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fantasia
e
realtà
speciale
risorse
ipnosie
autoipnosi
arte
ritratti,oltre
iconfini
im
pronte
spine
m
aledette
C’erano balconi in ogni
condominio, balcone
contro balcone, senza
distinzione tra interno
ed esterno.
I muri di pietra
servivano per
proteggere solo dal
freddo e dal caldo,
non per separare dalle
persone, dal quartiere
e dalle famiglie che ci
vivevano. Non c’erano
tende alle finestre, e
tutti guardavano tutti
come in una catena
di montaggio.
Tutta la tua vita si
dipanava sul balcone,
immersa tra i panni
che giorno dopo giorno
si ammassavano sulla
ringhiera a prendere
aria. Nelle lunghe notti
d’estate la gente stava
seduta sul balcone.
A casa nostra papà
prendeva una
lampada, portava
un tavolino, e i miei
genitori passavano
tutta la serata a
giocare a Remi
in balcone.
Il gioco non impediva
di chiacchierare con i
dirimpettai, ma anche
senza raccontarsi nulla
si sapeva già tutto,
poiché delle grida
provenienti da ogni
casa distinguevi ogni
parola, soprattutto se
eri seduto in balcone.
La nostra via era una
strada molto chiassosa
ed era usanza diffusa
parlarsi da un balcone
all’altro. Stare seduti in
balcone era come stare
in poltrona a guardare
la televisione.
Il balcone era la nostra
televisione in diretta
e per di più con attori
reali, vivi.
La reality tv fu
inventata nella
nostra via.
libero adattamento da
Ogni casa ha bisogno
di un balcone, Rina Frank, 2005
STORIE (s)tese
al vento
a volte...
… capita che un evento fortuito esalti all’improvviso
alcune coincidenze e che queste vengano afferrate,
accarezzate e infine convertite in opportunità.
A volte accade che, allineandole una dietro l’altra,
si riesca ad abbozzare un progetto. Aggiungi le circostanze
che, nella loro straordinarietà, ti invogliano a osare.
Mettici la dea fortuna che ti assiste benigna
e ti trasfonde energia ed entusiasmo.
Mescola il tutto con cura, insaporisci e incorpora
il lievito, ingrediente essenziale per il buon esito
del tuo impasto: un meraviglioso gruppo di amici
che accoglie con entusiamo il tuo progetto e ti affianca
in questa peripezia…
Da questa alchimia nasce UINDOU e il risultato
di questo enorme comune impegno è qui,
sotto i vostri occhi.
Complice iniziale è stato un libro letto tanti anni fa,
miracolosamente ricomparso tra le mie mani
sotto forma di regalo di mia figlia:
Ogni casa ha bisogno di un balcone,
di Rina Frank, di cui a fianco
ho riportato l’incipit.
Buona lettura... e buona visione.	
patrizia cella
MAKE UP
correttivo
sposa
fashion
teatrale
cinematografico
fotografico
MAKEUP
ARTIST
L’amore per la bellezza è buongusto.
La creazione della bellezza è arte.
R.W. Emerson
MARTINA C.
MARTINA C.
348 0864223
martinacorno.mc@gmail.com
ANNO 1 numero zero4 5UINDOUmaggio 2020
AFFàCCIATI
alla finestra!
Sarà anche un’ovvia questione di accento
tonico, ma la differenza è evidente.
E non è solo sonora.
AFFÀCCIATI O AFFACCIÀTI?
Uno, verbo. L’altro, aggettivo (ok, anche participio
passato, pignolini!). Uno esorta all’azione. L’altro
rivela uno stato o un modo d’essere. Noi abbiamo
“AGÌTO”, prima persona plurale di agire. E, se proprio
dobbiamo continuare a puntualizzare, non è “ÀGITO”,
prima persona singolare di AGITARE!
Insomma, per mettere tutti d’accordo, noi ci siamo dati
da fare, ecco… e ci siamo pure un po’ AGITÀTI, io per prima.
Anche altri si sono dati da fare, osserverete voi, quindi
niente di così eclatante!
E invece sì! Noi siamo stati semplicemente portentosi e
lo affermo con allegra sicurezza. E, senza alcuna esitazione,
cedo il testimone dell’immodestia ad altri peccatori.
Ognuno di noi è diventato redattore (o giornalista). Abbiamo
scritto di nostro pugno testi assolutamente inediti e in totale
libertà. Sono brevi storie che raccontano di fatti fantastici,
di ricordi legati al passato e di momenti vissuti nel presente.
La straordinarietà di questa impresa risiede nel fatto
che siamo tutti scrittori “in erba” e che di mestiere
facciamo tutt’altro.
Ma l’entusiasmo è stato così avvolgente e travolgente
che ci ha portato ad apprezzare questo tempo insolito
di “distanza sociale” come un’occasione più unica che rara
per sentirci ugualmente collegati e attivi, forse addirittura
in misura maggiore di prima, e ci ha dato il coraggio
di esporre i nostri drappi più intimi, come panni stesi
a sventolare al sole. Ecco allora che viene da pensare
alla funzione del balcone, protuberanza delle nostre case
e palcoscenico delle nostre “storie”.
Non tutti disponiamo di un balcone.
Ma tutti abbiamo una finestra alla quale poterci affacciare.
Finestra??? Ops, volevo dire window... UINDOU!
patrizia cella
S O M M A R I O
©2020 il bozzetto di patrizia cella
Tutti i diritti riservati
PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE
il bozzetto di patrizia cella
REFERENZE ICONOGRAFICHE Freepik, Pexels, Pixabay
ILLUSTRAZIONI Martina Corno, Bianca Costanzo,
Beatrice Finiguerra
FOTOGRAFIA Laura Frigerio, Laura Negrini, Irene Raschellà,
Sergio Rossi, Gina Susio, Elisabetta Zanotto
REDAZIONE Catarella, Martina Corno, Bianca Costanzo,
Nino Faranna, Beatrice Finiguerra, Laura Negrini,
Karin Rossi, Sergio Rossi, Susanna Tresoldi, Viola D.,
Elisabetta Zanotto
ADV il bozzetto di patrizia cella, Sergio Rossi
	4	 Bianca Laura Negrini
	8	
Voci Catarell
a
	12	
Giorno Uno Martina Corno
	15	
Per amor…
di punteggiatura Patrizia Cell
a
	16	
Una giornata estiva Viola D.
	20	 Il filo Susann
a Tresold
i
	24	
Ipnosi e autoipnosi: una risorsa
di benessere Elisabetta Zanotto
	30	
L’ospite Sergio
Ross
i
	34	 La terra dei fichi d’India Nino
Farann
a & Karin Ross
i
	38	
Diario di primavera
Susann
a Tresold
i
	41	
Ritratto #7 ovvero ritratto di una
persona in movimento Beatrice Finiguerra
	42	 Di fronte a noi, oltre i confini
Martina Corno
& Patrizia Cell
a
	44	 Un dito, un iPhone, un disegnino
Bianc
a Costanzo
S P ES S O
L E I D EE
S I A C C EN D O N O
L’ U N A C O N L’ A LT R A ,
C O M E S C I N T I L L E
EL E T T R I C H E .
FR I ED R I C H
EN G EL S
maggio 2020 UINDOUANNO 1 numero zero 76
STORYTELLING RICORDI DI IERI, IMPRESSIONI DI OGGI
T
empi difficili, di privazioni, paura e
dolori, che anticipano la difficile vita
di Bianca.
Cresce, vorrebbe tanto studiare, ma nel
paesino la scuola arriva solo fino alla terza
elementare, che lei ripete per ben tre anni.
Questo solo per avere l’illusione di coltivare
il suo sogno di una maggiore istruzione.
La vita nel paese è dura, il solo lavoro
nei campi non è sufficiente per sopravvivere.
Mario di professione fa il mosaicista
di pavimenti (arte nella quale i friulani
sono famosi in tutto il mondo), ma nel
dopoguerra manca il lavoro.
Quindi i coniugi decidono di emigrare
a Londra, portando con loro solo i due
figli maschi per aiutare e imparare
il lavoro del padre.
Le tre figlie, la maggiore ha solo 16 anni,
rimangono al paese, mandando avanti
il lavoro nei campi e accudendo agli animali.
Questa situazione nell’Italia di quegli anni
è normale: per poter lavorare e mantenere
la famiglia è necessario emigrare, lasciando
affetti e facendo spesso una vita di
privazioni, sia per chi parte, sia per chi resta.
Ma torniamo alla nostra storia.
Passano gli anni e l’Italia entra di nuovo
in guerra, la Seconda Guerra Mondiale.
Bianca, ormai donna, conosce Davide,
un partigiano. Tra loro nasce un grande
amore e la loro è una storia costellata
di incontri fugaci e clandestini. Lei rimane
incinta, deve tenerlo nascosto: un grande
disonore all’epoca per una donna non
sposata! Dopo un paio di mesi, viene
a sapere che le SS, venute a conoscenza
della sua storia con Davide, vogliono
arrestarla allo scopo di farle confessare
dove il partigiano detto “Attila” si nasconde,
o costringerlo a costituirsi per salvare lei.
Scappa e si rifugia da una cugina a Treviso
e al posto suo viene arrestata la madre.
Davide viene scovato e arrestato e, dopo
giorni di torture, viene fucilato.
Aveva solo 23 anni!
Il cuore di Bianca si spezza e mai guarirà.
Questa storia inizia nel 1915, in un piccolo
paesino situato in Friuli, dove vivono Mario
e Maria, una coppia con tre figli.
La partecipazione dell’Italia alla Prima
Guerra Mondiale ha inizio il 24 maggio
dello stesso anno. Pochi giorni dopo
questa storica data, il 30 maggio,
Mario e Maria mettono al mondo
il loro quarto figlio. Nasce una
bambina, che chiamano Bianca.
Bianca, quindi, inizia
la sua vita cullata
dal suono delle bombe.
BiancaBiancaLAURA NEGRINI Purtroppo la storia
non insegna niente, e ora noi,
che siamo stati un popolo
di emigranti, ci arroghiamo
il diritto di criticare e giudicare
chi è obbligato a lasciare
il proprio Paese
per sopravvivere.
Bianca, a destra,
con un’amica, arrivate
al primo e secondo posto
a un concorso di bellezza.
Davide, il grande amore di Bianca.
Davide, il partigiano,
nome di battaglia Attila.
maggio 2020 UINDOUANNO 1 numero zero 98
STORYTELLING RICORDI DI IERI, IMPRESSIONI DI OGGI B I A N C A
Arriviamo all’agosto 1963,
io ho due anni, siamo in
vacanza in Friuli, tranne
mio padre che è rimasto a
lavorare a Milano.
Giunge una telefonata
dagli uffici delle Ferrovie:
«Signora, suo marito ha avuto
un incidente al lavoro, deve
rientrare subito in città».
Purtroppo, non è ferito, è morto
travolto da un treno, che non ha sentito
arrivare mentre lavorava sui binari
sopra casa.
Il mondo crolla addosso a Bianca,
di nuovo sola e con due figli da crescere.
Ora ha due chiodi conficcati nel cuore:
si chiamano Davide e Mario.
Dopo anni, quando Bianca ha 45 anni,
finalmente rimane incinta.
La gioia della coppia è incontenibile.
Il 7 gennaio, dopo un travaglio che è
quasi costato la vita a Bianca, nasce
una bambina, Laura.
Laura: quella bambina sono io.
La famiglia si sente completa, abbiamo
una casa, mia madre può finalmente
lasciare il lavoro per accudire me
e mio fratello che, in quegli anni
ha vissuto in collegio.
Finalmente la serenità!
Dario e Laura,
i figli di Bianca.
Pensiamo ai nostri 23 anni,
ai 23 anni dei nostri figli.
Sono stati gli uomini
come Davide a permetterci
una vita libera, piena di agi
e opportunità.
Dopo qualche mese, nasce il figlio di quel
grande amore, lei lo chiama come il padre:
Davide Dario.
La ripresa nel dopoguerra è difficile, e la
nostra protagonista è costretta a trasferirsi
a Torino e poi a Milano per lavorare.
È sola, quindi non può portare il figlio con sé,
lo affida alla madre nel paesino in Friuli.
Quando Dario, il figlio, ha 7 anni,
lei conosce Mario a Milano.
Mario, in divisa
da meccanico
dell’aviazione
durante la seconda
guerra mondiale.
Bianca e Mario in viaggio di nozze a Venezia.
Il resto della sua vita
è stato dolore e lavoro,
ma soprattutto una lotta continua
contro la depressione.
Malgrado tutto riesce a controllarla
e a donare amore e comprensione
alla sua famiglia, e non solo.
Anche lui ha combattuto in guerra,
è un aviatore, ma poi si è unito
ai partigiani nella zona del pavese.
Si sposano e Mario adotta il figlio di lei.
Bianca, però non riesce a dimenticare
Davide: per quanto possa amare suo marito,
il ricordo di Davide non le dà pace.
Negli anni successivi, entrambi lavorano
molto, lui come cantoniere alle Ferrovie
Italiane, e lei come cameriera e colf
(come diremmo ora).
Il loro sogno è avere una casa loro,
ma soprattutto avere un figlio, che
però non arriva.
Ho scritto questa storia, che è anche la
mia, per rendere omaggio a questa donna
formidabile, grande guerriera, ma anche
donna fragile e provata dalla vita.
È morta quando avevo 22 anni e mi rammarico
per non averle saputo dire queste cose quando
era ancora in vita.
Ma ci vuole una vita vissuta per poter capire
una vita come la sua.
GRAZIE MAMMA! «
11maggio 2020 UINDOU10 numero zeroANNO 1
IN BILICO RACCONTI TRA FANTASIA E REALTÀ
In casa, passeggiava da una stanza
all’altra, alla ricerca di qualcosa da fare.
I superalcolici erano già in ordine di colore,
dai marroni più scuri alle grappe bianche,
le tapparelle delle stanze erano tutte alla
stessa altezza, la sua serie tv preferita era
agli sgoccioli e le ultime puntate andavano
dosate con parsimonia, fatta la sessione
di allenamento giornaliero, doccia, pranzato,
barba pareggiata, così come i peli del naso.
Ok, trovato! Era l’ora di un buon libro al quale
appassionarsi, con un po’ di fortuna…
ma la libreria era lì davanti carica di viaggi,
misteri, storia, fantascienza, qualcosa
di buono c’era di sicuro.
I
naspettato, o meglio aspettato come le
centinaia di volte che risuonava in quelle
giornate, il cellulare lo avvisava di una nuova
notifica. Il video postato da un amico…
«Ok, sospendo la ricerca del libro e scarico
il video, una cosa alla volta…», mica voleva
giocarsi video e caccia all’autore nello stesso
lasso di tempo. In un tempo in cui ci si
poteva – o meglio ci si doveva – permettere
il lusso di fare una cosa alla volta. “One at
the time”diceva un suo vecchio capo ufficio
quando le cose si ammucchiavano sulla
sua scrivania. Pensa un po’, di questi
tempi torna buono tutto, dai pacchi di
pasta aperti da tempo e da finire, al
detto di un vecchio boss che era
lì in un angolo dei suoi pensieri,
in attesa di essere utilizzato,
come un sacchetto di fusilli.
Dov’era rimasto? ah sì, al video da
scaricare. Ma quanti MB pesava? la rotellina
girava, e girava, e girava, ma del video niente,
solo lo schermo buio… e che…!?!
Ma come si dice, ogni impedimento è
giovamento.
Inaspettato, o meglio
aspettato come le centinaia
di volte che risuonava in
quelle giornate,
il cellulare lo avvisava
di una nuova notifica.
Catarella
13maggio 2020 UINDOU12 numero zeroANNO 1
VO C IIN BILICO RACCONTI TRA FANTASIA E REALTÀ
E così, mentre il video si caricava,
arrivò un’illuminazione, di quelle
che ti raddrizzano la giornata, che ti
riappacificano anche con i vetri sporchi
delle finestre che, nonostante tutto, non
avrebbe lavato, neanche di questi tempi.
La res magnae come la chiamavano i latini,
l’evento cruciale! Bisognava portare
giù la spazzatura. Occorreva:
-- suddividere accuratamente
per tipologia i diversi rifiuti
-- vestirsi in maniera adeguata
per l’occasione
-- munirsi di tutti i presidi
medico-chirurgici.
E poi affrontare la discesa in cortile,
augurandosi, certo, di incontrare
anche una sola anima viva, qualcosa
in più delle voci ovattate dei due vicini
ottantenni che di tanto in tanto
arrivavano da dietro la parete.
Magari una figura umana, con la quale
scambiare due parole.
Incontrarla sì, magari non proprio sulle
scale, dove lo spazio ristretto avrebbe
costretto a un incontro ravvicinato.
Magari giù in cortile, tra un bidone
e una bicicletta, all’aperto insomma.
Era tutto pronto, soliti problemi di
coordinazione tra chiavi, maniglia
della porta, sacchetti, ma niente di
insormontabile.
Era fuori, sul pianerottolo silenzioso.
Chissà perché le voci moleste dei vicini si
diffondevano solo dentro l’appartamento
e, una volta fuori, sul ballatoio, più
niente… misteri delle onde sonore, ma
si poteva affrontare la discesa. Silenzio,
solo i suoi passi risuonavano per le scale.
Tutto liscio fino a terra, dopo aver sfidato
ed eccolo di nuovo davanti alla porta di
casa. Aperta. Possibile?
Nell’impaccio dell’uscita, tra bottiglie,
plastica e cartone forse si era dimenticato
di chiudere… niente di grave, cosa poteva
succedere di questi tempi? forse i più
ordinari per Milano dal punto di vista
della legalità e della sicurezza.
Eppure… eppure appena messo piede
dentro casa… delle voci.
Sì erano proprio le voci di due persone,
provenivano dalla camera da letto.
Erano concitate, frenetiche.
Cazzo che sfiga! Gli unici due
malintenzionati in circolazione di questi
tempi, oltre a qualche politico senza
mascherina.
E proprio in casa sua, nei pochi
minuti che erano serviti per buttare
la spazzatura. Il senso di ingiustizia,
sia per essere nel mirino di due disgraziati,
sia perché violavano apertamente la sfilza
di decreti degli ultimi giorni nei quali, non
era scritto ma sicuramente sottinteso, non
si potesse uscire neanche per compiere
nefandezze e turpitudini, ebbe la meglio
sulla paura, che pure era tanta.
