamento, per creare un mercato privo di
restrizioni all'interno della regione e multi-lateralizzazione, per garantire
preferenze non discriminatorie da parte dei Paesi non membri e per eliminare
eccessive discrepanze tra le nazioni stipulanti l'accordo. La linea di principio che
si vuole seguire è quella di intensificare l'integrazione all'interno dell'ASEAN.
L'obiettivo per il 2015 è quello di creare un ASEAN economic community (AEC)
che punti a promuovere un flusso di prodotti e servizi a bassa tassazione,
investimenti e un istruzione professionale per la forza lavoro. Realizzare una tale
integrazione economica potenzierebbe i ricavi e il benessere delle regioni.
Nazione promotrice di tale integrazione è la Tailandia, che ha vissuto dal 2011 al
2012 una crescita del PIL dallo 0.1% al 6.4%; oggi è considerata, assieme alla
Malesia, una nazione a medio-alto reddito.
1.3 Le politiche monetarie della FED: una minaccia per i mercati emergenti
La Banca Centrale degli Stati Uniti, in risposta alla crisi del 2008 aveva attivato
una serie di politiche monetarie convenzionali e non, con lo scopo di sostenere
un'elevata liquidità nel sistema finanziario e spingere, al più presto possibile i
mercati mondiali fuori dalla recessione. Il quantitative easing (QE) ha avuto
l'obiettivo di contenere il livello dei tassi governativi a lungo termine. Attraverso
operazioni di mercato aperto, come l'acquisto di attività finanziarie, tra cui molti
titoli tossici derivanti dalla bolla speculativa sui sub-prime, la banca centrale
rilasciò gradualmente sul mercato elevati quantitativi di liquidità cercando di
arginare le passività di aziende e istituti bancari. Da marzo 2009, attraverso
diverse operazioni di QE, vennero immessi nel circuito finanziario circa 2000
miliardi di dollari, derivanti dall'acquisto di titoli di stato. Nonostante alcuni
segnali di ripresa dell'economia americana nel 2010, l'allora presidente Ben
Bernanke decise di mantenere una linea sicura per garantire solide basi alla tanto
attesa recovery. L'ultima operazione, denominata QE3 avvenne nel dicembre
2012, quando il Federal Open Market Committee (FOMC) annunciò degli
acquisti mensili di 85 milioni di dollari ogni mese, per garantire una sufficiente
liquidità e diminuire il rischio di default. Un rischio di una tale politica espansiva
è quello di un deprezzamento del tasso di scambio della moneta locale, in questo
caso il dollaro. Si calcola che solamente dopo l'annuncio del CEO della FED, di
attivare un ciclo di QE, la moneta statunitense abbia perso circa il 7% del valore
iniziale rispetto ad un ampio paniere di valute. A spingere questo trend sono stati
anche coloro che scommettendo contro il dollaro hanno attivato una serie di
speculazioni. Come precedentemente descritto, le politiche di QE permettono nel
lungo periodo di mantenere dei bassi tassi di interesse, che possono incentivare il
flusso in uscita di capitali verso altri Paesi; ma tali politiche possono
contemporaneamente ridurre la domanda estera di moneta locale, in quanto
deprezzata. Coloro che possono in primis beneficiare del QE sono gli esportatori
che vivono nella nazione che applica tale operazione non convenzionale e allo
stesso modo i debitori, che grazie ad una diminuzione del tasso di interesse sui
prestiti devono meno denaro agli istituti bancari, grazie al meccanismo
dell'inflazione. L'economista e direttore de International Business at the India,
China & American Institute Dan Steinbock, ha definito il quantitative easing
come una hot money trap. Secondo il ricercatore, la reazione dei mercati
emergenti fu quella di incrementare i tassi di interesse sui depositi e sui prestiti,
per prevenire una minaccia di inflazione o bolle speculative. In particola modo la
Cina passò da un 2.5% ad un 5.56%. In occidente la prima reazione fu quella di
sell-off nei mercati, ossia una vendita di titoli in previsione di quotazioni al
ribasso. La trappola della liquidità tuttavia non intaccò la crescita delle economie
del sud est asiatico, meno coinvolte direttamente con gli Stati Uniti. In queste
regioni si osservò un aumento dei capitali provenienti dai Paesi occidentali,
incentivati da un basso costo dei prestiti e da un dollaro sufficientemente potente
rispetto le valute locali. Con la politica di QE gli Stati Uniti, dal 2009 al 2013,
hanno beneficiato di una debole, ma costante ripresa, ad esclusione del tasso di
disoccupazione stabile al 6.5%. Una ripresa che ha favorito un aumento dei FDI
verso le economie emergenti, trasportandole verso il successo economico.
Il miglioramento dello stato macroeconomico statunitense ha portato nel 2013 ad
una serie di dibattiti su quanto fosse necessario continuare o ridurre il QE. Uno
dei rischi derivanti dal ricorso di politiche monetarie non convenzionali nel lungo
periodo è quello di disincentivare l'attuazione di riforme strutturali necessarie a
stimolare la crescita nel medio-lungo termine. La liquidità rilasciata nel sistema,
infatti, crea dipendenza per le imprese e per le banche, che possono in questo
modo ottenere denaro molto più facilmente rispetto all'assenza di politiche di QE.
In relazione ai presenti rischi, nel maggio 2013, il presidente della FED Ben
Bernanke annunciò l'intenzione della banca centrale americana di ridurre
gradualmente le operazioni di QE sul mercato, attivando la politica del tapering.
Nella conferenza stampa svoltasi nel dicembre 2013, fu confermata l'intenzione
di ridurre gli stimoli monetari attraverso i quali ogni mese la FED rilasciava
liquidità sul mercato. Un primo rallentamento negli acquisti di prodotti finanziari
vide il passaggio da $85 a $75 milioni. Lo stesso taglio di $10 milioni venne
applicato nei mesi successivi, raggiungendo la soglia di $65 milioni. Con il
cambio del CEO della FED, la politica di tapering non è cambiata; a giugno
2014, l'amministratore delegato Janet Yellen ha progressivamente ridotto gli
acquisti della banca centrale statunitense a $45 milioni al mese. Per scongiurare
dei contraccolpi eccessivi nel mercato e per evitare che il tapering fosse visto
come una politica monetaria eccessivamente restrittiva, fu adottata una mix-
forward guidance, limitando l'incertezza sui mercati. Un mix di strumenti che
operavano in direzioni opposte; infatti, se da un lato veniva diminuita
l'immissione di liquidità nel sistema con il tapering, dall'altro venivano garantiti
dei tassi di interesse bassi fino a quando non si sarebbero raggiunti gli obiettivi
occupazionali prefissati. Le prime reazioni dei mercati emergenti non furono
positive. La possibile idea di limitare l'immissione di denaro liquido e un futuro
aumento dei tassi di interesse, aveva spaventato soprattutto quei Paesi con un alto
indebitamento verso gli Stati Uniti. Inoltre, per quelle regioni che avevano
accolto la fuga di capitali, in seguito alla crisi del 2008, si stava avverando la
tendenza inversa. Gli investitori, confortati dalla fiducia che la FED garantiva al
mercato americano in lieve crescita e preoccupati per un eccessivo indebitamento
dei mercati emergenti, iniziarono a spostare i capitali nuovamente nei Paesi
industrializzati. Un deflusso di capitali, a seguito di un'inversione della politica
monetaria statunitense, ha gravato non indifferentemente sulle condizioni
finanziarie locali e ha anche portato ad un deprezzamento delle valute.
GRAFICO 2:
SCOMPOSIZIONE DEI FLUSSI NETTI DI PORTAFOGLIO
In miliardi di dollari
Fonte: elaborazione SACE su dati FMI, WEO ottobre 2013
Come è possibile notare dal grafico, durante l'attuazione delle politiche di QE i
flussi di capitali, sia in titoli di stato che in equity si sono mantenuti a livelli
discretamente elevati. Nel maggio 2013, l'annuncio del tapering ha creato delle
profonde perplessità e un deflusso degli investimenti, nuovamente verso i Paesi
sviluppati. Un side effect prevedibile, dal momento che la FED comprerà sempre
meno prodotti finanziari e di conseguenza rilascerà una minore quantità di
liquidità circolante. Gli investitori, temendo un possibile aumento dei tassi di
interesse preferiscono avere una riserva di capitale, richiamando quindi
dall'estero i propri assets.
In vista di ampi deflussi di investimenti, le banche centrali asiatiche, per arginare
il ribasso delle proprie valute hanno fatto ricorso a strumenti di mercato, come
l'aumento dei tassi ufficiali e operazioni sul fronte dei cambi. A differenza della
crisi asiatica del 1997, oggi i tassi di cambio non sono più fissi e risulta meno
complesso gestire la volatilità dei mercati finanziari. Nel sud est asiatico, oltre
all'India, l'Indonesia ha registrato un marcato peggioramento nel cambio con il
dollaro. Inoltre, la presenza di partite correnti negative e deficit fiscali in
aumento hanno causato squilibri strutturali interno non indifferenti. Nonostante
alcune incertezze sul mercato, causate da un possibile ritiro del QE, le nazioni
dell'ASEAN si dimostrano più solide rispetto a quando furono colpite dalla crisi
del 1997. Oggi presentano dei tassi di crescita elevati, dei debiti in valuta locale
con una struttura a lungo termine, partite correnti con saldi migliori, tassi di
cambio flessibili e non fissi e ingenti riserve valutarie che aiuterebbero a
controbilanciare il deflusso dei capitali. Ciò che gli analisti finanziari si
domandano è quanto possa durare la fuga di capitali dai Paesi emergenti in
seguito al tapering e se questa sia una stagione o solamente una pausa di
riflessione per i mercati emergenti.
“In conclusione, permangono dei problemi, principalmente in India e in
misura minore in Indonesia, ma i recenti deflussi di capitali riflettono
principalmente il nervosismo nei confronti di un rallentamento del
quantitative easing, piuttosto che problemi strutturali nella regione. I
fondamentali restano solidi e i recenti timori risultano essere eccessivi. La
regione dell'ASEAN rimane, nel complesso, lontana dagli eccessi che
portarono alla crisi del 1997.” (Cfr. DBS Group Research, 2013,
Economics Markets Strategy 4Q 2013, 12 settembre 2013, pag.6)
In conclusione il tapering ha avuto inizialmente degli effetti negativi soprattutto
sui flussi di capitali che gli investitori inviavano verso i Paesi emergenti. Nel
caso del sud est asiatico, grazie alla capacità di autoregolarsi e di autofinanziarsi,
alcune regioni dell'ASEAN hanno risentito in modo minore gli effetti di questa
politica non convenzionale. Tuttavia i capitali dei Paesi industrializzati
rimangono una risorsa di primaria importanza per quelle regioni che ne
necessitano. Attraverso i capitali si possono finanziare opere pubbliche e
soprattutto, attraverso l'apertura di filiali o imprese, si può dare lavoro a migliaia
di persone, aumentando il tenore di vita della popolazione locale.
1.4 Dai BRICs ai MINT
La globalizzazione e l'espansione dei mercati finanziari sono fenomeni che si
sono evoluti in tutto il mondo in modo non omogeneo. Prima delle guerre
mondiali il punto di riferimento era l'Europa, con l'Inghilterra che poteva contare
su un impero di colonie che garantivano l'approvvigionamento delle materie
prime e dei mercati di sbocco ai quali vendere prodotti finiti. Alla fine della
seconda guerra mondiale, furono gli Stati Uniti ad uscirne rinforzati. Il “sogno
americano”, possedere una casa, un lavoro e un auto, era l'emblema del
capitalismo moderno. Negli anni '60 si sviluppò una nuova mentalità economica
di tipo imperialista. Molti investitori, spinti dalla fiducia post bellica e dai
continui guadagni derivanti dalla ripresa, cercarono nuovi mercati finanziari dove
poter investire e avere dei ritorni economici elevati. Con l'abbattimento del muro
di Berlino, infine, il mondo occidentale, con i suoi prodotti e la sua cultura, si
affacciò sul mercato orientale. La fine della guerra fredda aveva permesso una
maggiore unificazione del commercio mondiale, abbattendo le barriere culturali e
permettendo ai mercati emergenti di acquistare fama. Il flusso di capitali,
proveniente dai Paesi industrializzati era libero di circolare in tutto il mondo; una
tendenza che si accentuò sempre di più con l'avvento del web e dell'elettronica.
Principale destinazione dei flussi finanziari erano quei Paesi che possedevano
delle materie prime in grado di soddisfare la domanda dei Paesi industrializzati.
Nel 2001, un gruppo di economisti della Goldman Sachs guidati da Jim O'Neill,
iniziarono uno studio sui mercati emergenti che, secondo le ultime statistiche e
stime economiche, erano i più propensi ad una rapida crescita. I BRICS Brasile,
Russia, India, Cina e dal 2010 sud Africa diventarono nel corso di pochi anni un
vero e proprio punto di riferimento per i mercati emergenti. I cinque Paesi
formano un aggregato geo-economico pronto a competere sulla scena mondiale
con le economie sviluppate, gravemente indebolite dalla crisi finanziaria. I Paesi
che compongono i BRICS sono accomunati da alcune caratteristiche tipiche di
un'economia in via di sviluppo: una popolazione numerosa, un ampio territorio,
abbondanti risorse naturali strategiche e una forte crescita del PIL paragonato alla
quota del commercio globale. Oggi i Paesi dei BRICS comprendono il 42% della
popolazione mondiale, il 25% dell'estensione totale terrestre, il 20% del PIL
mondiale e il 16% del commercio internazionale. La struttura portante dei
BRICS fu inizialmente costituita da Russia, India e Cina. Tuttavia il limitato
raggio d'azione non permetteva all'alleanza di competere sulla scena globale e di
espandere la propria influenza e attrattiva, soprattutto in riferimento a Stati Uniti
ed Europa. Si pensò, quindi, di aggregare altre potenze che agli inizi degli anni
2000 davano qualche segno di sviluppo positivo. Il primo paese ad essere
coinvolto fu il Brasile, che costituiva la maggior potenza economica dell'America
meridionale e la quarta economia emergente a livello mondiale. Nel 2010, in
seguito ad un summit e su pressioni della Cina, fu coinvolto anche il sud Africa,
un paese caratterizzato da una forte crescita economica e da un costante flusso di
investimenti proveniente soprattutto dall'Europa. Nonostante i BRICS vengano
rappresentati come Paesi dalle caratteristiche omogenee, esistono alcune
particolarità proprie ad ogni paese. La Cina, ad esempio, si è dimostrata essere la
testa dei BRICS, con un PIL pari al 55%, un commercio estero del 65% e una
produzione di energia del 50% rispetto agli altri Paesi componenti il gruppo. Non
vanno inoltre sottovalutati alcuni fattori di tensione che potrebbero minare la
solidità interna ai BRICS. In India, ad esempio, gli scandali di corruzione
potrebbero avere delle ripercussioni politiche, andando a minale la stabilità del
paese e quindi la possibile fiducia degli investitori. Il processo tecnologico in
Russia è rallentato da una élite politica restia a tecnologie che potrebbero
provenire dal mondo occidentale industrializzato. La Cina è minacciata da una
continua crescita del divario tra ricchi e poveri. Il Brasile infine è costantemente
afflitto da campi repentini di governo e da riforme strutturali che non vengono
messe in atto, causando rabbia e scontri civili.
Il principale avvenimento che ha sconvolto l'evoluzione dei BRICS è stata la crisi
finanziaria scoppiata nel settembre 2008. Nonostante i livelli di crescita
promettenti, la diminuzione dei flussi di capitale provenienti dai Paesi sviluppate
causò un duro rallentamento.
Grafico: 3
In seguito alla crisi finanziaria del 2008, la produttività dei Paesi industrializzati
è calata, così come sono diminuiti i flussi di investimento verso le economie
emergenti. Come riportato dal grafico Stati Uniti e Gran Bretagna sono stati, tra i
Paesi presi in esame, i più colpiti in una calo del PIL annuo fino al -5% negli anni
2009-2010, con dei deboli segnali di ripresa negli anni successivi. A seguito delle
perdite dei Paesi sviluppati hanno seguito anche delle perdite per i Paesi dei
BRICS. Alcuni come Cina e India non hanno subito dei cali eccessivi. La Cina
allo scoppiare della crisi, poteva già contare su di un economia basata sulla
produzione intensiva di merci e beni che avevano, se non in occidente, in oriente
un mercato di sbocco dove poter vendere i prodotti. Il calo del PIL di circa il 4%
fu causato essenzialmente da quelle imprese occidentali che, non avendo retto il
crollo finanziario e quindi una diminuzione dei propri capitali furono costrette a
disinvestire e a chiudere le filiali estere. Caso simile, fu quello dell'India, ma al
contrario della Cina, allo scoppiare della crisi finanziaria non aveva ancora
ottenuto il successo che ha oggi. La fiducia degli investitori era ancora bassa e
quindi gli investimenti occidentali si mantenevano a livelli medio-bassi,
diminuendo quindi la dipendenza dalle nazioni sviluppate. Nonostante oggi,
secondo le ultime stime, il PIL rimanga su uno stabile +5%, l'India sarà destinata
nel 2020 a diventare la più rapida economia in crescita. Una minore dipendenza
si dimostrò proficua, causando analogamente come la Cina una diminuzione del
PIL di circa il 4-5%. Brasile e Russia, invece, furono le nazioni dei BRICS ad
essere più colpite durante la crisi, con una perdita del PIL negli anni 2009-2010
pari al -5% e -10% rispettivamente. Causa di questo drastico rallentamento nelle
stime della crescita sono dovute prima di tutto alla dipendenza di questi due Paesi
dai Paesi sviluppati. La Russia in particolare fu presa di mira da speculazioni
soprattutto in campo di disponibilità di risorse, come gas ed energia. Il Brasile,
invece, fu coinvolto, oltre che da una diminuzione del FDI da una crisi politica,
che portando il paese ad una minore stabilità, allontanò molti investitori.
Quello che più di tutto ha stupito gli analisti finanziari è stata la lenta ripresa dei
BRICS. In seguito alla crisi ci si aspettava una recovery, così definita dagli
americani, che avrebbe portato questi Paesi in via di sviluppo ad avere
nuovamente il ruolo di locomotiva dell'economia. Nel 2013 il Fondo Monetario
Internazionale (FMI), tagliò le stime di crescita del PIL cinese, dal 8.2% al
7.75%, un risultato che, seppure maggiore di molte economie sviluppate, inizia a
creare alcune preoccupazioni. Se la crescita cinese rallenta, una delle prime cause
potrebbe essere un aumento del debito pubblico, stimato attorno al 50% del PIL.
Anche le stime indiane sono riviste al ribasso. Mentre nel 2010-2011 il PIL
prometteva una crescita di quasi il 9%, oggi è stabile attorno al 5-6%, a causa di
forti inefficienze interne, imputabili soprattutto ad una normativa complessa e da
un fisco molto pesante. Il Brasile dal 2012 ha iniziato una campagna di aumento
dei tassi di interesse per contrastare l'inflazione al 6.46% del 2013, una campagna
totalmente differente rispetto quella messa in atto dalle banche centrali di tutto il
pianeta. Per quest'anno si potrebbe prevedere un ulteriore aumento dei tassi da
parte della banca centrale brasiliana, che dal'8% potrebbe arrivare al'8.5%. Allo
stesso tempo l'economia del Brasile ristagna, con una crescita del PIL solo dello
0.6%, portando ad un prodotto interno lordo totale del 3.5%. La Russia infine è
stata colpita negativamente soprattutto dai recenti interventi in Ucraina e Crimea.
La paura di una possibile guerra e di un congelamento delle relazioni
diplomatiche con gli Stati Uniti, hanno portato in un solo giorno il titolo RTS di
mosca ad un -10%.
Questa serie di eventi e la paura di un nuovo rallentamento dell'economia
globale, causato questa volta dai paese emergenti ha portato gli investitori
all'esplorazione di nuovi Paesi, che nonostante la crisi mondiale in atto, hanno
subito dei contraccolpi più leggeri. L'attrazione dei capitali, inoltre, non dipende
solamente dalle condizioni economiche favorevoli, ma anche dalla stabilità
politica. Un governo solido permette di varare leggi e riforme che possano
tutelare il mercato e gli stockholder, garantendo un flusso di denaro in grado di
finanziare nuove opere economiche in un paese. Recentemente si è parlato di
MINT. L'economista britannico Jim O'Neill, che già aveva coniato l'acronimo
BRICS sostiene che nonostante le ultime titubanze, i mercati emergenti
continueranno a guidare l'economia globale. Le nuove economie esordienti
hanno in comune delle favorevoli dinamiche demografiche e prospettive di
crescita elevate. In aggiunta, come i BRICS, possono contare su un costo del
lavoro più basso rispetto agli standard europei e statunitensi. Nell'aprile 2014,
O'Neill ha stilato una lista di quelli che si stanno dimostrando i nuovi giganti
dell'economia, Messico, India, Nigeria e Turchia.
