2. Sommario
Parleremo di:
- Una breve introduzione alla disciplina
- Modi generali di concepire i fenomeni organizzativi
- Alcuni esempi le teorie organizzative siano fondate su tali concezioni
- Alcuni esempi di come le teorie organizzative influiscano
significativamente sulle pratiche
3. L’ORGANIZZAZIONE COME DISCIPLINA (1)
• L’organizzazione è una disciplina con caratteristiche peculiari:
• Si occupa di studiare le organizzazioni intese come «fenomeni sociali»
specifici
• le imprese, le istituzioni, gli enti e le amministrazioni pubbliche, le
organizzazioni informali etc.
• Tipici oggetti di studio: le strutture formali, le attività e le mansioni, i
processi di lavoro, etc.
• Si occupa anche dell’organizzazione come «azione» (organizzazione
non come sostantivo ma come verbo: «organizzare»)
• Tipici oggetti di studio: le decisioni e i comportamenti delle
persone nei contesti organizzativi
• Dalle scelte di progettazione organizzative di ampio respiro dei
manager e dirigenti. ai comportamenti quotidiani delle persone
• Gli elementi che influenzano il comportamento delle persone: i sistemi
di incentivi, i sistemi di valutazione, la cultura, i simboli, le relazioni etc.
4. L’ORGANIZZAZIONE COME DISCIPLINA (2)
• E’ una disciplina che si trova al crocevia di molte altre discipline
• Gli studi manageriali e aziendalistici, l’economia, la psicologia
sociale, la psicologia cognitiva, la sociologia del lavoro, il diritto
del lavoro etc.
• Questa varietà di fenomeni, di temi e di influenze disciplinari genera:
• Una moltitudine di approcci, teorie, strumenti e modi di analizzare
interpretare la realtà
• Vi sono tuttavia alcuni modi generali di concepire i fenomeni
organizzativi
• Le «CONCEZIONI DI ORGANIZZAZIONE»
• È importante conoscerli anche per chi non si occupa di teoria ma
di pratica
• Perché da essi discendono direttamente teorie e, di conseguenza,
prassi molto diverse tra di loro
• Hanno una natura epistemologica, cioè riguardano alternative diverse
e non compatibili relative ai possibili modi di conoscere la realtà
sociale (e dunque organizzativa)
5. LE CONCEZIONI DI ORGANIZZAZIONE (in breve)
1. CONCEZIONE OGGETTIVISTA
1. CONCEZIONE MECCANICISTICA
2. CONCEZIONE ORGANICISTICA / FUNZIONALISTICA
2. CONCEZIONE SOGGETTIVISTA
3. CONCEZIONE PROCESSUALE
6. LA CONCEZIONE OGGETTIVISTICA
• L’organizzazione è un «oggetto»
• Dunque è conoscibile attraverso modalità analoghe a quelle che
utilizziamo per conoscere la realtà fisica
• La realtà organizzativa (e sociale) è oggettiva, esiste a prescindere dai
soggetti che la osservano e la studiano
• Esistono dunque «leggi» e «modelli» universalmente validi che determinano il
funzionamento dei sistemi sociali e organizzativi
• Possono essere più o meno complesse
• Conoscere la realtà sociale e organizzativa significa avvicinarsi il più
possibile a scoprire con precisione tali leggi
• E’ utile distinguere, specialmente nel campo degli studi organizzativi, due
concezioni che hanno la stessa matrice epistemologica, pur differenziandosi
in modi significativi:
• La CONCEZIONE MECCANICISTICA
• La CONCEZIONE FUNZIONALISTICA
7. LA CONCEZIONE MECCANICISTICA (1)
• La metafora principale è quella di MACCHINA
• L’organizzazione è un grande, complesso sistema di «ingranaggi» (una
macchina, appunto) governato da leggi oggettive, conoscibili e
deterministiche
• Esiste un modello organizzativo ideale e «ottimale», cioè un modo
«perfetto» di organizzare
• Cioè un modello che consente di arrivare al miglior risultato di
efficacia e di efficienza
• Tale modello ottimale può essere contingente alla diversità dei
contesti (per es. i contesti di mercato)
• Lo scopo di chi progetta le organizzazioni è di definire un modello che si
avvicini il più possibile (date le conoscenze del momento) al modello
«ottimale»
• Dato il modello da seguire, il compito di chi dirige è fare in modo che
tale modello sia applicato nel modo più rigoroso possibile
• Occorre dunque evitare devianze rispetto al modello
8. LA CONCEZIONE MECCANICISTICA (2)
• La fonte principale di devianze sono le persone
• Dunque, le persone, a livello operativo, sono più viste come fonti di
problemi che non come risorse
• Allo scopo di ridurre le devianze, le attività e i processi sono organizzativi
per mansioni
• Mansione come: ATTRIBUZIONE STABILE DI COMPITI ELEMENTARI
• Il lavoro è standardizzato, formalmente definito, parcellizzato
• Questo consente migliore flessibilità nelle progettazione e maggiore
capacità di controllo e prevenzione delle devianze
• La Struttura Organizzativa è essenzialmente una gerarchia di mansioni
• Che risponde ad esigenze di parcellizzazione a livelli diversi, di
supervisione e controllo, di trasmissione delle informazioni dai livelli
decisionali a quelli esecutivi
9. TAYLORISMO E FORDISMO
• Il Taylorismo è il primo esempio di approccio sistematico
all’organizzazione fondato sulla concezione meccanicistica
• Frederick Taylor propose:
• Uno studio scientifico, accurato e sistematico dei processi di
lavoro, al fine di identificare la «ONE BEST WAY» (il modello ideale)
• Le persone devono essere addestrate e devono attenersi
scrupolosamente al modello
• Il surplus economico derivante dal beneficio di efficienza deve
essere distribuito in parte ai lavoratori, al fine di motivarli ad
accettare di privarsi di ogni prerogativa decisionale
• Henry Ford combinò i principi Tayloristici con l’automazione industriale
• L’automazione consentiva vantaggi di efficienza ma anche di
controllo
• Nasce la grande impresa industriale moderna
• Nasce anche il modo più diffuso di pensare al problema
organizzativo: identificare il miglior modello possibile e
implementarlo scupolosamente attraverso automazione e
controllo
10. LA CONCEZIONE ORGANICISTICA (1)
• La metafora principale è quella di ORGANISMO
• Come è nel caso degli esseri viventi, le organizzazioni devono soddisfare
REQUISITI FUNZIONALI al fine di poter sopravvivere (o avere successo) e
dunque istituiscono ORGANI che se ne occupino
• Vi sono molti modi di concettualizzare quali siano le funzioni
essenziali, vedremo alcuni esempi in seguito
• Non viene abbandonata l’idea dell’esistenza (e dunque della ricerca)
di un «Modello Ottimale»
• tuttavia vengono riconosciute la complessità e l’incertezza come
elementi sostanzialmente inevitabili
• Dunque, le variazioni e devianze dal modello non sono
necessariamente dannose
• Le variazioni possono essere positive, purché «non disfunzionali», cioè
purché contribuiscano positivamente al soddisfacimento dei requisiti
funzionali dell’organizzazione
11. LA CONCEZIONE ORGANICISTICA (2)
• L’organizzazione (e la struttura organizzativa) non è più vista come un
sistema di mansioni, ma un sistema di RUOLI
• Il RUOLO è definito come un insieme di aspettative entro le quali il soggetto
può agire in modo discrezionale, purché non lo faccia in modo disfunzionale
• Il perimetro di ruolo può essere più o meno ampio a seconda del
grado di complessità e incertezza dell’attività
• È comunque il «sistema» (dunque il «modello» organizzativo
predefinito) a determinare i confini di ruolo, e dunque a imporsi sul
soggetto
• In modo meno «parcellizzato» e standardizzato rispetto alla concezione
meccanicistica, ma che comunque fa prevalere la razionalità del sistema
(del modello) sulla razionalità (e le attitudini, le preferenze, ecc) dei
soggetti
• Ogni organizzazione deve a sua volta agire in modo funzionale ai meta-
sistema in cui è inserita
• Per esempio il mercato e la società
• Così come ogni sotto-sistema (le unità organizzative, i team, fino alle singole
persone) devono esserlo rispetto all’organizzazione
• Se non si agisce in modo funzioanle, si viene sanzionati o espulsi dal sistema
12. LA TEORIA CONTINGENTISTA (1)
• L’approccio teorico più diffuso coerente con la concezione organicista
/ funzionalista è quello CONTINGENTISTA
• L’idea principale: la progettazione organizzativa deve adattare
l’organizzazione a vincoli e contingenze esterne
• Per esempio, vincoli e contingenze ambientali (di mercato, ma
non solo) e tecnologiche
• È un altro modo di dire che l’organizzazione deve essere, in
termini organizzativi, funzionali ai meta-sistemi nei quali è inserita
• Un esempio: la teoria delle contingenze ambientali, di Lawrence e
Lorsch
• L’ambiente viene analizzato nei suoi componenti fondamentali:
• Clienti, fornitori, concorrenti, mercato del lavoro, enti ed istituzioni
legislative, istituzioni finanziarie, università e centri di ricerca,
stampa e media, etc.
• Tanto più è complesso e articolato l’ambiente esterno, tanto più
l’organizzazione deve DIFFERENZIARSI al proprio interno
13. LA TEORIA CONTINGENTISTA (2)
• In altre parole, occorre avvicinarsi il più possibile a una corrispondenza tra complessità
esterna ed interna
• Tanto più complesso l’ambiente, tanto più differenziata al suo interno dovrà
essere l’organizzazione
• E viceversa
• Il grado di complessità / differenziazione della struttura interna può essere analizzato
rispetto a diversi elementi, per esempio:
• Relazioni interne tra varie unità / componenti
• grado di formalità / informalità
• l’orizzonte temporale delle decisioni
• lungo periodo vs. breve periodo
• lo stile comportamentale più diffuso
• orientato ai task vs. orientato alle persone
• l’orientamento verso gli obiettivi
• orientamento a obiettivi di unità vs. obiettivi organizzativi
• Tuttavia, quando c’è un elevato grado di DIFFERENZIAZIONE, occorrono anche
meccanismi di INTEGRAZIONE per ridurre la possibilità di conflitto. Ad esempio
• piani e programmi
• ruoli specificamente dedicati al collegamento
• gruppi interfunzionali, comitati, etc.
14. CONCEZIONE OGGETTIVISTA, IN SINTESI
• Presume l’esistenza di meccanismi, leggi, modelli universalmente validi
di «buona organizzazione»
• La metafora della macchina, la metafora dell’organismo
• Presume dunque un elevato grado di razionalità
• Pur ammettendo diversi gradi di incertezza
• In termini pratici, questo può tradursi in modi diversi di progettare
l’organizzazione
• Trovare una «one best way» e applicarla in modo rigido, senza
ammettere deviazioni
• Definire «perimetri» di ruolo, purché siano «funzionali» agli obiettivi
organizzativi
• Identificare «leggi di contingenza»: l’organizzazione deve essere
adeguata a vincoli e contingenze esterne, secondo modalità
predefinite
• Nella SECONDA LEZIONE vedremo che ci sono altri modi di pensare e
progettare l’organizzazione
16. Sommario
Nella lezione precedente abbiamo:
• Introdotto brevemente la disciplina organizzativa
• Introdotto le diverse concezioni di organizzazone
• Descritto la concezione oggettivista
• Con alcuni esempi di teorie informate da questa concezione
In questa seconda lezione parleremo di:
• Concezione soggettivista
• Con alcuni esempi di teorie informate da questa concezione
• Concezione processuale
• Con alcuni esempi di teorie informate da questa concezione
17. LA CONCEZIONE SOGGETTIVISTA
• Enfasi sulla soggettività, sulle strategie individuali, sugli aspetti emozionali e
non razionali degli individui
• L’organizzazione è vista come un fenomento «emergente», la risultante di
innumerevoli azioni e decisioni soggettive
• La comprensione dell’organizzazione non può basarsi su una
razionalità oggettiva ed ex-ante, come nel caso dell’oggettivismo
• Non c’è una razionalità «collettiva» (organizzativa) ma tante
razionalità soggettive, imperfette, diverse, variabili, indeterminabili
• Non c’è razionalità ex-ante ma «razionalizzazione» (razionalità ex-post)
• Ciò che è condiviso, razionalizzato, dato per scontato, non è
necessariamente più razionale
• L’organizzazione dunque «emerge» in quanto tipizzazione /
istituzionalizzazione di significati condivisi e comportamenti ricorrenti,
accettati, legittimati
• È una costruzione sociale e culturale, non l’affermazione di una
razionalità superiore
• Dunque la realtà organizzativa non è oggettivamente conoscibile, non ci
sono «leggi universali» che determinano i fenomeni sociali
• Possiamo solo descrivere le esperienze soggettive di ciascuno
18. ESEMPI TEORICI: MEYER E ROWAN E L’ISTITUZIONALIZAZZIONE
• Le strutture organizzative formali, sono “la manifestazione di potenti regole
istituzionali le quali funzionano come miti altamente razionalizzati”
• Le regole istituzionali riguardano prodotti, servizi, tecniche, politiche,
programmi, ecc.
