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1
Francesca Avellano
Cooperare per fronteggiare la crisi
Relazione relativa al seminario di alta formazione
“Le nuove frontiere della cooperazione”- seconda edizione
Urbino, 16-17-23-24 febbraio 2011
Facoltà di Economia
Corso di Laurea Magistrale in
Marketing e comunicazione per le aziende
2
INDICE
ABSTRACT………………………………………………………………………………........ 4
CAPITOLO 1: LA CRISI……….…………………………………………………………….6
Introduzione…………………………………………………………………………………....6
1.1 DEFINIZIONE DI CRISI…………………………………………………………….......8
1.2 LA LETTERATURA SUL CRISIS MANAGEMENT…………………………...…….7
1.2.1 La crisi e la gestione della crisi secondo un approccio monodimensionale…………11
1.2.2 La crisi e la gestione della crisi secondo un approccio multidimensionale…………12
CAPITOLO 2: LA COOPERAZIONE…………………………………………………..…14
Introduzione…………………………………………………………………………………..14
2.1 IL FENOMENO DELLA COOPERAZIONE TRA IMPRESE………………………14
2.1.1 Teorie (neo)istituzionaliste……………………………………….………………….....17
2.1.2Teorie comparative sulle forme organizzative…………………….…………………..17
2.2 DALLA TEORIA ALLA REALTA’…………………………………………………….18
2.2.1 Aspetti organizzativi e manageriali…………….…………………………………..….19
2.3 FUSIONI, ACQUISIZIONI E JOINT VENTURES…………………………………...20
2.3.1 Fattori per la scelta……………………………………………………………………..22
2.4 CONCLUSIONI………………………………………………………………………….23
CAPITOLO 3: LA COOPERAZIONE COME ANTIDOTO CONTRO LA CRISI…….24
Introduzione………………..…………………………………………………………………24
3.1 IL MODELLO DELL’IMPRESA A RETE…………………………………………….24
3.2 COOPERARE PER FRONTEGGIARE LA CRISI…………………………………...26
3.3 CONCLUSIONI…………………………………………………………………………..28
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI…………………………………………………………29
3
ABSTRACT
L’avvento delle ICT (Information and Communication Technologies) e
l’affermazione della nuova economia digitale sono state determinanti nel
mettere in crisi, ancor più di quanto non avesse già fatto di recente il paradigma
della Resource Based View, il concetto di settore, tradizionalmente inteso,
come nel modello d’impresa fordista (F. Ancarani).
Oggi, infatti, diventa sempre più complessa la comprensione e la definizione
della propria arena competitiva, a causa della forte pervasività delle nuove
tecnologie, vale a dire della “capacità d’investire tutti i settori e tutte le
imprese, e all’interno delle stesse, coinvolgere anche tutti i comparti e le
funzioni aziendali, senza eccezioni” (Vicari). Questo fenomeno è accentuato
soprattutto dal fatto che come assunto dei nuovi business model non viene più
scelta, secondo un approccio microfondato, l’unità di analisi del settore, bensì
dell’impresa, come suggeriscono le nuove teorie resource e knowledge based.
Inoltre, negli ultimi anni, la stessa impresa subisce un indebolimento dei
confini organizzativi, sfociando in quella che viene definita “rete del valore”
(Vicari).
In sostanza, l’impresa è da intendersi non solo come un “nexus of contracts”
circoscritto ai confini interni dell’organizzazione imprenditoriale, ma come un
network di imprese, in cui l’incertezza ambientale e la complessità vengono
gestite attraverso la progettazione e la costruzione di una rete, che integri e
coordini le diverse attività in un’ottica di sfruttamento delle economie di rete,
ossia le esternalità, e d’incentivi per un efficiente funzionamento della stessa.
Si ha, in questo modo, una crescente dinamica ipercompetitiva che si riflette,
attraverso il fenomeno della convergenza settoriale, nella nascita di
metamercati.
All’interno di questi metamercati la concorrenza si conforma in una sorta
4
cooperation, ossia se è vero che da un lato le imprese agiscono ponendosi in
competizione tra di loro, è pure vero che esse attraverso il network ricercano
una dimensione cooperativa, realizzando joint venture o compartecipazioni
azionarie, ma anche semplici accordi informali di coordinamento di attività
(Bettis).
5
CAPITOLO 1
Attualmente il tema della crisi è di fondamentale rilevanza, infatti stiamo
attraversando un momento di grandi cambiamenti socio-politici, economici e
addirittura climatici, questo anche a causa del fenomeno che caratterizza il
mondo moderno: la globalizzazione. Quest’ultima, causata dalle sempre più
nuove e impattanti tecnologie e possibilità dell’uomo, ha provocato e continua
a provocare (in quanto si tratta di un fenomeno tutt’ora in corso) il rifacimento
dei sistemi economici e produttivi e porta all’ingigantimento di eventi locali
che, tramite un effetto a catena dovuto alla stretta interdipendenza che si è
venuta a creare tra i vari paesi del mondo, si espandono inevitabilmente in tutto
il territorio globale. Ogni periodo delle ultime decadi offre un esempio del
fenomeno appena descritto; attualmente, si sta verificando la cosiddetta crisi
economica del 2008, con tale appellativo si intende la percezione di crisi
economica mondiale che, originata negli Stati Uniti, ha avuto luogo dai primi
mesi del 2008 in tutto il globo. Tra i principali fattori della crisi figurano gli alti
prezzi delle materie prime, una crisi alimentare mondiale, un'elevata inflazione
globale, la minaccia di una recessione in tutto il mondo, così come una crisi
creditizia ed una crisi di fiducia dei mercati borsistici. Dal punto di vista
economico il termine crisi è spesso associato ad una profonda recessione
dovuta ai costi che bisogna sostenere alla sua occorrenza. Con il termine costi
non ci si riferisce soltanto a quelli materiali, infatti questi posso essere distinti
in tre tipologie (Caponigro 2000):
Nel primo tipo rientrano i costi diretti connessi alla gestione della crisi, quindi
straordinari, aggiuntivi rispetto a quelli della gestione ordinaria. Possono
comprendere le spese sostenute per la ricostruzione degli impianti, per assistere
e risarcire eventuali vittime, per realizzare i diversi strumenti e le iniziative di
6
comunicazione di crisi adottati. Infine le parcelle dei consulenti, di agenzie di
relazioni pubbliche o studi legali.
I costi indiretti invece derivano, per esempio, dal calo delle vendite causato
dalla disaffezione dei clienti, dal maggior interesse richiesto dalle banche e
dalle finanziarie o da una diminuzione della produttività dei dipendenti.
Infine i costi immateriali fanno riferimento a risorse intangibili come la
reputazione, fiducia e credibilità e subiti dalla rete di relazioni che
l’organizzazione ha instaurato e alimentato negli anni con i propri interlocutori
e con l’opinione pubblica. La credibilità dell’organizzazione, che viene messa
in discussione non riguarda solo le informazioni di contenuto della
comunicazione veicolata, bensì anche i valori che l’organizzazione propone e
di cui si fa garante.
Tornando alla recessione, essa si definisce come quel periodo temporale
durante il quale per due trimestri consecutivi si ha un arretramento economico,
cioè una riduzione del PIL. Durante la crisi attuale, questo fenomeno non si è
ancora verificato nella maggior parte delle economie dei paesi ricchi. La
Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti, a settembre ha
nazionalizzato la società di assicurazioni AIG, acquistando l'80% degli attivi e
iniettando un prestito di 85 miliardi di dollari. A proposito del contesto
statunitense, l'economia più grande del mondo, si è sviluppata una grave crisi
creditizia e ipotecaria a causa della forte bolla speculativa immobiliare e del
valore del dollaro molto basso rispetto all'euro e ad altre valute. Dopo diversi
mesi di debolezza e perdita di impieghi, il fenomeno è collassato tra il 2007 e il
2008 causando il fallimento di banche ed entità finanziarie, determinando una
forte riduzione dei valori borsistici e della capacità di consumo e risparmio
della popolazione. A settembre 2008, i problemi si sono aggravati con la
bancarotta di diverse società legate al credito e alla finanza immobiliare, come
la banca di investimenti Lehman Brothers, le società di mutui Fannie Mae e
Freddie Mac o la società di assicurazioni AIG. Il governo nordamericano è
intervenuto iniettando liquidità per centinaia di milioni di dollari con l'obiettivo
di salvare alcune di queste società. Nel frattempo gli indici borsistici delle
borse americane, specchio della salute dell'economia USA, sono letteralmente
7
colati a picco. Il fenomeno si è espanso rapidamente in diversi paesi europei, e
le borse del vecchio continente hanno accumulato consistenti perdite nel corso
dell'anno.
1.1 DEFINIZIONE DI CRISI
L’ “American Heritage Dictionary” (2000) definisce la crisi come “ una
condizione instabile che può riguardare affari politici, sociali o economici,
causando cambiamenti rapidi o decisivi”. Gli studiosi nel campo del crisis
management hanno specificato le principali caratteristiche della crisi
organizzativa: (a) è una situazione altamente ambigua (Dutton, 1998), (b) ha
basse probabilità di accadimento (Sharivastava, Mitroff, Miller & Miglani,
1988), (c) offre poco tempo per reagire (Quarantelli, 1988), (d) spesso è
inaspettata per i membri dell’organizzazione (Hermann, 1963), e (e) richiede
una decisione o un giudizio volto al miglioramento dell’azienda (Aguilera,
1990).
Secondo E. Invernizzi (2002), invece, la crisi è caratterizzata da tre principali
aspetti:
l’eccezionalità dell’evento critico, straordinario e spesso inaspettato.
la visibilità dell’evento negativo e dei suoi effetti all’esterno perché resi noti
ed amplificati dai media; l’unica realtà della crisi è quella percepita come vera
dagli stakeholder di riferimento dell’organizzazione (Lombardi, 1993; Meyers,
1986).
la necessità di una risposta tempestiva e pertinente nelle 24 ore successive,
determinante per il successo/fallimento nella tutela degli obiettivi fondamentali
e per salvare la reputazione dell’organizzazione.
Guerra e Ferrario (2000), inoltre, individuano alcuni tratti specifici qualificanti
la crisi:
l’entità e la gravità dell’evento: si riferiscono al danno subito, non solo in
termini economici, ma anche di aumento della tensione sociale, di
deterioramento dei rapporti con gli stakeholder;
8
l’ effetto sorpresa: se l’avvenimento non fosse improvviso e altamente
improbabile, non si avrebbe a che fare con una situazione di emergenza ma con
una situazione atipica, comunque affrontabile con schemi già in uso;
la forte pressione temporale: lo stringente vincolo temporale impone di
prendere decisioni in modo veloce ed efficiente per scongiurare l’ulteriore
aggravarsi della situazione, dovuto alla perdita della fiducia di investitori e
clienti e al deterioramento del morale dei dipendenti; spesso l’immediata presa
di coscienza di tali circostanze è il fattore che determina il successo o
l’insuccesso nella gestione della crisi;
l’inapplicabilità delle procedure decisionali e di comportamento routinarie:
questo avviene in quanto la situazione creatasi costringe ad assumere
comportamenti atipici, ad abbandonare pro tempore l’insieme di norme,
rapporti gerarchici, meccanismi organizzativi consolidatisi nel tempo;
l’alterazione degli equilibri abituali: è una caratteristica strettamente legata alla
precedente, anzi ne è una conseguenza, in quanto il dover rinunciare alle
pratiche abituali implica rinunciare anche agli equilibri organizzativi creatisi
nel tempo;
la minaccia per la reputazione e la sopravvivenza dell’organizzazione: nel
momento in cui si è colpiti da una crisi di una certa entità, non è importante la
ricerca dei colpevoli che hanno portato alla sua creazione, ciò che importa è
tutelare l’immagine, la reputazione dell’azienda, sia da probabili attacchi dei
media, sia dalle voci e supposizioni che spesso dominano questi casi (Berge,
1991). Inoltre, l’immagine è uno dei beni intangibili più importanti, soprattutto
in relazione al vantaggio competitivo che può conferire.
Sono questi i denominatori comuni che aiutano a cogliere le caratteristiche
oggettive della crisi, le quali non forniscono però un sufficiente aiuto alle
organizzazioni colpite. È, infatti, importante considerare anche e soprattutto in
base a quali criteri una situazione è percepita dagli individui come crisi, a
prescindere da una valutazione puramente oggettiva: solo se tale situazione è
avvertita come critica si innescano i comportamenti tipici dei casi di
emergenza.