“Ho trascorso alcuni giorni in Indonesia per la realizzazione di una serie di
documentari per la BBC Radio sulle quattro economie emergenti non
appartenenti al gruppo BRICS. Queste ultime sono state già seguite
da vicino con un certo interesse. Il gruppo che invece sto studiando in
questo momento non merita certamente meno attenzione. Messico,
Indonesia, Nigeria e Turchia hanno avuto uno sviluppo demografico
considerevole negli ultimi vent’anni e le loro prospettive economiche sono
molto favorevoli.” (Cit. Jim O'Neill, Pan Kwan Yuk, Financial Times, 14
Novembre 2013)
La tesi dell'economista viene spiegata attraverso un grafico FMI e EDYMAR
PROJECTIONS che segue, sui futuri mercati nel 2050.
TABELLA 6: PROIEZIONE DEL PRODOTTO INTERNO LORDO GLOBALE
Tra i primi dieci Paesi nel 2050, sei sono considerati economie emergenti, tra cui
Messico ed Indonesia. Attualmente il flusso di investimenti che viene diretto
verso i MINT è pari al 10% di quello che viene diretto verso i BRICS. Tra i nuovi
mercati emergenti, quello che attira di più l'attenzione degli investitori è
l'Indonesia. Nel luglio 2014 si verificheranno le elezioni presidenziali, come in
molti Paesi asiatici, che potranno causare una tornata positiva di ottimismo e di
capitali. Una possibile soluzione alla lama del tapering statunitense. La stabilità
politica potrebbe garantire un piano di investimenti nuovo e consolidare i risultati
economici attesi, con un PIL in crescita del 6%.
Accanto però a queste previsioni ottimistiche, alcuni analisti finanziari ritengono
che nel lungo termine i Paesi emergenti, appena citati, potrebbero subire dei
rallentamenti. Il fenomeno del re-shoring segnerebbe il ritorno della produzione,
soprattutto manifatturiera, dai Paesi con bassi costi di manodopera, ai Paesi
industrializzati. Una previsione quasi reale se si tiene conto dello stato di
recovery odierno degli Stati Uniti. Le cause di una tale migrazione produttiva
sono prima di tutto, il costo della manodopera che sta costantemente salendo nei
Paesi emergenti come la Cina, i prezzi dell'energia in continuo aumento e una
tasso di produttività piuttosto basso rispetto al numero degli impiegati.
Tra i Paesi che compongono l'acronimo MINT, l'Indonesia si è recentemente
mostrata come la nazione più promettente dell'ASEAN. L'aumento dei consumi e
un proficuo scambio interregionale con le altre nazioni sud est asiatiche sono la
premessa per il successo del paese. Nel 2011 il PIL indonesiano si è attestato
attorno ai US$ 847,4 miliardi, rispetto ai US$ 713,7 miliardi del 2010 con un
conseguente incremento del 15.6% (Dati, Banca Mondiale, 2013). Tuttavia i
mercati sviluppati non possono prescindere solamente dai segnali positivi emessi
da queste nuove economie. Secondo i dati dell'ADO (Asian Development
Outlook) i prezzi ai consumatori sono destinati a salire da un 4% nel 2013 a un
4.2% nel 2014, contro le previsioni del 2013 del 3.7%. Un'inflazione che per il
momento rimane nella norma, ma deve essere costantemente monitorata. Stati
Uniti, Europa e Giappone devono creare delle regolamentazioni per garantire una
crescita sana. Alcune leggi in materia, hanno limitato l'accesso di capitali
provenienti dall'occidente per evitare una possibile bolla finanziaria.
Contemporaneamente anche all'interno dell'ASEAN sono state prese delle
precauzioni in termine di politiche fiscali e politiche governative.
Una nazione giovane, che si affaccia al futuro con una classe media numerosa e
ricercatrice di prodotti alla moda che ha subito un sensibile miglioramento nel
reddito pro-capite, passando da US$ 2,981 nel 2010 ai US$ 3.509 nel 2011, con
un incremento del 17.7% (Dati, Banca Mondiale, 2013). Secondo i dati della
Banca Mondiale, l'espansione del ceto medio indonesiano è stata pari a 61.73%
nel periodo 2003-2010, con un passaggio da 81 milioni a 131 milioni di
individui.
Una nuova sfida per i mercati mondiali, che assistono all'accesso di una nuova
potenza economica. Una nuova sfida anche per il nostro Made in Italy.
Capitolo 2
La gestione d'impresa nel sud-est asiatico
Il seguente capitolo si pone l'obbiettivo di analizzare nel dettaglio quali possano
essere i punti di forza e i fattori in grado di attrarre investimenti ed imprese nei
mercati emergenti del sud-est asiatico. Investitori ed imprenditori hanno
l'obiettivo di massimizzare il profitto e creare relazioni durature nel tempo, in
modo tale da generare un guadagno non solo di breve, ma anche di lungo
periodo. Di conseguenza, se il primo passo è quello di attrarre investimenti, il
secondo passo consiste nel creare una sostenibilità finanziaria tale da garantire la
sopravvivenza di nuove start-up aziendali. Le componenti che sono in grado di
promuovere strategie positive per le multinazionali variano dalle relazioni con il
governo, con i consumatori, con i fornitori, con la comunità, alla capacità degli
imprenditori di adottare tutte le leve del marketing mix. Inoltre, nel caso dei
mercati emergenti, sono da considerare due importanti elementi; questi sono il
livello di povertà e la distribuzione del reddito.
I mercati del sud-est asiatico, negli ultimi anni, sono diventati, metaforicamente
parlando, un “regno del Sol nascente” per gli investimenti. Con la crisi del 2008,
e il successivo periodo di austerity, negativamente accolto dalla maggioranza
degli investitori e, in modo particolare, dalla loro fiducia, l'IMF (International
Monetary Fund), ha registrato un aumento nella curva della quantità di denaro
destinata ai Paesi emergenti situati ai confini dell'oriente. Il sud-est asiatico, in
particolare Indonesia, Malesia e Thailandia sono diventati mercati molto attraenti
per attività finanziarie e di business da parte di multinazionali occidentali.
“...Superata la crisi del 1997, le nazioni dell'ASEAN si sono affacciate sul
mercato mondiale come nuove frontiere da conquistare.”
(Christine Lagarde, managing director of the IFM, discorso del 7/07/2014)
Una prospettiva, che permetterebbe a queste nazioni di integrarsi in modo
permanente nel mercato economico e finanziario globale è costituita dalla fiducia
che i trader mondiali ripongono nella stabilità dei governi e nei continui
miglioramenti delle infrastrutture locali.
A titolo esplicativo, secondo una ricerca di Frost & Sullivan (2013), l'aera sud
orientale dell'Asia, della quale fanno parte Indonesia, Malesia, Thailandia,
Singapore, Vietnam, Brunei, Myanmar, Cambogia e Laos, dovrebbe diventare
entro il 2018 il sesto mercato automobilistico nel mondo. Mentre in Europa e
negli Stati Uniti questo settore ha riscontrato notevoli rallentamenti, causati
anche da un aumento del carburante, la possibilità di esportare il prodotto
automobile in mercati nuovi e in via di sviluppo rappresenta una notevole
occasione di profitto. Secondo le stime si dovrebbe passare da 2,4 milioni di
unità/anno a circa 4,7 nel 2018.
“...Le opportunità di investimento sono interessanti. Grazie alla vastità
numerica del mercato (605 milioni di persone con un tasso di
motorizzazione pari a 50 auto ogni 1000 abitanti) ed un tasso di
crescita annuale del 10,1% nel periodo 2011-2018.”
(Frost and Sullivan, Annual marketing priorities suvey result 2011)
Nello studio, si sottolinea in particolare di come Thailandia e Indonesia
dovrebbero recitare un ruolo principale in questo sviluppo, favorite dagli ingenti
investimenti provenienti dalle case automobilistiche cinesi e giapponesi.
Ulteriore passo compiuto in questa sezione dell'operato è un'indagine sui
principali costi che un impresa deve sostenere se ha intenzione di investire
nell'area economica dell'ASEAN. Verrà proposta una case study su un'azienda
italiana che ha ottenuto successo e continua a generare profitto nella regione che
presenta un mercato in crescita e pronto ad accogliere l'offerta di imprese e
investitori.
2.1 Analisi di mercato
L'analisi macroeconomica del mercato è una prima e fondamentale azione da
compiere per valutare l'ambiente in cui si andrà ad operare. Attraverso questo
strumento, imprenditori ed investitori possono ricavare utili dettagli legati ai
fattori chiave che potrebbero influenzare il loro business. I dati raccolti
serviranno poi a progettare delle strategie che saranno efficaci se porteranno a
risultati competitivi, economici e sociali positivi. In questo paragrafo, l'analisi
macroeconomica del mercato sarà effettuata considerando gli aspetti che, in
prima istanza, sono in grado di attrarre investimenti. Mi servirò, nelle seguenti
pagine, di due tipi di strumenti utilizzati per la valutazione economica delle
nazioni situate nel sud-est asiatico.
Il primo è quello condotto dal Business Innovation Observatory (2011); secondo
il quale, fine principale di un simile studio è quello di costruire scenari di medio-
lungo termine in grado di orientare i movimenti più ampi dei mercati. Le
principali variabili osservate sono due:
1 Indicatori di crescita economica:
-PIL;
-Produzione industriale;
-Consumi;
-Investimenti;
-Variazione delle scorte;
-Scambi con l'estero;
-Disoccupazione;
2 Indicatori monetari:
-Inflazione
-Tassi di interesse.
-Livello di tassazione
-Barriere all'ingresso
Oltre a questi due tipi di indicatori, si aggiungono variabili proprie dei mercati in
via di sviluppo. Nell'analizzare le nazioni del sud-est asiatico, secondo The
European Commission's Directorate General for Enterprise and Industry (2008),
non bisogna sottovalutare la stabilità politica, il livello delle infrastrutture e la
rete di comunicazione.
“...Oggi internet costituisce il primo mezzo di comunicazione di massa e
saperlo sfruttare al meglio può fare la differenza tra un business model
di successo e uno scadente.”
(Warren Buffett in Janet M. Tavakoli, dear Mr. Buffett: what an investor
learns 1,269 miles from Wall Street, John Wiley and Sons, 2008)
Un secondo tipo di analisi, consiste nello studio dell'indice MSCI Global Equity
Indexes, che rappresenta oltre 650 fondi di investimento coprendo 75 Paesi
sviluppati, emergenti e in via di sviluppo. Questo tipo di studio permette una
comparazione tra i vari mercati, settori o segmenti per dare una visione globale e
indirizzare i traders al migliore business.
“...I mercati del sud-est asiatico stanno diventando affollati di investitori,
con valutazioni in certi casi davvero elevate.”
(Stefano Testori, Non solo Cina, Norisk, analisi ETF views)
Analisi di mercato secondo i criteri economici e monetari
Di seguito vengono riportate delle schede economiche di Malesia, Indonesia e
Thailandia analizzate con il criterio degli indicatori economici e monetari.
L'analisi di mercato è stata effettuata da The world bank, che nel 2013 ha
considerato queste tre nazione come le più propense ad attrarre investimenti, con
tassi di crescita sostenuti.
Malesia
La Malesia si affaccia sul mercato mondiale come una potenza di media
grandezza. Nonostante il PIL si collochi al decimo posto tra i Paesi dell'Asia,
dopo Cina ed India, la nazione è al quarto posto tra i nuovi Paesi industrializzati
del pianeta.
“Negli ultimi 30 anni la Malesia ha conosciuto un fortissimo sviluppo
economico divenendo uno dei Paesi più ricchi del sud-est asiatico, non più
dipendente soltanto dalla produzione ed esportazione di materie prime. Se
da una parte la Malesia mantiene il primato mondiale nella produzione di
caucciù e di stagno, dall’altra è diventata leader mondiale nella produzione
di componenti elettronici e primo Paese del sud-est asiatico per
l’assemblaggio e l’esportazione di autoveicoli.” (RBS, Trend and Trading,
Malesia, l'economia ruggisce ma preoccupa la debolezza della valuta,
martedì 4 febbraio 2014)
TABELLA 7: DATI MACROECONOMICI DELLA MALESIA
2005 2008 2010 2013
PIL – tasso di
crescita %
5,30% 5,00% 5,20% 5,60%
PIL – mld
USD
202,3 247,5 289,3 312,4
PIL pro
capite USD
5270 7278 8754 10514
Tasso di
inflazione
annuo %
(CPI)
3,00% 5,40% 1,70% 3,20%
Tasso di
disoccupazion
e (%della
forza lavoro)
3,50% 3,70% 3,10% 3,10%
Debito
pubblico (%
del PIL)
52,40% 53,50% 54,70% 53,00%
Dati: The World Bank 2013
A testimoniare una tale posizione è la moderata, ma costante crescita percentuale
del prodotto interno lordo. Nonostante un rallentamento, verificatosi in
coincidenza alla recessione globale (il PIL malesiano subì una contrazione del
1,7%), si è passati da 247 a 312 miliardi di dollari in soli cinque anni. Una
crescita economica che è andata a beneficio di tutti i vari ceti sociali evitando in
parte che l'incremento del reddito medio fosse accompagnato da un aumento del
divario fra le varie classi sociali. Nel 1970, in coincidenza con la trasformazione
da paese produttore di materie prime a economia emergente multi-settoriale, il
governo decise di emanare dei decreti legge in grado di garantire un' equa
distribuzione di capitale a tutte le regioni della nazione. Il settore privato
continuerà a trainare l'economia, con una previsione d'aumento del 6,6%, una
crescita dei consumi privati del 6,2% e degli investimenti privati 8,3% (Dati
forniti da: Banca Centrale della Malesia).
La Malesia, oltre a far parte dell'ASEAN, è uno dei 12 pesi del TTP (Trans-
Pacific Partnership). L'obiettivo dell'attuale governo è quello di aggiornare la
propria economia per raggiungere lo status di nazione sviluppata entro il 2020.
“...La Malesia continua nel tentativo di raggiungere nel 2020 lo status di
paese ad alto reddito puntando sull'incremento dei processi produttivi ad
alto valore aggiunto, in modo tale da attrarre investimenti esteri.”
(Mohammad Najib Abdul Razak, Primo ministro della Malesia)
Secondo i dati Mincomes dell'ufficio statistica Malesia – MIDA – MATRADE, la
bilancia commerciale si attestava ad un +40,7 miliardi di dollari (USA) costante
fino al 2011. L'ultimo dato è un +31,6 miliardi nel 2012. Come testimonia il dato,
il valore delle esportazioni supera quello delle importazioni. Secondo la teoria
mercantilista, il commercio estero, specie se consente di esportare beni di lusso,
materie prime e semilavorati, accresce la ricchezza del paese perché fornisce una
aggiunta alla domanda effettiva disponibile all'interno.
GRAFICO 4: CRESCITA DELLE ESPORTAZIONI NEI PRINCIPALI
SETTORI 2013-2014
Fonte: Malaysia external trade development corporation
Merchandise Trade Data (2012) ha classificato la Malesia al 25 posto come più
grande mercato di esportazione per i prodotti USA. Inoltre gli Stati Uniti
rappresentano il quarto più grande partner commerciale, dietro Cina, Singapore e
Giappone. Nell'estate 2013, l'esportazione nei settori manifatturiero e minerario
sono cresciute fino al 40%. Ad alimentare questa crescita è stato l'aumento di
foreign direct investment (FDI) da parte degli Stati Uniti, che da $13.9 miliardi
nel 2011, sono passati a $15 miliardi nel 2012. Gli investimenti esteri si sono
diretti prevalentemente verso il settore manifatturiero, i servizi e l'industria
estrattiva. Nonostante la grave crisi che stanno attraversando i mercati
internazionali, il ritmo degli investimenti esteri in Malesia dovrebbe crescere per
l'anno corrente.
Benché l'export, in particolare di elettronica, petrolio e gas rimangono un
importante motore dell'economia, la politica economica tiene in particolare
considerazione l'aumento della domanda interna, nel tentativo di diminuire la
dipendenza della regione dalle esportazioni. Producendo prodotti che non sono
richiesti dal mercato locale, si garantisce una maggiore occupazione lavorativa.
Il tasso di disoccupazione è stabile, dal 2010, attorno al 3%. Un risultato di tutto
rispetto, considerando che in Europa l'OCSE ha rivalutato al ribasso le
prospettive dell'immediato futuro, passando dal 5,8% del 2007 al 8,5% del 2014.
In Italia, l'ISTAT rivela un 13,6% in aumento.
La Malesia rimane uno dei Paesi più attrattivi per gli investimenti esteri; il
numero di aziende che sono state create nell'ultimo lustro sono pari ad una media
annuale di circa 38000 nuovi business. Una crescita di oltre il 3,7%, di gran
lunga superiore alla media dei principali Paesi industrializzati e ai BRICS.
“...La Malesia si piazza al diciottesimo posto tra i Paesi dove è più facile
fare business...” (Banca Mondiale, pubblicazione n° 118 del 2012)
GRAFICO 5
Osservando il grafico delle importazioni in Malesia, appare evidente come la
domanda interna dei consumatori sia in crescita. Il 12% dei prodotti importati
sono beni pronti per essere consumati; il 60% invece è costituito da macchinari e
prodotti industriali, utili per la costruzione di infrastrutture e per il miglioramento
delle aziende produttive (Dati: Trading Economics, 2014).
Le ottime infrastrutture e un efficiente network di servizi, un ambiente
macroeconomico stabile, un mercato interno in forte crescita, un efficiente
sistema bancario e una disponibilità di manodopera specializzata a prezzi
concorrenziali fanno della Malesia una delle mete favorite dagli investitori
stranieri.
Nel 2011 si registrò un flusso di investimenti pari a 15,6 miliardi di euro, con una
crescita del 49% rispetto al 2010. Principali investitori furono Giappone, Corea
del Sud, USA, Singapore e Arabia Saudita. Come riportato da ADBInsitute nel
Working Paper numero 422 del maggio 2013, la creazione di un'associazione tra
le nazioni del sud-est asiatico riguardante le politiche di finanziamento sono
possibili. Entro il 2015, l'ASEAN si predisporrà alla creazione del ASEAN
Economic Community (AEC) per facilitare e offrire vantaggi alle transazioni
provenienti dai Paesi in via di sviluppo localizzati nelle regioni dell'estremo
oriente.
Obiettivo principale sarà quello di liberalizzare i principali servizi finanziari, con
la rimozione delle barriere in materia di transazioni finanziarie, assicurazioni e
financial assets. Il vantaggio consisterebbe nella creazione di una maggiore
competitività tra le istituzioni finanziare domestiche, diminuendo la dipendenza
da banche straniere.
Un secondo progetto che il Governo malese ha annunciato, contenuto
nell'Economic Transformation Programme, vedrà la compartecipazione straniera
per investimenti pari a 23 miliardi di dollari (USA) e creeranno oltre 88000 nuovi
posti di lavoro. I settori che saranno interessati sono prima di tutto quello
petrolchimico, settore turistico e ospedaliero.
La politica monetaria della Banca Centrale malese (Bank Negara) continua a
rimanere espansiva, nonostante alcuni interventi al rialzo hanno portato il tasso di
interesse di riferimento al 3% negli ultimi mesi del 2011. L'obiettivo della
nazione è quello di sostenere la ripresa economica attraverso condizioni di
pressioni inflazionistiche sotto controllo. Attualmente l'inflazione è pari al 3,2%,
ai massimi da due anni (Dati: Bank Negara 2012).
Un azione che ha destato qualche perplessità presso Wall Street;
“...Sostenere la crescita del paese anziché frenare la debolezza della
moneta locale Ringgit è molto rischioso.” (Doug Flynn, investment
advissor at LLC).
Sul piano della politica fiscale, il governo malese, a partire dal 2009 ha introdotto
una serie di misure atte a stimolare l'economia locale. Obiettivo primario era
quello di ridurre il deficit pubblico il più possibile.
“...Un espediente che è risultato fondamentale. Il disavanzo federale, che
era pari al 7% del PIL nazionale nel 2009, è stato ridotto fino al 5,6%.”
(Tan Sri Muhyiddin Yassin, vice- Primo Ministro della Malesia, World
Economic Forum, meeting invernale di Davos 2011)
Secondo The World Bank Group (2012) il debito pubblico malese si attesta al
53% dl PIL. Una cifra giustificata dall'aumento delle spese per investimenti in
infrastrutture ed aumenti dei salari nel comparto pubblico. Una crescita che
tuttavia non preoccupa gli investitori, dal momento che il governo malesiano ha
predisposto una legge che limita l'ammontare massimo del debito pubblico al
55% del PIL. Nel 2012 l'agenzia di rating Moodys ha espresso un giudizio
positivo sul taglio del debito pubblico della Malesia. Infatti, se nel 2011 il deficit
era pari al 5% del PIL, nel 2012 esso è sceso al 4,7%. Una diminuzione che ha
permesso una riduzione sugli interessi del debito e a un maggiore stimolo per gli
investimenti pubblici.
