1. Etna, una terra di conquista. Sono stati lungimiranti quei
produttori Toscani che già da circa un decennio hanno
piantato radici acquistando terre e antichi palmenti sul
Vulcano. Avendo capito perfettamente le potenzialità di
questo nostro grande territorio. Fra questi c’è Marco De
Grazia, Toscano di adozione nato a Washington.
Il vulcano più grande d’Europa, e tra i più attivi al mondo, nei
giorni scorsi ha dato spettacolo con fenomeni parossistici
(fontane di lava), mettendo in evidenza come queste sue
frequenti attività eruttive possono portare benefici e
trasformazioni nel suolo delle quote coltivato a vite. Ad oggi,
nelle aree della vitivinicoltura eroica delle pendici del vulcano,
sono state classificate 46 tipologie di suolo che si diversificano,
sommariamente, per differenti proprietà dei corpi dello stesso e
capacità nutrizionali per i raccolti. Anche per queste attività
eruttive così frequenti, il numero di classificazioni tenderà
sempre più ad aumentare. Gli ultimi parossismi si sono scaturiti
dal “pit-crater” posto nel basso versante orientale del cono del
Cratere di Sud-Est. Ultimo nato (5 Aprile 1971) ed è il più attivo
dei quattro crateri sommitali. La Voragine e la Bocca Nuova si sono formati all’interno del
Cratere Centrale rispettivamente nel 1945 e 1968; ed il Cratere di Nord- Est (1911) che è il
punto più alto del vulcano, 3330 metri,s.l.m., L’Etna ricopre un’area di oltre 1100 km2.
Dalla fine degli anni ‘70 c’è stato un sostanziale incremento di attività vulcaniche. Dal 1995 al
2001 sono stati stimati circa 150 parossismi che hanno generato magma e grandi quantità di
ceneri. Per la vitivinicoltura eroica che regna sulle pendici del parco dell’Etna, le ricadute di
ceneri sul suolo sono una vera e propria manna! Queste, apportano nuova linfa al suolo, ed è
uno dei fattore nutrizionali che imprime tipicità nelle produzioni di vino di qualità che si creano
lì.
Le ceneri si formano all’interno dei crateri dove l’attività esplosiva
si produce per l’espansione dei gas contenuti nel magma
provocandone la frammentazione in diversi prodotti detti anche
tephra o piroclastici che si diversificano per le loro dimensioni in:
bombe > di 64 mm, lapilli tra 2 e 64 mm e ceneri < 2 mm. Le
frazioni fini di questi materiali eruttivi sono trasportate dal vento
anche a distanze considerevoli per poi precipitare al suolo per
effetto gravitazionale. In base alla direzione in cui spirano i venti,
questi andranno ad incrementare, come se fosse una doccia
energetica di sostanze minerali, il suolo di aree o zone del
comprensorio etneo e non solo, ogni volta differenti. Però le
ceneri, spesso, provocano disaggi nelle aree urbanizzate, danni
alle strutture, al territorio e alle specie botaniche. Nell’uomo le
particelle inferiori a 10 micron possono causare irritazioni agli occhi, alla cute e alle vie
respiratorie.
Pedologicamente, le precipitazioni di questi materiali eruttivi (lapilli
e ceneri) porta un nuovo imprinting di tipicità territoriale nella
vitivinicoltura etnea. Le formazioni di depositi “piroclastici” da
caduta, possono essere anche di notevoli volumi. Questi, si vanno a
depositare sopra i precedenti strati di rocce magmatiche e ceneri,
in un suolo già ricco di oligominerali come: ferro, calcio, potassio,
fosforo, magnesio e manganese, incrementando e rendendo il
corpo dello stesso più dinamico per averlo arricchito ancora di più
di nuove sostanze minerali.
2. Quando il magma fuoriesce dalla bocca eruttiva si raffredda e
inizia a cristallizzare i vari minerali in una sequenza logica che
segue un ordine ben preciso. Alle più alte temperature si
cristallizzano i minerali stabili contenenti: magnesio, ferro e
calcio; dopodiché si formano altri minerali che contengono:
sodio, potassio e il quarzo.
Da analisi di laboratorio svolte su campioni di ceneri dell’ultimo
parossismo, raccolte nelle vicinanze dei crateri sommitali ma
anche a notevole distanza da questi, si evince che sono
particelle juvenili dal carattere primordiale rappresentate da
sideromelano (vetro di composizione Basaltica) e tachilite (vetro vulcanico di colore verde
scuro, bruno o nero, di natura basica, contenente numerosi cristallini). In buona sostanza è
sabbia lavica che trasferisce sensazioni organolettiche di tipicità territoriale uniche ai vini
dell’Etna. Queste caratteristiche di tipicità che si riscontrano nei vini del vulcano, in effetti, non
è nient’altro che quello che è alla ricerca il consumatore disponibile all’acquisto che si è ormai
quasi trasformato nel consumatore consapevole e attento all’autenticità del prodotto. Questa
tipologia di sabbia-ghiaia-lavica, così particolare nel suo genere, rende i vini del vulcano
strutturati, complessi, longevi e dalle caratteristiche organolettiche-territoriali-mineral-laviche
uniche e distinguibili.
