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Pd community e sistemi mediatici. 
Per parlare della pd community, di questo strumento di partecipazione politica online, non si può non accennare brevemente al rapporto fra comunicazione politica e internet, come non si può parlare di community se non abbiamo chiaro il concetto di comunità politica, ovvero di tutti quei soggetti che fanno parte del sistema politico, vi si adattano, vi si interessano e soprattutto partecipano. 
E in che modo la comunità partecipa al sistema politico? Aderendo a un partito, mobilitandosi per una causa, raccogliendo firme per un referendum, votare, o convincere qualcun altro a votare. 
La comunità politica ormai possiamo dire da dieci anni circa in Italia si è spostata in uno spazio iper ovvero internet. 
In che modo la comunità partecipa online? E chiediamoci in che forme internet può influenzare la partecipazione politica? Nella misura in cui determina dei cambiamenti nella circolazione dell’informazione politica, nelle forme di comunicazione, e nella configurazione della sfera pubblica. 
La comunicazione online non è più top down, di tipo propagandistico, dall’alto verso il basso, ma orizzontale, di tipo collaborativo, è bottom up. Il leader non trascina ma coinvolge i suoi sostenitori ognuno è partecipe e protagonista e la campagna ce lo chiedi tu ed i manifesti della campagna per le europee, dove tutti abbiamo messo la faccia accanto quella dei candidati, lo dimostrano. 
Ma bisogna dire anche che la community non è qualcosa di astratto. Dietro lo schermo vi è una vera e propria comunità politica, del resto chi si interessa di politica sul proprio territorio lo fa anche online. 
Una comunità che diffonde, cito Henry Jenkins uno dei più autorevoli studiosi di media, che riferendosi al contenuto di un prodotto, di un messaggio dice “se non si diffonde è morto”. 
La community del pd ha fatto proprio questo, ha diffuso i contenuti online, li ha prodotti, ha analizzato i dati, ha fatto fact checking, è scesa direttamente in piazza ed ha cercato di influenzare la propria cerchia di amici e conoscenti sul territorio. 
Si potrebbe anche obiettare che è vero che non tutti gli italiani sono online, verissimo, ma la community ha cercato di portare sul territorio ciò di cui si discuteva online, non si è chiusa e non si è nascosta dietro a uno schermo, ma anzi ha cercato di raccontare la propria storia, ha contribuito alla narrazione attraverso le proprie emozioni di cosa ci si aspettava dalla campagna elettorale.
Ma a cosa serve raccontare? Raccontare serve proprio a sentirsi parte di una comunità, a condividere le proprie idee, le proprie emozioni. La politica deve tornare a emozionare, deve stimolare a essere in piazza e questo non può avvenire se non altro con l’identificazione di ciascuno di noi con un’idea, con un progetto. Del resto anche studi di neuroscienze dimostrano che si vota per il candidato che suscita i sentimenti migliori (Westen). 
I primi motori dell’informazione siamo noi, noi e la nostra comunità. 
Poi certo è innegabile il ruolo dei media, ma non tanto dei social media ma dei mass media, i media tradizionali, infatti facendo un passo indietro, visto che si parla tanto di disintermediazione, parliamo di mediazione: con mediatizzazione della politica si intende porre l’accento sulla rilevanza che i mass media ricoprono nella società e nella loro capacità di plasmare le nostre opinioni. I media hanno bisogno della politica e viceversa. I media, e il mezzo televisivo in particolar modo, ridefiniscono i confini della comunicazione politica, pertanto le campagne moderne vengono definite “Media Campaign”. Il linguaggio dei candidati cerca di adattarsi a quello dell’audiovisivo e inizia ad affermarsi la figura del consulente politico che cerca di interpretare i sondaggi di opinione e di costruire messaggi appetibili agli elettori e facilmente veicolabili dai media. Si sviluppa quella che Altheide e Snow hanno definito la logica dei media, secondo la quale i media imporrebbero dei vincoli di formato e di linguaggio a chiunque voglia utilizzarli per trasmettere un messaggio. 
