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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI eCAMPUS
CORSO DI PERFEZIONAMENTO ANNUALE
MASTER A46
“Master in Indegnamento in materie giuridico –economiche per gli Istituti di II grado”
ARGOMENTO TESI
“La disciplina dei contratti nel codice civile: le patologie di invalidità del contratto”
LA CANDIDATA RELATORE
Alda Zejno Prof. Valentino Sacco
Anno accademico
2019/2020
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Un ringraziamento va ai miei genitori che mi hanno sostenuta materialmente e spiritualmente nelle
mie scelte di studio e nella vita.
Vorrei ringraziare anche tutti i miei maestri della scienza del diritto ed in particolare la mia tutor
Giorgia Dell’Orto che con tanta dedizione mi ha seguita e sostenuta per quasi tutti gli appelli della
formazione con coerenza e tanto impegno per il miglioramento delle formazioni online.
L’argomento da me scelto è alla base dell’autonomia privata dove viene svolta la maggioranza dei
negozi giuridici della vita quotidiana con un sì scritto o verbale concludiamo quasi tutte le tape di
questa nostra vita civile.
Per un paese più giusto e che rimuove le distanze ed anche gli ostacoli ringrazio tutti i miei amici
intellettuali che hanno corretto i mie passi per la scrittura.
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INDICE
Introduzione…………………………5
CapitoloI : Figura del contratto.
1.1 Il contratto nell’organizzazione giuridica…………………………….9
1.2 L’autonomia contrattuale …………………………………………….11
1.3 Gli elementi essenziali del contratto………………………………….15
1.4 Classificazione dei contratti…………………………………………..18
Capitolo II : Efficacia e Invalidità del contratto
2.1 Il procedimento di formazione del contratto …………………………25
2.2 Inefficacia e Invalidità del contratto…………………………………27
2.3 La Nullità del contratto………………………………………………28
2.4 L’ Annullabilità del contratto ………………………………………..31
2.5 La differenza tra nullità e annullabilità del contratto………………..
Bibliografia …………………………………………………25
4
Introduzione
Nei discorsi di ogni giorno, siamo abituati a parlare di contratto per le operazioni di compravendita
di un automobile, un arredamento, un terreno oppure per l’affitto di un appartamento, o per
l’erogazione di servizi (Enel, Telecom ), o ancora per i contratti tra sindacati dei lavoratori e
associazioni dei datori di lavoro. Ma nessuno di noi pensa di fare un contratto quando compra una
camicia, quando ritira una coca-cola da un distributore automatico, o entra al cinema o va dal
barbiere; neppure pensiamo a fare un contratto quando ci iscriviamo ad un’associazione sportiva o
ad un partito. Tutte queste operazioni, invece sono comprese nella definizione del codice civile,
perché in tutti quegli esempi si può riconoscere, ora facilmente, ora con qualche attenzione, un
accordo tra due parti relativo a un rapporto che ha natura o aspetti patrimoniali. Il linguaggio
comune, quindi, lega l’idea di contratto a certe caratteristiche – il “contrattare”, oppure la solennità
della stipulazione, o l’esistenza di contratto, mentre la definizione giuridica punta su un minimo
comune denominatore che compare in una serie infinita di fatti; l’accordo relativo a un rapporto
giuridico patrimoniale. Ma proprio, per questo aspetto la nozione giuridica di contratto si presenta
limitata rispetto a quella del linguaggio comune: non ogni patto, non ogni promessa reciproca è
“contratto” per il diritto, ma solo quei patti che hanno per oggetto relazioni economiche. Per
esempio, il matrimonio non è per il diritto un contratto perché ha ad oggetto un rapporto in cui gli
aspetti personali sono assolutamente prevalenti. Quando diciamo che “il matrimonio non è un
contratto” riassumiamo un discorso lungo, che suona così: il “ contratto” per il diritto civile è solo
quella fattispecie prevista dall’art. 1321 del c.c.: “ Il contratto è l’accordo tra due o più parti per
costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”.
L’ambito di fattispecie riunite nella nozione del codice civile di contratto coincide quindi con tutta
la gamma di accordi che anima la vita economica: dalle micro alle macro-convenzioni. E’ evidente
anzitutto, che tutto il “consumo” si realizza attraverso una miriade di contratti, con cui ciascuno di
noi si procura non solo beni, ma servizi (riscaldamenti, acqua, trasporti, banca, attività artigianali,
attività professionali, uso di cose di cui non si ha la proprietà, ecc); E più in là, l’intero apparato
che produce o, che intermedia la circolazione di beni e la fruizione dei servizi. Potremmo seguire,
per esempio, la catena di contratti con cui si realizza la distribuzione commerciale; ma potremmo
anche raffigurare, la nascita del contratto di società; o i contratti con le banche che danno credito
alla società; i contratti per la costituzione delle basi materiali dell’azienda, per procurare i locali, le
attrezzature, i materiali necessari; i contratti con i professionisti, con il commercialista, con il
consulente fiscale, del lavoro, ecc. Se moltiplichiamo questi esempi di contratti avremo un’idea di
cosa si può intendere per “traffico contrattuale” e ci sarà chiaro che la rete dell’attività giuridica è
strettamente funzionale all’attività economica: questa si scompone in una serie di operazioni
economiche, ciascuna delle quali si realizza attraverso un contratto o in un insieme di contratti.
Non esagera, dunque, chi dice che la storia del contratto- dei modi in cui si conclude il contratto, dei
tipi di contratto, degli strumenti con cui si dà forza vincolante al contratto- è la storia di scambio tra
gli uomini, e più ampiamente la storia dell’organizzazione economico – sociale. (1)
Da questo punto di vista, non rientrano tra gli accordi definiti come contratto, gli accordi che
intrecciano la vita quotidianamente dettati da criteri di amicizia, di affetto o di cortesia, si pensi ad
5
esempio, ai c.d gentelment’s agreements. Il linguaggio quotidiano che ci dona un concetto così
esteso è, naturalmente frutto di una astrazione: dalla varietà dei fatti, il legislatore astrae i due
connotati fondamentali, che bastano a definire la fattispecie contratto: a) l’accordo, che ha la
funzione di regolare; b) un rapporto giuridico patrimoniale. E’ vero anche che le astrazioni fatte dal
legislatore – com’è la generale definizione del contratto, di cui nell’art.1321 del c.c - hanno un peso
per l’interprete, che le deve rispettare, e hanno anche delle ragioni: in sostanza, una definizione così
ampia tende ad isolare i carattere comuni di una così ampia gamma di fatti. (2)
E su questa base si individuano i requisiti del contratto elencati nell’art. 1325 del c.c, cioè gli
elementi essenziali perché il contratto possa produrre i suoi effetti e diviene possibile dettare una
serie di regole generali che possono essere applicate per tutti i tipi di contratto. L’astrazione,
insomma, serve a stabilire una disciplina comune a tutti i possibili contratti, lasciando alle regole
speciali, e anche all’intelligenza dell’interprete, il compito di tenere conto della enorme diversità tra
i singoli, concreti fatti che cadono nell’ambito del concetto di “contratto”. (3)
6
CAPITOLO I
La figura del contratto come negozio giuridico.
1.1 Il contratto nell’organizzazione giuridica.
Il contratto così come definito dal codice civile nell’art. 1321 del c.c delimita la fattispecie
“contratto” al campo degli accordi diretti a costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico
patrimoniale. Il termine contratto sta ad indicare sia l’atto ( cioè la volontà delle parti manifestata
nell’accordo) sia il rapporto ( ossia una serie di diritti e di obblighi che ne deriva per le parti, una
volta che il contratto è concluso).
Dalla definizione dell’art. 1321 del c.c si presentano tutti gli elementi che compongono una tale
definizione: - L’accordo delle parti, che consente di qualificare il contratto come un accordo
consensuale; - Il rapporto giuridico patrimoniale che consente di qualificare il contratto come un
accordo giuridico - patrimoniale; - La volontà finalizzata delle parti che consente di qualificare il
contratto come un atto di volontà;
Solo quando l’atto è un atto consensuale, un atto di volontà e atto giuridico - patrimoniale che
possiamo parlare di contratto in termini tecnici. La norma indica oltre che l’oggetto, anche la
funzione dell’accordo contrattuale. Si possono individuare due funzioni fondamentali del contratto,
quella traslativa e quella obbligatoria. Le due principali funzioni del contratto, operanti nel campo
patrimoniale sono: - La trasmissione della proprietà; - La creazione degli obblighi. (4)
I contratti sono caratterizzati, quindi, dal vincolo legale e dalla coercibilità legale, vale a dire che le
parti, una volta concluso il contratto non sono libere di disattendere l’impegno preso o di revocarlo,
poiché potrebbero essere chiamate dalla controparte all’attuazione in forma specifica oppure al
risarcimento del danno per equivalente ( attraverso il pagamento di una somma di denaro).
I rapporti non patrimoniali non sono, invece, né soggette a vincoli legali, né a coercibilità legali.
Anche un diritto reale può essere costituito per contratto ( ad esempio una servitù). Il titolo
d’acquisto, in tal caso, è derivativo – costitutivo e l’effetto è perciò compreso nella funzione
traslativa intesa in senso ampio. Il contratto in rapporto alla proprietà mostra come lo stesso
concetto sia mutato negli anni.
Il codice napoleonico vedeva il contratto in una posizione subordinata e strumentale alla proprietà,
tanto che veniva regolato dalle norme contenute nel libro III del codice civile dedicato ai modi di
acquisto della proprietà. Il contratto veniva, quindi, visto come un mezzo - strumento per acquistare
beni piuttosto che creare ricchezza. Tale concezione, era espressione di un’economia agricola, era
destinato a mutare con l’avvento dell’economia moderna, nella quale il contratto viene ad assumere
il ruolo che ancora oggi svolge il creatore di ricchezza. Il rapporto che lega il contratto con le
obbligazioni è facilmente comprensibile se si guarda la collocazione del contratto nella disciplina
generale del codice civile che lo regola: nel libro IV del codice intitolato “ Delle obbligazioni”. Per
comprendere l’effettiva portata della nozione del contratto, lo si deve necessariamente guardare alla
luce del rapporto che è andato instaurando con le altre fondamentali categorie ordinate delle azioni,
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relazioni, e posizione d’interesse delle parti. L’efficacia del contratto è riassunta, nella disposizione
dell’art.1327 del c.c: “Il contratto ha forza di legge tra le parti”.
La formula è estremamente suggestiva, perché dà il senso dell’esercizio della autonomia, e cioè
della possibilità riconosciuta dall’ordinamento giuridico ai privati di regolare da sé i propri interessi,
di darsi legge nei propri rapporti, ed in particolare nei propri rapporti patrimoniali.
L’effetto del contratto è dunque di regolare - come una legge stabilita dalle parti - certi interessi
patrimoniali e i rapporti giuridici che si realizzano, di stabilire cioè un certo regolamento di
interessi. In questa prospettiva, la definizione dell’art.1321 del c.c può essere riletta così: “Il
contratto è l’accordo di due o più parti diretto a stabilire tra loro un certo regolamento d’interessi
patrimoniali”.
Se guardiamo alla fattispecie, cioè all’accordo contrattuale, il contratto ci appare come un atto
giuridico, formato con il consenso di due o più parti (c.d contratto – atto). Se invece, guardiamo
alle conseguenze giuridiche dell’accordo, viene in evidenza il regolamento di interessi che ne nasce,
e quindi il rapporto contrattuale che si stabilisce tra le parti (c.d contratto - rapporto).
In questa esposizione, lo studio verterà sulle parti del rapporto, sui diritti e sugli obblighi che ad
esse fanno capo, sulla durata del rapporto, sulla sua esecuzione, sulla sua resistenza a fatti
sopravvenuti sull’eventuale scioglimento. Contratto - atto e Contratto – rapporto sono tra loro
collegati da una relazione del tipo fattispecie – conseguenze; e poiché qui la fattispecie è un atto di
autonomia, le conseguenze sono congruenti con la volontà manifestata nell’atto.
Più precisamente, il contratto è un atto di autonomia e richiede perciò un comportamento dei
contraenti, che manifesti la loro volontà di contrarre. Nel caso del contratto da due o più parti
provengono manifestazioni di volontà concordi: parole, gesti, comportamenti che servono da segni
con cui le parti manifestano reciprocamente la propria volontà di realizzare un certo assetto di
interessi e i cui significati convergono, cioè si compongono in una omogenea determinazione del
mondo in cui gli interessi vanno regolati. Si usa dire, il contratto come manifestazione della
volontà, attenzione a non fraintendere: il contratto è un fatto giuridico di cui l’ordinamento si
occupa, e i connotati descritti nell’art.1321 sono connotati di un fatto osservabile e accertabile, cioè
di una certa condotta umana. Se il contratto avviene per iscritto, e le parti firmano un unico testo, la
manifestazione di volontà è materialmente unica: si tratta di stabilire il significato attraverso
l’interpretazione. Se invece, le parti si scambiano delle lettere, l’accordo stesso sussisterà in quanto
il significato della lettera di accettazione combaci con quello della lettera della proposta.
Il contratto, dunque, può essere considerato come atto giuridico, e cioè la manifestazione di volontà
– bi o plurilaterale, e distinto, per quest’ultimo carattere, dagli atti unilaterali, nei quali si manifesta
la volontà di una sola parte, che produce di per sé determinati effetti giuridici: gli esempi di atti
unilaterali, sono la procura, la disdetta, la diffida, la rinuncia, il voto.
E’ da sottolineare che si parla sempre di parti e non di persone o di soggetti; si intende, cioè,
riferirsi alla dualità o plurilaterali di centri di interessi le cui reciproche posizioni, al termine delle
trattative, si incontrano e confluiscono ( trattasi di interessi contrapposti, generalmente non
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coincidenti di natura economica). Nella trattazione e nella formazione dell’accordo le parti sono
tenute a comportarsi secondo la buona fede (art.1337 del c.c).
La buona fede e il dovere della correttezza è imposta dalla legge , sulla base del solo fatto che tra
due soggetti si sia avviata una trattativa, e che obbliga a tenere una condotta da persone oneste e
leali, sia nell’iniziare che nel condurre la contrattazione, sia nel recedere dalle trattative, sia nella
stessa conclusione del contratto. In particolare, la legge prevede un dovere reciproco di
informazione con riguardo ad eventuali vizi del contratto. (art. 1338 c.c)
I doveri di informazione più specifici ed unilaterali, sono imposti a tutela del consumatore ad
esempio nella disciplina dei contratti negoziati fuori dai locali commerciali (d.lgs. n.50/1992) e i
contratti a distanza (d.lgs. n. 185 /1999): essi riguardano l’identità del fornitore, le qualità della
prestazione, le modalità del pagamento, i diritti del consumatore con particolare riguardo al recesso.
Per altri contratti si prevede l’obbligo di fornire un esauriente prospetto informativo: così nel caso
della vendita dei pacchetti turistici o di multiproprietà. L’applicazione della correttezza in fase di
formazione del contratto sono gli obblighi o gli oneri di trasparenza con cui si impone alla parte che
predispone il contratto di formulare le clausole in maniera chiara e comprensibile o di usare termini
chiari e precisi. La violazione del dovere di correttezza in sede di contrattazione non incide di per
sé sulla validità del contratto (salvo i casi in cui costituisca un elemento di una fattispecie che la
legge prenda in considerazione come vizio: per esempio nel dolo).
La condotta di malafede è però fonte di una particolare responsabilità per i danni eventualmente
cagionati all’altra parte, che abbia confidato nella validità del contratto. (art. 1338 del c.c), o che
abbia subito comunque un pregiudizio per effetto della malafede della controparte (art. 1440 del
c.c): è la c.d responsabilità precontrattuale. La buona fede è anche il criterio fondamentale per
l’interpretazione del contratto (art. 1366 del c.c), cioè per quell’operazione con cui si stabilisce il
significato delle manifestazione di volontà che formano l’accordo contrattuale. Le dichiarazioni che
le parti si scambiano vanno intese così come le intenderebbe una persona onesta e leale. In base a
questo criterio si risolvono eventuali conflitti tra le parti in tema di interpretazione: ciascuna parte
non può pretendere di attribuire alle proprie e alle altrui parole un significato a lei favorevole, ma
diverso da quello che loro darebbe una persona onesta: è un principio che contrasta qualsiasi
tendenza al formalismo e ad un malinteso legalismo contrattuale.
Questa tendenza si completa e si rafforza con la norma dell’art. 1375 del c.c, che impone alle parti
una condotta di buona fede nell’esecuzione del contratto. La norma riprende ed estende, anche oltre
l’ambito propriamente obbligatorio, quel principio espresso dall’art. 1175 del c.c che impone il
dovere di correttezza al debitore e al creditore. Il contenuto normativo della disposizione è di grande
rilevanza: essa significa che al di là di quanto espressamente previsto nelle clausole contrattuali, o
di quanto ricavabile da specifiche previsioni normative, un contratto obbliga i contraenti a
comportarsi in tutto e per tutto, nello svolgimento del loro rapporto, come persone oneste e leali; in
questo senso, la buona fede è una fonte di integrazione degli effetti del contratto. L’esigenza di un
rapporto equilibrato e corretto tra le parti del contratto è alla base delle clausole che impongono la
buona fede come regola fondamentale in tutte le fasi di realizzazione del contratto. La definizione
del contratto ricorda per taluni aspetti quella del negozio giuridico rappresentando entrambi la
manifestazione di volontà diretta a produrre effetti giuridici Più precisamente, il contratto è un atto
9
di autonomia (anzi, il prototipo degli atti di autonomia) e richiede perciò un comportamento dei
contraenti, che manifesti la loro volontà di contrarre. (5)
1.2 L’autonomia contrattuale.
Il contratto come accordo è la volontà comune tra due o più part per regolare, costituire o estinguere
un rapporto giuridico patrimoniale. ( art. 1321 del c.c)
Le parti possono liberalmente determinare il contenuto del loro accordo nei limiti imposti dalla
legge. Le parti possono anche concludere dei contratti che non appartengono ai tipi aventi una
disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo
l’ordinamento giuridico. (art. 1322 del c.c)
Questa libertà di contrattare si chiama autonomia negoziale. Con il termine “autonomia”, (dal greco
autos e nomos) , letteralmente significa dare legge a sé stessi, quindi gli interessi di cui dispongono
le parti attraverso l’autonomia contrattuale sono di regola disponibili. Malgrado l’esclusivo
riferimento alla libertà di determinare il contenuto del contratto, l’art. 1322 concede una vasta
gamma di libertà ai privati: la libertà di concludere il contratto, la libertà di determinarne il
contenuto, la libertà di scegliere il contraente, la libertà di concludere contratti non appartenenti alle
categorie previste dalla legge (c.d contratti atipici), la libertà di determinare la forma dell’atto, la
libertà di agire a mezzo di sostituti, la libertà di inserire nel contratto elementi accidentali etc.
Secondo l’opinione prevalente l’autonomia negoziale oltre ad essere riconosciuta espressamente
nell’art.1322 del c.c., trova anche garanzia nella Costituzione, pur mancando una previsione in via
immediata e diretta del contratto o più in generale dell’autonomia privata. Secondo l’orientamento
dottrinale l’autonomia negoziale troverebbe tutela nell’art. 2 e 3 della Costituzione, mentre
secondo un altro troverebbe tutela direttamente nell’art. 41 e 42 della Costituzione.
I valori connessi alla libertà contrattuale , secondo la Costituzione, sono: 1) l’iniziativa economica
privata riconosciuta nell’art. 41 della Cost.; 2) la proprietà privata riconosciuta nell’art. 42 della
Cost.
Nel disciplinare questi valori il legislatore ha posto dei limiti all’iniziativa economica privata
prevedendo per l’esercizio dell’iniziativa economica la compatibilità con l’utilità sociale, la
sicurezza, la libertà e la dignità umana, mentre per la proprietà privata ha previsto la necessità di
assicurare la funzione sociale. La nozione di negozio giuridico è stato elaborato, che all’ inizio del
XIX secolo dalla scuola pandettistica, rielaborando la nozione giuridica delle pandette romane
giustinianee. Tale elaborazione trae fondamento dalla considerazione che istituti, quali il contratto,
il testamento, il matrimonio, ed altre figure negoziali presentano tutti la nota comune per cui dei
privati , enunciano in una dichiarazione (unilaterale, bilaterale o plurilaterale a seconda dei casi) gli
effetti giuridici che intendono conseguire. In tutti questi casi la volontà tra le parti ha forza di legge,
come stabilito dall’art. 1372 del c.c.
Ne consegue che la definizione data dalla dottrina tradizionale del negozio giuridico è una
dichiarazione di volontà, con la quale vengono enunciati gli effetti perseguiti (c.d intento
10
empirico) ed alla quale l’ordinamento giuridico ( se la finalità dell’atto è meritevole di tutela e se
esso risponde ai requisiti fissati dalla legge per le singole figure) ricollega effetti giuridici conformi
al risultato voluto. Il fenomeno negoziale corrisponde alla necessità di attribuire ai singoli una sfera
di “autonomia”, entro la quale i privati possono decidere da sé come regolare i propri interessi,
ottenendo dalla legge che gli atti posti in essere siano resi vincolanti ed impegnativi.
Il nostro codice civile non ci dà una definizione generale del negozio giuridico ma dedica un intero
Titolo II del libro IV del codice civile la disciplina dei contratti in generale ( art. 1321 – 1469 del
c.c).
Inoltre, nell’art. 1324 del c.c dispone che “ salvo diverse disposizioni di legge, le norme che
regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi
contenuto patrimoniale”. Ne consegue che la disciplina dei contratti è tendenzialmente applicabile a
tutti gli altri negozi giuridici inter vivos ed a contenuto patrimoniale, sicché quella disciplina
costituisce il paradigma della disciplina dei fenomeni negoziali.
Il contratto è l’istituto centrale dell’intera vita del diritto civile ed è la figura più importante del
negozio giuridico. Secondo la definizione data dall’art. 1321 del c.c risulta che l’essenza del
contratto è l’accordo, è l’incontro della volontà tra due o più soggetti, volto a produrre un effetto
giuridico. Il contratto è uno strumento attraverso il quale i privati definiscono l’assetto dei loro
interessi di ordine patrimoniale, operando sul mercato, dove possono scambiare beni e servizi. Il
contratto è da un punto strettamente giuridico, lo strumento per realizzare determinati interessi delle
persone attraverso la produzione di appositi effetti giuridici che possono riguardare tanto diritti reali
( es. trasferimento della proprietà, rinunzia ad un usufrutto) , quanto rapporti obbligatori ( il
contratto di deposito obbliga il depositario a custodire il bene e il depositante a pagare il
corrispettivo). Quindi il contratto è uno strumento fondamentale di esplicazione della libertà, e più
precisamente, dell’autonomia privata.
Il contratto è un negozio giuridico, al pari di molti altri del tutto eterogenei per struttura, funzione,
oggetto) espressione, dunque di libertà individuale delle parti nel regolare i loro diritti ( purché
disponibili e aventi contenuto patrimoniale). La manifestazione di detta libertà è detta
“autonomia”. L’autonomia contrattuale è una specificazione dell’autonomia negoziale, che si
manifesta:
- nella scelta per le parti, tra i diversi tipi legali, quale contratto stipulare e nella facoltà delle parti
di determinare liberalmente il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge ( art. 1322, 1
comma del c.c ) anche con l’inserimento di clausole atipiche;
– oppure nella possibilità di stipulare contratti atipici e innominati ( non appartenenti ad alcun
modello specificamente disciplinato dal legislatore) ;
- nella possibilità di utilizzare contratti tipici nel realizzare finalità atipiche ( ad es. contratto
fiduciario oppure indiretto);
- oppure di combinare tra loro varie figure contrattuali, tipiche o atipiche, per soddisfare interessi
ulteriori e diversi da quelli sottostanti a ciascun contratto, singolarmente considerato ( es.
collegamento negoziale). ;
11
- nella libertà di concordare il rispetto di una determinata forma per la conclusione di un contratto
(art. 1352 del c.c) e di stabilire procedimenti atipici di formazione del contratto.