• sono adottate dalle organizzazioni in modo cerimoniale al fine di
acquisire legittimazione
• La ricerca di legittimazione è dunque il meccanismo esplicativo principale
per comprendere le strutture organizzative formali
• Non l’efficacia o l’efficienza!!!
• Come si acquisisce legittimazione? Attraverso la CONFORMITA’
ISTITUZIONALE
• con la conformità (isomorfismo) le organizzazioni conquistano,
manifestano e comunicano all’esterno la propria legittimazione
• la struttura formale riflette i “miti” degli ambienti istituzionali
• Sono “miti” di razionalità, nel senso che le istituzioni rappresentano
modi tipici di agire e pensare a cui viene normalmente associata
razionalità
• in realtà non presentano necessariamente alcuna coerenza con la
razionalità tecnica effettiva
• Dunque non sono miti razionali, ma «razionalizzati»
19. ESEMPI TEORICI: POWELL E DI MAGGIO E L’ISOMORFISMO
• Isomorfismo COMPETITIVO
• Relativo a come il mercato «spinga» le organizzazioni ad adottare certe strutture e
pratiche
• Isomorfismo COERCITIVO
• Tutte quelle forme di influenza, formali e informali, che vengono esercitate su ogni
organizzazione da altre organizzazioni dalle quali essa è soggetta a dipendenza
• Vere e proprie coercizioni o anche obblighi legislativi
• Isomorfismo MIMETICO
• L’incertezza spinge le organizzazioni a trovare nell’imitazione un modo per
fronteggiarla
• Le organizzazioni di successo diventano “modelli” da imitare, nel tentativo di
replicare tale successo.
• Naturalmente, l’imitazione di chi ha successo non garantisce affatto il successo!
• I processi mimetici possono avere varia natura
• Imitazione di imprese di successo del proprio settore
• Imitazione dovuta alla diffusione di «modelli» e «best practice» (consulenza ecc)
• Isomorfismo NORMATIVO
• processi di professionalizzazione, ossia lo sforzo da parte dei membri di una
professione di definire le condizioni e i metodi del loro lavoro, al fine di controllare e
stabilire la base per la loro legittimazione ad autonomia occupazionale
• processi formativi, dunque la codificazione delle conoscenze e dei percorsi educativi
formalizzati necessari ad accedere ai percorsi occupazionali
20. LA CONCEZIONE SOGGETTIVISTA, IN SINTESI
• Non c’è razionalità ex-ante, ma razionalizzazione
• L’organizzazione come fenomeno «emergente», che deriva da processi
di interazione tra soggetti, di condivisione di significati, di imitazione, di
ricerca di legittimazione
• Le strutture organizzative, le pratiche, i sistemi hanno una funzione
«rituale» e «cerimoniale», finalizzata ad acquisire legittimazione
• La progettazione organizzativa non ha «senso» in questa prospettiva:
non esistono modelli «razionali», non esistono leggi universali di «buona
organizzazione»
• E’ una prospettiva sostanzialmente descrittiva, che non propone
implicazioni precisi in termini di progettualità
21. LA CONCEZIONE PROCESSUALE
• L’organizzazione è concepita come sistema complesso di azioni e decisioni
guidate da razionalità intenzionale e limitata
• Non vi è razionalità forte, ma si considerano esplicitamente i limiti
della razionalità umana (sia a livello individuale, sia organizzativo)
• Al tempo stesso, le decisioni e le azioni sono orientate da intenzioni
• Dunque il processo organizzativo è un percorso continuo di apprendimento
relativamente a come connetteri mezzi (azioni) e fini (intenzioni)
• Non ha dunque senso parlare di modello ottimale, ma di soluzioni
continuamente ri-visitate in relazione a quanto i soggetti apprendono
e a come ridefiniscono i propri obiettivi e le proprie azioni
• La valutazione di ogni soluzione organizzativa si riferisce a criteri di
«soddisfazione», non di ottimalità
• Il processo di azioni e decisioni avviene in un contesto, dal quale è
influenzato, ma a sua volta lo influenza (anzi, in un certo senso, lo crea e ri-
crea continuamente)
• Un aspetto decisivo è la «regolazione» di tale processo, cioè l’insieme di
regole (formali e informali, consapevoli e inconsapevoli, previe e
contestuali all’azione) che orientano le azioni e le decisioni
• È dunque decisivo studiare tale processo di regolazione, e il modo in cui il
potere di regolazione (si definire regole per sé e per altri) è distribuito
nell’organizzazione, e nel rapporto tra organizzazione ed ambiente esterno
22. ESEMPI TEORICI: HERBERT SIMON
• Herbert Simon è è colui che per primo ha teorizzato la razionalità limitata e
intenzionale per lo studio delle organizzazioni
• Studiare le organizzazioni significa studiare le decisioni che i vari soggetti
prendono al fine di raggiungere fini individuali e organizzativi
• Decisioni che vengono prese attraverso una razionalità «umana», dunque
non perfetta, con limiti ma guidata da intenzioni e valori
• Occorre dunque studiare:
• Le modalità e le premesse relative ai processi decisionali
• Le premesse «di fatto» (di natura empirica: le informazioni, etc)
• Le premesse «di valore» (di natura etica: le preferenze, etc)
• Le modalità tipiche attraverso cui le persone valutano e decidono
• LA «ANATOMIA» DELL’ORGANIZZAZIONE
• Cioè il modo in cui il potere decisionale è distribuito
• Per es., modalità più accentrate o più decentrate, con rispettivi vantaggi e
svantaggi
• LA «FISIOLOGIA» DELL’ORGANIZZAZIONE
• Cioè i processi attraverso cui le organizzazioni influiscono sulle decisioni dei
soggetti
• Per es. l’autorità, l’addestramento, la comunicazione, l’identificazione, la
programmazione
23. LE CONCEZIONI DI ORGANIZZAZIONE, IN SINTESI
• Abbiamo visto i modi fondamentali di concepire i fenomeni organizzativi
• Sono diversi «punti di vista», «visioni del mondo», concezioni del tutto
generali di livello epistemologico e ontologico
• Da ognuna di esse, discendono una pluralità di teorie
• Anche molto diverse tra loro, per variabili considerate, schemi e
strumenti analitici, interpretazioni, etc
• Ogni teoria tuttavia rimanda a un certo tipo di concezione, e
dunque condivide, a seconda della concezione di fondo su cui si
basa, alcuni elementi fondamentali
• Da ogni teoria poi discendono modi diversi di progettare e gestire le
organizzazioni, in tutti i suoi aspetti
• Le strutture formali, l’organizzazione del lavoro, le politiche di
gestione delle persone etc.
• Nelle prossime lezioni vedremo alcuni di questi aspetti
25. SOMMARIO
• In questa lezione parleremo di progettazione organizzativa
• Utilizzeremo un approccio classico alla progettazione, che consiste in
due elementi fondamentali:
• La identificazione di alcune variabili di progettazione
• In questa lezione
• La identificazione di alcune forme tipiche di strutture organizzativa
• Nelle prossime lezioni
26. LE VARIABILI DI PROGETTAZIONE ORGANIZZATIVA
• Secondo l’approccio di H. Mintzberg, le fondamentali variabili di
progettazione organizzativa sono le seguenti:
• I MECCANISMI DI COORDINAMENTO
• Adattamento reciproco
• Supervisione diretta
• Standardizzazione
• Riguardante diversi elementi
• LE PARTI DELL’ORGANIZZAZIONE
• Nucleo Operativo
• Vertice Strategico
• Linea Intermedia
• Tecnostruttura
• Staff
27. STANDARDIZZAZIONE
q La logica è di coordinare
attraverso la predeterminazione
dei comportamenti
q il coordinamento è raggiunto
già in fase di progettazione del
lavoro, prima ancora che
l’attività sia svolta
•Il lavoro è svolto in conformità alle aspettative
•3 TIPI DIVERSI DI STANDARDIZZAZIONE
manager
operatori operatori
analisti
input
processi
di lavoro
output
MECCANISMI DI COORDINAMENTO (1)
28. q Sono predeterminati i contenuti del lavoro
• Il processo di lavoro è scomposto in fasi che vengono
strutturate prima dello svolgimento dell’attività
• Il lavoro procede attraverso l’esecuzione delle attività
predisposte seguendo in modo preciso le procedure
stabilite
• È tipico di attività che sono ripetitive e ben codificabili
in procedure precise
Standardizzazione
dei processi
MECCANISMI DI COORDINAMENTO (2)
29. q Sono predeterminati i risultati del lavoro
•L’attenzione è sull’esito del lavoro svolto
•Può prevedere discrezionalità da parte
dell’operatore relativa alle modalità di
esecuzione
•Permette il coordinamento preventivo delle
diverse fasi di lavorazione
Standardizzazione
degli output
MECCANISMI DI COORDINAMENTO (3)
30. q Sono predeterminate le risorse necessarie per svolgere il
lavoro
•Sono standardizzate le conoscenze e le
capacità necessarie per svolgere il lavoro
•La definizione di un certo background culturale
e il percorso di formazione seguito facilitano
certi modelli comportamenti sul lavoro
Standardizzazione
degli input
MECCANISMI DI COORDINAMENTO (4)
• I 3 tipi di standardizzazione implicano un diverso grado di discrezionalità
per le persone:
• BASSA nel caso di standardizzazione dei processi
• MEDIA nel caso di standardizzazione degli output
• ELEVATA nel caso di standardizzazione degli input
31. SUPERVISIONE
DIRETTA
q Il coordinamento avviene
mediante il controllo diretto di
un soggetto sugli altri
q Il supervisore è responsabile del
lavoro altrui, assegna i compiti e
guida nello svolgimento
• La divisione del lavoro e il grado di specializzazione aumentano la
necessità di supervisione
• I diversi standard non sono sufficienti ad assicurare il coordinamento
(oppure non è possibile standardizzare, perché le attività non sono
codificabili o ripetitive)
• Inoltre, il supervisore può avere anche compiti di verifica e controllo
del rispetto delle procedure esistenti, oltre che di coordinamento
manager
operatori operatori
analisti
MECCANISMI DI COORDINAMENTO (5)
32. ADATTAMENTO
RECIPROCO
q Il coordinamento avviene mediante la
comunicazione informale e
l’adattamento dei comportamenti in
base alle esigenze reciproche
q Il controllo del lavoro resta nelle mani di
coloro che lo eseguono
• E’ particolarmente adatto a contesti in cui non è possibile standardizzare o creare
una supervisione sufficientemente accurata
• Oppure dove le attività sono complesse e dunque non è possibile codificarle in
anticipo, e c’è bisogno di una combinazione di competenze diverse al fine di
svolgere le attività in modo efficace
• Nelle organizzazioni più grandi caratterizza l’inizio di processi innovativi: in fase di
sperimentazione è impossibile prevedere con esattezza le attività da svolgere e
coordinare adeguatamente il lavoro
• Il successo dipende dalla capacità degli specialisti di adattarsi l’uno all’altro, e di
combinare in modo efficace le rispettive capacità e competenze
manager
operatori operatori
analisti
MECCANISMI DI COORDINAMENTO (6)
33. Standardizzazione
input
Standardizzazione
output
Standardizzazione
processi
Supervisione diretta
Adattamento
reciproco
In piccoli gruppi o team, le
persone possono adattarsi
reciprocamente.