9
Quindi, la crisi organizzativa è un evento difficile da affrontare perchè implica
cambiamenti a breve e/o lungo termine dal punto di vista economico, sociale e
psicologico, e per tutte le persone che compongono l’azienda (dipendenti,
acquirenti, fornitori, ecc).
Analizzati i principali aspetti della crisi organizzativa, è importante, sia dal
punto di vista teorico sia da quello pratico, contestualizzare l’argomento
ripercorrendo alcuni dei più importanti studi che sono stati fatti su di esso, fino
ad arrivare ai contributi più recenti. Anche se, data la relativa giovinezza del
tema della crisi e ancora di più se applicato al contesto organizzativo, non
esiste una rassegna esauriente e completa degli studi fatti. Proprio per questo,
l’obiettivo prefissato in questa sede è quello di proporre i contributi più
importanti secondo una logica di progressivo sviluppo degli studi
sull’argomento.
1.2 LETTERATURA SUL CRISIS MANAGEMENT
I primi studi, teorici ed empirici, riguardanti la crisi organizzativa si possono
far risalire agli inizi degli anni Ottanta (e.g., Lagadec, 1990, 1993; Mitroff,
Pauchant & Shrivastava, 1988; Pearson & Mitroff, 1993; Perrow, 1984;
Roberts, 1990; Schwartz, 1987; Shrivastava, 1993; Weick, 1988); come per la
maggior parte dei nuovi settori di ricerca, questi ultimi mancavano di
un’adeguata integrazione reciproca (Shrivastava, 1993), tale mancanza è la
diretta conseguenza della natura multidisciplinare della crisi organizzativa.
La crisi organizzativa è composta dall’interazione di fenomeni psicologici,
socio-politici e tecnologico-strutturali (Pauchant & Douville,1994), di
conseguenza, è importante che questi tre aspetti vengano esplicitamente e
omogeneamente considerati e integrati tramite un approccio multidisciplinare.
Una prima e importante applicazione dell’approccio mutidisciplinare allo
studio dei problemi legati alla crisi organizzativa viene proposta da Pearson &
Clair (1998) attraverso l’articolo “Reframing crisis management”, il cui scopo
non è quello di riportare le diverse definizioni di “crisi organizzativa” e
“gestione della crisi” fornite dalle singole prospettive Psicologica, Socio-
10
politica e Tecnologico-strutturale, ma quello di creare delle definizioni
complete e omogenee attraverso l’integrazione di queste tre diverse visioni.
Prima del loro contributo, tali approci erano sempre stati utilizzati
distintamente l’uno dall’altro.
Il suddetto articolo è molto interessante anche dal punto di vista strutturale in
quanto è come se venisse effettuato un percorso: Pearson e Clair (1998), infatti,
partono da una prima, acerba e generica definizione di crisi e gestione della
crisi per poi arrivare ad un’altra, più completa e multidimensionale, attraverso
l’analisi delle cause, conseguenze, azioni di prevenzione e intervento secondo
le prospettive Psicologica, Socio-politica e Tecnologico-strutturale.
1.2.1 La crisi e la gestione della crisi secondo un approccio
monodimensionale
Di seguito vengono presentate le definizioni di crisi, gestione ed efficacia della
gestione della crisi organizzativa secondo una prospettiva monodimensionale
adottata dai primi ricercatori interessati a questo tema, infatti non vengono
presi in considerazione aspetti fondamentali come il modo in cui viene
percepita la crisi dalle persone coinvolte (i dipendenti, compresi i dirigenti), i
significati individuali e condivisi ad essa attribuiti, le cause che possono
sfociare in una tale situazione, le conseguenze che può apportare e il tipo di
intervento che si deve intraprendere per affrontarla o le azioni preventive per
evitarla.
Crisi organizzativa: evento che ha una bassa probabilità di accadimento, ma un
elevato impatto che minaccia la redditività dell'organizzazione ed è
caratterizzata da ambiguità di causa, effetto e dei mezzi di risoluzione, come
pure dalla necessaria tempestività nella presa delle decisioni.
Gestione della crisi organizzativa: sistematico tentativo da parte dei membri
dell’organizzazione con degli operatori esterni di evitare le potenziali crisi o di
gestire in modo efficace quella in atto.
11
Efficacia della gestione della crisi: la gestione della crisi è efficace quando si
riescono ad evitare le potenziali crisi o quando i principali attori organizzativi
ritengono che, in seguito all’impatto di quest’ultima, i risultati positivi sono
maggiori di quelli fallimentari.
Come asserì Gephart (1984), alcuni ricercatori sostenevano la prospettiva che
la crisi può essere ricorrente e imprevedibile (e.g., Meyers, 1984) mentre altri
si sono concentrati ad individuare i modi per gestire o evitare la crisi
organizzativa (e.g., Meyers, 1986; Pauchant & Mitroff, 1992; Pearson &
Mitroff, 1993; Roberts, 1989); l’immaturità della prima letteratura riguardo la
crisi organizzativa si può evincere anche da queste affermazioni piuttosto
estreme.
Data la profondità e ampiezza delle perdite che di solito accompagnano la crisi
organizzativa, infatti, non è realistico definire come efficaci solo quegli sforzi
che hanno risanato un’organizzazione rimasta illesa dopo tali eventi.
Viceversa, semplicemente l’essere sopravvissuti ad una crisi non può essere un
criterio sufficientemente rigoroso per affermarne il successo.
I ricercatori, che si possono definire appartenenti a questi pioneristici filoni,
hanno suggerito criteri per valutare l'efficacia della gestione delle crisi,
differenziando l’efficace dall’inefficace, nella pratica, però, la gestione delle
crisi è stata più difficile, infatti non esistono risultati totalmente positivi o
negativi, ma possono coesistere aspetti positivi e negativi a prescindere dal
risultato (Mitroff & Pearson, 1993).
1.2.2 La crisi e la gestione della crisi secondo un approccio
multidimensionale
Pearson & Clair (1998) si sono serviti del quadro teorico delle “4Cs” (causes,
consequences, caution e coping) proposto da Shrivastava (1993) per rendere la
loro analisi più sistematica e facilitare la cross-comparazione tra gli approcci
Psicologico, Socio-politico e Tecnologico-strutturale applicati alla gestione
12
della crisi. Secondo questa teoria di riferimento, gli studi sulla crisi possono
concentrarsi su quattro aspetti chiave: cause, conseguenze, prevenzione e
intervento.
Le cause "comprendono i fallimenti che hanno innescato la crisi, e le
condizioni antecedenti che hanno permesso il verificarsi dei fallimenti"
(Shrivastava, 1993, p. 30).
Le conseguenze sono gli effetti immediati e a lungo termine.
La preparazione comprende le misure adottate per prevenire o ridurre al
minimo l'impatto di una potenziale crisi .
Infine, l’intervento comprende misure adottate per far fronte a una crisi che si è
già verificata.
13
CAPITOLO 2
Il fenomeno della cooperazione tra imprese costituisce il naturale portato della
libertà d’iniziativa economica garantita nel nostro ordinamento dall’art. 41, co.
1, Cost. («L’iniziativa economica privata è libera») e della conseguente
possibile e normale presenza sul mercato di una pluralità di operatori
economici tra loro concorrenti, ciascuno dei quali,cioè, tende naturalmente a
conquistare una fetta sempre più ampia di clientela o, comunque, a garantirsi
un margine di profitto sempre più alto.
Molteplici sono gli strumenti a disposizione degli operatori economici per
perseguire tale scopo competendo tra loro: la qualità del prodotto o del servizio
offerto, il contenimento dei prezzi, la riduzione dei costi, la pubblicità.
Ma può accadere anche che, allo stesso scopo, gli operatori economici si
alleino, stipulando tra loro accordi che non li vedono in posizioni contrapposte,
bensì uniti da intenti comuni, uniscano, cioè, occasionalmente o stabilmente, in
tutto in parte, le loro forze, anziché utilizzarle (solo) per competere tra loro.
Nelle sue forme più intense, questa cooperazione tra operatori economici – la
cui categoria giuridica di riferimento generale è costituita soprattutto da quella
dei contratti plurilaterali con comunione di scopo – può essere realizzata
mediante il coordinamento o l’integrazione, più o meno estesa, tra le rispettive
strutture organizzative e/o tra le rispettive attività o addirittura mediante la
costituzione di organizzazioni comuni, anche dotate di una propria soggettività
o personalità giuridica.
È in questo ambito che si collocano i consorzi, i gruppi europei di interesse
economico, le joint-ventures, le associazioni temporanee di imprese.
2.1 IL FENOMENO DELLA COOPERAZIONE TRA IMPRESE
A partire dalla fine del 1700 si iniziò ad immaginare, in risposta a speculazioni
di origine filosofica, una forma alternativa all’impresa capitalistica e iniziò ad
affermarsi un tentativo di concretizzare le prime esperienze di cooperazione
14
moderna, seppur effimere e sporadiche. Il vero sviluppo della cooperazione si
ebbe, invece, solo alla fine del 1800, anni in cui la discussione filosofica,
politica e sociologica in ambito di cooperazione che si incarnava negli ideali
socialisti, era assai vivace. In questi anni anche gli economisti iniziarono ad
interessarsi a queste idee. Molti economisti classici come Mall, Mill, Pareto,
Marshall si occuparono di cooperazione seppur con contributi occasionali più
che sistematici. Insomma non vennero, in questo periodo, effettuate vere e
proprie analisi economiche al riguardo. Marshall, che si era occupato di
microeconomia dell’impresa capitalistica, scrisse un saggio “Cooperation” che
però, in realtà, non è altro che il testo di un discorso, un’esposizione
preanalitica che propone un possibile approccio metodologico che fa
riferimento a un discorso sui vantaggi della cooperazione sul piano
sociologico, politico ed economico. Lungi dal rappresentare, insomma, una
vera e propria analisi economica. Seguì agli inizi del 900 una serie di rassegne-
Pesciarelli, Magliulo- che rispecchiano un’approfondita riflessione sociologica
in materia di cooperazione. Chi si occupò di cooperazione, chi ne parlò, in
questo periodo, lo fece con un occhio favorevole indipendentemente dalla
corrente di pensiero politico e sociale di ogni singolo autore: sia i social-
democratici, i liberal-democratici (Marshall), sia i conservatori (Pareto),
incoraggiano la cooperazione tra imprese.
A partire dal 1945 nasce quella che può essere definita la vera e propria
letteratura che si occupa di microeconomia della cooperazione. La metodologia
è la stessa applicata all’impresa capitalistica. Nell’impresa capitalistica il
soggetto economico è razionale e il suo obiettivo è quello di massimizzare
l’utilità e le aziende tenderanno quindi a massimizzare il profitto. La
concezione dell’impresa capitalistica si poggia pertanto sull’ipotesi della
razionalità applicata alla produzione, alla definizione del prezzo, alla finanza
ecc. Nell’impresa cooperativa la definizione degli obiettivi è diversa: i soggetti
economici tendono sempre a massimizzare il benessere ma tale benessere non è
riferito al singolo, bensì a tutti i soci. Per l’impresa il benessere dei soci non
coincide necessariamente con il profitto. Ad esempio le cooperative di
consumo, ovvero quelle organizzazioni in cui i soci sono i consumatori dei
15
beni o le cooperative di lavoro in cui i soci sono i lavoratori e i controllori di
queste imprese hanno come fine ultimo il benessere di tali soci.
In questa prospettiva vengono messi in pratica i metodi standard che si
dividono in due filoni principali:
- le cooperative di consumo
- le cooperative di lavoro
Queste ultime sono state studiate in letteratura in base ai temi
dell’organizzazione interna, della finanza, dell’equilibrio microeconomico
(questo ultimo argomento è stato affrontato di più negli anni ’80) da
importanti autori quali:
Ward (1958)- Analisi comparativa dell’impresa capitalistica e cooperazione
Sen (1966)
Vanek (1970)- The labour managed economy- in cui affronta i problemi
della sostenibilità.
Dreze (1976) che scrive sulla rivista “Econometrica” analizzando
l’equilibrio economico generale applicando le metodologie dell’analisi del
mercato in concorrenza perfetta alle imprese cooperative.