Per concludere, da una prospettiva finanziaria, la Borsa di Kuala Lumpur
rappresenta la terza maggiore piazza del sud-est asiatico e la principale per la
finanzia islamica, con una quota del 70% delle obbligazioni emesse nel 2013.
Nel 2010 è stato varato il Government Transformation Programme che ha attratto
investimenti per oltre 300 miliardi di euro. In questo modo, l'indice malese KLSE
Composite Index ha guadagnato negli ultimi 12 mesi quasi l'11%.
Indonesia
“A promising future comes from dedication and a passion for learning.
Abundant natural resources, strongly supported by macroeconomic
policies and political stability. This is a state of democracy with a growing
middle class and a youthfull workforce. A member of the trillion dollar
GDP club. The right door will take you to the right investment; as shown
by the investment grades. Indonesia is in its golden moment a prefferd
investment destination. Invest in remarkable Indonesia.”
(BBC, Invest In Remarkable Indonesia, Spot 2013 II)
L'Indonesia è considerata, da Indonesia-Investments come l'economia più potente
del sud-est asiatico, nonché la regione più densamente popolata, con 246.9
milioni di abitanti (2012). Un potenziale che non è passato inosservato da parte
della comunità economica internazionale. La nazione, secondo parte della stampa
specializzata, tra cui Bloomberg (04/2011) e WSJ Central Banks (05/2011)
sarebbe una possibile candidata per entrare a far parte dei BRICS, dimostrando
una rapida e visibile crescita simile a quella delle economie più sviluppate.
Inoltre, recentemente, gli economisti hanno coniato un nuovo termine che
racchiude i mercati mantenuti sotto una più attenta osservazione. I CIVETS
(Colombia, Indonesia, Vietnam, Egitto, Turchia e Sud Africa). Secondo le più
ottimistiche stime, entro il 2020, queste nazioni costituiranno metà del PIL
mondiale. Un importante riconoscimento proviene inoltre dalle agenzie di rating
Standard & Poor's, Fitch e Moody's che nel 2012 hanno portato la classificazione
dell'Indonesia da Ba1 a Baa3 con outlook positivo.
“This upgrade will confirm how good Inodesia's investment climate is,
which will make foreign direct investment flow stronger.” (Felix
Sindhunata, economist at PT Henan Puthrai in Jakarta, on Novrida
Manurung and Berni Moestafa, Indonesia Regains Investment grade at
Moody's after 14 years, Bloomberg, 01/2012)
Il flusso di FDI, che è rimasto particolarmente debole durante gli anni della crisi
asiatica, è aumentato sensibilmente in coincidenza della crisi globale del 2008-
2009, beneficiando anche di un upgrade in sede OCSE (nel 2010 e nel 2012).
TABELLA 8: DATI MACROECONOMICI INDONESIANI
2005 2008 2010 2013
PIL – tasso di
crescita %
5,30% 4,80% 7,40% 5,30%
PIL – mld
USD
285,5 510,2 709,2 868,3
PIL pro
capite USD
1273 2272 2946 3556
Tasso di
inflazione
annuo %
(CPI)
4,80% 5,10% 5,40% 6,40%
Tasso di
disoccupazion
e (%della
forza lavoro)
6,20% 5,40% 6,10% 5,80%
Debito
pubblico (%
del PIL)
55,80% 35,00% 28,60% 24,00%
Dati: The World Bank 2013
La prospettiva di crescita del PIL è ciò che attrae maggiormente gli investitori.
Nonostante abbia subito un notevole rallentamento tra il 2010 e il 2013, secondo
Reuters (2014) si manterrà su livelli ben superiori rispetto la media europea.
Nello specifico, mentre l'Eurozona crescerà dello 0,2% - 0,3%, secondo i dati
Trading Economics (08/2014) l'Indonesia si manterrà sul 5,1% - 5,2%.
Motore traino dell'economia indonesiana, così come per la Malesia, è il
compartimento industriale, che costituisce circa il 46.5% del PIL totale. Nel
suddetto settore, l'industria manifatturiera ricopre un ruolo primario; nel 2013
essa ha rappresentato il 24% dell'output totale. Al secondo posto, con una
percentuale del 38% del PIL, ci sono i servizi. Negli ultimi anni, con l'industria
del turismo in costante crescita, sono aumentate le strutture alberghiere,
raggiungendo il 14% del PIL locale. Comunicazione e finanza sono al 7%,
mentre l'agricoltura rimane stabile al 15%.
Nel 2013 la Banca Centrale indonesiana, Bank Central Republic Indonesia, ha
mantenuto il tasso di interesse BI stabile al 6%, lo stesso dell'anno precedente.
Nel novembre 2013, essi sono stati portati al 7,5% con lo scopo di conservare la
stabilità della rupia, la moneta locale indonesiana, un'inflazione moderata e un
cambio della moneta favorevole. Inoltre dal 2005, come in altri Paesi, è stato
introdotto il meccanismo Inflation Targeting Framework (ITF). Tale sistema
permette di usare i tassi di interesse come strumento per raggiungere un
inflazione bassa e stabile. Essendo l'economia in crescita, consumatori e aziende
sono propensi a spendere più denaro. Quando la domanda di beni e servizi supera
l'offerta, i produttori aumentano i prezzi. Al crescere della spesa viene immesso
nel sistema più denaro, che gradualmente perde di potere d'acquisto. Un'alta
inflazione, definita come un aumento prolungato e generalizzato dei prezzi, porta
ad un alto tasso di interesse, poiché il valore del denaro viene eroso.
Considerando che l'attuale inflazione indonesiana è del 6,40%, le decisioni della
Banca Centrale indonesiana in termini di politica monetaria sono giustificate e
accettate dalla comunità economica mondiale.
TABELLA 9: VARIAZIONE DEI TASSI DI INTERESSE
NEGLI ULTIMI ANNI IN INDONESIA E NEL MONDO
Data di
modifica
Percentuale
BI
indonesiano
Regione Banca
Centrale
Percentuale
tassi esteri
Data
12/11/13 7,50% USA FED 0,25% 16/12/08
12/09/13 7,25% Australia RBA 2,50% 06/08/13
29/08/13 7,00% Brasile BACEN 11,00% 02/02/14
11/07/13 6,50% Canada BOC 1,00% 08/09/10
13/06/13 6,00% Cina PBC 6,00% 06/07/12
09/02/12 5,75% Europa BCE 0,15% 05/06/14
10/11/11 6,00% Giappone BoJ 0,10% 05/10/10
11/10/11 6,50% Gran
Bretagna
BoE 0,50% 05/03/09
04/02/11 6,75% Russia CBR 8,00% 25/07/14
05/08/09 6,50% Sudafrica SARB 5,75% 17/07/14
Fonte: global-rates.com
La crescita economica indonesiana è trainata dai consumi domestici e dalle
esportazioni di materie prime. Principale prodotto è il carbone con un 11,61% e il
petrolio con il 9,29% delle esportazioni totali (Dati Observatory of Economic
Complexity 2012). I primi mercati di sbocco nel 2012 sono stati la Cina
(13,33%), il Giappone (11,31%) e gli Stati Uniti (9,68%) (Dati Gruppo SACE).
Essere un grande esportatore di commodities ha portato il governo ad attuare
delle politiche molto attive in campo economico-finanziario. La dinamicità con la
quale viene regolato il mercato nazionale è fondamentale considerando la
volatilità dei prezzi relativi alle materie prime, come il petrolio. Altre politiche
statali sono concentrate nel creare un valore aggiunto al prodotto, come la
riduzione della filiera nell'estrazione mineraria o petrolifera.
Tra il 2008 e il 2012, le esportazioni sono cresciuti con una media del 11.9 %
secondo Trading Economics.
GRAFICO 6: ESPORTAZIONI
Fonte: Tranding Economics
Tuttavia negli ultimi mesi del 2013, come riportato da Il Sole 24 Ore, la lenta
crescita cinese degli ultimi due anni ha comportato un rallentamento delle
principali economie che avevano siglato con la Cina contratti economici. Nello
stesso anno la bilancia commerciale ha segnato un record negativo pari a 1,65
miliardi di dollari (USA) dovuto principalmente ad una contrazione delle
esportazioni di row materials verso la Cina.
“L’attuale situazione in Cina, Nazione che sta vivendo una crescita
economica rallentata, colpirà con forza anche noi, visto che attualmente è
il nostro partner commerciale maggiore. La domanda dei nostri beni si
contrarrà anch’essa e manifesterà gli effetti di tutto ciò sul nostro
sviluppo” (Gita Wirjawn, ministro indonesiano per il Commercio).
GRAFICO 7:
Parallelamente al rallentamento delle esportazioni, essendo la Cina il principale
partner commerciale dell'Indonesia, anche nel campo delle importazioni (19%),
queste ultime hanno subito un rallentamento negli ultimi mesi del 2013, andando
ad intaccare i risultati osservabili nella presente bilancia commerciale.
GRAFICO 8:
Secondo gli esperti del The German Institute for Economic Research (2014), è
probabile che la crescita cinese più debole non solo abbassi il livello della
domanda, ma possa anche risultare in prezzi dei beni e delle merci più elevati;
una situazione che potrebbe avere delle implicazioni significative sull'economia
indonesiana e sui suoi prodotti principali, come carbone e olio di palma.
Gli investitori rimangono fiduciosi secondo Indonesia-Investments (2014); i
punti a favore della nazione sono un abbondanza di risorse naturali che la
rendono la seconda e più ricca bio diversità al mondo, una popolazione costituita
per il 50% da giovani al di sotto dei 29 anni, una stabilità politica, un basso costo
del lavoro e 135 milioni di possibili consumatori in più entro il 2030.
Thailandia
“La Thailandia aspira ad assumere il ruolo di Paese leader nell’ambito di
una eventuale costituenda revisione dell’ASEAN in direzione della
costruzione degli 'Stati Uniti dell’ASEAN', conscia della ricchezza del suo
Regno, della cultura religiosa e della sua capacità di auto promuoversi
come guida della Comunità Economica ASEAN (AEC) entro il 2015.”
(Philip Kotler, professore presso la Kellog School of Management della
Northwestern University, USA)
TABELLA 10: DATI MACROECONOMICI THAILANDESI
2005 2008 2010 2013
PIL – tasso di crescita % 3,60% 1,50% 4,10% 3,00%
PIL – mld USD 176,5 272,6 318,9 387,3
PIL pro capite USD 7159 9245 9377 10512
Tasso di inflazione annuo
% (CPI)
4,10% 9,00% 3,50% 2,70%
Tasso di disoccupazione
(%della forza lavoro)
1,30% 1,20% 1,00% 1.1%
Debito pubblico (% del
PIL)
49,50% 38,70% 45,80% 43.7%
Dati: The World Bank 2013
Osservando i dati riportati da The World Bank (2013), ciò che entusiasma in
modo elevato gli investitori è il tasso di disoccupazione. Secondo The Office of
the National Economic and Social Development Board (2014) la nazione è al
quarto posto, dopo Cambogia, Monaco e Quatar per ridotto tasso di
disoccupazione; lo stesso è previsto scendere allo 0,7% nel 2014 a fronte di una
media del 6% globale.
Come sostiene l'economista Shotaro Kumagai del Japan Research Institute, nel
2013 la fiducia nei consumatori è aumentata per il terzo anno consecutivo,
permettendo all'economia di avanzare e garantendo la sopravvivenza di piccole e
medi business. Mentre le grandi multinazionali sono alla continua ricerca di
personale qualificato. In particolare compagnie finanziarie e banche come Citic
Securities International Co. e HSBC Holdings plc competono per l'assunzione di
personale in Asia, al fine di sfruttare i mercati che si sviluppano nell'area. Un
trend opposto a ciò che le stesse compagnie stanno facendo in Europa o negli
Stati Uniti, dove gli alti costi di mantenimento del personale hanno portato alla
cancellazione di oltre 30000 posti di lavoro nelle maggiori istituzioni bancarie
nel 2013 (Forex Info 2013).
Per quanto concerne la politica monetaria, la Banca Centrale della Thailandia ha
mantenuto i tassi di interesse al 2,50%, prevedendo di mantenerli invariati nel
2014. Secondo gli esperti di Barclays, la Banca Centrale ha rilevato qualche
consolidamento dell'attività globale e prudentemente starebbe spingendo
l'economia thailandese ad assumere un ruolo di primo piano. Gli economisti
sostengono che una tale politica monetaria sia adatta all'economia della regione;
benché si prevede che la Thailandia esca nell'anno corrente dalla crisi tecnica,
sono molto limitati i rischi di una stretta monetaria, perché la ripresa dovrà essere
consolidata. L'inflazione rimane ad un livello relativamente basso e
contemporaneamente, soprattutto negli ultime mesi la domanda interna è
aumentata visibilmente. L'espansione economica e gli stimoli indotti dal fisco,
come tasse ragionevoli, hanno permesso un più alto potere d'acquisto e
permettendo ai consumatori una più elevata libertà di disporre del proprio
capitale.
Nel 2013 l'economia thailandese è cresciuta del 3%, grazie all'incremento del
consumo interno, agli investimenti, al turismo e alla riduzione delle spese
governative. La Thailandia fornisce alle regioni ASEAN prodotti quali materie
prime e hard disk, incoraggiando in questo modo le economie della regione a
riprendersi dalla crisi. Tuttavia anche i fattori interni alla nazione sono
importanti; inflazione sui prezzi delle case, debiti sub-prime e stabilità
governativa sono tenuti sotto attenta osservazione da parte degli investitori.
In seguito alle proteste politiche, che avevano raggiunto il loro apice nel
novembre 2013 con circa 700 morti e che hanno condotto ad un colpo di stato nel
maggio 2014, l'economia thailandese ha subito un brusco rallentamento. Il settore
turistico è stato quello più gravemente afflitto dai tumulti politici, con un
progressivo calo dei visitatori stranieri, allarmati dalle violente proteste, dalle
leggi marziali e dal coprifuoco in vigore. Thai Airways International ha
confermato di aver perso circa 12 milioni di Bath, pari a circa 369 milioni di
dollari nel periodo novembre 2013 e gennaio 2014. L'associazione degli
albergatori sostiene che nel 2013 ci sono stati circa 26 milioni di visitatori su
tutto il territorio, tuttavia nel 2014 questo dato è destinato a rimanere stabile.
Secondo l'agenzia AsiaNews, nel gennaio 2014 le importazioni sono calate del
15,5% rispetto all'anno precedente. L'import di computer e componenti
elettroniche è calato del 19%, mentre il settore dell'auto segna un -31,8%.
In aggiunta, secondo gli analisti del Credit Suisse (2014), il PIL thailandese
continuerà a crescere nei prossimi anni, tuttavia sotto la soglia potenziale fino a
quando non ci sarà un governo stabile.
“Gli analisti di Credit Suisse prevedono una sotto-performance del
mercato azionario thailandese nei prossimi 1-3 anni, visto che il colpo di
Stato potrebbe dare il via a un nuovo ciclo di instabilità.” (Milano
Finanza, Thailandia, colpo di stato peserà su economia, 26 maggio 2014)
Nonostante la comunità economica internazionale si mostra preoccupata per le
tensioni nella nazione, il Prodotto Interno Lordo è destinato a passare da 365,9
nel 2012 a 390,4 miliardi di dollari nel 2014 (Dati Trading Economics 2014).
Il 16 giugno 2014, il Consiglio Nazionale per la Pace e l'Ordine (NCPO) ha
annunciato la revoca con effetto immediato del coprifuoco in vigore in
Thailandia.
A parere dell'Asian Development Bank (2014), le stime di crescita per il 2014
sono state abbassate da un iniziale 4% ad un 3%. Mentre per il 2015 è previsto un
nuovo incremento al 4,5%, sostenuto da una probabile intesa politica.
TABELLA 11: ULTIMI DATI ECONOMICI (Agosto 2014)
Main Economic Indicators 2014 2015
GDP Growth 2,90% 4,50%
Inflation 2,40% 2,60%
Fonte: Asian Development Bank, ADB estimates
La Thailandia è un economia orientata verso le esportazioni. Secondo Trading
Economics (2014), esse costituiscono circa il 65% del PIL totale e potrebbero
garantire una solida crescita del paese nonostante i tumulti politici. La nazione
esporta principalmente prodotti manifatturieri, che sono pari al'86% del totale
merci; seguiti da elettronica (14%) e autovetture (13%). I prodotti agricoli, come
riso e gomma sono stabili al'8%, tuttavia essi si distinguono per qualità e valore
aggiunto, grazie ad una manodopera già da anni specializzata. I maggiori partner
commerciali sono Cina (12%), Giappone (10%), Stati Uniti (10%) e Unione
Europea (9,5%). Con la nascita e il consolidamento dell'ASEAN, anche nella
regione sud-est asiatica sono state create rotte commerciali in grado di portare
vantaggio alla nazione, soprattutto con Malesia, Singapore e Australia (Dati
Trading Economics, 16 agosto 2014).
GRAFICO 9:
Per quanto riguarda le importazioni, la regione acquista materie prime, come
petrolio o altri derivati, elettronica di base e macchinari per la trasformazione
delle row materials in prodotti pronti per il consumo. Il 20% delle importazioni
sono effettuate con il Giappone, il 15% con la Cina. Come per le esportazioni i
due maggiori partner commerciali sono regioni orientali.
GRAFICO 10:
Nel giugno 2014 la bilancia commerciale thailandese è risultata positiva, con un
surplus di 1792.92 milioni di dollari. Come sostenuto precedentemente, essendo
la nazione orientata prettamente alle esportazioni, l'economia locale è esposta a
shock della domanda esterna di prodotti che potrebbero influenzare l'intero
apparato economico. Come è possibile osservare dal grafico sottostante, per gran
parte del 2013 la bilancia commerciale è stata negativa, creando passività per
6000 milioni di dollari. Un grave contraccolpo per l'economia emergente, dovuto
in prima istanza alla già citata crisi politica.
GRAFICO 11:
“Dopo mesi di stagnazione economica a causa di una crisi politica senza
via di uscita che ha portato al colpo di Stato militare del 22 maggio scorso,
in Thailandia la fiducia dei consumatori sembra aver ripreso vigore,
accelerata dalla speranza che la stabilità politica imposta dai militari possa
far ripartire la crescita economica del Paese.” (LookOut sicurezza,
geopolitica, economia, Segnali di ripresa dall'economia, ma le
manifestazioni non si fermano, Thailandia, 3 giugno 2014)
Secondo la Camera del Commercio thailandese (2014), l'indice di fiducia dei
consumatori, ha ripreso a salire, toccando il livello massimo del gennaio 2013.
La giunta militare, da un lato, è riuscita ad incoraggiare consumatori ed
investitori, spendendo circa 9 miliardi di dollari destinati a piccole imprese,
coltivatori di riso e costruzione di nuove infrastrutture. Secondo il Centro di
Previsioni Economiche e del Business (CEBR), la fiducia dei consumatori è
cresciuta dal 72,1% nel maggio 2014 al 74,3% nel luglio 2014. Dall'altro lato,
tuttavia, la stabilità politica è ancora una volta messa a rischio, dal momento che
il capo delle Forze Armate ha fissato in non meno di 15 mesi il tempo minimo
necessario per far riconciliare le forze politiche e indire nuove elezioni.
2.2 FDI, Foreign Direct Investment
“Investors are attracted by a large consumer base, rich natural resources
and political stability, but often equally deterred by poor infrastructure,
rampant corruption and growing calls for economic protectionism.” (BBC
News Asia, Indonesia Profile, 9 luglio 2014)
Le nazioni del sud-est asiatico, come molte regioni sviluppate, sono attraversate
da un costante aumento di giovani pronti ad entrare nel mondo del lavoro. Per
assorbire un numero che secondo le stime di The world bank (novembre 2013) si
attesterebbe a 1 milione di nuovi lavoratori al mese per 20 anni, è necessario
creare alti standard di vita e ridurre la povertà; una sfida che l'ASEAN non può
affrontare affidandosi solo agli investimenti pubblici.
“The private sector will have to play a key role in creating productive jobs
for the new labor force entrants and a critical element of this is improving
the economic climate to attract private investments, a vital factor in
sustainable and broad-based growth.” (Policy Research Working Paper
6696 by The World Bank)
Gli investimenti destinati al settore privato, provenienti dall'interno sono si
importanti, tuttavia nessuna nazione ha mai raggiunto lo status di paese
sviluppato senza affidarsi ad investimenti stranieri, come sostiene l'economista
David M. Gould (2008). Il flusso di capitali stranieri destinati alle imprese locali
sono costituiti da prestiti bancari con tassi agevolati, investimenti diretti e
indiretti, come l'acquisto di titoli di stato. “FDIs expand the potential sources of
capital available to countries, raising productivity and boosting growth.”
(Levchenko and Mauro 2007). Alcuni studi dimostrano inoltre che gli
investimenti stranieri aumentano la stabilità economica di una nazione e aiutano
a migliorare il trasferimento di conoscenze e tecnologie. Nel 2009 gli economisti
Bitzer e Gȍrg avevano dimostrato con un equazione come un cambiamento del
10% nel flusso di FDI possa condizionare il PIL di una nazione fino al 1,3%. Di
conseguenza, proseguono Blonigen e Wang, gli investimenti stranieri hanno un
ruolo quasi dominante sulla crescita sana di una nazione.