Più il gruppo cresce, meno è in
grado coordinarsi informalmente.
Emerge il bisogno di leadership
Al crescere del volume delle attività,
il bisogno di standardizzazione
cresce. Se le attività sono semplici,
sono standardizzati i processi
Quando le attività complesse sono
difficilmente codificabili,
l’attenzione si sposta sui risultati
Se neppure i risultati possono essere
standardizzati, si omogeneizzano le
competenze e le conoscenze delle
persone
I MECCANISMI DI COORDINAMENTO: SINTESI
35. SOMMARIO
• In questa lezione continueremo a parlare di progettazione organizzativa
• Nella lezione precedente abbiamo visto i meccanismi di
coordinamento, ossia
• Adattamento reciproco
• Supervisione diretta
• Standardizzazione dei processi
• Standardizzazione degli output
• Standardizzazione degli input
• In questa lezione vedremo le principali «parti» dell’organizzazione, ossia:
• Nucleo Operativo
• Vertice Strategico
• Linea Intermedia
• Tecnostruttura
• Staff
36. INTRODUZIONE
• Ogni organizzazione può essere vista, secondo le logica della
progettazione organizzativa classica, come formata da «parti»
• cioè insiemi di persone e attività che sono, in genere:
• collegate tra di loro in modo più diretto rispetto ai collegamenti con
altre persone e attività (collocate in altre parti)
• o che comunque hanno caratteristiche simili, per competenze, ruoli e
responsabilità e funzioni
• possono corrispondere a uffici, unità, divisioni o altre «entità»
organizzative specifiche, o a insiemi di queste; ma il criterio di
differenziazione più importante è quello «logico», legato al tipo di
attività e funzioni svolte, non il criterio di articolazione gerarchico-
formale
• Vediamo quali sono le parti più «tipiche», pur sapendo tuttavia che
nella realtà ogni organizzazione è almeno parzialmente diversa da tutte
le altre, e dunque avrà particolarità e unicità che possono renderle
anche significativamente diverse dalla rappresentazione semplificata
che viene qui proposta
37. Nucleo operativo
• Il nucleo operativo costituisce la
«base» dell’organizzazione
• Gli operatori svolgono l’attività
fondamentale all’ottenimento di
prodotti e servizi
1) procurano gli input materiali
per la produzione (ad es., il
reparto approvvigionamento”)
2) trasformano gli input in output
3) distribuiscono gli output
4) forniscono un supporto diretto
ad altri operatori (ad es., la
manutenzione dei macchinari)
IL NUCLEO OPERATIVO
38. Nucleo operativo
•Interpreta l’ambiente e sviluppa
la strategia dell’organizzazione
•Ha la responsabilità del
raggiungimento della «missione»
e degli obiettivi generali
•Alloca le risorse
•Autorizza decisioni importanti
•Interagisce, sviluppa relazioni,
negozia accordi con attori
rilevanti dell’ambiente esterno
Vertice
strategico
IL VERTICE STRATEGICO
39. Linea
intermedia
Nucleo operativo
• A maggiori livelli di articolazione
e di volume di attività si diffonde
il bisogno di supervisione
• Aumenta il bisogno di
trasmettere informazioni dal
nucleo al vertice strategico, e
viceversa
• Di trasformare le decisioni
strategiche in piani ed azioni
operative
• E di informare il vertice
strategico sull’andamento
dell’attività operativoa
Vertice
strategico
LINEA INTERMEDIA
40. Linea
intermedia
Nucleo operativo
• I manager di linea svolgono alcune
funzioni fondamentali:
1) Raccolgono informazioni di
feedback sulla performance della
propria unità e le trasmettono ai
manager di livello superiore
2) Intervengono nel flusso delle
decisioni, riportando a livello
superiore quelle più critiche
3) Allocano risorse nella propria
unità
4) Contribuiscono ai processi di
valutazione delle persone
5) Gestiscono le relazioni con i
manager di altre unità
6) Definiscono i piani della propria
unità / gruppo, in modo coerente
con quella aziendale
Vertice
strategico
LINEA INTERMEDIA
41. Linea
intermedia
Nucleo operativo
•E’ composta da specialisti il cui
compito è definire gli standard
utili al coordinamento
•Le responsabilità degli analisti si
distinguono da quelle dei
manager
•I compiti di controllo dei
manager sono ridimensionati
grazie agli standard prodotti
dalla tecnostruttura
•Viene di fatto istituita un’ulteriore
distinzione: chi esegue, chi dirige,
chi standardizza
Vertice
strategico
TECNOSTRUTTURA
42. Linea
intermedia
Nucleo operativo
• Sono distinguibili tre tipi di analisti,
in relazione alle tre forme di
standardizzazione
− gli analisti del lavoro che
standardizzano i processi di lavoro
(es. gli ingegneri di produzione)
− gli analisti di pianificazione e
controllo (ad es., addetti al
controllo qualità) che
standardizzano gli output
− gli analisti di problemi del
personale (ad es., i formatori, i
reclutatori), che standardizzano le
capacità
Vertice
strategico
TECNOSTRUTTURA
43. Linea
intermedia
Nucleo operativo
•Le staff di supporto forniscono
servizi indiretti, spesso di ausilio
alle attività primarie (di
produzione di attività e di servizi)
•Il servizio fornito può essere
considerato come «esterno» al
flusso di lavoro (es.: servizio
pulizie, servizio mensa, ufficio
spedizioni, ecc.)
•Possono essere affidati ad enti
terzi, o svolti internamente
•Possono operare a qualsiasi
livello (es., l’ufficio legale, se
rende servizi al vertice, opera a
livello direzionale)
Vertice
strategico
Tecno-
struttura
Staff
STAFF
44. - consiglio d’amministrazione
- presidente
- comitato di direzione
- organi di staff del presidente
- ufficio legale
- relazioni pubbliche
- relazioni industriali
- ricerca e sviluppo
- determinazione prezzi
- amministrazione del
personale
- mensa
- pianificazione strategica
- controllo
- formazione
- ricerca operativa
- programmazione
produzione
- analisi del lavoro
- impiegati della
tecnostruttura
- responsabile
marketing
- responsabili
stabilimento
- responsabile
produzione
- manager regionali
vendita
- capireparto
- compratori
- addetti alle macchine
- addetti al montaggio
- venditori e addetti al front-office
LE PARTI: ESEMPI
46. flusso di
informazioni
sulla
produzione
flusso di ordini
discendenti
lungo la
gerarchia:
controllo del
nucleo
operativo
flusso di
informazioni
ascendenti
lungo la
gerarchia:
Feedback
flusso di
informazioni
dalla
tecnostruttura
per le decisioni
flusso di
informazioni
dallo staff per le
decisioni
Enfasi sulla
standardizzazione
e sulla supervisione
FLUSSI DI COMUNICAZIONI FORMALI
48. Aggregazione in
gruppi per lo
svolgimento
dell’attività
Enfasi
sull’aggregazione
informale
LE COSTELLAZIONI DI LAVORO
Anche in modi
parzialmente
trasversali alle
gerarchie
formali
50. LE PARTI DELL’ORGANIZZAZIONE, IN SINTESI
• E’ possibile identificare parti «tipiche» dell’organizzazione, distinguibili per
attività e funzioni svolte
• E’ possibile identificare flussi e relazioni tipiche tra e dentro tali parti
• Non tutte le parti sono sempre presenti e/o hanno la stessa rilevanza in
tutte le organizzazioni
• Infatti, il modo in cui queste parti si configurano da’ luogo a «forme
tipiche» anche molto diverse tra di loro
• Lo vedremo nella prossima lezione
52. SOMMARIO
• Nelle lezioni precedenti abbiamo visto alcune tra le più importanti
variabili di progettazione organizzativa
• Oggi vedremo come tali variabili possono condurci a identificare forme
organizzative tipiche
• Per «forme organizzative» intendiamo configurazioni formali, riguardanti
la struttura dei ruoli e delle responsabilità
• tuttavia, le configurazioni formali hanno anche influenza su tutti gli
aspetti formali che abbiamo visto in precedenza
• flussi informativi, relazioni, processi decisionali etc.
• Queste forme sono «tipiche» nel senso che si trovano più di frequente.