A partire dagli anni Settanta, infatti, grazie alla riforma nel settore radiotelevisivo, alla crescente centralità del ruolo svolto dai mass media, si parla in merito di mediatizzazione, ed in generale alla configurazione di una società sempre più complessa dove l’identità sociale è sempre più plasmata sui consumi, il partito di massa inizia a perdere quella funzione di rappresentanza e di dialogo con gli elettori. Si assiste al declino della partecipazione politica e al ridimensionamento delle classi sociali di elezione: il lavoro non costituisce più elemento di identificazione tantomeno risulta rappresentativo di una particolare ideologia. Pertanto si afferma il voto di opinione, ovvero ci si distacca appunto dalle ideologie di appartenenza per valutare i programmi e soprattutto le caratteristiche personali del candidato, per il quale diviene importante prestare attenzione anche ai nuovi interlocutori al di fuori delle tradizionali aree sociali e persuadere gli indecisi. Va a delinearsi, in altre parole, quel modello che Bernard Manin ha definito “democrazia del pubblico”. Basta accendere la tv e guardare un tg o sfogliare le prime pagine di un giornale per rendersene conto. Se non che, con l’avvento dei media digitali i più entusiasti, non solo hanno iniziato a parlare di rivoluzione, anche in comunicazione politica, hanno creduto che la rete potesse divenire la panacea di tutti i mali, quello strumento che
potesse consentire di alleviare il peso della disaffezione dei cittadini nei confronti della politica. Dalla mediatizzazione alla disintermediazione il salto sembrerebbe breve. Si direbbe che grazie a siti, social network, e blog finalmente il politico è più vicino al cittadino. Sarà pure cosi, ma ritorno alla domanda: disintermediazione per chi? Basta ricordare semplicemente, stando ai dati forniti dal Censis, che giusto un anno e mezzo fa solo l’8,7% ha scelto blog, forum di discussione, Facebook, etc. per acquisire informazioni su chi scegliere di votare alle elezioni, contro il 55% che ha preferito i telegiornali. Peraltro una percentuale che supera anche i canali di approfondimento (36,8%) la si riscontra nel confronto con parenti e amici (43,9%). Questi dati congiuntamente a quelli inerenti al digital divide e alle disuguaglianze digitali nel nostro paese spingono ad una considerazione meno entusiasta di quella propagandata da molti. Secondo i recenti dati Eurostat del terzo trimestre 2013 il 34% degli italiani non ha mai usato internet, si parla pertanto di analfabetismo digitale, ed il 69% delle famiglie risulta connessa ed il 54% di queste vi accede ogni giorno. Poi, ci si potrebbe chiedere anche se gli strumenti digitali abbiamo migliorato la formazione delle opinioni politiche. A questa domanda risponderebbe sempre la stessa indagine censis dello scorso anno: il 56,3% sostiene di non aver notato alcun miglioramento. Si noti, inoltre, come viviamo in un contesto di ibridità mediatica (A.Chadwick "Hyrbrid Media Sistem, 2013) dove gli "old media" influenzano i "new media" e viceversa. La comunicazione politica è in una fase di transizione. Mentre la comunicazione di massa rimane ancora al centro della vita pubblica, l’essenza della politica mediata è in rapida evoluzione e viene spinta e tirato in molteplici direzioni da molteplici attori. Alcune di queste forze sono contraddittorie, alcune sono integranti; tutte sono generative di un’ibridità sistemica (A.Chadwick) Political communication is in transition. While broadcasting still remains at the heart of public life, the nature of mediated politics is evolving rapidly and is being pushed and pulled in multiple directions by multiple actors. Some of these forces are contradictory, some are integrative; all are generative of systemic hybridity.
In “The hybrid media system. Politics and Power” Andrew Chadwick, Professore di Scienze Politiche e Co-Director del New Political Communication Unit presso la Royal Holloway (Università di Londra), propone il concetto di “Ibridità” per pensare e ripensare i rapporti fra media, politica e società, e le loro possibili interazioni. Un processo, oltre che un concetto, che esprime simultaneamente integrazione e frammentazione. In altre parole integrazione fra quelli che sono definiti vecchi e nuovi media, fra media e attori politici, e frammentazione dei contenuti su più canali. L’autore sostiene che il concetto di “Media Logic”, introdotto da Altheide e Snow (1979), secondo il quale i media imporrebbero dei vincoli di formato e di linguaggio a chiunque voglia utilizzarli, soprattutto ai politici, per trasmettere un messaggio, avrebbe ad oggi delle limitazioni. Rispetto al secolo scorso, infatti, il sistema mediatico è molto più diverso, è più «frammentato e policentrico, e le nuove pratiche si sono sviluppate fuori dalla crescita della comunicazione digitale». I politici, negli ultimi anni, si andrebbero ad adeguare al cambiamento del sistema dei media come quest’ultimo si andrebbe ad adattare ai primi, al fine di rispondere entrambi alle rispettive sfide e possibilità che un nuovo sistema, appunto ibrido, proporrebbe. Si legge quindi che: (…) mentre la logica dei media ha avuto un influsso sulla condotta della politica questa logica può essere capita al meglio non come forza che si emana dai media e quindi agisce sulla politica, ma piuttosto come una forza che è co-creata dai media, dagli attori politici e dal pubblico.