Ward che immagina che imprese capitalistiche e cooperative possano
operare nelle stesse circostanze ambientali anche dal punto di vista della
produzione. Questa ipotesi presenta tuttavia delle anomalie che si
concretizzano nel fatto che l’impresa cooperativa sarebbe sistematicamente
più piccola e occuperebbe meno persone.
La seconda categoria di cooperative sono quelle che operano nel retail e
nella grande distribuzione e per cui vi è una letteratura più ridotta che se ne
occupa. In particolare qui gli autori più rilevanti sono:
Enke (1945)
Yamey (1950)
Ireland e Law (1983)
16
2.1.1 Teorie (neo)istituzionaliste
Le teorie istituzionaliste nascono negli anni 70 nel filone principale della teoria
economica. Il metodo è lo stesso enunciato nella suddetta teoria. Gli autori di
queste teorie sono:
Coase (1937) che è l’iniziatore e scrive un articolo sull’argomento sulla rivista
“Economica”
Alchan e Demsetz che vedono le imprese cooperative in chiave negativa
Williamson (1975)
Hansmann che espone varie forme possibili di cooperazione sia come variante
dei costi di transazione il cui vantaggio è mettere d’accordo i soci e abbassare
le barriere sia dei costi di contrattazione il cui vantaggio per il consumatore sta
nel superare e neutralizzare il potere di monopolio del venditore.
Secondo queste formulazioni teoriche non ci si chiede più, data una forma
organizzativa, qual è l’azione ottimale ma piuttosto se siano possibili diversi
assetti organizzativi e quindi ci si interroga sull’impatto dell’organizzazione
aziendale sul benessere e sulla redditività sociali.
2.1.2 Teorie comparative sulle forme organizzative
Attraverso il confronto tra le diverse forme organizzative per uno stesso livello
di produzione ci si domanda qual è l’impresa migliore tra due imprese che
ipoteticamente possano produrre le stesse cose e che abbiano lo stesso numero
di lavoratori.
Si passa pertanto da quella che viene definita efficienza allocativa (qual è la
migliore allocazione?) all’efficienza organizzativa (qual è l’organizzazione più
efficiente?).
17
Ad ogni modo, tutta la letteratura non si è rivelata soddisfacente per due ordini
di ragioni:
a) è troppo concentrata sulla cooperazione di produzione
b) è ispirata alla realtà statunitense che non è molto rappresentativa in
materia di cooperazione.
2.2 DALLA TEORIA ALLA REALTA’
A partire dagli anni ’70 il peso dei lavoratori nelle cooperative arriva al 6%;
triplica la quota di occupanti passando da circa 200000 a 1200000 nel settore
privato dell’economia. La presenza della cooperazione in Italia è significativa
- nel settore agricolo
-nel settore del lavoro
-nel settore dei servizi (settore del credito, per esempio le banche di credito
cooperativo o nel settore dei servizi sociali)
I motivi per i quali la cooperazione ha iniziato ad affermarsi in modo
significativo sono riconducibili a fenomeni
a) politico-culturali- negli anni ’70 infatti le maggiori forze politiche prima
separate iniziarono a dialogare e le ispirazioni della cooperazione di matrice
cristiana, socialista, repubblicana trovò possibilità di esprimersi.
b) legislativi- ad esempio la riforma del 1971 e la legge fiscale del 197
favorirono la cooperazione.
Dagli anni ’70 sono cambiate anche le caratteristiche dell’impresa cooperativa:
la dimensione media d’impresa tende a diminuire perché nascono
microimprese e società di capitali. La cooperativa invece ha aumentato la
propria dimensione. In media gli addetti di un’impresa cooperativa sono poco
più di 20 mentre quelli di un’impresa non cooperativa sono poco più di 12.
Inoltre se nelle imprese non cooperative è diminuito l’orizzonte temporale
degli investitori, il contrario è accaduto per quanto riguarda le imprese
cooperative. Questi differenti orizzonti temporali comportano strategie di
18
impresa diverse. Alcune di esse puntano al lungo periodo aumentando, ad
esempio, le dimensioni dell’impresa, altre al breve periodo. L’obiettivo diventa
non solo quello di massimizzare il benessere dei soci o il reddito dei lavoratori
ma anche quello di farlo nel lungo termine e in virtù di questo obiettivo
l’impresa ha introdotto tutta una serie di innovazioni di prodotto ma soprattutto
di processo.
2.2.1 Aspetti organizzativi e manageriali
I principi delle imprese cooperative sono:
- open door che implica l’adesione libera e volontaria dei soci
all’organizzazione
- controllo democratico da parte dei soci
- partecipazione economica
- promozione dell’educazione
- cooperazione tra cooperative
- attenzione alla collettività
La configurazione ideologica dell’organizzazione è basata sul potere di
aggregazione, sul senso di missione e sull’incontro tra fini individuai e
collettivi. In particolare l’organizzazione delle imprese cooperative cerca di
trovare una coerenza tra sistemi culturali di riferimento e organizzazione
tenendo in considerazione il contesto competitivo.
In accordo con le tesi marxiste abbiamo:
a) un raggruppamento intorno a un leader (fase di difesa)
b) istituzionalizzazione della cooperativa, ingresso di nuovi membri,
incremento delle dimensioni aziendali, crescita (fase di
consolidamento)
c) la cooperativa domina il mercato (fase industriale)
19
Accanto a questo filone che supporta la crescita delle imprese cooperative
esiste un filone degenerativo che associa conseguenze negative al crescere
della dimensione cooperativa delle imprese. In particolare secondo questa
corrente di pensiero con il passare del tempo le imprese andrebbero incontro ad
una crescente complessità che darebbe luogo a maggiori esigenze
organizzative, maggiore efficienza, maggiore professionalità nel management e
maggiore specializzazione. Tuttavia la crescita porterebbe anche a serie
difficoltà ad autogestirsi, una minore condivisione della cultura e ideologia
aziendale e una minore omogeneità tra i cooperatori. In particolare una crescita
dimensionale potrebbe secondo questo approccio portare ad una coatta
revisione dei processi decisionali e di comunicazione interna e a possibili
sentimenti di non uguaglianza tra i soci. La crescita presuppone inoltre un forte
incremento delle capacità gestionali e del commitment (partecipazione)
comportamentale ed economico. Il modello orizzontale e decentrato prevede
quindi minori sforzi contrattuali e maggiore sforzo e partecipazione al fine
dell’efficienza.
2.3 FUSIONI, ACQUISIZIONI E JOINT VENTURES
I tre termini sono così liberamente utilizzati nel lessico di business che è
naturale che vi sia un elevato livello di confusione. Prima di proporre un
quadro di scelta tra i tre modelli, è molto importante che le concettualizzazioni
di queste terminologie siano chiare.
-Fusioni: si potrebbero fare molti esempi di fusioni - AOL Time Warner,
GlaxoSmithKline (la seconda più grande azienda farmaceutica al mondo dopo
Pfizer), Hero Honda (il marchio motociclistico leader in India), Sony Ericsson
(il terzo produttore di telefoni cellulari nel mondo) e molti altri. In ciascuno di
questi casi, i nomi di entrambe le aziende sono state selezionate in modo da
sfruttare il capitale di entrambi i marchi. Quindi in poche parole, fare una
fusione significa creare una nuova organizzazione di due o più organizzazioni
di statura più o meno uguale, mettendo in comune tutte le risorse.
20
Acquisizioni: le acquisizioni d'altra parte si riferiscono a processi in cui una
società acquista un’ altra società. In una tale situazione l'azienda acquirente
assorbe la società che ha acquistato nell’azienda esistente. Le acquisizioni
possono essere effettuate sia per eliminare la concorrenza assorbendo la società
concorrente o per ampliare il portafoglio o per tenere la società acquisita come
entità indipendente sotto la gestione complessiva aziendale. Ad esempio News
Corp Inc ha acquisito MySpace, il sito leader di networking online con una
stima di 100 milioni di utenti registrati per espandere il portafoglio corporate.
D'altro canto Vodafone Group, la più grande società al mondo di reti di
comunicazioni con una capitalizzazione di mercato di 86 miliardi di sterline
(169 miliardi di dollari) ha recentemente acquisito una partecipazione del 67%
in Essar Hutchison (uno dei network leader in India dei telefoni cellulari) per
19 miliardi di dollari . Lo scopo di questa acquisizione è stato quello di entrare
nel mercato indiano. Con questa acquisizione, l'India è diventata il secondo
mercato di Vodafone dopo gli Stati Uniti. Come è evidente dai numerosi
esempi citati prima, fusioni e acquisizioni rispondono a tre obiettivi principali:
possono servire come strategia di ingresso sul mercato, come strumento
aziendale di espansione del portafoglio e come meccanismo di difesa dalla
concorrenza.
Joint Ventures: la Joint Venture è un approccio in cui due o più aziende
decidono di unire le loro risorse per formare una forza combinata nel mercato.
A differenza della fusione, la joint venture non comporta l'emergere di una
nuova entità combinata. Ogni partecipante alla joint venture mantiene la sua
entità individuale, ma sceglie di competere con concorrenti come una forza di
business unificato. Recentemente, il più grande rivenditore al mondo di Wal-
Mart è entrato in una joint venture con Bharti Enterprises India per ottenere un
toe hold nel fiorente mercato indiano al dettaglio. Questa mossa era l'unico
modo in cui Wal-Mart avrebbe potuto entrare nel mercato indiano, poichè le
restrizioni normative vietano a una completa catena di proprietà straniera al
dettaglio di operare nel mercato indiano. Consideriamo un altro esempio -
Costa Coffee, la marca del caffè presente in tutto il Regno Unito e nell'Europa
occidentale. Questo marchio è entrato nel mercato cinese di recente con una
21
joint venture con il Gruppo Yueda che ha base nella provincia di Jiangsu in
Cina. Questo non è avvenuto a causa di vincoli normativi, ma a causa del suo
bisogno di conoscere un mercato straniero. Pertanto le joint ventures sono
davvero una strategia di ingresso molto comune per le aziende. Questo
approccio ha i suoi pro e contro. Il vantaggio evidente è che le imprese che
entrano in nuovi mercati attraverso joint ventures traggono vantaggio dalle
conoscenze della società locale. Lo svantaggio evidente è che le imprese in
nuovi mercati possono essere raggirate se le joint ventures non sono concordate
con attenzione. In quanto tali, le joint ventures sono meno rischiose delle
acquisizioni perché sono negoziabili, cooperative ed è più facile uscirne. Esse
portano due società con interessi comuni, ma diversi punti di forza a lavorare
insieme su progetti specifici in grado di offrire benefici a entrambi.
2.3.1 Fattori per la scelta
Comprese le implicazioni, le aziende dovranno considerare tre fattori chiave
che influenzano la scelta tra gli approcci.
1. Livello della concorrenza nel mercato. Una delle ragioni fondamentali che le
società hanno per impegnarsi in una fusione, un’acquisizione o una joint-
venture è quello di affrontare la concorrenza in ogni mercato. Le aziende di
tutto il mondo devono pensare che il consolidamento di un mercato permette
loro di ottenere il potere di rivendicare la posizione di leadership. In quanto
tale, a seconda di come il mercato sia competitivo in ogni settore particolare, le
società dovranno decidere tra le tre opzioni. Le acquisizioni riducono i costi,
aumentano i tassi di occupazione, e migliorano la redditività di base. Ma
esistono settori, come ad esempio l’elettronica di consumo in cui a causa della
natura altamente specializzata del lavoro, le imprese preferiscono
collaborazioni o joint ventures. Pertanto, un Samsung lavora con Sony, un
Sony Ericsson collabora con Intel che collabora con IBM e così via. Tali joint
ventures strategiche permetteranno alle aziende di sfruttare ogni know how
atrui.
22
2. Le joint ventures sono preferite per entrare in nuovi mercati o segmenti. Uno
dei fattori importanti che devono essere considerati è il livello delle barriere
presenti all’ingresso di un nuovo mercato. Alcuni mercati sono caratterizzati da
elevate barriere di accesso quali i vincoli normativi, i concorrenti stabiliti,
mercati molto volatili che non giustifica gli investimenti prima messa e così
via. In tali casi, le joint ventures sono l'opzione preferita in quanto consentono
alle aziende di sfruttare le conoscenze e le risorse esistenti attraverso la
collaborazione. D'altra parte, dove le barriere all'entrata sono basse, le aziende
possono entrare nel mercato sia attraverso fusioni o acquisizioni.