L’autonomia contrattuale si manifesta, inoltre, nella libertà del soggetto di non subire interferenze
esterne non volute nella propria sfera giuridica – economica ( un soggetto che non abbia partecipato
al contratto non può essere privato dei suoi beni o essere costretto ad eseguire prestazioni in favore
di altri per effetto dell’esplicazione dell’altrui autonomia negoziale, il contratto non vincola se non
chi ha partecipato all’accordo ed ha espresso il proprio consenso alla costituzione, o alla
regolamentazione o all’estinzione di un rapporto giuridico patrimoniale);
L’art. 1372, 2 comma del c.c stabilisce che il contratto non produce effetti rispetto ai terzi, salvo i
casi previsti dalla legge. L’autonomia contrattuale si manifesta anche nella libertà di non tollerare
interferenze esterne, non volute nella propria sfera giuridico – economica: il contratto non vincola
che solo le parti stipulanti, cioè coloro che hanno partecipato all’accordo ed hanno espresso la loro
volontà a costituire o a regolare o ad estinguere il rapporto giuridico. Se si combina l’art.1411 e
l’art.1333 del c.c risulta che “il contratto non produce effetti verso i terzi” e che detta preclusione
concerne soltanto gli effetti sfavorevoli, atteso che le modificazioni migliorative dell’altrui sfera
giuridica sono ammessa senza che sia necessario il consenso del soggetto interessato e fermo
restando il potere di rifiuto. Quindi il contratto come accordo è la volontà comune delle parti dirette
ad incidere su rapporti (giuridici patrimoniali) delle parti stesse. (6)
12
1.3 Gli elementi del contratto in generale.
Il contratto come definito dall’art. 1321 del c.c, è la volontà comune delle parti finalizzata a
regolare, costituire oppure estinguere un rapporto giuridico patrimoniale. Da tale definizione
emergono due valori fondamentali:
Esistenza di una sfera di libertà dei soggetti di fronte al potere pubblico e alla legge: c’è un ambito
entro cui le sorti delle posizioni giuridiche patrimoniali dei soggetti dipende dalle scelte volontarie e
libere dagli stessi soggetti interessati e non da fattori esterni che si sovrappongono alla loro volontà
e libertà;
La garanzia delle posizioni giuridiche contro l’incidenza per la decisione unilaterale di un altro
soggetto controinteressato.
Sono suscettibili di incidere sulle posizioni e sui rapporti giuridici patrimoniale, oltre ai contratti,
anche gli atti unilaterali frutto di decisione solitaria del soggetto, non condivisa con nessun altro
soggetto. Nel caso dello scioglimento di un contratto esistente tra Tizio e Caio possa essere
conseguenza di un contratto ( si pensi al mutuo dissenso) oppure di un atto unilaterale ( si pensi al
recesso unilaterale). Gli atti unilaterali possono incidere: solo sulla propria sfera giuridica
dell’autore dell’atto ( es. accettazione eredità, ovvero occupazione); nella sfera giuridica altrui,
potendo però attribuire vantaggi ( es. la remissione del debito), poiché nei casi in cui viene ad essere
imposto un sacrificio anche solo potenziale si dovrà necessariamente parlare di contratto ( ad es. la
compravendita, la donazione suscettibile di creare una posizione di sacrificio).
Gli atti unilaterali possono essere classificati come:
- atti non intrusivi, quelli che non realizzano nessuna vera e propria intrusione nella sfera giuridica
di soggetti diversi dall’autore ( es. il testamento, la rinuncia dell’eredità e la procura), i quali, pur
implicando delle modificazioni nelle posizioni giuridiche altrui, non tolgono il potere a chi le
subisce di autodeterminarsi totalmente rispetto ad esse;
- atti unilaterali intrusivi, quelli che realizzano indiscutibili intrusioni nella sfera di un soggetto
diverso dall’autore modificando direttamente le sue posizioni sostanziali.
Gli atti unilaterali intrusivi possono essere:
- autorizzati preventivamente dal destinatario degli effetti ( es. la previsione contrattuale che
autorizza le parti a recedere dal contratto);
- giustificati da interessi o valori che l’ordinamento considera preminenti sugli interessi o i valori
sottesi all’ordinamento ( ad es. nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, al fine di evitare un
vincolo esterno, pur in difetto di espressa previsione la parte può recedere dal contratto).
Le promesse possono essere anche unilaterale, ma la loro definizione comporta qualche difficoltà in
più. L’art. 1987 del c.c stabilisce che la promessa unilaterale di una prestazione non produce effetti
obbligatori fuori dai casi ammessi dalla legge. Ne discendono due considerazioni:
13
Viene affermato il principio di sovranità formale del soggetto sulla propria sfera giuridica, solo in
via d’eccezione, infatti, nei casi espressamente tipizzati dalla legge, le promesse possono fare a
meno dell’accordo del destinatario e configurasi come atti unilaterali ( es. promessa di pagamento,
ricognizione di debito, promessa al pubblico e titolo di credito).
La volontà di salvaguardare l’applicazione della disciplina del contratto, come disciplina equa e
razionale delle operazioni economiche e delle corrispondenti relazioni tra i protagonisti di queste (
es. se Tizio e Caio fanno un contratto da cui nascono delle obbligazioni contrapposte ed Tizio non
esegue la sua, scattano a favore di Caio giusti rimedi che sono basati sull’interdipendenza delle
obbligazioni , dette sinallagmatiche, inapplicabili in presenza di promesse unilaterali).
L’accordo contrattuale in quanto finalizzato è un accordo di volontà ( quest’ultima diventa
fondamentale e sostanza del contratto).
Con riferimento al dogma della volontà negli anni si sono sviluppate due concezione:
- soggettiva del contratto, per la quale la volontà umana è forza creatrice degli effetti giuridici ( nel
contratto la volontà degli individui contraenti è tutto); il difetto pratico connesso a tale concezione
sta nel fatto che qualunque fatto problematico, che tocchi la volontà del contraente, mette in
discussione il contratto e i suoi effetti;
- oggettiva del contratto mette in posizione di primo piano la certezza delle relazioni giuridiche, la
cui mancanza può scoraggiare o frenare le iniziative. Paradigmatica tra le teorie oggettive del
contratto è la teoria della dichiarazione per la quale è importante tanto l’effettiva volontà
individuale quanto la sua proiezione esterna ( in particolare la percezione di controparte), per tale
motivo anche se la realtà del dichiarante fosse viziata il contratto resterebbe valido. La concezione
oggettiva del contratto ha prodotto anche la teoria dei rapporti contrattuali di fatto, per il quale un
rapporto contrattuale può prodursi tra due parti anche in assenza di loro ( valide ) manifestazioni di
volontà contrattuale, semplicemente sulla base del contratto sociale stabilitosi tra di loro. Il
contratto sociale viene in rilievo con riferimento a due tipologie di contratto:
Il negozio di attuazione, nei quali il soggetto interessato alla prestazione si appropria direttamente di
questa ( ad es. il cliente preleva direttamente dal banco del supermercato il prodotto che vuole
acquistare e lo presenta alla cassa con il denaro da pagare; il passeggero che vuole utilizzare il
servizio di trasporto sale sull’autobus); I contratti nulli di lavoro e società già eseguiti, l’esecuzione
del contratto comporta il sorgere degli effetti giuridici che si sarebbero prodotti se il contratto
sarebbe stato valido.
Relativamente agli elementi costitutivi del contratto si distingue tra elementi essenziali, elementi
accidentali ed elementi naturali. Elementi essenziali sono quelli che debbono necessariamente
sussistere perché un contratto possa ritenersi esistente e sono per ciò comuni a tutti i contratti; ne
consegue che la loro mancanza incide, sulla loro validità, consentendo di dichiarane la nullità. Gli
elementi accidentali, invece, sono quelli che non debbono necessariamente essere presenti, ma che
le parti, in base al principio dell’autonomia contrattuale, sono del tutto libere di inserire o meno nel
contratto. Si parla anche di elementi naturali (così, ad esempio, nella compravendita è elemento
naturale la garanzia per i vizi della cosa). Anche se, non si tratta di veri e propri elementi, quanto
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piuttosto di effetti impliciti di particolare figure contrattuali, come è dimostrato dalla circostanza
che non dovranno essere richiamati dalle parti. E’ l’art. 1325 del c.c, enuncia gli elementi essenziali
del contratto, individuandoli nell’accordo delle parti, nella causa, nell’oggetto e nella forma
(quando è richiesta dalla legge a pena di nullità).
La norma si limita a definirli “requisiti”, intesi come quei connotati che devono essere presenti
affinché una concreta manifestazione di volontà delle parti possa qualificarsi come contratto. I vizi
o la mancanza di tali requisiti comporta la nullità del contratto. ( art. 1418 del c.c)
Si parla in proposito di elementi essenziali del contratto e in particolare generali perché sono
riferibili ad ogni tipo di contratto; ciò per distinguerli dagli elementi essenziali particolari che si
riferiscono ad un specifico tipo di contratto (ad es. il prezzo di vendita). Parte della dottrina
distingue tali elementi (essenziali) da quelli accidentali ( condizione, termine, modo) definendo
quest’ultimi come quei requisiti che le parti sono libere di apporre o meno al contratto ( che
diventano essenziali una volta inserite nel contratto).
Il primo e fondamentale elemento costitutivo di qualsiasi contratto è l’accordo o consenso delle
parti. L’accordo, a seconda della modalità di manifestazione di volontà delle parti, può
raggiungersi: in modo espresso, attraverso la dichiarazione attuata con segni linguistici o in modo
tacito, mediante comportamenti concludenti. La causa è prevista dal secondo punto dell’art. 1325
come uno degli elementi essenziali del contratto. La causa è la ragione giustificativa del contratto, è
la sua ratio, cioè l’elemento che lo spiega razionalmente, la cui mancanza o illiceità può
determinarne la nullità. Il contratto ha causa illecita quando la sua ragione è contraria a norme
imperative, all’ordine pubblico e al buon costume. Essa viene definita come la funzione economica
– sociale che il contratto persegue ovvero lo scopo obiettivo del contratto ( così, ad esempio, nel
contratto di compravendita: lo scambio del bene in cambio del corrispettivo; nella locazione il
godimento del bene locato contro il corrispettivo etc ).
Non va confusa la causa con i motivi, cioè gli scopi individuali che hanno indotto le parti alla
conclusione del contratto. A differenza della causa, elemento tipico e costante di ogni fattispecie
contrattuale, i motivi possono essere i più vari; ad esempio, nella compravendita, la causa è l’unica
ed è rappresentata dallo scambio della cosa venduta con il prezzo, i motivi sono rappresentati dai
diversi possibili impieghi del denaro ottenuto da parte del venditore e della cosa acquistata da parte
del compratore. Mentre la causa, in quanto elemento essenziale del contratto, incide sulla sua
validità (art. 1418, 2 comma del c.c, precisa che produce la nullità del contratto la sua mancanza o
la illiceità della causa, i motivi sono normalmente irrilevanti, salvo che in alcuni casi eccezionali
espressamente previsti dalla legge. L’illecita dei motivi produce la nullità del contratto, come
previsto nell’art. 1345 del c.c: “il contratto è illecito quando le parti si sono determinate a
concluderlo esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe”.
L’oggetto del contratto è la cosa o, più in generale, il diritto (reale o di credito) che il contratto
trasferisce da una parte all’altra ovvero la prestazione che una parte si obbliga ad eseguire in favore
dell’altra ( così, ad esempio nel contratto di compravendita abbiamo un duplice oggetto, la
prestazione del venditore di consegnare la cosa e quella del compratore di pagare il prezzo).
Affinché il contratto non sia affetta da nullità, l’art. 1346 del c.c prevede che l’oggetto del contratto
deve essere possibile, lecito e determinato e determinabile. L’oggetto è possibile quando nella
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realtà fisica la cosa già esiste o può comunque venire ad esistenza ( l’art. 1348 precisa, infatti, che
anche un bene futuro può formare oggetto di un contratto) ovvero, se si tratta di un comportamento
umano, quando questo è idoneo a conseguire il risultato dedotto nel contratto.
E’ ad esempio impossibile l’oggetto di compravendita dal punto di vista giuridico un bene
demaniale ( ad es. beni dello Stato) è invece impossibile materialmente l’impegno di vendere un
bene distrutto. L’oggetto è lecito quando non è contrario alla legge, all’ordine pubblico o al buon
costume. Anche la cessione di un certo quantitativo di stupefacenti è in sé, una vendita, ma è
evidente che si tratta di un contratto nullo per illiceità dell’oggetto. L’oggetto, infine, è determinato
quando è indicato dalle parti nella qualità e nella quantità in modo esauriente, mentre è
determinabile quando i criteri di individuazione della sua qualità e quantità sono enunciati nel
contratto stesso o altrimenti ricavabili ( ad esempio, facendo riferimento al prezzo corrente di
mercato). I requisiti dell’oggetto sono richiesti al momento della produzione degli effetti del
contratto stesso. Dispone, infatti, l’art. 1347 del c.c che “il contratto sottoposto a condizione
sospensiva o a termine è valido, se la prestazione inizialmente impossibile diviene possibile prima
dell’avveramento della condizione o della scadenza del termine. L’art.1349 prevede, infine, che le
parti possono conferire ad un terzo il potere di determinare l’oggetto del contratto (ad esempio, la
misura del prezzo); si parla, in questo caso, di arbitraggio ed il terzo viene detto arbitratore. Nel
nostro ordinamento vige il principio della libertà della forma, in base al quale le parti sono libere di
scegliere il modo di manifestazione della volontà. La forma è un requisito (o elemento) essenziale
del contatto quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità. ( art. 1325, 4 comma del
c.c)
La forma è la tecnica di comunicazione sociale con cui si manifesta la volontà: il linguaggio parlato,
il linguaggio scritto, il linguaggio informatico. Nel nostro ordinamento vige il principio della libertà
della forma, anche se come ogni regola ammette delle eccezioni, rappresentate nel caso di specie
dalle ipotesi nelle quali il legislatore ha voluto prevedere una determinata forma (c.d contratti
formali). L a forma, dunque, non è un elemento essenziale di tutti i contratti ma soltanto di quelli
per la validità dei quali la legge richiede ed impone una determinata forma; si parla, in tal caso, di
forma ad sub stanzia, perché riguarda l’essenza del contratto. La forma ad substantiam richiesta per
alcuni contratti ( per ciò detti formali o solenni), rappresenta un onere per le parti, poiché senza di
essa non possono realizzare il loro intento poiché il contratto privo della forma necessaria è nullo.
Nell’art. 1350 del c.c sono elencati gli atti che devono farsi per iscritto sotto pena di nullità ( si
tratta, in massima parte, dei contratti relativi ai beni immobili , come ad esempio il contratto di
compravendita di una casa). L’espressione “ atti devono farsi per iscritto “si riferisce o all’atto
pubblico o alla scrittura privata, ossia alle due forme scritte previste nel nostro ordinamento.
L’obbligo di una forma ad substantiam risponde ad una duplice esigenza: chiamare l’attenzione del
dichiarante sull’importanza dell’atto che compie e predisporre una documentazione per dare
certezza dell’atto che si compie. In alcuni casi la forma è richiesta non ai fini della validità ma “ai
fini della prova”: si usa, in tal caso, l’espressione latina ad probationem. Ciò significa che il
contratto, anche se non è stipulata nella forma richiesta è valido ed è efficace e la forma scritta è
necessaria solo per provarlo. I principali casi di forma richiesta ad probationem riguardano il
contratto di assicurazione (art. 1888, 1 comma del c.c ), al contratto di transazione ( art. 1967 del
c.c), ai contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o del godimento dell’azienda
( art. 2556 del c.c). (7)
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1.4 Classificazione dei contratti.
Ai riguardi esiste una molteplicità di criteri distintivi per i contratti.
Con riguardo alle modalità di perfezionamento del vincolo contrattuale, si distingue tra contratti
consensuali e contratti reali.
I contratti consensuali, che costituiscono la maggioranza, si perfezionano con il semplice
consenso, mentre i contratti reali richiedono, per il loro perfezionarsi, oltre al consenso delle parti,
anche la consegna (in latino traditio) della cosa che, pertanto, si presenta come un effetto
obbligatorio del contratto, ma anche un elemento costitutivo dello stesso.
La legge stabilisce per questi ultimi il numero chiuso (numerus clausus), per cui le parti non
possono creare altre figure oltre quelle tipicamente previste dalla legge tra cui si ricordano: le
donazioni di modico valore (art. 783, 1 comma del c.c), il contratto estimatorio (art. 1556 del c.c), il
comodato (art. 1806 del c.c), il mutuo (art. 1813 del c.c), il contratto costitutivo di pegno ( art. 2786,
1 comma), il deposito (art. 1766 del c.c). Con riguardo agli effetti, si distingue tra contratti ad
effetti reali e contratti ad effetti obbligatori.
I contratti ad efficacia reale ( traslative) sono quelli che producono come effetto il trasferimento
della proprietà di un bene o la costituzione o il trasferimento di un altro diritto (ad es. il
trasferimento della proprietà del bene venduto); L’efficacia reale può essere differita o eventuale,
quando il trasferimento della proprietà avviene in un momento successivo alla conclusione del
contratto. Ciò avviene nella vendita di cosa generica, l’effetto traslativo si produce con
l’individuazione( art. 1378 del c.c); la vendita di cosa futura o di cosa altrui, l’effetto traslativo si
produce con la venuta ad esistenza della cosa ovvero con l’acquisto da parte del venditore (art. 1478
del c.c); I contratti ad efficacia obbligatoria (o obbligatori) sono quelli che danno luogo alla nascita
di un rapporto obbligatorio, cioè non fanno sorgere diritti reali, ma solo diritti personali di
obbligazione ( pensa, ad esempio, ad un contratto di locazione, di appalto, di mandato ecc.)
Con riguardo al momento di produzione degli effetti contrattuali ed al loro perdurare nel tempo, si
distingue tra contratti ad esecuzione istantanea e contratti di durata. I contratti ad esecuzione
istantanea sono quelli che esauriscono i loro effetti in un solo momento. I contratti di durata sono
quelli la cui esecuzione si protrae nel tempo. Essi si distinguono in contratti ad esecuzione
continuata, in cui la prestazione è unica ed interrotta nel tempo ( ad esempio, la locazione, affitto,
comodato), e contratti ad esecuzione periodica, in cui si hanno più prestazioni, che sono ricorrenti a
date prestabilite ( ad esempio, rendita, contratto vitalizio) oppure saltuarie, su richiesta di una delle
parti ( ad esempio, consegna di bevande ad un bar). In considerazione della esistenza o meno di un
corrispettivo alla prestazione di una delle parti, si distingue tra contratti a titolo oneroso e contratti a
titolo gratuito. I contratti a titolo oneroso, o più semplicemente onerosi, sono quelli in cui
all’attribuzione in favore di un soggetto fa riscontro un corrispettivo a carico dello stesso ( ad
esempio, compravendita); I contratti a titolo gratuito, o gratuiti, sono quelli in cui manca tale
corrispettivo, essendo il contratto diretto ad accrescere il patrimonio altrui senza controprestazione (
ad esempio, donazione). La distinzione tra contratti onerosi e contratti gratuiti incide sulla loro
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disciplina. Infatti, l’acquirente a titolo gratuito è generalmente protetto meno intensamente rispetto a
quello a titolo oneroso. Riguardo al rapporto tra prestazione e controprestazione, si distinguono
contratti a prestazione corrispettive ( o sinallagmatici), contratti con obbligazioni a carico di una
sola parte ( unilaterali). I contratti a prestazioni corrispettive sono caratterizzati dal fatto che il
contratto genera due attribuzioni patrimoniali contrapposte e ciascuna delle parti è tenuta ad una
prestazione ( vi è, cioè, prestazione e controprestazione); inoltre tra le due prestazioni si stabilisce
un nesso di corrispettività (sinallagmatica) che consiste nella interdipendenza fra esse, per cui
ciascuna parte non è tenuta alla propria prestazione se non è effettuata dell’altra parte.
