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61MENTE&FINANZA
PSICOLOGIA SOCIALE
G
ustave Le Bon è un
antropologo, psicologo,
sociologo, vissuto in
Francia a cavallo tra 1800
e 1900, un geniale osservatore dei
mutamenti della società, inviso al
mondo accademico ma letto in
tutto il mondo geografico, di cui è
stato a lungo viaggiatore, citato a
memoria da tutti i grandi dittatori
del secolo scorso: Mussolini,
Hitler, Lenin e Stalin. Ma anche
Roosevelt.
Le Bon, che si faceva chiamare
professore pur non essendo
laureato, che si tingeva di nero
la lunga barba e organizzava
intorno alla sua tavola i pranzi del
mercoledì con politici, scienziati
e pensatori tra i migliori della
Francia dell’epoca, aveva vissuto
movimenti collettivi importanti
come la Comune di Parigi, il
movimento boulangista e l’affare
Dreyfuss.
Vide quindi le prime folle,
urbanizzate e industrializzate,
addensarsi e muoversi all’unisono,
assumendo un ruolo nella storia
che prima gli era sconosciuto. Le
osservò, le studiò, le descrisse come
se fossero un paziente in terapia
PSICOLOGIA
DELLE FOLLE
PENSIERI VELOCI DI MASSA
di Emanuela Notari
62 MENTE&FINANZA
PSICOLOGIA SOCIALE
➲
e condivise con il suo grande
pubblico i meccanismi che ne
condizionano il comportamento.
Regalando così al 900 una serie
imbattuta di dittatori esperti e
preparati. Ma la colpa di una
scoperta venefica non può ricadere
sulle spalle del ricercatore che l’ha
individuata, piuttosto su quelle di
chi ne fa l’uso peggiore.
Le Bon sosteneva che la folla
è un luogo di regressione per
l’individuo, il quale, dopo essersi
elevato con la civilizzazione
sopra le proprie viscere fino
all’altezza dell’intelletto, torna ad
essere animale, parte di un corpo
animale. Nella folla l’uomo si
abbruttisce, perde se stesso, viene
mosso da istinti ed emozioni
che, preso individualmente,
governerebbe con la ragione e con
la propria etica, e, all’ombra della
deresponsabilizzazione collettiva, si
abbandona al bisogno ancestrale di
consegnarsi al governo del leader.
Sulla base delle sue intuizioni,
Gustave Le Bon individuò i crismi
della comunicazione di massa che
i dittatori del 900, che seguirono di
lì a poco, impararono a memoria:
usare suggestioni ed
emozioni forti
reiterare slogan semplici
e orecchiabili
evitare argomentazioni
razionali
elevare la figura del leader
al rango di divinità
e l’appartenenza
a riconoscimento.
In sintesi Gustave Le Bon precorse
i tempi delle dittature del 900
ma anche della pubblicità e della
società dei consumi.
Leggendo il suo "Psicologia delle
folle" viene spontaneo pensare a
Daniel Kahneman, al suo sistema
1 - il pensiero veloce, istintivo,
irrazionale che guida le nostre
decisioni impulsive in opposizione
al sistema 2, razionale e lento. Ma
in formato fenomeno di massa.
Viene in mente anche Piero
Dominici, quando dubita dell’etica
di una società basata sulla velocità.
I rapidi addensamenti di individui
intorno a un ideale, un interesse,
una suggestione, quale che sia,
sono il frutto infatti di quello che
Kahneman ha chiamato il pensiero
veloce, il non-pensiero, l’istinto,
la pancia. La velocità che è tanto
indispensabile per muoversi nella
vita di tutti i giorni, tra scelte e
decisioni che non possono tutte
essere ragionate pena la paralisi, è
figlia della nostra grande capacità
adattiva. E' il compromesso tra la
sopravvivenza e il raziocinio.