Una definizione esauriente di cosa siano i Foreign Direct Investment, proviene
dal Fondo Monetario Internazionale (IMF), che definisce gli FDI come una
categoria di investimenti monetari cross-nazionali provenienti dalla sede centrale
di una compagnia e indirizzati ad una subsidiary dislocata in un altro paese. Gli
FDI sono classificati ulteriormente come investimenti che possono riguardare la
costruzione di fabbriche o macchinari dal nulla, ma possono anche essere
condotti come mergers and acquisitions (M&A) con l'acquisto della proprietà di
stabilimenti o compagnie già avviate. Durante il Chicago Council on Global
Affairs (agosto 2010), i Foreign Direct Investment furono trattati con particolare
riguardo. L'obiettivo era quello di spronare le compagnie americane ad investire
in imprese provenienti dal sud-est asiatico, come la Malesia. Se una
multinazionale americana presenta uno stato patrimoniale largamente attivo, con
un avanzo e una disponibilità di denaro elevata, investire in un paese emergente
può rilevarsi una “mossa” vincente. Gli FDI permettono la costruzione di nuovi
uffici e la creazione di posti di lavoro. Inoltre, il governo del paese che riceve gli
investimenti, oltre ad agevolare gli investitori, riceve più denaro che può essere
utilizzato per finanziare il miglioramento delle infrastrutture, come le reti di
comunicazioni, strade e istituti bancari. Ciò che viene trasferito da un paese
sviluppato ad uno emergente, non è solamente una quantità di denaro, ma è anche
la conoscenza; quest'ultima permette la creazione di manager di alto livello e
abili imprenditori, agevolando il benessere della regione. Nel periodo 2009-2011
in Malesia, gli investimenti stranieri hanno subito un incremento pari a sette volte
il valore iniziale; da 5 miliardi di dollari nel 2009, 29,3 miliardi di dollari nel
2010 e 36,7 miliardi nel 2011.
Come hanno sottolineato Blonigen e Wang (2005) le nazioni che riescono ad
attrarre un numero alto di FDI sono quelle che hanno adottato delle politiche
fiscali e monetarie favorevoli. Per esempio, leggi per la protezione dei diritti
della proprietà privata, stabili politiche macroeconomiche, infrastrutture efficienti
e un ambiente regolato da una concorrenza leale.
Dal 1980 il flusso globale di Foreign Direct Investment è cresciuto in modo
esponenziale, diventando la più grande forma di trasferimento di capitale da una
nazione ad un'altra. Nel 2010 il flusso di FDI mondiale era di 1.4 trilioni di
dollari, 27 volte più grande dei 53 miliardi nel 1980; in rapporto al PIL mondiale
esso è diventato cinque volte più grande. Negli ultimi venti anni i flussi di
capitali, sotto forma di FDI, sono diventati un importante fattore di sviluppo e di
assistenza per le nazioni emergenti. I Paesi industrializzati rimangono i principali
fornitori di capitali, nonostante nell'ultimo decennio è diventato più visibile uno
scambio di investimenti tra le nazioni emergenti. Secondo i dati UNCTAD
(2012) la crescita dei flussi di capitali, ha permesso di creare posti di lavoro nei
Paesi in via di sviluppo, compresa la regione del sud-est asiatico. Secondo le
stime, nel 2011 gli impieghi creati ammontavano a circa 69 milioni, un 8% in più
rispetto l'anno precedente.
“Remember when everything was “Made in China”? Those days are long
gone and will likely never return. In 2013, foreign direct investment (FDI)
into Indonesia, Malaysia, the Philippines, Singapore and Thailand, known
as ASEAN 5, outstripped FDI into China for the first time, and a big
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  • 1.
  • 2.
  • 3. Desidero ricordare tutti coloro che mi hanno aiutato nella stesura della tesi con suggerimenti, critiche ed osservazioni: a loro va la mia gratitudine, anche se a me spetta la responsabilità per ogni errore contenuto in questa tesi. Ringrazio prima di tutto la Professoressa Angela Besana, Relatrice; senza il Suo supporto, la grande disponibilità e la cortesia dimostratemi questa tesi non esisterebbe. Proseguo con il Dottore in economia Amir S. Sadeghi Emamgholi, assistente ricercatore presso il South Asia Region Office di The World Bank (Washington, DC), per essersi più volte dimostrato disponibile nel facilitare le mie ricerche. Un sentito ringraziamento ai miei genitori e a mia sorella, che, con il loro solido sostegno morale ed economico, mi hanno permesso di raggiungere questo traguardo. Un ultimo ringraziamento ai miei amici, colleghi e alla mia fidanzata che mi hanno incoraggiato o che hanno speso parte del proprio tempo a leggere e discutere con me le bozze del lavoro. A Voi è dedicata questa tesi.
  • 4.
  • 5. Indice Introduzione Capitolo 1: I mercati emergenti 1.1 Definizione e significato di mercato emergente 1.2 Il caso del sud-est asiatico 1.2.3 ASEAN: dalla crisi del 1997 all'ascesa degli anni recenti 1.3 Le politiche monetarie della FED: una minaccia per i mercati emergenti 1.4Dai BRICs ai MINT Capitolo 2: La gestione d'impresa nel sud-est asiatico 2.1 Analisi di mercato 2.2 FDI, Foreign Direct Investment 2.3Sostenibilità economica e finanziare per un'impresa 2.3.1 Fattori di successo 2.3.2 Livello di tassazione per le aziende 2.4L'Italia investe in Vietnam; il caso Piaggio Capitolo 3: Prospettive future: Nuove opportunità o minacce celate? 3.1Fattori e tassi di crescita dei paesi emergenti 3.1.1 Fattori di crescita 3.1.2 Tassi di crescita 3.2 I punti di fragilità delle economie emergenti 3.3Le minacce e le opportunità, per l'Europa e per il Made in Italy derivanti dall'avvio di nuove start-up 3.3.1 Italia e start up Conclusione Bibliografia e sitografia
  • 6.
  • 7. Introduzione Lo scopo della presente tesi è quello di dare al lettore una panoramica dei mercati emergenti localizzati nella Regione del sud-est asiatico. In ragione di ciò, dopo una breve definizione di “Mercato Emergente”, si indagheranno le opportunità, ma anche le minacce per investitori ed imprese celate dietro i sostenuti tassi di crescita registrati. Nel 2001, l'economista Jim O'Neill1 ha coniato il termine BRICs, utilizzando l'acronimo per indicare Brasile, Russia, India e Cina come le Nazioni che avrebbero guidato la crescita globale del XXI secolo. Riponendo la fiducia nel futuro di queste Nazioni e in un'economia sempre più attiva, i Paesi industrializzati hanno iniziato a comprare un numero crescente di assets e a intrattenere solide relazioni finanziarie con i sopracitati mercati. Tuttavia, in seguito allo shock della crisi economica nel 2008, il sistema capitalistico occidentale, per anni considerato il propulsore dell'economia moderna, ha iniziato a sgretolarsi, trascinando con se le certezze degli investitori. Non solo; il processo di globalizzazione, che ha portato ad un mondo sempre più connesso, dove le transazioni finanziarie avvengono con intervalli brevissimi, ha implicato una stretta interdipendenza tra le Nazioni, intaccando anche quei prosperi tassi di crescita dei Paesi emergenti. L'ipotesi che viene presentata in questa trattazione è quella di ritenere le Nazioni del sud-est asiatico come un “post-BRICs”, ricche di punti di forza, testimoniati da un crescente flusso di FDI stranieri, ma anche affette da minacce come corruzione e complicata burocrazia. Come si avrà più volte modo di leggere e assumere dai grafici nel corso dell'argomentazione, le Nazioni costituenti l'ASEAN, Association of Southeast Asian Nations, sono tutte caratterizzate da tassi di crescita, misurati come prodotto interno lordo percentuale, positivi e fino al 5% superiori rispetto alle economie leader del XX secolo, Stati Uniti ed 1 Jim O'Neill, Global Economics Paper No: 66, Edited by Goldman Sachs, 2001, New York, www.goldmansachs.com [Ultimo accesso 2 settembre 2014];
  • 8. Europa. Tuttavia, come sosteneva Robert Kennedy2 , Senatore degli Stati Uniti d'America, la ricchezza di una nazione non si può misurare solamente attraverso il PIL, per questo motivo verranno considerati altri fattori, come la presenza di infrastrutture, la stabilità politica, e il livello di educazione. La scelta di un tale argomento deriva dalla consapevolezza che, come sostengono le principali testate economiche, tra cui The Economist3 e The Wall Street Journal4 , le Nazioni del sud-est asiatico, uscite rinforzate dalla crisi del 1997, saranno per i prossimi 30 anni le principali piazze di scambio internazionali, capaci di risollevare la pigra economia globale. Inoltre, secondo uno dei guru di Wall Street, Warren Buffett5 , possedere un'elevata consapevolezza della direzione intrapresa dall'economia, può fare la differenza tra l'avere un return on investment elevato oppure mediocre. Per questo motivo, mi servirò, nel corso della tesi, di strumenti economici e finanziari in grado di fornire dettagliate descrizioni su quali possano essere i Paesi in via di sviluppo più propensi a fornire ottime chance di guadagno e quali invece hanno ancora bisogno di solide certezze. Se i primi due capitoli della tesi forniranno una panoramica delle condizioni economiche delle Nazioni dell'ASEAN, concluderò l'elaborato procedendo ad elencare quali possano essere le opportunità non solo per le multinazionali, ma anche per quelle medie e grandi aziende o start up che si sforzano di esportare il brand Made in Italy verso nuovi orizzonti. Nei prossimi trent'anni, 600 milioni di persone, con un reddito medio di 35 mila dollari annui si affacceranno sui mercati del sud-est asiatico; le opportunità di sviluppo per le imprese sono solamente iniziate. 2 Robert Kennedy, Senatore degli Stati Uniti d'America, Il PIL e la felicità, discorso del 18 marzo 1968, Kansas University; 3 The Economist Insights, South-East Asia Summit 2014, 27 agosto 2014, www.economistinsights.com [Ultimo accesso 1 settembre 2014]; 4 The Wall Street Journal, ASEAN: An Emerging Global Player, agosto 2014, in collaborazione con Asia Business Council, www.asiabusinesscouncil.org [Ultimo accesso 3 settembre 2014]; 5 Warren Buffett, The Essays of Warren Buffett: Lessons for Investors and Managers, Edited by Lawrence A. Cunningha, IV edizione, Singapore, 2013, pp.35-37.
  • 9.
  • 10. Capitolo 1 I Mercati Emergenti Il presente capitolo si pone l'obiettivo di dare una definizione di mercato emergente, considerando l'attuale clima economico e lo spostamento degli investimenti verso i Paesi in via di sviluppo, focalizzando particolarmente l'attenzione sui mercati con un forte tasso di crescita nel sud est asiatico. L'evoluzione dell'economia globale, con la rimozione delle barriere transazionali e degli intermediari finanziari, ha permesso a sempre più nazioni di entrare a far parte di quella che viene definita oggi la global supply chain. L'avvento del web ha permesso di creare connessioni solide, anche tra Paesi situati a grandi distanze l'uno dagli altri. In questo modo il network finanziario globale, fino ai primi anni di questo secolo, ha svolto una funzione di primaria importanza nel creare un mercato mondiale di risorse tangibili ed intangibili, le quali hanno sostenuto considerevolmente lo sviluppo economico planetario. La crisi economica del 2008, che ha preso rapidamente avvio in tutto il mondo in seguito ad una crisi del mercato immobiliare statunitense, ha causato un aumento dell'attrattività e del potenziale redditizio delle nuove economie, considerate ad alto fattore di crescita. Di conseguenza, molte multinazionali e molti investitori occidentali hanno osservato con curiosità il continuo e stabile evolversi dei mercati emergenti negli ultimi anni. Il flusso di capitali dai Paesi occidentali a quelli soprattutto orientali ha dato un grande impulso ai nuovi mercati, che per i prossimi decenni vengono considerati da esperti economici come le locomotive che traineranno l'economia globale. In particolare il sud est asiatico sta diventato una delle destinazioni principali di investimenti e filiali occidentali. Avendo subito in maniera minore il contraccolpo della crisi, alcuni Paesi dell'ASEAN sono considerati il polo mondiale degli scambi finanziari. Grazie anche ad una situazione politica stabile, la fiducia degli investitori è destinata ad aumentare. Tuttavia, alcuni analisti ritengono che l'euforia dei mercati emergenti sia solo una bolla, pronta ad esplodere e a causare una nuova crisi, ben più devastante di quella in atto. A
  • 11. testimonianza di questa tesi sono i recenti cali di redditività dei Paesi emergenti e un calo nel flusso di investimenti verso queste nazioni. Eventi negativi causati anche dalle politiche di tapering recentemente attuate dalla FED per incentivare la crescita interna degli Stati Uniti. Di conseguenza la fiducia verso i nuovi mercati diminuisce, portando ad un flusso di capitali sempre minore; nonostante ciò, Paesi come Cina, India ed Indonesia mantengono un PIL superiore e in costante crescita rispetto ai Paesi industrializzati. Il prodotto interno lordo, secondo recenti stime è destinato a espandersi da un 6.6% del 2013 ad un 6.7% nel 2014, contro le previsioni più pessimistiche del 2012 del 6.1% (Dati Asian Development Outlook (ADO), 2013). 1.1 Definizione e significato di mercato emergente Durante gli anni settanta, il termine “Paesi in via di sviluppo” veniva utilizzato per designare quei mercati meno sviluppati rispetto agli Stati Uniti, all'Europa e al Giappone. Tuttavia questa definizione venne presto sostituita da “mercati emergenti”, considerata più ottimistica e positiva. Le economie di certi Paesi, furono classificate per la prima volta come “emergenti” nel 1986 dalla Società Finanziaria Internazionale (World Bank International Financial Investments IFC) che, fondata nel 1956 con lo scopo di promuovere lo sviluppo dell'industria nei Paesi e nelle economie emergenti, stilò un rapporto dei mercati con i più elevati tassi di crescita e di redditività. Una definizione universale di mercato emergente è quella che tiene in considerazione due aspetti fondamentali; l'aumento di mercati con accesso libero e la privatizzazione di imprese governative. Il primo requisito permette alle imprese o al flusso di capitali da parte di investitori di poter entrare liberamente in un mercato, grazie all'assenza di barriere come dazi o tasse doganali. L'assenza di discriminazione rispetto ai possibili imprenditori, garantisce la possibilità di sviluppare la propria idea di business in libertà. Il secondo requisito, permette a cittadini privati di entrare in possesso di aziende o imprese precedentemente controllate dallo stato. La privatizzazione consente la cessazione del monopolio, in favore di un libero mercato concorrenziale e l'eliminazione di vincoli e limiti imposti precedentemente dallo stato nei
  • 12. confronti delle imprese private. Altre condizioni sono relative ai processi legislativi, ai sistemi giudiziari, all'amministrazione della res publica, alle politiche tassative e ai di debiti. “...alle condizioni precedenti si aggiungono la sostenibilità dei flussi di investimento e la direzione dello sviluppo economico locale” (Dr. J.M.Mobius, 1996). “I mercati emergenti sono quei Paesi all'interno dei quali la cura per la gestione della politica equivale alla cura per la gestione dell'economia.” (Braker, Bremmer, Gordon, 2008). Nonostante il termine fosse stato coniato negli anni ottanta, è entrato nel linguaggio d'uso quotidiano solamente negli anni novanta. Di recente esso descrive quei mercati con un notevole tasso di crescita, caratterizzati da un elevata profittabilità e da un altrettanto elevato fattore di rischio, che si situano a cavallo tra i Paesi in via di sviluppo e tra i Paesi sviluppati. “...sono quelle regioni del mondo che sono sempre più soggette ad un processo di informatizzazione, nonostante siano limitatamente o parzialmente industrializzati.” (Center for Knowledge Societies, 2008). Alcuni esempi sono: Indonesia, Iran, Brasile, Argentina, Sud Africa, Russia. Nel corso di questa tesi, mi focalizzerò sempre di più sui Paesi del sud-est asiatico. La definizione di mercato emergente è diventata molto popolare tra i media, tra le politiche estere, tra i dibattiti finanziari e tra le società di rating. Per questo il termine racchiude una definizione molto ampia. “I mercati emergenti sono quelle nazioni che stanno attraversando una forte fase di sviluppo in confronto alle nazioni industrializzate.” (Guy Poupet, 2004). Definire un mercato emergente significa indagare gli aspetti economici di un paese per poi confrontarli con i risultati dei Paesi sviluppati. “...un mercato emergente si presenta come un'economia in costante crescita e caratterizzata da un forte impegno istituzionale in termini di infrastrutture, legislazione e diritti al lavoro.” (Meyer e Tran, 2006)
  • 13. Di particolare rilevanza è l'impegno istituzionale. Lo stato deve garantire delle leggi che siano in grado di favorire l'accesso e il libero sviluppo finanziario all'interno del paese preso in esame. Se il governo, democraticamente eletto, è in grado di garantire i presupposti e le basi per una crescita sostenibile, allora aumenterà la fiducia in quel paese e quindi la probabilità che nuovi investitori tenteranno di accedervi. Al contrario se un governo è instabile e incapace di varare riforme per salvaguardare l'economie e gli investimenti stranieri, allora la fiducia verso quel paese diminuirà, allontanando i capitali. Nel processo di crescita di un mercato emergente, non si può non considerare il ruolo che le nazioni leader devono avere nel salvaguardare il nuovo habitat. La maggior parte degli investimenti, misurati attraverso l'FDI (Foreign Direct Investment) provengono da investitori e multinazionali occidentali. La crisi finanziaria scoppiata nel 2008 ha avuto effetti negativi sul flusso di capitali provenienti dall'occidente. Le conseguenze più devastanti si sono palesate, in particolar modo, in quei Paesi che intrattenevano delle strette relazioni economiche con le nazioni industrializzate. Ad esempio, la Cina ha subito un calo di produttività in alcuni settori a causa di numerose imprese americane, che in seguito della crisi furono costrette a chiudere non solo le filiali nel paese straniero, ma a fermare la produzione del prodotto. Nel contempo, se da un lato Stati Uniti e Europa hanno subito un forte rallentamento nella crescita e nella disponibilità di capitale, altre nazioni come Cina, sud Africa e America Latina, spinti da un costante sviluppo, hanno iniziato ad investire nel sud est asiatico. In questo modo si è creato un flusso di investimenti interno ai Paesi emergenti, sostenuto da un'economia in crescita. Il nuovo triangolo economico permette ai mercati emergenti di autofinanziarsi e di prendere il posto che prima avevano i Paesi industrializzati. Un altro aspetto molto importante che i Paesi occidentali non dovrebbero sottovalutare, è la salvaguardia dei mercati in via di sviluppo. Oggi una delle più diffuse tendenze è quella di sovraccaricare di merci i mercati globali e soprattutto quelli in crescita, creando stagnazione e costringendo le aziende a concorrere sui prezzi. Quando un mercato è saturo e le aziende si fanno concorrenza sui prezzi, irrimediabilmente molte di queste saranno costrette ad uscire dal mercato, a
  • 14. causa dei ricavi insufficienti a coprire gli elevati costi sostenuti per concorrere. I criteri che possono essere utilizzati per definire i mercati emergenti sono i seguenti: TABELLA 1: CRITERI UTILIZZATI PER DEFINIRE UN MERCATO EMERGENTE Categoria Criterio Povertà • Basso/Medio livello di entrate statali; • Basso/Medio standard di vita; • Bassa o non aggiornata tecnologia. industriale Mercato di capitali • Bassa capitalizzazione del mercato paragonato al PIL statale; • Basso turnover aziendale; • Elevati costi e difficoltà per l'accesso ai capitali; • Basso raiting finanziario. Crescita potenziale • Mercato liberalizzato; • Privatizzazioni governative; • Apertura verso investimenti stranieri; • Recente crescita economica ed industriale. Fonte: Khanna e Palepu (2010)
  • 15. I mercati emergenti hanno un grande ruolo nello sviluppo della crescita dei consumi di prodotti, servizi e risorse al mondo. Questo è un aspetto importante poiché diventano protagonisti e motori dello sviluppo economico globale. Nel corso degli anni sono stati creati nuovi termini per definire i mercati emergenti, acronimi che rappresentano i Paesi con un elevato tasso di crescita. La nozione più utilizzata, coniata nel 2001, è quella di BRIC, Brasile, Russia, India e Cina; considerati da qualche decennio nazioni emergenti a livello globale, per il fatto che raccolgono circa il 50% della popolazione mondiale e si affacciano sul mercato richiedendo sempre un maggiore numero di merci di consumo. In seguito alla crisi del 2008, si sono scoperti nuovi mercati nei quali investire; Paesi con grandi risorse economiche e lavorative sono stati sempre più attrattivi per le multinazionali occidentali, in cerca di territori dove espandersi per aumentare i propri profitti. Ai BRIC si sono aggiunti i BRICET (BRIC più Europa dell'est e Turchia), i BRICS (BRIC più Sud Africa), BRICK (BRIC più Corea). Queste nazioni non hanno obiettivi in comune, ma stanno tutte concorrendo ad avere un ruolo dominante nella crescita economica globale. Gli economisti, per valutare e riconoscere quali possano essere i mercati emergenti, fanno ricorso ad un'analisi dell'evoluzione del PIL (Prodotto Interno Lordo) di diversi Paesi.