I contratti con obbligazioni a carico di una sola parte (o unilaterali) sono quei contratti che, pur
implicando l’esistenza di due parti e di due distinte dichiarazioni di volontà, generando l’obbligo
della prestazione per una sola parte, che si trova nella posizione esclusiva di debitore ( ad esempio,
donazione mutuo senza interesse). Riguardo al carattere dell’equilibrio fra le prestazioni in taluni
contratti, si distingue tra contratti commutativi e contratti aleatori. I contratti commutativi sono
quelli in cui non solo vi è un nesso di corrispettività tra le prestazioni, ma anche fra il valore
economico di esse. Tali contratti hanno, pertanto, la funzione di attuare uno scambio tra prestazioni
considerate economicamente equivalenti, per cui ciascuna parte conosce l’entità del vantaggio e del
sacrificio che riceverà dal contratto. I contratti aleatori sono quelli nei quali alla prestazione certa di
una parte corrispondente una prestazione incerta dall’altra ( ad esempio, assicurazione) o nei quali
vi è incertezza per entrambe le parti ( ad esempio, scommessa). Il rischio del contratto aleatorio è al
tempo stesso giuridico ed economico: è il rischio che tocca la prestazione in sé e per sé e la tocca in
modo unilaterale e squilibrante, così da avvantaggiare una parte e da svantaggiare l’altra sul piano
economico ( ad es. nell’assicurazione contro i danni è certa l’entità del premio che l’assicurato deve
pagare, ma è incerto se e quando dovrà pagare l’assicuratore). In ogni tipo di contratto vi è un certo
grado di rischio c.d economico, c.d alea normale, che rappresenta il rischio ragionevolmente
prevedibile in ogni affare da parte di qualsiasi persona di normale diligenza. L’appaltatore che nel
fissare il corrispettivo dell’opera che si impegna a realizzare, si accolla il rischio delle eventuali
variazioni del costo del lavoro dei suoi dipendenti, che possono rendere più o meno conveniente
l’esecuzione del contratto. (art. 1664 del c.c) La legge stabilisce che un contratto può essere
aleatorio (art. 1469 del c.c): - per sua natura, si avranno allora i contratti aleatori tipici nei quali il
rischio giuridico – economico della prestazione caratterizza il tipo a cui il contratto appartiene (
assicurazione, gioco e scommessa, rendita vitalizia); - per volontà delle parti, si avranno allora i
contratti aleatori atipici, nei quali le parti modificano pattiziamente la disciplina legale del tipo non
aleatorio con clausole che espongono la prestazione a rischio giuridico – economico , oppure
concludono un contratto atipico, caratterizzato dalla presenza di quel rischio. Un contratto aleatorio
atipico può essere costruito con tre mezzi: - la rinuncia a far valere la responsabilità o le garanzie di
legge; - la deduzione in contratto di un oggetto non determinato ma determinabile per relationem a
dati futuri ed incerti di cui la parte si prende tutto il rischio; La condizione apposta all’interno del
contratto, ma in relazione alla sola prestazione dovuta da una parte all’altra. La qualificazione del
contratto come aleatorio ha importanti riflessi normativi: - non gli si applicano i rimedi della
recessione per lesioni e della risoluzione per eccessiva onerosità sopravventa; - non gli si può
applicare la risoluzione per impossibilità sopravvenuta nel caso in cui la cosa venduta non venga ad
esistenza. Pertanto, all’atto della stipulazione, non è nota l’entità del sacrificio o del vantaggio cui
ciascuna parte si espone. L’incertezza può, di volta in volta, riguardare una delle prestazioni ( ad
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esempio, assicurazione), l’individuazione della parte che deve eseguire la prestazione ( ad esempio,
la scommessa), la misura della prestazione ( ad esempio, rendita vitalizia). Ai contratti aleatori si
contrappongono i contratti commutativi, nei quali c’è sia un nesso di corrispettività tra le
prestazioni, ma anche fra il valore economico di esse. Tali contratti hanno la funzione di attuare
uno scambio tra prestazioni considerate e possono essere: - a prestazioni corrispettive (es. la vendita
che faccia salve le garanzie del compratore); - a prestazioni non corrispettive ( es. contratto di
società). In relazione alla forma, si distinguono contratti solenni (o formali) e contratti non sol si
cenni. I contratti solenni sono quelli per i quali la legge impone il rispetto di una determinata forma
( così, ad esempio per la compravendita di immobili è richiesta la forma scritta a pena di nullità); i
contratti non solenni, invece, sono quelli per i quali le parti sono libere di scegliere qualsiasi
modalità di esternazione della volontà, senza il rispetto di alcuna formalità. I contratti ad esecuzione
istantanea sono quelli in cui la prestazione delle parti è concentrata in un dato momento e possono
essere: - ad esecuzione immediata : quando l’esecuzione è contestuale alla conclusione del contratto
( es. la vendita con immediato effetto traslativo, contestuale consegna e pagamento del prezzo).- ad
esecuzione differita: quando l’esecuzione è successiva al momento della costituzione ( es. il
venditore si impegna a consegnare la merce venduta fra due mesi, il compratore si impegna a
pagare il prezzo entro trenta giorni dal ricevimento della fattura). (5)
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Capitolo II
2.1 Il procedimento formativo del contratto.
Affinché un contratto venga ad esistenza occorre che il rapporto giuridico sia espresso e si
incontrino le volontà tra le parti, secondo la definizione dell’art. 1321 del c.c e che ci siano tutti gli
elementi di cui all’art. 1325 del c.c. I criteri per stabilire se vi è accordo delle parti sono contenuti
nelle disposizioni relative alla conclusione del contratto, le quali regolano il se (esistenza o meno),
il quando (venuta ad esistenza), e il dove (localizzazione) si forma un contratto.
Sono previste una pluralità di schemi normativi ciascuno dei quali si applica ad una determinata
classe di contratti, in ragione di qualche elemento rilevante che caratterizza la classe. Gli stessi
comportamenti delle parti, che in relazione a un dato contratto sono idonei a determinarne la
conclusione, perché così li qualifica il corrispondente schema normativo, possono essere, invece,
inidonei a determinare la conclusione di un differente tipo di contratto, perché lo schema normativo
costruisce per questa diversa tipologia contrattuale esige comportamenti diversi.
Come si è detto l’art. 1321 del c.c, definisce il contratto come l’accordo di due o più parti e l’art.
1325 inserisce tra i requisiti del contratto l’accordo delle parti. L’incontro delle manifestazioni di
volontà delle parti, il consenso delle parti è, cioè, alla base di qualsiasi contratto e normalmente è
elemento non solo necessario, ma anche sufficiente per la produzione degli effetti giuridici del
contratto( principio consensualistico).
Non mancano eccezioni al principio consensualistico. Come, ad esempio con i contratti reali per la
conclusione dei quali è necessaria la consegna oltre all’accordo (es. mutuo, il comodato, il
deposito). La conclusione di un contratto richiede lo svolgimento di diverse attività giuridiche (
trattative, proposte, accettazione, atti preparatori etc.) tra loro connesse e coordinate. Si parla, in tal
caso, di procedimento di formazione; tale procedimento consta di una fase assolutamente necessaria
e di alcune fasi meramente eventuali.
La fase necessaria è data dall’incontro della proposta e dell’accettazione. A questa, nei contratti
reali, si aggiunge la fase della consegna della cosa.
La fase eventuale ( preparatoria) è costituita da una molteplicità di atti preparatori, alcuni dei quali
irrilevanti per il diritto ( sondaggi, inviti a trattare, invio di cataloghi ecc.), altri rilevanti sotto il
profilo di un eventuale risarcimento ( trattative di cui agli artt. 1337 – 1338), altri ancora con
efficacia vincolante sul futuro contratto.
Mentre in alcuni casi la conclusione del contratto è rapida, sì che neppure ha senso parlare di
procedimento di formazione ( pensa, ad esempio, alle operazioni contrattuali della vita quotidiana,
quali l’acquisto del quotidiano o la consegna di una valigia al deposito bagagli), in altri casi, essa
presuppone complesse trattative (pensa, ad esempio, alla compravendita di un terreno dopo una
laboriosa trattativa dell’acquirente con il proprietario).
Si è solito distinguere tra contratti a formazione istantanea, quando le parti sono presenti nello
stesso luogo e le clausole contrattuali sono predisposte ed accettate dai contraenti nel medesimo
tempo, e contratti a formazione progressiva, quando alla stipulazione si arriva una serie, spesso
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complessa, di trattative. Le trattative indicano quella fase che precede la conclusione del contratto
nella quale le parti si incontrano, discutono, prendono informazioni ed esaminano le reciproche
proposte e controproposte. Le trattative hanno carattere preparatorio e strumentale e non sono
vincolanti per le parti, in quanto acquistano valore soltanto nel caso che si pervenga ad un accordo,
mentre perdono ogni valore in caso contrario. Va tenuto presente che la legge impone loro l’obbligo
giuridico di comportarsi secondo la buona fede, non sono nella fase preparatoria o c.d
precontrattuale ma anche durante la trattativa e la conclusione del contratto stesso. Il
comportamento delle parti contrattuali deve essere ispirato dalla correttezza e lealtà, così come
stabilito dalla norma dell’art. 1337 del c.c.
La violazione di tale dovere di correttezza comporta una responsabilità ( ossia il dovere di
risarcimento del danno) che prende il nome di “responsabilità precontrattuale”. Il danno risarcibile,
nell’ipotesi di violazione del dovere di buona fede, comprende sia le spese strettamente connesse
con le trattative ( ad esempio, spese di viaggio), cioè il c.d danno emergenziale, sia il vantaggio
che la parte avrebbe potuto procurarsi con altre contrattazioni, cioè il c.d lucro cessante. (*)
In base al principio consensualistico, presupposto della conclusione del contratto è l’accordo o
consenso delle parti. L’incontro delle volontà delle parti di un contratto avviene mediante due
dichiarazioni: la proposta e l’accettazione. Riguardo alla natura giuridica della proposta e
dell’accettazione, in quanto dichiarazioni di volontà finalizzate a concludere un negozio giuridico
(contratto), nonché dichiarazioni che generano per sé effetti giuridici conformi alla volontà del
dichiarante, i suddetti possono definirsi come negozi precontrattuali. La proposta e l’accettazione
sono atti unilaterali e recettizi ( cioè producono effetti dal momento in cui pervengono a
conoscenza della persona a cui sono destinati art. 1334 del c.c).
La proposta di contratto, è l’offerta di chi prende l’iniziativa di contratto e rivolge al soggetto con
cui vuole concluderlo (il soggetto bersaglio della proposta, è detto oblato) e l’accettazione
dell’oblato. L’accettazione, inoltre, deve essere conforme alla proposta. Un’accettazione non
conforme alla proposta equivale a nuova proposta (art. 1326 del c.c) Dunque l’incontro tra la
proposta e l’accettazione, a seconda dello schema normativo previsto, è l’accordo contrattuale che
da vita, nel mondo giuridico, al contratto.
Ben più complessa è l’ipotesi in cui il contratto si conclude tra persone lontane ( ad esempio,
attraverso il ricorso a lettere, telegrami, fax). Anche in questo caso si rende necessario precisare in
quale momento il consenso si sia formato, poiché è da quel momento che sorge il vincolo
contrattuale e i soggetti contraenti non possono più sottrarsi a tale vincolo.
La regola stabilita dal nostro codice al riguardo è quella per cui il contratto si considera concluso
nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte ( art.
1326 del c.c). Tale conoscenza si presume nel momento in cui l’accettazione giunge all’indirizzo
del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne
notizia. ( art. 1335 del c.c) Fino al momento in cui l’accettazione giunge a conoscenza del
proponente, sia la proposta che l’accettazione possono essere revocate ( art. 1328 del c.c).
Tuttavia, se l’accettante, prima di avere notizia della revoca, ha intrapreso in buona fede
l’esecuzione del contratto ( ad esempio, ricevuta la proposta di fornire un prodotto ad un certo
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prezzo, ne ha iniziato la fabbricazione), il proponente è tenuto a indennizzarlo delle spese e delle
perdite subite per l’iniziata esecuzione del contratto.
Esistono, però, delle ipotesi in cui il codice civile considera irrevocabile la proposta e cioè:
- Dal momento in cui giunge a conoscenza del destinatario, quando si tratti di un contratto
con obbligazioni a carico del solo proponente ( in tal caso, il destinatario può rifiutare la
proposta nel termine richiesto dalla natura dell’affare o degli usi; in mancanza di tale rifiuto
il contratto è concluso); (art. 1333 del c.c)
- Dal momento in cui ha avuto inizio l’esecuzione del contratto, quando, su richiesta del
proponente o per natura dell’affare o secondo gli usi, la prestazione debba eseguirsi senza
una preventiva risposta (art. 1327 del c.c)
- Fino a quando non sia scaduto il termine stabilito, quando il proponente si è obbligato a
mantenere ferma la proposta per un certo tempo ( proposta ferma, art. 1329 del c.c) e così
pure quando le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria
dichiarazione e l’altra abbia facoltà di accettarla o meno ( opzione: art. 1331 del c.c), come
avviene, ad esempio, con le prenotazioni del posto al teatro o al cinema fatte per telefono, le
quali vincolano l’impresa, ma non chi ha fatto la prenotazione.
La proposta può anche assumere la forma di un’offerta al pubblico, cioè di una proposta
rivolta ad una generalità di destinatari, purché contenga gli estremi del contratto ( art. 1336
del c.c) . Ne sono esempi la pubblicità sui giornali, l’esposizione della merce col relativo
prezzo, l’offerta di merce attraverso apparechi a gettone. Trattandosi di una proposta, pur se
rivolta ad un numero indeterminato di destinatari (tutti coloro che ne verranno a
conoscenza), l’offerta al pubblico deve presentare tutti i requisiti necessari per effettuare una
valida proposta e, in particolare, deve essere completa, cioè contenere tutti gli elementi
essenziali del contratto, e deve essere manifestata con la seria intenzione di impegnarsi.
Qualora l’offerta non contenga tutti gli estremi essenziali per la conclusione del contratto
non vale come proposta, ma solo come invito a fare delle proposte. L’offerta al pubblico è
revocabile. La revoca, se è fatta nella stessa forma dell’offerta o in forma equipollente, è
efficace anche nei confronti di chi non ne ha avuto notizia ( art. 1336 del c.c). Diversa
dall’offerta è la promessa al pubblico, che si configura come una promessa unilaterale a
destinatario indeterminato ( in incertam personam), che ha per contenuto una prestazione da
effettuarsi a favore di chi si trovi in una determinata situazione o compia una data azione. La
promessa al pubblico diviene vincolante per il promittente appena è portata a conoscenza del
pubblico. Se alla promessa non è posto un termine, o questo non risulta dalla natura o dallo
scopo della medesima, l’obbligatorietà cessa, qualora, entro l’anno dalla promessa, non sia
stato comunicato al promittente l’avversamento della situazione o il compimento dell’azione
prevista ( art. 1989 c.c).
La promessa al pubblico va tenuta distinta dalla offerta al pubblico: la prima è caratterizzata
da una prestazione unilaterale che si farà in una determinata circostanza, senza che sia
necessaria la formazione di un contratto; l’offerta al pubblico è, invece, la proposta diretta
ad una generalità indeterminata di persone a concludere un contratto per il quale è
comunque necessaria l’accettazione. La differenza tra offerta e promessa al pubblico può
essere così sintetizzata: l’offerta è un atto prenegoziale e costituisce il nucleo di un eventuale
e futuro contratto che si perfeziona soltanto con l’accettazione: la promessa è, invece un
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vero e proprio negozio giuridico, fonte di obbligazione, e vincola il promittente
indipendentemente dall’accettazione, appena resa pubblica. Un esempio di promessa al
pubblico è la vendita a premi ( es. raccolta di bollini per cui chi presenta i bollini ha diritto al
premio), oppure la promessa di versare una somma di denaro a chi ritrova un cane smarrito.
una dichiarazione con cui il promittente ( chi esegue la promessa) si obbliga ad effettuare
una determinata prestazione a favore del promissario ( chi beneficia della promessa). Nei
contratti elettronici, e-commerce, indica un particolare fenomeno volto alla conclusione di
transazioni commerciali tramite internet.
Le operazioni di e-commerce si svolgono in uno spazio non fisico ma virtuale. Tale
“smaterializzazione” non si riferisce soltanto al luogo di formazione del consenso
contrattuale, che resta l’aspetto più evidente dei contratti c.d informatici, ma può investire
anche la fase dell’esecuzione come avviene con il meccanismo del download o dello stesso
pagamento del prezzo che sempre più spesso si effettua mediante comunicazione, anch’essa
informatica, degli estremi della carta di credito dell’acquirente. Alla luce della natura
soltanto virtuale dello spazio nel quale si svolge la contrattazione via internet, è stato
variamente affrontato il tema della determinazione del luogo in cui questo tipo di contratto
giunge a perfezionamento. Di fatto sulla rete l’offerta contrattuale viene diffusa su due
modi: presentandola in una pagina web, in un sito, inviandola per e-mail (posta elettronica).
Nel primo caso la qualificazione giuridica più corretta appare quella dell’offerta al pubblico
e, pertanto, troverà la sua disciplina di riferimento nell’art. 1336 c.c. Secondo tale
disposizione normativa “l’offerta al pubblico, quando contiene gli estremi essenziali del
contratto alla cui conclusione è diretta, vale come proposta, salvo che risulti diversamente
dalle circostanze o dagli usi”. Nel secondo caso, invece, si applicherà la disposizione
dell’art. 1335 del c.c che considera pervenuta la proposta quando essa giunge all’indirizzo
del destinatario a meno che questi non provi di non essere venuto, senza colpa, a
conoscenza. La norma dell’art. 1326 c.c stabilisce, poi, che il contratto è concluso nel
momento e nel luogo in cui il proponente a conoscenza dell’accettazione della controparte.
Con riferimento all’e-commerce sembra diventare sempre più diffusa la tesi che tale
momento e tale luogo devono individuarsi in quello in cui ha sede il server del provider
presso cui l’accettazione previene. Tale luogo, rispetto a quello della persona fisica che, con
modalità diverse, può provvedere allo scarico della posta elettronica appare più certo e
fermo. Per quanto riguarda i contratti stipulati tra soggetti residenti in Stati diversi il
problema della determinazione del diritto da applicare va risolto con criteri di collegamento
fissati dal Regolamento 593/2008, secondo cui il criterio primario è quello della scelta delle
parti. (*) Le parti, già durante la fase delle trattative, raggiungono l’accordo sui punti
essenziali del contratto che intendono concludere, tuttavia, esse possono avere l’interesse a
rinviare il complemento ad un momento successivo. La coesistenza dei due distinti interessi
può indurre le parti a predisporre una sequenza di contratti: 1) detto preliminare, con effetto
di obbligare le parti o la parte, nel quel caso si parla di “preliminare unilaterale”, alla
conclusione di un ulteriore contratto; 2) detto definitivo, che producono gli effetti su cui, già
al momento della stipula del preliminare, si è formato il consenso delle parti.
In particolare, possiamo definire contratto preliminare, il contratto in virtù del quale una o
entrambe le parti si obbligano a stipulare in futuro un determinato contratto definitivo.
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Il contratto preliminare, molto diffuso nella pratica, specie in materia di trasferimento
immobiliari, si distingue da quello definitivo in quanto ha per oggetto una particolare
obbligazione di fare: prestare il consenso prestabilito per la conclusione di un successivo
contratto; non va tuttavia confuso con una frase delle trattative, poiché è un contratto in sé
perfetto. Se uno dei soggetti obbliga a contrarre non adempie, l’altra parte può: - chiedere la
risoluzione del contratto preliminare per inadempimento, con la condanna
dell’inadempimento al risarcimento del danno; - chiedere al giudice l’emanazione di una
sentenza che produca gli stessi effetti del contratto definitivo non concluso ( art. 2932 del
c.c). In considerazione dello stretto collegamento che c’è tra il preliminare e il definitivo, il
primo deve essere stipulato, a pena di nullità, nella stessa forma che la legge prescrive per il
contratto definitivo ( art. 1351 del c.c). Normalmente un contratto è stipulato dagli stessi
soggetti nei cui confronti è destinato a produrre effetti. Ricorrono però alcuni casi in cui al
soggetto interessato si affianca o si sostituisce un’altra persona che collabora con esso e ne
cura gli interessi. Per questo motivo si distingue fra la parte sostanziale e parte formale di un
contratto, dove per parte formale si indica colui che mette in atto il contratto e ne esegue le
relative prestazioni e per parte sostanziale si indica il soggetto su cui ricadono gli effetti di
tale contratto. Normalmente parte formale e parte sostanziale coincidono nella stessa
persona, ma in determinate ipotesi le due figure possono scindere e riferirsi a due distinte
persone. Quando un soggetto si fa sostituire da un altro in uno o più affari che lo riguardano
si parla di rappresentanza. La rappresentanza può essere di due tipi:
- diretta: quando il rappresentante agisce non solo per conto, cioè nell’interesse del
rappresentato, ma anche in nome di esso, rendendo cioè palese ai terzi che egli agisce per
conto altrui. Ciò comporta che gli effetti del contratto da lui concluso ricadono direttamente
nella sfera giuridica del rappresentato: il rappresentante, pur partecipando alla conclusione e
alla esecuzione del contratto, relativamente agli effetti di esso è come se non ci fosse; il
contratto vincola direttamente il rappresentato e il terzo estraneo, che pur aveva trattato con
il rappresentante;
- indiretta: quando il rappresentante agisce per conto del rappresentato, ma senza spendere
il nome di questo; ai terzi, dunque non viene reso noto che il rappresentante sta agendo
nell’interesse di un’altra persona. In questo caso gli effetti del contratto concluso dal
rappresentante ricadono nella sua sfera giuridica; sarà necessario il compimento di una
ulteriore attività giuridica affinché tali effetti possano riversarsi definitivamente in capo al
rappresentato. A questo ulteriore attività il rappresentante è tenuto in base al rapporto
interno che lo lega con il rappresentato.
L’atto con cui si conferisce il potere di rappresentare un altro soggetto spendendo il nome è
chiamato procura. La procura può essere:
- generale, se riguarda tutti gli affari del rappresentato;
- speciale, se è conferita per uno o più affari determinati.
La procura è un atto unilaterale nel senso che essa si perfeziona con la sola dichiarazione di
volontà della parte che la conferisce, la procura non comporta la nascita di alcun obbligo a
carico di chi la riceve.
Per poter vincolare l’altra parte è necessario un altro contratto: il mandato, che è il contratto
con cui una parte (mandatario) si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto
dell’altra parte (mandante). La procura deve avere la stessa forma prescritta per il contratto
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che il rappresentante intende concludere. Pertanto, ad esempio, la procura a vendere un
immobile esige la forma scritta giacché tale requisito formale è richiesto dalla legge per la
compravendite immobiliari ( art. 1350 del c.c) Affinché la rappresentanza sia valida è
necessario che il rappresentante che conferisce la procura abbia la piena capacità di agire,
mentre il rappresentante è sufficiente la capacità di intendere e di volere ( art. 1389 del c.c).
Nella possibilità, riconosciuta alle parti dall’art. 1322 del 1 comma, c.c, di determinare
liberalmente il contenuto del contratto risulta chiaramente ridimensionata nella figura dei c.d
contratti per adesione o contratti standard.
Il contratto per adesione è un contratto già predisposto dal proponente secondo condizioni
prestabilite che l’altro contraente non può discutere, in quanto è tenuto ad aderire in blocco
alla proposta se vuole stipulare il contratto. Tali condizioni generali di contratto sono spesso
contenute in moduli o formulari preconfezionati ( detto contratto standard) destinato ad essre
utilizzato per una serie indefinita di rapporti. Questi contratti attualmente sono standardizzati
e redatti su modelli prestampati, in particolare, sancendo la posizione di supremazia di cui
godono alcune imprese (o gruppi) che, proprio in forza della loro posizione, dettano ai
singoli aderenti le condizioni contrattuali senza la possibilità di modifica.
Pensa ad esempio, alle polizze assicurative, ai contratti di acquisto di automobili, ai contratti
di fornitura di energia elettrica, gas. Funzione di detti contratti è eliminare la fase delle
trattative, e ciò si dimostra particolarmente utile quando si tratta di imprese di pubblica
utilità che devono contrattare con un gran numero di persone per la prestazione di servizi o
per fornitura di interesse collettivo ( imprese del gas, elettriche, di assicurazione, di trasporti
etc.).
La legge però allo scopo di tutelare il contraente più debole, stabilisce che ( art. 1341 del
c.c): - le condizioni generali di contratto, ossia le condizioni predisposte in modo uniforme
ed unilateralmente da uno dei contraenti ( produttore industriale, impresa di trasporti, banca,
ect.) e destinate a valere per tutti i contratti conclusi coi consumatori o gli utenti, sono
efficaci per l’altro contraente solo se, al momento della conclusione del contratto, questi le
ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza. Le clausole
vessatorie sono quelle clausole, predisposte da una parte nelle condizioni generali o nei
contratti conclusi mediante moduli o formulari particolarmente gravose per la controparte,
non hanno effetto se quest’ultima non le abbia specificamente approvate per iscritto.
Tale disposizione ha lo scopo di evitare che la parte che impone il controllo standard
approfitti anche della disattenzione dei clienti per imporre loro, senza che essi ne siano
consapevoli, condizioni particolarmente gravose. La mancata approvazione per iscritto di
tali clausole ne determina pertanto la nullità. Tra le clausole di tale specie elencate nell’art.
1341, 2 comma del c.c, ricordiamo quelle che pongono limitazioni di responsabilità.
Le clausole aggiuntive ai moduli o ai formulari , fogli prestampati o dattiloscritti
prevalgono su quelle predisposte in caso di incompatibilità ( art. 1342 del c.c).