Tanto preziosa per l’efficienza
moderna che ci governa,
la velocità è esplosa con
l’industrializzazione, la
standardizzazione, la produzione
su larga scala. Guarda caso
quando Gustave Le Bon comincia
63MENTE&FINANZA
a osservare con attenzione le
folle, considerandole soggetti
animati di vita propria, nasceva la
classe operaia non specializzata,
soggiogata all’efficienza, in uno
stato di apnea cognitiva collettiva
indispensabile per eseguire
un processo uguale per tutti,
selezionato per dare il minimo
miglior risultato replicabile
indifferentemente da qualunque
soggetto lavoratore.
Così la classe operaia che
veniva dalla specializzazione
dell’artigianato e dell’agricoltura,
urbanizzatasi, approda al lavoro
automatizzato, annullando le
proprie individualità e specificità
in un lavoro di massa, prestandosi
essa stessa ad essere macchina.
Un lavoro da schiavi automatizzati
ieri, verosimilmente destinato ad
evolvere in un lavoro da schiavi
automi domani.
Chi pensa, chi è pagato per
pensare, godrà del fringe benefit
del tempo che sarà la nuova
discriminante sociale tra ricchi
e poveri, insieme con la cultura.
Che alla velocità poco si addice, la
cultura è pesante.
La rivoluzione industriale,
apologia dell’efficienza, ha generato
il mito della velocità, che infatti
non esiste in paesi non industriali.
Ma la velocità è volatile, per sua
natura sorvola a pelo le questioni,
come un aereo accorcia le distanze
ma si perde i dettagli. La velocità
impedisce di approfondire, di
riflettere, di ragionare. E qui entra
in campo l’osservazione di Piero
Dominici che dubita dell’etica della
velocità. Come può essere etico
un agire dettato dalla velocità,
dall’assenza di riflessione, giudizio,
ragionamento? E di responsabiità,
personale, se lo caliamo nella folla.
Velocità come mezzo, efficienza
come fine, emozioni come
companatico, superficialità come
destino. Così funziona il nostro
sistema istintuale di pensiero,
quello che tiriamo in ballo migliaia
di volte in un giorno, per non
paralizzarci nella preteza di sole
scelte razionali. Lo stesso sistema
di pensiero, o non-pensiero, che
Le Bon notava nelle folle: istintivo,
animalesco, governato dalla
pancia più che dalla testa, volubile,
alterno, irrazionale, emotivo,
regressivo.
Nella folla l’individuo di disfa della
propria specificità e della propria
coscienza, della propria umanità
evoluta, per indossare la tuta della
massificazione e della velocità.
Niente più ragionamento, niente
pensiero 2, niente coscienza,
anonimato totale e, soprattutto,
niente pietà.
Questo animale brutale e goffo si
lascia addomesticare dal leader, dal
“manovratore” che, proprio grazie
a Le Bon, sa come sussurrare
al suo orecchio suggestioni,
emozioni, incitamenti, gli stessi
che userebbe con un cane fedele.
Inutile spiegargli perché e per
come, bisogna indurlo a fare
ciò che il padrone reputa utile
senza spiegazioni, alimentando
la sua fedeltà con piccoli premi
e quotidiani esercizi di perizia
ginnica.
Antropologo, psicologo e sociologo francese, nacque
nel 1841 e morì nel 1931, quindi visse a cavallo di quella fase
in cui l’Europa entrava nell’epoca moderna, con tutti i disastri
che questa portò con sé.
Studiò medicina ma si occupò prevalentemente di
antropologia, si cimentò in fisica e nella sociologia che gli
diede la notorietà con il famoso libro Psicologia delle folle, del
1895; scritto in modo semplice e tradotto in moltissime lingue,
fu letto in tutto il mondo e imparato a memoria dai grandi
dittatori del 900: Hitler, Mussolini, Lenin e Stalin. Ma fu molto
stimato anche da Roosevelt.