Tuttavia va considerato che:
• si tratta di rappresentazioni sintetiche e semplificate, che
ovviamente non descrivono in modo preciso la realtà
• ogni organizzazione reale è, per almeno qualche aspetto, unica,
e le «varianti» sono sostanzialmente illimitate
53. •Tecnostruttura assente o
molto limitata
•Gerarchia manageriale
poco sviluppata
•Linea intermedia trascurabile
•Ricorso minimo a
pianificazione, formazione e
meccanismi di collegamento
•Coordinamento tramite
supervisione diretta
STRUTTURA SEMPLICE
54. •Il vertice è la parte più importate
dell’organizzazione
•Potere accentrato al vertice (spesso
un’unica persona)
•Ampiezza del controllo elevata
•Comunicazione spesso informale tra
vertice e tutti membri
dell’organizzazione
•Formulazione della strategia da
parte di un’unica persona
•Processo di innovazione legato
all’attività del vertice
STRUTTURA SEMPLICE
55. q Elevato senso della
missione
q Forte sviluppo del senso di
appartenenza
all’organizzazione
alimentato da rapporti
diretti con il vertice
q Strategia informata da una
elevata conoscenza delle
caratteristiche del nucleo
operativo
q Processi decisionali snelli
q Sovrapposizione tra
problemi strategici e
problemi operativi
q Sorti organizzative
fortemente dipendenti da
una o poche persone
q Accentramento può
rivelarsi inefficace per
fronteggiare ambienti
complessi
VANTAGGI SVANTAGGI
STRUTTURA SEMPLICE
56. •L’organizzazione è strutturata come
una macchina integrata e regolata
•Le attività operative sono routinarie e
ripetitive (richiedono poco
addestramento)
•Compiti operativi specializzati
•Procedure formalizzate
•Elevato ricorso a regole
•Canali comunicativi formalizzati
•Il coordinamento avviene attraverso
la standardizzazione dei processi di
lavoro
BUROCRAZIA MECCANICA
57. • La tecnostruttura è la componente
fondamentale dell’organizzazione
• La standardizzazione risolve gran parte
delle interdipendenze. Le responsabilità
dei supervisori sono limitate a:
1. Supervisione diretta del nucleo
operativo
2. Collegamento tra nucleo operativo e
tecnostruttura
3. Trasmissione delle informazioni dal
nucleo operativo al vertice e degli
ordini dal vertice al nucleo operativo
• Enfasi sul controllo
− Efficienza processi/riduzione incer-
tezza
− Riduzione conflitti
BUROCRAZIA MECCANICA
58. q Enfasi sull’efficienza
q Possibile gestire volumi di
attività elevati e
conseguire economie di
scala
q La ripetitività delle
attività consente
specializzazione e
apprendimento
(economie di
specializzazione)
q Ridotta attenzione alla
componente umana
− Significato del lavoro
− Problemi motivazionali
VANTAGGI SVANTAGGI
BUROCRAZIA MECCANICA
59. •Caratterizza le organizzazioni nelle
quali le capacità e le conoscenze del
nucleo operativo sono fondamentali
•Il coordinamento è assicurato dalla
standardizzazione delle capacità
•I lavoratori (spesso professionisti)
operano in maniera relativamente
indipendente dai propri colleghi e a
stretto contatto con i clienti
•L’autorità è più legata allo spessore
professionale delle persone che alla
posizione formale nella gerarchia
• I processi sono difficilmente
standardizzabili dalla tecnostruttura
perché troppo complessi
BUROCRAZIA PROFESSIONALE
60. •Lo staff di supporto è sviluppato ed è al servizio del
nucleo operativo
•Ai professionisti del nucleo operativo sono affidati due
compiti principali:
1) identificare le esigenze del cliente
2) applicare un opportuno programma d’azione
•Gli output non possono essere facilmente quantificati e
misurati
•Il controllo esercitato dai professionisti riguarda il proprio
lavoro e le decisioni amministrative (i manager devono
appartenere alla professione o essere legittimati dai
professionisti)
BUROCRAZIA PROFESSIONALE
61. q Questa configurazione for-
male appare democratica
perché attribuisce potere ai
membri
q Ampia autonomia dei
membri e bassa esigenza di
coordinamento
q Basso numero di vincoli (a
parte gli standard imposti
dalla professione)
q Meccanismo di
coordinamento «blando»
(basato sulle capacità)
q Scarsa integrazione legata
alla forte autonomia dei
membri
q Potenziali conflitti tra
professionisti interessati a
soddisfare lo stesso
bisogno
VANTAGGI SVANTAGGI
BUROCRAZIA PROFESSIONALE
62. • Appare come un complesso di entità
quasi-autonome
• Ogni divisone ha una propria
organizzazione
• Le divisioni sono strutturate in base al
mercato (o una combinazione
prodotto/ mercato). Ogni mercato
servito dall’organizzazione viene
gestito da una divisione
FORMA DIVISIONALE
65. Elabora la strategia complessiva
La direzione generale per
ciascuna divisione Alloca le risorse finanziare
Controlla le performance
prodotto: bene o servizio reso
La progettazione avviene sulla
base degli output di produzione
mercato: clienti o bisogni serviti
area geografica: zona territoriale
presidiata dall’unità divisionale
Fornisce servizi di supporto
FORMA DIVISIONALE: CARATTERISTICHE (1)
66. Molte decisioni delegate alle singole unità
Adattamento alle esigenze di prodotto,
geografiche o di clientela
Si favorisce un maggiore coordinamento tra
le diverse unità funzionali
Controllo del vertice attraverso la definizione
e la standardizzazione dell’output
Velocità di cambiamento e rapidità
nell’adattamento
FORMA DIVISIONALE: CARATTERISTICHE (2)
67. ADHOCRAZIA
• Adatta a contesti in cui serve un alto grado di
innovazione, creatività
• Tipicamente in ambienti o mercati
particolarmente dinamici o complessi
• Tipica anche di organizzazioni giovani, di
recente costituzione
• Il lavoro è svolto principalmente in team, su
progetti, e la specializzazione è orizzontale (non
verticale)
• Il coordinamento prevalente è il reciproco
adattamento
• I team sono eterogenei, e possono includere
specialisti di vario background, staff e manager
• La distinzione tra linea e staff si sfuma, fino a
confondersi del tutto
69. SOMMARIO
• Nelle lezioni precedenti abbiamo visto alcuni elementi essenziali di
progettazione organizzativa
• con uno specifico focus sulla progettazione delle strutture
• In queste ultime lezioni ci concentreremo su alcuni aspetti relativi alla
gestione delle persone e dei comportamenti organizzativi
• Il focus principale sarà sui processi motivazionali
• E’ un aspetto di enorme importanza perché:
• influisce direttamente sulla performance delle persone e dei
gruppi, e dunque dell’organizzazione
• è strettamente collegato con diverse politiche di gestione delle
risorse umane (in particolare, ma non solo, le politiche di
incentivazione)
• è strettamente collegato con numerosi aspetti di progettazione
organizzativa e, in particolare, di organizzazione del lavoro
70. TEMI AFFRONTATI e CONCETTO GENERALE
• Vedremo nel dettaglio:
• GLI APPROCCI CLASSICI ALLA MOTIVAZIONE
• LA MOTIVAZIONE INTRINSECA E IL RAPPORTO CON L’ORGANIZZAZIONE
DEL LAVORO
• IL RAPPORTO TRA INCENTIVI, POLITICHE DI INCENTIVAZIONE E
MOTIVAZIONE
• Che cosa intendiamo per motivazione?
• In questa sede adottiamo una accezione molto generale
• Per motivazione (dal latino “movere”) si intende l’insieme delle ragioni e dei
processi che spiegano le azioni delle persone, e che dunque sono collegate
ai loro desideri, intenzioni, bisogni
• Vi sono moltissime teorie e approcci diversi ai contenuti delle motivazioni e
ai processi motivazionali che conducono al comportamento
71. APPROCCI CLASSICI: MASLOW
Teoria centrata sul
concetto di bisogno
Le ragioni del comportamento umano sono da
ricercarsi nella tensione che accomuna
indistintamente ciascun individuo a soddisfare
specifici bisogni, materiali, biologici o psicologici
Need-Satisfaction Theory
•La spinta a colmare le carenze avvertite “muove”,
anche a livello inconscio, a compiere specifiche
azioni;
•Il comportamento può essere spiegato (e quindi
previsto) a partire dall’analisi dei bisogni
sottostanti
72. LA «PIRAMIDE DEI BIOSGNI»
BISOGNI FISIOLOGICI (aria, acqua, cibo, sonno, ecc).
Sono bisogni primari e fondamentali propri della natura
umana
BISOGNI DI SICUREZZA , attengono la necessità di raggiungere
la stabilità (casa, famiglia, lavoro)
BISOGNI DI APPARTENENZA, attengono la necessità di essere
accolti, accettati, benvoluti. È il desiderio di appartenere a un
gruppo e di sentirsi necessari agli altri
BISOGNI DI AUTOSTIMA, riguardano il bisogno di competenza o della
padronanza nel fare qualcosa e di riconoscimento che viene dagli
altri
BISOGNI DI AUTO-REALIZZAZIONE, riguardano il bisogno di realizzare la
propria identità e le proprie aspettative occupando una posizione
ritenuta adeguata nel mondo sociale
73. LA LOGICA SOTTOSTANTE
‘‘È vero che l’uomo vive di solo pane, quando non ce n’è. Ma che
cosa avviene dei desideri umani, quando c’è abbondanza di pane e
quando il ventre è cronicamente pieno? Avviene che subito
compaiono altri (e di più alti) bisogni e sono questi a dominare
l’organismo invece della fame fisiologica. Quando questi, a loro volta
sono soddisfatti, di nuovo nascono altri (e ancora più alti) bisogni, e
così via. E’ questo che intendiamo, quando diciamo che i bisogni
umani fondamentali sono organizzati in una gerarchia di prepotenza
relativa’’
I bisogni determinano il comportamento e organizzano il
comportamento in modo ordinato
I bisogni soddisfatti cessano di determinare azioni finché non
riemergono
Soddisfatto un bisogno, ciò che orienta il comportamento
sono i bisogni ancora insoddisfatti (di ordine superiore)
Il bisogno di ordine superiore non viene ricercato (quindi non è
motivante) finché non viene soddisfatto il bisogno di ordine
inferiore
74. IMPLICAZIONI ORGANIZZATIVE
politiche di incentivazione: gli incentivi devono essere offerti in
modo da accogliere le esigenze dei lavoratori e provvedere al
soddisfacimento dei bisogni:
essenziali, attraverso il salario e un lavoro
sicuro
sociali e di stima, favorendo le relazioni
umane, le associazioni, il senso di
appartenenza all’impresa, offrendo riscontri
sui risultati ottenuti, ecc.
di autorealizzazione, offrendo lavori
stimolanti, opportunità di crescita, ecc.).
La struttura «gerarchica» dei bisogni suggerisce anche un preciso
ordine di priorità nella progettazione delle politiche di incentivazione
75. LIMITI E CRITICHE
Quale progressione tra livelli della piramide?
Quale modalità di soddisfacimento?
E’ davvero così semplicistico il rapporto tra diversi tipi
di bisogni? Non è possibile che diversi bisogni,
collocati a livelli diversi, abbiano un effetto
motivazionale in modo non sequenziale?
Gli individui mostrano preferenze diverse in relazione
al modo in cui i bisogni possono essere soddisfatti?
Determinismo / eccesso di generalizzazione:
l’individuo, il soggetto (le differenze individuali)
sembrano avere bassissima o nessuna rilevanza nel
modello di Maslow
Quali differenze individuali?
76. ALTRI MODELLI SIMILI
• Vi sono numerosi altri approcci simili, per impostazione generale, a
quello di Maslow
• HERZBERG teorizza che diversi fattori agiscono, sempre attraverso il
meccanismo dei bisogni, in modo diverso sulla soddisfazione e sulla
insoddisfazione degli individui
• i fattori IGENICI, se presenti, riducono la insoddisfazione, ma non
generano soddisfazione
• sono i fattori collocati più in basso nella gerarchia di Maslow
• i fattori MOTIVAZIONALI, se presenti, generano soddisfazione
• sono i fattori collocati più in alto nella scala di Maslow
• soddisfazione e insoddisfazione sono viste come variabili distinte,
che possono variare in modo indipendente
• MCCLELLAND ipotizza che i bisogni fondamentali dell’uomo siano il
bisogno di SUCCESSO, il bisogno di POTERE e il bisogno di AFFILIAZIONE
• ogni soggetto è naturalmente più sensibile ad alcuni bisogni
rispetto ad altri
77. VROOM e L’ASPETTATIVA - VALENZA
• Secondo Vroom, l’approccio focalizzato sui bisogni non è
sufficientemente preciso e completo
• L’individuo agisce perché vuole, attraverso le proprie azioni,
raggiungere un determinato obiettivo o risultato, e agisce in base alle
sue aspettative relative allo sforzo che egli ritiene necessario per
ottenere una certa prestazione, e al rapporto di causa / effetto tra
prestazione e risultato che egli ritiene sussistere
• Vediamo come questa idea si traduce in un modello specifico
10
78. Percezione di
• Autoefficacia
• Autostima
• Competenze
possedute
• Locus of control
• Chiarezza degli
incentivi
• Trasparenza
delle politiche
• Valori
• Preferenze
• Bisogni
• Obiettivi
Sforzo Prestazione Risultato
Motivazione Aspettativa Strum entalità Valenza
Aspettativa
credenza che un certo
sforzo permetta di
ottenere particolari
prestazioni
Strumentalità:
credenza che una
data prestazione
permetta di ottenere
certe ricompense
Valenza:
preferenza personale
verso una certa
ricompensa
IL MODELLO DI VROOM
79. IMPLICAZIONI ORGANIZZATIVE
Aspettativa
rimuovere gli ostacoli
al conseguimento dei
risultati
• autonomia
• supporto
• feedback
• mezzi a
disposizione
• Chiarezza politiche
premianti
• Trasparenza
comunicazione
• Valutazione delle
preferenze soggettive nelle
tecniche di incentivazione
Chiarire i
comportamenti
premiati
Indagare le
preferenze dei
lavoratori
Strumentalità
Valenza
80. IN CONCLUSIONE
• Nel complesso, gli approcci che abbiamo visto, cercano di identificare
meccanismi motivazionali di tipo «universale»
• per esempio, basato sui bisogni e sui loro effetti sulla motivazione
• oppure, basato su rapporti di strumentalità tra azioni e
conseguenze in termini di risultati attesi
• Il vantaggio, importante, è la semplicità dell’approccio, e dunque il
fatto che questi modelli possano essere tradotti facilmente in
suggerimenti e politiche per la gestione delle persone e per
l’organizzazione del lavoro
• Lo svantaggio, altrettanto importante, è che si sottovaluta, o si
trascurano:
• l’unicità dei singoli individui (le preferenze individuali, la
personalità, il percorso esperienziale ecc.)
• l’unicità dei contesti organizzativi (la cultura organizzativa, etc)
82. INTRODUZIONE
• Un approccio decisamente diverso dagli approcci classici alla
motivazione è quello pone il focus sulla MOTIVAZIONE INTRINSECA
• Una distinzione essenziale
• la MOTIVAZIONE ESTRINSECA deriva da fattori motivanti che sono
«esterni» all’attività svolta
• INCENTIVI ECONOMICI, BENEFIT, PROMOZIONI etc.