Con l’entrata in vigore del D.lgs. del 6-9-2005, n. 206 ( Codice del consumo) il legislatore
ha provveduto al riordino ed alla semplificazione della normativa relativa ai diritti del
consumatore coordinandola con la normativa dell’Unione europea. Il risultato di tale
operazione, insito nella natura di qualsiasi voglia codificazione, è di evidenza immediata; la
possibilità per il consumatore di consultare, in un unico testo, tutte le disposizioni dettate a
tutela della sua posizione di contraente debole. L’art. 36 del codice del consumo ribadisce la
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nullità delle clausole vessatorie inserite nel contratto concluso tra consumatore e
professionista. Si tratta di quelle clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico
del consumatore ( parte più debole) un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi
derivanti dal contratto ( art. 33). Il contratto, invece, resta valido per la parte non inficiata
dalle clausole abusive. La nullità delle clausole è rilevabile anche d’ufficio, ma
esclusivamente a vantaggio del contraente debole. L’art. 35 prescrive l’obbligo per il
professionista di redigere le clausole, ove preposte per iscritto, in modo chiaro e
comprensibile; sancisce inoltre la prevalenza, in caso di dubbio sul senso di una clausola,
dell’interpretazione più favorevole al consumatore. L’art. 37 disciplina l’azione inibitoria, (
l’azione cioè con cui si chiede al giudice di inibire l’uso di condizioni abusive) consentendo
alle associazioni rappresentative dei consumatori e dei professionisti ed alle Camere di
commercio, industria, artigianato e agricola, di convenire in giudizio non solo il
professionista che effettivamente utilizzi le clausole, ma anche i professionisti o le
associazioni di professionisti che semplicemente ne raccomandino l’inserzione. La tutela
prevista dalla norma è importante, poiché affianca alle debole difesa individuale lo
strumento, ben più incisivo, dell’azione avente carattere associativo. Le clausole del
contratto vanno interpretate secondo le regole contenute negli art. 1362 – 1371 c.c; il criterio
fondamentale che si deve adottare è quello per cui, nell’interpretare il contratto, si deve
indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti, si deve valutare il comportamento
complessivo, anche posteriore alla conclusione del contratto e non limitarsi al senso letterale
delle parole. Tale criterio fondamentale va poi integrato da altri criteri: a) le clausole del
contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che
risulta dal complesso dell’atto; b) per quanto generali siano le espressioni usate nel
contratto, questo non comprende che gli oggetti sui quali le parti hanno inteso contrattare: c)
il contratto deve essere interpretato secondo buona fede; d) nel dubbio, il contratto o le
singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché
in quello secondo cui non ne avrebbero; e) le clausole ambigue si interpretano secondo ciò
che si pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato concluso; f) le espressioni che
possono avere più significati devono, nel dubbio, essere intese più conveniente alla natura e
all’oggetto del contratto: g) le clausole inserite nelle condizioni generali del contratto o in
moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti si interpretano, nel dubbio, a favore
dell’altro. Qualora, nonostante l’applicazione di questi criteri, il contratto rimanga oscuro,
esso deve essere inteso nel senso meno gravoso per l’obbligato, se è a titolo gratuito, e nel
senso che realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti, se è a titolo oneroso.
(6)
26
2.2 Invalidità e inefficacia del contratto.
La categoria dell’invalidità si definisce anche in relazione alla categoria dell’inefficacia e
viceversa.
Il legislatore non la definisce, né la regola, ma si limita a presupporla come un dato implicito
del sistema. L’invalidità è una categoria dottrinale, tradizionalmente impiegata per
inquadrare entro una cornice unitaria i rimedi della nullità e dell’annullabilità del contratto.
La dottrina elabora possibili applicazioni dell’invalidità anche al di fuori dell’area dei
negozi giuridici: in direzione di atti non negoziali, quali l’adempimento, confessioni,
ricognizioni, etc.; in direzione di atti non governati del diritto privato formulando teroie
sull’invalidità degli atti normativi, amministrativi e processuali. Nessuno dubita che
nell’area dell’invalidità appartengano i casi del contratto nullo e del contratto annullabile;
mentre, pacificamente, si escludono i casi del contratto risolubile, revocabile, riducibile, in
opponibile, o semplicemente inefficace.
L’inefficacia è una qualità del contratto che non produce gli effetti giuridici che dovrebbe
produrre. I rimedi contrattuali dell’invalidità del contratto sono la nullità e l’annullabilità del
contratto. I rimedi servono essenzialmente a bloccare gli effetti del contratto, a renderlo
inefficace. L’invalidità punta all’inefficacia del contratto ed ha come conseguenza
l’inefficacia del contratto, perché è attraverso l’inefficacia che l’invalidità può svolgere la
sua funzione rimediale. L’inefficacia presenta due caratteristiche tra loro connesse: si
ricollega all’invalidità, di cui è conseguenza, ed ha, quindi funzione rimediale, in quanto è
rimedio offerto contro un contrasto difettoso. Oltre all’inefficacia con funzione rimediale,
esistono forme di inefficacia rimediale, ed anche nell’ambito dell’inefficacia rimediale,
esistono casi in cui l’inefficacia consegue all’invalidità ( inefficacia in senso ampio) si
hanno casi in cui l’inefficacia prescinde dall’invalidità e tocca contratti validi ( inefficacia in
senso stretto). L’inefficacia ha un effetto rimediale quando risponde ad un difetto o disturbo
del contratto, nell’interesse della parte pregiudicata dal difetto o dal disturbo ovvero per un
interesse più generale. Essa si collega all’invalidità quando il difetto o il disturbo del
contratto sono tale da renderlo invalido: il contratto con causa mancante o illecità è
inefficace in quanto invalida e quindi ( nulla). Si ha inefficacia originaria quando il fattore
che la determina è già esistente al tempo della conclusione del contratto, onde questo nasce
inefficace fin dall’inizio. Sono originariamente inefficaci: il contratto invalido ( nullo,
annullabile, rescindibile); il contratto sottoposto a condizione sospensiva; il contratto del
falso rappresentante. Si ha per contro inefficacia sopravvenuta quando il fattore che lo
determina, inesistente al tempo della conclusione del contratto, sopravviene in seguito,
rendendo inefficace un contratto che all’inizio era inefficace. E’ il caso del contratto reso
risolubile dalla sopravvivenza di un inadempimento, di un’impossibilità o di eccessiva
onerosità della prestazione; o del contratto sciolto da un recesso, o dal verificarsi di una
condizione. L’inefficacia assoluta è quella che può generalmente farsi valere sia fra le parti,
sia dai terzi, sia verso i terzi. A questa stregua, sono affetti da inefficacia assoluta solo il
contratto nullo e il contratto condizionato. Ricadono, invece, nell’inefficacia relativa tutti i
casi in cui l’inefficacia non può farsi valere da entrambe le parti e non da tutti i terzi e
nemmeno contro tutti i terzi. Questi sono casi eterogenei e numerosi. Un esempio di casi di
inefficacia di contratto, che operi solo a vantaggio di determinati terzi, si dice anche
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inoppugnabili verso detti terzi, quando si ha un atto in frode ai creditori e tale atto una volta
revocato, diventa inoppugnabile verso il creditore revocante. (7)
2.3 La nullità del contratto.
La nullità rappresenta la figura più radicale di invalidità del contratto ( si parla, infatti, di
invalidità assoluta). Il contratto è nullo (art. 1418 c.c), oltre che nei casi singolarmente ed
espressamente previsti dalla legge ( si parla di nullità testuale), in tre ordini fondamentali di
ipotesi: - quando manca uno degli elementi essenziali e costitutivi del contratto indicati
dall’art. 1325 c.c; - quando è illecita la causa del contratto; - quando l’oggetto è
impossibile, illecito, indeterminato o indeterminabile. In particolare, la mancanza di un
requisito indispensabile può riscontrarsi nei seguenti casi: - mancanza dell’accordo, che si
ha quando la proposta e l’accettazione sono difformi ovvero quando le dichiarazioni delle
parti non possono essere prese sul serio ( perché, ad esempio, effettuate da attori nel corso di
una recita);- Inesistenza dell’oggetto ( come, ad esempio, nel caso in cui il bene da trasferire
non esiste più perché è andato distrutto); – Mancanza della causa ( come, ad esempio, nel
caso di una compravendita mediante la quale una persona acquisti la proprietà di una cosa
che già le appartiene); - Mancanza della forma, nel caso in cui il rispetto di una determinata
forma sia prevista dalla legge a pena di nullità ( ad esempio, una compravendita immobiliare
stipulata oralmente). Un altro motivo frequente di nullità del contratto è la illeceità della
causa. La causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al
buon costume ( art. 1343 c.c). In genere per il diritto i motivi soggettivi dell’agire dei privati
sono irrilevanti, la legge però prevede una significativa eccezione: il contratto è illecito, e
quindi nullo, quando le parti si siano determinate a concluderlo per un motivo illecito
comune ad entrambe ( art. 1345 c.c). La legge stabilisce, inoltre, la nullità del contratto in
frode alla legge ( art. 1344 c.c), che ricorre quando le parti, prefiggendosi di raggiungere
uno scopo vietato da una norma imperativa, tentano di aggirarla stipulando un contratto che
ha un risultato lecito nell’apparenza, ma illecito nella sostanza. Ad esempio, Antonio stipula
con Giovanni una vendita con patto di riscatto che nasconde un prestito usurario. In tutti i
casi richiamati, il contratto non è valido e, quindi, non produce alcun effetto, né tra le parti
né rispetto ai terzi. In particolare, non fa sorgere, né ha l’effetto di modificare o estinguere,
alcuna obbligazione tra le parti, così come non ha l’effetto di trasferire la proprietà né
costituire o trasferire diritti reali su cosa altrui. Qualora, poi, le prestazioni previste dal
contratto siano state eseguite, esse dovranno essere restituite poiché sono prive di causa
giustificatrice. La nullità del contratto può essere fatta valere senza limiti di tempo, cioè non
è soggetta a prescrizione ( art. 1422 c.c); può essere fatta valere da chiunque vi abbia
interesse, cioè non solo dalla parte, ma anche da terzi; può anche essere rivelata d’ufficio (
cioè senza una richiesta) dal giudice ( art. 1421 c.c). Il contratto è nullo e di regola
insanabile, e cioè impossibile, per chi ha posto in essere il contratto, attribuire validità
all’atto già stipulato con una dichiarazione espressa o dando volontariamente esecuzione al
contratto ( art. 1423 c.c). Tuttavia, è consentito dalla legge la conversione del contratto
nullo, quando questa abbia i requisiti di forma e di sostanza di un contratto diverso e risulti,
in relazione allo scopo perseguito dalle parti, che le medesimo avrebbero gli effetti del
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contratto diverso se fossero a conoscenza della radicale invalidità dell’atto posto in essere (
art. 1424 c.c). Sussistendo i due requisiti, l’uno oggettivo e l’altro soggettivo, si producono
quindi gli effetti del contratto di cui sono identificabili i requisiti di sostanza e di forma. Può
accadere, inoltre, che la nullità non riguardi l’intero contratto, ma solo alcune clausole del
contratto. Allora, si parla, in tal caso, di nullità parziale del contratto, che può estendersi o
meno all’intero contratto. Per l’art. 1419, 1 comma, l’intero contratto è nullo se le parti non
lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità. Il
contratto, invece, è valido se, pur prevista delle clausole nulle, rimane ancora
sufficientemente conforme al risultato che le parti intendevano perseguire. Il contratto è,
inoltre, valido quando è prevista la sostituzione automatica delle clausole nulle con norme
imperative (è il caso, ad esempio, delle clausole relative ai prezzi di beni e servizi: art. 1339
c.c). In tal caso, infatti, le parti devono sottostare al regolamento legale anche se non
avrebbero concluso il negozio senza quella parte del contratto che è stata sostituita di
autorità ( art. 1419, 2 comma c.c). I fenomeni della conversione del contratto nullo e della
nullità parziale, pur nella loro evidente diversità, rispondono ad una comune esigenza di
economia giuridica, in quanto mirano a salvare il salvabile degli atti, evitando che vengano
poste nel nulla attività dei privati pur rilevanti nella pratica. In altri termini, essi
costituiscono espressione del generale principio di conservazione degli atti giuridici
(espresso dai latini con la medesima utile per inutile non vitatur). Quanto agli effetti verso
terzi, la nullità del contratto impedisce nei confronti di questi terzi il trasferimento della
proprietà. Va, però, ricordato che, quando si tratta di cose mobili, può operare a favore dei
terzi sub acquirenti la regola “possesso vale titolo” ( art. 1153 c.c), per la quale chi ottiene in
buona fede la consegna di una cosa mobile in base ad un contratto idoneo a trasferirne la
proprietà, ne diventa proprietario anche se il suo dante causa non ne era proprietario, avendo
acquistato il bene in base ad un titolo nullo.
2.4 L’annullabilità del contratto.
L’annullabilità rappresenta una figura meno grave di invalidità del contratto ( si parla,
infatti, di invalidità relativa). Il contratto è annullabile, oltre che nei casi singolarmente
ed espressamente previsti dalla legge, in due fondamentali ipotesi:
- Quando il contratto è stato stipulato da una persona incapace di agire ( art. 1425, 1 comma ,
427 e 428 c.c);
- Quando la volontà contrattuale di una delle aprti si è formata in modo anormale, per
l’esistenza di un vizio del consenso ( errore, violenza morale, e dolo) ( art. 1427 c.c).
In ogni caso l’annullabilità, a differenza della nullità, è solo testuale. Sussiste, cioè,
esclusivamente nei casi espressamente previsti dalla legge. Ne deriva che nei casi di
invalidità non precisati il contratto deve considerarsi nullo. Una dottrina del passato
distingueva le cause di annullabilità da quelle di nullità, osservando che la nullità dipende
dalla mancanza di un elemento essenziale del contratto, mentre si avrebbe annullabilità
quando un elemento essenziale, segnalatamente, la volontà esiste ma è viziata. Sembra
opportuno differenziare le cause di annullabilità dalle cause di nullità attraverso due criteri:
1) La diversa natura degli interessi protetti;
2) Lo statuto sistematico delle cause di nullità e annullabilità;
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Con riferimento alla diversa natura degli interessi protetti, si evidenzia che: la nullità
protegge interessi tendenzialmente generali (interesse alla collettività, l’interesse di
importanti categorie sociali, l’interesse alla salvaguardia delle condizioni oggettive
dell’autonomia privata); L’annullabilità, invece, protegge interessi particolari (
essenzialmente l’interesse alla salvaguardia delle condizioni soggettive dell’autonomia
privata, messe in crisi dalle condizioni soggettive di uno dei contraenti). Con riferimento
alle cause di nullità e annullabilità, si osserva che il sistema delle cause di nullità è più
flessibile, è un sistema non tipizzato e non tassativo. Conseguenza di una figura come
quella di nullità virtuale, che rinvia ad una serie aperta di norme imperative e di
parametri di nullità come l’ordine pubblico e buon costume, che a loro volta rimandano
a criteri elastici, mutevoli, non rigidamente definiti ( clausole generali). Invece, il
sistema delle cause di annullabilità è più rigido, è un sistema tendenzialmente tipico e
tassativo: non esiste una ragione generale ( o virtuale ) di annullabilità, capace di aprire
spazi per l’identificazione di contratti annullabili diversi rispetto alle fattispecie previste
dalla legge. Il sistema delle cause di annullabilità comprende:
1) Le diverse ipotesi di incapacità di agire;
2) I vizi della volontà: errore , violenza, dolo:
3) Una serie di fattispecie particolari puntualmente previste dalla legge: il conflitto di
interesse del rappresentante e la contrattazione del rappresentante con se stesso;
l’atto di straordinaria amministrazione su bene della comunione ( immobile o mobile
registrato) compiuto da un coniuge senza il consenso dell’altro ( art. 184 c.c); gli
acquisti di determinate classi di beni da parte di determinate classi di soggetti ( art.
1471 c.c, n. 3 e 4); Nell’ambito del matrimonio, nel testamento, delle deliberazioni di
assemblea, il rapporto sistematico tra annullabilità e nullità è rovesciato: la prima è
virtuale, la seconda è tipizzata. (8)
Relativamente all’incapacità va chiarita che rileva sia l’incapacità legale che quella
naturale. Ricordiamo che l’incapacità legale è quella che deriva da minore età,
interdizione giudiziale, interdizione legale o opera di diritto; l’incapacità naturale,
invece, consiste in uno stato di fatto, in cui si viene a trovare il soggetto
normalmente capace, anche se improvviso o temporaneo ma comunque di tale
gravità da togliere la capacità di intendere e di volere e ha rilevanza giuridica solo se
si fornisce la prova caso per caso. Nel primo caso ( incapacità legale), il contratto è
annullabile per il solo fatto di essere stato stipulato da un incapace di agire. Nel
secondo caso ( incapacità di intendere e di volere, c.d incapacità naturale), il
contratto è annullabile soltanto se provoca un grave pregiudizio all’incapacità e se
l’altro contraente è in mala fede, cioè è in grado di rendersi conto dello stato di
incapacità della controparte ed intende approfittarne. Il contratto è inoltre annullabile
quando, nel processo di formazione della volontà, siano intervenuti elementi
perturbatori tali da indurre il soggetto a stipulare un contratto che altrimenti non
avrebbero stipulato a condizione diverse. I vizi della volontà indicati dal codice sono
l’errore, la violenza e il dolo. Si ha errore quando il contraente ignora, oppure
conosce in modo sbagliato o insufficiente, situazioni determinate ai fini della
decisione di stipulare o meno il contratto o comunque di stipularlo a certe condizioni.
L’errore, tuttavia, non sempre è causa di annullamento del contratto, ma occorre che
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sia essenziale e riconoscibile dall’altro contraente ( art. 1428 c.c). L’errore essenziale
( art. 1429 c.c) quando è determinante del consenso e cade:
- Sulla natura del contratto ( ad esempio, stipulo una compravendita credendo di stipulare una
locazione);
- Sull’identità o sulle qualità dell’oggetto della prestazione 8 ad esempio, credo di comprare
chiodi e invece acquisto viti, oppure credo di comprare un cavallo da corsa e invece compro
un cavallo da tiro);
- Sull’identità e qualità personali dell’altro contraente ( ad esempio, stipulo un contratto di
società con il signore Tesoro credendolo un facoltoso finanziere e invece è un semplice
impiegato di banca);
- Sulle qualità giuridiche dell’oggetto della prestazione o della persona dell’altro contraente (
ad esempio, acquisto un terreno per costruirvi una casa nell’erronea convinzione che il piano
regolatore comunale lo qualifichi come edificabile). Il solo requisito della essenzialità
dell’errore non è sufficiente ai fini dell’annullamento del contratto; la legge richiede altresì,
a tutela dell’affidamento dell’altro contraente, la riconoscibilità all’esterno dell’errore da
parte di quest’ultimo. L’errore è riconoscibile dall’altro contraente “quando, in relazione al
contenuto, alle circostanze del contratto ovvero alla qualità dei contraenti, una persona di
normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo” (art. 1431 c.c). la disciplina dell’errore si
applica soltanto ai contratti a titolo oneroso, i contratti a titolo gratuito hanno una disciplina
diversa poiché non è mai richiesta la riconoscibilità, proprio perché in essi l’esigenza di
tutelare l’affidamento manca del tutto oppure è considerata di scarsa importanza dalla legge.
Conseguenze analoghe a quelle dell’errore costituente vizio della volontà ha anche l’errore
c.d ostativo, che non si verifica nel processo di formazione della volontà contrattuale, ma nel
momento della sua espressione all’esterno. Esso consiste, infatti, in una dichiarazione non
conforme alla volontà 8 art. 1433 c.c) ( ad esempio, voglio acquistare 110 litri di vino, ma
nell’ordine scrivo per errore 1.100); Anche l’errore ostativo porta all’annullamento solo se è
essenziale e riconoscibile dall’altro contraente. L’errore di calcolo 8 come, ad esempio,
quando i prezzi dei singoli beni sono indicati esattamente, ma la somma totale è sbagliata)
non è, invece, causa di annullamento del contratto, ma solo di una rettifica ( art. 1430 c.c).
La violenza consiste nella minaccia di un male ingiusto e notevole per cui il contraente è
indotto a stipulare un contratto che altrimenti non avrebbe stipulato, oppure avrebbe
stipulato a condizioni diverse ( art. 1435 c.c). La minaccia, in cui consiste la violenza morale
di cui si tratta, è causa di annullamento del contratto quando, tenuto conto delle
caratteristiche soggettive della persona che la subisce e della specifica situazione in cui essa
concretamente si trova; sia tale “ da fare impressione sopra una persona sensata e da farle
temere di esporre sé o i suoi beni a un male ingiusto e notevole”. Oltre che notevole,
dunque, il male minacciato deve essere anche ingiusto, cioè causato dalla minaccia di un
comportamento illecito ( ad esempio, voglio venire in possesso di un tuo bene e minacciato
di farlo rubare se non me lo venderai). Si ha dolo quando un contraente è indotto da raggiri
o inganni a stipulare un contratto che altrimenti non avrebbe stipulato (dolo determinante) o
avrebbe stipulato a condizioni diverse (dolo incidentale) ( art. 1439 c.c). I raggiri per lo più
provengono dall’altro contraente, ma potrebbero anche essere opera di un terzo; in questo
caso, il contratto è annullabile solo se il contraente che se ne avvantaggia ne è a conoscenza.
Se i raggiri non sono determinanti della stipulazione del contratto, ma soltanto del contenuto
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di alcune sue clausole ( ad esempio, dell’ammontare del prezzo, sicché il contratto sarebbe
stato ugualmente, ma ad un prezzo diverso), il contratto è valido, tuttavia, il contraente
ingannato ha diritto di ottenere il risarcimento del danno così subito ( art. 1440 c.c).
La violenza fisica ( o assoluta) ricorre quando un soggetto emette una manifestazione di
volontà perché costretto a viva forza da un altro soggetto. Secondo la tesi tradizionale un
contratto concluso in queste condizioni è assolutamente nullo ( o addirittura inesistente) in
quanto manca del tutto non solo la volontà ma la stessa dichiarazione. Pertanto la violenza
fisica ( vis absoluta), a differenza della violenza morale ( che non esclude la volontà del
soggetto ma la limita solamente), non rientra nella disciplina dei vizi della volontà, piuttosto,
si colloca nell’ambito della mancata assoluta di volontà. Questa distinzione tra violenza
fisica e violenza morale è però criticata da altri studiosi secondo i quali anche la violenza
fisica rientra tra i vizi della volontà che rendono il contratto annullabile, poiché anche la
violenza fisica agisce sulla volontà del soggetto il quale compie un atto per sottrarsi ad un
male fisico. L’unico caso in cui la violenza fisica rende il contratto radicalmente nullo 8 o
inesistente) è quello in cui l’autore della violenza guidi materialmente la mano della vittima
costringendola a firmare il contratto. A differenza del contratto nullo, che è totalmente privo
di effetti, il contratto annullabile produce i suoi effetti sin dal momento della stipulazione,
come se fosse valido. Tuttavia, il contraente incapace o quello la cui volontà è viziata, può
ottenere una sentenza di annullamento con la quale il giudice fa cessare la produzione degli
effetti, eliminando quelli che si sono già prodotti ( c.d efficacia retroattiva
dell’annullamento). Ciò significa che le prestazioni eventualmente già eseguite divengono
prive di causa giustificatrice e debbono, quindi, essere restituite secondo le norme sulla
ripetizione dell’indebito ( art. 2033 ss). A differenza della nullità, l’annullamento del
contratto può essere richiesto e pronunciato dal giudice solo entro cinque anni, trascorsi i
quali l’azione, cioè il diritto del soggetto di agire in giudizio, si prescrive. I cinque anni
decorrono, a seconda dei casi, dal momento dell’acquisto della capacità di agire o dal
momento della stipulazione oppure dal moemnto in cui sono stati scoperti l’errore o il dolo o
è cessata la violenza ( art. 1442 c.c). L’annullamento del contratto, inoltre, può essere
richiesto soltanto dal contraente che lo ha stipulato in stato di incapacità o la cui volontà era
viziata ( art. 1441, 1 comma). L’annullamento non può, invece, essere rilevata d’ufficio dal
giudice, il quale può pronunciare l’annullamento solo se vi è stato richiesta della parte
interessata. Il contratto annullabile, a differenza di quello nullo, può essere convalidato ( art.