Viaggiò in Europa,Asia e Africa, occupandosi di archeologia
e antropologia. Uomo colto e curioso, intuì per primo i
meccanismi che muovono le folle, il fenomeno di contagio
che le infiamme e le tecniche di persuasione che le
assoggettano al leader carismatico.
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  • 1. 61MENTE&FINANZA PSICOLOGIA SOCIALE G ustave Le Bon è un antropologo, psicologo, sociologo, vissuto in Francia a cavallo tra 1800 e 1900, un geniale osservatore dei mutamenti della società, inviso al mondo accademico ma letto in tutto il mondo geografico, di cui è stato a lungo viaggiatore, citato a memoria da tutti i grandi dittatori del secolo scorso: Mussolini, Hitler, Lenin e Stalin. Ma anche Roosevelt. Le Bon, che si faceva chiamare professore pur non essendo laureato, che si tingeva di nero la lunga barba e organizzava intorno alla sua tavola i pranzi del mercoledì con politici, scienziati e pensatori tra i migliori della Francia dell’epoca, aveva vissuto movimenti collettivi importanti come la Comune di Parigi, il movimento boulangista e l’affare Dreyfuss. Vide quindi le prime folle, urbanizzate e industrializzate, addensarsi e muoversi all’unisono, assumendo un ruolo nella storia che prima gli era sconosciuto. Le osservò, le studiò, le descrisse come se fossero un paziente in terapia PSICOLOGIA DELLE FOLLE PENSIERI VELOCI DI MASSA di Emanuela Notari
  • 2. 62 MENTE&FINANZA PSICOLOGIA SOCIALE ➲ e condivise con il suo grande pubblico i meccanismi che ne condizionano il comportamento. Regalando così al 900 una serie imbattuta di dittatori esperti e preparati. Ma la colpa di una scoperta venefica non può ricadere sulle spalle del ricercatore che l’ha individuata, piuttosto su quelle di chi ne fa l’uso peggiore. Le Bon sosteneva che la folla è un luogo di regressione per l’individuo, il quale, dopo essersi elevato con la civilizzazione sopra le proprie viscere fino all’altezza dell’intelletto, torna ad essere animale, parte di un corpo animale. Nella folla l’uomo si abbruttisce, perde se stesso, viene mosso da istinti ed emozioni che, preso individualmente, governerebbe con la ragione e con la propria etica, e, all’ombra della deresponsabilizzazione collettiva, si abbandona al bisogno ancestrale di consegnarsi al governo del leader. Sulla base delle sue intuizioni, Gustave Le Bon individuò i crismi della comunicazione di massa che i dittatori del 900, che seguirono di lì a poco, impararono a memoria: usare suggestioni ed emozioni forti reiterare slogan semplici e orecchiabili evitare argomentazioni razionali elevare la figura del leader al rango di divinità e l’appartenenza a riconoscimento. In sintesi Gustave Le Bon precorse i tempi delle dittature del 900 ma anche della pubblicità e della società dei consumi. Leggendo il suo "Psicologia delle folle" viene spontaneo pensare a Daniel Kahneman, al suo sistema 1 - il pensiero veloce, istintivo, irrazionale che guida le nostre decisioni impulsive in opposizione al sistema 2, razionale e lento. Ma in formato fenomeno di massa. Viene in mente anche Piero Dominici, quando dubita dell’etica di una società basata sulla velocità. I rapidi addensamenti di individui intorno a un ideale, un interesse, una suggestione, quale che sia, sono il frutto infatti di quello che Kahneman ha chiamato il pensiero veloce, il non-pensiero, l’istinto, la pancia. La velocità che è tanto indispensabile per muoversi nella vita di tutti i giorni, tra scelte e decisioni che non possono tutte essere ragionate pena la paralisi, è figlia della nostra grande capacità adattiva. E' il compromesso tra la sopravvivenza e il raziocinio. Tanto preziosa per l’efficienza moderna che ci governa, la velocità è esplosa con l’industrializzazione, la standardizzazione, la produzione su larga scala. Guarda caso quando Gustave Le Bon comincia