Le finestre erano socchiuse e la casa era
avvolta dalla penombra e ora, oltre alle
voci, gli parve di vedere ombre muoversi
sullo sfondo dell’armadio bianco.
Quatto quatto, estrasse un coltello
da prosciutto dal cassetto della cucina,
lo richiuse silenziosamente e si mosse
verso l’anticamera, vellutato come un
Ninja.
Quivi giunto, scusando l’arcaismo, lanciò
un urlo – ma un urlo che risuonò per tutta
la via – e sollevò il braccio sopra la testa
con il coltello da prosciutto in pugno.
Sul letto, illuminato di una intensa luce
azzurrognola, il telefonino.
Il download del video era completo e due
personaggi improvvisavano uno sketch,
a esorcizzare il tempo cupo che stavano
vivendo.
Ma certo! lo aveva capito subito che si
trattava del telefonino. Ma vuoi mettere
che emozione, che stacco dalla monotonia,
che gioco divertente che aveva fatto!
Da solo, ma si era tanto divertito.
Senza contare che dopo il suo urlo, che
aveva risuonato per tutta la via, qualcuno si
era affacciato ai balconi, pensando di essersi
perso il flash mob delle 21. «
un paio di volte Newton e le sue leggi.
L’operazione si presentava senza intoppi
e imprevisti e, purtroppo, anche senza
l’ombra del resto di un avanzo di rapporto
umano. Umido, vetro, carta, plastica: il
rituale di altre mille volte si era compiuto
e non gli restava che tornarsene in casa.
Piano la porta del cortile, lenti i passi,
piano anche le scale, capitalizzando
tutto fino all’ultimo secondo…
Silenzio,
solo i suoi passi
risuonavano
per le scale.
Son rimasta a casa
tutto il giorno, in nome
del buonsenso. Culo vuole
che proprio in questi giorni
di allarmismo generale, caos
e paura, mi son sciroppata una
bella influenza. La mia quarantena
è iniziata in realtà un paio di giorni prima
delle prescrizioni ministeriali. Ma oggi ho
iniziato a sentirlo davvero, questo riposo
forzato, motivo per cui lo chiamo “GIORNO UNO”.
15maggio 2020 UINDOU14 numero zeroANNO 1
STORYTELLING RICORDI DI IERI, IMPRESSIONI DI OGGI
A casa ho deciso
di ripulire da cima a fondo
camera mia, e così
si è riaperto il mio mondo.
Ho iniziato dalla libreria,
spolverando ogni singolo libro, dalle
raccolte di Bukowski che mi ha regalato
Lollo, ai Geronimo Stilton con cui sono
cresciuta. Ciascun libro aveva qualcosa da
ricordarmi: quelli mai restituiti al mio ex
fidanzato, le storie di Isabel Allende che
mi hanno stretto lo stomaco, Christiane F.
che leggevo per dritto e rovescio con la
mia migliore amica del liceo sognando un
concerto del duca bianco, la Lehman Trilogy
e la sua capacità di rendere l’esame
di teatro e spettacolo un vero spasso.
Migliaia, milioni di pagine, che a farci
un collage potrei raccontare la mia vita
sconquassata, con i suoi sentimenti ed
emozioni. In sottofondo mi tenevo un
film con Audrey Hepburn, Sabrina, e
intanto pensavo a quanto lei riuscisse a
ricordarmi, con una certa semplicità e la sua
ineguagliabile eleganza, che a dar voce a se
stessi si è sempre vincitori. Un intero scaffale
l’ho dedicato alla mia collezione di Vogue:
gli amici dell’università mi hanno regalato
un abbonamento per la laurea, sapendo di
andare a colpo sicuro. Ogni volta che sfoglio
uno dei numeri trovo sempre quel dettaglio
che mi porta alla memoria un vestito
UNO
M
entre tornavo verso
casa, ho incontrato una
zingarella del quartiere. La
conosco da qualche settimana: era entrata
nel bar in cui lavoro e mi aveva chiesto se
poteva lasciare le buste della spesa in negozio
mentre aspettava che venissero ad aiutarla.
Era incinta di due mesi e temeva di
perdere il bambino, già le era accaduto.
Le avevo fatto i miei migliori auguri,
incrociando le dita di mani e piedi nella
speranza che quella ragazzina diventasse
madre, proprio come lei desiderava. L’ho
incrociata qualche giorno dopo al mercato e mi
ha raccontato che purtroppo il bambino non
c’era più. Ero sinceramente dispiaciuta e sono
rimasta con lei a fumare una sigaretta. Mi ha
ringraziata, promettendomi di darmi in sposa a
suo cugino.
Oggi girovagava senza meta su e giù per
la via. Abbiamo fatto un pezzo
di strada assieme, era triste
perché non riusciva a
racimolare i soldi per
mangiare. Le ho
lasciato un po’ di
monete, senza stare
a interrogarmi
su quanto fosse
sincera con me,
d’altronde mi sta
simpatica.
Le mie uniche uscite sono state fugaci e prettamente necessarie:
ritirare i soldi della precedente settimana di lavoro, comprare
una scorta di sigarette per non andare in carenza di nicotina.
Ho visto strade vuote e ho sentito un silenzio che mi ha fatto
ringraziare l’umanità, nonostante le prove tangibili che
appellarsi all’intelligenza e all’empatia umana sia una
scommessa giocata con la consapevolezza di perdere.
GIORNO
MARTINA CORNO
17maggio 2020 UINDOU16 ANNO 1 numero zero
STORYTELLING RICORDI DI IERI, IMPRESSIONI DI OGGI
abbandonato nell’armadio,
quel colore che vorrei
dipingermi addosso, quella
parola capace di risolvere
una domanda che mi porto dietro
da chissà quanto. Non vedo l’ora
di riempirlo tutto, quello scaffale.
Sabrina finisce, e allora mi guardo Insieme
a Parigi, per rimanere sull’onda romantica
degli anni Sessanta. Una storia semplice:
lui un regista fancazzista e consapevole del
proprio fascino, lei l’innocua dattilografa
a cui viene appioppata una sceneggiatura
che proprio non ne vuole sapere di farsi
scrivere. Guarda un po’, lui scopre di
amarla, ovviamente solo sul finire della
vicenda. Ma se il film può suonare banale
per il salvataggio in extremis e piuttosto
romanzato (e oserei dire utopico), mi
scopro speranzosa davanti a questo amore
onnipotente.
Mi scrive Tia intanto, per ricordarmi che
la sera prima avevo promesso di guardare
La città incantata di Miyazaki. Lui ha
fatto finta di niente quando gli ho detto di
non aver mai visto nessuno dei suoi film,
ma son sicura di aver toccato un nervo
scoperto e di averlo irritato abbastanza da
farmi recuperare a passi lunghi e ben distesi
le tappe fondamentali della buona cinefila.
Croce sul cuore e bacio
sul gomito, a breve me
lo guarderò. Non mi
piace deludere Tia
e tantomeno le
aspettative che
ha su di me.
Ho ripulito i cassetti
del makeup.
Credo di aver
riposto ogni singolo
prodotto con la
stessa delicatezza con
cui si adagia il proprio figlio
nella culla. Quelle polveri, quelle creme,
quelle texture di ogni colore possibile e
immaginabile hanno il potere di rendermi
felice nel lavoro che faccio.
Nutrono la mia creatività, alle volte
si dimostrano un poco ostiche e richiedono
più tentativi prima di farsi comprendere,
ma sono sorprendenti nel restituirmi
i risultati che desidero, e magari
nel superarli pure. Non vivrei di nient’altro.
Io, i miei bozzetti e tutto
ciò che si può raccontare
con un trucco.
Stasera, a ogni sirena
che sento, prego che
sia nel film che stanno
guardando
i miei.«
Per amor di...
punteggiatura
… quel colore
che vorrei dipingermi
addosso, quella parola
capace di risolvere
una domanda che mi porto
dietro da chissà
quanto. Gina Susio
334 3750070
gidanis.bijoux@yahoo.com
gina.danila.s- GIDANIS BIJOUX
Ogni gioiello è una creazione
unica, ispirata ai colori
della natura, che cambia,
con il mutare delle stagioni
Questa è la storia di una
piccola e insignificante virgola.
Fin da giovanissima le avevano
detto che la sua vita sarebbe
stata al servizio del tempo.
Ma mica quello delle ore.
No, no, nossignori! Il tempo,
il rrrritmoooo: e uno, e due,
e un due tre… corri, fermati,
riparti, fai un salto… Daccapo…
Lei molto registrata non era, e di
tanto in tanto saltava giù, o su,
ovunque le capitasse: le veniva
naturale, c’era una logica, sicuro,
ma era proprio tutta sua. Gli altri,
in effetti, erano un po’ imbarazzati:
seguirla era un azzardo, chi pensava
così, chi capiva cosà... insomma,
il putiferio! Qualcuno, per la rabbia,
si pigliava un asterisco di passaggio
e lo pestava sotto i piedi, fino a farlo
diventare un trattino, uno di quelli
lunghi lunghi... Lei si stupiva di tutti
questi tafferugli e, per osservare
meglio la situazione, decise di
allontanarsi, di salire “sopra le parti”.
Si camuffò da apostrofo.
Nonostante le buone intenzioni...
combinava ancora più casini.
Come quella volta che saltò tra la
L e la O. Tutti lessero “io l’otto per
la libertà” e si guardarono in faccia,
smarriti, domandandosi: ma l’8 o
lotto? Anche nella nuova veste di
apostrofo, la virgolina cominciò a
sentirsi una frana: aveva perso il
senso del ritmo. A volte, si metteva
pure tra due consonanti!!! Ser’gio...
diventava un nobile Giovanni. O
Giovanna? Un rebelot!
Un giorno, per caso, trovò una
compagna di sventura: stessi
smarrimenti, identica confusione,
anarchia totale. Tutt’e due
convennero che era meglio stare
vicine, l’una avrebbe confortato
l’altra. E cominciarono a viaggiare
insieme… Diventarono virgolette
alte, esterofile, inglesi per
l’esattezza.
Inizialmente, la situazione parve
più chiara e definita, facile sapere
dove mettersi! L’una diceva all’altra:
quando c’è un titolo di un libro...
ecco, noi ci mettiamo all’inizio. Ok!
ma… alla fine cosa ci mettiamo?
Quindi si misero a cercare altre due
sorelle e si formò una squadra.
A tutt’e quattro piaceva stare in alto,
svolazzare tra le H e le M, tirare
i capelli alle F e allungare piccoli
calci alle Q. Se prima era una sola
a portare scompiglio, adesso erano
in quattro.
I signori punti si stavano
imbufalendo, ma di brutto brutto.
Loro... così fermi, inamovibili!
Guai a non rispettare le regole.
I punti sapevano bene quale posto
era loro assegnato e pretendevano
il massimo rispetto: dopo di loro
esigevano la referenza, solo lettere
maiuscole, quelle alte e grosse.
Di sicuro non carabattoline
come le minuscole.
Ma ve le immaginate quelle quattro
squinternate quando si imbatterono
nei punti? Furono scontri e
parapiglia.
In tutto quel polverone, un punto
grosso grosso, burbero e solido
come un sasso, con ciglia nere
lunghe lunghe, notò le bizzarrie
della piccola virgola. Dall’alto di
un’altissima scala, si sporse a
scrutare, rigorosamente da lontano.
Quel punto grosso grosso
si infastidiva di fronte a tale
sfrontatezza. E cionostante
si inteneriva davanti a tanta
energia e spirito di ribellione.
Con sconcerto, cominciò a dubitare
se fosse lecito e corretto accettare
tutto quello che le solenni regole
imponevano. Che potessero essere
infrante? Possibile che una piccola
ribelle potesse mandare all’aria
granitiche convenzioni?
Ne restò affascinato.
E quel suo piccolo ricciolo che
portava ai piedi… quant’era buffo?
Un ricciolo che spesso la faceva
inciampare, anche nel nulla.
Dall’alto della sua posizione regale,
scese con circospezione i gradini.
E... fu così che nacque il punto e
virgola.
patrizia cella
19maggio 2020 UINDOUANNO 1 numero zero18
IN BILICO RACCONTI TRA FANTASIA E REALTÀ
Le visite della zia erano per “vedere
come stava la bambina”, ma il suo interesse
per me si esauriva con una carezza distratta,
con la testa già girata, verso le parole
della mamma.
In effetti veniva da noi, per mangiare
la pizza, che la mamma sapeva fare
benissimo, con pomodoro, origano e
aglio, e che cuoceva in certe teglie
di alluminio basse e ammaccate.
Allora, sparivo nel mio rifugio.
Stavo seduta con le gambe incrociate,
con le grosse ginocchia nelle gambe
magre.
I capelli da poco tempo li portavo
sulle spalle, lisci e fini mi ricadevano
sugli occhi e me li scostavo con un
gesto, ben contenta di quella
conquista, costata pianti,
impuntature e rifiuti alle forbici
del barbiere, che mi tagliava i capelli
come ai maschi.
Aveva le mani che sapevano di colonia
e un grosso anello d’oro con il castone
quadrato.
Una giornata
Anche la zia Cristina spesso ci faceva visita,
calzata da altissimi tacchi che, sul marmo
del pavimento, ticchettavano.
Aveva anche belle borsette, di pelle lucida,
che mi incuriosivano, le guardavo, senza toccarle.
Allora mi sembravano oggetti bellissimi, abituata
ai vestiti dimessi di mia mamma, che oltretutto,
in quel periodo della mia infanzia, vestiva di nero,
ancora in lutto per la morte della nonna.
Viola D.estiva
Aprivo la scatola dei tesori.
C’era una coccinella di metallo
con le ruote di gomma, che un tempo,
spingendola con una leggera
pressione, avanzava da sola.
Adesso non funzionava
più bene, ma mi piaceva,
e sulla pancia blu,
aveva scritto il suo
nome, Lili.
Un cuore di ceramica
piatto, con una decalcomania
floreale, liscio e freddo
sotto le dita.
Il coperchio metallico
di una scatola di caramelle
Motta, dove uno scoiattolo
suonava un flauto di bambù.
Alcuni tappi, tra i quali ce
n’era uno conico color
ciclamino, che era
appartenuto a una crema
rosa per le mani,
e conservava ancora
una traccia profumata.
Quando ero piccola, mi rifugiavo spesso sotto
il grande tavolo della cucina. Le voci dei grandi
mi arrivavano attutite dal panneggio che lo ricopriva
e mi sentivo al sicuro. Spesso arrivavano parenti
e conoscenti, a trovare la mamma, che, continuando
a conversare con gli ospiti, non smetteva mai di badare
alle sue faccende.
21maggio 2020 UINDOUANNO 1 numero zero20
IN BILICO RACCONTI TRA FANTASIA E REALTÀ U N A G I O R N A T A E S T I V A
Una bustina di plastica, che conteneva delle
stelle alpine essiccate, trovate in un cassetto,
vellutate, con i petali allungati, come i raggi
di una bianca stella.
E i sassi.
I sassi mi piacevano più di tutte le altre
cose: quelli grigi con delle vivide strisce
bianche, alcuni incisi tanto profondamente
da sembrare una montagna in miniatura.
Ruvidi e butterati, o lisci e uniformi, li giravo
e rigiravo tra le dita, guardandoli così da
vicino, usando l’occhio, come una lente
d’ingrandimento.
Nei loro colori, imparavo la sapienza
della natura, che sceglie accostamenti
cromatici sempre perfetti.
E intanto il profumo riempiva la cucina,
la mamma mi chiamava e io mi sedevo
a tavola e posavo sulla tovaglia il sasso
preferito, per guardarmelo ancora un poco.
La pizza era nel piatto e il profumo
dell’origano e dell’aglio mi riempivano le
narici, potevo mangiarla con le mani e
sporcarmi la bocca, con la salsa rossa e densa.
Il pomeriggio poi scorreva lentissimo,
la noia mi prendeva, ma non facevo
niente, guardavo il cielo dietro le case che
lentamente, si venava di rosa, le rondini che
giravano alte lanciando i loro stridii, che mi
sembravano pieni di gioia.
Ritornava a casa il papà, che non era mai di
buon umore, lo salutavo, stando distante,
sempre con un po’ di timore.
In casa, il non disturbarlo, era legge.
La sera arrivava, si cenava quasi
in silenzio. Si accendevano le deboli
luci delle lampadine economiche e poco
dopo dal mio lettino sentivo che mamma
e papà discutevano con toni mai
abbastanza smorzati.
Mi stringevo al mio orso Tobia,
ed entravo, inquieta, nel sonno.«
I sassi
mi piacevano più
di tutte le altre cose:
quelli grigi con delle vivide
strisce bianche, alcuni incisi
tanto profondamente
da sembrare una montagna
in miniatura.
UINDOUmaggio 2020 23numero zeroANNO 122
STORYTELLING RICORDI DI IERI, IMPRESSIONI DI OGGI
Ti ho incontrato tra gli scogli.
Abbiamo gli stessi ritmi mattutini.
Ci piace il primo bagno con il sole
ancora basso e nessuno intorno.
Il mare immobile è una seta turchese,
le isole sembrano più vicine, intorno
al collo della baia. Nuotiamo nella scia
di luce e ci asciughiamo al sole.
C
ominciamo a raccontarci cose
a bassa voce, nel silenzio
del villaggio ancora
addormentato. Cose piccole e grandi.
Giorno dopo giorno, l’intimità
del mattino diventa un appuntamento.
Torno per incontrarti. E sei già lì.
Sonnecchi tra le pietre, senti lo stesso
appuntamento. Mi guardi scendere lungo
il sentiero, tra i mirti e i corbezzoli.
Arrivo e sorridi. Mi aspettavi.
Susanna
Tresoldi
Riprendiamo il discorso
da dove si era interrotto ieri.
Passano i giorni e i corpi si fanno più vicini.
Un giorno siamo così vicini che sento
il tuo respiro, il tuo naso tra i miei
capelli, le tue braccia, ci sfioriamo.
Un bacio a fior di labbra sembra
avere tutta l’energia del sole.
Vado via, ma si è tessuto un filo tra
di noi. Ce lo troviamo tra le mani.
E decidiamo di tenerlo.
Hai chiuso la mano intorno a quel filo.
Lo stringi. Lo stringo.
Una voce e una mano, estranei fino
a ieri, oggi si tengono.
Ti muovi tra la gente. Vai, vieni,
ma ora c’è quel filo tra due mani.
Per quanto distanti, sono vicine.
Vado a cena con gli amici, tavolata allegra,
pesce pescato in quelle acque, cucinato
con amore, e vino.