1444). Quanto agli effetti verso i terzi, la legge stabilisce, a tutela del loro affidamento, che
l’annullamento, se non dipende da incapacità legale, non pregiudica i diritti acquistati a
titolo oneroso dai terzi di buona fede.
In tutti gli altri casi, cioè quando l’annullamento è dovuto ad incapacità legale oppure
quando il terzo acquirente è in mala fede o quando il terzo acquista a titolo gratuito, la legge
non considera l’affidamento del terzo degno di tutela, sicché la disciplina dell’opponibilità a
quella già vista per la nullità. La convalida è un atto unilaterale, mediante il quale la parte
che può chiedere l’annullamento dichiara che, malgrado l’esistenza del motivo di
annullabilità, vuole eseguire il contratto come se fosse valido. La dichiarazione può essere
sostituita dalla spontanea esecuzione, purché risulta la conoscenza del motivo di
annullabilità del contratto.
Disciplina dei contratti nel c.c patologie di invalidità dei contratti.
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  • 1. 1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI eCAMPUS CORSO DI PERFEZIONAMENTO ANNUALE MASTER A46 “Master in Indegnamento in materie giuridico –economiche per gli Istituti di II grado” ARGOMENTO TESI “La disciplina dei contratti nel codice civile: le patologie di invalidità del contratto” LA CANDIDATA RELATORE Alda Zejno Prof. Valentino Sacco Anno accademico 2019/2020
  • 2. 2 Un ringraziamento va ai miei genitori che mi hanno sostenuta materialmente e spiritualmente nelle mie scelte di studio e nella vita. Vorrei ringraziare anche tutti i miei maestri della scienza del diritto ed in particolare la mia tutor Giorgia Dell’Orto che con tanta dedizione mi ha seguita e sostenuta per quasi tutti gli appelli della formazione con coerenza e tanto impegno per il miglioramento delle formazioni online. L’argomento da me scelto è alla base dell’autonomia privata dove viene svolta la maggioranza dei negozi giuridici della vita quotidiana con un sì scritto o verbale concludiamo quasi tutte le tape di questa nostra vita civile. Per un paese più giusto e che rimuove le distanze ed anche gli ostacoli ringrazio tutti i miei amici intellettuali che hanno corretto i mie passi per la scrittura.
  • 3. 3 INDICE Introduzione…………………………5 CapitoloI : Figura del contratto. 1.1 Il contratto nell’organizzazione giuridica…………………………….9 1.2 L’autonomia contrattuale …………………………………………….11 1.3 Gli elementi essenziali del contratto………………………………….15 1.4 Classificazione dei contratti…………………………………………..18 Capitolo II : Efficacia e Invalidità del contratto 2.1 Il procedimento di formazione del contratto …………………………25 2.2 Inefficacia e Invalidità del contratto…………………………………27 2.3 La Nullità del contratto………………………………………………28 2.4 L’ Annullabilità del contratto ………………………………………..31 2.5 La differenza tra nullità e annullabilità del contratto……………….. Bibliografia …………………………………………………25
  • 4. 4 Introduzione Nei discorsi di ogni giorno, siamo abituati a parlare di contratto per le operazioni di compravendita di un automobile, un arredamento, un terreno oppure per l’affitto di un appartamento, o per l’erogazione di servizi (Enel, Telecom ), o ancora per i contratti tra sindacati dei lavoratori e associazioni dei datori di lavoro. Ma nessuno di noi pensa di fare un contratto quando compra una camicia, quando ritira una coca-cola da un distributore automatico, o entra al cinema o va dal barbiere; neppure pensiamo a fare un contratto quando ci iscriviamo ad un’associazione sportiva o ad un partito. Tutte queste operazioni, invece sono comprese nella definizione del codice civile, perché in tutti quegli esempi si può riconoscere, ora facilmente, ora con qualche attenzione, un accordo tra due parti relativo a un rapporto che ha natura o aspetti patrimoniali. Il linguaggio comune, quindi, lega l’idea di contratto a certe caratteristiche – il “contrattare”, oppure la solennità della stipulazione, o l’esistenza di contratto, mentre la definizione giuridica punta su un minimo comune denominatore che compare in una serie infinita di fatti; l’accordo relativo a un rapporto giuridico patrimoniale. Ma proprio, per questo aspetto la nozione giuridica di contratto si presenta limitata rispetto a quella del linguaggio comune: non ogni patto, non ogni promessa reciproca è “contratto” per il diritto, ma solo quei patti che hanno per oggetto relazioni economiche. Per esempio, il matrimonio non è per il diritto un contratto perché ha ad oggetto un rapporto in cui gli aspetti personali sono assolutamente prevalenti. Quando diciamo che “il matrimonio non è un contratto” riassumiamo un discorso lungo, che suona così: il “ contratto” per il diritto civile è solo quella fattispecie prevista dall’art. 1321 del c.c.: “ Il contratto è l’accordo tra due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”. L’ambito di fattispecie riunite nella nozione del codice civile di contratto coincide quindi con tutta la gamma di accordi che anima la vita economica: dalle micro alle macro-convenzioni. E’ evidente anzitutto, che tutto il “consumo” si realizza attraverso una miriade di contratti, con cui ciascuno di noi si procura non solo beni, ma servizi (riscaldamenti, acqua, trasporti, banca, attività artigianali, attività professionali, uso di cose di cui non si ha la proprietà, ecc); E più in là, l’intero apparato che produce o, che intermedia la circolazione di beni e la fruizione dei servizi. Potremmo seguire, per esempio, la catena di contratti con cui si realizza la distribuzione commerciale; ma potremmo anche raffigurare, la nascita del contratto di società; o i contratti con le banche che danno credito alla società; i contratti per la costituzione delle basi materiali dell’azienda, per procurare i locali, le attrezzature, i materiali necessari; i contratti con i professionisti, con il commercialista, con il consulente fiscale, del lavoro, ecc. Se moltiplichiamo questi esempi di contratti avremo un’idea di cosa si può intendere per “traffico contrattuale” e ci sarà chiaro che la rete dell’attività giuridica è strettamente funzionale all’attività economica: questa si scompone in una serie di operazioni economiche, ciascuna delle quali si realizza attraverso un contratto o in un insieme di contratti. Non esagera, dunque, chi dice che la storia del contratto- dei modi in cui si conclude il contratto, dei tipi di contratto, degli strumenti con cui si dà forza vincolante al contratto- è la storia di scambio tra gli uomini, e più ampiamente la storia dell’organizzazione economico – sociale. (1) Da questo punto di vista, non rientrano tra gli accordi definiti come contratto, gli accordi che intrecciano la vita quotidianamente dettati da criteri di amicizia, di affetto o di cortesia, si pensi ad
  • 5. 5 esempio, ai c.d gentelment’s agreements. Il linguaggio quotidiano che ci dona un concetto così esteso è, naturalmente frutto di una astrazione: dalla varietà dei fatti, il legislatore astrae i due connotati fondamentali, che bastano a definire la fattispecie contratto: a) l’accordo, che ha la funzione di regolare; b) un rapporto giuridico patrimoniale. E’ vero anche che le astrazioni fatte dal legislatore – com’è la generale definizione del contratto, di cui nell’art.1321 del c.c - hanno un peso per l’interprete, che le deve rispettare, e hanno anche delle ragioni: in sostanza, una definizione così ampia tende ad isolare i carattere comuni di una così ampia gamma di fatti. (2) E su questa base si individuano i requisiti del contratto elencati nell’art. 1325 del c.c, cioè gli elementi essenziali perché il contratto possa produrre i suoi effetti e diviene possibile dettare una serie di regole generali che possono essere applicate per tutti i tipi di contratto. L’astrazione, insomma, serve a stabilire una disciplina comune a tutti i possibili contratti, lasciando alle regole speciali, e anche all’intelligenza dell’interprete, il compito di tenere conto della enorme diversità tra i singoli, concreti fatti che cadono nell’ambito del concetto di “contratto”. (3)
  • 6. 6 CAPITOLO I La figura del contratto come negozio giuridico. 1.1 Il contratto nell’organizzazione giuridica. Il contratto così come definito dal codice civile nell’art. 1321 del c.c delimita la fattispecie “contratto” al campo degli accordi diretti a costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale. Il termine contratto sta ad indicare sia l’atto ( cioè la volontà delle parti manifestata nell’accordo) sia il rapporto ( ossia una serie di diritti e di obblighi che ne deriva per le parti, una volta che il contratto è concluso). Dalla definizione dell’art. 1321 del c.c si presentano tutti gli elementi che compongono una tale definizione: - L’accordo delle parti, che consente di qualificare il contratto come un accordo consensuale; - Il rapporto giuridico patrimoniale che consente di qualificare il contratto come un accordo giuridico - patrimoniale; - La volontà finalizzata delle parti che consente di qualificare il contratto come un atto di volontà; Solo quando l’atto è un atto consensuale, un atto di volontà e atto giuridico - patrimoniale che possiamo parlare di contratto in termini tecnici. La norma indica oltre che l’oggetto, anche la funzione dell’accordo contrattuale. Si possono individuare due funzioni fondamentali del contratto, quella traslativa e quella obbligatoria. Le due principali funzioni del contratto, operanti nel campo patrimoniale sono: - La trasmissione della proprietà; - La creazione degli obblighi. (4) I contratti sono caratterizzati, quindi, dal vincolo legale e dalla coercibilità legale, vale a dire che le parti, una volta concluso il contratto non sono libere di disattendere l’impegno preso o di revocarlo, poiché potrebbero essere chiamate dalla controparte all’attuazione in forma specifica oppure al risarcimento del danno per equivalente ( attraverso il pagamento di una somma di denaro). I rapporti non patrimoniali non sono, invece, né soggette a vincoli legali, né a coercibilità legali. Anche un diritto reale può essere costituito per contratto ( ad esempio una servitù). Il titolo d’acquisto, in tal caso, è derivativo – costitutivo e l’effetto è perciò compreso nella funzione traslativa intesa in senso ampio. Il contratto in rapporto alla proprietà mostra come lo stesso concetto sia mutato negli anni. Il codice napoleonico vedeva il contratto in una posizione subordinata e strumentale alla proprietà, tanto che veniva regolato dalle norme contenute nel libro III del codice civile dedicato ai modi di acquisto della proprietà. Il contratto veniva, quindi, visto come un mezzo - strumento per acquistare beni piuttosto che creare ricchezza. Tale concezione, era espressione di un’economia agricola, era destinato a mutare con l’avvento dell’economia moderna, nella quale il contratto viene ad assumere il ruolo che ancora oggi svolge il creatore di ricchezza. Il rapporto che lega il contratto con le obbligazioni è facilmente comprensibile se si guarda la collocazione del contratto nella disciplina generale del codice civile che lo regola: nel libro IV del codice intitolato “ Delle obbligazioni”. Per comprendere l’effettiva portata della nozione del contratto, lo si deve necessariamente guardare alla luce del rapporto che è andato instaurando con le altre fondamentali categorie ordinate delle azioni,
  • 7. 7 relazioni, e posizione d’interesse delle parti. L’efficacia del contratto è riassunta, nella disposizione dell’art.1327 del c.c: “Il contratto ha forza di legge tra le parti”. La formula è estremamente suggestiva, perché dà il senso dell’esercizio della autonomia, e cioè della possibilità riconosciuta dall’ordinamento giuridico ai privati di regolare da sé i propri interessi, di darsi legge nei propri rapporti, ed in particolare nei propri rapporti patrimoniali. L’effetto del contratto è dunque di regolare - come una legge stabilita dalle parti - certi interessi patrimoniali e i rapporti giuridici che si realizzano, di stabilire cioè un certo regolamento di interessi. In questa prospettiva, la definizione dell’art.1321 del c.c può essere riletta così: “Il contratto è l’accordo di due o più parti diretto a stabilire tra loro un certo regolamento d’interessi patrimoniali”. Se guardiamo alla fattispecie, cioè all’accordo contrattuale, il contratto ci appare come un atto giuridico, formato con il consenso di due o più parti (c.d contratto – atto). Se invece, guardiamo alle conseguenze giuridiche dell’accordo, viene in evidenza il regolamento di interessi che ne nasce, e quindi il rapporto contrattuale che si stabilisce tra le parti (c.d contratto - rapporto). In questa esposizione, lo studio verterà sulle parti del rapporto, sui diritti e sugli obblighi che ad esse fanno capo, sulla durata del rapporto, sulla sua esecuzione, sulla sua resistenza a fatti sopravvenuti sull’eventuale scioglimento. Contratto - atto e Contratto – rapporto sono tra loro collegati da una relazione del tipo fattispecie – conseguenze; e poiché qui la fattispecie è un atto di autonomia, le conseguenze sono congruenti con la volontà manifestata nell’atto. Più precisamente, il contratto è un atto di autonomia e richiede perciò un comportamento dei contraenti, che manifesti la loro volontà di contrarre. Nel caso del contratto da due o più parti provengono manifestazioni di volontà concordi: parole, gesti, comportamenti che servono da segni con cui le parti manifestano reciprocamente la propria volontà di realizzare un certo assetto di interessi e i cui significati convergono, cioè si compongono in una omogenea determinazione del mondo in cui gli interessi vanno regolati. Si usa dire, il contratto come manifestazione della volontà, attenzione a non fraintendere: il contratto è un fatto giuridico di cui l’ordinamento si occupa, e i connotati descritti nell’art.1321 sono connotati di un fatto osservabile e accertabile, cioè di una certa condotta umana. Se il contratto avviene per iscritto, e le parti firmano un unico testo, la manifestazione di volontà è materialmente unica: si tratta di stabilire il significato attraverso l’interpretazione. Se invece, le parti si scambiano delle lettere, l’accordo stesso sussisterà in quanto il significato della lettera di accettazione combaci con quello della lettera della proposta. Il contratto, dunque, può essere considerato come atto giuridico, e cioè la manifestazione di volontà – bi o plurilaterale, e distinto, per quest’ultimo carattere, dagli atti unilaterali, nei quali si manifesta la volontà di una sola parte, che produce di per sé determinati effetti giuridici: gli esempi di atti unilaterali, sono la procura, la disdetta, la diffida, la rinuncia, il voto. E’ da sottolineare che si parla sempre di parti e non di persone o di soggetti; si intende, cioè, riferirsi alla dualità o plurilaterali di centri di interessi le cui reciproche posizioni, al termine delle trattative, si incontrano e confluiscono ( trattasi di interessi contrapposti, generalmente non
  • 8. 8 coincidenti di natura economica). Nella trattazione e nella formazione dell’accordo le parti sono tenute a comportarsi secondo la buona fede (art.1337 del c.c). La buona fede e il dovere della correttezza è imposta dalla legge , sulla base del solo fatto che tra due soggetti si sia avviata una trattativa, e che obbliga a tenere una condotta da persone oneste e leali, sia nell’iniziare che nel condurre la contrattazione, sia nel recedere dalle trattative, sia nella stessa conclusione del contratto. In particolare, la legge prevede un dovere reciproco di informazione con riguardo ad eventuali vizi del contratto. (art. 1338 c.c) I doveri di informazione più specifici ed unilaterali, sono imposti a tutela del consumatore ad esempio nella disciplina dei contratti negoziati fuori dai locali commerciali (d.lgs. n.50/1992) e i contratti a distanza (d.lgs. n. 185 /1999): essi riguardano l’identità del fornitore, le qualità della prestazione, le modalità del pagamento, i diritti del consumatore con particolare riguardo al recesso. Per altri contratti si prevede l’obbligo di fornire un esauriente prospetto informativo: così nel caso della vendita dei pacchetti turistici o di multiproprietà. L’applicazione della correttezza in fase di formazione del contratto sono gli obblighi o gli oneri di trasparenza con cui si impone alla parte che predispone il contratto di formulare le clausole in maniera chiara e comprensibile o di usare termini chiari e precisi. La violazione del dovere di correttezza in sede di contrattazione non incide di per sé sulla validità del contratto (salvo i casi in cui costituisca un elemento di una fattispecie che la legge prenda in considerazione come vizio: per esempio nel dolo). La condotta di malafede è però fonte di una particolare responsabilità per i danni eventualmente cagionati all’altra parte, che abbia confidato nella validità del contratto. (art. 1338 del c.c), o che abbia subito comunque un pregiudizio per effetto della malafede della controparte (art. 1440 del c.c): è la c.d responsabilità precontrattuale. La buona fede è anche il criterio fondamentale per l’interpretazione del contratto (art. 1366 del c.c), cioè per quell’operazione con cui si stabilisce il significato delle manifestazione di volontà che formano l’accordo contrattuale. Le dichiarazioni che le parti si scambiano vanno intese così come le intenderebbe una persona onesta e leale. In base a questo criterio si risolvono eventuali conflitti tra le parti in tema di interpretazione: ciascuna parte non può pretendere di attribuire alle proprie e alle altrui parole un significato a lei favorevole, ma diverso da quello che loro darebbe una persona onesta: è un principio che contrasta qualsiasi tendenza al formalismo e ad un malinteso legalismo contrattuale. Questa tendenza si completa e si rafforza con la norma dell’art. 1375 del c.c, che impone alle parti una condotta di buona fede nell’esecuzione del contratto. La norma riprende ed estende, anche oltre l’ambito propriamente obbligatorio, quel principio espresso dall’art. 1175 del c.c che impone il dovere di correttezza al debitore e al creditore. Il contenuto normativo della disposizione è di grande rilevanza: essa significa che al di là di quanto espressamente previsto nelle clausole contrattuali, o di quanto ricavabile da specifiche previsioni normative, un contratto obbliga i contraenti a comportarsi in tutto e per tutto, nello svolgimento del loro rapporto, come persone oneste e leali; in questo senso, la buona fede è una fonte di integrazione degli effetti del contratto. L’esigenza di un rapporto equilibrato e corretto tra le parti del contratto è alla base delle clausole che impongono la buona fede come regola fondamentale in tutte le fasi di realizzazione del contratto. La definizione del contratto ricorda per taluni aspetti quella del negozio giuridico rappresentando entrambi la manifestazione di volontà diretta a produrre effetti giuridici Più precisamente, il contratto è un atto
  • 9. 9 di autonomia (anzi, il prototipo degli atti di autonomia) e richiede perciò un comportamento dei contraenti, che manifesti la loro volontà di contrarre. (5) 1.2 L’autonomia contrattuale. Il contratto come accordo è la volontà comune tra due o più part per regolare, costituire o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale. ( art. 1321 del c.c) Le parti possono liberalmente determinare il contenuto del loro accordo nei limiti imposti dalla legge. Le parti possono anche concludere dei contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. (art. 1322 del c.c) Questa libertà di contrattare si chiama autonomia negoziale. Con il termine “autonomia”, (dal greco autos e nomos) , letteralmente significa dare legge a sé stessi, quindi gli interessi di cui dispongono le parti attraverso l’autonomia contrattuale sono di regola disponibili. Malgrado l’esclusivo riferimento alla libertà di determinare il contenuto del contratto, l’art. 1322 concede una vasta gamma di libertà ai privati: la libertà di concludere il contratto, la libertà di determinarne il contenuto, la libertà di scegliere il contraente, la libertà di concludere contratti non appartenenti alle categorie previste dalla legge (c.d contratti atipici), la libertà di determinare la forma dell’atto, la libertà di agire a mezzo di sostituti, la libertà di inserire nel contratto elementi accidentali etc. Secondo l’opinione prevalente l’autonomia negoziale oltre ad essere riconosciuta espressamente nell’art.1322 del c.c., trova anche garanzia nella Costituzione, pur mancando una previsione in via immediata e diretta del contratto o più in generale dell’autonomia privata. Secondo l’orientamento dottrinale l’autonomia negoziale troverebbe tutela nell’art. 2 e 3 della Costituzione, mentre secondo un altro troverebbe tutela direttamente nell’art. 41 e 42 della Costituzione. I valori connessi alla libertà contrattuale , secondo la Costituzione, sono: 1) l’iniziativa economica privata riconosciuta nell’art. 41 della Cost.; 2) la proprietà privata riconosciuta nell’art. 42 della Cost. Nel disciplinare questi valori il legislatore ha posto dei limiti all’iniziativa economica privata prevedendo per l’esercizio dell’iniziativa economica la compatibilità con l’utilità sociale, la sicurezza, la libertà e la dignità umana, mentre per la proprietà privata ha previsto la necessità di assicurare la funzione sociale. La nozione di negozio giuridico è stato elaborato, che all’ inizio del XIX secolo dalla scuola pandettistica, rielaborando la nozione giuridica delle pandette romane giustinianee. Tale elaborazione trae fondamento dalla considerazione che istituti, quali il contratto, il testamento, il matrimonio, ed altre figure negoziali presentano tutti la nota comune per cui dei privati , enunciano in una dichiarazione (unilaterale, bilaterale o plurilaterale a seconda dei casi) gli effetti giuridici che intendono conseguire. In tutti questi casi la volontà tra le parti ha forza di legge, come stabilito dall’art. 1372 del c.c. Ne consegue che la definizione data dalla dottrina tradizionale del negozio giuridico è una dichiarazione di volontà, con la quale vengono enunciati gli effetti perseguiti (c.d intento
  • 10. 10 empirico) ed alla quale l’ordinamento giuridico ( se la finalità dell’atto è meritevole di tutela e se esso risponde ai requisiti fissati dalla legge per le singole figure) ricollega effetti giuridici conformi al risultato voluto. Il fenomeno negoziale corrisponde alla necessità di attribuire ai singoli una sfera di “autonomia”, entro la quale i privati possono decidere da sé come regolare i propri interessi, ottenendo dalla legge che gli atti posti in essere siano resi vincolanti ed impegnativi. Il nostro codice civile non ci dà una definizione generale del negozio giuridico ma dedica un intero Titolo II del libro IV del codice civile la disciplina dei contratti in generale ( art. 1321 – 1469 del c.c). Inoltre, nell’art. 1324 del c.c dispone che “ salvo diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale”. Ne consegue che la disciplina dei contratti è tendenzialmente applicabile a tutti gli altri negozi giuridici inter vivos ed a contenuto patrimoniale, sicché quella disciplina costituisce il paradigma della disciplina dei fenomeni negoziali. Il contratto è l’istituto centrale dell’intera vita del diritto civile ed è la figura più importante del negozio giuridico. Secondo la definizione data dall’art. 1321 del c.c risulta che l’essenza del contratto è l’accordo, è l’incontro della volontà tra due o più soggetti, volto a produrre un effetto giuridico. Il contratto è uno strumento attraverso il quale i privati definiscono l’assetto dei loro interessi di ordine patrimoniale, operando sul mercato, dove possono scambiare beni e servizi. Il contratto è da un punto strettamente giuridico, lo strumento per realizzare determinati interessi delle persone attraverso la produzione di appositi effetti giuridici che possono riguardare tanto diritti reali ( es. trasferimento della proprietà, rinunzia ad un usufrutto) , quanto rapporti obbligatori ( il contratto di deposito obbliga il depositario a custodire il bene e il depositante a pagare il corrispettivo). Quindi il contratto è uno strumento fondamentale di esplicazione della libertà, e più precisamente, dell’autonomia privata. Il contratto è un negozio giuridico, al pari di molti altri del tutto eterogenei per struttura, funzione, oggetto) espressione, dunque di libertà individuale delle parti nel regolare i loro diritti ( purché disponibili e aventi contenuto patrimoniale). La manifestazione di detta libertà è detta “autonomia”. L’autonomia contrattuale è una specificazione dell’autonomia negoziale, che si manifesta: - nella scelta per le parti, tra i diversi tipi legali, quale contratto stipulare e nella facoltà delle parti di determinare liberalmente il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge ( art. 1322, 1 comma del c.c ) anche con l’inserimento di clausole atipiche; – oppure nella possibilità di stipulare contratti atipici e innominati ( non appartenenti ad alcun modello specificamente disciplinato dal legislatore) ; - nella possibilità di utilizzare contratti tipici nel realizzare finalità atipiche ( ad es. contratto fiduciario oppure indiretto); - oppure di combinare tra loro varie figure contrattuali, tipiche o atipiche, per soddisfare interessi ulteriori e diversi da quelli sottostanti a ciascun contratto, singolarmente considerato ( es. collegamento negoziale). ;