• il presupposto è che tanto più viene incentivata una certa attività (o la
performance relativa a tale attività), tanto più le persone saranno
motivate a svolgere quella attività, e tanto più aumenterà la loro
performance, se correlata appunto all’incentivo
• come vedremo, ci sono alcuni problemi con questa impostazione
• la MOTIVAZIONE INTRINSECA riguarda il fatto che le persone sono
motivate da elementi «interni» all’attività, cioè dal fatto di
svolgere l’attività in sé, purché abbia alcune specifiche
caratteristiche
• è una impostazione estremamente importante ed efficace, ma
ampiamente sottovalutata e sottoutilizzata nella pratica organizzativa
• In questa lezione parleremo di questo
83. LA MOTIVAZIONE INTRINSECA
• La motivazione intrinseca deriva da una serie di caratteristiche delle
attività svolte (in relazione al soggetto che le svolge)
• la PASSIONE e l’INTERESSE che il soggetto prova per l’attività
• il grado di AUTONOMIA che il soggetto può esercitare sull’attività
• l’opportunità di APPRENDIMENTO e CRESCITA personale che
l’attività procura al soggetto
• il senso di FINALITA’, di condivisione degli OBIETTIVI e l’importanza
del SIGNIFICATO che il soggetto attribuisce all’attività
• Esiste una letteratura molto cospicua che dimostra la forza e
l’importanza della motivazione intrinseca, per quanto riguarda:
• l’impegno, lo sforzo e il coinvolgimento dell’individuo
• la performance conseguita
• il benessere psico-fisico delle persone
• Molto spesso le organizzazioni sottovalutano o trascurano l’importanza
motivazionale di questi aspetti
• E’ possibile invece immaginare una organizzazione del lavoro che
faccia leva precisamente sulla motivazione intrinseca
84. IL JOB DESIGN CLASSICO
Job Simplification Job Enlargement &
Job Rotation
Job Enrichment
VARIETA
bassa alta
DISCREZIONALITA
caratteristiche
chiave nel JCM
(Hackman e
Oldham 1975, 1980):
- skill /task variety
- discretion
- task identity
- task significance
- feedback
- etc.
TEMPO
Taylorismo / Fordismo Post-fordismo
85. I PROBLEMI DEL JOB DESIGN TRADIZIONALE
• Si tratta comunque di approcci «top-down»
• il grado di autonomia e partecipazione effettiva alla
progettazione del lavoro, anche nei casi di «job enrichment» è
comunque marginale o di fatto nulla
• il bisogno di autonomia e di condivisione degli obiettivi è solo
marginalmente soddisfatto
• Le differenze individuali sono sostanzialmente trascurate
• sono ridotti i margini di personalizzazione del lavoro, di
valorizzazione dell’iniziativa individuale e della proattività,
• è bassa o nulla l’incidenza delle preferenze, delle attitudini e delle
aspirazioni personali
Quali caratteristiche può avere l’organizzazione per favorire gli effetti
benefici della motivazioni intrinseca?
86. AUTONOMIA
• Vi sono diversi esempi in cui le organizzazioni si vanno orientando verso
forme di organizzazione del lavoro in cui l’autonomia delle persone è
portata a livelli molto elevati
• con risultati eccellenti in termini di motivazione, performance
individuale, performance organizzativa, benessere
• per esempio:
• riduzione dell’importanza della gerarchia
• anche in senso simbolico, oltre che formale
• creazione di condizioni per favorire la proattività
• sistemi ROWE
• Results Only Work Environment
• sistemi di bootleg time
• Le esperienze sono ancora limitate, anche se solitamente di grande
successo, anche richiedono una trasformazione della cultura
organizzativa e manageriale rispetto a quelle tradizionale
87. SIGNIFICATO, OBIETTIVI E CRESCITA
• Incrementare in modo rilevante l’autonomia significa anche:
• generare condizioni che favoriscono l’apprendimento e la crescita
personale
• coinvolgere in modo significativo anche nella definizione degli
obiettivi, oltre che delle modalità di lavoro
• aumentare la propensione delle persone a condividere gli scopi e
attribuire significato al lavoro che fanno
• orientare il lavoro in direzioni che sono più coerenti con le
predisposizioni e le preferenze individuali
• tutti questi aspetti sono parti essenziali della motivazione intrinseca
• Elevati livelli di autonomia portano a caos e anarchia?
• Quando le persone sono intrinsecamente motivate, tendono a
identificarsi con l’organizzazione e dunque ad auto-regolarsi in modo
coerente con gli obiettivi organizzativi
• molti esempi di questo tipo
• Non accade questo quando i fattori motivanti sono principalmente
estrinseci
• Deve tuttavia cambiare il ruolo dei leader, e il modo di concepire e
interpretare la leadership
• non come controllore, ma come facilitatore e creatore di condizioni
favorevoli allo sviluppo delle persone e della loro capacità di iniziative
88. GOAL SETTING
• Il modo in cui vengono definiti gli obiettivi (GOAL SETTING) è
particolarmente importante dal punto di vista della motivazione
intrinseca e della performance
• Il goal setting è particolarmente efficace quando:
• c’è un buon (o alto) livello di partecipazione effettiva alla
definizione dei propri obiettivi
• quando gli obiettivi hanno un grado di difficoltà percepito come
sfidante, ma non impossibile né troppo facile da raggiungere
• quando gli obiettivi sono chiari, ben identificabili, ma non tali per
cui la misurazione dei risultati sia così standardizzata e rigida da
essere percepita come un vincolo che impedisca del tutto un loro
adattamento a mutate circostanze
89. IN SINTESI
• La motivazione intrinseca è il processo motivazionale più efficace e con
nessuna controindicazione significativa
• vedremo invece che la motivazione estrinseca ha alcune
controindicazioni
• Si basa su alcuni elementi dell’attività di lavoro sui cui è possibile agire a
livello di progettazione organizzativa e del lavoro
• Esistono esempi importanti di imprese e organizzazioni che hanno
cambiato radicalmente il loro modo di pensare all’organizzazione del
lavoro, puntando moltissimo sulla motivazione intrinseca, con risultati
estremamente positivi
• Tuttavia, è necessario un ripensamento molto significativo della cultura
organizzativa, e in particolare del ruolo dei manager e dei leader
91. INTRODUZIONE
• I sistemi di valutazione e incentivazione sono modalità fondamentali
attraverso le quali le organizzazioni possono orientare i comportamenti
delle persone
• Si parla in questi casi di «motivazione estrinseca»
• cioè di comportamenti influenzati dal desiderio di ottenere un
qualcosa (lo stipendio, un premio, un benefit etc) o di evitare
qualcosa (una punizione o una sanzione) che è «esterno» rispetto
all’attività
• è una logica del tipo «do ut des»
• svolgo una certa attività al fine di ottenere qualcosa d’altro
• Gli incentivi sono molto efficaci nel senso che orientano in modo forte i
comportamenti
• siamo molto attratti dall’idea di ottenere incentivi
• tuttavia, vi sono alcuni pericoli e controindicazioni, anche
significative
• vanno dunque usati con consapevolezza e attenzione,
soprattutto per quanto riguarda le ripercussioni comportamentali
92. MOTIVAZIONI ESTRINSECHE (1)
• L’uso di MOTIVAZIONI ESTRINSECHE (es: incentivi economici) può essere
molto efficace quando:
• Nel caso di attività di tipo «algoritmico», cioè dove la
performance non dipende da prestazioni di tipo complesso, che
quindi non necessita di elevati grado di creatività o di problem
solving
• Occorre focalizzare l’attenzione sul breve termine
• Aumentare la capacità di attrarre (o trattenere) persone con
particolari capacità e competenze
• La valenza simbolica degli incentivi
• E’ necessario soddisfare necessità di base delle persone
• Tuttavia, occorre fare attenzione a significativi potenziali problemi e
inconvenienti
93. MOTIVAZIONI ESTRINSECHE (2)
Alcuni rischi significativi circa l’uso di incentivi e motivazioni estrinseche
1. L’uso di incentivi tende a «cannibalizzare» le motivazioni intrinseche
• L’aumento di motivazione estrinseca diminuisce la motivazione
estrinseca, e l’effetto netto può essere (e spesso è) negativo,
specie nel medio-lungo termine
2. L’uso di incentivi tende a ridurre la qualità della performance nel caso
di attività creative o che richiedono soluzioni «euristiche» e capacità di
problem solving non banali
• Perché tendono a focalizzare l’attenzione verso direzioni
«convenzionali»
• Perché elevati livelli di incentivo possono aumentare lo stress
3. L’uso di incentivi tende a modificare il modo in cui le persone
interpretano lo «scambio» prestazione – ricompensa
• da scambi interpretati in un contesto di relazioni «sociale» a
interpretazioni che enfatizzano l’aspetto «di mercato»
• può ridursi il senso di identificazione con il gruppo o con
l’organizzazione
94. MOTIVAZIONI ESTRINSECHE (3)
Alcuni suggerimenti sull’uso di incentivi e motivazioni estrinseche:
• Attenzione agli aspetti di equità procedurale
• Le persone prestano attenzione non solo all’equità distributiva, ma anche alle
modalità di scelta di distribuzione dei premi ed incentivi
• Utilizzare forme di peer-compensation
• Contribuisce positivamente alla percezione di equità procedurale e al senso di
identità e appartenenza organizzativa
• Utilizzare forme di incentivo ex-post invece che solo incentivi ex-ante
• Si riduce l’effetto di cannibalizzazione delle motivazioni intrinseche
• Associare un «goal-setting» ben calibrato alla distribuzione degli incentivi
• Vedi lezione precedente: livello di difficoltà degli obiettivi, chiarezza, grado di
partecipazione
• Utilizzare non solo incentivi economici ma anche premi «esperienziali»
• Aumenta la soddisfazione nel medio termine, anche se spesso le persone dicono
di preferire incentivi economici
• Attenzione a non penalizzare troppo l’insuccesso
• Specie se si cerca di aumentare comportamenti finalizzati all’innovazione, la
creatività, l’assunzione di rischi
• Certe organizzazioni premiano esplicitamente le «thoughtful failures», ed
enfatizzano l’insuccesso come occasione di apprendimento
95. VALUTAZIONE DELLE PERSONE
• Il modo in cui si valutano le persone può avere effetti cruciali sui
comportamenti e sulle performance
• Tipicamente si distinguono
• Valutazione della POSIZIONE
• Valutazione della PERSONA
• Valutazione della PERFORMANCE
• Una varietà di obiettivi possono essere perseguiti:
• legittimazione e certificazione di ruoli, competenze,
comportamenti, prestazioni
• verifica e controllo, individuazione e rafforzamento di
comportamenti desiderati
• apprendimento, condivisione di valori e conoscenza
• determinazione di incentivi, progressioni di carriera, etc.
96. 7
VALUTAZIONE DELLA POSIZIONE
• Oggetto della valutazione: attività e responsabilità relative
alla posizione organizzativa
• Oggettività della valutazione, collegamento diretto con la
dinamica retributiva, concetto di equità organizzativa che
viene quindi “oggettivizzato” e formalizzato
• Tecniche per il processo di valutazione della posizione
• Job evaluation
• Ranking, classification, metodo del punteggio
• In contesti dinamici, il pericolo della rigidità (sia in termini di
approccio generale, sia in termini di tecniche e criteri
utilizzati)
97. 8
TIPICHE FASI DI UNA JOB EVALUATION
JOB ANALYSIS
• esame delle posizioni di lavoro
JOB DESCRIPTION
• descrizione analitica dei compiti di ogni posizione
• .. e delle finalita’ di ogni compito
JOB SPECIFICATION
• individuazione dei requisiti professionali richiesti dai compiti
• condizioni ambientali, di sforzo e di respnsabilita’
JOB EVALUATION
• definizione del valore relativo di ogni posizione
98. 9
UN ESEMPIO DI METODO: HAY
Competenza Tecnica
Capacità Relazionale
Competenza Manageriale
Contesto del pensiero
Difficoltà del processo mentale
Discrezionalità
Dimensione influenzata
Responsabilità
COMPETENZA
COMPLESSITA
DECISIONALE
FINALITA
+
+
= PESO DELLA
POSIZIONE
99. 10
VALUTAZIONE POSIZIONE vs PERSONE
focus sulla posizione
job evaluation
l’individuo si adatta alla posizione
ricerca del piu’ adatto alla
posizione
addestramento
“paga di posto”
focus sul soggetto
skill evaluation
l’individuo struttura la posizione
ricerca (anche) di
potenzialita’
formazione
skill-based pay
POSIZIONE PERSONE
100. VALUTAZIONE COMPETENZE
• Cosa sono le competenze?