Ci sono le stelle, la brezza e il rumore
del mare, si ride e poi si va a ballare.
Tu in canoa con tuo figlio, in barca
con tuo fratello. A chiacchierare
con altri, a vedere il tramonto dal mare.
Fai apnea, in acqua sei un pesce
di fondale. Arriva la notte, i discorsi
si fanno pieni di pause e poi ognuno
va a dormire.
Mia figlia ora è a letto.
Decido di tornare tra gli scogli.
Sei lì. Inizia il nostro tempo.
Mi baci, la pelle si dilata alle carezze.
Sento gli argini farsi d’argilla, liquefarsi.
L’acqua sale e spazza via tutto, ancora
una volta. Tutto il bello del mondo
è dentro di me. Viene con me.
Il corpo ultimamente si era fatto freddo,
assopito. Pensavo non sarebbe più stato
un pezzo di legno e fango mosso al ritmo
delle onde.
Scopro con piacere che sbagliavo.
Sono di nuovo in balia delle acque.
Facciamo l’amore come se non
l’avessimo mai fatto prima,
come se lo facessimo
da sempre.
Così la notte è nostra.
Il Belvedere, la spiaggia
buia di Tahiti, facciamo
l’amore solo sotto le stelle.
Vaghiamo con i cinghiali
tra gli eucalipti e i mirti.
Tutto il promontorio è
la nostra casa. Il mare
il suo confine. Le mie ossa
sono cave, una conchiglia
che respira con le onde.
Notte dopo notte.
Vado via,
ma si è tessuto un filo
tra di noi. Ce lo troviamo
tra le mani. E decidiamo di tenerlo.
Hai chiuso la mano intorno
a quel filo. Lo stringi.
Lo stringo.
Ora devi partire. Con tuo figlio preparate
i bagagli, smontate la veranda, ritirate
la canoa, caricate l’auto.
Gesti che ogni anno ripetiamo.
Che presto farò anch’io, ma non ora...
ora sono i tuoi.
Un rituale di saluto a quella scogliera
battuta dai venti, così selvatica,
alle sue capre, alle ghiandaie.
Che sarà del nostro filo?
Vieni da me, ci scambiamo un numero.
«Non so cosa sentirò domani, siamo stati
uno per l’altra quello di cui avevamo
bisogno, il resto si vedrà» - ti dico.
È mattina, scendo a fare il bagno, vedo
dall’alto gli scogli solitari. Non ci sei.
Improvvisamente manchi.
Era così bella la baia prima di incontrarti.
Ora ha bisogno di te per essere bella.
Così è quello che sento.
Passeggio lungo la scogliera 
con gli amici. Sul sentiero i rovi
ci feriscono, passo dopo passo
l’accampamento è ormai un
puntino lontano. Reimpari
i colori lungo questo mare,
gli azzurri, i rossi, i bianchi.
Soprattutto i verdi.
La sera, la stanchezza porta
sull’amaca. L’amaca porta il naso
in su. Le stelle mi osservano
infinite, come solo l’isola può.
Il pensiero va a quel filo.
Non pensavo fosse così lungo
da arrivare con te, vicino a Torino.
Pensavo che sulle curve che portano
in montagna, srotola e srotola, alla fine
il filo finisse e fluttuasse un po’, sospeso
tra i pascoli di questi montoni bianchi,
per poi trovare pace su un ramo di quercia.
Oppure rimanesse avvinghiato
alla banchina del porto, davanti
all’ampiezza del mare aperto.
“Me ne sto sull’isola” poteva dire il filo.
E invece è salito sulla nave ed è sbarcato
con te e Stefano a Savona, ti ha mescolato
un po’ di zucchero al caffè nei primi piani
del rientro.
E così una mansarda ai bordi delle Langhe
e un’amaca appesa a una scogliera nel mare
a Piccovagghjia stanno una accanto all’altra,
occhi negli occhi.
Passano giorni quieti di letture, di chiacchiere
con le amiche sugli scogli, di passeggiate e
aperitivi al tramonto e di bagni a salutare
le forme che, anno dopo anno, stanno lì ad
aspettare. Tengo il fiato, scendo e le accarezzo.
La tartaruga, il leone soprattutto, sdraiato
nella sua savana blu.
Ho imparato a non pinnare, risalendo.
Così il respiro dura più a lungo e piano vedo
il bordo dell’acqua che si avvicina. Sotto e
intorno il mondo fluttuante e sopra l’aria.
Le giornate si fanno più corte.
Tu hai già rimesso le scarpe e tutto il resto.
La camicia e… porti la cravatta?
Come sarebbe rivedersi con i vestiti
addosso? Stringo il filo, ho voglia
di PROVARCI.«
25maggio 2020 UINDOUnumero zeroANNO 124
I L FI L OSTORYTELLING RICORDI DI IERI, IMPRESSIONI DI OGGI
Un rituale
di saluto a quella
scogliera battuta dai venti,
così selvatica, alle sue capre,
alle ghiandaie. Che sarà
del nostro filo?
SPECIALE RISORSE
IPNOSI E AUTOIPNOSI
27UINDOUmaggio 2020ANNO 1 numero zero26
Elisabetta Zanotto
Ho provato un breve trattamento
di ipnosi alcuni mesi fa.
Il mio approccio è stato guidato
da interessata curiosità, ma in genere
parlare di “ipnosi” suscita forti
resistenze: forse si sono visti troppi
film in cui le persone sono condizionate
contro la propria volontà a fare
scemenze assortite, tipo comportarsi
come se si fosse una gallina o altre
fesserie che hanno il solo scopo
di inserirsi nel contesto della
narrazione cinematografica.
In genere quando ne parlo
con qualcuno mi sento dire:
«Bello, però mi spaventa».
Quello che io ho provato (scuola
Ericksoniana) spazza via tutti
i preconcetti sull’argomento.
Tanto per cominciare, ci si accorda
con l’operatore per finalizzare
il trattamento ed è il ricevente
a dichiarare ciò che desidera
indagare o quali obiettivi perseguire
con la pratica ipnotica.
Durante la seduta si è presenti
e si interagisce con chi sta ipnotizzando,
non ci si “addormenta” senza sapere
nulla di quanto succede. E al termine
non si ha “un buco” nella memoria
di cui sia legittimo chiedersi “cosa sarà
successo mentre ero assente?”.
Nessun operatore di ipnosi può e vuole
indurre un condizionamento che voglia
forzare in qualsiasi modo la propria volontà.
Detto questo, ecco come
è andato il mio trattamento.
una risorsa
di benessere
Nella sua estrema semplicità,
il trattamento quotidiano
di autoipnosi può sostenere
i nostri percorsi di guarigione
IPNOSI AUTOIPNOSIe
29maggio 2020 UINDOU
U N A R I S O R S A D I B E N E S S E R ESPECIALE RISORSE
IPNOSI E AUTOIPNOSI
M
i sono seduta su una bella
poltrona comoda, con i piedi
ben appoggiati al pavimento,
ho chiuso gli occhi e iniziato ad ascoltare
e a seguire le indicazioni dell’operatore,
che mi ha portato alla trance ipnotica.
Anche la parola “trance” generalmente
spaventa, ma non è altro che uno stato di
totale rilassamento, in cui si riesce a bypassare
il controllo della propria volontà e razionalità
per essere potentemente concentrati solo
sull’obiettivo; si spengono tutte le fonti di
distrazione con lo scopo di raggiungere
le risorse emotive più profonde.
Fra le indicazioni date nella trance, che hanno
lo scopo di far diventare sempre più profondo
e piacevole lo stato di rilassamento, ci sono
frasi del tipo: «I tuoi occhi sono sempre più
rilassati, se provi ad aprire gli occhi non
ci riuscirai, perché le tue palpebre sono
piacevolmente incollate».
Questa potente suggestione coinvolge
la parte motoria ed effettivamente non
si riesce ad aprire gli occhi, ma non perché
i muscoli siano paralizzati: esercitando la
volontà ce la si potrebbe certamente fare...
il fatto è che non importa niente di fare fatica
per aprire gli occhi quando si sta così bene
tenendoli chiusi, rilassati e “incollati”!
Perché uscire da una condizione in cui
ci si sente tranquilli e coccolati? La voce
dell’operatore è calma e rilassante, guida
dove si desidera andare e, quando si è arrivati
nel “posto giusto”, si riceve la suggestione
ipnotica che aiuta a raggiungere il proprio
obiettivo e che si conserverà anche
nello stato di veglia, quando il trattamento
sarà finito.
Tutte le risorse che si è riusciti a cogliere
nella trance rimangono chiare e presenti
anche nello stato di veglia e il benessere
potente che si è sperimentato rimane
a propria disposizione: ora che lo si è
“assaggiato”, ci si può tornare quando
si vuole. Rimanere nello stato di trance,
in questa condizione ovattata in cui ci si
sente “nella propria bolla” ma perfettamente
presente a se stessi, è una condizione
talmente piacevole che non si ha
alcuna voglia di riemergere: si sta
così bene dove si è!
Una volta sperimentati i benefici, il passo
successivo per me è stato imparare a
praticare l’autoipnosi, che permette
di indurre autonomamente lo stato di
rilassamento necessario per tornare in quella
condizione di benessere. Lo si fa come nella
pratica di qualsiasi tecnica di meditazione,
rilassando progressivamente, sempre di più
corpo e mente, finché non ci si sente “molli
e leggeri” oppure “piacevolmente pesanti e
rilassati”, con la mente libera da pensieri e
preoccupazioni (non è facile, ovviamente,
ma con la pratica ci si arriva). In questa
condizione è possibile gustarsi uno spazio
di benessere tutto “su misura” e darsi anche
delle suggestioni per attivare processi di
guarigione e per migliorarsi in qualsiasi modo
si desideri, tornando poi alla quotidianità
rigenerati e con maggiori risorse.
Quello che sto seguendo da allora, e che
affianco alle tecniche di rilassamento è
Il metodo Coué, una pratica di autosuggestione
messa a punto da Émile Coué, vissuto fra
la fine dell’800 e l’inizio del ‘900.
Il libro racchiude i consigli dell’autore,
che ha scoperto, più o meno
consapevolmente, il famoso “effetto
placebo” e si affida con il suo metodo
all’autosuggestione, una forza
completamente indipendente dalla
volontà, dalle grandi potenzialità
terapeutiche. Si tratta di un
documento storico ancora attuale.
ÉMILE COUÉ, Il metodo Coué, Edizioni
Mediterranee, 150 pp, 14,50 €
L’ipnosi, intesa come potenzialità
della mente, è stata impiegata
dalla più remota antichità, ma
era ascritta a manifestazione
divina o diabolica, legata alla
religiosità o a pratiche magiche.
Franz Anton Mesmer
(1734-1815) condusse studi
e esperimenti miranti alla
comprensione del fenomeno,
ipotizzando nel 1779 la teoria
del magnetismo animale.
James Braid (1785-1860)
rivide le teorie di Mesmer e
introdusse il termine ipnosi,
che deriva dal greco hypnos
(sonno).
Gli sviluppi successivi si
devono ai lavori di Liébeault
(1823-1904) e Bernheim
(1837-1919), della Scuola
di Nancy, in opposizione
agli studi della scuola
di Jean-Martin Charcot
(1825-1893), che operava
all’Ospedale della Salpêtrière
di Parigi.
Per la scuola di Nancy
l’ipnosi era un fenomeno
psicologico normale e tutti i
suoi aspetti potevano essere
spiegati con la suggestione,
mentre per Jean-Martin
Charcot l’ipnosi era una
nevrosi isterica artificiale.
Anche Sigmund Freud
(1856-1939) si interessò
all’ipnosi, ma la transitorietà
dei risultati terapeutici,
la laboriosità dei
procedimenti ipnotici
e la limitazione delle
applicazioni terapeutiche
lo spinsero ad abbandonare
l’ipnosi e a creare un nuovo
metodo: la psicoanalisi.
Dopo il periodo di decadenza
seguito all’inizio della
psicoanalisi, l’interesse
per l’ipnosi si risvegliò
durante la prima guerra
mondiale, quando con
tale metodo si iniziarono
a trattare le nevrosi
traumatiche di guerra.
Ma soltanto dopo la seconda
guerra mondiale la comunità
scientifica manifestò aperture
nei confronti dell’ipnosi.
Milton Erickson
(1901-1980), psichiatra,
sviluppò una terapia chiamata
“ipnosi ericksoniana”, che
permetteva di comunicare
con l’inconscio del paziente.
Questo tipo di ipnosi era
molto simile a una normale
conversazione e induceva
una trance ipnotica nel
soggetto. Secondo Erickson,
in ipnosi l’eventuale processo
terapeutico non dipendeva
affatto dalle parole o dalle
azioni dell’operatore, come
comunemente si credeva, ma
derivava interamente da una
riorganizzazione interna che
solo il paziente medesimo, in
un ambiente favorevole, può
portare a termine.
Dave Elman (1900-1967)
definì l’ipnosi come “uno
stato della mente in cui
viene bypassata la facoltà
critica dell’essere umano
e viene instaurato
il pensiero selettivo”.
IPNOSI: GLI ESORDI Milton
Erickson
31maggio 2020 UINDOUANNO 1 numero zero30
U N A R I S O R S A D I B E N E S S E R ESPECIALE RISORSE
IPNOSI E AUTOIPNOSI
Questo signore francese esercitava
l’attività di farmacista e durante il suo
lavoro si era reso conto del forte
ascendente che era possibile esercitare
sulla guarigione delle persone,
semplicemente dicendo loro
all’atto della consegna dei farmaci:
«Questa medicina le farà molto bene».
A quei tempi i concetti di “placebo”,
“suggestione”e “autoguarigione”non
erano certo di pubblico dominio e molte
idee, che oggi abbiamo ampiamente
assimilato, allora erano solo abbozzate;
il fatto che la fiducia nella persona
del farmacista potesse fortemente aiutare
il malato a stare meglio lo indusse a riflettere
e a cercare di capire quali meccanismi
si mettessero in moto.
Si avvicinò alla Scuola di Nancy, fondata
da Ambroise-Auguste Liébeault, medico
a Nancy, e di Hippolyte Bernheim, famoso
neurologo parigino, con lo scopo di accedere
agli sviluppi dell’interpretazione dell’ipnosi,
che iniziò a praticare.
Mise a punto un metodo estrememente
semplice, da affiancare alle sedute di ipnosi,
spostando l’attenzione e la fiducia dalla figura
del medico/terapista a se stessi.
Ogni giorno, da ogni punto di vista, miglioro.
È tutto qui!
Ogni sera quando si va a dormire, e ogni
mattina prima di alzarsi, mentre si è a letto
con gli occhi chiusi, senza sforzarsi di
concentrare l’attenzione su ciò che si sta
per dire, si ripete venti volte questa frase,
muovendo a malapena le labbra e con
il volume di voce appena sufficiente
per sentirsi.
IL SOGGETTO
IN IPNOSI PUÒ…
`` orientare con facilità
la propria introspezione
nei diversi settori del suo
organismo
`` ampliare o ridurre le
sensazioni che provengono
dall’interno del suo corpo
`` alterare i parametri fisiologici
avvertibili come il battito
cardiaco, il ritmo respiratorio,
la temperatura cutanea.
CON L’IPNOSI È POSSIBILE…
`` entrare nella propria
storia e variare i criteri
di elaborazione
dell’informazione in ingresso
`` modificare i significati
che il soggetto ha dato
in passato alle sue esperienze
fruendo delle alternative
che possedeva
`` ottenere dei cambiamenti
nella continuità della
memoria (amnesie parziali
o totali)
`` accedere ai meccanismi
psicodinamici regolatori
del comportamento
`` superare più facilmente
le resistenze.
LE EMOZIONI
Sono una risposta
dell’organismo a momenti
dell’esistenza. Nello stato di
veglia il controllo volontario
delle emozioni è un compito
particolarmente arduo, mentre
in ipnosi possono essere
amplificate o ridimensionate.
Vi è inoltre la possibilità di
passare repentinamente
da un’emozione all’altra in
relazione ai suggerimenti
che vengono impartiti
dall’ipnotista.
-- Mangio solo ai pasti principali,
con moderazione e correttezza.
-- Sto diventando una persona apprezzabile,
ho molto da offrire.
-- Sento un grande piacere nel fare le cose
che mi piacciono di più.
-- Alla fine della giornata mi sento ancora
fresco, energico e pieno di vitalità.
-- Posso cambiare la mia vita in qualsiasi
direzione desideri.
-- Attraverso il rilassamento, il mio livello
di controllo è aumentato.
-- Dormo come un bambino ogni notte.
-- Affronto le difficoltà e i conflitti con calma,
forza e facilità.
E COSÌ VIA... PROVARE PER CREDERE!«
COME VIENE MISURATA
LA COSCIENZA
L’elettroencefalogramma misura l’attività del cervello distinguendo
le onde che vengono registrate su un foglio attraverso dei parametri
che vengono misurati nell’arco di 1 secondo: quantità e intensità.
Ci sono 4 livelli di coscienza:
`` onde Beta 30-10 Hz (stato di vigilanza)
`` onde Alfa 18-4 Hz (leggero rilassamento)
`` onde Theta 8-4 Hz (per molto tempo considerato il livello
dell’ipnosi profonda)
`` onde Delta 4- 0,5 Hz (sonno).
La ripetizione, come un mantra,
è un’autosuggestione dai risultati
sorprendenti per il proprio equilibrio
psicofisico. Questa semplice frase
ideata da Coué può andare bene
per tutti nella sua genericità,
ma ognuno può spaziare a
piacimento, creando delle
suggestioni da applicare a se
stesso per agire su aspetti
della propria persona
o condizioni di salute
particolari.
L’unica condizione è che gli enunciati siano
sempre espressi in termini positivi e che
non siano contenute particelle di negazione.
Alcuni esempi di suggestioni
per l’autoipnosi
-- La mattina sono sempre più vivo
e mi piace.
-- La mia autostima sta crescendo
a grandi passi.
-- La mia memoria sta costantemente
aumentando ogni giorno.
-- Sviluppo sempre più entusiasmo.
-- Sono sempre più interessato
ad altre persone e agli eventi
al di fuori di me.
ONDE BETA Capacità di elaborare
coscientemente i pensieri.
La maggior parte dei nostri momenti
di veglia. Focalizzazione sull’attività
logica e sequenziale dell’emisfero
cerebrale sinistro, perché il cervello
è intento nell’elaborazionae di
innumerevoli informazioni che
arrivano attraverso i cinque sensi.