3. Insieme con i due precedenti fattori, le sinergie e le risorse sono altrettanto
importanti nel decidere tra le tre opzioni a disposizione delle imprese. Le
fusioni e le joint ventures tra le società hanno dimostrato di funzionare in modo
efficiente se vi è un elevato livello di sinergia tra le aziende che si fondono
insieme. Si possono realizzare sinergie nella cultura aziendale, nel portafoglio
prodotti, negli obiettivi strategici, e nella catena di fornitura o di sistemi
logistici. Quando tali sinergie prendono forma, le aziende possono
implementare in modo produttivo una fusione o una joint venture.
Analogamente, per l’acquisizione, un fattore importante è la disponibilità di
risorse finanziarie. Poiché le acquisizioni avvengono a prezzi molto più alti dei
valori contabili delle società oggetto di acquisizione, l'acquisizione di imprese
deve possedere o avere accesso a risorse considerevoli.
2.4 CONCLUSIONI
Fusioni, acquisizioni e joint ventures sono tutte strategie di crescita aziendale
altrettanto potente disponibile per le aziende. Ma sono anche, per tornare al
tema principale di questa relazione forme importanti di cooperazione.
23
CAPITOLO 3
Nel nostro Paese, i sistemi locali e i sistemi di filiera di fornitura, tipicamente
fondati sulle PMI, hanno alle spalle una storia di successo di diversi decenni.
Nel dopo-crisi, tuttavia, le piccole e medie imprese sono chiamate a ricercare
soluzioni sempre nuove per accrescere la propria competitività.
La collaborazione tra aziende diventa così un’opzione importante per cercare di
conquistare nuovi mercati o sviluppare progetti di ricerca finalizzati alla
realizzazione di nuovi prodotti. Solo così, infatti, è spesso possibile per le PMI
raggiungere la forza organizzativa, l’articolazione e le risorse economiche
necessarie.
Diverse sono le possibili soluzioni, dalle semplici collaborazioni a veri e propri
processi di aggregazione. Oggi, accanto agli strumenti giuridici già presenti nel
nostro ordinamento (ATI, Consorzio, Joint Venture, Fusioni, ecc.), compare
l’innovativo contratto di rete, che consente di dare vita a progetti complessi.
Diventa importante, se non fondamentale, per fronteggiare la crisi “fare
rete”, aggregarsi per migliorare le capacità di migliorare e competere.
3.1 IL MODELLO DELL’IMPRESA A RETE
L’impresa rete naturale consiste in quel “sistema di riconoscibili e multiple
connessioni e strutture entro cui operano ‘nodi’ ad alto livello di
autoregolazione (sistemi aperti vitali) capaci di cooperare tra loro (ossia di
condurre vari tipi di transazioni efficaci) in vista di fini comuni, ossia di
risultati condivisi” (Butera, 1990:60-69). Le caratteristiche dell’impresa rete
sono quindi due:
24
- l’azione del soggetto economico non si svolge all’interno dei confini
giuridico- organizzativi dell’impresa ma ha confini più ampi
- l’elemento regolatore dei processi aziendali non è la struttura
organizzativa ma sono le relazioni tra i soggetti d’impresa o fra
imprese. L’impresa rete è caratterizzata da un elevato grado di
accentramento e di decentramento che sono molto intensi e coesistono
nello stesso tempo. L’accentramento riguarda il controllo delle risorse
strategiche quali quelle finanziarie, tecnologiche, umane. Il
decentramento è relativo alle operazioni produttive, finalizzate a
conseguire economie di scala. Nell’impresa rete i nodi “sono entità
grandi o piccole orientate ai risultati, relativamente autoregolate, capaci
di cooperare con gli altri e di interpretare gli eventi esterni. Possono
essere sia unità giuridicamente autonome sia unità organizzative interne
a una singola impresa” (Butera 1990:64). I nodi sono entità vitali,
ovvero dotate di autonomia, orientati ai propri fini e alla conservazione
della propria identità e interagiscono con altri nodi e identità. Per la
vitalità di cui sono dotati i nodi non sono solo parti componenti ma
elementi costitutivi del’impresa rete. Le connessioni sono i legami fra i
nodi e possono essere:connessioni burocratiche, regole di cooperazione,
informazioni formalizzate, comunicazioni. La cooperazione, in
particolare richiede regole e pratiche per governare i processi di lavoro
in comune, le decisioni collegiali. La comunicazione diventa, dunque
particolarmente importante per lo sviluppo e il funzionamento
dell’organizzazione a rete. Le comunicazioni diventano la componente
fondamentale di una struttura organizzativa il cui funzionamento è
sempre meno basato da un lato sui supporti gerarchici e sulle procedure
tipiche della gerarchia e, dall’altro, sui rapporti di equivalena
immediata tipici dei mercati. L’organizzazione a rete si basa
principalmente sulle relazioni e n particolare sulle relazioni di tipo
cooperativo, dove le parti hanno obiettivi reciprocamente dipendenti
fondati sulla reciprocità tra prestazione e controprestazione come
condizione di stabilità nel lungo periodo.
25
3.2 COOPERARE PER FRONTEGGIARE LA CRISI
È ancora difficile parlare in termini positivi di questa crisi, quando attendiamo
il presentarsi di alcuni dei suoi effetti tra i più devastanti, in particolare per ciò
che riguarda le ripercussioni sul mondo del lavoro.
Molte attività produttive messe in grande sofferenza dalla congiuntura
economica hanno fin qui retto grazie ad incentivi ed ammortizzatori, ma
saranno a breve in condizione di dover rivedere pesantemente ed in tempi brevi
i propri assetti organizzativi ed imprenditoriali.
Stiamo, infatti, già assistendo ai primi fallimenti, liquidazioni concordate,
delocalizzazioni produttive che provocano la perdita immediata di numerosi
posti di lavoro aggravando al tempo stesso la posizione di altre imprese ed
artigiani che esercitano la propria attività nel mercato dell’indotto.
In questo generale contesto economico la cooperazione è, come le altre
imprese, coinvolta pesantemente dalla crisi: non è qui che vi sono sostanziali
differenze.
La grande diversità sta nel come questa crisi la si affronta.
Innanzi tutto le nostre imprese dimostrano di resistere meglio alle difficoltà
perché sono mediamente molto più solide. Contrariamente alle imprese
capitalistiche, dove il valore aggiunto creato non rimane nell’azienda, ma viene
distolto dal ciclo produttivo per remunerare chi apporta il capitale, nelle
cooperative il margine positivo di gestione va a costruire il capitale
intergenerazionale, ossia un patrimonio aziendale che si consolida nel tempo
lasciando alle future generazione l’opportunità di avvalersi di un’impresa
solida, dotata di una propria autonomia patrimoniale e finanziaria.
In secondo luogo le cooperative, che come sopra spiegato non prendono le
proprie scelte per massimizzare il profitto, continuano ad esercitare l’attività
imprenditoriale anche quando i margini si riducono senza delocalizzare la
produzione. Questo spiega come la cooperazione continui ad essere al fianco
ad esempio degli agricoltori, vivendo con loro questi momenti difficili che il
26
settore sta attraversando, per ricercare insieme le possibili soluzioni. Nello
stesso periodo le imprese profit si sono progressivamente fatte da parte oppure
si sono rivolte a prodotti provenienti da altri paesi che potevano meglio
soddisfare le loro esigenze di profitto, mentre altre organizzazioni hanno
cercato di defilarsi dal problema reale senza fare nessuna positiva proposta,
strumentalizzando e cavalcando il malumore esclusivamente per interessi
personali che nulla avevano a che fare con l’interesse degli agricoltori.
Ma altre cooperative sono orientate nel proprio agire dal principio mutualistico,
ossia dal rapporto di scambio tra il socio e la propria cooperativa, che
rappresenta il fine ultimo di questa particolare forma di impresa. Per essa il
risultato di bilancio rappresenta un vincolo da dover necessariamente
soddisfare per continuare nel tempo a dare risposta ai bisogni dei soci.
È in questo delicato equilibrio tra dimensione sociale e funzione d’impresa che
si gioca tutta la forza valoriale ed innovativa del modello cooperativo.
La cooperazione promuove da sempre il principio di sussidiarietà, favorendo
l’autodeterminazione dei cittadini attraverso la loro libera associazione per
sviluppare un modello economico che riconosca il valore della persona e la sua
opera, realizzando un’equa distribuzione della ricchezza prodotta. Non è un
caso che l’Emilia Romagna, ossia la regione nella quale la presenza
cooperativa è particolarmente significativa, sia riconosciuto da tutti come il
territorio che registra la miglior distribuzione della ricchezza a livello
mondiale.
Nella presentazione del Bilancio Sociale 2008 delle imprese associate a
Confcooperative Ravenna questo dato è emerso con chiarezza: per il nostro
sistema lo scambio mutualistico diretto vale circa 755 milioni di euro e
rappresenta il 76% degli scambi economici complessivi, ben al di sopra della
soglia del 50% che la legge stabilisce per definire quando una cooperativa sia
meritevole di essere considerata “a mutualità prevalente”.
È un dato del quale dovremmo andare orgogliosi e che manifesta chiaramente
la propensione a vivere il modello cooperativo in modo autentico, consapevoli
che l’uomo solidale e creativo deve essere il motore dell’attività umana in
27
contrapposizione alla mentalità capitalista della speculazione e della logica
legata esclusivamente alla massimizzazione del profitto.
3.3 CONCLUSIONI
Ciò che qui si propone è il concretizzarsi di un progetto che vede una galassia
di imprese particolari capaci di essere d’esempio per trovare un nuovo modo di
affrontare la crisi economica e quella del mondo del lavoro. In un momento di
grande difficoltà come quello attuale, la cooperazione sia riuscita a tenere più
di altri ed a difendere i propri livelli occupazionali, purtroppo però in assenza
di politiche di rilancio, nazionali e locali anche le cooperative rischiano nei
prossimi anni di pagare un prezzo molto caro sul piano della crescita delle
aziende e della occupazione. Occorre essere attrezzati meglio per far fronte a
questa crisi perché non è ancora passata e anche le cooperative si devono
rinnovare con ristrutturazioni aziendali forti.
La cooperazione stessa infatti è molto cambiata nel tempo, riuscendo a
consolidarsi ed a crescere anche in settori difficili come quello del sociale nel
quale rappresenta oggi forse l’unica difesa di quella coesione che il nostro
territorio può ancora vantare, tuttavia - come non ha mancato di sottolineare
Ivano Martelloni, presidente della Lega Cooperative- «è assolutamente
fondamentale oggi sviluppare una rete che unisca cooperazione, imprese ed
enti locali. In generale posso dire di aver registrato, in questi quindici anni
una forte crescita della cooperazione – ha affermato – ma soprattutto la
crescita della consapevolezza del ruolo che le cooperative svolgono sia nel
tessuto economico che in quello sociale ed il crescere dell’apprezzamento di
questo ruolo nelle istituzioni ed in generale nella nostra comunità. Sono stati
anni straordinari, nei quali ho vissuto momenti a volte molto duri, non posso
dimenticare l’esperienza del Cantiere navale ed i limiti che tutta la
cooperazione, ed io per primo, ha manifestato in quella circostanza, ma anche
a volte bellissimi come quando ho potuto vedere come da una esperienza
negativa come quella della Polo Costruzioni e nata ancora in forma
28
cooperativa una delle aziende di costruzioni più importanti della Toscana
come la C.L.C.»