  • 16. TABELLA 2: EVOLUZIONE DEL PRODOTTO INTERNO LORDO DAL 2000 AL 2010 Nazione PIL 2000 PIL 2010 % PIL 2000 % PIL 2010 Crescita PIL 2000-2010 Cina 1,2 5,93 3,72% 9,39% 5,67% Brasile 0,64 2,09 2,00% 3,31% 1,31% India 0,46 1,73 1,43% 2,74% 1,31% Russia 0,26 1,48 0,81% 2,34% 1,54% BRIC 2,56 11,22 7,95% 17,78% 9,83% USA 9,9 14,59 30,70% 23,11% -7,60% Germania 1,89 3,28 5,85% 5,20% -0,65% Italia 1,1 2,05 3,40% 3,25% 0,15% Economie Sviluppato 20,35 30,19 63,13% 47,82% -15,3% Fonte: Dati dalla Banca Mondiale (2012) Come è possibile notare, mentre le economie sviluppate hanno visto una decrescita del PIL di circa il 15%, i BRIC sono cresciuti del 9.83% nel periodo 2000-2010. Inoltre, se da un lato i Paesi sviluppati come Germania e Stati Uniti hanno risentito della crisi in maniera più forte, dall'altro lato Cina e Russia hanno ottenuto dei risultati di modesta crescita. Secondo gli economisti Pacek (2007), O'Neill (2010) e Agtmael (2007), il trend positivo delle economie emergenti si manterrà al di sopra delle economie sviluppate per i prossimi trenta anni. Quest'ultimo aspetto enfatizza il potenziale di investimento che i mercati emergenti possiedono. La globalizzazione porta sempre più multinazionali a vendere prodotti e servizi ai nuovi clienti che si affacciano sul mercato. Di conseguenza molte aziende devono affrontare le differenze di business che esistono tra i Paesi sviluppati e quelli emergenti, creando nuove strategie di successo e mantenendo un'elevata flessibilità.
  • 17. 1.2 Il caso del sud est asiatico Le nazioni del sud est asiatico si distinguono dagli altri Paesi emergenti per un constante aumento del flusso degli investimenti provenienti dai Paesi occidentali. Gli analisti ritengono che la principale ragione sia dovuta, prima di tutto, a specifiche restrizioni nelle politiche commerciali verso determinati Paesi e, in secondo luogo, a salde regolamentazioni sulle politiche finanziarie, sia interne che esterne. Le restrizioni commerciali garantiscono una minore concorrenza tra le imprese nel territorio e una maggiore possibilità di successo. In questa tesi i Paesi sud-est asiatici che saranno presi in esame sono Singapore, Malesia, Indonesia, Vietnam, Corea e Tailandia. Negli ultimi venti anni, l'influenza dell'Asia nell'economia globale è aumentata considerevolmente. In seguito alla crisi finanziaria mondiale, la crescita economica dei Paesi asiatici ha seguito un trend totalmente opposto rispetto le nazioni più industrializzate; infatti, lo sviluppo dell'oriente è rimasto a livelli pre- crisi e in alcune circostanze, come per la regione del sud-est asiatico, sono stati raggiunti livelli di maggiore sviluppo economico in grado di portare queste nazioni a guidare l'intera economia planetaria. La recente crescita è stata rinforzata da una costante domanda interna che riduce l'impatto negativo della crisi. Ma, mentre le politiche monetarie e fiscali sono stabili, alcune preoccupazioni sorgono per quanto riguarda il livello dell'inflazione, connesso ad un aumento dei prezzi del cibo e delle risorse energetiche. Per sostenere la crescita, nel futuro devono essere applicati alcuni accorgimenti. Prima di tutto, dopo aver creato dei programmi di regolamentazione macroeconomica, si dovrebbero rinforzare le attività strutturali della regione; si intende estendere le attività economiche inter-regionali ed intra-regionali tra i Paesi del sud est asiatico e creare in questo modo delle relazioni più salde. A livello macroeconomico, si dovrebbero concordare le decisioni di politiche monetarie e finanziarie, oltre che regolare il flusso di investimenti in entrata in modo equo tra le diverse nazioni.
  • 18. 1.2.3 ASEAN: dalla crisi del 1997 all'ascesa degli anni recenti L'associazione delle nazioni del sud-est asiatico è un'organizzazione politica ed economica costituita da dieci nazioni situate nell'estremo oriente. Essa fu fondata l'8 agosto 1967 da Indonesia, Malesia, Singapore, Filippine e Tailandia, con lo scopo principale di promuovere la cooperazione e l'assistenza reciproca fra gli stati membri. Negli anni successivi vennero inclusi Paesi come il Brunei (1984), Vietnam (1995), Laos e Myanmar (1997) e Cambogia (1999), creando quelli che sono oggi gli stati membri dell'ASEAN. Gli obiettivi di questa organizzazione sono numerosi e tutti rivolti positivamente verso una maggiore stabilità. Primo fra tutti, accelerare la crescita economica, il progresso sociale e culturale nelle regioni, creando uno spirito di uguaglianza e di collaborazione. Promuovere la pace e la stabilità tra le nazioni membri. Creare collaborazioni e reciproca assistenza su materie economiche di comune interesse. Provvedere ad una rete di assistenza sanitaria, professionale, amministrativa, tecnica ed educativa. Collaborare in modo efficace per un migliore uso delle risorse agricole e industriali. Infine, mantenere delle salde e benefiche relazioni di cooperazione con le organizzazioni internazionali di altri Paesi, creando un mercato equo, trasparente e in continua espansione. Il più importante risultato raggiunto dall'ASEAN è stato quello di creare una forte identità comune al suo interno, che anche oggi, ne garantisce l'esistenza e la prosperità. Grafico: 1 Con queste premesse le nazione dell'ASEAN si affacciarono sul mercato globale, ottenendo risultati economici superiori a qualsiasi altra economia mondiale. Per tre decenni, fino al 1997, il sud-est asiatico aveva mantenuto dei tassi di crescita elevati, abbattendo la povertà e
  • 19. alzando il reddito medio pro capite. Il “miracolo asiatico” era garantito da politiche governative orientate al risparmio e da un'attenta ridistribuzione degli investimenti su tutto il territorio. L' espansione economica era sostenuta dalla facilità con cui il credito bancario veniva erogato e da bassi tassi di interesse, che incoraggiavano gli investimenti in attività produttive. Tuttavia il settore finanziario era deregolamentato e fragile. Senza restrizioni le banche incoraggiavano investimenti interni ed esterni, sicuri che in caso di insolvenza sarebbe intervenuto lo stato. Le imprese, seguendo questa logica, apparivano eccessivamente indebitate ed esposte al rischio di volatilità nel breve termine. Una qualsiasi variazione nel mercato regionale, avrebbe provocato una reazione a catena di larga scala, colpendo tutti i settori produttivi. Sul finire degli anni '90, il mercato dei capitali nella regione era piuttosto sottosviluppato e il flusso di denaro proveniente dai Paesi stranieri veniva gestito da intermediari finanziari e banche che avevano il controllo sui tassi di cambio delle monete locali. Tuttavia le politiche di gestione finanziaria tenevano poco conto delle valute di Paesi stranieri; in molti casi sia i prestatori di denaro che i creditori non badavano a delle possibili fluttuazioni dei tassi di interesse. Queste furono le premesse con le quali i Paesi dell'ASEAN affrontarono la crisi del 1997. Principale fattore scatenante fu la svalutazione della moneta cinese Remnimbi e dello Yen giapponese, che ebbe delle conseguenze gravi sui tassi di interesse. In Tailandia, il paese coinvolto più duramente, oltre ad avere subito un calo dei prezzi di vendita e quindi una diminuzione dei ricavi, fu attraversata da severe speculazioni a livello finanziario, che portarono al collasso la moneta Bath nel luglio del 1997. In un solo giorno, la moneta locale crollò del 13,5%, per chiudere il mese giù del 23%. L'economia tailandese fu attraversata da un elevato calo della competitività. Molti investitori iniziarono a diminuire i flussi di denaro, sinonimo di una riduzione della fiducia nel paese. Nei mesi seguenti ulteriori svalutazioni monetarie e una caduta dei titoli azionari si espansero in un primo momento nelle nazioni dell'ASEAN e successivamente in tutto il sud est asiatico. L'anno
  • 20. successivo al collasso del Bath, le monete correnti dei diversi stati persero dal 35% al'83% del valore iniziale contro il dollaro statunitense, mentre i titoli in borsa cedettero punti da un minimo del 40% al 60% del valore iniziale. I flussi di crediti che venivano erogati dalle banche rallentarono, mentre i tassi di interesse sui prestiti aumentarono considerevolmente. Il panico che si era diffuso tra i depositari di titoli bancari, sfociò in una crisi di liquidità per le banche, che non avendo abbastanza cash per soddisfare la domanda dei clienti furono costrette a chiudere. Quelle aziende che rimanevano scoperte nel breve termine, a causa di leverage elevati, già prima della crisi, si ritrovarono senza liquidità per far fronte ai debiti e furono costrette a dichiarare bancarotta. “...le istituzioni finanziarie del sud est asiatico avevano accumulato un'eccessiva quantità di obbligazioni, che però non erano state trasformate in moneta liquida, creando un elevata vulnerabilità nel breve termine. Un interruzione nel flusso internazionale di denaro, si dimostrava in questo modo decisiva tanto che lo stato non poteva intervenire con politiche di risanamento.” (Radelet e Sachs, 1998) Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) intervenne con un prestito per la Tailandia di oltre 20 miliardi di dollari, nel tentativo di risanare il deficit nazionale e ripristinare la fiducia nella moneta. Tuttavia i fondi versati erano visti con sospetto e come un tentativo per aiutare le banche occidentali, che avevano prestato denaro alle imprese locali, a risollevarsi dalla crisi. Una tesi ampiamente dibattuta dall'economista americano Joseph Stiglitz. “...L'FMI ha inutilmente esposto economie con alti tassi di risparmio alla volatilità dei capitali esteri, nonché ha versato ingenti somme nelle casse dei Paesi in difficoltà con l'unico scopo di rimborsare le banche creditrici occidentali e causando ulteriori danni alle economie già in difficoltà.” (Joseph Stiglitz, Verso un nuovo paradigma dell'economia monetaria, 2003, pp.315-316)
  • 21. Al di la di queste indiscrezioni, il tentativo dell'FMI fu smorzato da continue speculazioni e fughe di capitali. Oltre a misure finanziarie il governo tailandese approvò misure strutturali come un aumento dei tassi di interesse, una riduzione della spesa pubblica ed un aumento della pressione fiscale. Solamente nel 2001 la Tailandia manifestò i primi segnali di ripresa e nel 2008 il Bath veniva scambiato con un rapporto di 31 a 1 con il Dollaro. TABELLA 3: PIL DEL SUD EST ASIATICO Espresso in percentuale di crescita annua 1987-1996 1997-1999 2000-2006 Hong Kong 5,2 -0,8 4,7 Indonesia 7,1 -6,4 4,9 Corea 8,1 1 4,6 Malesia 9,5 -0,8 4,7 Filippine 3,6 1,4 4,6 Singapore 9,2 2,8 4,6 Taiwan 7,2 5,1 3,3 Tailandia 9,5 -3,3 5,1 Sud est asiatico 7,6 0 4,5 Fonte: IMF, CEIC, RBA Le prospettive di crescita, negli anni immediatamente successivi alla crisi, subirono forti rallentamenti. I costi per questa crisi furono molto elevati e le speranze che venivano riposte nel sud est asiatico, lasciarono il posto a molte incertezze. La dimensione finanziaria della crisi non riguardò solamente la Tailandia, ma presto si diffuse in tutta la regione asiatica con pesanti ripercussioni in termini di produttività e competitività. Escludendo Cina e Giappone, il PIL calò di circa il 9% nella regione, in Indonesia del 15%. Secondo le stime i prestiti insolventi (Non Performing Loans NPLs) in Indonesia ed in Tailandia avevano raggiunto la metà dei prestiti sottoscritti. In seguito alla crisi, molti economisti e analisti finanziari analizzarono la situazione, cercando di scoprire quali furono le specifiche cause che portarono ad una delle più onerose
  • 22. crisi finanziarie. Un primo punto di debolezza delle nazioni asiatiche, fu quello di non avere delle infrastrutture finanziarie abbastanza solide da reggere a delle variazioni del flusso di capitali internazionali e a variazioni nelle politiche monetarie straniere. In questi casi di fondamentale importanza è la flessibilità degli istituti di credito, in modo tale da non mettere eccessivamente sotto intenso sforzo le risorse disponibili, causando un'incontrollata fluttuazione dei tassi di interesse. Un secondo punto di debolezza fu la scarsa capacità dei mercati asiatici di gestire la crisi. I piani dei governi in termini di risoluzione delle emergenze tenevano poco conto delle possibili esposizioni a fluttuazioni dei valori monetari. TABELLA 4: PIL PRO CAPITE DEL SUD EST ASIATICO Cambiamenti percentuali in seguito alla crisi del 1997 Anni necessari per la ripresa Hong Kong -6.4% 3 Indonesia -15,00% 7 Corea -7.5% 2 Malesia -9.5% 6 Filippine -2.7% 3 Singapore -4.6% 2 Tailandia -11.6% 5 Sud est asiatico -8.8% 3 Fonte: IMF, CEIC, Thomson Financial, ABS, RBA In seguito alla crisi, le nazioni del sud est asiatico attuarono una serie di politiche di prevenzione per evitare possibili crisi future. Prima di tutto, i Paesi cercarono di auto-assicurarsi, creando una riserva monetaria in grado di far fronte a nuove speculazioni. Nel caso in cui si fosse verificata una nuova crisi di liquidità, le riserve monetarie sarebbero state in grado di soddisfare la domanda delle banche. In secondo luogo furono fatti sforzi per cercare di aumentare la stabilità delle istituzioni finanziarie, con piani di gestione delle crisi e regolamentazioni per un
  • 23. intervento rapido e incisivo. Venne ridotta a burocrazia, attraverso la quale si doveva passare per varare delle azioni immediate. Enfasi venne posta anche sull'operato delle banche; furono assunti molti supervisori, che avevano il compito di controllare le transazioni dirette soprattutto verso il settore privato. I supervisori avevano il compito di fare ricerche sui sottoscriventi il prestito e considerare le variabili di ricavo o di insolvenza. La crisi economica asiatica fu molto costosa e portò a un nuovo modo di concepire la regione, sia in Asia che in tutto il mondo. Le politiche appropriate per gestire la crisi e il ruolo di enti nazionali e internazionali garantirono nel medio periodo una ripresa costante. Se nei primi anni questa ripresa era garantita da nuove regolamentazioni e spirito imprenditoriale del settore privato, negli anni successivi si dimostrò una ripresa fondata sul flusso degli investimenti proveniente dai Paesi più sviluppati. Questi ultimi, infatti, incoraggiati dalla velocità delle riforme e dalla stabilità politica avevano ritrovato la fiducia per investire in un settore industriale ed informatico in costante ascesa. “Riteniamo che il futuro, sia da un punto di vista demografico che di risorse tangibili e intangibili, appartenga all'ASEAN.” (Trinh Nguyen, 2013). Secondo la Banca dello sviluppo asiatico, gran parte delle economie orientali stanno ottenendo ottimi risultati, sia in termini di aumento della domanda di beni interni, sia in termini di esportazioni. A testimonianza del fatto, il PIL dell'anno 2013 si è attestato attorno ad una crescita del 6.6%, rispetto al 6% dell'anno precedente (Fonte dati, Banca Asiatica). In aggiunta, contemporaneamente alla ripresa di alcune nazioni industrializzate dalla crisi mondiale, le nazioni del sud est asiatico continuano ad attivare politiche volte a creare una maggiore cooperazione e coordinazione tra le nazioni dell'ASEAN. Gli esperti di politiche finanziarie cercano di creare regolamentazioni di breve termine che non abbiano conseguenze su quelle di lungo termine, in questo modo l'obiettivo è quello di creare più stabilità, sostenibilità e una maggiore integrazione nazionale delle economie. Nonostante un cambio di direzione delle esportazioni asiatiche, dovute ad una diminuzione della domanda soprattutto estera, nel 2011 gli scambi
  • 24. interregionali si sono mantenuti al 56%. Questo fatto dimostra come le nazioni del sud est asiatico si stiano trasformando in uno stato autosufficiente, capace di autoregolarsi, di far circolare i capitali e di soddisfare la domanda interna con l'offerta delle imprese locali. L'ASEAN costituisce circa il 15% dell'output asiatico e circa il 25% del mercato orientale regionale. L'espansione dei collegamenti tra i diversi mercati riflette l'importanza delle economie sud est asiatiche nella scena globale. TABELLA 5: CRESCITA ECONOMICA DEL SUD EST ASIATICO 2008-2014 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014* Indonesia 6 4,6 6,2 6,5 6,2 6,4 6,6 Malesia 4,8 -1,5 7,2 5,1 5,6 5,3 5,5 Singapore 1,7 -0,8 14,8 5,2 1,3 2,6 3,7 Laos 7,2 7,3 7,5 7,8 7,9 7,7 7,7 Vietnam 6,3 5,3 6,8 5,9 5 5,2 5,6 Cambogia 6,7 0,1 6 7,1 7,2 7,2 7,2 Tailandia 2,5 -2,3 7,8 0,1 6,4 4,9 5 Sud Est Asia 4,4 1,4 7,9 4,7 5,5 5,4 5,7 *Previsione secondo la Banca dello sviluppo asiatico Fonte: outlook ministero dello sviluppo asiatico, 22 aprile 2013 Dalla tabella riportata è comprensibile notare come le regioni meno soggette a capitali e investimenti provenienti da Paesi industrializzati abbiano sentito in modo minore gli effetti della crisi del 2008. Ad esempio Laos e Cambogia hanno mantenuto dei tassi di crescita elevati per tutto l'arco temporale analizzato, infatti l'FDI da parte dei mercati occidentali si è mantenuto basso fino ai primi segnali di ripresa odierni. In questo modo le due regioni non hanno risentito del taglio dei capitali operato dagli investitori in seguito ala crisi finanziaria. Grande importanza, nella recente crescita dei Paesi sud est asiatici, è stata data dagli accordi per un mercato libero (FTAs, Free Trade Agreements), che si fondano su due principi; consolidamento, per creare un mercato privo di
  • 25. restrizioni all'interno della regione e multi-lateralizzazione, per garantire preferenze non discriminatorie da parte dei Paesi non membri e per eliminare eccessive discrepanze tra le nazioni stipulanti l'accordo. La linea di principio che si vuole seguire è quella di intensificare l'integrazione all'interno dell'ASEAN. L'obiettivo per il 2015 è quello di creare un ASEAN economic community (AEC) che punti a promuovere un flusso di prodotti e servizi a bassa tassazione, investimenti e un istruzione professionale per la forza lavoro. Realizzare una tale integrazione economica potenzierebbe i ricavi e il benessere delle regioni. Nazione promotrice di tale integrazione è la Tailandia, che ha vissuto dal 2011 al 2012 una crescita del PIL dallo 0.1% al 6.4%; oggi è considerata, assieme alla Malesia, una nazione a medio-alto reddito. 1.3 Le politiche monetarie della FED: una minaccia per i mercati emergenti La Banca Centrale degli Stati Uniti, in risposta alla crisi del 2008 aveva attivato una serie di politiche monetarie convenzionali e non, con lo scopo di sostenere un'elevata liquidità nel sistema finanziario e spingere, al più presto possibile i mercati mondiali fuori dalla recessione. Il quantitative easing (QE) ha avuto l'obiettivo di contenere il livello dei tassi governativi a lungo termine. Attraverso operazioni di mercato aperto, come l'acquisto di attività finanziarie, tra cui molti titoli tossici derivanti dalla bolla speculativa sui sub-prime, la banca centrale rilasciò gradualmente sul mercato elevati quantitativi di liquidità cercando di arginare le passività di aziende e istituti bancari. Da marzo 2009, attraverso diverse operazioni di QE, vennero immessi nel circuito finanziario circa 2000 miliardi di dollari, derivanti dall'acquisto di titoli di stato. Nonostante alcuni segnali di ripresa dell'economia americana nel 2010, l'allora presidente Ben Bernanke decise di mantenere una linea sicura per garantire solide basi alla tanto attesa recovery. L'ultima operazione, denominata QE3 avvenne nel dicembre 2012, quando il Federal Open Market Committee (FOMC) annunciò degli acquisti mensili di 85 milioni di dollari ogni mese, per garantire una sufficiente liquidità e diminuire il rischio di default. Un rischio di una tale politica espansiva è quello di un deprezzamento del tasso di scambio della moneta locale, in questo
  • 26. caso il dollaro. Si calcola che solamente dopo l'annuncio del CEO della FED, di attivare un ciclo di QE, la moneta statunitense abbia perso circa il 7% del valore iniziale rispetto ad un ampio paniere di valute. A spingere questo trend sono stati anche coloro che scommettendo contro il dollaro hanno attivato una serie di speculazioni. Come precedentemente descritto, le politiche di QE permettono nel lungo periodo di mantenere dei bassi tassi di interesse, che possono incentivare il flusso in uscita di capitali verso altri Paesi; ma tali politiche possono contemporaneamente ridurre la domanda estera di moneta locale, in quanto deprezzata. Coloro che possono in primis beneficiare del QE sono gli esportatori che vivono nella nazione che applica tale operazione non convenzionale e allo stesso modo i debitori, che grazie ad una diminuzione del tasso di interesse sui prestiti devono meno denaro agli istituti bancari, grazie al meccanismo dell'inflazione. L'economista e direttore de International Business at the India, China & American Institute Dan Steinbock, ha definito il quantitative easing come una hot money trap. Secondo il ricercatore, la reazione dei mercati emergenti fu quella di incrementare i tassi di interesse sui depositi e sui prestiti, per prevenire una minaccia di inflazione o bolle speculative. In particola modo la Cina passò da un 2.5% ad un 5.56%. In occidente la prima reazione fu quella di sell-off nei mercati, ossia una vendita di titoli in previsione di quotazioni al ribasso. La trappola della liquidità tuttavia non intaccò la crescita delle economie del sud est asiatico, meno coinvolte direttamente con gli Stati Uniti. In queste regioni si osservò un aumento dei capitali provenienti dai Paesi occidentali, incentivati da un basso costo dei prestiti e da un dollaro sufficientemente potente rispetto le valute locali. Con la politica di QE gli Stati Uniti, dal 2009 al 2013, hanno beneficiato di una debole, ma costante ripresa, ad esclusione del tasso di disoccupazione stabile al 6.5%. Una ripresa che ha favorito un aumento dei FDI verso le economie emergenti, trasportandole verso il successo economico. Il miglioramento dello stato macroeconomico statunitense ha portato nel 2013 ad una serie di dibattiti su quanto fosse necessario continuare o ridurre il QE. Uno dei rischi derivanti dal ricorso di politiche monetarie non convenzionali nel lungo periodo è quello di disincentivare l'attuazione di riforme strutturali necessarie a
  • 27. stimolare la crescita nel medio-lungo termine. La liquidità rilasciata nel sistema, infatti, crea dipendenza per le imprese e per le banche, che possono in questo modo ottenere denaro molto più facilmente rispetto all'assenza di politiche di QE. In relazione ai presenti rischi, nel maggio 2013, il presidente della FED Ben Bernanke annunciò l'intenzione della banca centrale americana di ridurre gradualmente le operazioni di QE sul mercato, attivando la politica del tapering. Nella conferenza stampa svoltasi nel dicembre 2013, fu confermata l'intenzione di ridurre gli stimoli monetari attraverso i quali ogni mese la FED rilasciava liquidità sul mercato. Un primo rallentamento negli acquisti di prodotti finanziari vide il passaggio da $85 a $75 milioni. Lo stesso taglio di $10 milioni venne applicato nei mesi successivi, raggiungendo la soglia di $65 milioni. Con il cambio del CEO della FED, la politica di tapering non è cambiata; a giugno 2014, l'amministratore delegato Janet Yellen ha progressivamente ridotto gli acquisti della banca centrale statunitense a $45 milioni al mese. Per scongiurare dei contraccolpi eccessivi nel mercato e per evitare che il tapering fosse visto come una politica monetaria eccessivamente restrittiva, fu adottata una mix- forward guidance, limitando l'incertezza sui mercati. Un mix di strumenti che operavano in direzioni opposte; infatti, se da un lato veniva diminuita l'immissione di liquidità nel sistema con il tapering, dall'altro venivano garantiti dei tassi di interesse bassi fino a quando non si sarebbero raggiunti gli obiettivi occupazionali prefissati. Le prime reazioni dei mercati emergenti non furono positive. La possibile idea di limitare l'immissione di denaro liquido e un futuro aumento dei tassi di interesse, aveva spaventato soprattutto quei Paesi con un alto indebitamento verso gli Stati Uniti. Inoltre, per quelle regioni che avevano accolto la fuga di capitali, in seguito alla crisi del 2008, si stava avverando la tendenza inversa. Gli investitori, confortati dalla fiducia che la FED garantiva al mercato americano in lieve crescita e preoccupati per un eccessivo indebitamento dei mercati emergenti, iniziarono a spostare i capitali nuovamente nei Paesi industrializzati. Un deflusso di capitali, a seguito di un'inversione della politica monetaria statunitense, ha gravato non indifferentemente sulle condizioni finanziarie locali e ha anche portato ad un deprezzamento delle valute.