ONDE ALFA Collegamento tra
mente conscia e inconscia, vivido
immaginario, consapevolezza rilassata
e libera da pregiudizi.
Permette di riflettere, meditare o staccare
da un’attività.
Quando ci concentriamo intensamente
su un pensiero, abbiamo meno
stimoli da elaborare: ciò libera
l’organizzazione logica e sequenziale
dell’emisfero cerebrale sinistro e ci
permette di accedere a quello destro,
più creativo e intuitivo, che funziona
attraverso immagini e suoni.
Artisti, scienziati e atleti, consciamente
o inconsciamente, vanno in questo
stato per realizzare la loro ispirazione
e miglior performance.
Problem solving creativo, apprendimento
accelerato, miglioramento dell’umore,
riduzione dello stress, introspezioni
intuitive, situazioni creative,
ispirazione, motivazione e sogni
a occhi aperti.
ONDE THETA Creatività inconscia,
ispirazione e connessione spirituale.
Sono associate con le più profonde
esperienze di meditazione e creatività.
Sono più lente delle Beta o Alfa e hanno
un’ampiezza ancor più grande. Quando
restringiamo
la focalizzazione principalmente
al sé interiore, possiamo andare
in onde Theta. Contribuiscono
a una profonda pace interiore,
a verità mistiche, alla trasformazione di
credenze limitanti inconsce,
alla creazione di una qualità migliore
della vita, alla guarigione fisica
ed emozionale, e a trovare lo scopo
e la qualità della vita.
ONDE DELTA Sono caratterizzate
da una sorta di sapere che si sente come
saggezza interiore, fede, meditazione,
abilità psichiche e il recupero di materiale
inconscio. Hanno la più grande ampiezza
e la frequenza più lenta. In questo stato
di coscienza il corpo è nella modalità
“letargo”. Spesso associate allo stato di
coma. Yogi esperti possono raggiungere
questo stato coscientemente. Quando
sono in Delta, sono in grado di regolare
la temperatura corporea e il battito
cardiaco. Gli studi più recenti hanno
dimostrato che l’ipnosi non corrisponde
a un cervello in uno stato semi letargico,
catatonico, bensì in uno stato di altissima
concentrazione!
33maggio 2020 UINDOUANNO 1 numero zero32
IN BILICO RACCONTI TRA FANTASIA E REALTÀ
Forti correnti a senso
alternato. Per fare che?
“Ma caro, ci si replica
in compagnia!
Questo è lo SCOPO”.
Non l’ho mai accettato.
Ho scelto di vedere
il mondo. Sono diverso.
Sono curioso, moltissimo.
Amo la luce, le forme,
i suoni e i colori. Perché mai
avrei dovuto rinchiudermi
al buio per il resto della mia
vita? Così approfitto di un
colpo di tosse, un bel saltino
e mi ritrovo sui pantaloni
di un umano. Altro salto
vertiginoso e sono su
una gonna! Procedo
approfittando di questi
passaggi inconsapevoli.
Non so che accadrà.
Ma non ho paura.
Ok, lasciate che vi
racconti. Innanzi tutto,
questo sono io.
M
i sono sentito
“diverso”, subito,
appena sono nato.
Vi state domandando perché?
Sono ovaloide.
Non tondo come tutti.
Sono stato bullizzato
in gioventù per questo.
Mi scrutavano
compassionevolmente.
Poveretto!
Poi le cose sono
peggiorate quando
tentarono di convincermi
ad aderire allo SCOPO.
L’ho sempre considerato
stupido, senza senso.
E molto sgradevole.
Raggiungere quel posto
buio, umido, con due
alberi rovesciati.
Senza luce.
ECCOMI.
Sono vissuto più di chiunque
altro. Ben quattro settimane.
Ora sono vecchio e prossimo
a morire.
Ma sono contento.
Contento di aver dato
un significato diverso
alla mia vita rispetto
ai miei simili.
Sergio Rossi
Come dite? Non vedete?
Ma certo! Ci vorrebbe un
miscroscopio!
Il fatto di essere enormi
non deve portarvi a pensare
di essere l’unica esistenza
possibile.
Dopo aver fatto Tarzan
fra diversi umani, non vedo
più il cielo. Salite le scale,
eccomi in un appartamento
umano! Dio mio!
Quanta bellezza. Meno
male che ho con me
la mia Canon. Ho fatto
bene, ho seguito il cuore.
E gli stronzi dei miei simili
che vadano a farsi fottere.
Umani! Molto interessante.
Avevo sentito dire, da
quando siamo arrivati, che
avete paura di noi, di un
contatto. Questa umana
non sembra spaventata.
Sta leggendo!
35maggio 2020 UINDOUANNO 1 numero zero34
IN BILICO RACCONTI TRA FANTASIA E REALTÀ L’ O S P I T E
Adoro leggere.
Un libro in italiano!
Come dite? ma certo,
conosco tutte le lingue
del mondo! Anche se devo
dire che questa disposizione
di lettere alla rinfusa
mi ha lasciato perplesso.
Tornando all’umana,
l’ho colta in altri
Tutto è così eccitante!
Soprattutto le cose che
hanno poco senso.
Perché sono il nuovo,
la scoperta.
E ora io so cosa voglio.
Non so se voi umani
provate lo stesso.
Non so dire se
sia uno SCOPO.
Ma in culo il resto!
“Ora sono un po’
stanchino” come disse
Forrest Gump.
Vi lascio il mio
reportage prima
di rinsecchirmi.
ADDIO, CERCATE
LA BELLEZZA! «
atteggiamenti che
non capisco.
Mi potreste aiutare?
Prendete contatto
con l’Editore, il quale
ha istituito ricchi premi
e cotillons per chi darà
spiegazioni convincenti.
Per esempio non capisco
queste sue attività umane.
ANNO 1 numero zero36 maggio 2020 UINDOU 37
IMPRONTE LA MALEDIZIONE DELLE SPINE
T
anto tempo fa i fichi d’India,
dai quali appunto prende il nome
questo allegro territorio, erano
morbidi e succosi, non come li conosciamo
noi ora. Si potevano raccogliere come
delle mele! E tutti gli abitanti del Paese ne
gioivano… finché, un giorno, il Clan degli
Uomini Bassi, nella lingua locale detti I Curti,
non lanciarono sulla popolazione un terribile
maleficio: “Chiunque voglia assaggiare la
dolcezza del fico d’India, dovrà d’ora in
poi passare dalle nostre mani!”. E così, con
l’aiuto della magia nera, li ricoprirono di spine.
Nonostante la vita continuasse a scorrere
tranquilla nel Paese dei Fichi d’India, i suoi
abitanti soffrivano in silenzio per la loro
condanna. In molti avevano provato a
mangiare i frutti senza aiuto, e tutti si erano
bucati le mani, patendo atroci dolori; ormai,
nessuno provava più a far da sé. Ma non
solo… Nessuno parlava neppure più della
maledizione! Anche se tutti, chiaramente,
sapevano.
La terra dei
I Curti, da parte loro, erano fieri del loro
operato. Chiedevano pagamenti a chiunque
avesse bisogno di sbucciare i fichi d’India e
gli affari andavano a meraviglia. Felici e beati,
comandavano su tutti, visto che i fichi d’India
erano la principale fonte di guadagno della
popolazione, e dicevano, tra grasse risate:
«Comandare è meglio di mangiare».
Un giorno, un giovane ragazzo senza paura
decise di ribellarsi al monopolio del fico d’India.
Sì, così decise di chiamarlo, in modo che
tutti potessero finalmente dare un nome a
quell’enorme problema. Reclutò degli amici
e insieme stamparono un volantino che
esprimeva tutto il loro dissenso, con scritto:
“UNITI CONTRO IL MONOPOLIO DEL
FICO D’INDIA!”E poi aggiunsero in lingua
locale, per provocazione:“I Curti, fetunu i
munnizza!”
Bisogna dirlo, i Curti non brillavano proprio
per cultura, e parlavano meglio il dialetto che
la lingua nazionale. Ecco perché il volantino
recitava quelle parole, per toccarli nel profondo
e farli infuriare; il nostro eroe sapeva che
solo così avrebbe veramente attirato la
loro attenzione. Incredibilmente, però, quel
coraggioso volantino destò anche la curiosità
di altri ragazzi come lui, persone normali,
stanche di sottostare all’odioso“monopolio
del fico d’India”.
Il giovane coraggioso era un persona
particolare: oltre al coraggio, si distingueva per
il suo aspetto fisico. Eh sì, perché, guardandolo,
Il“monopolio del fico d’India”era ormai
sulla bocca di tutti, se ne parlava ovunque:
molti erano convinti che fosse il principale
problema del Paese dei Fichi d’India e che
perciò andasse risolto.
U Menzanu e i suoi Rivoluzionari, sfruttando
le loro abilità ingegneristiche e la loro
inventiva, brevettarono uno strumento
con cui raccogliere e sbucciare i fichi d’India,
per non dover più chiedere aiuto ai tiranni.
Andarono vicino al fiume dove crescevano
delle lunghe canne, le colsero, con un coltello
divisero in quattro una delle due estremità
in modo che si aprisse come un fiore, posero
una pietra nel mezzo e legarono il tutto con
della corda. In questo modo l’estremità aperta
fungeva da lungo braccio per raccogliere i fichi
d’India senza avvicinarsi alle spine; lo stesso
strumento veniva poi utilizzato per tenere
fermi i fichi d’India mentre si operava la
pulizia, senza causare alcun danno alle mani.
Pensarono di chiamarlo“Lungo Braccio
Raccogli Fichi d’India”, ma risultava
evidentemente troppo complicato; perciò
si limitarono a chiamarlo nnocca.
Questa sì che fu una grande invenzione,
la popolazione ne era entusiasta!
Grandi, piccoli, vecchi, giovani, colti
e ignoranti: tutti si fabbricarono una
nnocca che li aiutasse a raccogliere i fichi
d’India e a sbucciarli. I Curti erano furiosi,
improvvisamente tutti i loro affari erano
andati in fumo; da un giorno all’altro, erano
stati spodestati da un gruppo di ragazzi!
Il popolo, grazie ai Rivoluzionari, aveva
aggirato la maledizione, era finalmente
tornato a essere indipendente e ognuno
faceva da sé, com’era anticamente.
Nino Faranna & Karin Rossi
FICHI d’INDIA
C’era una volta (e c’è ancora), una splendida
terra piena di gente simpatica e ospitale:
il Paese dei Fichi d’India. Un posto così bello
che negli anni è stato attraversato da migliaia
e migliaia di persone, di tutte le etnie,
usi e costumi. Adesso, infatti, le persone
che lo abitano sono un meraviglioso
miscuglio di razze e colori.
si intravedevano due metà ben precise!
Non faceva ovviamente parte del Clan
degli Uomini Bassi, ma non era nemmeno
del tutto assimilabile alla consueta gente
alta. Per questo motivo, tutti lo chiamavano
U Menzanu. Molti non ci facevano caso,
la differenza era davvero minima, ma alcuni
sapevano che lui era figlio di un matrimonio
misto: madre alta, padre basso… e lui,
appunto, menzanu.
Inutile dire che, inizialmente, chi non
lo conosceva bene lo guardava con
sospetto. Ma lui andava avanti imperterrito
a perseguire il suo obiettivo: spodestare
i Curti e sciogliere una volta per tutte la
maledizione!
Il suo atto di protesta non passò inosservato
tra le file dei potenti e U Menzanu fu
costretto a scappare di casa.
Ma nemmeno questo lo fermò.
Anzi! Diede vita a un movimento
di informazione con l’intento
di accrescere la consapevolezza degli
abitanti del Paese, ricordando ai vecchi
ciò che avevano dimenticato e spiegando
ai giovani ciò che non sapevano.
Raccoglieva sempre più seguaci attorno
a sé e vennero a sapere di lui anche
nelle province vicine.
Chiunque
voglia assaggiare
la dolcezza del fico
d’India, dovrà d’ora in poi
passare dalle
nostre mani!
39UINDOUmaggio 2020
L A T E R R A D E I FI C H I D ’ I N D I A
aveva avanzato la richiesta. U Menzanu aprì
la sua camicia per permettere loro di ferirlo
proprio in mezzo al petto: avrebbe portato
la cicatrice della battaglia vinta all’altezza del
cuore, per tutta la vita. Il capo dei Curti prese
una lunga canna appuntita, gli bucò il petto e,
raccolta una goccia di sangue con la punta, la
depose sul primo fico maledetto tanto tempo
prima.
Mentre la maledizione lentamente e finalmente
sembrava sciogliersi, U Menzanu si chiuse
la camicia, girò i tacchi e se ne andò. Quello
che non poteva sapere era che la canna fosse
avvelenata! Ancora prima di uscire dai terreni
dei Curti, si sentì mancare il respiro, si accasciò
e morì, solo, come aveva iniziato. I Curti,
avevano previsto tutto. Nascosero il corpo, si
assicurarono che non ci fosse alcun testimone,
e poi fecero marcia indietro e ristabilirono la
maledizione.
I Rivoluzionari sapevano del pericolo che
U Menzanu correva andando a parlare da solo
ai Curti. La sera, quando non lo videro tornare,
perlustrarono in lungo e in largo tutto il Paese,
ma non c’era, era sparito. Cominciarono allora
a cercare un messaggio, un indizio, qualsiasi
cosa che potesse indicare loro cosa gli fosse
successo; andarono a casa sua e la rivoltarono
da cima a fondo… e saltò fuori un biglietto, che
diceva:“sono andato da solo, posso sciogliere la
maledizione, ma non so se riuscirò a tornare”.
Quelle parole scritte suonarono come delle
campane nelle orecchie e nel cuore di tutti
i Rivoluzionari. L’unico modo per scoprire cosa
fosse veramente successo a U Menzanu
era andare personalmente, e tutti
insieme, dai Curti.
numero zeroANNO 138
I Curti, però, non si arresero, si riunirono a
consiglio ed escogitarono un nuovo, malefico
piano per riprendere il monopolio sul fico
d’India, semplice ma efficace. Una notte, si
riunirono in squadre, si recarono al fiume e
raccolsero tutte le canne che c’erano; per
fare in modo che non ne nascessero più, poi,
sparsero sale sul terreno. Andarono così a
rubare ogni nnocca in ogni casa del Paese e
ne fecero un gran falò. Le canne, come si può
facilmente intuire, vennero piantate nei loro
terreni e, a guardia di essi, furono poste delle
guardie armate fino ai denti, di modo che
nessuno si avvicinasse. Semplice, ma efficace.
Oltre il danno, la beffa! Ora non solo i fichi
d’India continuavano ad avere le spine, ma
anche le persone che avevano trovato il modo
di raccoglierli con le loro forze dovevano pagare
per avere accesso allo strumento di lavoro.
U Menzanu, e tutti i Rivoluzionari, disperati,
non sapevano più che pesci prendere;
lo sconforto li aveva invasi e non vedevano
alcuna soluzione all’orizzonte.
Fu allora che il nostro eroe, da solo, come
all’inizio della storia, decise di farsi avanti.
Proprio lui, che per un brutto scherzo del
destino conosceva personalmente i Curti in
quanto proprio suo padre ne faceva parte!
U Menzanu andò a trovarli, da solo, armato
semplicemente delle sue parole. Chiese loro a
gran voce di smetterla con il loro monopolio,
urlò indignato che la gente è tutta uguale e tutti
hanno gli stessi diritti, parlò per molto tempo,
come un avvocato davanti a molti giudici.
I Curti lo ascoltarono con molta attenzione,
apparvero addirittura convinti, alla fine del
discorso. Accettarono di revocare il monopolio,
ma per sciogliere la maledizione, dissero, era
necessaria una goccia del sangue di colui che
IMPRONTE LA MALEDIZIONE DELLE SPINE
E così, si avviarono. Erano tantissimi,
non entravano nella strada tanti erano! Il
“monopolio del fico d’India”aveva unito
un popolo nella battaglia per tutto ciò che
era giusto. Arrivati nel territorio dei Curti,
vi entrarono di forza, nonostante le guardie
che, intimorite, si arresero a quella folla
sterminata di persone. Poco più avanti
trovarono il corpo senza vita di U Menzanu,
ma non fecero in tempo a farsi prendere
dal dolore che videro… le spine. Sì, le spine
dei fichi d’India! Stavano cadendo una a
una da tutti i frutti: l’energia travolgente di
quella massa di persone, unite da una causa
comune, aveva avuto il potere di spezzare
una volta per tutte il maleficio.
I Curti, presi d’assalto alla sprovvista,
non riuscirono lanciare una contro-
contro-maledizione e i fichi d’India
tornarono a essere lisci come una
volta. Loro invece, i Curti, vennero
tutti legati insieme e buttati in una
fossa circondata da canne appuntite
avvelenate, come quella che aveva
ucciso U Menzanu; lì sarebbero
rimasti per il resto
dei loro giorni.
Che dire del Paese dei Fichi d’India? Non ci
fu più bisogno dei Rivoluzionari, che decisero
comunque di restare uniti per ricordare ogni
anno il loro capo e amico, che si era sacrificato
per la causa più giusta di tutte. Soprattutto,
decisero di portare avanti l’opera e lo spirito
di U Menzanu, tramandando a chi sarebbe
venuto dopo di loro il racconto di ciò che era
accaduto, per non commettere più gli errori
che erano stati fatti in passato e vivere
per sempre in armonia.
Ora, devo essere sincero con voi
tutti. In realtà, come i bravi lettori
sapranno sicuramente, le cose
purtroppo non stanno
proprio così. Il sacrificio del
nostro protagonista è solo uno,
ma ce ne sono stati molti
altri; probabilmente ce ne
saranno molti ancora, in
futuro. Dovete sapere che
c’è una splendida terra
chiamata Sicilia, dove i
fichi d’India hanno ancora
le spine. Le hanno sempre
avute, e ognuno con molta
pazienza li sbuccia e riesce a mangiarli
fin dall’alba dei tempi. Ma una cosa non c’è
sempre stata: si chiama Cosa Nostra e, come
una maledizione, ha afflitto questa terra per
molti anni e con soprusi di ogni genere. Molte
persone coraggiose l’hanno combattuta e
hanno pagato con la loro vita l’attaccamento
a questa giusta e folle causa, secondo alcuni
persa in partenza. Purtroppo non è stata
sconfitta. Non ancora.