29
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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30
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Cooperare per fronteggiare la crisi

  • 1. 1 Francesca Avellano Cooperare per fronteggiare la crisi Relazione relativa al seminario di alta formazione “Le nuove frontiere della cooperazione”- seconda edizione Urbino, 16-17-23-24 febbraio 2011 Facoltà di Economia Corso di Laurea Magistrale in Marketing e comunicazione per le aziende
  • 2. 2 INDICE ABSTRACT………………………………………………………………………………........ 4 CAPITOLO 1: LA CRISI……….…………………………………………………………….6 Introduzione…………………………………………………………………………………....6 1.1 DEFINIZIONE DI CRISI…………………………………………………………….......8 1.2 LA LETTERATURA SUL CRISIS MANAGEMENT…………………………...…….7 1.2.1 La crisi e la gestione della crisi secondo un approccio monodimensionale…………11 1.2.2 La crisi e la gestione della crisi secondo un approccio multidimensionale…………12 CAPITOLO 2: LA COOPERAZIONE…………………………………………………..…14 Introduzione…………………………………………………………………………………..14 2.1 IL FENOMENO DELLA COOPERAZIONE TRA IMPRESE………………………14 2.1.1 Teorie (neo)istituzionaliste……………………………………….………………….....17 2.1.2Teorie comparative sulle forme organizzative…………………….…………………..17 2.2 DALLA TEORIA ALLA REALTA’…………………………………………………….18 2.2.1 Aspetti organizzativi e manageriali…………….…………………………………..….19 2.3 FUSIONI, ACQUISIZIONI E JOINT VENTURES…………………………………...20 2.3.1 Fattori per la scelta……………………………………………………………………..22 2.4 CONCLUSIONI………………………………………………………………………….23 CAPITOLO 3: LA COOPERAZIONE COME ANTIDOTO CONTRO LA CRISI…….24 Introduzione………………..…………………………………………………………………24 3.1 IL MODELLO DELL’IMPRESA A RETE…………………………………………….24 3.2 COOPERARE PER FRONTEGGIARE LA CRISI…………………………………...26 3.3 CONCLUSIONI…………………………………………………………………………..28 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI…………………………………………………………29
  • 3. 3 ABSTRACT L’avvento delle ICT (Information and Communication Technologies) e l’affermazione della nuova economia digitale sono state determinanti nel mettere in crisi, ancor più di quanto non avesse già fatto di recente il paradigma della Resource Based View, il concetto di settore, tradizionalmente inteso, come nel modello d’impresa fordista (F. Ancarani). Oggi, infatti, diventa sempre più complessa la comprensione e la definizione della propria arena competitiva, a causa della forte pervasività delle nuove tecnologie, vale a dire della “capacità d’investire tutti i settori e tutte le imprese, e all’interno delle stesse, coinvolgere anche tutti i comparti e le funzioni aziendali, senza eccezioni” (Vicari). Questo fenomeno è accentuato soprattutto dal fatto che come assunto dei nuovi business model non viene più scelta, secondo un approccio microfondato, l’unità di analisi del settore, bensì dell’impresa, come suggeriscono le nuove teorie resource e knowledge based. Inoltre, negli ultimi anni, la stessa impresa subisce un indebolimento dei confini organizzativi, sfociando in quella che viene definita “rete del valore” (Vicari). In sostanza, l’impresa è da intendersi non solo come un “nexus of contracts” circoscritto ai confini interni dell’organizzazione imprenditoriale, ma come un network di imprese, in cui l’incertezza ambientale e la complessità vengono gestite attraverso la progettazione e la costruzione di una rete, che integri e coordini le diverse attività in un’ottica di sfruttamento delle economie di rete, ossia le esternalità, e d’incentivi per un efficiente funzionamento della stessa. Si ha, in questo modo, una crescente dinamica ipercompetitiva che si riflette, attraverso il fenomeno della convergenza settoriale, nella nascita di metamercati. All’interno di questi metamercati la concorrenza si conforma in una sorta
  • 4. 4 cooperation, ossia se è vero che da un lato le imprese agiscono ponendosi in competizione tra di loro, è pure vero che esse attraverso il network ricercano una dimensione cooperativa, realizzando joint venture o compartecipazioni azionarie, ma anche semplici accordi informali di coordinamento di attività (Bettis).
  • 5. 5 CAPITOLO 1 Attualmente il tema della crisi è di fondamentale rilevanza, infatti stiamo attraversando un momento di grandi cambiamenti socio-politici, economici e addirittura climatici, questo anche a causa del fenomeno che caratterizza il mondo moderno: la globalizzazione. Quest’ultima, causata dalle sempre più nuove e impattanti tecnologie e possibilità dell’uomo, ha provocato e continua a provocare (in quanto si tratta di un fenomeno tutt’ora in corso) il rifacimento dei sistemi economici e produttivi e porta all’ingigantimento di eventi locali che, tramite un effetto a catena dovuto alla stretta interdipendenza che si è venuta a creare tra i vari paesi del mondo, si espandono inevitabilmente in tutto il territorio globale. Ogni periodo delle ultime decadi offre un esempio del fenomeno appena descritto; attualmente, si sta verificando la cosiddetta crisi economica del 2008, con tale appellativo si intende la percezione di crisi economica mondiale che, originata negli Stati Uniti, ha avuto luogo dai primi mesi del 2008 in tutto il globo. Tra i principali fattori della crisi figurano gli alti prezzi delle materie prime, una crisi alimentare mondiale, un'elevata inflazione globale, la minaccia di una recessione in tutto il mondo, così come una crisi creditizia ed una crisi di fiducia dei mercati borsistici. Dal punto di vista economico il termine crisi è spesso associato ad una profonda recessione dovuta ai costi che bisogna sostenere alla sua occorrenza. Con il termine costi non ci si riferisce soltanto a quelli materiali, infatti questi posso essere distinti in tre tipologie (Caponigro 2000): Nel primo tipo rientrano i costi diretti connessi alla gestione della crisi, quindi straordinari, aggiuntivi rispetto a quelli della gestione ordinaria. Possono comprendere le spese sostenute per la ricostruzione degli impianti, per assistere e risarcire eventuali vittime, per realizzare i diversi strumenti e le iniziative di
  • 6. 6 comunicazione di crisi adottati. Infine le parcelle dei consulenti, di agenzie di relazioni pubbliche o studi legali. I costi indiretti invece derivano, per esempio, dal calo delle vendite causato dalla disaffezione dei clienti, dal maggior interesse richiesto dalle banche e dalle finanziarie o da una diminuzione della produttività dei dipendenti. Infine i costi immateriali fanno riferimento a risorse intangibili come la reputazione, fiducia e credibilità e subiti dalla rete di relazioni che l’organizzazione ha instaurato e alimentato negli anni con i propri interlocutori e con l’opinione pubblica. La credibilità dell’organizzazione, che viene messa in discussione non riguarda solo le informazioni di contenuto della comunicazione veicolata, bensì anche i valori che l’organizzazione propone e di cui si fa garante. Tornando alla recessione, essa si definisce come quel periodo temporale durante il quale per due trimestri consecutivi si ha un arretramento economico, cioè una riduzione del PIL. Durante la crisi attuale, questo fenomeno non si è ancora verificato nella maggior parte delle economie dei paesi ricchi. La Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti, a settembre ha nazionalizzato la società di assicurazioni AIG, acquistando l'80% degli attivi e iniettando un prestito di 85 miliardi di dollari. A proposito del contesto statunitense, l'economia più grande del mondo, si è sviluppata una grave crisi creditizia e ipotecaria a causa della forte bolla speculativa immobiliare e del valore del dollaro molto basso rispetto all'euro e ad altre valute. Dopo diversi mesi di debolezza e perdita di impieghi, il fenomeno è collassato tra il 2007 e il 2008 causando il fallimento di banche ed entità finanziarie, determinando una forte riduzione dei valori borsistici e della capacità di consumo e risparmio della popolazione. A settembre 2008, i problemi si sono aggravati con la bancarotta di diverse società legate al credito e alla finanza immobiliare, come la banca di investimenti Lehman Brothers, le società di mutui Fannie Mae e Freddie Mac o la società di assicurazioni AIG. Il governo nordamericano è intervenuto iniettando liquidità per centinaia di milioni di dollari con l'obiettivo di salvare alcune di queste società. Nel frattempo gli indici borsistici delle borse americane, specchio della salute dell'economia USA, sono letteralmente
  • 7. 7 colati a picco. Il fenomeno si è espanso rapidamente in diversi paesi europei, e le borse del vecchio continente hanno accumulato consistenti perdite nel corso dell'anno. 1.1 DEFINIZIONE DI CRISI L’ “American Heritage Dictionary” (2000) definisce la crisi come “ una condizione instabile che può riguardare affari politici, sociali o economici, causando cambiamenti rapidi o decisivi”. Gli studiosi nel campo del crisis management hanno specificato le principali caratteristiche della crisi organizzativa: (a) è una situazione altamente ambigua (Dutton, 1998), (b) ha basse probabilità di accadimento (Sharivastava, Mitroff, Miller & Miglani, 1988), (c) offre poco tempo per reagire (Quarantelli, 1988), (d) spesso è inaspettata per i membri dell’organizzazione (Hermann, 1963), e (e) richiede una decisione o un giudizio volto al miglioramento dell’azienda (Aguilera, 1990). Secondo E. Invernizzi (2002), invece, la crisi è caratterizzata da tre principali aspetti: l’eccezionalità dell’evento critico, straordinario e spesso inaspettato. la visibilità dell’evento negativo e dei suoi effetti all’esterno perché resi noti ed amplificati dai media; l’unica realtà della crisi è quella percepita come vera dagli stakeholder di riferimento dell’organizzazione (Lombardi, 1993; Meyers, 1986). la necessità di una risposta tempestiva e pertinente nelle 24 ore successive, determinante per il successo/fallimento nella tutela degli obiettivi fondamentali e per salvare la reputazione dell’organizzazione. Guerra e Ferrario (2000), inoltre, individuano alcuni tratti specifici qualificanti la crisi: l’entità e la gravità dell’evento: si riferiscono al danno subito, non solo in termini economici, ma anche di aumento della tensione sociale, di deterioramento dei rapporti con gli stakeholder;
  • 8. 8 l’ effetto sorpresa: se l’avvenimento non fosse improvviso e altamente improbabile, non si avrebbe a che fare con una situazione di emergenza ma con una situazione atipica, comunque affrontabile con schemi già in uso; la forte pressione temporale: lo stringente vincolo temporale impone di prendere decisioni in modo veloce ed efficiente per scongiurare l’ulteriore aggravarsi della situazione, dovuto alla perdita della fiducia di investitori e clienti e al deterioramento del morale dei dipendenti; spesso l’immediata presa di coscienza di tali circostanze è il fattore che determina il successo o l’insuccesso nella gestione della crisi; l’inapplicabilità delle procedure decisionali e di comportamento routinarie: questo avviene in quanto la situazione creatasi costringe ad assumere comportamenti atipici, ad abbandonare pro tempore l’insieme di norme, rapporti gerarchici, meccanismi organizzativi consolidatisi nel tempo; l’alterazione degli equilibri abituali: è una caratteristica strettamente legata alla precedente, anzi ne è una conseguenza, in quanto il dover rinunciare alle pratiche abituali implica rinunciare anche agli equilibri organizzativi creatisi nel tempo; la minaccia per la reputazione e la sopravvivenza dell’organizzazione: nel momento in cui si è colpiti da una crisi di una certa entità, non è importante la ricerca dei colpevoli che hanno portato alla sua creazione, ciò che importa è tutelare l’immagine, la reputazione dell’azienda, sia da probabili attacchi dei media, sia dalle voci e supposizioni che spesso dominano questi casi (Berge, 1991). Inoltre, l’immagine è uno dei beni intangibili più importanti, soprattutto in relazione al vantaggio competitivo che può conferire. Sono questi i denominatori comuni che aiutano a cogliere le caratteristiche oggettive della crisi, le quali non forniscono però un sufficiente aiuto alle organizzazioni colpite. È, infatti, importante considerare anche e soprattutto in base a quali criteri una situazione è percepita dagli individui come crisi, a prescindere da una valutazione puramente oggettiva: solo se tale situazione è avvertita come critica si innescano i comportamenti tipici dei casi di emergenza.