(…) while media logic has had an influence on the conduct of politics this logic is best seen, not as force that emanates from media and then acts upon politics, but rather as a force that is co-created by media, political actors and publics. Possiamo rintracciare elementi di questa nuova logica anche nel contesto italiano, dove, come altrove, la notizia è più frammentata e il cosiddetto “pubblico” è diventato oltre che fruitore “produttore” di contenuti? Grazie alle nuove tecnologie si è creata un’interdipendenza fra media ed attori politici? Innanzitutto, il concetto di convergenza si riscontra già in Jenkins (2007), un processo caratterizzato dal flusso e dalla convergenza appunto del contenuto su più piattaforme. Un luogo astratto, ma non troppo, dove il potere dei media e quello dei consumatori-produttori si scontra, proponendo scenari in cui lo spettatore diventa sempre più protagonista. Possiamo dire che in realtà più che nuovi media o media digitali forse è il caso di parlare di «renewed media» (O’Loughlin 2010) in quanto “i vecchi” riadatterebbero le loro pratiche secondo le logiche dei ”nuovi”. Logiche basate soprattutto sull’interattività e sull’engagement. Basti pensare al giornalismo, alle forme con cui si è adatto nel suo “formato” online, alla possibilità dell’utente di condividere sui canali social le notizie e commentarne il contenuto. Dinamica che con i tradizionali mezzi broadcast era impossibile. Si pensi ancora a come gli attori politici sul web, sui social network in particolar modo, ed in tv tendano sempre di più a parlare un linguaggio più mediatico, semplice, che colpisca, che parli “alla pancia” della gente, meno politichese e più appetibile a giornalisti e anchorman dei più svariati programmi di infotainment. A tutto ciò va ad aggiungersi il buzz creato dagli spettatori di questi programmi tv grazie ai consueti e ormai irrinunciabili live-tweeting, ovvero il commento in diretta su Twitter riguardo lo svolgimento e l’andamento del dibattito, e da tutta quella sfera di blogger ed influencer che esprimono la loro opinione e la propria visione su un politico, su un determinato argomento, su una proposta. Una sfera che si affianca, non si scontra, con il giornalismo tradizionale che anzi, appare sempre più disponibile, ad ospitare nelle varie testate online, blogger particolarmente seguiti o esperti di una determinata tematica. E chi, infine, non ha notato come da un anno circa, i telegiornali mandino in onda i Tweet dei politici? Tweet che si trasformano in realtà in piccoli comunicati stampa. 140 caratteri notiziabili, ma soprattutto brevi e dunque perfettamente fruibili dai media tradizionali. A differenza di quest’ultimi, i media digitali pongono al centro le persone, l’intelligenza collettiva che interagisce con i classici detentori del potere, la politica e la stampa, inserendosi sempre più nelle loro dinamiche fino a diventarne anch’essi protagonisti e soggetti attivi, anch’essi produttori, oltre che consumatori, di contenuti. Non va comunque dimenticato il fatto che come altri studiosi hanno evidenziato (Boccia Artieri 2013) il tasso di partecipazione politica o l’indice di gradimento, se così può essere definito, di un politico o di un partito non può essere misurato esclusivamente con un like su Facebook o con un Retweet su Twitter. Internet e la digitalizzazione della comunicazione hanno permesso ai tre attori della comunicazione politica di reinventarsi e di influenzarsi a vicenda aprendo nuovi imprevedibili scenari.