Io, dal canto mio, spero di vivere abbastanza
per vedere sciolta la nostra maledizione.«
Dovete sapere
che c’è una splendida
terra chiamata Sicilia,
dove i fichi d’India
hanno ancora
le spine.
41maggio 2020 UINDOUnumero zeroANNO 140
STORYTELLING
RICORDI DI IERI,
IMPRESSIONI DI OGGI
23 marzoMi alzo e tiro su la tapparella. La corda cede e
con un tonfo sordo si srotola tutta, sigillando la stanza.
Sono al buio.
Apro la finestra e provo a sollevarla, a infilare sotto, nel taglio
di luce, la punta di un coltello, una squadretta di ferro, un pezzo di
qualunque cosa, la spingo con le mani. Niente. Immobile.
Mi manca l’aria, mi viene da piangere nella totale oscurità. Prendo una scala
e cerco di aprire il cassone, gli do delle manate e dei pugni.
Immobile pure lui, direi incollato, fuso con il muro, aggrappato lì.
Chiamo, chiedo aiuto: «Vediamo, lasciamo passare qualche giorno», «È chiuso il ferramenta
di fronte?» «Non c’è un uomo lì?»… Capisco, in effetti non è che si possa prendere e venire
in casa d’altri così. Smetto di resistere.
Oggi lavoro al buio.
20 marzoChiudo il pc, finalmente emergo dall'ennesima riunione digitale,
ed esco quasi di corsa. Ho bisogno di aria.
Prendo la bici, pedalo lungo le strade deserte.
Le gambe mi portano sul ponte dell’Ortica. Salgo e poi giù veloce con
il vento tra i capelli. Ma sono davvero a Milano? Arrivo al Forlanini
al crepuscolo, faccio il giro del laghetto e torno indietro.
In via Corelli, incontro un fagiano: attraversa con tutta calma la strada.
Freno. Mi guarda di sottecchi con un'andatura da spaccone, prende
un pochino di rincorsa e si alza in volo maestoso, verso il cielo di Linate.
L'aria profuma di erba umida. Grazie, ora lo so, è iniziata la Primavera.
21 marzoSabato notte. Apro la finestra sulla
piazza vuota. Entra uno sterminato
silenzio che non somiglia a niente.
Abbiamo giocato a Taboo stasera,
ognuno davanti al proprio schermo.
Abbiamo riso e dimenticato.
Ora vorrei tutti qui seduti vicini
insieme, intorno a un grande tavolo
che occupi la piazza intera. 
M
A
R
2
0
2
0
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Th
6
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Su
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17
24
TuMo
2
9
16
23
3130
diarioprimavera
Susanna Tresoldi
di
Non so perché ma sono felice.
Vi racconto la mia settimana.
22 marzoStasera io e Teresa
facciamo la pizza.
Stendiamo la pasta
gommosa che appiccica
le dita, mettiamo il
sugo e la mozzarella,
mentre il forno si
scalda chiacchieriamo
in video con le amiche
del mare.
Tiriamo fuori una
bottiglia di prosecco
e intanto facciamo
le bolle di sapone.
Alla fine parliamo
sdraiate per terra,
vicine vicine.
Ieri è lontanissimo.
Mi sembra di indossare
gli stivali delle sette
leghe di Pollicino.
Sono leghe di tempo
queste, ogni ora ci
allontana dal passato
come un’intera vita.
24 marzoNotte fonda… siamo in videochiamata
io e Gian. Non ci incontriamo dal 1°
marzo. È a letto. Vedo le sue braccia
intrecciate, ne sento la consistenza,
sento il suo odore, vedo la barba
lunga e imbiancata… la sento ruvida
sulla mia faccia. Non c’è nulla
di più familiare per me di questo viso,
di queste braccia.
Dei suoi occhi che mi guardano
nell’intimità del silenzio totale.
25 marzoMi sveglio.
Mi sto abituando a non vedere nulla
e mi piace. La stanza è come rimpicciolita,
trasformata, avvolta in un incantesimo
misterioso. Mi protegge.
Mi viene in mente il castello della
bella addormentata. Vedo tutta
la città e il Paese sospesi in una
foresta magica, avvolti in un bozzolo
che li salverà, ci salverà.
Oggi non esco. Resto a casa.
26 marzoSono le 8.30. Tere sta iniziando la lezione di latino.
Sento che saluta la prof. e si mette le cuffie. Mi siedo a gambe
incrociate in cucina, mi stiracchio sul tappetino, alzo gli occhi….
La pianta di Datura è illuminata! È arrivato il Sole. Ogni anno, verso
fine ottobre si abbassa dietro la casa di fronte, la più alta.
Per mesi lo vedo solo da lontano, sui muri intorno.
Le piante perdono le foglie. A marzo, un giorno ritorna. Porta l’estate.
Oggi è quel giorno. Accendo la moka. Ho voglia di cantare.
43maggio 2020 UINDOUANNO 1 numero zero42
ARTE RITRATTI, OLTRE I CONFINISTORYTELLING RICORDI DI IERI, IMPRESSIONI DI OGGI
RITRATTO #7
Confuse pennellate
di rosso, tremanti, come
le mani sempre sporche
fanno da sfondo su una
tela bianca verniciata
della stessa luce.
Si concentrano al centro
di un supporto tondo, in
fondo, su un porto sicuro.
La loro gradazione
è intensa e decisa:
si mimetizzano nel sangue
che le ha generate
e in esso si perdono,
ritrovandosi sempre.
Filo di ferro dorato,
piegato, in innumerevoli
giri della morte discende
e risale come
TESI,
ANTITESI,
SINTESI.
SINTESI,
TESI,
ANTITESI,
SINTESI.
Soluzioni acquose
che amalgamano
umori presenti dall’inizio
dei tempi, fino alla fine
dei giorni.
Accompagnano silenziose
e improvvise come punti. «
Dedicato per sempre
alla scoperta del suo
materiale, forse è oro
morbido come ferro.
Agli argini del rosso
che scorre immobile
per dare la vita,
si concentrano come
sputi malati delle piccole
macchie nere solubili.
BeatriceFiniguerra
ovvero ritratto di una persona
in movimento 
28 marzoTorno con la spesa. Milano nel sole
stamattina sembra un pigro borgo di
provincia. Immagino gli amici nelle case
intorno a preparare il pranzo. Più tardi
ci scambieremo video e foto di piatti e
ricette. Un autobus mi passa accanto,
delicato come una piuma.
Sono sul mio divano ora, sdraiata
sulla coperta pelosa, il tablet tra le mani,
una tazza di caffè lungo con cannella
sul vassoio verde «
27 marzoNon mi faccio ingannare dal cielo grigio. Mi metto a
potare, sistemare, ripulire, aggiungo terra. Un vicino
mi vede e saluta… prendo la palla al balzo e gli
chiedo una mano per la tapparella. In un attimo è alla
porta. Non vuole nemmeno i guanti. Sale sulla scala,
litiga un po’ con il cassone che alla fine cede. Tira
su la tapparella e lega la corda, fissandola al
lato. La stanza si riempie d’aria buona, torna quella
di sempre, con il suo disordine.
45UINDOUmaggio 2020numero zeroANNO 144
ARTE RITRATTI, OLTRE I CONFINI
Martina Corno Di fronte a noi,
oltre i confini
Ci sono dipinti
che mostrano
a noi spettatori
ciò che avviene
al di là della
finestra.
L’espediente
crea un dialogo
con il soggetto
che spesso è
raffigurato di schiena,
preso a guardare
all’esterno
dell’ambiente
entro il quale
è descritto…
Edward Hopper
Morning sun (1952)
Johann Heinrich Füssli
Signoraallafinestraalchiarodiluna(1800-1810)
Caspar David Friedrich
Donna alla finestra (1822)
Morisot Berthe
Eugène Manet all’isola di Wight (1875)
Salvador Dalí
Ragazza alla finestra (1925)
Henri Matisse
La finestra aperta a Collioure (1905)
Pablo Picasso
La table devant la fenetre, 1919
Umberto Boccioni
La strada entra nella casa (1911)
Giorgio De Chirico
Il poeta e il filosofo (1915)
René Magritt
Condizione umana, (1933)
S
i innesca un meccanismo
empatico che non solo ci dà,
a livello di concretezza,
la stessa visuale del protagonista
dipinto, ma in secondo luogo, e
decisamente più importante, porta
a incuriosirci sul personaggio
stesso: cosa attirerà la sua
attenzione? E che pensieri avrà,
mentre guarda quel che accade
oltre la finestra di casa sua?
Come si sente, mentre rimane
affacciato al davanzale?
Inconsciamente o meno, ci
ricordiamo di quello che noi per
primi abbiamo visto dalle nostre
finestre. E così si crea la connessione
e la comprensione della storia
che il quadro vuole raccontarci.
Ciascuno di noi potrebbe essere
il protagonista del dipinto, e
carichiamo del nostro flusso di
pensieri il soggetto bidimensionale
che si presta a rappresentare
chiunque, ovunque. Il soggetto
non è più solo un disegno: siamo
noi mentre fumiamo una sigaretta
sul balcone ascoltando i discorsi
della gente per strada, noi che
sentiamo il profumo del cibo
che i vicini stanno cucinando
o il calore del sole sulla pelle.
Ogni piccolo evento davanti al
quale saremmo di solito incuranti,
si riempie di significato: quello
che noi gli diamo osservandolo.
E come il soggetto del dipinto
guarda davanti a sé, noi guardiamo
lui, in un atteggiamento ripetuto
che accentua la differenza tra
realtà e artefatto: stiamo facendo
entrambi la stessa cosa,
nello stesso momento.
E poi ci sono quei dipinti
in cui possiamo vedere solo
il soggetto intento a guardar fuori,
precludendoci la possibilità
di sapere cosa sta scorgendo, ma,
al contempo, regalandoci la libertà
di immaginarlo noi quel qualcosa,
aprendoci infinite interpretazioni,
chiedendoci di decidere lo
scenario, con un solo piccolo e per
nulla trascurabile indizio: la sua
espressione. Chissà cosa scatena:
gioia, sgomento, nostalgia?
E qua iniziamo a costruire la sua
storia, che ha un po’ della nostra.
Magari è il risveglio confuso del
mattino prima di andare al lavoro,
magari l’attesa infinita di un amante
che dovrebbe arrivare a momenti.
Il dipinto diventa il contenitore della
nostra fantasia e il soggetto il suo
spettatore. La finestra è l’apertura
verso un mondo, quello plasmato
con la nostra fantasia.Alla fine, poco
importa se il pittore vuole mostrare
o nascondere il paesaggio. Conta il
lascito prezioso che generosamente
mette a nostra disposizione: una tela
da riempire di noi. «
ANNO 1 numero zero46
ARTE RITRATTI, OLTRE I CONFINI
D I S E G N I N I C O N L E D I T A
Un dito, un iPhone,
un disegnino Bianca Costanzo
disegniniconledita
disegniniconledita
OOgni artista deve fare
i conti con gli strumenti
che l'epoca gli concede.
Che siano uno scalpello,
un pennello o dei ritagli
di giornale, c'è sempre
un limite che la creatività
deve superare.
Il mio limite sta in un dito
e nello schermo di un IPhone.
Il risultato?
Magari non la Gioconda,
ma tanti disegnini. Nonmiricordopiùilcoloredellefoglie
Lorenzo Capineri
Nino Faranna
Karin Rossi
Martina Corno
Irene Raschellà
Francesco Aliprandi
Emanuele Cavalcanti
348 4856086
polveridiscena@gmail.com
https://www.facebook.com/polveridiscena/
https://www.youtube.com/channel/UCAUt1m3pOUXyDhwMq4-KnWQ
teatro
arti visive e performative
pedagogia teatrale
“Il Teatro resiste
come un divino anacronismo”
sulas. f.
[lat. scient. Sula, da una voce islandese]
ZOOL Genere di uccelli marini
dell’ordine dei Pelecaniformi (Sula),
simili ai cormorani, dal piumaggio
prevalentemente bianco e bruno-scuro
o nero, con grosso becco conico e ali
grandi e appuntite.
PER CATTURARE I PESCI
DI CUI SI CIBANO EFFETTUANO
SPETTACOLARI TUFFI DA 50 M
DI ALTEZZA, VOLANDO IN PICCHIATA
FINO A 100 KM/H: STRINGONO LE ALI
AL CORPO, RIPIEGANDOLE ALL’INDIETRO,
E ASSUMONO LA TIPICA FORMA DI FRECCIA.
RIVISTELISTINILIBRIINFOGRAFICHECOVERADV
M
O
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LISTIC
A
A
ZIEN
D
A
LELO
G
H
IB
R
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U
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ANNUNCILEAFLETCATALOGHIFLYERLOCANDINE
MANUALIREPORTAZIENDALIDIARIPANNELLIPUBBLICITARI
CARTELLONISTICAROLL-UPNEW
SLETTERAGENDE
PRESENTAZIONIPERM
EETINGCALENDARIM
ONOGRAFIE
di patrizia cella
ilbozzetto1988@libero.it
MILANO
025464123
Di cosa ha bisogno un messaggio per essere incisivo ed efficace?
Di un contenuto solido e di un linguaggio comprensibile a tutti.
Di una rappresentazione visiva d’impatto.
Di una strategia di divulgazione snella e dinamica.
Fare comunicazione equivale a scoccare
una freccia verso il bersaglio stabilito.
È catturare l’attenzione di chi legge. È dotare idee e progetti di ali,
per portarli in quota e condurli poi a centrare con decisione l’obiettivo.
Un buon design grafico fa la
DIFFERENZA tra volare e svolazzare.
TU DA CHE PARTE VORRESTI STARE?
se scegli
divolare
SEGUI LA
FRECCIA
LA COMUNICAZIONE GRAFICA,
QUELLA A PORTATA DI TUTTI
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Uindou 0

  • 2. C’erano balconi in ogni condominio, balcone contro balcone, senza distinzione tra interno ed esterno. I muri di pietra servivano per proteggere solo dal freddo e dal caldo, non per separare dalle persone, dal quartiere e dalle famiglie che ci vivevano. Non c’erano tende alle finestre, e tutti guardavano tutti come in una catena di montaggio. Tutta la tua vita si dipanava sul balcone, immersa tra i panni che giorno dopo giorno si ammassavano sulla ringhiera a prendere aria. Nelle lunghe notti d’estate la gente stava seduta sul balcone. A casa nostra papà prendeva una lampada, portava un tavolino, e i miei genitori passavano tutta la serata a giocare a Remi in balcone. Il gioco non impediva di chiacchierare con i dirimpettai, ma anche senza raccontarsi nulla si sapeva già tutto, poiché delle grida provenienti da ogni casa distinguevi ogni parola, soprattutto se eri seduto in balcone. La nostra via era una strada molto chiassosa ed era usanza diffusa parlarsi da un balcone all’altro. Stare seduti in balcone era come stare in poltrona a guardare la televisione. Il balcone era la nostra televisione in diretta e per di più con attori reali, vivi. La reality tv fu inventata nella nostra via. libero adattamento da Ogni casa ha bisogno di un balcone, Rina Frank, 2005 STORIE (s)tese al vento a volte... … capita che un evento fortuito esalti all’improvviso alcune coincidenze e che queste vengano afferrate, accarezzate e infine convertite in opportunità. A volte accade che, allineandole una dietro l’altra, si riesca ad abbozzare un progetto. Aggiungi le circostanze che, nella loro straordinarietà, ti invogliano a osare. Mettici la dea fortuna che ti assiste benigna e ti trasfonde energia ed entusiasmo. Mescola il tutto con cura, insaporisci e incorpora il lievito, ingrediente essenziale per il buon esito del tuo impasto: un meraviglioso gruppo di amici che accoglie con entusiamo il tuo progetto e ti affianca in questa peripezia… Da questa alchimia nasce UINDOU e il risultato di questo enorme comune impegno è qui, sotto i vostri occhi. Complice iniziale è stato un libro letto tanti anni fa, miracolosamente ricomparso tra le mie mani sotto forma di regalo di mia figlia: Ogni casa ha bisogno di un balcone, di Rina Frank, di cui a fianco ho riportato l’incipit. Buona lettura... e buona visione. patrizia cella MAKE UP correttivo sposa fashion teatrale cinematografico fotografico MAKEUP ARTIST L’amore per la bellezza è buongusto. La creazione della bellezza è arte. R.W. Emerson MARTINA C. MARTINA C. 348 0864223 martinacorno.mc@gmail.com
  • 3. ANNO 1 numero zero4 5UINDOUmaggio 2020 AFFàCCIATI alla finestra! Sarà anche un’ovvia questione di accento tonico, ma la differenza è evidente. E non è solo sonora. AFFÀCCIATI O AFFACCIÀTI? Uno, verbo. L’altro, aggettivo (ok, anche participio passato, pignolini!). Uno esorta all’azione. L’altro rivela uno stato o un modo d’essere. Noi abbiamo “AGÌTO”, prima persona plurale di agire. E, se proprio dobbiamo continuare a puntualizzare, non è “ÀGITO”, prima persona singolare di AGITARE! Insomma, per mettere tutti d’accordo, noi ci siamo dati da fare, ecco… e ci siamo pure un po’ AGITÀTI, io per prima. Anche altri si sono dati da fare, osserverete voi, quindi niente di così eclatante! E invece sì! Noi siamo stati semplicemente portentosi e lo affermo con allegra sicurezza. E, senza alcuna esitazione, cedo il testimone dell’immodestia ad altri peccatori. Ognuno di noi è diventato redattore (o giornalista). Abbiamo scritto di nostro pugno testi assolutamente inediti e in totale libertà. Sono brevi storie che raccontano di fatti fantastici, di ricordi legati al passato e di momenti vissuti nel presente. La straordinarietà di questa impresa risiede nel fatto che siamo tutti scrittori “in erba” e che di mestiere facciamo tutt’altro. Ma l’entusiasmo è stato così avvolgente e travolgente che ci ha portato ad apprezzare questo tempo insolito di “distanza sociale” come un’occasione più unica che rara per sentirci ugualmente collegati e attivi, forse addirittura in misura maggiore di prima, e ci ha dato il coraggio di esporre i nostri drappi più intimi, come panni stesi a sventolare al sole. Ecco allora che viene da pensare alla funzione del balcone, protuberanza delle nostre case e palcoscenico delle nostre “storie”. Non tutti disponiamo di un balcone. Ma tutti abbiamo una finestra alla quale poterci affacciare. Finestra??? Ops, volevo dire window... UINDOU! patrizia cella S O M M A R I O ©2020 il bozzetto di patrizia cella Tutti i diritti riservati PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE il bozzetto di patrizia cella REFERENZE ICONOGRAFICHE Freepik, Pexels, Pixabay ILLUSTRAZIONI Martina Corno, Bianca Costanzo, Beatrice Finiguerra FOTOGRAFIA Laura Frigerio, Laura Negrini, Irene Raschellà, Sergio Rossi, Gina Susio, Elisabetta Zanotto REDAZIONE Catarella, Martina Corno, Bianca Costanzo, Nino Faranna, Beatrice Finiguerra, Laura Negrini, Karin Rossi, Sergio Rossi, Susanna Tresoldi, Viola D., Elisabetta Zanotto ADV il bozzetto di patrizia cella, Sergio Rossi 4 Bianca Laura Negrini 8 Voci Catarell a 12 Giorno Uno Martina Corno 15 Per amor… di punteggiatura Patrizia Cell a 16 Una giornata estiva Viola D. 20 Il filo Susann a Tresold i 24 Ipnosi e autoipnosi: una risorsa di benessere Elisabetta Zanotto 30 L’ospite Sergio Ross i 34 La terra dei fichi d’India Nino Farann a & Karin Ross i 38 Diario di primavera Susann a Tresold i 41 Ritratto #7 ovvero ritratto di una persona in movimento Beatrice Finiguerra 42 Di fronte a noi, oltre i confini Martina Corno & Patrizia Cell a 44 Un dito, un iPhone, un disegnino Bianc a Costanzo S P ES S O L E I D EE S I A C C EN D O N O L’ U N A C O N L’ A LT R A , C O M E S C I N T I L L E EL E T T R I C H E . FR I ED R I C H EN G EL S
  • 4. maggio 2020 UINDOUANNO 1 numero zero 76 STORYTELLING RICORDI DI IERI, IMPRESSIONI DI OGGI T empi difficili, di privazioni, paura e dolori, che anticipano la difficile vita di Bianca. Cresce, vorrebbe tanto studiare, ma nel paesino la scuola arriva solo fino alla terza elementare, che lei ripete per ben tre anni. Questo solo per avere l’illusione di coltivare il suo sogno di una maggiore istruzione. La vita nel paese è dura, il solo lavoro nei campi non è sufficiente per sopravvivere. Mario di professione fa il mosaicista di pavimenti (arte nella quale i friulani sono famosi in tutto il mondo), ma nel dopoguerra manca il lavoro. Quindi i coniugi decidono di emigrare a Londra, portando con loro solo i due figli maschi per aiutare e imparare il lavoro del padre. Le tre figlie, la maggiore ha solo 16 anni, rimangono al paese, mandando avanti il lavoro nei campi e accudendo agli animali. Questa situazione nell’Italia di quegli anni è normale: per poter lavorare e mantenere la famiglia è necessario emigrare, lasciando affetti e facendo spesso una vita di privazioni, sia per chi parte, sia per chi resta. Ma torniamo alla nostra storia. Passano gli anni e l’Italia entra di nuovo in guerra, la Seconda Guerra Mondiale. Bianca, ormai donna, conosce Davide, un partigiano. Tra loro nasce un grande amore e la loro è una storia costellata di incontri fugaci e clandestini. Lei rimane incinta, deve tenerlo nascosto: un grande disonore all’epoca per una donna non sposata! Dopo un paio di mesi, viene a sapere che le SS, venute a conoscenza della sua storia con Davide, vogliono arrestarla allo scopo di farle confessare dove il partigiano detto “Attila” si nasconde, o costringerlo a costituirsi per salvare lei. Scappa e si rifugia da una cugina a Treviso e al posto suo viene arrestata la madre. Davide viene scovato e arrestato e, dopo giorni di torture, viene fucilato. Aveva solo 23 anni! Il cuore di Bianca si spezza e mai guarirà. Questa storia inizia nel 1915, in un piccolo paesino situato in Friuli, dove vivono Mario e Maria, una coppia con tre figli. La partecipazione dell’Italia alla Prima Guerra Mondiale ha inizio il 24 maggio dello stesso anno. Pochi giorni dopo questa storica data, il 30 maggio, Mario e Maria mettono al mondo il loro quarto figlio. Nasce una bambina, che chiamano Bianca. Bianca, quindi, inizia la sua vita cullata dal suono delle bombe. BiancaBiancaLAURA NEGRINI Purtroppo la storia non insegna niente, e ora noi, che siamo stati un popolo di emigranti, ci arroghiamo il diritto di criticare e giudicare chi è obbligato a lasciare il proprio Paese per sopravvivere. Bianca, a destra, con un’amica, arrivate al primo e secondo posto a un concorso di bellezza. Davide, il grande amore di Bianca. Davide, il partigiano, nome di battaglia Attila.