• molteplici significati
• ambito di responsabilita’ (diritto / dovere di occuparsi di una certa attivita’)
• capacita’ di occuparsi di una certa attivita’
• Approccio psicologico-individuale
• Caratteristica intrinseca individuale che è causalmente collegata a
una performance efficace in una mansione
• Approccio strategico-organizzativo
• Competenze distintive dell’organizzazione come fattore primario di
vantaggio competitivo
• Identificare quindi le competenze distintive dell’organizzazione, e di
qui risalire alle competenze chiave per gli individui e i ruoli
11
101. 12
L’APPROCCIO CLASSICO DI BOYATZIS
• competenza come caratteristica intrinseca di un individuo,
causalmente correlata con una prestazione efficace
• Competenze di soglia: generali, necessarie ma non sufficienti per una
performance superiore
• Competenze professionali
• soggette a obsolescenza
• sia espicite (enunciative: sapere che) sia tacite (procedurali: sapere
come)
• Competenze discriminanti: causalmente collegate con la
performance superiore
• Competenze comportamentali
• difficilmente mutabli
• Motivazioni, tratto, immagine di sé, ruolo sociale, skill
102. 13
COMPETENZE COMPORTAMENTALI
motivazioni
tratto
idea di se
atteggiamenti
valori
skill
ruolo sociale
Motivazioni
• schemi mentali, bisogni, spinte interiori
che in modo stabile orientano il
comportamento dell’individuo
Tratto
• Modo caratteristico in cui, per
disposizione naturale, una persona
reagisce a un determinato insieme di
stimoli (es: controllo delle emozioni,
resistenza allo stress)
Immagine di sé
• Concetto di sé, livello di autostima,
atteggiamento. L’autovalutazione del
concetto di sé viene fatta attraverso un
confronto tra se stessi e gli altri
Ruolo sociale
• Percezione che l’individuo ha di un
insieme di norme di comportamento
considerate accettabili e appropriate
nei gruppi e nelle organizzazioni cui
appartiene
Skill
• Abilità di mettere in atto una sequenza
di comportamenti coordinati e
finalizzati al raggiungimento di un
obiettivo in termini di prestazione
103. 14
VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE: FASI
Processo di valutazione, in generale
• Definire le competenze soglia relative a ogni posizione
• Individuare le competenze discriminanti osservate nei
comportamenti che hanno ottenuto le migliori
performance
• Definire modelli di riferimento (il “best performer”) per
valutare le persone e identificare gap di competenze
• Diffondere le caratteristiche desiderabili del best performer
e creare le condizioni organizzative ideali per lo sviluppo,
la diffusione e la manifestazione di tali competenze
104. 15
VALUTAZIONE: FASI
Criteri misurazione
prestazioni
Campione di lavoratori
Raccolta dati
Definire task e competenze richieste
Validare modello competenze
Applicazioni
misure dirette, nomination capi,
val. colleghi, clienti, etc.
i performer superiori
interviste BEI, indagini, osservazioni
sistemi esperti, etc.
compiti e caratteristiche dei performe
“modello di competenze”
secondo campione di lavoratori
selezione, formazione
valutazione
percorsi di carriera
105. 16
ESEMPI DI TECNICHE: VALUTAZIONE A 360°
autovalutaz.
superiori
subordinati
pari clienti
Attraverso questionari
strutturati
106. 17
ESEMPI DI TECNICHE: ASSESSMENT CENTER
• “laboratorio” di osservazione dei comportamenti
• individuali o in gruppo
• simulazioni, interviste, questionari
• situazioni progettate specificamente per rappresentare la
specificita’ dei ruoli
• ipotesi: i comportamenti osservati e manifestati nel A.C. sono
rappresentativi dei comportamenti che verranno tenuti nelle
situazioni reali
• obiettivi:
• valutazione del potenziale
• individuazione aree di miglioramento
• selezione (interna ed esterna)
107. 18
VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE: LIMITI
Limiti dell’approccio tradizionale
• si tende a sottovalutare l’importanza delle
competenze professionali
• si tende a sottovalutare l’importanza dell’aspetto
relazionale e sociale nei processi di lavoro, anche ai
fini della performance
• Si tende ad assumere che i comportamenti dei best
performer, se replicati da altri, garantiscano
performance analoghe
108. 19
VALUTAZIONE DELLA PRESTAZIONE
FINALITA’ TIPICHE
• Regolazione della dinamica retributiva individuale (per es.,
a supporto di tecniche quali il MBO – management by
objcetives)
• Raccolta di informazioni utili sugli individui
• Per percorsi di carriera, promozioni, turnover, etc.
• Supporto allo sviluppo delle persone e individuazione delle
esigenze di formazione
• Miglioramento della motivazione tramite feedback
• Individuazione delle esigenze di cambiamento
organizzativo
109. IN SINTESI
• Le organizzazioni possono agire in modo molto influente sui
comportamenti individuali e quindi sulle performance
• Si tratta di scelte che hanno una vera e propria valenza «strategica», nel
senso che possono determinare il successo (o meno) dell’organizzazione
• Per esempio, attraverso:
• la progettazione e l’organizzazione del lavoro
• per massimizzare la motivazione intrinseca attraverso attività che
valorizzino le preferenze e le passioni individuali, l’autonomia, le
opportunità di apprendimento e la condivisione degli obiettivi
• i sistemi di incentivazione e di retribuzione
• per focalizzare gli sforzi su specifici obiettivi, soddisfare i bisogni primari
delle persone, attirare e ritenere persone particolarmente capaci e
competenti
• i sistemi di valutazione
• per garantire percezioni di equità (distributiva e procedurale), per
innescare processi di apprendimento e diffusione delle migliori
pratiche, identificare le competenze necessarie e le esigenze di
miglioramento, collegare alla valutazione le politiche di incentivazione
111. LA MASS PRODUCTION
La fabbrica modello della Mass-Production era Ford:
- Henry Ford negli anni 1910-1920 conia il termine Mass production, intesa
come vendita di massa di prodotti/servizi mancanti sul mercato e fortemente
standardizzati (es. il famoso modello T in vendita fino al 1928 che ha
raggiunto i 2M di auto vendute nel 1925)
- Alla base del Fordismo vi è la catena di montaggio ed il Taylorismo
- La produzione era basata sull’aumento continuo della produttività.
Ciò ha portato alla riduzione del costo unitario di prodotto
it will be so low in price
that no man making a good salary will be unable to own one (Henry Ford)
- La produzione di massa è tutt’ora utilizzata in alcune parti del mondo
ORIGINI DEL LEAN THINKING
112. MASS PRODUCTION NELL’HEALTHCARE
Specificità della Mass Production:
- Mercato ad altissima richiesta di prodotti/servizi (mancavano !)
- Scarsa personalizzazione prodotti/servizi
- Scarsa qualità (il prodotto/servizio in sé perché mancava)
- Organizzazione basata sulla specializzazione dei compiti
- Materie prime a basso costo
Simili specificità erano presenti in sanità:
- Le cure non erano intese come ‘patient-centred’
- I percorsi paziente erano poco personalizzati e più volti all’efficienza
tramite standardizzazione e produttività (patient as a recipient)
- La sostenibilità della spesa pubblica sanitaria era un problema relativo
ORIGINI DEL LEAN THINKING
113. MASS PRODUCTION
…soprattutto la MASS PRODUCTION ha abituato
a considerare le risorse
in generale a basso costo e ad alta accessibilità !
ORIGINI DEL LEAN THINKING
114. Lo scenario macroeconomico di contorno degli anni 50-70
US ed Europa:
- Materie prime ed elettricità facilmente reperibili a basso costo (inclusi
farmaci e dispositivi medici)
- Manodopera come vero costo variabile (US)
- Mercato mai saturo e risorse finanziarie abbondanti
L’ERA DELLA MASS-PRODUCTION
Giappone:
- Materie prime da importare a maggior prezzo
- Manodopera difficilmente licenziabile
- Mercato interno asfittico causa enorme crisi finanziaria
TANTA INVIDIA PER LA MASS-PRODUCTION
ORIGINI DEL LEAN THINKING
115. Nascita del TOYOTA PRODUCTION SYSTEM
Di necessità virtù…
L’erede Eiji Toyoda nel 1950 va negli Stati Uniti per capire
come funzionasse l’industria US dell’auto.
Il giovane Toyoda era determinato nell’implementare la
Mass-production in Toyota
Tornato in Giappone e confrontatosi con il suo direttore di stabilimento
Taiichi Ohno, realizza però che nei suoi stabilimenti è impossibile applicare la
mass-production
Ohno capisce che il sistema occidentale aveva tre grossi difetti:
- Difettosità alte
- Scarsa personalizzazione
- Grossi immobilizzi di capitale e spazi
116. NASCITA DELLA QUALITA’ COME RIDUZIONE DELLA VARIABILITA’
La mass production porta con sé la specializzazione dei compiti e la produttività
massima del singolo. Pertanto non vi è enfasi sulla qualità
I giapponesi per aumentare la qualità dei loro prodotti e servizi cominciano a
guardare con attenzione quello che stava succedendo negli USA in alcuni
settori avanzati
ORIGINI DEL LEAN THINKING
117. LA NASCITA DEL QUALITY CONTROL NEGLI US
Nel 1939 Walter Andrew Shewart scrive il testo:
Statistical method from the viewpoint of quality control
Shewart inventa le carte di controllo e per la prima volta introduce il concetto del
quality control (to control all’inglese), spostando l’attenzione dai meri controlli
finali al fare bene le cose la prima volta riducendo la variabilità insita nei
processi
Sfortunamente in occidente per molti anni il quality control è rimasto nell’ambito
nucleare e aereospaziale
Il Quality Control diventa Total Quality Control (TQC) nel 1956 grazie ad
un’importante libro di Feigenbaum
ORIGINI DEL LEAN THINKING
118. TPS E TQM (TOTAL QUALITY MANAGEMENT)
Taiichi Ohno capisce che l’industria manifatturiera
e dei servizi Giapponese doveva combattere:
- Riducendo gli sprechi
- Aumentando la qualità
Il Giappone comincia ad acquistare consulenza dagli US.
Negli anni ’60-’70 assoldano Deming e Juran per
quanto riguarda la qualità
ORIGINI DEL LEAN THINKING
119. JAPANESE TQC (JTQC) - TQM
L’ ’umanizzazione’ del Quality Control Americano ad opera dei Giapponesi,
porta alla nascita nel 1962 dei primi circoli della qualità.
Due fondamentali principi introdotti in Giappone:
- Team-working
- Rapidità di risoluzione dei problemi di qualità.
I circoli della qualità partono in Giappone basandosi prevalentemente sulla
volontarietà
Come approccio al problem solving Deming nel 1950 inventa la famosa ruota
Plan-Do-Check-Act (PDCA) che entra a far parte del DNA di ogni processo
di miglioramento (Kaizen) inclusa la certificazione ISO 9001 e l’accreditamento
ORIGINI DEL LEAN THINKING
120. P
=
Pianificare
il
miglioramento,
darsi
obiettivi,
costituire
il
team,
prendere
consapevolezza
del
Problema,
analizzare
le
cause
D
=
Fare
per
migliorare,
trovare
la
radice
delle
cause,
Piani
di
azione
per
ridurre
la
variabilità
Continuos
Improvement
Kaizen
C
=
Controllare,
verificare
le
azioni
della
fase
D.