Pd community e sistemi mediatici

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Pd community e sistemi mediatici

  • 1. Pd community e sistemi mediatici. Per parlare della pd community, di questo strumento di partecipazione politica online, non si può non accennare brevemente al rapporto fra comunicazione politica e internet, come non si può parlare di community se non abbiamo chiaro il concetto di comunità politica, ovvero di tutti quei soggetti che fanno parte del sistema politico, vi si adattano, vi si interessano e soprattutto partecipano. E in che modo la comunità partecipa al sistema politico? Aderendo a un partito, mobilitandosi per una causa, raccogliendo firme per un referendum, votare, o convincere qualcun altro a votare. La comunità politica ormai possiamo dire da dieci anni circa in Italia si è spostata in uno spazio iper ovvero internet. In che modo la comunità partecipa online? E chiediamoci in che forme internet può influenzare la partecipazione politica? Nella misura in cui determina dei cambiamenti nella circolazione dell’informazione politica, nelle forme di comunicazione, e nella configurazione della sfera pubblica. La comunicazione online non è più top down, di tipo propagandistico, dall’alto verso il basso, ma orizzontale, di tipo collaborativo, è bottom up. Il leader non trascina ma coinvolge i suoi sostenitori ognuno è partecipe e protagonista e la campagna ce lo chiedi tu ed i manifesti della campagna per le europee, dove tutti abbiamo messo la faccia accanto quella dei candidati, lo dimostrano. Ma bisogna dire anche che la community non è qualcosa di astratto. Dietro lo schermo vi è una vera e propria comunità politica, del resto chi si interessa di politica sul proprio territorio lo fa anche online. Una comunità che diffonde, cito Henry Jenkins uno dei più autorevoli studiosi di media, che riferendosi al contenuto di un prodotto, di un messaggio dice “se non si diffonde è morto”. La community del pd ha fatto proprio questo, ha diffuso i contenuti online, li ha prodotti, ha analizzato i dati, ha fatto fact checking, è scesa direttamente in piazza ed ha cercato di influenzare la propria cerchia di amici e conoscenti sul territorio. Si potrebbe anche obiettare che è vero che non tutti gli italiani sono online, verissimo, ma la community ha cercato di portare sul territorio ciò di cui si discuteva online, non si è chiusa e non si è nascosta dietro a uno schermo, ma anzi ha cercato di raccontare la propria storia, ha contribuito alla narrazione attraverso le proprie emozioni di cosa ci si aspettava dalla campagna elettorale.
  • 2. Ma a cosa serve raccontare? Raccontare serve proprio a sentirsi parte di una comunità, a condividere le proprie idee, le proprie emozioni. La politica deve tornare a emozionare, deve stimolare a essere in piazza e questo non può avvenire se non altro con l’identificazione di ciascuno di noi con un’idea, con un progetto. Del resto anche studi di neuroscienze dimostrano che si vota per il candidato che suscita i sentimenti migliori (Westen). I primi motori dell’informazione siamo noi, noi e la nostra comunità. Poi certo è innegabile il ruolo dei media, ma non tanto dei social media ma dei mass media, i media tradizionali, infatti facendo un passo indietro, visto che si parla tanto di disintermediazione, parliamo di mediazione: con mediatizzazione della politica si intende porre l’accento sulla rilevanza che i mass media ricoprono nella società e nella loro capacità di plasmare le nostre opinioni. I media hanno bisogno della politica e viceversa. I media, e il mezzo televisivo in particolar modo, ridefiniscono i confini della comunicazione politica, pertanto le campagne moderne vengono definite “Media Campaign”. Il linguaggio dei candidati cerca di adattarsi a quello dell’audiovisivo e inizia ad affermarsi la figura del consulente politico che cerca di interpretare i sondaggi di opinione e di costruire messaggi appetibili agli elettori e facilmente veicolabili dai media. Si