  • 5. maggio 2020 UINDOUANNO 1 numero zero 98 STORYTELLING RICORDI DI IERI, IMPRESSIONI DI OGGI B I A N C A Arriviamo all’agosto 1963, io ho due anni, siamo in vacanza in Friuli, tranne mio padre che è rimasto a lavorare a Milano. Giunge una telefonata dagli uffici delle Ferrovie: «Signora, suo marito ha avuto un incidente al lavoro, deve rientrare subito in città». Purtroppo, non è ferito, è morto travolto da un treno, che non ha sentito arrivare mentre lavorava sui binari sopra casa. Il mondo crolla addosso a Bianca, di nuovo sola e con due figli da crescere. Ora ha due chiodi conficcati nel cuore: si chiamano Davide e Mario. Dopo anni, quando Bianca ha 45 anni, finalmente rimane incinta. La gioia della coppia è incontenibile. Il 7 gennaio, dopo un travaglio che è quasi costato la vita a Bianca, nasce una bambina, Laura. Laura: quella bambina sono io. La famiglia si sente completa, abbiamo una casa, mia madre può finalmente lasciare il lavoro per accudire me e mio fratello che, in quegli anni ha vissuto in collegio. Finalmente la serenità! Dario e Laura, i figli di Bianca. Pensiamo ai nostri 23 anni, ai 23 anni dei nostri figli. Sono stati gli uomini come Davide a permetterci una vita libera, piena di agi e opportunità. Dopo qualche mese, nasce il figlio di quel grande amore, lei lo chiama come il padre: Davide Dario. La ripresa nel dopoguerra è difficile, e la nostra protagonista è costretta a trasferirsi a Torino e poi a Milano per lavorare. È sola, quindi non può portare il figlio con sé, lo affida alla madre nel paesino in Friuli. Quando Dario, il figlio, ha 7 anni, lei conosce Mario a Milano. Mario, in divisa da meccanico dell’aviazione durante la seconda guerra mondiale. Bianca e Mario in viaggio di nozze a Venezia. Il resto della sua vita è stato dolore e lavoro, ma soprattutto una lotta continua contro la depressione. Malgrado tutto riesce a controllarla e a donare amore e comprensione alla sua famiglia, e non solo. Anche lui ha combattuto in guerra, è un aviatore, ma poi si è unito ai partigiani nella zona del pavese. Si sposano e Mario adotta il figlio di lei. Bianca, però non riesce a dimenticare Davide: per quanto possa amare suo marito, il ricordo di Davide non le dà pace. Negli anni successivi, entrambi lavorano molto, lui come cantoniere alle Ferrovie Italiane, e lei come cameriera e colf (come diremmo ora). Il loro sogno è avere una casa loro, ma soprattutto avere un figlio, che però non arriva. Ho scritto questa storia, che è anche la mia, per rendere omaggio a questa donna formidabile, grande guerriera, ma anche donna fragile e provata dalla vita. È morta quando avevo 22 anni e mi rammarico per non averle saputo dire queste cose quando era ancora in vita. Ma ci vuole una vita vissuta per poter capire una vita come la sua. GRAZIE MAMMA! «
  • 6. 11maggio 2020 UINDOU10 numero zeroANNO 1 IN BILICO RACCONTI TRA FANTASIA E REALTÀ In casa, passeggiava da una stanza all’altra, alla ricerca di qualcosa da fare. I superalcolici erano già in ordine di colore, dai marroni più scuri alle grappe bianche, le tapparelle delle stanze erano tutte alla stessa altezza, la sua serie tv preferita era agli sgoccioli e le ultime puntate andavano dosate con parsimonia, fatta la sessione di allenamento giornaliero, doccia, pranzato, barba pareggiata, così come i peli del naso. Ok, trovato! Era l’ora di un buon libro al quale appassionarsi, con un po’ di fortuna… ma la libreria era lì davanti carica di viaggi, misteri, storia, fantascienza, qualcosa di buono c’era di sicuro. I naspettato, o meglio aspettato come le centinaia di volte che risuonava in quelle giornate, il cellulare lo avvisava di una nuova notifica. Il video postato da un amico… «Ok, sospendo la ricerca del libro e scarico il video, una cosa alla volta…», mica voleva giocarsi video e caccia all’autore nello stesso lasso di tempo. In un tempo in cui ci si poteva – o meglio ci si doveva – permettere il lusso di fare una cosa alla volta. “One at the time”diceva un suo vecchio capo ufficio quando le cose si ammucchiavano sulla sua scrivania. Pensa un po’, di questi tempi torna buono tutto, dai pacchi di pasta aperti da tempo e da finire, al detto di un vecchio boss che era lì in un angolo dei suoi pensieri, in attesa di essere utilizzato, come un sacchetto di fusilli. Dov’era rimasto? ah sì, al video da scaricare. Ma quanti MB pesava? la rotellina girava, e girava, e girava, ma del video niente, solo lo schermo buio… e che…!?! Ma come si dice, ogni impedimento è giovamento. Inaspettato, o meglio aspettato come le centinaia di volte che risuonava in quelle giornate, il cellulare lo avvisava di una nuova notifica. Catarella
  • 7. 13maggio 2020 UINDOU12 numero zeroANNO 1 VO C IIN BILICO RACCONTI TRA FANTASIA E REALTÀ E così, mentre il video si caricava, arrivò un’illuminazione, di quelle che ti raddrizzano la giornata, che ti riappacificano anche con i vetri sporchi delle finestre che, nonostante tutto, non avrebbe lavato, neanche di questi tempi. La res magnae come la chiamavano i latini, l’evento cruciale! Bisognava portare giù la spazzatura. Occorreva: -- suddividere accuratamente per tipologia i diversi rifiuti -- vestirsi in maniera adeguata per l’occasione -- munirsi di tutti i presidi medico-chirurgici. E poi affrontare la discesa in cortile, augurandosi, certo, di incontrare anche una sola anima viva, qualcosa in più delle voci ovattate dei due vicini ottantenni che di tanto in tanto arrivavano da dietro la parete. Magari una figura umana, con la quale scambiare due parole. Incontrarla sì, magari non proprio sulle scale, dove lo spazio ristretto avrebbe costretto a un incontro ravvicinato. Magari giù in cortile, tra un bidone e una bicicletta, all’aperto insomma. Era tutto pronto, soliti problemi di coordinazione tra chiavi, maniglia della porta, sacchetti, ma niente di insormontabile. Era fuori, sul pianerottolo silenzioso. Chissà perché le voci moleste dei vicini si diffondevano solo dentro l’appartamento e, una volta fuori, sul ballatoio, più niente… misteri delle onde sonore, ma si poteva affrontare la discesa. Silenzio, solo i suoi passi risuonavano per le scale. Tutto liscio fino a terra, dopo aver sfidato ed eccolo di nuovo davanti alla porta di casa. Aperta. Possibile? Nell’impaccio dell’uscita, tra bottiglie, plastica e cartone forse si era dimenticato di chiudere… niente di grave, cosa poteva succedere di questi tempi? forse i più ordinari per Milano dal punto di vista della legalità e della sicurezza. Eppure… eppure appena messo piede dentro casa… delle voci. Sì erano proprio le voci di due persone, provenivano dalla camera da letto. Erano concitate, frenetiche. Cazzo che sfiga! Gli unici due malintenzionati in circolazione di questi tempi, oltre a qualche politico senza mascherina. E proprio in casa sua, nei pochi minuti che erano serviti per buttare la spazzatura. Il senso di ingiustizia, sia per essere nel mirino di due disgraziati, sia perché violavano apertamente la sfilza di decreti degli ultimi giorni nei quali, non era scritto ma sicuramente sottinteso, non si potesse uscire neanche per compiere nefandezze e turpitudini, ebbe la meglio sulla paura, che pure era tanta. Le finestre erano socchiuse e la casa era avvolta dalla penombra e ora, oltre alle voci, gli parve di vedere ombre muoversi sullo sfondo dell’armadio bianco. Quatto quatto, estrasse un coltello da prosciutto dal cassetto della cucina, lo richiuse silenziosamente e si mosse verso l’anticamera, vellutato come un Ninja. Quivi giunto, scusando l’arcaismo, lanciò un urlo – ma un urlo che risuonò per tutta la via – e sollevò il braccio sopra la testa con il coltello da prosciutto in pugno. Sul letto, illuminato di una intensa luce azzurrognola, il telefonino. Il download del video era completo e due personaggi improvvisavano uno sketch, a esorcizzare il tempo cupo che stavano vivendo. Ma certo! lo aveva capito subito che si trattava del telefonino. Ma vuoi mettere che emozione, che stacco dalla monotonia, che gioco divertente che aveva fatto! Da solo, ma si era tanto divertito. Senza contare che dopo il suo urlo, che aveva risuonato per tutta la via, qualcuno si era affacciato ai balconi, pensando di essersi perso il flash mob delle 21. « un paio di volte Newton e le sue leggi. L’operazione si presentava senza intoppi e imprevisti e, purtroppo, anche senza l’ombra del resto di un avanzo di rapporto umano. Umido, vetro, carta, plastica: il rituale di altre mille volte si era compiuto e non gli restava che tornarsene in casa. Piano la porta del cortile, lenti i passi, piano anche le scale, capitalizzando tutto fino all’ultimo secondo… Silenzio, solo i suoi passi risuonavano per le scale.