  • 9. 9 Quindi, la crisi organizzativa è un evento difficile da affrontare perchè implica cambiamenti a breve e/o lungo termine dal punto di vista economico, sociale e psicologico, e per tutte le persone che compongono l’azienda (dipendenti, acquirenti, fornitori, ecc). Analizzati i principali aspetti della crisi organizzativa, è importante, sia dal punto di vista teorico sia da quello pratico, contestualizzare l’argomento ripercorrendo alcuni dei più importanti studi che sono stati fatti su di esso, fino ad arrivare ai contributi più recenti. Anche se, data la relativa giovinezza del tema della crisi e ancora di più se applicato al contesto organizzativo, non esiste una rassegna esauriente e completa degli studi fatti. Proprio per questo, l’obiettivo prefissato in questa sede è quello di proporre i contributi più importanti secondo una logica di progressivo sviluppo degli studi sull’argomento. 1.2 LETTERATURA SUL CRISIS MANAGEMENT I primi studi, teorici ed empirici, riguardanti la crisi organizzativa si possono far risalire agli inizi degli anni Ottanta (e.g., Lagadec, 1990, 1993; Mitroff, Pauchant & Shrivastava, 1988; Pearson & Mitroff, 1993; Perrow, 1984; Roberts, 1990; Schwartz, 1987; Shrivastava, 1993; Weick, 1988); come per la maggior parte dei nuovi settori di ricerca, questi ultimi mancavano di un’adeguata integrazione reciproca (Shrivastava, 1993), tale mancanza è la diretta conseguenza della natura multidisciplinare della crisi organizzativa. La crisi organizzativa è composta dall’interazione di fenomeni psicologici, socio-politici e tecnologico-strutturali (Pauchant & Douville,1994), di conseguenza, è importante che questi tre aspetti vengano esplicitamente e omogeneamente considerati e integrati tramite un approccio multidisciplinare. Una prima e importante applicazione dell’approccio mutidisciplinare allo studio dei problemi legati alla crisi organizzativa viene proposta da Pearson & Clair (1998) attraverso l’articolo “Reframing crisis management”, il cui scopo non è quello di riportare le diverse definizioni di “crisi organizzativa” e “gestione della crisi” fornite dalle singole prospettive Psicologica, Socio-
  • 10. 10 politica e Tecnologico-strutturale, ma quello di creare delle definizioni complete e omogenee attraverso l’integrazione di queste tre diverse visioni. Prima del loro contributo, tali approci erano sempre stati utilizzati distintamente l’uno dall’altro. Il suddetto articolo è molto interessante anche dal punto di vista strutturale in quanto è come se venisse effettuato un percorso: Pearson e Clair (1998), infatti, partono da una prima, acerba e generica definizione di crisi e gestione della crisi per poi arrivare ad un’altra, più completa e multidimensionale, attraverso l’analisi delle cause, conseguenze, azioni di prevenzione e intervento secondo le prospettive Psicologica, Socio-politica e Tecnologico-strutturale. 1.2.1 La crisi e la gestione della crisi secondo un approccio monodimensionale Di seguito vengono presentate le definizioni di crisi, gestione ed efficacia della gestione della crisi organizzativa secondo una prospettiva monodimensionale adottata dai primi ricercatori interessati a questo tema, infatti non vengono presi in considerazione aspetti fondamentali come il modo in cui viene percepita la crisi dalle persone coinvolte (i dipendenti, compresi i dirigenti), i significati individuali e condivisi ad essa attribuiti, le cause che possono sfociare in una tale situazione, le conseguenze che può apportare e il tipo di intervento che si deve intraprendere per affrontarla o le azioni preventive per evitarla. Crisi organizzativa: evento che ha una bassa probabilità di accadimento, ma un elevato impatto che minaccia la redditività dell'organizzazione ed è caratterizzata da ambiguità di causa, effetto e dei mezzi di risoluzione, come pure dalla necessaria tempestività nella presa delle decisioni. Gestione della crisi organizzativa: sistematico tentativo da parte dei membri dell’organizzazione con degli operatori esterni di evitare le potenziali crisi o di gestire in modo efficace quella in atto.
  • 11. 11 Efficacia della gestione della crisi: la gestione della crisi è efficace quando si riescono ad evitare le potenziali crisi o quando i principali attori organizzativi ritengono che, in seguito all’impatto di quest’ultima, i risultati positivi sono maggiori di quelli fallimentari. Come asserì Gephart (1984), alcuni ricercatori sostenevano la prospettiva che la crisi può essere ricorrente e imprevedibile (e.g., Meyers, 1984) mentre altri si sono concentrati ad individuare i modi per gestire o evitare la crisi organizzativa (e.g., Meyers, 1986; Pauchant & Mitroff, 1992; Pearson & Mitroff, 1993; Roberts, 1989); l’immaturità della prima letteratura riguardo la crisi organizzativa si può evincere anche da queste affermazioni piuttosto estreme. Data la profondità e ampiezza delle perdite che di solito accompagnano la crisi organizzativa, infatti, non è realistico definire come efficaci solo quegli sforzi che hanno risanato un’organizzazione rimasta illesa dopo tali eventi. Viceversa, semplicemente l’essere sopravvissuti ad una crisi non può essere un criterio sufficientemente rigoroso per affermarne il successo. I ricercatori, che si possono definire appartenenti a questi pioneristici filoni, hanno suggerito criteri per valutare l'efficacia della gestione delle crisi, differenziando l’efficace dall’inefficace, nella pratica, però, la gestione delle crisi è stata più difficile, infatti non esistono risultati totalmente positivi o negativi, ma possono coesistere aspetti positivi e negativi a prescindere dal risultato (Mitroff & Pearson, 1993). 1.2.2 La crisi e la gestione della crisi secondo un approccio multidimensionale Pearson & Clair (1998) si sono serviti del quadro teorico delle “4Cs” (causes, consequences, caution e coping) proposto da Shrivastava (1993) per rendere la loro analisi più sistematica e facilitare la cross-comparazione tra gli approcci Psicologico, Socio-politico e Tecnologico-strutturale applicati alla gestione
  • 12. 12 della crisi. Secondo questa teoria di riferimento, gli studi sulla crisi possono concentrarsi su quattro aspetti chiave: cause, conseguenze, prevenzione e intervento. Le cause "comprendono i fallimenti che hanno innescato la crisi, e le condizioni antecedenti che hanno permesso il verificarsi dei fallimenti" (Shrivastava, 1993, p. 30). Le conseguenze sono gli effetti immediati e a lungo termine. La preparazione comprende le misure adottate per prevenire o ridurre al minimo l'impatto di una potenziale crisi . Infine, l’intervento comprende misure adottate per far fronte a una crisi che si è già verificata.
  • 13. 13 CAPITOLO 2 Il fenomeno della cooperazione tra imprese costituisce il naturale portato della libertà d’iniziativa economica garantita nel nostro ordinamento dall’art. 41, co. 1, Cost. («L’iniziativa economica privata è libera») e della conseguente possibile e normale presenza sul mercato di una pluralità di operatori economici tra loro concorrenti, ciascuno dei quali,cioè, tende naturalmente a conquistare una fetta sempre più ampia di clientela o, comunque, a garantirsi un margine di profitto sempre più alto. Molteplici sono gli strumenti a disposizione degli operatori economici per perseguire tale scopo competendo tra loro: la qualità del prodotto o del servizio offerto, il contenimento dei prezzi, la riduzione dei costi, la pubblicità. Ma può accadere anche che, allo stesso scopo, gli operatori economici si alleino, stipulando tra loro accordi che non li vedono in posizioni contrapposte, bensì uniti da intenti comuni, uniscano, cioè, occasionalmente o stabilmente, in tutto in parte, le loro forze, anziché utilizzarle (solo) per competere tra loro. Nelle sue forme più intense, questa cooperazione tra operatori economici – la cui categoria giuridica di riferimento generale è costituita soprattutto da quella dei contratti plurilaterali con comunione di scopo – può essere realizzata mediante il coordinamento o l’integrazione, più o meno estesa, tra le rispettive strutture organizzative e/o tra le rispettive attività o addirittura mediante la costituzione di organizzazioni comuni, anche dotate di una propria soggettività o personalità giuridica. È in questo ambito che si collocano i consorzi, i gruppi europei di interesse economico, le joint-ventures, le associazioni temporanee di imprese. 2.1 IL FENOMENO DELLA COOPERAZIONE TRA IMPRESE A partire dalla fine del 1700 si iniziò ad immaginare, in risposta a speculazioni di origine filosofica, una forma alternativa all’impresa capitalistica e iniziò ad affermarsi un tentativo di concretizzare le prime esperienze di cooperazione
  • 14. 14 moderna, seppur effimere e sporadiche. Il vero sviluppo della cooperazione si ebbe, invece, solo alla fine del 1800, anni in cui la discussione filosofica, politica e sociologica in ambito di cooperazione che si incarnava negli ideali socialisti, era assai vivace. In questi anni anche gli economisti iniziarono ad interessarsi a queste idee. Molti economisti classici come Mall, Mill, Pareto, Marshall si occuparono di cooperazione seppur con contributi occasionali più che sistematici. Insomma non vennero, in questo periodo, effettuate vere e proprie analisi economiche al riguardo. Marshall, che si era occupato di microeconomia dell’impresa capitalistica, scrisse un saggio “Cooperation” che però, in realtà, non è altro che il testo di un discorso, un’esposizione preanalitica che propone un possibile approccio metodologico che fa riferimento a un discorso sui vantaggi della cooperazione sul piano sociologico, politico ed economico. Lungi dal rappresentare, insomma, una vera e propria analisi economica. Seguì agli inizi del 900 una serie di rassegne- Pesciarelli, Magliulo- che rispecchiano un’approfondita riflessione sociologica in materia di cooperazione. Chi si occupò di cooperazione, chi ne parlò, in questo periodo, lo fece con un occhio favorevole indipendentemente dalla corrente di pensiero politico e sociale di ogni singolo autore: sia i social- democratici, i liberal-democratici (Marshall), sia i conservatori (Pareto), incoraggiano la cooperazione tra imprese. A partire dal 1945 nasce quella che può essere definita la vera e propria letteratura che si occupa di microeconomia della cooperazione. La metodologia è la stessa applicata all’impresa capitalistica. Nell’impresa capitalistica il soggetto economico è razionale e il suo obiettivo è quello di massimizzare l’utilità e le aziende tenderanno quindi a massimizzare il profitto. La concezione dell’impresa capitalistica si poggia pertanto sull’ipotesi della razionalità applicata alla produzione, alla definizione del prezzo, alla finanza ecc. Nell’impresa cooperativa la definizione degli obiettivi è diversa: i soggetti economici tendono sempre a massimizzare il benessere ma tale benessere non è riferito al singolo, bensì a tutti i soci. Per l’impresa il benessere dei soci non coincide necessariamente con il profitto. Ad esempio le cooperative di consumo, ovvero quelle organizzazioni in cui i soci sono i consumatori dei
  • 15. 15 beni o le cooperative di lavoro in cui i soci sono i lavoratori e i controllori di queste imprese hanno come fine ultimo il benessere di tali soci. In questa prospettiva vengono messi in pratica i metodi standard che si dividono in due filoni principali: - le cooperative di consumo - le cooperative di lavoro Queste ultime sono state studiate in letteratura in base ai temi dell’organizzazione interna, della finanza, dell’equilibrio microeconomico (questo ultimo argomento è stato affrontato di più negli anni ’80) da importanti autori quali: Ward (1958)- Analisi comparativa dell’impresa capitalistica e cooperazione Sen (1966) Vanek (1970)- The labour managed economy- in cui affronta i problemi della sostenibilità. Dreze (1976) che scrive sulla rivista “Econometrica” analizzando l’equilibrio economico generale applicando le metodologie dell’analisi del mercato in concorrenza perfetta alle imprese cooperative. Ward che immagina che imprese capitalistiche e cooperative possano operare nelle stesse circostanze ambientali anche dal punto di vista della produzione. Questa ipotesi presenta tuttavia delle anomalie che si concretizzano nel fatto che l’impresa cooperativa sarebbe sistematicamente più piccola e occuperebbe meno persone. La seconda categoria di cooperative sono quelle che operano nel retail e nella grande distribuzione e per cui vi è una letteratura più ridotta che se ne occupa. In particolare qui gli autori più rilevanti sono: Enke (1945) Yamey (1950) Ireland e Law (1983)
  • 16. 16 2.1.1 Teorie (neo)istituzionaliste Le teorie istituzionaliste nascono negli anni 70 nel filone principale della teoria economica. Il metodo è lo stesso enunciato nella suddetta teoria. Gli autori di queste teorie sono: Coase (1937) che è l’iniziatore e scrive un articolo sull’argomento sulla rivista “Economica” Alchan e Demsetz che vedono le imprese cooperative in chiave negativa Williamson (1975) Hansmann che espone varie forme possibili di cooperazione sia come variante dei costi di transazione il cui vantaggio è mettere d’accordo i soci e abbassare le barriere sia dei costi di contrattazione il cui vantaggio per il consumatore sta nel superare e neutralizzare il potere di monopolio del venditore. Secondo queste formulazioni teoriche non ci si chiede più, data una forma organizzativa, qual è l’azione ottimale ma piuttosto se siano possibili diversi assetti organizzativi e quindi ci si interroga sull’impatto dell’organizzazione aziendale sul benessere e sulla redditività sociali. 2.1.2 Teorie comparative sulle forme organizzative Attraverso il confronto tra le diverse forme organizzative per uno stesso livello di produzione ci si domanda qual è l’impresa migliore tra due imprese che ipoteticamente possano produrre le stesse cose e che abbiano lo stesso numero di lavoratori. Si passa pertanto da quella che viene definita efficienza allocativa (qual è la migliore allocazione?) all’efficienza organizzativa (qual è l’organizzazione più efficiente?).