  • 28. GRAFICO 2: SCOMPOSIZIONE DEI FLUSSI NETTI DI PORTAFOGLIO In miliardi di dollari Fonte: elaborazione SACE su dati FMI, WEO ottobre 2013 Come è possibile notare dal grafico, durante l'attuazione delle politiche di QE i flussi di capitali, sia in titoli di stato che in equity si sono mantenuti a livelli discretamente elevati. Nel maggio 2013, l'annuncio del tapering ha creato delle profonde perplessità e un deflusso degli investimenti, nuovamente verso i Paesi sviluppati. Un side effect prevedibile, dal momento che la FED comprerà sempre meno prodotti finanziari e di conseguenza rilascerà una minore quantità di liquidità circolante. Gli investitori, temendo un possibile aumento dei tassi di interesse preferiscono avere una riserva di capitale, richiamando quindi dall'estero i propri assets. In vista di ampi deflussi di investimenti, le banche centrali asiatiche, per arginare il ribasso delle proprie valute hanno fatto ricorso a strumenti di mercato, come l'aumento dei tassi ufficiali e operazioni sul fronte dei cambi. A differenza della crisi asiatica del 1997, oggi i tassi di cambio non sono più fissi e risulta meno complesso gestire la volatilità dei mercati finanziari. Nel sud est asiatico, oltre
  • 29. all'India, l'Indonesia ha registrato un marcato peggioramento nel cambio con il dollaro. Inoltre, la presenza di partite correnti negative e deficit fiscali in aumento hanno causato squilibri strutturali interno non indifferenti. Nonostante alcune incertezze sul mercato, causate da un possibile ritiro del QE, le nazioni dell'ASEAN si dimostrano più solide rispetto a quando furono colpite dalla crisi del 1997. Oggi presentano dei tassi di crescita elevati, dei debiti in valuta locale con una struttura a lungo termine, partite correnti con saldi migliori, tassi di cambio flessibili e non fissi e ingenti riserve valutarie che aiuterebbero a controbilanciare il deflusso dei capitali. Ciò che gli analisti finanziari si domandano è quanto possa durare la fuga di capitali dai Paesi emergenti in seguito al tapering e se questa sia una stagione o solamente una pausa di riflessione per i mercati emergenti. “In conclusione, permangono dei problemi, principalmente in India e in misura minore in Indonesia, ma i recenti deflussi di capitali riflettono principalmente il nervosismo nei confronti di un rallentamento del quantitative easing, piuttosto che problemi strutturali nella regione. I fondamentali restano solidi e i recenti timori risultano essere eccessivi. La regione dell'ASEAN rimane, nel complesso, lontana dagli eccessi che portarono alla crisi del 1997.” (Cfr. DBS Group Research, 2013, Economics Markets Strategy 4Q 2013, 12 settembre 2013, pag.6) In conclusione il tapering ha avuto inizialmente degli effetti negativi soprattutto sui flussi di capitali che gli investitori inviavano verso i Paesi emergenti. Nel caso del sud est asiatico, grazie alla capacità di autoregolarsi e di autofinanziarsi, alcune regioni dell'ASEAN hanno risentito in modo minore gli effetti di questa politica non convenzionale. Tuttavia i capitali dei Paesi industrializzati rimangono una risorsa di primaria importanza per quelle regioni che ne necessitano. Attraverso i capitali si possono finanziare opere pubbliche e soprattutto, attraverso l'apertura di filiali o imprese, si può dare lavoro a migliaia di persone, aumentando il tenore di vita della popolazione locale.
  • 30. 1.4 Dai BRICs ai MINT La globalizzazione e l'espansione dei mercati finanziari sono fenomeni che si sono evoluti in tutto il mondo in modo non omogeneo. Prima delle guerre mondiali il punto di riferimento era l'Europa, con l'Inghilterra che poteva contare su un impero di colonie che garantivano l'approvvigionamento delle materie prime e dei mercati di sbocco ai quali vendere prodotti finiti. Alla fine della seconda guerra mondiale, furono gli Stati Uniti ad uscirne rinforzati. Il “sogno americano”, possedere una casa, un lavoro e un auto, era l'emblema del capitalismo moderno. Negli anni '60 si sviluppò una nuova mentalità economica di tipo imperialista. Molti investitori, spinti dalla fiducia post bellica e dai continui guadagni derivanti dalla ripresa, cercarono nuovi mercati finanziari dove poter investire e avere dei ritorni economici elevati. Con l'abbattimento del muro di Berlino, infine, il mondo occidentale, con i suoi prodotti e la sua cultura, si affacciò sul mercato orientale. La fine della guerra fredda aveva permesso una maggiore unificazione del commercio mondiale, abbattendo le barriere culturali e permettendo ai mercati emergenti di acquistare fama. Il flusso di capitali, proveniente dai Paesi industrializzati era libero di circolare in tutto il mondo; una tendenza che si accentuò sempre di più con l'avvento del web e dell'elettronica. Principale destinazione dei flussi finanziari erano quei Paesi che possedevano delle materie prime in grado di soddisfare la domanda dei Paesi industrializzati. Nel 2001, un gruppo di economisti della Goldman Sachs guidati da Jim O'Neill, iniziarono uno studio sui mercati emergenti che, secondo le ultime statistiche e stime economiche, erano i più propensi ad una rapida crescita. I BRICS Brasile, Russia, India, Cina e dal 2010 sud Africa diventarono nel corso di pochi anni un vero e proprio punto di riferimento per i mercati emergenti. I cinque Paesi formano un aggregato geo-economico pronto a competere sulla scena mondiale con le economie sviluppate, gravemente indebolite dalla crisi finanziaria. I Paesi che compongono i BRICS sono accomunati da alcune caratteristiche tipiche di un'economia in via di sviluppo: una popolazione numerosa, un ampio territorio, abbondanti risorse naturali strategiche e una forte crescita del PIL paragonato alla quota del commercio globale. Oggi i Paesi dei BRICS comprendono il 42% della
  • 31. popolazione mondiale, il 25% dell'estensione totale terrestre, il 20% del PIL mondiale e il 16% del commercio internazionale. La struttura portante dei BRICS fu inizialmente costituita da Russia, India e Cina. Tuttavia il limitato raggio d'azione non permetteva all'alleanza di competere sulla scena globale e di espandere la propria influenza e attrattiva, soprattutto in riferimento a Stati Uniti ed Europa. Si pensò, quindi, di aggregare altre potenze che agli inizi degli anni 2000 davano qualche segno di sviluppo positivo. Il primo paese ad essere coinvolto fu il Brasile, che costituiva la maggior potenza economica dell'America meridionale e la quarta economia emergente a livello mondiale. Nel 2010, in seguito ad un summit e su pressioni della Cina, fu coinvolto anche il sud Africa, un paese caratterizzato da una forte crescita economica e da un costante flusso di investimenti proveniente soprattutto dall'Europa. Nonostante i BRICS vengano rappresentati come Paesi dalle caratteristiche omogenee, esistono alcune particolarità proprie ad ogni paese. La Cina, ad esempio, si è dimostrata essere la testa dei BRICS, con un PIL pari al 55%, un commercio estero del 65% e una produzione di energia del 50% rispetto agli altri Paesi componenti il gruppo. Non vanno inoltre sottovalutati alcuni fattori di tensione che potrebbero minare la solidità interna ai BRICS. In India, ad esempio, gli scandali di corruzione potrebbero avere delle ripercussioni politiche, andando a minale la stabilità del paese e quindi la possibile fiducia degli investitori. Il processo tecnologico in Russia è rallentato da una élite politica restia a tecnologie che potrebbero provenire dal mondo occidentale industrializzato. La Cina è minacciata da una continua crescita del divario tra ricchi e poveri. Il Brasile infine è costantemente afflitto da campi repentini di governo e da riforme strutturali che non vengono messe in atto, causando rabbia e scontri civili. Il principale avvenimento che ha sconvolto l'evoluzione dei BRICS è stata la crisi finanziaria scoppiata nel settembre 2008. Nonostante i livelli di crescita promettenti, la diminuzione dei flussi di capitale provenienti dai Paesi sviluppate causò un duro rallentamento.
  • 32. Grafico: 3 In seguito alla crisi finanziaria del 2008, la produttività dei Paesi industrializzati è calata, così come sono diminuiti i flussi di investimento verso le economie emergenti. Come riportato dal grafico Stati Uniti e Gran Bretagna sono stati, tra i Paesi presi in esame, i più colpiti in una calo del PIL annuo fino al -5% negli anni 2009-2010, con dei deboli segnali di ripresa negli anni successivi. A seguito delle perdite dei Paesi sviluppati hanno seguito anche delle perdite per i Paesi dei BRICS. Alcuni come Cina e India non hanno subito dei cali eccessivi. La Cina allo scoppiare della crisi, poteva già contare su di un economia basata sulla produzione intensiva di merci e beni che avevano, se non in occidente, in oriente un mercato di sbocco dove poter vendere i prodotti. Il calo del PIL di circa il 4% fu causato essenzialmente da quelle imprese occidentali che, non avendo retto il crollo finanziario e quindi una diminuzione dei propri capitali furono costrette a disinvestire e a chiudere le filiali estere. Caso simile, fu quello dell'India, ma al contrario della Cina, allo scoppiare della crisi finanziaria non aveva ancora ottenuto il successo che ha oggi. La fiducia degli investitori era ancora bassa e quindi gli investimenti occidentali si mantenevano a livelli medio-bassi, diminuendo quindi la dipendenza dalle nazioni sviluppate. Nonostante oggi, secondo le ultime stime, il PIL rimanga su uno stabile +5%, l'India sarà destinata nel 2020 a diventare la più rapida economia in crescita. Una minore dipendenza
  • 33. si dimostrò proficua, causando analogamente come la Cina una diminuzione del PIL di circa il 4-5%. Brasile e Russia, invece, furono le nazioni dei BRICS ad essere più colpite durante la crisi, con una perdita del PIL negli anni 2009-2010 pari al -5% e -10% rispettivamente. Causa di questo drastico rallentamento nelle stime della crescita sono dovute prima di tutto alla dipendenza di questi due Paesi dai Paesi sviluppati. La Russia in particolare fu presa di mira da speculazioni soprattutto in campo di disponibilità di risorse, come gas ed energia. Il Brasile, invece, fu coinvolto, oltre che da una diminuzione del FDI da una crisi politica, che portando il paese ad una minore stabilità, allontanò molti investitori. Quello che più di tutto ha stupito gli analisti finanziari è stata la lenta ripresa dei BRICS. In seguito alla crisi ci si aspettava una recovery, così definita dagli americani, che avrebbe portato questi Paesi in via di sviluppo ad avere nuovamente il ruolo di locomotiva dell'economia. Nel 2013 il Fondo Monetario Internazionale (FMI), tagliò le stime di crescita del PIL cinese, dal 8.2% al 7.75%, un risultato che, seppure maggiore di molte economie sviluppate, inizia a creare alcune preoccupazioni. Se la crescita cinese rallenta, una delle prime cause potrebbe essere un aumento del debito pubblico, stimato attorno al 50% del PIL. Anche le stime indiane sono riviste al ribasso. Mentre nel 2010-2011 il PIL prometteva una crescita di quasi il 9%, oggi è stabile attorno al 5-6%, a causa di forti inefficienze interne, imputabili soprattutto ad una normativa complessa e da un fisco molto pesante. Il Brasile dal 2012 ha iniziato una campagna di aumento dei tassi di interesse per contrastare l'inflazione al 6.46% del 2013, una campagna totalmente differente rispetto quella messa in atto dalle banche centrali di tutto il pianeta. Per quest'anno si potrebbe prevedere un ulteriore aumento dei tassi da parte della banca centrale brasiliana, che dal'8% potrebbe arrivare al'8.5%. Allo stesso tempo l'economia del Brasile ristagna, con una crescita del PIL solo dello 0.6%, portando ad un prodotto interno lordo totale del 3.5%. La Russia infine è stata colpita negativamente soprattutto dai recenti interventi in Ucraina e Crimea. La paura di una possibile guerra e di un congelamento delle relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti, hanno portato in un solo giorno il titolo RTS di mosca ad un -10%.
  • 34. Questa serie di eventi e la paura di un nuovo rallentamento dell'economia globale, causato questa volta dai paese emergenti ha portato gli investitori all'esplorazione di nuovi Paesi, che nonostante la crisi mondiale in atto, hanno subito dei contraccolpi più leggeri. L'attrazione dei capitali, inoltre, non dipende solamente dalle condizioni economiche favorevoli, ma anche dalla stabilità politica. Un governo solido permette di varare leggi e riforme che possano tutelare il mercato e gli stockholder, garantendo un flusso di denaro in grado di finanziare nuove opere economiche in un paese. Recentemente si è parlato di MINT. L'economista britannico Jim O'Neill, che già aveva coniato l'acronimo BRICS sostiene che nonostante le ultime titubanze, i mercati emergenti continueranno a guidare l'economia globale. Le nuove economie esordienti hanno in comune delle favorevoli dinamiche demografiche e prospettive di crescita elevate. In aggiunta, come i BRICS, possono contare su un costo del lavoro più basso rispetto agli standard europei e statunitensi. Nell'aprile 2014, O'Neill ha stilato una lista di quelli che si stanno dimostrando i nuovi giganti dell'economia, Messico, India, Nigeria e Turchia. “Ho trascorso alcuni giorni in Indonesia per la realizzazione di una serie di documentari per la BBC Radio sulle quattro economie emergenti non appartenenti al gruppo BRICS. Queste ultime sono state già seguite da vicino con un certo interesse. Il gruppo che invece sto studiando in questo momento non merita certamente meno attenzione. Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia hanno avuto uno sviluppo demografico considerevole negli ultimi vent’anni e le loro prospettive economiche sono molto favorevoli.” (Cit. Jim O'Neill, Pan Kwan Yuk, Financial Times, 14 Novembre 2013) La tesi dell'economista viene spiegata attraverso un grafico FMI e EDYMAR PROJECTIONS che segue, sui futuri mercati nel 2050.
  • 35. TABELLA 6: PROIEZIONE DEL PRODOTTO INTERNO LORDO GLOBALE Tra i primi dieci Paesi nel 2050, sei sono considerati economie emergenti, tra cui Messico ed Indonesia. Attualmente il flusso di investimenti che viene diretto verso i MINT è pari al 10% di quello che viene diretto verso i BRICS. Tra i nuovi mercati emergenti, quello che attira di più l'attenzione degli investitori è l'Indonesia. Nel luglio 2014 si verificheranno le elezioni presidenziali, come in molti Paesi asiatici, che potranno causare una tornata positiva di ottimismo e di capitali. Una possibile soluzione alla lama del tapering statunitense. La stabilità politica potrebbe garantire un piano di investimenti nuovo e consolidare i risultati economici attesi, con un PIL in crescita del 6%. Accanto però a queste previsioni ottimistiche, alcuni analisti finanziari ritengono che nel lungo termine i Paesi emergenti, appena citati, potrebbero subire dei rallentamenti. Il fenomeno del re-shoring segnerebbe il ritorno della produzione, soprattutto manifatturiera, dai Paesi con bassi costi di manodopera, ai Paesi industrializzati. Una previsione quasi reale se si tiene conto dello stato di recovery odierno degli Stati Uniti. Le cause di una tale migrazione produttiva sono prima di tutto, il costo della manodopera che sta costantemente salendo nei Paesi emergenti come la Cina, i prezzi dell'energia in continuo aumento e una tasso di produttività piuttosto basso rispetto al numero degli impiegati. Tra i Paesi che compongono l'acronimo MINT, l'Indonesia si è recentemente mostrata come la nazione più promettente dell'ASEAN. L'aumento dei consumi e
  • 36. un proficuo scambio interregionale con le altre nazioni sud est asiatiche sono la premessa per il successo del paese. Nel 2011 il PIL indonesiano si è attestato attorno ai US$ 847,4 miliardi, rispetto ai US$ 713,7 miliardi del 2010 con un conseguente incremento del 15.6% (Dati, Banca Mondiale, 2013). Tuttavia i mercati sviluppati non possono prescindere solamente dai segnali positivi emessi da queste nuove economie. Secondo i dati dell'ADO (Asian Development Outlook) i prezzi ai consumatori sono destinati a salire da un 4% nel 2013 a un 4.2% nel 2014, contro le previsioni del 2013 del 3.7%. Un'inflazione che per il momento rimane nella norma, ma deve essere costantemente monitorata. Stati Uniti, Europa e Giappone devono creare delle regolamentazioni per garantire una crescita sana. Alcune leggi in materia, hanno limitato l'accesso di capitali provenienti dall'occidente per evitare una possibile bolla finanziaria. Contemporaneamente anche all'interno dell'ASEAN sono state prese delle precauzioni in termine di politiche fiscali e politiche governative. Una nazione giovane, che si affaccia al futuro con una classe media numerosa e ricercatrice di prodotti alla moda che ha subito un sensibile miglioramento nel reddito pro-capite, passando da US$ 2,981 nel 2010 ai US$ 3.509 nel 2011, con un incremento del 17.7% (Dati, Banca Mondiale, 2013). Secondo i dati della Banca Mondiale, l'espansione del ceto medio indonesiano è stata pari a 61.73% nel periodo 2003-2010, con un passaggio da 81 milioni a 131 milioni di individui. Una nuova sfida per i mercati mondiali, che assistono all'accesso di una nuova potenza economica. Una nuova sfida anche per il nostro Made in Italy.