sviluppa quella che Altheide e Snow hanno definito la logica dei media, secondo la quale i media imporrebbero dei vincoli di formato e di linguaggio a chiunque voglia utilizzarli per trasmettere un messaggio. A partire dagli anni Settanta, infatti, grazie alla riforma nel settore radiotelevisivo, alla crescente centralità del ruolo svolto dai mass media, si parla in merito di mediatizzazione, ed in generale alla configurazione di una società sempre più complessa dove l’identità sociale è sempre più plasmata sui consumi, il partito di massa inizia a perdere quella funzione di rappresentanza e di dialogo con gli elettori. Si assiste al declino della partecipazione politica e al ridimensionamento delle classi sociali di elezione: il lavoro non costituisce più elemento di identificazione tantomeno risulta rappresentativo di una particolare ideologia. Pertanto si afferma il voto di opinione, ovvero ci si distacca appunto dalle ideologie di appartenenza per valutare i programmi e soprattutto le caratteristiche personali del candidato, per il quale diviene importante prestare attenzione anche ai nuovi interlocutori al di fuori delle tradizionali aree sociali e persuadere gli indecisi. Va a delinearsi, in altre parole, quel modello che Bernard Manin ha definito “democrazia del pubblico”. Basta accendere la tv e guardare un tg o sfogliare le prime pagine di un giornale per rendersene conto. Se non che, con l’avvento dei media digitali i più entusiasti, non solo hanno iniziato a parlare di rivoluzione, anche in comunicazione politica, hanno creduto che la rete potesse divenire la panacea di tutti i mali, quello strumento che
  • 3. potesse consentire di alleviare il peso della disaffezione dei cittadini nei confronti della politica. Dalla mediatizzazione alla disintermediazione il salto sembrerebbe breve. Si direbbe che grazie a siti, social network, e blog finalmente il politico è più vicino al cittadino. Sarà pure cosi, ma ritorno alla domanda: disintermediazione per chi? Basta ricordare semplicemente, stando ai dati forniti dal Censis, che giusto un anno e mezzo fa solo l’8,7% ha scelto blog, forum di discussione, Facebook, etc. per acquisire informazioni su chi scegliere di votare alle elezioni, contro il 55% che ha preferito i telegiornali. Peraltro una percentuale che supera anche i canali di approfondimento (36,8%) la si riscontra nel confronto con parenti e amici (43,9%). Questi dati congiuntamente a quelli inerenti al digital divide e alle disuguaglianze digitali nel nostro paese spingono ad una considerazione meno entusiasta di quella propagandata da molti. Secondo i recenti dati Eurostat del terzo trimestre 2013 il 34% degli italiani non ha mai usato internet, si parla pertanto di analfabetismo digitale, ed il 69% delle famiglie risulta connessa ed il 54% di queste vi accede ogni giorno. Poi, ci si potrebbe chiedere anche se gli strumenti digitali abbiamo migliorato la formazione delle opinioni politiche. A questa domanda risponderebbe sempre la stessa indagine censis dello scorso anno: il 56,3% sostiene di non aver notato alcun miglioramento. Si noti, inoltre, come viviamo in un contesto di ibridità mediatica (A.Chadwick "Hyrbrid Media Sistem, 2013) dove gli "old media" influenzano i "new media" e viceversa. La comunicazione politica è in una fase di transizione. Mentre la comunicazione di massa rimane ancora al centro della vita pubblica, l’essenza della politica mediata è in rapida evoluzione e viene spinta e tirato in molteplici direzioni da molteplici attori. Alcune di queste forze sono contraddittorie, alcune sono integranti; tutte sono generative di un’ibridità sistemica (A.Chadwick) Political communication is in transition. While broadcasting still remains at the heart of public life, the nature of mediated politics is evolving rapidly and is being pushed and pulled in multiple directions by multiple actors. Some of these forces are contradictory, some are integrative; all are generative of systemic hybridity.