  • 11. 11 - nella libertà di concordare il rispetto di una determinata forma per la conclusione di un contratto (art. 1352 del c.c) e di stabilire procedimenti atipici di formazione del contratto. L’autonomia contrattuale si manifesta, inoltre, nella libertà del soggetto di non subire interferenze esterne non volute nella propria sfera giuridica – economica ( un soggetto che non abbia partecipato al contratto non può essere privato dei suoi beni o essere costretto ad eseguire prestazioni in favore di altri per effetto dell’esplicazione dell’altrui autonomia negoziale, il contratto non vincola se non chi ha partecipato all’accordo ed ha espresso il proprio consenso alla costituzione, o alla regolamentazione o all’estinzione di un rapporto giuridico patrimoniale); L’art. 1372, 2 comma del c.c stabilisce che il contratto non produce effetti rispetto ai terzi, salvo i casi previsti dalla legge. L’autonomia contrattuale si manifesta anche nella libertà di non tollerare interferenze esterne, non volute nella propria sfera giuridico – economica: il contratto non vincola che solo le parti stipulanti, cioè coloro che hanno partecipato all’accordo ed hanno espresso la loro volontà a costituire o a regolare o ad estinguere il rapporto giuridico. Se si combina l’art.1411 e l’art.1333 del c.c risulta che “il contratto non produce effetti verso i terzi” e che detta preclusione concerne soltanto gli effetti sfavorevoli, atteso che le modificazioni migliorative dell’altrui sfera giuridica sono ammessa senza che sia necessario il consenso del soggetto interessato e fermo restando il potere di rifiuto. Quindi il contratto come accordo è la volontà comune delle parti dirette ad incidere su rapporti (giuridici patrimoniali) delle parti stesse. (6)
  • 12. 12 1.3 Gli elementi del contratto in generale. Il contratto come definito dall’art. 1321 del c.c, è la volontà comune delle parti finalizzata a regolare, costituire oppure estinguere un rapporto giuridico patrimoniale. Da tale definizione emergono due valori fondamentali: Esistenza di una sfera di libertà dei soggetti di fronte al potere pubblico e alla legge: c’è un ambito entro cui le sorti delle posizioni giuridiche patrimoniali dei soggetti dipende dalle scelte volontarie e libere dagli stessi soggetti interessati e non da fattori esterni che si sovrappongono alla loro volontà e libertà; La garanzia delle posizioni giuridiche contro l’incidenza per la decisione unilaterale di un altro soggetto controinteressato. Sono suscettibili di incidere sulle posizioni e sui rapporti giuridici patrimoniale, oltre ai contratti, anche gli atti unilaterali frutto di decisione solitaria del soggetto, non condivisa con nessun altro soggetto. Nel caso dello scioglimento di un contratto esistente tra Tizio e Caio possa essere conseguenza di un contratto ( si pensi al mutuo dissenso) oppure di un atto unilaterale ( si pensi al recesso unilaterale). Gli atti unilaterali possono incidere: solo sulla propria sfera giuridica dell’autore dell’atto ( es. accettazione eredità, ovvero occupazione); nella sfera giuridica altrui, potendo però attribuire vantaggi ( es. la remissione del debito), poiché nei casi in cui viene ad essere imposto un sacrificio anche solo potenziale si dovrà necessariamente parlare di contratto ( ad es. la compravendita, la donazione suscettibile di creare una posizione di sacrificio). Gli atti unilaterali possono essere classificati come: - atti non intrusivi, quelli che non realizzano nessuna vera e propria intrusione nella sfera giuridica di soggetti diversi dall’autore ( es. il testamento, la rinuncia dell’eredità e la procura), i quali, pur implicando delle modificazioni nelle posizioni giuridiche altrui, non tolgono il potere a chi le subisce di autodeterminarsi totalmente rispetto ad esse; - atti unilaterali intrusivi, quelli che realizzano indiscutibili intrusioni nella sfera di un soggetto diverso dall’autore modificando direttamente le sue posizioni sostanziali. Gli atti unilaterali intrusivi possono essere: - autorizzati preventivamente dal destinatario degli effetti ( es. la previsione contrattuale che autorizza le parti a recedere dal contratto); - giustificati da interessi o valori che l’ordinamento considera preminenti sugli interessi o i valori sottesi all’ordinamento ( ad es. nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, al fine di evitare un vincolo esterno, pur in difetto di espressa previsione la parte può recedere dal contratto). Le promesse possono essere anche unilaterale, ma la loro definizione comporta qualche difficoltà in più. L’art. 1987 del c.c stabilisce che la promessa unilaterale di una prestazione non produce effetti obbligatori fuori dai casi ammessi dalla legge. Ne discendono due considerazioni:
  • 13. 13 Viene affermato il principio di sovranità formale del soggetto sulla propria sfera giuridica, solo in via d’eccezione, infatti, nei casi espressamente tipizzati dalla legge, le promesse possono fare a meno dell’accordo del destinatario e configurasi come atti unilaterali ( es. promessa di pagamento, ricognizione di debito, promessa al pubblico e titolo di credito). La volontà di salvaguardare l’applicazione della disciplina del contratto, come disciplina equa e razionale delle operazioni economiche e delle corrispondenti relazioni tra i protagonisti di queste ( es. se Tizio e Caio fanno un contratto da cui nascono delle obbligazioni contrapposte ed Tizio non esegue la sua, scattano a favore di Caio giusti rimedi che sono basati sull’interdipendenza delle obbligazioni , dette sinallagmatiche, inapplicabili in presenza di promesse unilaterali). L’accordo contrattuale in quanto finalizzato è un accordo di volontà ( quest’ultima diventa fondamentale e sostanza del contratto). Con riferimento al dogma della volontà negli anni si sono sviluppate due concezione: - soggettiva del contratto, per la quale la volontà umana è forza creatrice degli effetti giuridici ( nel contratto la volontà degli individui contraenti è tutto); il difetto pratico connesso a tale concezione sta nel fatto che qualunque fatto problematico, che tocchi la volontà del contraente, mette in discussione il contratto e i suoi effetti; - oggettiva del contratto mette in posizione di primo piano la certezza delle relazioni giuridiche, la cui mancanza può scoraggiare o frenare le iniziative. Paradigmatica tra le teorie oggettive del contratto è la teoria della dichiarazione per la quale è importante tanto l’effettiva volontà individuale quanto la sua proiezione esterna ( in particolare la percezione di controparte), per tale motivo anche se la realtà del dichiarante fosse viziata il contratto resterebbe valido. La concezione oggettiva del contratto ha prodotto anche la teoria dei rapporti contrattuali di fatto, per il quale un rapporto contrattuale può prodursi tra due parti anche in assenza di loro ( valide ) manifestazioni di volontà contrattuale, semplicemente sulla base del contratto sociale stabilitosi tra di loro. Il contratto sociale viene in rilievo con riferimento a due tipologie di contratto: Il negozio di attuazione, nei quali il soggetto interessato alla prestazione si appropria direttamente di questa ( ad es. il cliente preleva direttamente dal banco del supermercato il prodotto che vuole acquistare e lo presenta alla cassa con il denaro da pagare; il passeggero che vuole utilizzare il servizio di trasporto sale sull’autobus); I contratti nulli di lavoro e società già eseguiti, l’esecuzione del contratto comporta il sorgere degli effetti giuridici che si sarebbero prodotti se il contratto sarebbe stato valido. Relativamente agli elementi costitutivi del contratto si distingue tra elementi essenziali, elementi accidentali ed elementi naturali. Elementi essenziali sono quelli che debbono necessariamente sussistere perché un contratto possa ritenersi esistente e sono per ciò comuni a tutti i contratti; ne consegue che la loro mancanza incide, sulla loro validità, consentendo di dichiarane la nullità. Gli elementi accidentali, invece, sono quelli che non debbono necessariamente essere presenti, ma che le parti, in base al principio dell’autonomia contrattuale, sono del tutto libere di inserire o meno nel contratto. Si parla anche di elementi naturali (così, ad esempio, nella compravendita è elemento naturale la garanzia per i vizi della cosa). Anche se, non si tratta di veri e propri elementi, quanto
  • 14. 14 piuttosto di effetti impliciti di particolare figure contrattuali, come è dimostrato dalla circostanza che non dovranno essere richiamati dalle parti. E’ l’art. 1325 del c.c, enuncia gli elementi essenziali del contratto, individuandoli nell’accordo delle parti, nella causa, nell’oggetto e nella forma (quando è richiesta dalla legge a pena di nullità). La norma si limita a definirli “requisiti”, intesi come quei connotati che devono essere presenti affinché una concreta manifestazione di volontà delle parti possa qualificarsi come contratto. I vizi o la mancanza di tali requisiti comporta la nullità del contratto. ( art. 1418 del c.c) Si parla in proposito di elementi essenziali del contratto e in particolare generali perché sono riferibili ad ogni tipo di contratto; ciò per distinguerli dagli elementi essenziali particolari che si riferiscono ad un specifico tipo di contratto (ad es. il prezzo di vendita). Parte della dottrina distingue tali elementi (essenziali) da quelli accidentali ( condizione, termine, modo) definendo quest’ultimi come quei requisiti che le parti sono libere di apporre o meno al contratto ( che diventano essenziali una volta inserite nel contratto). Il primo e fondamentale elemento costitutivo di qualsiasi contratto è l’accordo o consenso delle parti. L’accordo, a seconda della modalità di manifestazione di volontà delle parti, può raggiungersi: in modo espresso, attraverso la dichiarazione attuata con segni linguistici o in modo tacito, mediante comportamenti concludenti. La causa è prevista dal secondo punto dell’art. 1325 come uno degli elementi essenziali del contratto. La causa è la ragione giustificativa del contratto, è la sua ratio, cioè l’elemento che lo spiega razionalmente, la cui mancanza o illiceità può determinarne la nullità. Il contratto ha causa illecita quando la sua ragione è contraria a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume. Essa viene definita come la funzione economica – sociale che il contratto persegue ovvero lo scopo obiettivo del contratto ( così, ad esempio, nel contratto di compravendita: lo scambio del bene in cambio del corrispettivo; nella locazione il godimento del bene locato contro il corrispettivo etc ). Non va confusa la causa con i motivi, cioè gli scopi individuali che hanno indotto le parti alla conclusione del contratto. A differenza della causa, elemento tipico e costante di ogni fattispecie contrattuale, i motivi possono essere i più vari; ad esempio, nella compravendita, la causa è l’unica ed è rappresentata dallo scambio della cosa venduta con il prezzo, i motivi sono rappresentati dai diversi possibili impieghi del denaro ottenuto da parte del venditore e della cosa acquistata da parte del compratore. Mentre la causa, in quanto elemento essenziale del contratto, incide sulla sua validità (art. 1418, 2 comma del c.c, precisa che produce la nullità del contratto la sua mancanza o la illiceità della causa, i motivi sono normalmente irrilevanti, salvo che in alcuni casi eccezionali espressamente previsti dalla legge. L’illecita dei motivi produce la nullità del contratto, come previsto nell’art. 1345 del c.c: “il contratto è illecito quando le parti si sono determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe”. L’oggetto del contratto è la cosa o, più in generale, il diritto (reale o di credito) che il contratto trasferisce da una parte all’altra ovvero la prestazione che una parte si obbliga ad eseguire in favore dell’altra ( così, ad esempio nel contratto di compravendita abbiamo un duplice oggetto, la prestazione del venditore di consegnare la cosa e quella del compratore di pagare il prezzo). Affinché il contratto non sia affetta da nullità, l’art. 1346 del c.c prevede che l’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito e determinato e determinabile. L’oggetto è possibile quando nella
  • 15. 15 realtà fisica la cosa già esiste o può comunque venire ad esistenza ( l’art. 1348 precisa, infatti, che anche un bene futuro può formare oggetto di un contratto) ovvero, se si tratta di un comportamento umano, quando questo è idoneo a conseguire il risultato dedotto nel contratto. E’ ad esempio impossibile l’oggetto di compravendita dal punto di vista giuridico un bene demaniale ( ad es. beni dello Stato) è invece impossibile materialmente l’impegno di vendere un bene distrutto. L’oggetto è lecito quando non è contrario alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume. Anche la cessione di un certo quantitativo di stupefacenti è in sé, una vendita, ma è evidente che si tratta di un contratto nullo per illiceità dell’oggetto. L’oggetto, infine, è determinato quando è indicato dalle parti nella qualità e nella quantità in modo esauriente, mentre è determinabile quando i criteri di individuazione della sua qualità e quantità sono enunciati nel contratto stesso o altrimenti ricavabili ( ad esempio, facendo riferimento al prezzo corrente di mercato). I requisiti dell’oggetto sono richiesti al momento della produzione degli effetti del contratto stesso. Dispone, infatti, l’art. 1347 del c.c che “il contratto sottoposto a condizione sospensiva o a termine è valido, se la prestazione inizialmente impossibile diviene possibile prima dell’avveramento della condizione o della scadenza del termine. L’art.1349 prevede, infine, che le parti possono conferire ad un terzo il potere di determinare l’oggetto del contratto (ad esempio, la misura del prezzo); si parla, in questo caso, di arbitraggio ed il terzo viene detto arbitratore. Nel nostro ordinamento vige il principio della libertà della forma, in base al quale le parti sono libere di scegliere il modo di manifestazione della volontà. La forma è un requisito (o elemento) essenziale del contatto quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità. ( art. 1325, 4 comma del c.c) La forma è la tecnica di comunicazione sociale con cui si manifesta la volontà: il linguaggio parlato, il linguaggio scritto, il linguaggio informatico. Nel nostro ordinamento vige il principio della libertà della forma, anche se come ogni regola ammette delle eccezioni, rappresentate nel caso di specie dalle ipotesi nelle quali il legislatore ha voluto prevedere una determinata forma (c.d contratti formali). L a forma, dunque, non è un elemento essenziale di tutti i contratti ma soltanto di quelli per la validità dei quali la legge richiede ed impone una determinata forma; si parla, in tal caso, di forma ad sub stanzia, perché riguarda l’essenza del contratto. La forma ad substantiam richiesta per alcuni contratti ( per ciò detti formali o solenni), rappresenta un onere per le parti, poiché senza di essa non possono realizzare il loro intento poiché il contratto privo della forma necessaria è nullo. Nell’art. 1350 del c.c sono elencati gli atti che devono farsi per iscritto sotto pena di nullità ( si tratta, in massima parte, dei contratti relativi ai beni immobili , come ad esempio il contratto di compravendita di una casa). L’espressione “ atti devono farsi per iscritto “si riferisce o all’atto pubblico o alla scrittura privata, ossia alle due forme scritte previste nel nostro ordinamento. L’obbligo di una forma ad substantiam risponde ad una duplice esigenza: chiamare l’attenzione del dichiarante sull’importanza dell’atto che compie e predisporre una documentazione per dare certezza dell’atto che si compie. In alcuni casi la forma è richiesta non ai fini della validità ma “ai fini della prova”: si usa, in tal caso, l’espressione latina ad probationem. Ciò significa che il contratto, anche se non è stipulata nella forma richiesta è valido ed è efficace e la forma scritta è necessaria solo per provarlo. I principali casi di forma richiesta ad probationem riguardano il contratto di assicurazione (art. 1888, 1 comma del c.c ), al contratto di transazione ( art. 1967 del c.c), ai contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o del godimento dell’azienda ( art. 2556 del c.c). (7)
  • 16. 16 1.4 Classificazione dei contratti. Ai riguardi esiste una molteplicità di criteri distintivi per i contratti. Con riguardo alle modalità di perfezionamento del vincolo contrattuale, si distingue tra contratti consensuali e contratti reali. I contratti consensuali, che costituiscono la maggioranza, si perfezionano con il semplice consenso, mentre i contratti reali richiedono, per il loro perfezionarsi, oltre al consenso delle parti, anche la consegna (in latino traditio) della cosa che, pertanto, si presenta come un effetto obbligatorio del contratto, ma anche un elemento costitutivo dello stesso. La legge stabilisce per questi ultimi il numero chiuso (numerus clausus), per cui le parti non possono creare altre figure oltre quelle tipicamente previste dalla legge tra cui si ricordano: le donazioni di modico valore (art. 783, 1 comma del c.c), il contratto estimatorio (art. 1556 del c.c), il comodato (art. 1806 del c.c), il mutuo (art. 1813 del c.c), il contratto costitutivo di pegno ( art. 2786, 1 comma), il deposito (art. 1766 del c.c). Con riguardo agli effetti, si distingue tra contratti ad effetti reali e contratti ad effetti obbligatori. I contratti ad efficacia reale ( traslative) sono quelli che producono come effetto il trasferimento della proprietà di un bene o la costituzione o il trasferimento di un altro diritto (ad es. il trasferimento della proprietà del bene venduto); L’efficacia reale può essere differita o eventuale, quando il trasferimento della proprietà avviene in un momento successivo alla conclusione del contratto. Ciò avviene nella vendita di cosa generica, l’effetto traslativo si produce con l’individuazione( art. 1378 del c.c); la vendita di cosa futura o di cosa altrui, l’effetto traslativo si produce con la venuta ad esistenza della cosa ovvero con l’acquisto da parte del venditore (art. 1478 del c.c); I contratti ad efficacia obbligatoria (o obbligatori) sono quelli che danno luogo alla nascita di un rapporto obbligatorio, cioè non fanno sorgere diritti reali, ma solo diritti personali di obbligazione ( pensa, ad esempio, ad un contratto di locazione, di appalto, di mandato ecc.) Con riguardo al momento di produzione degli effetti contrattuali ed al loro perdurare nel tempo, si distingue tra contratti ad esecuzione istantanea e contratti di durata. I contratti ad esecuzione istantanea sono quelli che esauriscono i loro effetti in un solo momento. I contratti di durata sono quelli la cui esecuzione si protrae nel tempo. Essi si distinguono in contratti ad esecuzione continuata, in cui la prestazione è unica ed interrotta nel tempo ( ad esempio, la locazione, affitto, comodato), e contratti ad esecuzione periodica, in cui si hanno più prestazioni, che sono ricorrenti a date prestabilite ( ad esempio, rendita, contratto vitalizio) oppure saltuarie, su richiesta di una delle parti ( ad esempio, consegna di bevande ad un bar). In considerazione della esistenza o meno di un corrispettivo alla prestazione di una delle parti, si distingue tra contratti a titolo oneroso e contratti a titolo gratuito. I contratti a titolo oneroso, o più semplicemente onerosi, sono quelli in cui all’attribuzione in favore di un soggetto fa riscontro un corrispettivo a carico dello stesso ( ad esempio, compravendita); I contratti a titolo gratuito, o gratuiti, sono quelli in cui manca tale corrispettivo, essendo il contratto diretto ad accrescere il patrimonio altrui senza controprestazione ( ad esempio, donazione). La distinzione tra contratti onerosi e contratti gratuiti incide sulla loro
  • 17. 17 disciplina. Infatti, l’acquirente a titolo gratuito è generalmente protetto meno intensamente rispetto a quello a titolo oneroso. Riguardo al rapporto tra prestazione e controprestazione, si distinguono contratti a prestazione corrispettive ( o sinallagmatici), contratti con obbligazioni a carico di una sola parte ( unilaterali). I contratti a prestazioni corrispettive sono caratterizzati dal fatto che il contratto genera due attribuzioni patrimoniali contrapposte e ciascuna delle parti è tenuta ad una prestazione ( vi è, cioè, prestazione e controprestazione); inoltre tra le due prestazioni si stabilisce un nesso di corrispettività (sinallagmatica) che consiste nella interdipendenza fra esse, per cui ciascuna parte non è tenuta alla propria prestazione se non è effettuata dell’altra parte. I contratti con obbligazioni a carico di una sola parte (o unilaterali) sono quei contratti che, pur implicando l’esistenza di due parti e di due distinte dichiarazioni di volontà, generando l’obbligo della prestazione per una sola parte, che si trova nella posizione esclusiva di debitore ( ad esempio, donazione mutuo senza interesse). Riguardo al carattere dell’equilibrio fra le prestazioni in taluni contratti, si distingue tra contratti commutativi e contratti aleatori. I contratti commutativi sono quelli in cui non solo vi è un nesso di corrispettività tra le prestazioni, ma anche fra il valore economico di esse. Tali contratti hanno, pertanto, la funzione di attuare uno scambio tra prestazioni considerate economicamente equivalenti, per cui ciascuna parte conosce l’entità del vantaggio e del sacrificio che riceverà dal contratto. I contratti aleatori sono quelli nei quali alla prestazione certa di una parte corrispondente una prestazione incerta dall’altra ( ad esempio, assicurazione) o nei quali vi è incertezza per entrambe le parti ( ad esempio, scommessa). Il rischio del contratto aleatorio è al tempo stesso giuridico ed economico: è il rischio che tocca la prestazione in sé e per sé e la tocca in modo unilaterale e squilibrante, così da avvantaggiare una parte e da svantaggiare l’altra sul piano economico ( ad es. nell’assicurazione contro i danni è certa l’entità del premio che l’assicurato deve pagare, ma è incerto se e quando dovrà pagare l’assicuratore). In ogni tipo di contratto vi è un certo grado di rischio c.d economico, c.d alea normale, che rappresenta il rischio ragionevolmente prevedibile in ogni affare da parte di qualsiasi persona di normale diligenza. L’appaltatore che nel fissare il corrispettivo dell’opera che si impegna a realizzare, si accolla il rischio delle eventuali variazioni del costo del lavoro dei suoi dipendenti, che possono rendere più o meno conveniente l’esecuzione del contratto. (art. 1664 del c.c) La legge stabilisce che un contratto può essere aleatorio (art. 1469 del c.c): - per sua natura, si avranno allora i contratti aleatori tipici nei quali il rischio giuridico – economico della prestazione caratterizza il tipo a cui il contratto appartiene ( assicurazione, gioco e scommessa, rendita vitalizia); - per volontà delle parti, si avranno allora i contratti aleatori atipici, nei quali le parti modificano pattiziamente la disciplina legale del tipo non aleatorio con clausole che espongono la prestazione a rischio giuridico – economico , oppure concludono un contratto atipico, caratterizzato dalla presenza di quel rischio. Un contratto aleatorio atipico può essere costruito con tre mezzi: - la rinuncia a far valere la responsabilità o le garanzie di legge; - la deduzione in contratto di un oggetto non determinato ma determinabile per relationem a dati futuri ed incerti di cui la parte si prende tutto il rischio; La condizione apposta all’interno del contratto, ma in relazione alla sola prestazione dovuta da una parte all’altra. La qualificazione del contratto come aleatorio ha importanti riflessi normativi: - non gli si applicano i rimedi della recessione per lesioni e della risoluzione per eccessiva onerosità sopravventa; - non gli si può applicare la risoluzione per impossibilità sopravvenuta nel caso in cui la cosa venduta non venga ad esistenza. Pertanto, all’atto della stipulazione, non è nota l’entità del sacrificio o del vantaggio cui ciascuna parte si espone. L’incertezza può, di volta in volta, riguardare una delle prestazioni ( ad