  • 37.
  • 38. Capitolo 2 La gestione d'impresa nel sud-est asiatico Il seguente capitolo si pone l'obbiettivo di analizzare nel dettaglio quali possano essere i punti di forza e i fattori in grado di attrarre investimenti ed imprese nei mercati emergenti del sud-est asiatico. Investitori ed imprenditori hanno l'obiettivo di massimizzare il profitto e creare relazioni durature nel tempo, in modo tale da generare un guadagno non solo di breve, ma anche di lungo periodo. Di conseguenza, se il primo passo è quello di attrarre investimenti, il secondo passo consiste nel creare una sostenibilità finanziaria tale da garantire la sopravvivenza di nuove start-up aziendali. Le componenti che sono in grado di promuovere strategie positive per le multinazionali variano dalle relazioni con il governo, con i consumatori, con i fornitori, con la comunità, alla capacità degli imprenditori di adottare tutte le leve del marketing mix. Inoltre, nel caso dei mercati emergenti, sono da considerare due importanti elementi; questi sono il livello di povertà e la distribuzione del reddito. I mercati del sud-est asiatico, negli ultimi anni, sono diventati, metaforicamente parlando, un “regno del Sol nascente” per gli investimenti. Con la crisi del 2008, e il successivo periodo di austerity, negativamente accolto dalla maggioranza degli investitori e, in modo particolare, dalla loro fiducia, l'IMF (International Monetary Fund), ha registrato un aumento nella curva della quantità di denaro destinata ai Paesi emergenti situati ai confini dell'oriente. Il sud-est asiatico, in particolare Indonesia, Malesia e Thailandia sono diventati mercati molto attraenti per attività finanziarie e di business da parte di multinazionali occidentali. “...Superata la crisi del 1997, le nazioni dell'ASEAN si sono affacciate sul mercato mondiale come nuove frontiere da conquistare.” (Christine Lagarde, managing director of the IFM, discorso del 7/07/2014)
  • 39. Una prospettiva, che permetterebbe a queste nazioni di integrarsi in modo permanente nel mercato economico e finanziario globale è costituita dalla fiducia che i trader mondiali ripongono nella stabilità dei governi e nei continui miglioramenti delle infrastrutture locali. A titolo esplicativo, secondo una ricerca di Frost & Sullivan (2013), l'aera sud orientale dell'Asia, della quale fanno parte Indonesia, Malesia, Thailandia, Singapore, Vietnam, Brunei, Myanmar, Cambogia e Laos, dovrebbe diventare entro il 2018 il sesto mercato automobilistico nel mondo. Mentre in Europa e negli Stati Uniti questo settore ha riscontrato notevoli rallentamenti, causati anche da un aumento del carburante, la possibilità di esportare il prodotto automobile in mercati nuovi e in via di sviluppo rappresenta una notevole occasione di profitto. Secondo le stime si dovrebbe passare da 2,4 milioni di unità/anno a circa 4,7 nel 2018. “...Le opportunità di investimento sono interessanti. Grazie alla vastità numerica del mercato (605 milioni di persone con un tasso di motorizzazione pari a 50 auto ogni 1000 abitanti) ed un tasso di crescita annuale del 10,1% nel periodo 2011-2018.” (Frost and Sullivan, Annual marketing priorities suvey result 2011) Nello studio, si sottolinea in particolare di come Thailandia e Indonesia dovrebbero recitare un ruolo principale in questo sviluppo, favorite dagli ingenti investimenti provenienti dalle case automobilistiche cinesi e giapponesi. Ulteriore passo compiuto in questa sezione dell'operato è un'indagine sui principali costi che un impresa deve sostenere se ha intenzione di investire nell'area economica dell'ASEAN. Verrà proposta una case study su un'azienda italiana che ha ottenuto successo e continua a generare profitto nella regione che presenta un mercato in crescita e pronto ad accogliere l'offerta di imprese e investitori.
  • 40. 2.1 Analisi di mercato L'analisi macroeconomica del mercato è una prima e fondamentale azione da compiere per valutare l'ambiente in cui si andrà ad operare. Attraverso questo strumento, imprenditori ed investitori possono ricavare utili dettagli legati ai fattori chiave che potrebbero influenzare il loro business. I dati raccolti serviranno poi a progettare delle strategie che saranno efficaci se porteranno a risultati competitivi, economici e sociali positivi. In questo paragrafo, l'analisi macroeconomica del mercato sarà effettuata considerando gli aspetti che, in prima istanza, sono in grado di attrarre investimenti. Mi servirò, nelle seguenti pagine, di due tipi di strumenti utilizzati per la valutazione economica delle nazioni situate nel sud-est asiatico. Il primo è quello condotto dal Business Innovation Observatory (2011); secondo il quale, fine principale di un simile studio è quello di costruire scenari di medio- lungo termine in grado di orientare i movimenti più ampi dei mercati. Le principali variabili osservate sono due: 1 Indicatori di crescita economica: -PIL; -Produzione industriale; -Consumi; -Investimenti; -Variazione delle scorte; -Scambi con l'estero; -Disoccupazione;
  • 41. 2 Indicatori monetari: -Inflazione -Tassi di interesse. -Livello di tassazione -Barriere all'ingresso Oltre a questi due tipi di indicatori, si aggiungono variabili proprie dei mercati in via di sviluppo. Nell'analizzare le nazioni del sud-est asiatico, secondo The European Commission's Directorate General for Enterprise and Industry (2008), non bisogna sottovalutare la stabilità politica, il livello delle infrastrutture e la rete di comunicazione. “...Oggi internet costituisce il primo mezzo di comunicazione di massa e saperlo sfruttare al meglio può fare la differenza tra un business model di successo e uno scadente.” (Warren Buffett in Janet M. Tavakoli, dear Mr. Buffett: what an investor learns 1,269 miles from Wall Street, John Wiley and Sons, 2008) Un secondo tipo di analisi, consiste nello studio dell'indice MSCI Global Equity Indexes, che rappresenta oltre 650 fondi di investimento coprendo 75 Paesi sviluppati, emergenti e in via di sviluppo. Questo tipo di studio permette una comparazione tra i vari mercati, settori o segmenti per dare una visione globale e indirizzare i traders al migliore business. “...I mercati del sud-est asiatico stanno diventando affollati di investitori, con valutazioni in certi casi davvero elevate.” (Stefano Testori, Non solo Cina, Norisk, analisi ETF views)
  • 42. Analisi di mercato secondo i criteri economici e monetari Di seguito vengono riportate delle schede economiche di Malesia, Indonesia e Thailandia analizzate con il criterio degli indicatori economici e monetari. L'analisi di mercato è stata effettuata da The world bank, che nel 2013 ha considerato queste tre nazione come le più propense ad attrarre investimenti, con tassi di crescita sostenuti. Malesia La Malesia si affaccia sul mercato mondiale come una potenza di media grandezza. Nonostante il PIL si collochi al decimo posto tra i Paesi dell'Asia, dopo Cina ed India, la nazione è al quarto posto tra i nuovi Paesi industrializzati del pianeta. “Negli ultimi 30 anni la Malesia ha conosciuto un fortissimo sviluppo economico divenendo uno dei Paesi più ricchi del sud-est asiatico, non più dipendente soltanto dalla produzione ed esportazione di materie prime. Se da una parte la Malesia mantiene il primato mondiale nella produzione di caucciù e di stagno, dall’altra è diventata leader mondiale nella produzione di componenti elettronici e primo Paese del sud-est asiatico per l’assemblaggio e l’esportazione di autoveicoli.” (RBS, Trend and Trading, Malesia, l'economia ruggisce ma preoccupa la debolezza della valuta, martedì 4 febbraio 2014)
  • 43. TABELLA 7: DATI MACROECONOMICI DELLA MALESIA 2005 2008 2010 2013 PIL – tasso di crescita % 5,30% 5,00% 5,20% 5,60% PIL – mld USD 202,3 247,5 289,3 312,4 PIL pro capite USD 5270 7278 8754 10514 Tasso di inflazione annuo % (CPI) 3,00% 5,40% 1,70% 3,20% Tasso di disoccupazion e (%della forza lavoro) 3,50% 3,70% 3,10% 3,10% Debito pubblico (% del PIL) 52,40% 53,50% 54,70% 53,00% Dati: The World Bank 2013 A testimoniare una tale posizione è la moderata, ma costante crescita percentuale del prodotto interno lordo. Nonostante un rallentamento, verificatosi in coincidenza alla recessione globale (il PIL malesiano subì una contrazione del 1,7%), si è passati da 247 a 312 miliardi di dollari in soli cinque anni. Una crescita economica che è andata a beneficio di tutti i vari ceti sociali evitando in parte che l'incremento del reddito medio fosse accompagnato da un aumento del divario fra le varie classi sociali. Nel 1970, in coincidenza con la trasformazione da paese produttore di materie prime a economia emergente multi-settoriale, il governo decise di emanare dei decreti legge in grado di garantire un' equa distribuzione di capitale a tutte le regioni della nazione. Il settore privato continuerà a trainare l'economia, con una previsione d'aumento del 6,6%, una
  • 44. crescita dei consumi privati del 6,2% e degli investimenti privati 8,3% (Dati forniti da: Banca Centrale della Malesia). La Malesia, oltre a far parte dell'ASEAN, è uno dei 12 pesi del TTP (Trans- Pacific Partnership). L'obiettivo dell'attuale governo è quello di aggiornare la propria economia per raggiungere lo status di nazione sviluppata entro il 2020. “...La Malesia continua nel tentativo di raggiungere nel 2020 lo status di paese ad alto reddito puntando sull'incremento dei processi produttivi ad alto valore aggiunto, in modo tale da attrarre investimenti esteri.” (Mohammad Najib Abdul Razak, Primo ministro della Malesia) Secondo i dati Mincomes dell'ufficio statistica Malesia – MIDA – MATRADE, la bilancia commerciale si attestava ad un +40,7 miliardi di dollari (USA) costante fino al 2011. L'ultimo dato è un +31,6 miliardi nel 2012. Come testimonia il dato, il valore delle esportazioni supera quello delle importazioni. Secondo la teoria mercantilista, il commercio estero, specie se consente di esportare beni di lusso, materie prime e semilavorati, accresce la ricchezza del paese perché fornisce una aggiunta alla domanda effettiva disponibile all'interno. GRAFICO 4: CRESCITA DELLE ESPORTAZIONI NEI PRINCIPALI SETTORI 2013-2014 Fonte: Malaysia external trade development corporation
  • 45. Merchandise Trade Data (2012) ha classificato la Malesia al 25 posto come più grande mercato di esportazione per i prodotti USA. Inoltre gli Stati Uniti rappresentano il quarto più grande partner commerciale, dietro Cina, Singapore e Giappone. Nell'estate 2013, l'esportazione nei settori manifatturiero e minerario sono cresciute fino al 40%. Ad alimentare questa crescita è stato l'aumento di foreign direct investment (FDI) da parte degli Stati Uniti, che da $13.9 miliardi nel 2011, sono passati a $15 miliardi nel 2012. Gli investimenti esteri si sono diretti prevalentemente verso il settore manifatturiero, i servizi e l'industria estrattiva. Nonostante la grave crisi che stanno attraversando i mercati internazionali, il ritmo degli investimenti esteri in Malesia dovrebbe crescere per l'anno corrente. Benché l'export, in particolare di elettronica, petrolio e gas rimangono un importante motore dell'economia, la politica economica tiene in particolare considerazione l'aumento della domanda interna, nel tentativo di diminuire la dipendenza della regione dalle esportazioni. Producendo prodotti che non sono richiesti dal mercato locale, si garantisce una maggiore occupazione lavorativa. Il tasso di disoccupazione è stabile, dal 2010, attorno al 3%. Un risultato di tutto rispetto, considerando che in Europa l'OCSE ha rivalutato al ribasso le prospettive dell'immediato futuro, passando dal 5,8% del 2007 al 8,5% del 2014. In Italia, l'ISTAT rivela un 13,6% in aumento. La Malesia rimane uno dei Paesi più attrattivi per gli investimenti esteri; il numero di aziende che sono state create nell'ultimo lustro sono pari ad una media annuale di circa 38000 nuovi business. Una crescita di oltre il 3,7%, di gran lunga superiore alla media dei principali Paesi industrializzati e ai BRICS. “...La Malesia si piazza al diciottesimo posto tra i Paesi dove è più facile fare business...” (Banca Mondiale, pubblicazione n° 118 del 2012)
  • 46. GRAFICO 5 Osservando il grafico delle importazioni in Malesia, appare evidente come la domanda interna dei consumatori sia in crescita. Il 12% dei prodotti importati sono beni pronti per essere consumati; il 60% invece è costituito da macchinari e prodotti industriali, utili per la costruzione di infrastrutture e per il miglioramento delle aziende produttive (Dati: Trading Economics, 2014). Le ottime infrastrutture e un efficiente network di servizi, un ambiente macroeconomico stabile, un mercato interno in forte crescita, un efficiente sistema bancario e una disponibilità di manodopera specializzata a prezzi concorrenziali fanno della Malesia una delle mete favorite dagli investitori stranieri. Nel 2011 si registrò un flusso di investimenti pari a 15,6 miliardi di euro, con una crescita del 49% rispetto al 2010. Principali investitori furono Giappone, Corea del Sud, USA, Singapore e Arabia Saudita. Come riportato da ADBInsitute nel Working Paper numero 422 del maggio 2013, la creazione di un'associazione tra le nazioni del sud-est asiatico riguardante le politiche di finanziamento sono possibili. Entro il 2015, l'ASEAN si predisporrà alla creazione del ASEAN Economic Community (AEC) per facilitare e offrire vantaggi alle transazioni provenienti dai Paesi in via di sviluppo localizzati nelle regioni dell'estremo oriente. Obiettivo principale sarà quello di liberalizzare i principali servizi finanziari, con
  • 47. la rimozione delle barriere in materia di transazioni finanziarie, assicurazioni e financial assets. Il vantaggio consisterebbe nella creazione di una maggiore competitività tra le istituzioni finanziare domestiche, diminuendo la dipendenza da banche straniere. Un secondo progetto che il Governo malese ha annunciato, contenuto nell'Economic Transformation Programme, vedrà la compartecipazione straniera per investimenti pari a 23 miliardi di dollari (USA) e creeranno oltre 88000 nuovi posti di lavoro. I settori che saranno interessati sono prima di tutto quello petrolchimico, settore turistico e ospedaliero. La politica monetaria della Banca Centrale malese (Bank Negara) continua a rimanere espansiva, nonostante alcuni interventi al rialzo hanno portato il tasso di interesse di riferimento al 3% negli ultimi mesi del 2011. L'obiettivo della nazione è quello di sostenere la ripresa economica attraverso condizioni di pressioni inflazionistiche sotto controllo. Attualmente l'inflazione è pari al 3,2%, ai massimi da due anni (Dati: Bank Negara 2012). Un azione che ha destato qualche perplessità presso Wall Street; “...Sostenere la crescita del paese anziché frenare la debolezza della moneta locale Ringgit è molto rischioso.” (Doug Flynn, investment advissor at LLC). Sul piano della politica fiscale, il governo malese, a partire dal 2009 ha introdotto una serie di misure atte a stimolare l'economia locale. Obiettivo primario era quello di ridurre il deficit pubblico il più possibile. “...Un espediente che è risultato fondamentale. Il disavanzo federale, che era pari al 7% del PIL nazionale nel 2009, è stato ridotto fino al 5,6%.” (Tan Sri Muhyiddin Yassin, vice- Primo Ministro della Malesia, World Economic Forum, meeting invernale di Davos 2011)
  • 48. Secondo The World Bank Group (2012) il debito pubblico malese si attesta al 53% dl PIL. Una cifra giustificata dall'aumento delle spese per investimenti in infrastrutture ed aumenti dei salari nel comparto pubblico. Una crescita che tuttavia non preoccupa gli investitori, dal momento che il governo malesiano ha predisposto una legge che limita l'ammontare massimo del debito pubblico al 55% del PIL. Nel 2012 l'agenzia di rating Moodys ha espresso un giudizio positivo sul taglio del debito pubblico della Malesia. Infatti, se nel 2011 il deficit era pari al 5% del PIL, nel 2012 esso è sceso al 4,7%. Una diminuzione che ha permesso una riduzione sugli interessi del debito e a un maggiore stimolo per gli investimenti pubblici. Per concludere, da una prospettiva finanziaria, la Borsa di Kuala Lumpur rappresenta la terza maggiore piazza del sud-est asiatico e la principale per la finanzia islamica, con una quota del 70% delle obbligazioni emesse nel 2013. Nel 2010 è stato varato il Government Transformation Programme che ha attratto investimenti per oltre 300 miliardi di euro. In questo modo, l'indice malese KLSE Composite Index ha guadagnato negli ultimi 12 mesi quasi l'11%.
  • 49. Indonesia “A promising future comes from dedication and a passion for learning. Abundant natural resources, strongly supported by macroeconomic policies and political stability. This is a state of democracy with a growing middle class and a youthfull workforce. A member of the trillion dollar GDP club. The right door will take you to the right investment; as shown by the investment grades. Indonesia is in its golden moment a prefferd investment destination. Invest in remarkable Indonesia.” (BBC, Invest In Remarkable Indonesia, Spot 2013 II) L'Indonesia è considerata, da Indonesia-Investments come l'economia più potente del sud-est asiatico, nonché la regione più densamente popolata, con 246.9 milioni di abitanti (2012). Un potenziale che non è passato inosservato da parte della comunità economica internazionale. La nazione, secondo parte della stampa specializzata, tra cui Bloomberg (04/2011) e WSJ Central Banks (05/2011) sarebbe una possibile candidata per entrare a far parte dei BRICS, dimostrando una rapida e visibile crescita simile a quella delle economie più sviluppate. Inoltre, recentemente, gli economisti hanno coniato un nuovo termine che racchiude i mercati mantenuti sotto una più attenta osservazione. I CIVETS (Colombia, Indonesia, Vietnam, Egitto, Turchia e Sud Africa). Secondo le più ottimistiche stime, entro il 2020, queste nazioni costituiranno metà del PIL mondiale. Un importante riconoscimento proviene inoltre dalle agenzie di rating Standard & Poor's, Fitch e Moody's che nel 2012 hanno portato la classificazione dell'Indonesia da Ba1 a Baa3 con outlook positivo. “This upgrade will confirm how good Inodesia's investment climate is, which will make foreign direct investment flow stronger.” (Felix Sindhunata, economist at PT Henan Puthrai in Jakarta, on Novrida Manurung and Berni Moestafa, Indonesia Regains Investment grade at Moody's after 14 years, Bloomberg, 01/2012)
  • 50. Il flusso di FDI, che è rimasto particolarmente debole durante gli anni della crisi asiatica, è aumentato sensibilmente in coincidenza della crisi globale del 2008- 2009, beneficiando anche di un upgrade in sede OCSE (nel 2010 e nel 2012). TABELLA 8: DATI MACROECONOMICI INDONESIANI 2005 2008 2010 2013 PIL – tasso di crescita % 5,30% 4,80% 7,40% 5,30% PIL – mld USD 285,5 510,2 709,2 868,3 PIL pro capite USD 1273 2272 2946 3556 Tasso di inflazione annuo % (CPI) 4,80% 5,10% 5,40% 6,40% Tasso di disoccupazion e (%della forza lavoro) 6,20% 5,40% 6,10% 5,80% Debito pubblico (% del PIL) 55,80% 35,00% 28,60% 24,00% Dati: The World Bank 2013 La prospettiva di crescita del PIL è ciò che attrae maggiormente gli investitori. Nonostante abbia subito un notevole rallentamento tra il 2010 e il 2013, secondo Reuters (2014) si manterrà su livelli ben superiori rispetto la media europea. Nello specifico, mentre l'Eurozona crescerà dello 0,2% - 0,3%, secondo i dati Trading Economics (08/2014) l'Indonesia si manterrà sul 5,1% - 5,2%.