  • 3. 63MENTE&FINANZA a osservare con attenzione le folle, considerandole soggetti animati di vita propria, nasceva la classe operaia non specializzata, soggiogata all’efficienza, in uno stato di apnea cognitiva collettiva indispensabile per eseguire un processo uguale per tutti, selezionato per dare il minimo miglior risultato replicabile indifferentemente da qualunque soggetto lavoratore. Così la classe operaia che veniva dalla specializzazione dell’artigianato e dell’agricoltura, urbanizzatasi, approda al lavoro automatizzato, annullando le proprie individualità e specificità in un lavoro di massa, prestandosi essa stessa ad essere macchina. Un lavoro da schiavi automatizzati ieri, verosimilmente destinato ad evolvere in un lavoro da schiavi automi domani. Chi pensa, chi è pagato per pensare, godrà del fringe benefit del tempo che sarà la nuova discriminante sociale tra ricchi e poveri, insieme con la cultura. Che alla velocità poco si addice, la cultura è pesante. La rivoluzione industriale, apologia dell’efficienza, ha generato il mito della velocità, che infatti non esiste in paesi non industriali. Ma la velocità è volatile, per sua natura sorvola a pelo le questioni, come un aereo accorcia le distanze ma si perde i dettagli. La velocità impedisce di approfondire, di riflettere, di ragionare. E qui entra in campo l’osservazione di Piero Dominici che dubita dell’etica della velocità. Come può essere etico un agire dettato dalla velocità, dall’assenza di riflessione, giudizio, ragionamento? E di responsabiità, personale, se lo caliamo nella folla. Velocità come mezzo, efficienza come fine, emozioni come companatico, superficialità come destino. Così funziona il nostro sistema istintuale di pensiero, quello che tiriamo in ballo migliaia di volte in un giorno, per non paralizzarci nella preteza di sole scelte razionali. Lo stesso sistema di pensiero, o non-pensiero, che Le Bon notava nelle folle: istintivo, animalesco, governato dalla pancia più che dalla testa, volubile, alterno, irrazionale, emotivo, regressivo. Nella folla l’individuo di disfa della propria specificità e della propria coscienza, della propria umanità evoluta, per indossare la tuta della massificazione e della velocità. Niente più ragionamento, niente pensiero 2, niente coscienza, anonimato totale e, soprattutto, niente pietà. Questo animale brutale e goffo si lascia addomesticare dal leader, dal “manovratore” che, proprio grazie a Le Bon, sa come sussurrare al suo orecchio suggestioni, emozioni, incitamenti, gli stessi che userebbe con un cane fedele. Inutile spiegargli perché e per come, bisogna indurlo a fare ciò che il padrone reputa utile senza spiegazioni, alimentando la sua fedeltà con piccoli premi e quotidiani esercizi di perizia ginnica. Antropologo, psicologo e sociologo francese, nacque nel 1841 e morì nel 1931, quindi visse a cavallo di quella fase in cui l’Europa entrava nell’epoca moderna, con tutti i disastri che questa portò con sé. Studiò medicina ma si occupò prevalentemente di antropologia, si cimentò in fisica e nella sociologia che gli diede la notorietà con il famoso libro Psicologia delle folle, del 1895; scritto in modo semplice e tradotto in moltissime lingue, fu letto in tutto il mondo e imparato a memoria dai grandi dittatori del 900: Hitler, Mussolini, Lenin e Stalin. Ma fu molto stimato anche da Roosevelt. Viaggiò in Europa,Asia e Africa, occupandosi di archeologia e antropologia. Uomo colto e curioso, intuì per primo i meccanismi che muovono le folle, il fenomeno di contagio che le infiamme e le tecniche di persuasione che le assoggettano al leader carismatico. INTUITO E CAPACITÀ DI OSSERVAZIONE GUSTAVE LE BON