  • 18. 18 esempio, assicurazione), l’individuazione della parte che deve eseguire la prestazione ( ad esempio, la scommessa), la misura della prestazione ( ad esempio, rendita vitalizia). Ai contratti aleatori si contrappongono i contratti commutativi, nei quali c’è sia un nesso di corrispettività tra le prestazioni, ma anche fra il valore economico di esse. Tali contratti hanno la funzione di attuare uno scambio tra prestazioni considerate e possono essere: - a prestazioni corrispettive (es. la vendita che faccia salve le garanzie del compratore); - a prestazioni non corrispettive ( es. contratto di società). In relazione alla forma, si distinguono contratti solenni (o formali) e contratti non sol si cenni. I contratti solenni sono quelli per i quali la legge impone il rispetto di una determinata forma ( così, ad esempio per la compravendita di immobili è richiesta la forma scritta a pena di nullità); i contratti non solenni, invece, sono quelli per i quali le parti sono libere di scegliere qualsiasi modalità di esternazione della volontà, senza il rispetto di alcuna formalità. I contratti ad esecuzione istantanea sono quelli in cui la prestazione delle parti è concentrata in un dato momento e possono essere: - ad esecuzione immediata : quando l’esecuzione è contestuale alla conclusione del contratto ( es. la vendita con immediato effetto traslativo, contestuale consegna e pagamento del prezzo).- ad esecuzione differita: quando l’esecuzione è successiva al momento della costituzione ( es. il venditore si impegna a consegnare la merce venduta fra due mesi, il compratore si impegna a pagare il prezzo entro trenta giorni dal ricevimento della fattura). (5)
  • 19. 19 Capitolo II 2.1 Il procedimento formativo del contratto. Affinché un contratto venga ad esistenza occorre che il rapporto giuridico sia espresso e si incontrino le volontà tra le parti, secondo la definizione dell’art. 1321 del c.c e che ci siano tutti gli elementi di cui all’art. 1325 del c.c. I criteri per stabilire se vi è accordo delle parti sono contenuti nelle disposizioni relative alla conclusione del contratto, le quali regolano il se (esistenza o meno), il quando (venuta ad esistenza), e il dove (localizzazione) si forma un contratto. Sono previste una pluralità di schemi normativi ciascuno dei quali si applica ad una determinata classe di contratti, in ragione di qualche elemento rilevante che caratterizza la classe. Gli stessi comportamenti delle parti, che in relazione a un dato contratto sono idonei a determinarne la conclusione, perché così li qualifica il corrispondente schema normativo, possono essere, invece, inidonei a determinare la conclusione di un differente tipo di contratto, perché lo schema normativo costruisce per questa diversa tipologia contrattuale esige comportamenti diversi. Come si è detto l’art. 1321 del c.c, definisce il contratto come l’accordo di due o più parti e l’art. 1325 inserisce tra i requisiti del contratto l’accordo delle parti. L’incontro delle manifestazioni di volontà delle parti, il consenso delle parti è, cioè, alla base di qualsiasi contratto e normalmente è elemento non solo necessario, ma anche sufficiente per la produzione degli effetti giuridici del contratto( principio consensualistico). Non mancano eccezioni al principio consensualistico. Come, ad esempio con i contratti reali per la conclusione dei quali è necessaria la consegna oltre all’accordo (es. mutuo, il comodato, il deposito). La conclusione di un contratto richiede lo svolgimento di diverse attività giuridiche ( trattative, proposte, accettazione, atti preparatori etc.) tra loro connesse e coordinate. Si parla, in tal caso, di procedimento di formazione; tale procedimento consta di una fase assolutamente necessaria e di alcune fasi meramente eventuali. La fase necessaria è data dall’incontro della proposta e dell’accettazione. A questa, nei contratti reali, si aggiunge la fase della consegna della cosa. La fase eventuale ( preparatoria) è costituita da una molteplicità di atti preparatori, alcuni dei quali irrilevanti per il diritto ( sondaggi, inviti a trattare, invio di cataloghi ecc.), altri rilevanti sotto il profilo di un eventuale risarcimento ( trattative di cui agli artt. 1337 – 1338), altri ancora con efficacia vincolante sul futuro contratto. Mentre in alcuni casi la conclusione del contratto è rapida, sì che neppure ha senso parlare di procedimento di formazione ( pensa, ad esempio, alle operazioni contrattuali della vita quotidiana, quali l’acquisto del quotidiano o la consegna di una valigia al deposito bagagli), in altri casi, essa presuppone complesse trattative (pensa, ad esempio, alla compravendita di un terreno dopo una laboriosa trattativa dell’acquirente con il proprietario). Si è solito distinguere tra contratti a formazione istantanea, quando le parti sono presenti nello stesso luogo e le clausole contrattuali sono predisposte ed accettate dai contraenti nel medesimo tempo, e contratti a formazione progressiva, quando alla stipulazione si arriva una serie, spesso
  • 20. 20 complessa, di trattative. Le trattative indicano quella fase che precede la conclusione del contratto nella quale le parti si incontrano, discutono, prendono informazioni ed esaminano le reciproche proposte e controproposte. Le trattative hanno carattere preparatorio e strumentale e non sono vincolanti per le parti, in quanto acquistano valore soltanto nel caso che si pervenga ad un accordo, mentre perdono ogni valore in caso contrario. Va tenuto presente che la legge impone loro l’obbligo giuridico di comportarsi secondo la buona fede, non sono nella fase preparatoria o c.d precontrattuale ma anche durante la trattativa e la conclusione del contratto stesso. Il comportamento delle parti contrattuali deve essere ispirato dalla correttezza e lealtà, così come stabilito dalla norma dell’art. 1337 del c.c. La violazione di tale dovere di correttezza comporta una responsabilità ( ossia il dovere di risarcimento del danno) che prende il nome di “responsabilità precontrattuale”. Il danno risarcibile, nell’ipotesi di violazione del dovere di buona fede, comprende sia le spese strettamente connesse con le trattative ( ad esempio, spese di viaggio), cioè il c.d danno emergenziale, sia il vantaggio che la parte avrebbe potuto procurarsi con altre contrattazioni, cioè il c.d lucro cessante. (*) In base al principio consensualistico, presupposto della conclusione del contratto è l’accordo o consenso delle parti. L’incontro delle volontà delle parti di un contratto avviene mediante due dichiarazioni: la proposta e l’accettazione. Riguardo alla natura giuridica della proposta e dell’accettazione, in quanto dichiarazioni di volontà finalizzate a concludere un negozio giuridico (contratto), nonché dichiarazioni che generano per sé effetti giuridici conformi alla volontà del dichiarante, i suddetti possono definirsi come negozi precontrattuali. La proposta e l’accettazione sono atti unilaterali e recettizi ( cioè producono effetti dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona a cui sono destinati art. 1334 del c.c). La proposta di contratto, è l’offerta di chi prende l’iniziativa di contratto e rivolge al soggetto con cui vuole concluderlo (il soggetto bersaglio della proposta, è detto oblato) e l’accettazione dell’oblato. L’accettazione, inoltre, deve essere conforme alla proposta. Un’accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta (art. 1326 del c.c) Dunque l’incontro tra la proposta e l’accettazione, a seconda dello schema normativo previsto, è l’accordo contrattuale che da vita, nel mondo giuridico, al contratto. Ben più complessa è l’ipotesi in cui il contratto si conclude tra persone lontane ( ad esempio, attraverso il ricorso a lettere, telegrami, fax). Anche in questo caso si rende necessario precisare in quale momento il consenso si sia formato, poiché è da quel momento che sorge il vincolo contrattuale e i soggetti contraenti non possono più sottrarsi a tale vincolo. La regola stabilita dal nostro codice al riguardo è quella per cui il contratto si considera concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte ( art. 1326 del c.c). Tale conoscenza si presume nel momento in cui l’accettazione giunge all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia. ( art. 1335 del c.c) Fino al momento in cui l’accettazione giunge a conoscenza del proponente, sia la proposta che l’accettazione possono essere revocate ( art. 1328 del c.c). Tuttavia, se l’accettante, prima di avere notizia della revoca, ha intrapreso in buona fede l’esecuzione del contratto ( ad esempio, ricevuta la proposta di fornire un prodotto ad un certo
  • 21. 21 prezzo, ne ha iniziato la fabbricazione), il proponente è tenuto a indennizzarlo delle spese e delle perdite subite per l’iniziata esecuzione del contratto. Esistono, però, delle ipotesi in cui il codice civile considera irrevocabile la proposta e cioè: - Dal momento in cui giunge a conoscenza del destinatario, quando si tratti di un contratto con obbligazioni a carico del solo proponente ( in tal caso, il destinatario può rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura dell’affare o degli usi; in mancanza di tale rifiuto il contratto è concluso); (art. 1333 del c.c) - Dal momento in cui ha avuto inizio l’esecuzione del contratto, quando, su richiesta del proponente o per natura dell’affare o secondo gli usi, la prestazione debba eseguirsi senza una preventiva risposta (art. 1327 del c.c) - Fino a quando non sia scaduto il termine stabilito, quando il proponente si è obbligato a mantenere ferma la proposta per un certo tempo ( proposta ferma, art. 1329 del c.c) e così pure quando le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione e l’altra abbia facoltà di accettarla o meno ( opzione: art. 1331 del c.c), come avviene, ad esempio, con le prenotazioni del posto al teatro o al cinema fatte per telefono, le quali vincolano l’impresa, ma non chi ha fatto la prenotazione. La proposta può anche assumere la forma di un’offerta al pubblico, cioè di una proposta rivolta ad una generalità di destinatari, purché contenga gli estremi del contratto ( art. 1336 del c.c) . Ne sono esempi la pubblicità sui giornali, l’esposizione della merce col relativo prezzo, l’offerta di merce attraverso apparechi a gettone. Trattandosi di una proposta, pur se rivolta ad un numero indeterminato di destinatari (tutti coloro che ne verranno a conoscenza), l’offerta al pubblico deve presentare tutti i requisiti necessari per effettuare una valida proposta e, in particolare, deve essere completa, cioè contenere tutti gli elementi essenziali del contratto, e deve essere manifestata con la seria intenzione di impegnarsi. Qualora l’offerta non contenga tutti gli estremi essenziali per la conclusione del contratto non vale come proposta, ma solo come invito a fare delle proposte. L’offerta al pubblico è revocabile. La revoca, se è fatta nella stessa forma dell’offerta o in forma equipollente, è efficace anche nei confronti di chi non ne ha avuto notizia ( art. 1336 del c.c). Diversa dall’offerta è la promessa al pubblico, che si configura come una promessa unilaterale a destinatario indeterminato ( in incertam personam), che ha per contenuto una prestazione da effettuarsi a favore di chi si trovi in una determinata situazione o compia una data azione. La promessa al pubblico diviene vincolante per il promittente appena è portata a conoscenza del pubblico. Se alla promessa non è posto un termine, o questo non risulta dalla natura o dallo scopo della medesima, l’obbligatorietà cessa, qualora, entro l’anno dalla promessa, non sia stato comunicato al promittente l’avversamento della situazione o il compimento dell’azione prevista ( art. 1989 c.c). La promessa al pubblico va tenuta distinta dalla offerta al pubblico: la prima è caratterizzata da una prestazione unilaterale che si farà in una determinata circostanza, senza che sia necessaria la formazione di un contratto; l’offerta al pubblico è, invece, la proposta diretta ad una generalità indeterminata di persone a concludere un contratto per il quale è comunque necessaria l’accettazione. La differenza tra offerta e promessa al pubblico può essere così sintetizzata: l’offerta è un atto prenegoziale e costituisce il nucleo di un eventuale e futuro contratto che si perfeziona soltanto con l’accettazione: la promessa è, invece un
  • 22. 22 vero e proprio negozio giuridico, fonte di obbligazione, e vincola il promittente indipendentemente dall’accettazione, appena resa pubblica. Un esempio di promessa al pubblico è la vendita a premi ( es. raccolta di bollini per cui chi presenta i bollini ha diritto al premio), oppure la promessa di versare una somma di denaro a chi ritrova un cane smarrito. una dichiarazione con cui il promittente ( chi esegue la promessa) si obbliga ad effettuare una determinata prestazione a favore del promissario ( chi beneficia della promessa). Nei contratti elettronici, e-commerce, indica un particolare fenomeno volto alla conclusione di transazioni commerciali tramite internet. Le operazioni di e-commerce si svolgono in uno spazio non fisico ma virtuale. Tale “smaterializzazione” non si riferisce soltanto al luogo di formazione del consenso contrattuale, che resta l’aspetto più evidente dei contratti c.d informatici, ma può investire anche la fase dell’esecuzione come avviene con il meccanismo del download o dello stesso pagamento del prezzo che sempre più spesso si effettua mediante comunicazione, anch’essa informatica, degli estremi della carta di credito dell’acquirente. Alla luce della natura soltanto virtuale dello spazio nel quale si svolge la contrattazione via internet, è stato variamente affrontato il tema della determinazione del luogo in cui questo tipo di contratto giunge a perfezionamento. Di fatto sulla rete l’offerta contrattuale viene diffusa su due modi: presentandola in una pagina web, in un sito, inviandola per e-mail (posta elettronica). Nel primo caso la qualificazione giuridica più corretta appare quella dell’offerta al pubblico e, pertanto, troverà la sua disciplina di riferimento nell’art. 1336 c.c. Secondo tale disposizione normativa “l’offerta al pubblico, quando contiene gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta, vale come proposta, salvo che risulti diversamente dalle circostanze o dagli usi”. Nel secondo caso, invece, si applicherà la disposizione dell’art. 1335 del c.c che considera pervenuta la proposta quando essa giunge all’indirizzo del destinatario a meno che questi non provi di non essere venuto, senza colpa, a conoscenza. La norma dell’art. 1326 c.c stabilisce, poi, che il contratto è concluso nel momento e nel luogo in cui il proponente a conoscenza dell’accettazione della controparte. Con riferimento all’e-commerce sembra diventare sempre più diffusa la tesi che tale momento e tale luogo devono individuarsi in quello in cui ha sede il server del provider presso cui l’accettazione previene. Tale luogo, rispetto a quello della persona fisica che, con modalità diverse, può provvedere allo scarico della posta elettronica appare più certo e fermo. Per quanto riguarda i contratti stipulati tra soggetti residenti in Stati diversi il problema della determinazione del diritto da applicare va risolto con criteri di collegamento fissati dal Regolamento 593/2008, secondo cui il criterio primario è quello della scelta delle parti. (*) Le parti, già durante la fase delle trattative, raggiungono l’accordo sui punti essenziali del contratto che intendono concludere, tuttavia, esse possono avere l’interesse a rinviare il complemento ad un momento successivo. La coesistenza dei due distinti interessi può indurre le parti a predisporre una sequenza di contratti: 1) detto preliminare, con effetto di obbligare le parti o la parte, nel quel caso si parla di “preliminare unilaterale”, alla conclusione di un ulteriore contratto; 2) detto definitivo, che producono gli effetti su cui, già al momento della stipula del preliminare, si è formato il consenso delle parti. In particolare, possiamo definire contratto preliminare, il contratto in virtù del quale una o entrambe le parti si obbligano a stipulare in futuro un determinato contratto definitivo.
  • 23. 23 Il contratto preliminare, molto diffuso nella pratica, specie in materia di trasferimento immobiliari, si distingue da quello definitivo in quanto ha per oggetto una particolare obbligazione di fare: prestare il consenso prestabilito per la conclusione di un successivo contratto; non va tuttavia confuso con una frase delle trattative, poiché è un contratto in sé perfetto. Se uno dei soggetti obbliga a contrarre non adempie, l’altra parte può: - chiedere la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento, con la condanna dell’inadempimento al risarcimento del danno; - chiedere al giudice l’emanazione di una sentenza che produca gli stessi effetti del contratto definitivo non concluso ( art. 2932 del c.c). In considerazione dello stretto collegamento che c’è tra il preliminare e il definitivo, il primo deve essere stipulato, a pena di nullità, nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo ( art. 1351 del c.c). Normalmente un contratto è stipulato dagli stessi soggetti nei cui confronti è destinato a produrre effetti. Ricorrono però alcuni casi in cui al soggetto interessato si affianca o si sostituisce un’altra persona che collabora con esso e ne cura gli interessi. Per questo motivo si distingue fra la parte sostanziale e parte formale di un contratto, dove per parte formale si indica colui che mette in atto il contratto e ne esegue le relative prestazioni e per parte sostanziale si indica il soggetto su cui ricadono gli effetti di tale contratto. Normalmente parte formale e parte sostanziale coincidono nella stessa persona, ma in determinate ipotesi le due figure possono scindere e riferirsi a due distinte persone. Quando un soggetto si fa sostituire da un altro in uno o più affari che lo riguardano si parla di rappresentanza. La rappresentanza può essere di due tipi: - diretta: quando il rappresentante agisce non solo per conto, cioè nell’interesse del rappresentato, ma anche in nome di esso, rendendo cioè palese ai terzi che egli agisce per conto altrui. Ciò comporta che gli effetti del contratto da lui concluso ricadono direttamente nella sfera giuridica del rappresentato: il rappresentante, pur partecipando alla conclusione e alla esecuzione del contratto, relativamente agli effetti di esso è come se non ci fosse; il contratto vincola direttamente il rappresentato e il terzo estraneo, che pur aveva trattato con il rappresentante; - indiretta: quando il rappresentante agisce per conto del rappresentato, ma senza spendere il nome di questo; ai terzi, dunque non viene reso noto che il rappresentante sta agendo nell’interesse di un’altra persona. In questo caso gli effetti del contratto concluso dal rappresentante ricadono nella sua sfera giuridica; sarà necessario il compimento di una ulteriore attività giuridica affinché tali effetti possano riversarsi definitivamente in capo al rappresentato. A questo ulteriore attività il rappresentante è tenuto in base al rapporto interno che lo lega con il rappresentato. L’atto con cui si conferisce il potere di rappresentare un altro soggetto spendendo il nome è chiamato procura. La procura può essere: - generale, se riguarda tutti gli affari del rappresentato; - speciale, se è conferita per uno o più affari determinati. La procura è un atto unilaterale nel senso che essa si perfeziona con la sola dichiarazione di volontà della parte che la conferisce, la procura non comporta la nascita di alcun obbligo a carico di chi la riceve. Per poter vincolare l’altra parte è necessario un altro contratto: il mandato, che è il contratto con cui una parte (mandatario) si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra parte (mandante). La procura deve avere la stessa forma prescritta per il contratto
  • 24. 24 che il rappresentante intende concludere. Pertanto, ad esempio, la procura a vendere un immobile esige la forma scritta giacché tale requisito formale è richiesto dalla legge per la compravendite immobiliari ( art. 1350 del c.c) Affinché la rappresentanza sia valida è necessario che il rappresentante che conferisce la procura abbia la piena capacità di agire, mentre il rappresentante è sufficiente la capacità di intendere e di volere ( art. 1389 del c.c). Nella possibilità, riconosciuta alle parti dall’art. 1322 del 1 comma, c.c, di determinare liberalmente il contenuto del contratto risulta chiaramente ridimensionata nella figura dei c.d contratti per adesione o contratti standard. Il contratto per adesione è un contratto già predisposto dal proponente secondo condizioni prestabilite che l’altro contraente non può discutere, in quanto è tenuto ad aderire in blocco alla proposta se vuole stipulare il contratto. Tali condizioni generali di contratto sono spesso contenute in moduli o formulari preconfezionati ( detto contratto standard) destinato ad essre utilizzato per una serie indefinita di rapporti. Questi contratti attualmente sono standardizzati e redatti su modelli prestampati, in particolare, sancendo la posizione di supremazia di cui godono alcune imprese (o gruppi) che, proprio in forza della loro posizione, dettano ai singoli aderenti le condizioni contrattuali senza la possibilità di modifica. Pensa ad esempio, alle polizze assicurative, ai contratti di acquisto di automobili, ai contratti di fornitura di energia elettrica, gas. Funzione di detti contratti è eliminare la fase delle trattative, e ciò si dimostra particolarmente utile quando si tratta di imprese di pubblica utilità che devono contrattare con un gran numero di persone per la prestazione di servizi o per fornitura di interesse collettivo ( imprese del gas, elettriche, di assicurazione, di trasporti etc.). La legge però allo scopo di tutelare il contraente più debole, stabilisce che ( art. 1341 del c.c): - le condizioni generali di contratto, ossia le condizioni predisposte in modo uniforme ed unilateralmente da uno dei contraenti ( produttore industriale, impresa di trasporti, banca, ect.) e destinate a valere per tutti i contratti conclusi coi consumatori o gli utenti, sono efficaci per l’altro contraente solo se, al momento della conclusione del contratto, questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza. Le clausole vessatorie sono quelle clausole, predisposte da una parte nelle condizioni generali o nei contratti conclusi mediante moduli o formulari particolarmente gravose per la controparte, non hanno effetto se quest’ultima non le abbia specificamente approvate per iscritto. Tale disposizione ha lo scopo di evitare che la parte che impone il controllo standard approfitti anche della disattenzione dei clienti per imporre loro, senza che essi ne siano consapevoli, condizioni particolarmente gravose. La mancata approvazione per iscritto di tali clausole ne determina pertanto la nullità. Tra le clausole di tale specie elencate nell’art. 1341, 2 comma del c.c, ricordiamo quelle che pongono limitazioni di responsabilità. Le clausole aggiuntive ai moduli o ai formulari , fogli prestampati o dattiloscritti prevalgono su quelle predisposte in caso di incompatibilità ( art. 1342 del c.c). Con l’entrata in vigore del D.lgs. del 6-9-2005, n. 206 ( Codice del consumo) il legislatore ha provveduto al riordino ed alla semplificazione della normativa relativa ai diritti del consumatore coordinandola con la normativa dell’Unione europea. Il risultato di tale operazione, insito nella natura di qualsiasi voglia codificazione, è di evidenza immediata; la possibilità per il consumatore di consultare, in un unico testo, tutte le disposizioni dettate a tutela della sua posizione di contraente debole. L’art. 36 del codice del consumo ribadisce la
