1. Innanzitutto un breve cenno sulla mia esperienza: sono cresciuta all’estero e mi sono formata in tre
diversi sistemi d’istruzione: quello belga, francese e anglo-sassone, ho insegnato 20 anni in licei
statali italiani e due anni all’università di Hong Kong (2010-12). Ho quindi una visione più ampia e
oggettiva delle differenze tra questi sistemi e quello italiano. La differenza fondamentale è che in
tutti i paesi in cui ho vissuto e insegnato il concetto: “i futuri cittadini si formano a scuola” è il
principio cardine su cui sono imperniati tutti i corsi, i programmi, i testi scolastici e la stessa
formazione dei docenti. In Italia questo concetto esiste solo a parole ma non è mai stato alla base di
una ri-organizzazione strutturale e organica della scuola.
Da anni sostengo che il principale aspetto critico della società italiana, oggi e in passato, è l’assenza
di una coscienza civica collettiva. Questa criticità è riconosciuta, e deplorata, dalla maggior parte
dei cittadini italiani. Tuttavia, di solito si commette un errore banale ma sostanziale, cioè si imputa
questa manchevolezza a varie cause che avrebbero portato i cittadini a disamorarsi delle proprie
istituzioni e del proprio paese, senza considerare invece che è proprio questa la causa alla base di
tutti i problemi dell’Italia. In pratica si confonde l’effetto con la causa. E’ il disinteresse per il
proprio paese, la diffidenza verso i propri concittadini che ingenera i comportamenti che esecriamo
a parole ma di cui ci rendiamo, in qualche modo, tutti colpevoli. La crisi di oggi è il frutto di un
male antico; se la classe dirigente e i politici fanno prevalere i loro interessi privati è perché, come
tutti gli italiani, non sono stati educati ad anteporre il bene comune. L’amore e la lealtà verso il
proprio paese e i propri compatrioti non è un sentimento che nasce spontaneamente, deve essere
insegnato e coltivato.
Per molti italiani patriottismo è sinonimo di nazionalismo. Lo giudicano un sentimento retorico,
antiquato e stucchevole, inadeguato in un’epoca di europeizzazione e di globalizzazione. Niente di
più sbagliato. Abbiamo tutti bisogno di sentirci parte di una entità che amiamo, ammiriamo e
rispettiamo. Il patriottismo sano, libero da isterie e manie di grandezza, genera forza, fiducia e
autostima, accoglie l’estraneo e il “diverso” non lo respinge, riconosce la piena legittimità e dignità
dei diversi stili di vita e culture all’interno della stessa nazione, ed è addirittura capace di
contrastare il nazionalismo e il regionalismo xenofobo. Patriottismo è unità di intenti e di ideali,
orgoglio di appartenere a una “famiglia” solidale, che è custode di un passato comune e di un futuro
da costruire insieme. Questo tipo di patriottismo è quasi del tutto assente in Italia ma è
indispensabile per creare coesione e senso di appartenenza alla collettività.
“L’Italia deve cambiare” è lo slogan che viene ripetuto come un mantra da quasi tutti i partiti
politici, che lo hanno adottato come obiettivo prioritario del loro programma, ma in realtà quello
che deve cambiare è l’immagine del paese che da anni viene trasmessa all’opinione pubblica
italiana e straniera. Dovremmo valorizzare i nostri punti di forza non affliggerci e compiangerci per
le nostre debolezze. Occorre dare dei messaggi positivi in grado di creare fiducia, le critiche
dovrebbero essere costruttive, non distruttive. Senza questi presupposti ogni intervento per
sviluppare nei giovani una coscienza civica è destinato a fallire.
In Italia, invece, articoli, programmi e talk show gareggiano nel denunciare sprechi e inefficienze.
Giusto! Segnalarli è un sacrosanto dovere ma, parallelamente, andrebbero evidenziati anche gli
altrettanti numerosi aspetti positivi altrimenti l’opinione pubblica, e soprattutto i giovani, saranno
portati a pensare che il marcio è ovunque e che non si possono fidare di nessuno. Questo blocca
qualsiasi spinta al cambiamento e deprime la speranza. Non è presentando l’Italia nella maniera più
deteriore che si stimolerà la spinta al rinnovamento.
L’Italia deve restare in Europa, non ci sono dubbi, ma con la dignità ed il ruolo che le competono,
non relegati nel novero dei paesi PIIGS. Senza nulla voler togliere a Spagna, Grecia o Irlanda è
2. decisamente una collocazione ingiusta per un paese che, ieri come oggi, ha dimostrato di saper
creare eccellenze e innovazione uniche al mondo in svariati campi.
La scuola e gli insegnanti in primis devono farsi carico di questa “missione” che mira a restituire un
senso di identità e di appartenenza rivalutando la nazione, senza trionfalismi ma nemmeno
autolesionismo, coltivare nei giovani sentimenti di solidarietà e renderli consci delle responsabilità
morali, civiche e sociali che hanno nei confronti dei propri concittadini, della propria nazione e
dell’intera umanità.. Dobbiamo insegnare che non devono essere solo le istituzioni a “fare” il paese
ma che serve un processo che si muova in entrambe le direzioni e che veda i cittadini impegnati
attivamente per migliorare la nazione. Tutti devono sentirsi coinvolti nel mostrare il volto migliore
del paese. Solo in un clima di ritrovata fiducia nelle istituzioni e nei propri compatrioti l’Italia potrà
trovare la spinta necessaria ad attuare quel salto di qualità che tutti auspichiamo e che è molto più
vicino di quanto non si creda.
Patrizia Ciava