  • 17. 17 Ad ogni modo, tutta la letteratura non si è rivelata soddisfacente per due ordini di ragioni: a) è troppo concentrata sulla cooperazione di produzione b) è ispirata alla realtà statunitense che non è molto rappresentativa in materia di cooperazione. 2.2 DALLA TEORIA ALLA REALTA’ A partire dagli anni ’70 il peso dei lavoratori nelle cooperative arriva al 6%; triplica la quota di occupanti passando da circa 200000 a 1200000 nel settore privato dell’economia. La presenza della cooperazione in Italia è significativa - nel settore agricolo -nel settore del lavoro -nel settore dei servizi (settore del credito, per esempio le banche di credito cooperativo o nel settore dei servizi sociali) I motivi per i quali la cooperazione ha iniziato ad affermarsi in modo significativo sono riconducibili a fenomeni a) politico-culturali- negli anni ’70 infatti le maggiori forze politiche prima separate iniziarono a dialogare e le ispirazioni della cooperazione di matrice cristiana, socialista, repubblicana trovò possibilità di esprimersi. b) legislativi- ad esempio la riforma del 1971 e la legge fiscale del 197 favorirono la cooperazione. Dagli anni ’70 sono cambiate anche le caratteristiche dell’impresa cooperativa: la dimensione media d’impresa tende a diminuire perché nascono microimprese e società di capitali. La cooperativa invece ha aumentato la propria dimensione. In media gli addetti di un’impresa cooperativa sono poco più di 20 mentre quelli di un’impresa non cooperativa sono poco più di 12. Inoltre se nelle imprese non cooperative è diminuito l’orizzonte temporale degli investitori, il contrario è accaduto per quanto riguarda le imprese cooperative. Questi differenti orizzonti temporali comportano strategie di
  • 18. 18 impresa diverse. Alcune di esse puntano al lungo periodo aumentando, ad esempio, le dimensioni dell’impresa, altre al breve periodo. L’obiettivo diventa non solo quello di massimizzare il benessere dei soci o il reddito dei lavoratori ma anche quello di farlo nel lungo termine e in virtù di questo obiettivo l’impresa ha introdotto tutta una serie di innovazioni di prodotto ma soprattutto di processo. 2.2.1 Aspetti organizzativi e manageriali I principi delle imprese cooperative sono: - open door che implica l’adesione libera e volontaria dei soci all’organizzazione - controllo democratico da parte dei soci - partecipazione economica - promozione dell’educazione - cooperazione tra cooperative - attenzione alla collettività La configurazione ideologica dell’organizzazione è basata sul potere di aggregazione, sul senso di missione e sull’incontro tra fini individuai e collettivi. In particolare l’organizzazione delle imprese cooperative cerca di trovare una coerenza tra sistemi culturali di riferimento e organizzazione tenendo in considerazione il contesto competitivo. In accordo con le tesi marxiste abbiamo: a) un raggruppamento intorno a un leader (fase di difesa) b) istituzionalizzazione della cooperativa, ingresso di nuovi membri, incremento delle dimensioni aziendali, crescita (fase di consolidamento) c) la cooperativa domina il mercato (fase industriale)
  • 19. 19 Accanto a questo filone che supporta la crescita delle imprese cooperative esiste un filone degenerativo che associa conseguenze negative al crescere della dimensione cooperativa delle imprese. In particolare secondo questa corrente di pensiero con il passare del tempo le imprese andrebbero incontro ad una crescente complessità che darebbe luogo a maggiori esigenze organizzative, maggiore efficienza, maggiore professionalità nel management e maggiore specializzazione. Tuttavia la crescita porterebbe anche a serie difficoltà ad autogestirsi, una minore condivisione della cultura e ideologia aziendale e una minore omogeneità tra i cooperatori. In particolare una crescita dimensionale potrebbe secondo questo approccio portare ad una coatta revisione dei processi decisionali e di comunicazione interna e a possibili sentimenti di non uguaglianza tra i soci. La crescita presuppone inoltre un forte incremento delle capacità gestionali e del commitment (partecipazione) comportamentale ed economico. Il modello orizzontale e decentrato prevede quindi minori sforzi contrattuali e maggiore sforzo e partecipazione al fine dell’efficienza. 2.3 FUSIONI, ACQUISIZIONI E JOINT VENTURES I tre termini sono così liberamente utilizzati nel lessico di business che è naturale che vi sia un elevato livello di confusione. Prima di proporre un quadro di scelta tra i tre modelli, è molto importante che le concettualizzazioni di queste terminologie siano chiare. -Fusioni: si potrebbero fare molti esempi di fusioni - AOL Time Warner, GlaxoSmithKline (la seconda più grande azienda farmaceutica al mondo dopo Pfizer), Hero Honda (il marchio motociclistico leader in India), Sony Ericsson (il terzo produttore di telefoni cellulari nel mondo) e molti altri. In ciascuno di questi casi, i nomi di entrambe le aziende sono state selezionate in modo da sfruttare il capitale di entrambi i marchi. Quindi in poche parole, fare una fusione significa creare una nuova organizzazione di due o più organizzazioni di statura più o meno uguale, mettendo in comune tutte le risorse.
  • 20. 20 Acquisizioni: le acquisizioni d'altra parte si riferiscono a processi in cui una società acquista un’ altra società. In una tale situazione l'azienda acquirente assorbe la società che ha acquistato nell’azienda esistente. Le acquisizioni possono essere effettuate sia per eliminare la concorrenza assorbendo la società concorrente o per ampliare il portafoglio o per tenere la società acquisita come entità indipendente sotto la gestione complessiva aziendale. Ad esempio News Corp Inc ha acquisito MySpace, il sito leader di networking online con una stima di 100 milioni di utenti registrati per espandere il portafoglio corporate. D'altro canto Vodafone Group, la più grande società al mondo di reti di comunicazioni con una capitalizzazione di mercato di 86 miliardi di sterline (169 miliardi di dollari) ha recentemente acquisito una partecipazione del 67% in Essar Hutchison (uno dei network leader in India dei telefoni cellulari) per 19 miliardi di dollari . Lo scopo di questa acquisizione è stato quello di entrare nel mercato indiano. Con questa acquisizione, l'India è diventata il secondo mercato di Vodafone dopo gli Stati Uniti. Come è evidente dai numerosi esempi citati prima, fusioni e acquisizioni rispondono a tre obiettivi principali: possono servire come strategia di ingresso sul mercato, come strumento aziendale di espansione del portafoglio e come meccanismo di difesa dalla concorrenza. Joint Ventures: la Joint Venture è un approccio in cui due o più aziende decidono di unire le loro risorse per formare una forza combinata nel mercato. A differenza della fusione, la joint venture non comporta l'emergere di una nuova entità combinata. Ogni partecipante alla joint venture mantiene la sua entità individuale, ma sceglie di competere con concorrenti come una forza di business unificato. Recentemente, il più grande rivenditore al mondo di Wal- Mart è entrato in una joint venture con Bharti Enterprises India per ottenere un toe hold nel fiorente mercato indiano al dettaglio. Questa mossa era l'unico modo in cui Wal-Mart avrebbe potuto entrare nel mercato indiano, poichè le restrizioni normative vietano a una completa catena di proprietà straniera al dettaglio di operare nel mercato indiano. Consideriamo un altro esempio - Costa Coffee, la marca del caffè presente in tutto il Regno Unito e nell'Europa occidentale. Questo marchio è entrato nel mercato cinese di recente con una
  • 21. 21 joint venture con il Gruppo Yueda che ha base nella provincia di Jiangsu in Cina. Questo non è avvenuto a causa di vincoli normativi, ma a causa del suo bisogno di conoscere un mercato straniero. Pertanto le joint ventures sono davvero una strategia di ingresso molto comune per le aziende. Questo approccio ha i suoi pro e contro. Il vantaggio evidente è che le imprese che entrano in nuovi mercati attraverso joint ventures traggono vantaggio dalle conoscenze della società locale. Lo svantaggio evidente è che le imprese in nuovi mercati possono essere raggirate se le joint ventures non sono concordate con attenzione. In quanto tali, le joint ventures sono meno rischiose delle acquisizioni perché sono negoziabili, cooperative ed è più facile uscirne. Esse portano due società con interessi comuni, ma diversi punti di forza a lavorare insieme su progetti specifici in grado di offrire benefici a entrambi. 2.3.1 Fattori per la scelta Comprese le implicazioni, le aziende dovranno considerare tre fattori chiave che influenzano la scelta tra gli approcci. 1. Livello della concorrenza nel mercato. Una delle ragioni fondamentali che le società hanno per impegnarsi in una fusione, un’acquisizione o una joint- venture è quello di affrontare la concorrenza in ogni mercato. Le aziende di tutto il mondo devono pensare che il consolidamento di un mercato permette loro di ottenere il potere di rivendicare la posizione di leadership. In quanto tale, a seconda di come il mercato sia competitivo in ogni settore particolare, le società dovranno decidere tra le tre opzioni. Le acquisizioni riducono i costi, aumentano i tassi di occupazione, e migliorano la redditività di base. Ma esistono settori, come ad esempio l’elettronica di consumo in cui a causa della natura altamente specializzata del lavoro, le imprese preferiscono collaborazioni o joint ventures. Pertanto, un Samsung lavora con Sony, un Sony Ericsson collabora con Intel che collabora con IBM e così via. Tali joint ventures strategiche permetteranno alle aziende di sfruttare ogni know how atrui.
  • 22. 22 2. Le joint ventures sono preferite per entrare in nuovi mercati o segmenti. Uno dei fattori importanti che devono essere considerati è il livello delle barriere presenti all’ingresso di un nuovo mercato. Alcuni mercati sono caratterizzati da elevate barriere di accesso quali i vincoli normativi, i concorrenti stabiliti, mercati molto volatili che non giustifica gli investimenti prima messa e così via. In tali casi, le joint ventures sono l'opzione preferita in quanto consentono alle aziende di sfruttare le conoscenze e le risorse esistenti attraverso la collaborazione. D'altra parte, dove le barriere all'entrata sono basse, le aziende possono entrare nel mercato sia attraverso fusioni o acquisizioni. 3. Insieme con i due precedenti fattori, le sinergie e le risorse sono altrettanto importanti nel decidere tra le tre opzioni a disposizione delle imprese. Le fusioni e le joint ventures tra le società hanno dimostrato di funzionare in modo efficiente se vi è un elevato livello di sinergia tra le aziende che si fondono insieme. Si possono realizzare sinergie nella cultura aziendale, nel portafoglio prodotti, negli obiettivi strategici, e nella catena di fornitura o di sistemi logistici. Quando tali sinergie prendono forma, le aziende possono implementare in modo produttivo una fusione o una joint venture. Analogamente, per l’acquisizione, un fattore importante è la disponibilità di risorse finanziarie. Poiché le acquisizioni avvengono a prezzi molto più alti dei valori contabili delle società oggetto di acquisizione, l'acquisizione di imprese deve possedere o avere accesso a risorse considerevoli. 2.4 CONCLUSIONI Fusioni, acquisizioni e joint ventures sono tutte strategie di crescita aziendale altrettanto potente disponibile per le aziende. Ma sono anche, per tornare al tema principale di questa relazione forme importanti di cooperazione.