A
=
Studiare
il
percorso
svolto,
capire
cosa
si
può
imparare,
standardizzare
i
risultati
ottenuti,
pianificare
nuovi
miglioramenti
PDCA – LA RUOTA DI DEMING PER IL MIGLIORAMENTO CONTINUO
121. Continuos
Improvement
Kaizen
IL TQM PARTE FONDAMENTALE DEL TPS
Il TQM diventa una componente fondamentale del Toyota Production system, in
particolare per quanto riguarda:
- Gestione delle risorse umane
- Approccio ai problemi
- Riduzione della variabilità dei processi
Elemento peculiare del TPS diventerà comunque la riduzione degli sprechi e la
creazione di Valore Aggiunto
122. L’INTERESSE IN OCCIDENTE AI MODELLI GIAPPONESI
I consumatori a partire dagli anni ‘70 in poi cominciano a richiedere qualità e
personalizzazione (dovuto all’incremento del reddito pro-capite)
Le risorse di materie prime cominciano a costare sempre di più in occidente
e la spesa pubblica sanitaria (Europea) aumenta continuamente
Negli anni ‘80 gli Stati Uniti affrontano una grossa crisi ed i Giapponesi
invadono il mercato
Negli anni 80-90 escono vari libri ed articoli di divulgazione sul TPS e TQM,
in particolar modo il testo ‘Lean Thinking’ di Womack e Jones
ORIGINI DEL LEAN THINKING
123. L’INTERESSE IN OCCIDENTE AI MODELLI GIAPPONESI
Nei primi anni 2000 molte realtà sia Americane sia Europee avevano applicato
la Lean (57% degli interventi totali negli USA).
Oggi si parla di:
- Toyota Production System -TPS (sistema originale inventato da Ohno)
- Lean Production (ridefinizione occidentale del TPS)
- Lean Thinking (applicazione dei principi lean a tutti i contesti)
- Lean Office (applicazione dei principi lean agli uffici)
- Lean Healthcare (lean applicata alla sanità)
- Lean X (lean qualsiasi cosa!)
- Six Sigma (evoluzione americana del TQM)
- Lean Six Sigma
ORIGINI DEL LEAN THINKING
124. LEAN HEALTHCARE
Nei primi anni ‘90 il sistema Healthcare Americano inizia ad approcciare il
Lean Thinking.
Quattro livelli di applicazione:
- Dipartimentale, limitato ad unica unità operativa
- Percorsi paziente
- Intera struttura
- A livello regionale (es. Regione Toscana) o nazionale (es. NHS UK)
ORIGINI DEL LEAN THINKING
126. TOYOTA PRODUCTION SYSTEM (TPS) – I SETTE SPRECHI
- Sovrapproduzione
- Scorte
- Trasporti
- Difettosità
- Overprocessing
- Attese
- Movimenti umani
Dovuti al flusso
Dovuti al lavoro
SPRECHI E VALORE AGGIUNTO
127. SOVRAPPRODURRE
Sovrapprodurre nell’healthcare significa processare troppo di
o in anticipo rispetto alla richiesta
Sovrapprodurre, tipicamente, è fare qualcosa quando non ancora
richiesto
Esempi di sovrapproduzione:
- Preparare in farmacia troppi farmaci per il reparto
- Programmare troppi interventi nella giornata/periodo
- Portare i pazienti troppo presto in diagnostica o sala operatoria
- Acquistare troppi dispositivi o farmaci
SPRECHI E VALORE AGGIUNTO
128. SCORTE
La scorta è un tipico spreco legato alla sovrapproduzione
Scorta è qualsiasi cosa che rimane ferma in qualche specifico spazio
per un determinato tempo
Scorta può essere un insieme di farmaci in un magazzino, in un
armadietto di reparto, così come un insieme di
documenti, file e perfino una coda di
pazienti!
Cause tipiche delle scorte:
- Sincronizzazione lungo i processi (sovrapproduzione)
- Lunghi tempi di change-over (setup)
- Acquistare farmaci o servire clienti per ‘lotti’
- Colli di bottiglia nel flusso/percorso/processo
- Parti del processo che introducono difettosità
- Mentalità di accettare come fisiologica la scorta o le code
- Credere che le scorte di prodotti possano dare più servizio ai
pazienti
SPRECHI E VALORE AGGIUNTO
129. TRASPORTI
Un eccesso di scorte o code pazienti porta ad un aumento dei trasporti
I trasporti riguardano:
- Spostamenti di farmaci e dispostivi all’interno/esterno dell’ospedale
- Trasporti di pazienti da un reparto ad un altro
- Trasporti di documentazione/invio files
Cause tipiche:
- Scarsa progettazione di layout
- Creazione di lotti di prodotti
- Etc.
.
SPRECHI E VALORE AGGIUNTO
130. OVERPROCESSING
Overprocessing è aggiungere/dare più valore al servizio rispetto a quanto
richiesto dai pazienti/clienti interni
Esempi:
- Controllare due o più volte un referto medico
- Effettuare raggi X o diagnostiche in generale quando non utili
- Fornire al paziente informazioni non utili
Cause:
- Scarso training o skills
- Medicina difensiva ‘positiva’
- Scarsa comunicazioni fra le parti
- Scarso standard-work (es. documentazione ISO 9001 o per
l’accreditamento);;
- Macchine e strumenti inadeguati
- Etc.
.
131. DIFETTOSITA’
Spreco di derivazione TQC-TQM. La difettosità introduce i cosiddetti
Costi Della Non Qualità - Costs Of Poor Quality (COPQ)
I Costi della Qualità o Cost Of Quality (COQ) sono divisi di solito in 3 categorie
chiamate PAF (Prevention-Appraisal-Failure).
I COPQ sono tipicamente legati ai Failure e parte degli Appraisal
.
COPQ
COQ
132. DIFETTOSITA’ - COST OF POOR QUALITY - ESEMPI
Cost Of Poor Quality (COPQ) Voci
Difettosità Esterna (External COPQ) Polizze per rischio clinico
Danni risarciti al paziente
Perdite di immagine
Perdite di ‘mercato’
Difettosità interna (Internal COPQ) Infezioni
Rifacimenti di diagnosi, terapie, etc.
Referti sbagliati
Scarti di farmaci e dispositivi monousi
per errori
Meeting e riunioni inefficaci
Etc.
Controlli (Appraisal) Controlli non necessari per scarsa
confidenza del processo
133. MOVIMENTI DEL CORPO UMANO
Spreco legato all’eccessivo movimento del personale
Esempi:
- Personale che va da una parte all’altra alla ricerca di strumenti, documenti, etc.
- Personale che si muove troppo attorno alla postazione (es. tavolo operatorio)
- Etc.
Movimenti sbagliati possono mettere a rischio
sia la sicurezza del personale sia del paziente
Cause:
- Scarsa progettazione del layout e della postazione
- Personale con scarso training e skills
- Scarso coinvolgimento del personale
- Scarso ordine
- Attività svolte in aeree isolate
- Etc.
Concetto della Golden Zone, tutto
a portata di mano senza muoversi
134. ATTESE
Le attese riguardano personale fermo non in attività, ma anche pazienti che
aspettano…
Esempi:
- Personale fermo davanti a macchine di laboratorio in attesa che finiscano
- Medici in attesa di un referto da un altro reparto
- Personale fermo per guasto macchina
- Personale in attesa di colleghi per una riunione
Cause:
- Scarso bilanciamento fra le attività
- Change-over alti
- Scarsa manutenzione preventiva
- Mancanza di training e/o skills
- Mancanza di ordine
- Scarso standard work (es. doc ISO 9001 o accreditamento)
135. COSA OTTENIAMO RIDUCENDO GLI SPRECHI ??
La fondamentale equazione Giapponese: meno sprechi=meno tempo
di processo (LEAD TIME, TEMPO DI ATTRAVERSAMENTO)
US motto: Lean means Speed
VELOCITA’ … …….
136. SPRECO E VALORE AGGIUNTO
L’opposto delle spreco è
il valore aggiunto o
VALUE
ADDED
(VA)
Quando un
processo crea valore aggiunto?
137. VALUE ADDED = EFFICACIA + EFFICIENZA NELLE ATTIVITA’
Valore Aggiunto è
trasformazione di
un
input
in
output
(lavorazione
o servizio)….
Però la
trasformazione deve dare
luogo a
qualcosa a
cui
il cliente
associa valore (efficacia,
condizione primaria)
e
al
minor
costo (efficienza)
138. VALORE AGGIUNTO E NON
Leggiamo le seguenti attività, quali di queste attività è veramente a
Valore Aggiunto?
ü Muovere un paziente da un reparto ad un altro
ü Regolare il tavolo operatorio per l’intervento successivo
ü Inviare il referto in una busta ad un collega
ü Aspettare il risultato delle analisi del laboratorio
ü Prelevare un farmaco dall’armadietto per la somministrazione
ü Effettuare una risonanza magnetica da protocollo
ü Richiedere una firma di legge su un documento paziente
139. Attività NVA che
non possono essere
rimosse
75%
Spreco rimovibile
15%
VA < 10%
SPRECO – VALORE AGGIUNTO (VA) E NON (NVA)
Sfortunatamente non
tutti gli sprechi si possono rimuovere….
ma
almeno proviamo a
ridurne qualcuno….
141. MAPPATURE QUALE PUNTO DI PARTENZA
Il
viaggio di
applicazione della Lean
Healthcare
inizia tipicamente con
mappature
Value
Stream
Map
per
calcolare quanto valore aggiunto stiamo dando al
cliente
-‐ La
Value
Stream:
ü Si
effettua tipicamente per
percorsi paziente (es.
frattura femore)
ü E’
un
documento vivo
‘As-‐Is’
che insegue un
‘Future
State’
ü Calcola il Lead
Time
e
lo
confronta con
il process
o cycle
time
ü Permette di
vedere scorte/WIP
di
pazienti e/o
prodotti
-‐ Spaghetti
Chart:
ü Permette di
calcolare le
distanze relative
ai trasporti pazienti/prodotti
-‐ Makigami:
ü Entre
nel dettaglio del
flusso delle attività di
un
processo
ü Focalizzata su processi transazionali (senza prodotti fisici)
MAPPARE
LO
SPRECO
142. ‘GO TO SEE’ – VALUE STREAM MAP (VSM) – AS IS
A&E
patient
flow
for
orthopaedic
treatment
C/T = 18 min
2 patients
20 – 1 hour
C/T = 45 min
Leadtime minim 198
min
Leadtime max 9h 13 min
Average time 375,5 min
Total cycle time 103 min
30-‐ 1
hour
143. ‘SPAGHETTI CHART’ SUL LAYOUT PER VEDERE I TRASPORTI
FOE = first orthopaedic examination.
FOE
Radiology
Orthopaedic
specialist
Hospitalisation
Spaghetti chart of a patient
80 m
460 m
120 m
First floor
450 m
Up to
890 m
Emergency
department
Spostiamo
il
FOE
all’interno
dell’Emergency
Department
Spostiamo
lo
specialista
al
primo
piano
contiguo
alla
radiologia
Se
dimesso
deve
proprio
tornare
al
Pronto
soccorso
?
144. SPAGHETTI CHART
La maratona di New York
del paziente
e del personale interno !