In Italia esistono altre zone vitivinicole da territorio vulcanico che riescono a fare esprimere
alle proprie produzioni di vino, caratteristiche territoriali di tipicità “similari”al nostro Etna;
sono: Vulture, Campi Flegrei, Soave, Eolie, Pantelleria, ecc… Anche qui, il suolo lavico riesce a
fare la differenza, regalando caratteristiche di tipicità ai vini. Però l’Etna, con le sue attività
parossistiche “frequenti” che si ripetono quasi costantemente negli anni e con le emissioni di
magma e ceneri che hanno proprietà chimico-fisiche spesso differenti. Perché,
sommariamente, queste, si diversificano anche in funzione da quale dei condotti del vulcano
risale il magma (centrale, eccentrico, laterale). In buona sintesi, il suolo dove viene coltivata la
vite nelle pendici del parco dell’Etna ha una marcia in più. Il terroir Etna è come se fosse una
fuori serie sempre accesa con la marcia in più già ingranata.
Sulle pendici nord del vulcano Etna a quota 650/700
metri s.l.m., nel comune di Castiglione si trova la Tenuta
delle Terre Nere. Il produttore, nonché
agronomo/enologo Marco De Grazia conosce molte bene
le condizioni particolari che offre il terroir Etna e le
caratteristiche di tipicità che si ottengono dalle uve a
dimora in questo suolo. Inoltre, con l’altitudine, le
escursioni termiche, ed aggiungendo gli scrupolosi lavori
in vigna, in cantina, sommando anche la passione e l’amore su quello su cui ci si pone, si
possono ottenere dei grandi lavori (vini). Produce in tre cru: Guardiola, Calderara e Feudo di
Mezzo, vini biologici certificati.
L’Azienda fu fondata nel 2002 e nel 2004 diventa autosufficiente dopo avere realizzato
la propria cantina. La superficie totale vitata è di 22 ettari. Nerello Mascalese (18.50),
Nerello Cappuccio (1), Carricante (2), Inzolia e Catarratto (0.50).
Il Cru Feudo di Mezzo - Il quadro delle Rose - ha una
superficie di 1.35 ettari ed una resa di 60 quintali per
ettaro. Prende il nome dalle forme pressoché quadrate dei
terrazzamenti con i muri di contenimento a secco di pietra
lavica. Nel perimetro delle terrazze sono coltivate le rose
che adornano come una cornice il “quadro” che all’interno
raffigura la natura viva dei ceppi di vite. Le rose
abbelliscono il cru con delle pennellate di colore, ma
3. servono anche da indicatori di malattie fungine (oidio). Essendo più sensibili della vite. Il
sistema di allevamento è il tipico alberello etneo sostenuto dal palo di castagno. I ceppi hanno
un’età compresa fra i 45 e 75 anni. l’Azienda vanta , nel cru in Contrada Calderara, 1 ettaro di
ceppi di vite di piede franco che, sono stati stimati avere un’età che si aggira sui 130 anni
(vigneto impiantato nel 1870), da questi si estrae un nettare di vino, il Prephylloxera.
L’Etna Rosso Doc 2008 Feudo di Mezzo il “Quadro delle Rose” è
composto da Nerello Mascalese per il 98% e Nerello Cappuccio
2%. Fermentazione con macerazione sulle bucce per 10-15
giorni, malolattica e maturazione in barriques di rovere per il
30%, di cui la metà di I° passaggio (15%). Ancora, il 35% in
Tonneaux di 500 e 700 lt., e il restante 35% in botti di 20/30
ettolitri dell’artigiano Austriaco Franz Stockinger. Imbottigliato
dopo 18 mesi senza essere filtrato. Bottiglie prodotte 8500.
Nel bicchiere si presenta rosso rubino brillante e penetrabile. Entra al
naso gentile ed aggraziato per nulla impetuoso regalando un
immediato ed ampio ventaglio olfattivo tipico territorial-etneo molto
intrigante. Odora di rose e acqua di rose con tratti mentolati.
Sprigiona ciliegia con intrecci di sensazioni mineral-laviche spinte a
galla da un sottofondo marino di alghe, acciuga sotto sale con ritorni
di acqua di rose. Non è ruffiano, è elegante di suo! Più sta nel calice
e più le sensazioni olfattive escono da esso. Mi regala anche un bel
sorriso, perché esce dal bicchiere come in una magia e come se
fosse il cappello a cilindro di un mago, il profumo del bucato ben
pulito steso al vento e al sole. Ha un delicato odore-erbaceo di foglia
di gelso, noce moscata e alloro, sfumature delicate di piacevoli
sentori eterei di smalti, prugna e un po’ di caramello. Più si ascolta e
più è intrigante!
In bocca si adagia come la seta e si apre con un bel tannino di grana fine, rarefatto e al cacao.
E’ lungo, costante, minerale è succulente. Viene sempre voglia di riadagiarlo sulle labbra, ma
non si può fare a meno di ripassarlo sotto al naso per cercare di esplorare nuove sensazioni.
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