  • 23. 23 CAPITOLO 3 Nel nostro Paese, i sistemi locali e i sistemi di filiera di fornitura, tipicamente fondati sulle PMI, hanno alle spalle una storia di successo di diversi decenni. Nel dopo-crisi, tuttavia, le piccole e medie imprese sono chiamate a ricercare soluzioni sempre nuove per accrescere la propria competitività. La collaborazione tra aziende diventa così un’opzione importante per cercare di conquistare nuovi mercati o sviluppare progetti di ricerca finalizzati alla realizzazione di nuovi prodotti. Solo così, infatti, è spesso possibile per le PMI raggiungere la forza organizzativa, l’articolazione e le risorse economiche necessarie. Diverse sono le possibili soluzioni, dalle semplici collaborazioni a veri e propri processi di aggregazione. Oggi, accanto agli strumenti giuridici già presenti nel nostro ordinamento (ATI, Consorzio, Joint Venture, Fusioni, ecc.), compare l’innovativo contratto di rete, che consente di dare vita a progetti complessi. Diventa importante, se non fondamentale, per fronteggiare la crisi “fare rete”, aggregarsi per migliorare le capacità di migliorare e competere. 3.1 IL MODELLO DELL’IMPRESA A RETE L’impresa rete naturale consiste in quel “sistema di riconoscibili e multiple connessioni e strutture entro cui operano ‘nodi’ ad alto livello di autoregolazione (sistemi aperti vitali) capaci di cooperare tra loro (ossia di condurre vari tipi di transazioni efficaci) in vista di fini comuni, ossia di risultati condivisi” (Butera, 1990:60-69). Le caratteristiche dell’impresa rete sono quindi due:
  • 24. 24 - l’azione del soggetto economico non si svolge all’interno dei confini giuridico- organizzativi dell’impresa ma ha confini più ampi - l’elemento regolatore dei processi aziendali non è la struttura organizzativa ma sono le relazioni tra i soggetti d’impresa o fra imprese. L’impresa rete è caratterizzata da un elevato grado di accentramento e di decentramento che sono molto intensi e coesistono nello stesso tempo. L’accentramento riguarda il controllo delle risorse strategiche quali quelle finanziarie, tecnologiche, umane. Il decentramento è relativo alle operazioni produttive, finalizzate a conseguire economie di scala. Nell’impresa rete i nodi “sono entità grandi o piccole orientate ai risultati, relativamente autoregolate, capaci di cooperare con gli altri e di interpretare gli eventi esterni. Possono essere sia unità giuridicamente autonome sia unità organizzative interne a una singola impresa” (Butera 1990:64). I nodi sono entità vitali, ovvero dotate di autonomia, orientati ai propri fini e alla conservazione della propria identità e interagiscono con altri nodi e identità. Per la vitalità di cui sono dotati i nodi non sono solo parti componenti ma elementi costitutivi del’impresa rete. Le connessioni sono i legami fra i nodi e possono essere:connessioni burocratiche, regole di cooperazione, informazioni formalizzate, comunicazioni. La cooperazione, in particolare richiede regole e pratiche per governare i processi di lavoro in comune, le decisioni collegiali. La comunicazione diventa, dunque particolarmente importante per lo sviluppo e il funzionamento dell’organizzazione a rete. Le comunicazioni diventano la componente fondamentale di una struttura organizzativa il cui funzionamento è sempre meno basato da un lato sui supporti gerarchici e sulle procedure tipiche della gerarchia e, dall’altro, sui rapporti di equivalena immediata tipici dei mercati. L’organizzazione a rete si basa principalmente sulle relazioni e n particolare sulle relazioni di tipo cooperativo, dove le parti hanno obiettivi reciprocamente dipendenti fondati sulla reciprocità tra prestazione e controprestazione come condizione di stabilità nel lungo periodo.
  • 25. 25 3.2 COOPERARE PER FRONTEGGIARE LA CRISI È ancora difficile parlare in termini positivi di questa crisi, quando attendiamo il presentarsi di alcuni dei suoi effetti tra i più devastanti, in particolare per ciò che riguarda le ripercussioni sul mondo del lavoro. Molte attività produttive messe in grande sofferenza dalla congiuntura economica hanno fin qui retto grazie ad incentivi ed ammortizzatori, ma saranno a breve in condizione di dover rivedere pesantemente ed in tempi brevi i propri assetti organizzativi ed imprenditoriali. Stiamo, infatti, già assistendo ai primi fallimenti, liquidazioni concordate, delocalizzazioni produttive che provocano la perdita immediata di numerosi posti di lavoro aggravando al tempo stesso la posizione di altre imprese ed artigiani che esercitano la propria attività nel mercato dell’indotto. In questo generale contesto economico la cooperazione è, come le altre imprese, coinvolta pesantemente dalla crisi: non è qui che vi sono sostanziali differenze. La grande diversità sta nel come questa crisi la si affronta. Innanzi tutto le nostre imprese dimostrano di resistere meglio alle difficoltà perché sono mediamente molto più solide. Contrariamente alle imprese capitalistiche, dove il valore aggiunto creato non rimane nell’azienda, ma viene distolto dal ciclo produttivo per remunerare chi apporta il capitale, nelle cooperative il margine positivo di gestione va a costruire il capitale intergenerazionale, ossia un patrimonio aziendale che si consolida nel tempo lasciando alle future generazione l’opportunità di avvalersi di un’impresa solida, dotata di una propria autonomia patrimoniale e finanziaria. In secondo luogo le cooperative, che come sopra spiegato non prendono le proprie scelte per massimizzare il profitto, continuano ad esercitare l’attività imprenditoriale anche quando i margini si riducono senza delocalizzare la produzione. Questo spiega come la cooperazione continui ad essere al fianco ad esempio degli agricoltori, vivendo con loro questi momenti difficili che il
  • 26. 26 settore sta attraversando, per ricercare insieme le possibili soluzioni. Nello stesso periodo le imprese profit si sono progressivamente fatte da parte oppure si sono rivolte a prodotti provenienti da altri paesi che potevano meglio soddisfare le loro esigenze di profitto, mentre altre organizzazioni hanno cercato di defilarsi dal problema reale senza fare nessuna positiva proposta, strumentalizzando e cavalcando il malumore esclusivamente per interessi personali che nulla avevano a che fare con l’interesse degli agricoltori. Ma altre cooperative sono orientate nel proprio agire dal principio mutualistico, ossia dal rapporto di scambio tra il socio e la propria cooperativa, che rappresenta il fine ultimo di questa particolare forma di impresa. Per essa il risultato di bilancio rappresenta un vincolo da dover necessariamente soddisfare per continuare nel tempo a dare risposta ai bisogni dei soci. È in questo delicato equilibrio tra dimensione sociale e funzione d’impresa che si gioca tutta la forza valoriale ed innovativa del modello cooperativo. La cooperazione promuove da sempre il principio di sussidiarietà, favorendo l’autodeterminazione dei cittadini attraverso la loro libera associazione per sviluppare un modello economico che riconosca il valore della persona e la sua opera, realizzando un’equa distribuzione della ricchezza prodotta. Non è un caso che l’Emilia Romagna, ossia la regione nella quale la presenza cooperativa è particolarmente significativa, sia riconosciuto da tutti come il territorio che registra la miglior distribuzione della ricchezza a livello mondiale. Nella presentazione del Bilancio Sociale 2008 delle imprese associate a Confcooperative Ravenna questo dato è emerso con chiarezza: per il nostro sistema lo scambio mutualistico diretto vale circa 755 milioni di euro e rappresenta il 76% degli scambi economici complessivi, ben al di sopra della soglia del 50% che la legge stabilisce per definire quando una cooperativa sia meritevole di essere considerata “a mutualità prevalente”. È un dato del quale dovremmo andare orgogliosi e che manifesta chiaramente la propensione a vivere il modello cooperativo in modo autentico, consapevoli che l’uomo solidale e creativo deve essere il motore dell’attività umana in
  • 27. 27 contrapposizione alla mentalità capitalista della speculazione e della logica legata esclusivamente alla massimizzazione del profitto. 3.3 CONCLUSIONI Ciò che qui si propone è il concretizzarsi di un progetto che vede una galassia di imprese particolari capaci di essere d’esempio per trovare un nuovo modo di affrontare la crisi economica e quella del mondo del lavoro. In un momento di grande difficoltà come quello attuale, la cooperazione sia riuscita a tenere più di altri ed a difendere i propri livelli occupazionali, purtroppo però in assenza di politiche di rilancio, nazionali e locali anche le cooperative rischiano nei prossimi anni di pagare un prezzo molto caro sul piano della crescita delle aziende e della occupazione. Occorre essere attrezzati meglio per far fronte a questa crisi perché non è ancora passata e anche le cooperative si devono rinnovare con ristrutturazioni aziendali forti. La cooperazione stessa infatti è molto cambiata nel tempo, riuscendo a consolidarsi ed a crescere anche in settori difficili come quello del sociale nel quale rappresenta oggi forse l’unica difesa di quella coesione che il nostro territorio può ancora vantare, tuttavia - come non ha mancato di sottolineare Ivano Martelloni, presidente della Lega Cooperative- «è assolutamente fondamentale oggi sviluppare una rete che unisca cooperazione, imprese ed enti locali. In generale posso dire di aver registrato, in questi quindici anni una forte crescita della cooperazione – ha affermato – ma soprattutto la crescita della consapevolezza del ruolo che le cooperative svolgono sia nel tessuto economico che in quello sociale ed il crescere dell’apprezzamento di questo ruolo nelle istituzioni ed in generale nella nostra comunità. Sono stati anni straordinari, nei quali ho vissuto momenti a volte molto duri, non posso dimenticare l’esperienza del Cantiere navale ed i limiti che tutta la cooperazione, ed io per primo, ha manifestato in quella circostanza, ma anche a volte bellissimi come quando ho potuto vedere come da una esperienza negativa come quella della Polo Costruzioni e nata ancora in forma
  • 28. 28 cooperativa una delle aziende di costruzioni più importanti della Toscana come la C.L.C.»
  • 29. 29 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Aguilera, D. C. (1990). Crisis intervention: Theory and methodology (sesta edizione). St. Louis, MO: C. V. Mosby. Berge, D. (1991). Cosa fare quando il lupo è alla porta, L’Impresa, n.5. Buttera F., Il castello e la rete Impresa, Organizzazione e Professioni, Franco Angeli, Milano, 1990 Caponigro, J. R. (2000). The crisis counselor: A step by step guide to managing a business crisis. Chicago: Contemporary Books. Dutton, J. E. (1998). The processing of crisis and non-crisis strategic issues. Journal of Management Studies, 23, 501-517. Guerra, P. e Ferrario, B. (2000). Crisis management. In Gilardoni A., (a cura di), Health, Safety & Environment. Milano: Egea. Gephart, R. P. (1984). Making sense of organizationally based environmental disasters. Journal of Management, 10, 205-225. Hermann, C. F. (1963). Some consequences of crisis which limit the viability of organizations. Administrative Science Quarterly, 8, 61-82. Invernizzi E. e Ripamonti, D. (2002). La comunicazione e la gestione delle crisi in Relazioni Pubbliche 2. Le competenze e i servizi specializzati. Invernizzi E. (a cura di), (2002). Relazioni Pubbliche 2. Le competenze e i servizi specializzati, McGraw-Hill. Lagadec, P. (1990). Communication strategies in crisis situations. Industrial Crisis Quarterly, 1, 19-26. Lagadec, P. (1993). Preventing chaos in a crisis. London:McGraw-Hill. Lombardi, M. (1993). Tsunami – crisis management della comunicazione. Milano: Vita e pensiero Meyers, G.C. (1986a). Gestire le crisi: come affrontare e risolvere le difficoltà dell’azienda. Milano: Edizione del Sole 24 Ore. Mitroff, I. E., & Pauchant, T.C. (1988). Crisis management: an integrated approach. Document spécial 88-108, Faculté des Sciences de l’Administration, Université Laval, Québec, Canada. Pauchant, T. C., & Douville, R. (1994). Recent research in crisis management: A study of 24 authors' publications from 1986 to 1991. Industrial and Environmental Crisis Quarferiy, 7, 43-61. Pearson, C. M., & Clair, J. A. (1998). Reframing crisis management. Academy of Management Review, 23, 59-76. Quarantelli, E. L. (1988). Disaster crisis management: A summary of research findings. Journal of Management Studies, 25, 373-385.
  • 30. 30 Shrivastava, P., Mitroff, I., Miller, D., & Miglani, A. (1988). Understanding industrial crises. Journal of Management Studies, 25, 285-303. Ward Weick, K. E. (1988). Enacted sensemaking in crisis situations. Journal of Management Studies. 25, 305-317.