145. MAKIGAMI MAPPING
ü Il Makigami è una tecnica di mappatura di dettaglio che si
concentra su un processo dividendolo in n attività. Si applica
particolarmente quando si ha a che fare con transazioni piuttosto
che flussi fisici
ü Deriva dalle tecniche Americane IT di Business Process Re-
engineering (BPR)
ü Così come la VSM, il Makigami è di due tipologie:
§ Current State, o ‘as is’
§ Future State
ü E’ una potente lente di ingradimento
146. Makigami,
‘Visual
Management’
Chi è responsabile
dell’attività
Flusso delle attività
Dati/informazioni
relative alle attività e
ai miglioramenti
147. Cliente
Richiesta
farmaco
Addetto
al
banco
Verifica
presenza
prescrizione
eprenotazione
Verifica
tessera
europea
Verifica
presenza
in
magazzino
Effettua
scarico
da
magazzino
Verifica
scorta
minima,
lancio
ordine
Addetto
magazzino
Picking
del
farmaco
Invio
tramite
scivolo
PT
1
min
1
min
1
min
1
min
5
min
1
min
1
min
2
min
13
min
LT
10
min
10
min
10
min
15
min
10
min
1
min
10
min
3
gg
3g+
66
min
C&A
80%
95%
60%
95%
100%
70%
95%
Head
time
10%
10%
30%
60%
10%
10%
20%
IT/Form
Prescrizione
via
gestionale
Gestionale
ASL
Gestionale
farmacia
Gestionale
farmacia
Gestionale
farmacia
Gestionale
farmacia
Sprechi
Il
cliente
quando
arriva
non
ha
una
coda
definita
da
seguire
e
perde
tempo
Le
prescrizioni
dell’oculistica
spesso
sono
errate
nel
tipo
e
quantità
Gestionale
ASL
spesso
lento
e
non
risponde
Spesso
i
farmaci
compaiono
in
giacenza
ma
in
realtà
non
ci
sono
I
farmaci
sono
a
volte
negli
scaffali
sbagliati,inoltre
l’addetto
al
magazzino
può
essere
impegnato
con
le
consegne
e
il
banco
non
lo
vede
Lo
scarico
con
scanner
si
sospetta
non
funzioni
bene
oppure
errore
dell’addetto
Non
tutti
gli
ordini
sono
fatti
subito.
A
volte
si
rimane
senza
farmaco
Miglioramenti
Creare
una
sorta
di
corridoio
Riunione
con
oculistica
Verifica
in
anticipo
Riunione
con
magazzino
Riunione
con
magazzino
Provare
a
sostituire
scanner
Inserire
warning
automatico
nel
sw
149. Il
metodo
delle
5S
è
il
punto
di
partenza
operativo
per
l’introduzione
di
tutti
gli
altri
strumenti
Il
nome
si
riferisce
a
cinque
termini
giapponesi
che
rappresentano
le
fasi
in
cui
si
divide
la
metodologia:
1. Seiri – Separazione. Separare le cose utili da quelle inutili.
2. Seiton – Ordine. Sistemare in modo efficiente gli strumenti, le attrezzature,
i materiali e tutto ciò che deve essere utilizzato in prossimità della
postazione di lavoro, in modo da rendere semplice e rapido l’utilizzo da
parte di tutto il personale medico ed infermieristico
3. Seiso – Pulizia. Pulire e mantenere tale il posto di lavoro, attraverso
ispezioni continue e sistematiche delle postazioni e delle attrezzature.
4. Seiketsu – Standardizzazione. Standardizzare le attività del posto di lavoro e
rendere semplice e di facile comprensione per qualunque operatore
addetto, l’applicazione di tali procedure.
5. Shitsuke – Disciplina. Realizzare un posto di lavoro in grado di soddisfare e
rispettare nel tempo gli standard stabiliti.
5S
– UN
PRIMO
IMPORTANTE
STRUMENTO
150. 1S
Il
Primo
passo
da
compiere
per
la
messa
a
punto
del
sistema
riguarda
la
rimozione
dall’area
di
tutto
ciò
che
non
serve
al
processo
in
corso.
La corretta applicazione di questo punto permette di utilizzare in
modo ottimale lo spazio disponibile, ridurre le perdite di tempo per
la ricerca degli strumenti, farmaci, documenti, etc.; inoltre garantisce
il rispetto dei principi del JIT, cioè disporre di ciò che serve al
momento giusto. Di conseguenza si ottiene una riduzione di problemi
e interferenze nel flusso lavorativo, una maggiore qualità del servizio
e un aumento della produttività.
5S
– UN
PRIMO
IMPORTANTE
STRUMENTO
151. Durante
la
fase
di
separazione
tra
ciò
che
utile
e
non
utile,
si
deve
anche
considerare
quanto
frequentemente
viene
utilizzato.
In
mancanza
di
questa
prima
“S”
si
ha
che:
ü I
reparti,
corsie,
sale
operatorie,
laboratori
e
perfino
le
vie
di
fuga
diventano
più
angusti
ü Cassetti,
armadietti,
depositi
sono
pieni
di
tutto
ü Attrezzature
e
strumenti
medici
in
buone
o
cattive
condizioni
sono
mescolati
ü Si
hanno
quantità
non
adeguate
di
WIP
di
farmaci
e
di
dispositivi
ü La
roba
è
nei
posti
più
scomodi
Grazie
a
questo
si
comprende
ciò
che
è
effettivamente
utile
5S
– UN
PRIMO
IMPORTANTE
STRUMENTO
152. Come implementare la prima S:
La tecnica delle 3 scatole ed il
cartellino rosso
(Red Tag)
5S
– UN
PRIMO
IMPORTANTE
STRUMENTO
153. COSE
INDISPENSABILI
COSE
FORSE
UTILI
COSE
INUTILI
Tecnica
delle
tre
scatole
1.
Identificare
tre
scatole
con
le
seguenti
diciture:
2.
Svuotare
l’area
e
riempire
le
scatole
3.
Analizzare
i
contenuti
COSE
INDISPENSABILI
COSE
FORSE
UTILI
COSE
INUTILI
ok
analisi
più
dettagliata
eliminare!!!
5S
– UN
PRIMO
IMPORTANTE
STRUMENTO
154. Il cartellino rosso
ü Se siamo indecisi possiamo appendere un cartellino rosso agli
oggetti e metterli sotto osservazione per un periodo
ü Se qualcuno reclama per l’oggetto, deve dichiarare quale specifico
uso intende farne
ü Tutti gli oggetti che entro 3 – 6 mesi non vengono reclamati
vengono gettati via
5S
– UN
PRIMO
IMPORTANTE
STRUMENTO
156. 5S – ORDINE, PULIZIA – LA PRIMA S
ü SEIRI.
Separare le
cose.
Ciò che serve
da
ciò che non
serve
ü Scegliere:
oggetti inutili negli scaffali,
documenti obsoleti,
file
obsoleti,
farmaci,
strumentazione,
etc
SERVE NON SERVE
NON SERVE
CARTELLE CHE
NON SERVONO
?
157. 2S
Le
COSE
UTILI
CHE
RIMANGANO
VANNO
SISTEMATE
IN
MODO
DA
ESSERE
FACILMENTE
TROVARE,
UTILIZZATE
E
RIPOSTE
ü Codificare,
etichettare gli oggetti
ü Riorganizzare spazi,
scaffali,
armadietti,
etc.
ü Disporre gli oggetti secondo
la
frequenza d’uso:
§ BASSO
USO
(una volta ogni 6
ed oltre mesi) -‐ Locazione:
magazzini,
scaffalature centralizzate e
distanti dal
posto di
lavoro
§ MEDIO
USO
(una volta al
mese,
ogni 2-‐3
mesi) -‐ Locazione:
magazzino di
reparto o
di
UO
§ ALTO
USO
(quotidiano o
settimanale)
-‐ Locazione:
sul posto di
lavoro
ü Oggetti di
uso frequente devono essere sistemati in
posizioni comode ed
ergonomiche ad
altezza spalla-‐ gomito
5S
– UN
PRIMO
IMPORTANTE
STRUMENTO
158. Oggetti nel magazzino centrale
per
chiunque
Il
posto di
lavoro:
ogni cosa a
suo posto
Ergonomia,
tutto all’altezza giusta evitando
piegamenti e
spostamenti del
corpo
5S
– UN
PRIMO
IMPORTANTE
STRUMENTO
159. 5S – ORDINE, PULIZIA, LA SECONDA S
ü SEITON.
Mettere in
ordine ciò che serve.
Ogni cosa nel posto giusto
ü Classificare e
codificare i prodotti che servono.
Scegliere posizioni precise,
scaffaluture precise,
codificare e
rendere ben
visibile.
Raccoglitori identificati per
i
documenti.
Cartelle precise
per
i file…etc.
Prima
PRIMA DOPO
160. 5S
– Mettere in
ordine è
anche organizzare i flussi
Introduzione del
Visual
Management
5S
– UN
PRIMO
IMPORTANTE
STRUMENTO
161. 5S – ORDINE, PULIZIA – LA TERZA S
ü SEISO.
Una volta messo tutto in
ordine,
occorre anche considerare
norme di
pulizia ed igiene della postazione di
lavoro e
di
ogni parte
della struttura
ü Pulire e
sanificare periodicamente,
evitare fonti di
contaminazione ed infezioni.
Cose molto scontate in
sanità…Lean
impone però il miglioramento delle condizioni
di
illuminazione e
di
riflettere su come
rendere più agevoli e
veloci i punti di
sanificazione e
pulizia…rendendo al
tempo
stesso più efficace la
pulizia
162. 5S – ORDINE, PULIZIA – LA QUARTA S, STANDARDIZZARE
ü SEIKETSU.
Standardizzare e
darsi delle regole (possibilmente scritte e
visibili)
per
mantenere ciò che è
stato fatto e
condividerlo
STANDARD
WORK
ü Lo
Standard
Work
Giapponese non
è
però una complessa procedura per
l’accreditamento,
letta una volta e
poi
dimenticata,
è
documentazione semplice,
VISIVA,
migliorata continuamente e
spiegata a
tutti
VISUAL
MANAGEMENT
DEGLI
STANDARD
163. 5S – ORDINE, PULIZIA E…DISCIPLINA – LA QUINTA S
ü SHITSUKE.
La
più difficile delle 5S,
la
prova del
nove per
capire se
siamo Lean
!
MANTENERE
NEL
TEMPO
CIO’
CHE
ABBIAMO
CREATO
CON
LE
PRECEDENTI
4S
Mantieni
l’ordine
!
166. IL SET-UP O CHANGE-OVER
Sulla
nostra
VSM
a
volte
possiamo notare macchine ospedaliere/processi all’interno del
percorso paziente con
alto
tempo
di
change-‐over,
ovvero tempo
cambio da
un
paziente
ad
un
altro.
Il
change-‐over
o
set-‐up
porta
a
vari sprechi quali:
-‐ Rallentamenti sul lead-‐time
percorso paziente
-‐ Formazione di
code
con
tempi
di
attesa (WIP
pazienti)
-‐ Tendenza a
lavorare per
‘lotti’
(gruppi di
pazienti trattabili similarmente,
campioni
simili,
etc.
)
-‐ Perdite di
produttività personale e
infrastrutture ospedaliere (es.
Sala
operatoria,
TC,
etc.)
Come
ridurre il Change-‐Over
o
set-‐up?
SMED
167. Inventato da
Shigeo
Shingo
in
Toyota
negli anni 1960
Il
termine originalmente si riferiva al
cambio dello stampo delle presse in
un
tempo
contenuto in
una sola
cifra (0-‐9
minuti)
SMED
oggi è
usato nel cambio rapido (quick-‐changeover)
quando si parla di
prodotti,
servizi e
perfino in
formula
uno e
nei voli aerei
Tecnica SMED
SMED
168. SMED – RIDUZIONE DEI TEMPI DI CHANGE OVER
ü SMED.
Tecnica per
la
riduzione dei tempi
di
approntamento (set-‐up)
delle macchine per
la
diagnosi,
terapia,
incluse la
sale
operatorie ed altri processi complessi
ü Concetti base
SMED:
§ Organizzare tutto al
meglio in
precedenza (5S,
Standard
Work,
Visual
Management)
§ Fare
più attività possibili in
parallelo durante il precedente intervento
§ Ridurre i tempi
delle attività interne
alla sala/macchina
ü In
sala operatoria si possono ad
esempio adottare soluzioni quali:
§ Migliorare i sistemi di
movimentazione paziente
§ Predisporre carrelli personalizzati per
intervento
§ Rendere più agibili le
connessioni ai gas
medicali,
rete,
etc.
§ Rendere più agevole la
pulizia e
sterilizzazione
SMED