  • 51. Motore traino dell'economia indonesiana, così come per la Malesia, è il compartimento industriale, che costituisce circa il 46.5% del PIL totale. Nel suddetto settore, l'industria manifatturiera ricopre un ruolo primario; nel 2013 essa ha rappresentato il 24% dell'output totale. Al secondo posto, con una percentuale del 38% del PIL, ci sono i servizi. Negli ultimi anni, con l'industria del turismo in costante crescita, sono aumentate le strutture alberghiere, raggiungendo il 14% del PIL locale. Comunicazione e finanza sono al 7%, mentre l'agricoltura rimane stabile al 15%. Nel 2013 la Banca Centrale indonesiana, Bank Central Republic Indonesia, ha mantenuto il tasso di interesse BI stabile al 6%, lo stesso dell'anno precedente. Nel novembre 2013, essi sono stati portati al 7,5% con lo scopo di conservare la stabilità della rupia, la moneta locale indonesiana, un'inflazione moderata e un cambio della moneta favorevole. Inoltre dal 2005, come in altri Paesi, è stato introdotto il meccanismo Inflation Targeting Framework (ITF). Tale sistema permette di usare i tassi di interesse come strumento per raggiungere un inflazione bassa e stabile. Essendo l'economia in crescita, consumatori e aziende sono propensi a spendere più denaro. Quando la domanda di beni e servizi supera l'offerta, i produttori aumentano i prezzi. Al crescere della spesa viene immesso nel sistema più denaro, che gradualmente perde di potere d'acquisto. Un'alta inflazione, definita come un aumento prolungato e generalizzato dei prezzi, porta ad un alto tasso di interesse, poiché il valore del denaro viene eroso. Considerando che l'attuale inflazione indonesiana è del 6,40%, le decisioni della Banca Centrale indonesiana in termini di politica monetaria sono giustificate e accettate dalla comunità economica mondiale.
  • 52. TABELLA 9: VARIAZIONE DEI TASSI DI INTERESSE NEGLI ULTIMI ANNI IN INDONESIA E NEL MONDO Data di modifica Percentuale BI indonesiano Regione Banca Centrale Percentuale tassi esteri Data 12/11/13 7,50% USA FED 0,25% 16/12/08 12/09/13 7,25% Australia RBA 2,50% 06/08/13 29/08/13 7,00% Brasile BACEN 11,00% 02/02/14 11/07/13 6,50% Canada BOC 1,00% 08/09/10 13/06/13 6,00% Cina PBC 6,00% 06/07/12 09/02/12 5,75% Europa BCE 0,15% 05/06/14 10/11/11 6,00% Giappone BoJ 0,10% 05/10/10 11/10/11 6,50% Gran Bretagna BoE 0,50% 05/03/09 04/02/11 6,75% Russia CBR 8,00% 25/07/14 05/08/09 6,50% Sudafrica SARB 5,75% 17/07/14 Fonte: global-rates.com La crescita economica indonesiana è trainata dai consumi domestici e dalle esportazioni di materie prime. Principale prodotto è il carbone con un 11,61% e il petrolio con il 9,29% delle esportazioni totali (Dati Observatory of Economic Complexity 2012). I primi mercati di sbocco nel 2012 sono stati la Cina (13,33%), il Giappone (11,31%) e gli Stati Uniti (9,68%) (Dati Gruppo SACE). Essere un grande esportatore di commodities ha portato il governo ad attuare delle politiche molto attive in campo economico-finanziario. La dinamicità con la quale viene regolato il mercato nazionale è fondamentale considerando la volatilità dei prezzi relativi alle materie prime, come il petrolio. Altre politiche statali sono concentrate nel creare un valore aggiunto al prodotto, come la riduzione della filiera nell'estrazione mineraria o petrolifera. Tra il 2008 e il 2012, le esportazioni sono cresciuti con una media del 11.9 % secondo Trading Economics.
  • 53. GRAFICO 6: ESPORTAZIONI Fonte: Tranding Economics Tuttavia negli ultimi mesi del 2013, come riportato da Il Sole 24 Ore, la lenta crescita cinese degli ultimi due anni ha comportato un rallentamento delle principali economie che avevano siglato con la Cina contratti economici. Nello stesso anno la bilancia commerciale ha segnato un record negativo pari a 1,65 miliardi di dollari (USA) dovuto principalmente ad una contrazione delle esportazioni di row materials verso la Cina. “L’attuale situazione in Cina, Nazione che sta vivendo una crescita economica rallentata, colpirà con forza anche noi, visto che attualmente è il nostro partner commerciale maggiore. La domanda dei nostri beni si contrarrà anch’essa e manifesterà gli effetti di tutto ciò sul nostro sviluppo” (Gita Wirjawn, ministro indonesiano per il Commercio).
  • 54. GRAFICO 7: Parallelamente al rallentamento delle esportazioni, essendo la Cina il principale partner commerciale dell'Indonesia, anche nel campo delle importazioni (19%), queste ultime hanno subito un rallentamento negli ultimi mesi del 2013, andando ad intaccare i risultati osservabili nella presente bilancia commerciale. GRAFICO 8: Secondo gli esperti del The German Institute for Economic Research (2014), è probabile che la crescita cinese più debole non solo abbassi il livello della domanda, ma possa anche risultare in prezzi dei beni e delle merci più elevati; una situazione che potrebbe avere delle implicazioni significative sull'economia indonesiana e sui suoi prodotti principali, come carbone e olio di palma.
  • 55. Gli investitori rimangono fiduciosi secondo Indonesia-Investments (2014); i punti a favore della nazione sono un abbondanza di risorse naturali che la rendono la seconda e più ricca bio diversità al mondo, una popolazione costituita per il 50% da giovani al di sotto dei 29 anni, una stabilità politica, un basso costo del lavoro e 135 milioni di possibili consumatori in più entro il 2030. Thailandia “La Thailandia aspira ad assumere il ruolo di Paese leader nell’ambito di una eventuale costituenda revisione dell’ASEAN in direzione della costruzione degli 'Stati Uniti dell’ASEAN', conscia della ricchezza del suo Regno, della cultura religiosa e della sua capacità di auto promuoversi come guida della Comunità Economica ASEAN (AEC) entro il 2015.” (Philip Kotler, professore presso la Kellog School of Management della Northwestern University, USA) TABELLA 10: DATI MACROECONOMICI THAILANDESI 2005 2008 2010 2013 PIL – tasso di crescita % 3,60% 1,50% 4,10% 3,00% PIL – mld USD 176,5 272,6 318,9 387,3 PIL pro capite USD 7159 9245 9377 10512 Tasso di inflazione annuo % (CPI) 4,10% 9,00% 3,50% 2,70% Tasso di disoccupazione (%della forza lavoro) 1,30% 1,20% 1,00% 1.1% Debito pubblico (% del PIL) 49,50% 38,70% 45,80% 43.7% Dati: The World Bank 2013 Osservando i dati riportati da The World Bank (2013), ciò che entusiasma in modo elevato gli investitori è il tasso di disoccupazione. Secondo The Office of the National Economic and Social Development Board (2014) la nazione è al
  • 56. quarto posto, dopo Cambogia, Monaco e Quatar per ridotto tasso di disoccupazione; lo stesso è previsto scendere allo 0,7% nel 2014 a fronte di una media del 6% globale. Come sostiene l'economista Shotaro Kumagai del Japan Research Institute, nel 2013 la fiducia nei consumatori è aumentata per il terzo anno consecutivo, permettendo all'economia di avanzare e garantendo la sopravvivenza di piccole e medi business. Mentre le grandi multinazionali sono alla continua ricerca di personale qualificato. In particolare compagnie finanziarie e banche come Citic Securities International Co. e HSBC Holdings plc competono per l'assunzione di personale in Asia, al fine di sfruttare i mercati che si sviluppano nell'area. Un trend opposto a ciò che le stesse compagnie stanno facendo in Europa o negli Stati Uniti, dove gli alti costi di mantenimento del personale hanno portato alla cancellazione di oltre 30000 posti di lavoro nelle maggiori istituzioni bancarie nel 2013 (Forex Info 2013). Per quanto concerne la politica monetaria, la Banca Centrale della Thailandia ha mantenuto i tassi di interesse al 2,50%, prevedendo di mantenerli invariati nel 2014. Secondo gli esperti di Barclays, la Banca Centrale ha rilevato qualche consolidamento dell'attività globale e prudentemente starebbe spingendo l'economia thailandese ad assumere un ruolo di primo piano. Gli economisti sostengono che una tale politica monetaria sia adatta all'economia della regione; benché si prevede che la Thailandia esca nell'anno corrente dalla crisi tecnica, sono molto limitati i rischi di una stretta monetaria, perché la ripresa dovrà essere consolidata. L'inflazione rimane ad un livello relativamente basso e contemporaneamente, soprattutto negli ultime mesi la domanda interna è aumentata visibilmente. L'espansione economica e gli stimoli indotti dal fisco, come tasse ragionevoli, hanno permesso un più alto potere d'acquisto e permettendo ai consumatori una più elevata libertà di disporre del proprio capitale.
  • 57. Nel 2013 l'economia thailandese è cresciuta del 3%, grazie all'incremento del consumo interno, agli investimenti, al turismo e alla riduzione delle spese governative. La Thailandia fornisce alle regioni ASEAN prodotti quali materie prime e hard disk, incoraggiando in questo modo le economie della regione a riprendersi dalla crisi. Tuttavia anche i fattori interni alla nazione sono importanti; inflazione sui prezzi delle case, debiti sub-prime e stabilità governativa sono tenuti sotto attenta osservazione da parte degli investitori. In seguito alle proteste politiche, che avevano raggiunto il loro apice nel novembre 2013 con circa 700 morti e che hanno condotto ad un colpo di stato nel maggio 2014, l'economia thailandese ha subito un brusco rallentamento. Il settore turistico è stato quello più gravemente afflitto dai tumulti politici, con un progressivo calo dei visitatori stranieri, allarmati dalle violente proteste, dalle leggi marziali e dal coprifuoco in vigore. Thai Airways International ha confermato di aver perso circa 12 milioni di Bath, pari a circa 369 milioni di dollari nel periodo novembre 2013 e gennaio 2014. L'associazione degli albergatori sostiene che nel 2013 ci sono stati circa 26 milioni di visitatori su tutto il territorio, tuttavia nel 2014 questo dato è destinato a rimanere stabile. Secondo l'agenzia AsiaNews, nel gennaio 2014 le importazioni sono calate del 15,5% rispetto all'anno precedente. L'import di computer e componenti elettroniche è calato del 19%, mentre il settore dell'auto segna un -31,8%. In aggiunta, secondo gli analisti del Credit Suisse (2014), il PIL thailandese continuerà a crescere nei prossimi anni, tuttavia sotto la soglia potenziale fino a quando non ci sarà un governo stabile. “Gli analisti di Credit Suisse prevedono una sotto-performance del mercato azionario thailandese nei prossimi 1-3 anni, visto che il colpo di Stato potrebbe dare il via a un nuovo ciclo di instabilità.” (Milano Finanza, Thailandia, colpo di stato peserà su economia, 26 maggio 2014) Nonostante la comunità economica internazionale si mostra preoccupata per le tensioni nella nazione, il Prodotto Interno Lordo è destinato a passare da 365,9
  • 58. nel 2012 a 390,4 miliardi di dollari nel 2014 (Dati Trading Economics 2014). Il 16 giugno 2014, il Consiglio Nazionale per la Pace e l'Ordine (NCPO) ha annunciato la revoca con effetto immediato del coprifuoco in vigore in Thailandia. A parere dell'Asian Development Bank (2014), le stime di crescita per il 2014 sono state abbassate da un iniziale 4% ad un 3%. Mentre per il 2015 è previsto un nuovo incremento al 4,5%, sostenuto da una probabile intesa politica. TABELLA 11: ULTIMI DATI ECONOMICI (Agosto 2014) Main Economic Indicators 2014 2015 GDP Growth 2,90% 4,50% Inflation 2,40% 2,60% Fonte: Asian Development Bank, ADB estimates La Thailandia è un economia orientata verso le esportazioni. Secondo Trading Economics (2014), esse costituiscono circa il 65% del PIL totale e potrebbero garantire una solida crescita del paese nonostante i tumulti politici. La nazione esporta principalmente prodotti manifatturieri, che sono pari al'86% del totale merci; seguiti da elettronica (14%) e autovetture (13%). I prodotti agricoli, come riso e gomma sono stabili al'8%, tuttavia essi si distinguono per qualità e valore aggiunto, grazie ad una manodopera già da anni specializzata. I maggiori partner commerciali sono Cina (12%), Giappone (10%), Stati Uniti (10%) e Unione Europea (9,5%). Con la nascita e il consolidamento dell'ASEAN, anche nella regione sud-est asiatica sono state create rotte commerciali in grado di portare vantaggio alla nazione, soprattutto con Malesia, Singapore e Australia (Dati Trading Economics, 16 agosto 2014).
  • 59. GRAFICO 9: Per quanto riguarda le importazioni, la regione acquista materie prime, come petrolio o altri derivati, elettronica di base e macchinari per la trasformazione delle row materials in prodotti pronti per il consumo. Il 20% delle importazioni sono effettuate con il Giappone, il 15% con la Cina. Come per le esportazioni i due maggiori partner commerciali sono regioni orientali. GRAFICO 10:
  • 60. Nel giugno 2014 la bilancia commerciale thailandese è risultata positiva, con un surplus di 1792.92 milioni di dollari. Come sostenuto precedentemente, essendo la nazione orientata prettamente alle esportazioni, l'economia locale è esposta a shock della domanda esterna di prodotti che potrebbero influenzare l'intero apparato economico. Come è possibile osservare dal grafico sottostante, per gran parte del 2013 la bilancia commerciale è stata negativa, creando passività per 6000 milioni di dollari. Un grave contraccolpo per l'economia emergente, dovuto in prima istanza alla già citata crisi politica. GRAFICO 11: “Dopo mesi di stagnazione economica a causa di una crisi politica senza via di uscita che ha portato al colpo di Stato militare del 22 maggio scorso, in Thailandia la fiducia dei consumatori sembra aver ripreso vigore, accelerata dalla speranza che la stabilità politica imposta dai militari possa far ripartire la crescita economica del Paese.” (LookOut sicurezza, geopolitica, economia, Segnali di ripresa dall'economia, ma le manifestazioni non si fermano, Thailandia, 3 giugno 2014) Secondo la Camera del Commercio thailandese (2014), l'indice di fiducia dei consumatori, ha ripreso a salire, toccando il livello massimo del gennaio 2013.
  • 61. La giunta militare, da un lato, è riuscita ad incoraggiare consumatori ed investitori, spendendo circa 9 miliardi di dollari destinati a piccole imprese, coltivatori di riso e costruzione di nuove infrastrutture. Secondo il Centro di Previsioni Economiche e del Business (CEBR), la fiducia dei consumatori è cresciuta dal 72,1% nel maggio 2014 al 74,3% nel luglio 2014. Dall'altro lato, tuttavia, la stabilità politica è ancora una volta messa a rischio, dal momento che il capo delle Forze Armate ha fissato in non meno di 15 mesi il tempo minimo necessario per far riconciliare le forze politiche e indire nuove elezioni. 2.2 FDI, Foreign Direct Investment “Investors are attracted by a large consumer base, rich natural resources and political stability, but often equally deterred by poor infrastructure, rampant corruption and growing calls for economic protectionism.” (BBC News Asia, Indonesia Profile, 9 luglio 2014) Le nazioni del sud-est asiatico, come molte regioni sviluppate, sono attraversate da un costante aumento di giovani pronti ad entrare nel mondo del lavoro. Per assorbire un numero che secondo le stime di The world bank (novembre 2013) si attesterebbe a 1 milione di nuovi lavoratori al mese per 20 anni, è necessario creare alti standard di vita e ridurre la povertà; una sfida che l'ASEAN non può affrontare affidandosi solo agli investimenti pubblici. “The private sector will have to play a key role in creating productive jobs for the new labor force entrants and a critical element of this is improving the economic climate to attract private investments, a vital factor in sustainable and broad-based growth.” (Policy Research Working Paper 6696 by The World Bank) Gli investimenti destinati al settore privato, provenienti dall'interno sono si importanti, tuttavia nessuna nazione ha mai raggiunto lo status di paese
  • 62. sviluppato senza affidarsi ad investimenti stranieri, come sostiene l'economista David M. Gould (2008). Il flusso di capitali stranieri destinati alle imprese locali sono costituiti da prestiti bancari con tassi agevolati, investimenti diretti e indiretti, come l'acquisto di titoli di stato. “FDIs expand the potential sources of capital available to countries, raising productivity and boosting growth.” (Levchenko and Mauro 2007). Alcuni studi dimostrano inoltre che gli investimenti stranieri aumentano la stabilità economica di una nazione e aiutano a migliorare il trasferimento di conoscenze e tecnologie. Nel 2009 gli economisti Bitzer e Gȍrg avevano dimostrato con un equazione come un cambiamento del 10% nel flusso di FDI possa condizionare il PIL di una nazione fino al 1,3%. Di conseguenza, proseguono Blonigen e Wang, gli investimenti stranieri hanno un ruolo quasi dominante sulla crescita sana di una nazione. Una definizione esauriente di cosa siano i Foreign Direct Investment, proviene dal Fondo Monetario Internazionale (IMF), che definisce gli FDI come una categoria di investimenti monetari cross-nazionali provenienti dalla sede centrale di una compagnia e indirizzati ad una subsidiary dislocata in un altro paese. Gli FDI sono classificati ulteriormente come investimenti che possono riguardare la costruzione di fabbriche o macchinari dal nulla, ma possono anche essere condotti come mergers and acquisitions (M&A) con l'acquisto della proprietà di stabilimenti o compagnie già avviate. Durante il Chicago Council on Global Affairs (agosto 2010), i Foreign Direct Investment furono trattati con particolare riguardo. L'obiettivo era quello di spronare le compagnie americane ad investire in imprese provenienti dal sud-est asiatico, come la Malesia. Se una multinazionale americana presenta uno stato patrimoniale largamente attivo, con un avanzo e una disponibilità di denaro elevata, investire in un paese emergente può rilevarsi una “mossa” vincente. Gli FDI permettono la costruzione di nuovi uffici e la creazione di posti di lavoro. Inoltre, il governo del paese che riceve gli investimenti, oltre ad agevolare gli investitori, riceve più denaro che può essere utilizzato per finanziare il miglioramento delle infrastrutture, come le reti di comunicazioni, strade e istituti bancari. Ciò che viene trasferito da un paese
  • 63. sviluppato ad uno emergente, non è solamente una quantità di denaro, ma è anche la conoscenza; quest'ultima permette la creazione di manager di alto livello e abili imprenditori, agevolando il benessere della regione. Nel periodo 2009-2011 in Malesia, gli investimenti stranieri hanno subito un incremento pari a sette volte il valore iniziale; da 5 miliardi di dollari nel 2009, 29,3 miliardi di dollari nel 2010 e 36,7 miliardi nel 2011. Come hanno sottolineato Blonigen e Wang (2005) le nazioni che riescono ad attrarre un numero alto di FDI sono quelle che hanno adottato delle politiche fiscali e monetarie favorevoli. Per esempio, leggi per la protezione dei diritti della proprietà privata, stabili politiche macroeconomiche, infrastrutture efficienti e un ambiente regolato da una concorrenza leale. Dal 1980 il flusso globale di Foreign Direct Investment è cresciuto in modo esponenziale, diventando la più grande forma di trasferimento di capitale da una nazione ad un'altra. Nel 2010 il flusso di FDI mondiale era di 1.4 trilioni di dollari, 27 volte più grande dei 53 miliardi nel 1980; in rapporto al PIL mondiale esso è diventato cinque volte più grande. Negli ultimi venti anni i flussi di capitali, sotto forma di FDI, sono diventati un importante fattore di sviluppo e di assistenza per le nazioni emergenti. I Paesi industrializzati rimangono i principali fornitori di capitali, nonostante nell'ultimo decennio è diventato più visibile uno scambio di investimenti tra le nazioni emergenti. Secondo i dati UNCTAD (2012) la crescita dei flussi di capitali, ha permesso di creare posti di lavoro nei Paesi in via di sviluppo, compresa la regione del sud-est asiatico. Secondo le stime, nel 2011 gli impieghi creati ammontavano a circa 69 milioni, un 8% in più rispetto l'anno precedente. “Remember when everything was “Made in China”? Those days are long gone and will likely never return. In 2013, foreign direct investment (FDI) into Indonesia, Malaysia, the Philippines, Singapore and Thailand, known as ASEAN 5, outstripped FDI into China for the first time, and a big