  • 8. Son rimasta a casa tutto il giorno, in nome del buonsenso. Culo vuole che proprio in questi giorni di allarmismo generale, caos e paura, mi son sciroppata una bella influenza. La mia quarantena è iniziata in realtà un paio di giorni prima delle prescrizioni ministeriali. Ma oggi ho iniziato a sentirlo davvero, questo riposo forzato, motivo per cui lo chiamo “GIORNO UNO”. 15maggio 2020 UINDOU14 numero zeroANNO 1 STORYTELLING RICORDI DI IERI, IMPRESSIONI DI OGGI A casa ho deciso di ripulire da cima a fondo camera mia, e così si è riaperto il mio mondo. Ho iniziato dalla libreria, spolverando ogni singolo libro, dalle raccolte di Bukowski che mi ha regalato Lollo, ai Geronimo Stilton con cui sono cresciuta. Ciascun libro aveva qualcosa da ricordarmi: quelli mai restituiti al mio ex fidanzato, le storie di Isabel Allende che mi hanno stretto lo stomaco, Christiane F. che leggevo per dritto e rovescio con la mia migliore amica del liceo sognando un concerto del duca bianco, la Lehman Trilogy e la sua capacità di rendere l’esame di teatro e spettacolo un vero spasso. Migliaia, milioni di pagine, che a farci un collage potrei raccontare la mia vita sconquassata, con i suoi sentimenti ed emozioni. In sottofondo mi tenevo un film con Audrey Hepburn, Sabrina, e intanto pensavo a quanto lei riuscisse a ricordarmi, con una certa semplicità e la sua ineguagliabile eleganza, che a dar voce a se stessi si è sempre vincitori. Un intero scaffale l’ho dedicato alla mia collezione di Vogue: gli amici dell’università mi hanno regalato un abbonamento per la laurea, sapendo di andare a colpo sicuro. Ogni volta che sfoglio uno dei numeri trovo sempre quel dettaglio che mi porta alla memoria un vestito UNO M entre tornavo verso casa, ho incontrato una zingarella del quartiere. La conosco da qualche settimana: era entrata nel bar in cui lavoro e mi aveva chiesto se poteva lasciare le buste della spesa in negozio mentre aspettava che venissero ad aiutarla. Era incinta di due mesi e temeva di perdere il bambino, già le era accaduto. Le avevo fatto i miei migliori auguri, incrociando le dita di mani e piedi nella speranza che quella ragazzina diventasse madre, proprio come lei desiderava. L’ho incrociata qualche giorno dopo al mercato e mi ha raccontato che purtroppo il bambino non c’era più. Ero sinceramente dispiaciuta e sono rimasta con lei a fumare una sigaretta. Mi ha ringraziata, promettendomi di darmi in sposa a suo cugino. Oggi girovagava senza meta su e giù per la via. Abbiamo fatto un pezzo di strada assieme, era triste perché non riusciva a racimolare i soldi per mangiare. Le ho lasciato un po’ di monete, senza stare a interrogarmi su quanto fosse sincera con me, d’altronde mi sta simpatica. Le mie uniche uscite sono state fugaci e prettamente necessarie: ritirare i soldi della precedente settimana di lavoro, comprare una scorta di sigarette per non andare in carenza di nicotina. Ho visto strade vuote e ho sentito un silenzio che mi ha fatto ringraziare l’umanità, nonostante le prove tangibili che appellarsi all’intelligenza e all’empatia umana sia una scommessa giocata con la consapevolezza di perdere. GIORNO MARTINA CORNO
  • 9. 17maggio 2020 UINDOU16 ANNO 1 numero zero STORYTELLING RICORDI DI IERI, IMPRESSIONI DI OGGI abbandonato nell’armadio, quel colore che vorrei dipingermi addosso, quella parola capace di risolvere una domanda che mi porto dietro da chissà quanto. Non vedo l’ora di riempirlo tutto, quello scaffale. Sabrina finisce, e allora mi guardo Insieme a Parigi, per rimanere sull’onda romantica degli anni Sessanta. Una storia semplice: lui un regista fancazzista e consapevole del proprio fascino, lei l’innocua dattilografa a cui viene appioppata una sceneggiatura che proprio non ne vuole sapere di farsi scrivere. Guarda un po’, lui scopre di amarla, ovviamente solo sul finire della vicenda. Ma se il film può suonare banale per il salvataggio in extremis e piuttosto romanzato (e oserei dire utopico), mi scopro speranzosa davanti a questo amore onnipotente. Mi scrive Tia intanto, per ricordarmi che la sera prima avevo promesso di guardare La città incantata di Miyazaki. Lui ha fatto finta di niente quando gli ho detto di non aver mai visto nessuno dei suoi film, ma son sicura di aver toccato un nervo scoperto e di averlo irritato abbastanza da farmi recuperare a passi lunghi e ben distesi le tappe fondamentali della buona cinefila. Croce sul cuore e bacio sul gomito, a breve me lo guarderò. Non mi piace deludere Tia e tantomeno le aspettative che ha su di me. Ho ripulito i cassetti del makeup. Credo di aver riposto ogni singolo prodotto con la stessa delicatezza con cui si adagia il proprio figlio nella culla. Quelle polveri, quelle creme, quelle texture di ogni colore possibile e immaginabile hanno il potere di rendermi felice nel lavoro che faccio. Nutrono la mia creatività, alle volte si dimostrano un poco ostiche e richiedono più tentativi prima di farsi comprendere, ma sono sorprendenti nel restituirmi i risultati che desidero, e magari nel superarli pure. Non vivrei di nient’altro. Io, i miei bozzetti e tutto ciò che si può raccontare con un trucco. Stasera, a ogni sirena che sento, prego che sia nel film che stanno guardando i miei.« Per amor di... punteggiatura … quel colore che vorrei dipingermi addosso, quella parola capace di risolvere una domanda che mi porto dietro da chissà quanto. Gina Susio 334 3750070 gidanis.bijoux@yahoo.com gina.danila.s- GIDANIS BIJOUX Ogni gioiello è una creazione unica, ispirata ai colori della natura, che cambia, con il mutare delle stagioni Questa è la storia di una piccola e insignificante virgola. Fin da giovanissima le avevano detto che la sua vita sarebbe stata al servizio del tempo. Ma mica quello delle ore. No, no, nossignori! Il tempo, il rrrritmoooo: e uno, e due, e un due tre… corri, fermati, riparti, fai un salto… Daccapo… Lei molto registrata non era, e di tanto in tanto saltava giù, o su, ovunque le capitasse: le veniva naturale, c’era una logica, sicuro, ma era proprio tutta sua. Gli altri, in effetti, erano un po’ imbarazzati: seguirla era un azzardo, chi pensava così, chi capiva cosà... insomma, il putiferio! Qualcuno, per la rabbia, si pigliava un asterisco di passaggio e lo pestava sotto i piedi, fino a farlo diventare un trattino, uno di quelli lunghi lunghi... Lei si stupiva di tutti questi tafferugli e, per osservare meglio la situazione, decise di allontanarsi, di salire “sopra le parti”. Si camuffò da apostrofo. Nonostante le buone intenzioni... combinava ancora più casini. Come quella volta che saltò tra la L e la O. Tutti lessero “io l’otto per la libertà” e si guardarono in faccia, smarriti, domandandosi: ma l’8 o lotto? Anche nella nuova veste di apostrofo, la virgolina cominciò a sentirsi una frana: aveva perso il senso del ritmo. A volte, si metteva pure tra due consonanti!!! Ser’gio... diventava un nobile Giovanni. O Giovanna? Un rebelot! Un giorno, per caso, trovò una compagna di sventura: stessi smarrimenti, identica confusione, anarchia totale. Tutt’e due convennero che era meglio stare vicine, l’una avrebbe confortato l’altra. E cominciarono a viaggiare insieme… Diventarono virgolette alte, esterofile, inglesi per l’esattezza. Inizialmente, la situazione parve più chiara e definita, facile sapere dove mettersi! L’una diceva all’altra: quando c’è un titolo di un libro... ecco, noi ci mettiamo all’inizio. Ok! ma… alla fine cosa ci mettiamo? Quindi si misero a cercare altre due sorelle e si formò una squadra. A tutt’e quattro piaceva stare in alto, svolazzare tra le H e le M, tirare i capelli alle F e allungare piccoli calci alle Q. Se prima era una sola a portare scompiglio, adesso erano in quattro. I signori punti si stavano imbufalendo, ma di brutto brutto. Loro... così fermi, inamovibili! Guai a non rispettare le regole. I punti sapevano bene quale posto era loro assegnato e pretendevano il massimo rispetto: dopo di loro esigevano la referenza, solo lettere maiuscole, quelle alte e grosse. Di sicuro non carabattoline come le minuscole. Ma ve le immaginate quelle quattro squinternate quando si imbatterono nei punti? Furono scontri e parapiglia. In tutto quel polverone, un punto grosso grosso, burbero e solido come un sasso, con ciglia nere lunghe lunghe, notò le bizzarrie della piccola virgola. Dall’alto di un’altissima scala, si sporse a scrutare, rigorosamente da lontano. Quel punto grosso grosso si infastidiva di fronte a tale sfrontatezza. E cionostante si inteneriva davanti a tanta energia e spirito di ribellione. Con sconcerto, cominciò a dubitare se fosse lecito e corretto accettare tutto quello che le solenni regole imponevano. Che potessero essere infrante? Possibile che una piccola ribelle potesse mandare all’aria granitiche convenzioni? Ne restò affascinato. E quel suo piccolo ricciolo che portava ai piedi… quant’era buffo? Un ricciolo che spesso la faceva inciampare, anche nel nulla. Dall’alto della sua posizione regale, scese con circospezione i gradini. E... fu così che nacque il punto e virgola. patrizia cella
  • 10. 19maggio 2020 UINDOUANNO 1 numero zero18 IN BILICO RACCONTI TRA FANTASIA E REALTÀ Le visite della zia erano per “vedere come stava la bambina”, ma il suo interesse per me si esauriva con una carezza distratta, con la testa già girata, verso le parole della mamma. In effetti veniva da noi, per mangiare la pizza, che la mamma sapeva fare benissimo, con pomodoro, origano e aglio, e che cuoceva in certe teglie di alluminio basse e ammaccate. Allora, sparivo nel mio rifugio. Stavo seduta con le gambe incrociate, con le grosse ginocchia nelle gambe magre. I capelli da poco tempo li portavo sulle spalle, lisci e fini mi ricadevano sugli occhi e me li scostavo con un gesto, ben contenta di quella conquista, costata pianti, impuntature e rifiuti alle forbici del barbiere, che mi tagliava i capelli come ai maschi. Aveva le mani che sapevano di colonia e un grosso anello d’oro con il castone quadrato. Una giornata Anche la zia Cristina spesso ci faceva visita, calzata da altissimi tacchi che, sul marmo del pavimento, ticchettavano. Aveva anche belle borsette, di pelle lucida, che mi incuriosivano, le guardavo, senza toccarle. Allora mi sembravano oggetti bellissimi, abituata ai vestiti dimessi di mia mamma, che oltretutto, in quel periodo della mia infanzia, vestiva di nero, ancora in lutto per la morte della nonna. Viola D.estiva Aprivo la scatola dei tesori. C’era una coccinella di metallo con le ruote di gomma, che un tempo, spingendola con una leggera pressione, avanzava da sola. Adesso non funzionava più bene, ma mi piaceva, e sulla pancia blu, aveva scritto il suo nome, Lili. Un cuore di ceramica piatto, con una decalcomania floreale, liscio e freddo sotto le dita. Il coperchio metallico di una scatola di caramelle Motta, dove uno scoiattolo suonava un flauto di bambù. Alcuni tappi, tra i quali ce n’era uno conico color ciclamino, che era appartenuto a una crema rosa per le mani, e conservava ancora una traccia profumata. Quando ero piccola, mi rifugiavo spesso sotto il grande tavolo della cucina. Le voci dei grandi mi arrivavano attutite dal panneggio che lo ricopriva e mi sentivo al sicuro. Spesso arrivavano parenti e conoscenti, a trovare la mamma, che, continuando a conversare con gli ospiti, non smetteva mai di badare alle sue faccende.
  • 11. 21maggio 2020 UINDOUANNO 1 numero zero20 IN BILICO RACCONTI TRA FANTASIA E REALTÀ U N A G I O R N A T A E S T I V A Una bustina di plastica, che conteneva delle stelle alpine essiccate, trovate in un cassetto, vellutate, con i petali allungati, come i raggi di una bianca stella. E i sassi. I sassi mi piacevano più di tutte le altre cose: quelli grigi con delle vivide strisce bianche, alcuni incisi tanto profondamente da sembrare una montagna in miniatura. Ruvidi e butterati, o lisci e uniformi, li giravo e rigiravo tra le dita, guardandoli così da vicino, usando l’occhio, come una lente d’ingrandimento. Nei loro colori, imparavo la sapienza della natura, che sceglie accostamenti cromatici sempre perfetti. E intanto il profumo riempiva la cucina, la mamma mi chiamava e io mi sedevo a tavola e posavo sulla tovaglia il sasso preferito, per guardarmelo ancora un poco. La pizza era nel piatto e il profumo dell’origano e dell’aglio mi riempivano le narici, potevo mangiarla con le mani e sporcarmi la bocca, con la salsa rossa e densa. Il pomeriggio poi scorreva lentissimo, la noia mi prendeva, ma non facevo niente, guardavo il cielo dietro le case che lentamente, si venava di rosa, le rondini che giravano alte lanciando i loro stridii, che mi sembravano pieni di gioia. Ritornava a casa il papà, che non era mai di buon umore, lo salutavo, stando distante, sempre con un po’ di timore. In casa, il non disturbarlo, era legge. La sera arrivava, si cenava quasi in silenzio. Si accendevano le deboli luci delle lampadine economiche e poco dopo dal mio lettino sentivo che mamma e papà discutevano con toni mai abbastanza smorzati. Mi stringevo al mio orso Tobia, ed entravo, inquieta, nel sonno.« I sassi mi piacevano più di tutte le altre cose: quelli grigi con delle vivide strisce bianche, alcuni incisi tanto profondamente da sembrare una montagna in miniatura.
  • 12. UINDOUmaggio 2020 23numero zeroANNO 122 STORYTELLING RICORDI DI IERI, IMPRESSIONI DI OGGI Ti ho incontrato tra gli scogli. Abbiamo gli stessi ritmi mattutini. Ci piace il primo bagno con il sole ancora basso e nessuno intorno. Il mare immobile è una seta turchese, le isole sembrano più vicine, intorno al collo della baia. Nuotiamo nella scia di luce e ci asciughiamo al sole. C ominciamo a raccontarci cose a bassa voce, nel silenzio del villaggio ancora addormentato. Cose piccole e grandi. Giorno dopo giorno, l’intimità del mattino diventa un appuntamento. Torno per incontrarti. E sei già lì. Sonnecchi tra le pietre, senti lo stesso appuntamento. Mi guardi scendere lungo il sentiero, tra i mirti e i corbezzoli. Arrivo e sorridi. Mi aspettavi. Susanna Tresoldi Riprendiamo il discorso da dove si era interrotto ieri. Passano i giorni e i corpi si fanno più vicini. Un giorno siamo così vicini che sento il tuo respiro, il tuo naso tra i miei capelli, le tue braccia, ci sfioriamo. Un bacio a fior di labbra sembra avere tutta l’energia del sole. Vado via, ma si è tessuto un filo tra di noi. Ce lo troviamo tra le mani. E decidiamo di tenerlo. Hai chiuso la mano intorno a quel filo. Lo stringi. Lo stringo. Una voce e una mano, estranei fino a ieri, oggi si tengono. Ti muovi tra la gente. Vai, vieni, ma ora c’è quel filo tra due mani. Per quanto distanti, sono vicine. Vado a cena con gli amici, tavolata allegra, pesce pescato in quelle acque, cucinato con amore, e vino. Ci sono le stelle, la brezza e il rumore del mare, si ride e poi si va a ballare. Tu in canoa con tuo figlio, in barca con tuo fratello. A chiacchierare con altri, a vedere il tramonto dal mare. Fai apnea, in acqua sei un pesce di fondale. Arriva la notte, i discorsi si fanno pieni di pause e poi ognuno va a dormire. Mia figlia ora è a letto. Decido di tornare tra gli scogli. Sei lì. Inizia il nostro tempo. Mi baci, la pelle si dilata alle carezze. Sento gli argini farsi d’argilla, liquefarsi. L’acqua sale e spazza via tutto, ancora una volta. Tutto il bello del mondo è dentro di me. Viene con me. Il corpo ultimamente si era fatto freddo, assopito. Pensavo non sarebbe più stato un pezzo di legno e fango mosso al ritmo delle onde. Scopro con piacere che sbagliavo. Sono di nuovo in balia delle acque. Facciamo l’amore come se non l’avessimo mai fatto prima, come se lo facessimo da sempre. Così la notte è nostra. Il Belvedere, la spiaggia buia di Tahiti, facciamo l’amore solo sotto le stelle. Vaghiamo con i cinghiali tra gli eucalipti e i mirti. Tutto il promontorio è la nostra casa. Il mare il suo confine. Le mie ossa sono cave, una conchiglia che respira con le onde. Notte dopo notte. Vado via, ma si è tessuto un filo tra di noi. Ce lo troviamo tra le mani. E decidiamo di tenerlo. Hai chiuso la mano intorno a quel filo. Lo stringi. Lo stringo.
  • 13. Ora devi partire. Con tuo figlio preparate i bagagli, smontate la veranda, ritirate la canoa, caricate l’auto. Gesti che ogni anno ripetiamo. Che presto farò anch’io, ma non ora... ora sono i tuoi. Un rituale di saluto a quella scogliera battuta dai venti, così selvatica, alle sue capre, alle ghiandaie. Che sarà del nostro filo? Vieni da me, ci scambiamo un numero. «Non so cosa sentirò domani, siamo stati uno per l’altra quello di cui avevamo bisogno, il resto si vedrà» - ti dico. È mattina, scendo a fare il bagno, vedo dall’alto gli scogli solitari. Non ci sei. Improvvisamente manchi. Era così bella la baia prima di incontrarti. Ora ha bisogno di te per essere bella. Così è quello che sento. Passeggio lungo la scogliera  con gli amici. Sul sentiero i rovi ci feriscono, passo dopo passo l’accampamento è ormai un puntino lontano. Reimpari i colori lungo questo mare, gli azzurri, i rossi, i bianchi. Soprattutto i verdi. La sera, la stanchezza porta sull’amaca. L’amaca porta il naso in su. Le stelle mi osservano infinite, come solo l’isola può. Il pensiero va a quel filo. Non pensavo fosse così lungo da arrivare con te, vicino a Torino. Pensavo che sulle curve che portano in montagna, srotola e srotola, alla fine il filo finisse e fluttuasse un po’, sospeso tra i pascoli di questi montoni bianchi, per poi trovare pace su un ramo di quercia. Oppure rimanesse avvinghiato alla banchina del porto, davanti all’ampiezza del mare aperto. “Me ne sto sull’isola” poteva dire il filo. E invece è salito sulla nave ed è sbarcato con te e Stefano a Savona, ti ha mescolato un po’ di zucchero al caffè nei primi piani del rientro. E così una mansarda ai bordi delle Langhe e un’amaca appesa a una scogliera nel mare a Piccovagghjia stanno una accanto all’altra, occhi negli occhi. Passano giorni quieti di letture, di chiacchiere con le amiche sugli scogli, di passeggiate e aperitivi al tramonto e di bagni a salutare le forme che, anno dopo anno, stanno lì ad aspettare. Tengo il fiato, scendo e le accarezzo. La tartaruga, il leone soprattutto, sdraiato nella sua savana blu. Ho imparato a non pinnare, risalendo. Così il respiro dura più a lungo e piano vedo il bordo dell’acqua che si avvicina. Sotto e intorno il mondo fluttuante e sopra l’aria. Le giornate si fanno più corte. Tu hai già rimesso le scarpe e tutto il resto. La camicia e… porti la cravatta? Come sarebbe rivedersi con i vestiti addosso? Stringo il filo, ho voglia di PROVARCI.« 25maggio 2020 UINDOUnumero zeroANNO 124 I L FI L OSTORYTELLING RICORDI DI IERI, IMPRESSIONI DI OGGI Un rituale di saluto a quella scogliera battuta dai venti, così selvatica, alle sue capre, alle ghiandaie. Che sarà del nostro filo?