  • 4. In “The hybrid media system. Politics and Power” Andrew Chadwick, Professore di Scienze Politiche e Co-Director del New Political Communication Unit presso la Royal Holloway (Università di Londra), propone il concetto di “Ibridità” per pensare e ripensare i rapporti fra media, politica e società, e le loro possibili interazioni. Un processo, oltre che un concetto, che esprime simultaneamente integrazione e frammentazione. In altre parole integrazione fra quelli che sono definiti vecchi e nuovi media, fra media e attori politici, e frammentazione dei contenuti su più canali. L’autore sostiene che il concetto di “Media Logic”, introdotto da Altheide e Snow (1979), secondo il quale i media imporrebbero dei vincoli di formato e di linguaggio a chiunque voglia utilizzarli, soprattutto ai politici, per trasmettere un messaggio, avrebbe ad oggi delle limitazioni. Rispetto al secolo scorso, infatti, il sistema mediatico è molto più diverso, è più «frammentato e policentrico, e le nuove pratiche si sono sviluppate fuori dalla crescita della comunicazione digitale». I politici, negli ultimi anni, si andrebbero ad adeguare al cambiamento del sistema dei media come quest’ultimo si andrebbe ad adattare ai primi, al fine di rispondere entrambi alle rispettive sfide e possibilità che un nuovo sistema, appunto ibrido, proporrebbe. Si legge quindi che: (…) mentre la logica dei media ha avuto un influsso sulla condotta della politica questa logica può essere capita al meglio non come forza che si emana dai media e quindi agisce sulla politica, ma piuttosto come una forza che è co-creata dai media, dagli attori politici e dal pubblico.
  • 5. (…) while media logic has had an influence on the conduct of politics this logic is best seen, not as force that emanates from media and then acts upon politics, but rather as a force that is co-created by media, political actors and publics. Possiamo rintracciare elementi di questa nuova logica anche nel contesto italiano, dove, come altrove, la notizia è più frammentata e il cosiddetto “pubblico” è diventato oltre che fruitore “produttore” di contenuti? Grazie alle nuove tecnologie si è creata un’interdipendenza fra media ed attori politici? Innanzitutto, il concetto di convergenza si riscontra già in Jenkins (2007), un processo caratterizzato dal flusso e dalla convergenza appunto del contenuto su più piattaforme. Un luogo astratto, ma non troppo, dove il potere dei media e quello dei consumatori-produttori si scontra, proponendo scenari in cui lo spettatore diventa sempre più protagonista. Possiamo dire che in realtà più che nuovi media o media digitali forse è il caso di parlare di «renewed media» (O’Loughlin 2010) in quanto “i vecchi” riadatterebbero le loro pratiche secondo le logiche dei ”nuovi”. Logiche basate soprattutto sull’interattività e sull’engagement. Basti pensare al giornalismo, alle forme con cui si è adatto nel suo “formato” online, alla possibilità dell’utente di condividere sui canali social le notizie e commentarne il contenuto. Dinamica che con i tradizionali mezzi broadcast era impossibile. Si pensi ancora a come gli attori politici sul web, sui social network in particolar modo, ed in tv tendano sempre di più a parlare un linguaggio più mediatico, semplice, che colpisca, che parli “alla pancia” della gente, meno politichese e più appetibile a giornalisti e anchorman dei più svariati programmi di infotainment. A tutto ciò va ad aggiungersi il buzz creato dagli spettatori di questi programmi tv grazie ai consueti e ormai irrinunciabili live-tweeting, ovvero il commento in diretta su Twitter riguardo lo svolgimento e l’andamento del dibattito, e da tutta quella sfera di blogger ed influencer che esprimono la loro opinione e la propria visione su un politico, su un determinato argomento, su una proposta. Una sfera che si affianca, non si scontra, con il giornalismo tradizionale che anzi, appare sempre più disponibile, ad ospitare nelle varie testate online, blogger particolarmente seguiti o esperti di una determinata tematica. E chi, infine, non ha notato come da un anno circa, i telegiornali mandino in onda i Tweet dei politici? Tweet che si trasformano in realtà in piccoli comunicati stampa. 140 caratteri notiziabili, ma soprattutto brevi e dunque perfettamente fruibili dai media tradizionali. A differenza di quest’ultimi, i media digitali pongono al centro le persone, l’intelligenza collettiva che interagisce con i classici detentori del potere, la politica e la stampa, inserendosi sempre più nelle loro dinamiche fino a diventarne anch’essi protagonisti e soggetti attivi, anch’essi produttori, oltre che consumatori, di contenuti. Non va comunque dimenticato il fatto che come altri studiosi hanno evidenziato (Boccia Artieri 2013) il tasso di partecipazione politica o l’indice di gradimento, se così può essere definito, di un politico o di un partito non può essere misurato esclusivamente con un like su Facebook o con un Retweet su Twitter. Internet e la digitalizzazione della comunicazione hanno permesso ai tre attori della comunicazione politica di reinventarsi e di influenzarsi a vicenda aprendo nuovi imprevedibili scenari.