  • 25. 25 nullità delle clausole vessatorie inserite nel contratto concluso tra consumatore e professionista. Si tratta di quelle clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore ( parte più debole) un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto ( art. 33). Il contratto, invece, resta valido per la parte non inficiata dalle clausole abusive. La nullità delle clausole è rilevabile anche d’ufficio, ma esclusivamente a vantaggio del contraente debole. L’art. 35 prescrive l’obbligo per il professionista di redigere le clausole, ove preposte per iscritto, in modo chiaro e comprensibile; sancisce inoltre la prevalenza, in caso di dubbio sul senso di una clausola, dell’interpretazione più favorevole al consumatore. L’art. 37 disciplina l’azione inibitoria, ( l’azione cioè con cui si chiede al giudice di inibire l’uso di condizioni abusive) consentendo alle associazioni rappresentative dei consumatori e dei professionisti ed alle Camere di commercio, industria, artigianato e agricola, di convenire in giudizio non solo il professionista che effettivamente utilizzi le clausole, ma anche i professionisti o le associazioni di professionisti che semplicemente ne raccomandino l’inserzione. La tutela prevista dalla norma è importante, poiché affianca alle debole difesa individuale lo strumento, ben più incisivo, dell’azione avente carattere associativo. Le clausole del contratto vanno interpretate secondo le regole contenute negli art. 1362 – 1371 c.c; il criterio fondamentale che si deve adottare è quello per cui, nell’interpretare il contratto, si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti, si deve valutare il comportamento complessivo, anche posteriore alla conclusione del contratto e non limitarsi al senso letterale delle parole. Tale criterio fondamentale va poi integrato da altri criteri: a) le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto; b) per quanto generali siano le espressioni usate nel contratto, questo non comprende che gli oggetti sui quali le parti hanno inteso contrattare: c) il contratto deve essere interpretato secondo buona fede; d) nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero; e) le clausole ambigue si interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato concluso; f) le espressioni che possono avere più significati devono, nel dubbio, essere intese più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto: g) le clausole inserite nelle condizioni generali del contratto o in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti si interpretano, nel dubbio, a favore dell’altro. Qualora, nonostante l’applicazione di questi criteri, il contratto rimanga oscuro, esso deve essere inteso nel senso meno gravoso per l’obbligato, se è a titolo gratuito, e nel senso che realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti, se è a titolo oneroso. (6)
  • 26. 26 2.2 Invalidità e inefficacia del contratto. La categoria dell’invalidità si definisce anche in relazione alla categoria dell’inefficacia e viceversa. Il legislatore non la definisce, né la regola, ma si limita a presupporla come un dato implicito del sistema. L’invalidità è una categoria dottrinale, tradizionalmente impiegata per inquadrare entro una cornice unitaria i rimedi della nullità e dell’annullabilità del contratto. La dottrina elabora possibili applicazioni dell’invalidità anche al di fuori dell’area dei negozi giuridici: in direzione di atti non negoziali, quali l’adempimento, confessioni, ricognizioni, etc.; in direzione di atti non governati del diritto privato formulando teroie sull’invalidità degli atti normativi, amministrativi e processuali. Nessuno dubita che nell’area dell’invalidità appartengano i casi del contratto nullo e del contratto annullabile; mentre, pacificamente, si escludono i casi del contratto risolubile, revocabile, riducibile, in opponibile, o semplicemente inefficace. L’inefficacia è una qualità del contratto che non produce gli effetti giuridici che dovrebbe produrre. I rimedi contrattuali dell’invalidità del contratto sono la nullità e l’annullabilità del contratto. I rimedi servono essenzialmente a bloccare gli effetti del contratto, a renderlo inefficace. L’invalidità punta all’inefficacia del contratto ed ha come conseguenza l’inefficacia del contratto, perché è attraverso l’inefficacia che l’invalidità può svolgere la sua funzione rimediale. L’inefficacia presenta due caratteristiche tra loro connesse: si ricollega all’invalidità, di cui è conseguenza, ed ha, quindi funzione rimediale, in quanto è rimedio offerto contro un contrasto difettoso. Oltre all’inefficacia con funzione rimediale, esistono forme di inefficacia rimediale, ed anche nell’ambito dell’inefficacia rimediale, esistono casi in cui l’inefficacia consegue all’invalidità ( inefficacia in senso ampio) si hanno casi in cui l’inefficacia prescinde dall’invalidità e tocca contratti validi ( inefficacia in senso stretto). L’inefficacia ha un effetto rimediale quando risponde ad un difetto o disturbo del contratto, nell’interesse della parte pregiudicata dal difetto o dal disturbo ovvero per un interesse più generale. Essa si collega all’invalidità quando il difetto o il disturbo del contratto sono tale da renderlo invalido: il contratto con causa mancante o illecità è inefficace in quanto invalida e quindi ( nulla). Si ha inefficacia originaria quando il fattore che la determina è già esistente al tempo della conclusione del contratto, onde questo nasce inefficace fin dall’inizio. Sono originariamente inefficaci: il contratto invalido ( nullo, annullabile, rescindibile); il contratto sottoposto a condizione sospensiva; il contratto del falso rappresentante. Si ha per contro inefficacia sopravvenuta quando il fattore che lo determina, inesistente al tempo della conclusione del contratto, sopravviene in seguito, rendendo inefficace un contratto che all’inizio era inefficace. E’ il caso del contratto reso risolubile dalla sopravvivenza di un inadempimento, di un’impossibilità o di eccessiva onerosità della prestazione; o del contratto sciolto da un recesso, o dal verificarsi di una condizione. L’inefficacia assoluta è quella che può generalmente farsi valere sia fra le parti, sia dai terzi, sia verso i terzi. A questa stregua, sono affetti da inefficacia assoluta solo il contratto nullo e il contratto condizionato. Ricadono, invece, nell’inefficacia relativa tutti i casi in cui l’inefficacia non può farsi valere da entrambe le parti e non da tutti i terzi e nemmeno contro tutti i terzi. Questi sono casi eterogenei e numerosi. Un esempio di casi di inefficacia di contratto, che operi solo a vantaggio di determinati terzi, si dice anche
  • 27. 27 inoppugnabili verso detti terzi, quando si ha un atto in frode ai creditori e tale atto una volta revocato, diventa inoppugnabile verso il creditore revocante. (7) 2.3 La nullità del contratto. La nullità rappresenta la figura più radicale di invalidità del contratto ( si parla, infatti, di invalidità assoluta). Il contratto è nullo (art. 1418 c.c), oltre che nei casi singolarmente ed espressamente previsti dalla legge ( si parla di nullità testuale), in tre ordini fondamentali di ipotesi: - quando manca uno degli elementi essenziali e costitutivi del contratto indicati dall’art. 1325 c.c; - quando è illecita la causa del contratto; - quando l’oggetto è impossibile, illecito, indeterminato o indeterminabile. In particolare, la mancanza di un requisito indispensabile può riscontrarsi nei seguenti casi: - mancanza dell’accordo, che si ha quando la proposta e l’accettazione sono difformi ovvero quando le dichiarazioni delle parti non possono essere prese sul serio ( perché, ad esempio, effettuate da attori nel corso di una recita);- Inesistenza dell’oggetto ( come, ad esempio, nel caso in cui il bene da trasferire non esiste più perché è andato distrutto); – Mancanza della causa ( come, ad esempio, nel caso di una compravendita mediante la quale una persona acquisti la proprietà di una cosa che già le appartiene); - Mancanza della forma, nel caso in cui il rispetto di una determinata forma sia prevista dalla legge a pena di nullità ( ad esempio, una compravendita immobiliare stipulata oralmente). Un altro motivo frequente di nullità del contratto è la illeceità della causa. La causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume ( art. 1343 c.c). In genere per il diritto i motivi soggettivi dell’agire dei privati sono irrilevanti, la legge però prevede una significativa eccezione: il contratto è illecito, e quindi nullo, quando le parti si siano determinate a concluderlo per un motivo illecito comune ad entrambe ( art. 1345 c.c). La legge stabilisce, inoltre, la nullità del contratto in frode alla legge ( art. 1344 c.c), che ricorre quando le parti, prefiggendosi di raggiungere uno scopo vietato da una norma imperativa, tentano di aggirarla stipulando un contratto che ha un risultato lecito nell’apparenza, ma illecito nella sostanza. Ad esempio, Antonio stipula con Giovanni una vendita con patto di riscatto che nasconde un prestito usurario. In tutti i casi richiamati, il contratto non è valido e, quindi, non produce alcun effetto, né tra le parti né rispetto ai terzi. In particolare, non fa sorgere, né ha l’effetto di modificare o estinguere, alcuna obbligazione tra le parti, così come non ha l’effetto di trasferire la proprietà né costituire o trasferire diritti reali su cosa altrui. Qualora, poi, le prestazioni previste dal contratto siano state eseguite, esse dovranno essere restituite poiché sono prive di causa giustificatrice. La nullità del contratto può essere fatta valere senza limiti di tempo, cioè non è soggetta a prescrizione ( art. 1422 c.c); può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, cioè non solo dalla parte, ma anche da terzi; può anche essere rivelata d’ufficio ( cioè senza una richiesta) dal giudice ( art. 1421 c.c). Il contratto è nullo e di regola insanabile, e cioè impossibile, per chi ha posto in essere il contratto, attribuire validità all’atto già stipulato con una dichiarazione espressa o dando volontariamente esecuzione al contratto ( art. 1423 c.c). Tuttavia, è consentito dalla legge la conversione del contratto nullo, quando questa abbia i requisiti di forma e di sostanza di un contratto diverso e risulti, in relazione allo scopo perseguito dalle parti, che le medesimo avrebbero gli effetti del
  • 28. 28 contratto diverso se fossero a conoscenza della radicale invalidità dell’atto posto in essere ( art. 1424 c.c). Sussistendo i due requisiti, l’uno oggettivo e l’altro soggettivo, si producono quindi gli effetti del contratto di cui sono identificabili i requisiti di sostanza e di forma. Può accadere, inoltre, che la nullità non riguardi l’intero contratto, ma solo alcune clausole del contratto. Allora, si parla, in tal caso, di nullità parziale del contratto, che può estendersi o meno all’intero contratto. Per l’art. 1419, 1 comma, l’intero contratto è nullo se le parti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità. Il contratto, invece, è valido se, pur prevista delle clausole nulle, rimane ancora sufficientemente conforme al risultato che le parti intendevano perseguire. Il contratto è, inoltre, valido quando è prevista la sostituzione automatica delle clausole nulle con norme imperative (è il caso, ad esempio, delle clausole relative ai prezzi di beni e servizi: art. 1339 c.c). In tal caso, infatti, le parti devono sottostare al regolamento legale anche se non avrebbero concluso il negozio senza quella parte del contratto che è stata sostituita di autorità ( art. 1419, 2 comma c.c). I fenomeni della conversione del contratto nullo e della nullità parziale, pur nella loro evidente diversità, rispondono ad una comune esigenza di economia giuridica, in quanto mirano a salvare il salvabile degli atti, evitando che vengano poste nel nulla attività dei privati pur rilevanti nella pratica. In altri termini, essi costituiscono espressione del generale principio di conservazione degli atti giuridici (espresso dai latini con la medesima utile per inutile non vitatur). Quanto agli effetti verso terzi, la nullità del contratto impedisce nei confronti di questi terzi il trasferimento della proprietà. Va, però, ricordato che, quando si tratta di cose mobili, può operare a favore dei terzi sub acquirenti la regola “possesso vale titolo” ( art. 1153 c.c), per la quale chi ottiene in buona fede la consegna di una cosa mobile in base ad un contratto idoneo a trasferirne la proprietà, ne diventa proprietario anche se il suo dante causa non ne era proprietario, avendo acquistato il bene in base ad un titolo nullo. 2.4 L’annullabilità del contratto. L’annullabilità rappresenta una figura meno grave di invalidità del contratto ( si parla, infatti, di invalidità relativa). Il contratto è annullabile, oltre che nei casi singolarmente ed espressamente previsti dalla legge, in due fondamentali ipotesi: - Quando il contratto è stato stipulato da una persona incapace di agire ( art. 1425, 1 comma , 427 e 428 c.c); - Quando la volontà contrattuale di una delle aprti si è formata in modo anormale, per l’esistenza di un vizio del consenso ( errore, violenza morale, e dolo) ( art. 1427 c.c). In ogni caso l’annullabilità, a differenza della nullità, è solo testuale. Sussiste, cioè, esclusivamente nei casi espressamente previsti dalla legge. Ne deriva che nei casi di invalidità non precisati il contratto deve considerarsi nullo. Una dottrina del passato distingueva le cause di annullabilità da quelle di nullità, osservando che la nullità dipende dalla mancanza di un elemento essenziale del contratto, mentre si avrebbe annullabilità quando un elemento essenziale, segnalatamente, la volontà esiste ma è viziata. Sembra opportuno differenziare le cause di annullabilità dalle cause di nullità attraverso due criteri: 1) La diversa natura degli interessi protetti; 2) Lo statuto sistematico delle cause di nullità e annullabilità;
  • 29. 29 Con riferimento alla diversa natura degli interessi protetti, si evidenzia che: la nullità protegge interessi tendenzialmente generali (interesse alla collettività, l’interesse di importanti categorie sociali, l’interesse alla salvaguardia delle condizioni oggettive dell’autonomia privata); L’annullabilità, invece, protegge interessi particolari ( essenzialmente l’interesse alla salvaguardia delle condizioni soggettive dell’autonomia privata, messe in crisi dalle condizioni soggettive di uno dei contraenti). Con riferimento alle cause di nullità e annullabilità, si osserva che il sistema delle cause di nullità è più flessibile, è un sistema non tipizzato e non tassativo. Conseguenza di una figura come quella di nullità virtuale, che rinvia ad una serie aperta di norme imperative e di parametri di nullità come l’ordine pubblico e buon costume, che a loro volta rimandano a criteri elastici, mutevoli, non rigidamente definiti ( clausole generali). Invece, il sistema delle cause di annullabilità è più rigido, è un sistema tendenzialmente tipico e tassativo: non esiste una ragione generale ( o virtuale ) di annullabilità, capace di aprire spazi per l’identificazione di contratti annullabili diversi rispetto alle fattispecie previste dalla legge. Il sistema delle cause di annullabilità comprende: 1) Le diverse ipotesi di incapacità di agire; 2) I vizi della volontà: errore , violenza, dolo: 3) Una serie di fattispecie particolari puntualmente previste dalla legge: il conflitto di interesse del rappresentante e la contrattazione del rappresentante con se stesso; l’atto di straordinaria amministrazione su bene della comunione ( immobile o mobile registrato) compiuto da un coniuge senza il consenso dell’altro ( art. 184 c.c); gli acquisti di determinate classi di beni da parte di determinate classi di soggetti ( art. 1471 c.c, n. 3 e 4); Nell’ambito del matrimonio, nel testamento, delle deliberazioni di assemblea, il rapporto sistematico tra annullabilità e nullità è rovesciato: la prima è virtuale, la seconda è tipizzata. (8) Relativamente all’incapacità va chiarita che rileva sia l’incapacità legale che quella naturale. Ricordiamo che l’incapacità legale è quella che deriva da minore età, interdizione giudiziale, interdizione legale o opera di diritto; l’incapacità naturale, invece, consiste in uno stato di fatto, in cui si viene a trovare il soggetto normalmente capace, anche se improvviso o temporaneo ma comunque di tale gravità da togliere la capacità di intendere e di volere e ha rilevanza giuridica solo se si fornisce la prova caso per caso. Nel primo caso ( incapacità legale), il contratto è annullabile per il solo fatto di essere stato stipulato da un incapace di agire. Nel secondo caso ( incapacità di intendere e di volere, c.d incapacità naturale), il contratto è annullabile soltanto se provoca un grave pregiudizio all’incapacità e se l’altro contraente è in mala fede, cioè è in grado di rendersi conto dello stato di incapacità della controparte ed intende approfittarne. Il contratto è inoltre annullabile quando, nel processo di formazione della volontà, siano intervenuti elementi perturbatori tali da indurre il soggetto a stipulare un contratto che altrimenti non avrebbero stipulato a condizione diverse. I vizi della volontà indicati dal codice sono l’errore, la violenza e il dolo. Si ha errore quando il contraente ignora, oppure conosce in modo sbagliato o insufficiente, situazioni determinate ai fini della decisione di stipulare o meno il contratto o comunque di stipularlo a certe condizioni. L’errore, tuttavia, non sempre è causa di annullamento del contratto, ma occorre che
  • 30. 30 sia essenziale e riconoscibile dall’altro contraente ( art. 1428 c.c). L’errore essenziale ( art. 1429 c.c) quando è determinante del consenso e cade: - Sulla natura del contratto ( ad esempio, stipulo una compravendita credendo di stipulare una locazione); - Sull’identità o sulle qualità dell’oggetto della prestazione 8 ad esempio, credo di comprare chiodi e invece acquisto viti, oppure credo di comprare un cavallo da corsa e invece compro un cavallo da tiro); - Sull’identità e qualità personali dell’altro contraente ( ad esempio, stipulo un contratto di società con il signore Tesoro credendolo un facoltoso finanziere e invece è un semplice impiegato di banca); - Sulle qualità giuridiche dell’oggetto della prestazione o della persona dell’altro contraente ( ad esempio, acquisto un terreno per costruirvi una casa nell’erronea convinzione che il piano regolatore comunale lo qualifichi come edificabile). Il solo requisito della essenzialità dell’errore non è sufficiente ai fini dell’annullamento del contratto; la legge richiede altresì, a tutela dell’affidamento dell’altro contraente, la riconoscibilità all’esterno dell’errore da parte di quest’ultimo. L’errore è riconoscibile dall’altro contraente “quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto ovvero alla qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo” (art. 1431 c.c). la disciplina dell’errore si applica soltanto ai contratti a titolo oneroso, i contratti a titolo gratuito hanno una disciplina diversa poiché non è mai richiesta la riconoscibilità, proprio perché in essi l’esigenza di tutelare l’affidamento manca del tutto oppure è considerata di scarsa importanza dalla legge. Conseguenze analoghe a quelle dell’errore costituente vizio della volontà ha anche l’errore c.d ostativo, che non si verifica nel processo di formazione della volontà contrattuale, ma nel momento della sua espressione all’esterno. Esso consiste, infatti, in una dichiarazione non conforme alla volontà 8 art. 1433 c.c) ( ad esempio, voglio acquistare 110 litri di vino, ma nell’ordine scrivo per errore 1.100); Anche l’errore ostativo porta all’annullamento solo se è essenziale e riconoscibile dall’altro contraente. L’errore di calcolo 8 come, ad esempio, quando i prezzi dei singoli beni sono indicati esattamente, ma la somma totale è sbagliata) non è, invece, causa di annullamento del contratto, ma solo di una rettifica ( art. 1430 c.c). La violenza consiste nella minaccia di un male ingiusto e notevole per cui il contraente è indotto a stipulare un contratto che altrimenti non avrebbe stipulato, oppure avrebbe stipulato a condizioni diverse ( art. 1435 c.c). La minaccia, in cui consiste la violenza morale di cui si tratta, è causa di annullamento del contratto quando, tenuto conto delle caratteristiche soggettive della persona che la subisce e della specifica situazione in cui essa concretamente si trova; sia tale “ da fare impressione sopra una persona sensata e da farle temere di esporre sé o i suoi beni a un male ingiusto e notevole”. Oltre che notevole, dunque, il male minacciato deve essere anche ingiusto, cioè causato dalla minaccia di un comportamento illecito ( ad esempio, voglio venire in possesso di un tuo bene e minacciato di farlo rubare se non me lo venderai). Si ha dolo quando un contraente è indotto da raggiri o inganni a stipulare un contratto che altrimenti non avrebbe stipulato (dolo determinante) o avrebbe stipulato a condizioni diverse (dolo incidentale) ( art. 1439 c.c). I raggiri per lo più provengono dall’altro contraente, ma potrebbero anche essere opera di un terzo; in questo caso, il contratto è annullabile solo se il contraente che se ne avvantaggia ne è a conoscenza. Se i raggiri non sono determinanti della stipulazione del contratto, ma soltanto del contenuto
  • 31. 31 di alcune sue clausole ( ad esempio, dell’ammontare del prezzo, sicché il contratto sarebbe stato ugualmente, ma ad un prezzo diverso), il contratto è valido, tuttavia, il contraente ingannato ha diritto di ottenere il risarcimento del danno così subito ( art. 1440 c.c). La violenza fisica ( o assoluta) ricorre quando un soggetto emette una manifestazione di volontà perché costretto a viva forza da un altro soggetto. Secondo la tesi tradizionale un contratto concluso in queste condizioni è assolutamente nullo ( o addirittura inesistente) in quanto manca del tutto non solo la volontà ma la stessa dichiarazione. Pertanto la violenza fisica ( vis absoluta), a differenza della violenza morale ( che non esclude la volontà del soggetto ma la limita solamente), non rientra nella disciplina dei vizi della volontà, piuttosto, si colloca nell’ambito della mancata assoluta di volontà. Questa distinzione tra violenza fisica e violenza morale è però criticata da altri studiosi secondo i quali anche la violenza fisica rientra tra i vizi della volontà che rendono il contratto annullabile, poiché anche la violenza fisica agisce sulla volontà del soggetto il quale compie un atto per sottrarsi ad un male fisico. L’unico caso in cui la violenza fisica rende il contratto radicalmente nullo 8 o inesistente) è quello in cui l’autore della violenza guidi materialmente la mano della vittima costringendola a firmare il contratto. A differenza del contratto nullo, che è totalmente privo di effetti, il contratto annullabile produce i suoi effetti sin dal momento della stipulazione, come se fosse valido. Tuttavia, il contraente incapace o quello la cui volontà è viziata, può ottenere una sentenza di annullamento con la quale il giudice fa cessare la produzione degli effetti, eliminando quelli che si sono già prodotti ( c.d efficacia retroattiva dell’annullamento). Ciò significa che le prestazioni eventualmente già eseguite divengono prive di causa giustificatrice e debbono, quindi, essere restituite secondo le norme sulla ripetizione dell’indebito ( art. 2033 ss). A differenza della nullità, l’annullamento del contratto può essere richiesto e pronunciato dal giudice solo entro cinque anni, trascorsi i quali l’azione, cioè il diritto del soggetto di agire in giudizio, si prescrive. I cinque anni decorrono, a seconda dei casi, dal momento dell’acquisto della capacità di agire o dal momento della stipulazione oppure dal moemnto in cui sono stati scoperti l’errore o il dolo o è cessata la violenza ( art. 1442 c.c). L’annullamento del contratto, inoltre, può essere richiesto soltanto dal contraente che lo ha stipulato in stato di incapacità o la cui volontà era viziata ( art. 1441, 1 comma). L’annullamento non può, invece, essere rilevata d’ufficio dal giudice, il quale può pronunciare l’annullamento solo se vi è stato richiesta della parte interessata. Il contratto annullabile, a differenza di quello nullo, può essere convalidato ( art. 1444). Quanto agli effetti verso i terzi, la legge stabilisce, a tutela del loro affidamento, che l’annullamento, se non dipende da incapacità legale, non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede. In tutti gli altri casi, cioè quando l’annullamento è dovuto ad incapacità legale oppure quando il terzo acquirente è in mala fede o quando il terzo acquista a titolo gratuito, la legge non considera l’affidamento del terzo degno di tutela, sicché la disciplina dell’opponibilità a quella già vista per la nullità. La convalida è un atto unilaterale, mediante il quale la parte che può chiedere l’annullamento dichiara che, malgrado l’esistenza del motivo di annullabilità, vuole eseguire il contratto come se fosse valido. La dichiarazione può essere sostituita dalla spontanea esecuzione, purché risulta la conoscenza del motivo di annullabilità del contratto.