  • 14. SPECIALE RISORSE IPNOSI E AUTOIPNOSI 27UINDOUmaggio 2020ANNO 1 numero zero26 Elisabetta Zanotto Ho provato un breve trattamento di ipnosi alcuni mesi fa. Il mio approccio è stato guidato da interessata curiosità, ma in genere parlare di “ipnosi” suscita forti resistenze: forse si sono visti troppi film in cui le persone sono condizionate contro la propria volontà a fare scemenze assortite, tipo comportarsi come se si fosse una gallina o altre fesserie che hanno il solo scopo di inserirsi nel contesto della narrazione cinematografica. In genere quando ne parlo con qualcuno mi sento dire: «Bello, però mi spaventa». Quello che io ho provato (scuola Ericksoniana) spazza via tutti i preconcetti sull’argomento. Tanto per cominciare, ci si accorda con l’operatore per finalizzare il trattamento ed è il ricevente a dichiarare ciò che desidera indagare o quali obiettivi perseguire con la pratica ipnotica. Durante la seduta si è presenti e si interagisce con chi sta ipnotizzando, non ci si “addormenta” senza sapere nulla di quanto succede. E al termine non si ha “un buco” nella memoria di cui sia legittimo chiedersi “cosa sarà successo mentre ero assente?”. Nessun operatore di ipnosi può e vuole indurre un condizionamento che voglia forzare in qualsiasi modo la propria volontà. Detto questo, ecco come è andato il mio trattamento. una risorsa di benessere Nella sua estrema semplicità, il trattamento quotidiano di autoipnosi può sostenere i nostri percorsi di guarigione IPNOSI AUTOIPNOSIe
  • 15. 29maggio 2020 UINDOU U N A R I S O R S A D I B E N E S S E R ESPECIALE RISORSE IPNOSI E AUTOIPNOSI M i sono seduta su una bella poltrona comoda, con i piedi ben appoggiati al pavimento, ho chiuso gli occhi e iniziato ad ascoltare e a seguire le indicazioni dell’operatore, che mi ha portato alla trance ipnotica. Anche la parola “trance” generalmente spaventa, ma non è altro che uno stato di totale rilassamento, in cui si riesce a bypassare il controllo della propria volontà e razionalità per essere potentemente concentrati solo sull’obiettivo; si spengono tutte le fonti di distrazione con lo scopo di raggiungere le risorse emotive più profonde. Fra le indicazioni date nella trance, che hanno lo scopo di far diventare sempre più profondo e piacevole lo stato di rilassamento, ci sono frasi del tipo: «I tuoi occhi sono sempre più rilassati, se provi ad aprire gli occhi non ci riuscirai, perché le tue palpebre sono piacevolmente incollate». Questa potente suggestione coinvolge la parte motoria ed effettivamente non si riesce ad aprire gli occhi, ma non perché i muscoli siano paralizzati: esercitando la volontà ce la si potrebbe certamente fare... il fatto è che non importa niente di fare fatica per aprire gli occhi quando si sta così bene tenendoli chiusi, rilassati e “incollati”! Perché uscire da una condizione in cui ci si sente tranquilli e coccolati? La voce dell’operatore è calma e rilassante, guida dove si desidera andare e, quando si è arrivati nel “posto giusto”, si riceve la suggestione ipnotica che aiuta a raggiungere il proprio obiettivo e che si conserverà anche nello stato di veglia, quando il trattamento sarà finito. Tutte le risorse che si è riusciti a cogliere nella trance rimangono chiare e presenti anche nello stato di veglia e il benessere potente che si è sperimentato rimane a propria disposizione: ora che lo si è “assaggiato”, ci si può tornare quando si vuole. Rimanere nello stato di trance, in questa condizione ovattata in cui ci si sente “nella propria bolla” ma perfettamente presente a se stessi, è una condizione talmente piacevole che non si ha alcuna voglia di riemergere: si sta così bene dove si è! Una volta sperimentati i benefici, il passo successivo per me è stato imparare a praticare l’autoipnosi, che permette di indurre autonomamente lo stato di rilassamento necessario per tornare in quella condizione di benessere. Lo si fa come nella pratica di qualsiasi tecnica di meditazione, rilassando progressivamente, sempre di più corpo e mente, finché non ci si sente “molli e leggeri” oppure “piacevolmente pesanti e rilassati”, con la mente libera da pensieri e preoccupazioni (non è facile, ovviamente, ma con la pratica ci si arriva). In questa condizione è possibile gustarsi uno spazio di benessere tutto “su misura” e darsi anche delle suggestioni per attivare processi di guarigione e per migliorarsi in qualsiasi modo si desideri, tornando poi alla quotidianità rigenerati e con maggiori risorse. Quello che sto seguendo da allora, e che affianco alle tecniche di rilassamento è Il metodo Coué, una pratica di autosuggestione messa a punto da Émile Coué, vissuto fra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. Il libro racchiude i consigli dell’autore, che ha scoperto, più o meno consapevolmente, il famoso “effetto placebo” e si affida con il suo metodo all’autosuggestione, una forza completamente indipendente dalla volontà, dalle grandi potenzialità terapeutiche. Si tratta di un documento storico ancora attuale. ÉMILE COUÉ, Il metodo Coué, Edizioni Mediterranee, 150 pp, 14,50 € L’ipnosi, intesa come potenzialità della mente, è stata impiegata dalla più remota antichità, ma era ascritta a manifestazione divina o diabolica, legata alla religiosità o a pratiche magiche. Franz Anton Mesmer (1734-1815) condusse studi e esperimenti miranti alla comprensione del fenomeno, ipotizzando nel 1779 la teoria del magnetismo animale. James Braid (1785-1860) rivide le teorie di Mesmer e introdusse il termine ipnosi, che deriva dal greco hypnos (sonno). Gli sviluppi successivi si devono ai lavori di Liébeault (1823-1904) e Bernheim (1837-1919), della Scuola di Nancy, in opposizione agli studi della scuola di Jean-Martin Charcot (1825-1893), che operava all’Ospedale della Salpêtrière di Parigi. Per la scuola di Nancy l’ipnosi era un fenomeno psicologico normale e tutti i suoi aspetti potevano essere spiegati con la suggestione, mentre per Jean-Martin Charcot l’ipnosi era una nevrosi isterica artificiale. Anche Sigmund Freud (1856-1939) si interessò all’ipnosi, ma la transitorietà dei risultati terapeutici, la laboriosità dei procedimenti ipnotici e la limitazione delle applicazioni terapeutiche lo spinsero ad abbandonare l’ipnosi e a creare un nuovo metodo: la psicoanalisi. Dopo il periodo di decadenza seguito all’inizio della psicoanalisi, l’interesse per l’ipnosi si risvegliò durante la prima guerra mondiale, quando con tale metodo si iniziarono a trattare le nevrosi traumatiche di guerra. Ma soltanto dopo la seconda guerra mondiale la comunità scientifica manifestò aperture nei confronti dell’ipnosi. Milton Erickson (1901-1980), psichiatra, sviluppò una terapia chiamata “ipnosi ericksoniana”, che permetteva di comunicare con l’inconscio del paziente. Questo tipo di ipnosi era molto simile a una normale conversazione e induceva una trance ipnotica nel soggetto. Secondo Erickson, in ipnosi l’eventuale processo terapeutico non dipendeva affatto dalle parole o dalle azioni dell’operatore, come comunemente si credeva, ma derivava interamente da una riorganizzazione interna che solo il paziente medesimo, in un ambiente favorevole, può portare a termine. Dave Elman (1900-1967) definì l’ipnosi come “uno stato della mente in cui viene bypassata la facoltà critica dell’essere umano e viene instaurato il pensiero selettivo”. IPNOSI: GLI ESORDI Milton Erickson
  • 16. 31maggio 2020 UINDOUANNO 1 numero zero30 U N A R I S O R S A D I B E N E S S E R ESPECIALE RISORSE IPNOSI E AUTOIPNOSI Questo signore francese esercitava l’attività di farmacista e durante il suo lavoro si era reso conto del forte ascendente che era possibile esercitare sulla guarigione delle persone, semplicemente dicendo loro all’atto della consegna dei farmaci: «Questa medicina le farà molto bene». A quei tempi i concetti di “placebo”, “suggestione”e “autoguarigione”non erano certo di pubblico dominio e molte idee, che oggi abbiamo ampiamente assimilato, allora erano solo abbozzate; il fatto che la fiducia nella persona del farmacista potesse fortemente aiutare il malato a stare meglio lo indusse a riflettere e a cercare di capire quali meccanismi si mettessero in moto. Si avvicinò alla Scuola di Nancy, fondata da Ambroise-Auguste Liébeault, medico a Nancy, e di Hippolyte Bernheim, famoso neurologo parigino, con lo scopo di accedere agli sviluppi dell’interpretazione dell’ipnosi, che iniziò a praticare. Mise a punto un metodo estrememente semplice, da affiancare alle sedute di ipnosi, spostando l’attenzione e la fiducia dalla figura del medico/terapista a se stessi. Ogni giorno, da ogni punto di vista, miglioro. È tutto qui! Ogni sera quando si va a dormire, e ogni mattina prima di alzarsi, mentre si è a letto con gli occhi chiusi, senza sforzarsi di concentrare l’attenzione su ciò che si sta per dire, si ripete venti volte questa frase, muovendo a malapena le labbra e con il volume di voce appena sufficiente per sentirsi. IL SOGGETTO IN IPNOSI PUÒ… `` orientare con facilità la propria introspezione nei diversi settori del suo organismo `` ampliare o ridurre le sensazioni che provengono dall’interno del suo corpo `` alterare i parametri fisiologici avvertibili come il battito cardiaco, il ritmo respiratorio, la temperatura cutanea. CON L’IPNOSI È POSSIBILE… `` entrare nella propria storia e variare i criteri di elaborazione dell’informazione in ingresso `` modificare i significati che il soggetto ha dato in passato alle sue esperienze fruendo delle alternative che possedeva `` ottenere dei cambiamenti nella continuità della memoria (amnesie parziali o totali) `` accedere ai meccanismi psicodinamici regolatori del comportamento `` superare più facilmente le resistenze. LE EMOZIONI Sono una risposta dell’organismo a momenti dell’esistenza. Nello stato di veglia il controllo volontario delle emozioni è un compito particolarmente arduo, mentre in ipnosi possono essere amplificate o ridimensionate. Vi è inoltre la possibilità di passare repentinamente da un’emozione all’altra in relazione ai suggerimenti che vengono impartiti dall’ipnotista. -- Mangio solo ai pasti principali, con moderazione e correttezza. -- Sto diventando una persona apprezzabile, ho molto da offrire. -- Sento un grande piacere nel fare le cose che mi piacciono di più. -- Alla fine della giornata mi sento ancora fresco, energico e pieno di vitalità. -- Posso cambiare la mia vita in qualsiasi direzione desideri. -- Attraverso il rilassamento, il mio livello di controllo è aumentato. -- Dormo come un bambino ogni notte. -- Affronto le difficoltà e i conflitti con calma, forza e facilità. E COSÌ VIA... PROVARE PER CREDERE!« COME VIENE MISURATA LA COSCIENZA L’elettroencefalogramma misura l’attività del cervello distinguendo le onde che vengono registrate su un foglio attraverso dei parametri che vengono misurati nell’arco di 1 secondo: quantità e intensità. Ci sono 4 livelli di coscienza: `` onde Beta 30-10 Hz (stato di vigilanza) `` onde Alfa 18-4 Hz (leggero rilassamento) `` onde Theta 8-4 Hz (per molto tempo considerato il livello dell’ipnosi profonda) `` onde Delta 4- 0,5 Hz (sonno). La ripetizione, come un mantra, è un’autosuggestione dai risultati sorprendenti per il proprio equilibrio psicofisico. Questa semplice frase ideata da Coué può andare bene per tutti nella sua genericità, ma ognuno può spaziare a piacimento, creando delle suggestioni da applicare a se stesso per agire su aspetti della propria persona o condizioni di salute particolari. L’unica condizione è che gli enunciati siano sempre espressi in termini positivi e che non siano contenute particelle di negazione. Alcuni esempi di suggestioni per l’autoipnosi -- La mattina sono sempre più vivo e mi piace. -- La mia autostima sta crescendo a grandi passi. -- La mia memoria sta costantemente aumentando ogni giorno. -- Sviluppo sempre più entusiasmo. -- Sono sempre più interessato ad altre persone e agli eventi al di fuori di me. ONDE BETA Capacità di elaborare coscientemente i pensieri. La maggior parte dei nostri momenti di veglia. Focalizzazione sull’attività logica e sequenziale dell’emisfero cerebrale sinistro, perché il cervello è intento nell’elaborazionae di innumerevoli informazioni che arrivano attraverso i cinque sensi. ONDE ALFA Collegamento tra mente conscia e inconscia, vivido immaginario, consapevolezza rilassata e libera da pregiudizi. Permette di riflettere, meditare o staccare da un’attività. Quando ci concentriamo intensamente su un pensiero, abbiamo meno stimoli da elaborare: ciò libera l’organizzazione logica e sequenziale dell’emisfero cerebrale sinistro e ci permette di accedere a quello destro, più creativo e intuitivo, che funziona attraverso immagini e suoni. Artisti, scienziati e atleti, consciamente o inconsciamente, vanno in questo stato per realizzare la loro ispirazione e miglior performance. Problem solving creativo, apprendimento accelerato, miglioramento dell’umore, riduzione dello stress, introspezioni intuitive, situazioni creative, ispirazione, motivazione e sogni a occhi aperti. ONDE THETA Creatività inconscia, ispirazione e connessione spirituale. Sono associate con le più profonde esperienze di meditazione e creatività. Sono più lente delle Beta o Alfa e hanno un’ampiezza ancor più grande. Quando restringiamo la focalizzazione principalmente al sé interiore, possiamo andare in onde Theta. Contribuiscono a una profonda pace interiore, a verità mistiche, alla trasformazione di credenze limitanti inconsce, alla creazione di una qualità migliore della vita, alla guarigione fisica ed emozionale, e a trovare lo scopo e la qualità della vita. ONDE DELTA Sono caratterizzate da una sorta di sapere che si sente come saggezza interiore, fede, meditazione, abilità psichiche e il recupero di materiale inconscio. Hanno la più grande ampiezza e la frequenza più lenta. In questo stato di coscienza il corpo è nella modalità “letargo”. Spesso associate allo stato di coma. Yogi esperti possono raggiungere questo stato coscientemente. Quando sono in Delta, sono in grado di regolare la temperatura corporea e il battito cardiaco. Gli studi più recenti hanno dimostrato che l’ipnosi non corrisponde a un cervello in uno stato semi letargico, catatonico, bensì in uno stato di altissima concentrazione!
  • 17. 33maggio 2020 UINDOUANNO 1 numero zero32 IN BILICO RACCONTI TRA FANTASIA E REALTÀ Forti correnti a senso alternato. Per fare che? “Ma caro, ci si replica in compagnia! Questo è lo SCOPO”. Non l’ho mai accettato. Ho scelto di vedere il mondo. Sono diverso. Sono curioso, moltissimo. Amo la luce, le forme, i suoni e i colori. Perché mai avrei dovuto rinchiudermi al buio per il resto della mia vita? Così approfitto di un colpo di tosse, un bel saltino e mi ritrovo sui pantaloni di un umano. Altro salto vertiginoso e sono su una gonna! Procedo approfittando di questi passaggi inconsapevoli. Non so che accadrà. Ma non ho paura. Ok, lasciate che vi racconti. Innanzi tutto, questo sono io. M i sono sentito “diverso”, subito, appena sono nato. Vi state domandando perché? Sono ovaloide. Non tondo come tutti. Sono stato bullizzato in gioventù per questo. Mi scrutavano compassionevolmente. Poveretto! Poi le cose sono peggiorate quando tentarono di convincermi ad aderire allo SCOPO. L’ho sempre considerato stupido, senza senso. E molto sgradevole. Raggiungere quel posto buio, umido, con due alberi rovesciati. Senza luce. ECCOMI. Sono vissuto più di chiunque altro. Ben quattro settimane. Ora sono vecchio e prossimo a morire. Ma sono contento. Contento di aver dato un significato diverso alla mia vita rispetto ai miei simili. Sergio Rossi Come dite? Non vedete? Ma certo! Ci vorrebbe un miscroscopio! Il fatto di essere enormi non deve portarvi a pensare di essere l’unica esistenza possibile. Dopo aver fatto Tarzan fra diversi umani, non vedo più il cielo. Salite le scale, eccomi in un appartamento umano! Dio mio! Quanta bellezza. Meno male che ho con me la mia Canon. Ho fatto bene, ho seguito il cuore. E gli stronzi dei miei simili che vadano a farsi fottere. Umani! Molto interessante. Avevo sentito dire, da quando siamo arrivati, che avete paura di noi, di un contatto. Questa umana non sembra spaventata. Sta leggendo!
  • 18. 35maggio 2020 UINDOUANNO 1 numero zero34 IN BILICO RACCONTI TRA FANTASIA E REALTÀ L’ O S P I T E Adoro leggere. Un libro in italiano! Come dite? ma certo, conosco tutte le lingue del mondo! Anche se devo dire che questa disposizione di lettere alla rinfusa mi ha lasciato perplesso. Tornando all’umana, l’ho colta in altri Tutto è così eccitante! Soprattutto le cose che hanno poco senso. Perché sono il nuovo, la scoperta. E ora io so cosa voglio. Non so se voi umani provate lo stesso. Non so dire se sia uno SCOPO. Ma in culo il resto! “Ora sono un po’ stanchino” come disse Forrest Gump. Vi lascio il mio reportage prima di rinsecchirmi. ADDIO, CERCATE LA BELLEZZA! « atteggiamenti che non capisco. Mi potreste aiutare? Prendete contatto con l’Editore, il quale ha istituito ricchi premi e cotillons per chi darà spiegazioni convincenti. Per esempio non capisco queste sue attività umane.
  • 19. ANNO 1 numero zero36 maggio 2020 UINDOU 37 IMPRONTE LA MALEDIZIONE DELLE SPINE T anto tempo fa i fichi d’India, dai quali appunto prende il nome questo allegro territorio, erano morbidi e succosi, non come li conosciamo noi ora. Si potevano raccogliere come delle mele! E tutti gli abitanti del Paese ne gioivano… finché, un giorno, il Clan degli Uomini Bassi, nella lingua locale detti I Curti, non lanciarono sulla popolazione un terribile maleficio: “Chiunque voglia assaggiare la dolcezza del fico d’India, dovrà d’ora in poi passare dalle nostre mani!”. E così, con l’aiuto della magia nera, li ricoprirono di spine. Nonostante la vita continuasse a scorrere tranquilla nel Paese dei Fichi d’India, i suoi abitanti soffrivano in silenzio per la loro condanna. In molti avevano provato a mangiare i frutti senza aiuto, e tutti si erano bucati le mani, patendo atroci dolori; ormai, nessuno provava più a far da sé. Ma non solo… Nessuno parlava neppure più della maledizione! Anche se tutti, chiaramente, sapevano. La terra dei I Curti, da parte loro, erano fieri del loro operato. Chiedevano pagamenti a chiunque avesse bisogno di sbucciare i fichi d’India e gli affari andavano a meraviglia. Felici e beati, comandavano su tutti, visto che i fichi d’India erano la principale fonte di guadagno della popolazione, e dicevano, tra grasse risate: «Comandare è meglio di mangiare». Un giorno, un giovane ragazzo senza paura decise di ribellarsi al monopolio del fico d’India. Sì, così decise di chiamarlo, in modo che tutti potessero finalmente dare un nome a quell’enorme problema. Reclutò degli amici e insieme stamparono un volantino che esprimeva tutto il loro dissenso, con scritto: “UNITI CONTRO IL MONOPOLIO DEL FICO D’INDIA!”E poi aggiunsero in lingua locale, per provocazione:“I Curti, fetunu i munnizza!” Bisogna dirlo, i Curti non brillavano proprio per cultura, e parlavano meglio il dialetto che la lingua nazionale. Ecco perché il volantino recitava quelle parole, per toccarli nel profondo e farli infuriare; il nostro eroe sapeva che solo così avrebbe veramente attirato la loro attenzione. Incredibilmente, però, quel coraggioso volantino destò anche la curiosità di altri ragazzi come lui, persone normali, stanche di sottostare all’odioso“monopolio del fico d’India”. Il giovane coraggioso era un persona particolare: oltre al coraggio, si distingueva per il suo aspetto fisico. Eh sì, perché, guardandolo, Il“monopolio del fico d’India”era ormai sulla bocca di tutti, se ne parlava ovunque: molti erano convinti che fosse il principale problema del Paese dei Fichi d’India e che perciò andasse risolto. U Menzanu e i suoi Rivoluzionari, sfruttando le loro abilità ingegneristiche e la loro inventiva, brevettarono uno strumento con cui raccogliere e sbucciare i fichi d’India, per non dover più chiedere aiuto ai tiranni. Andarono vicino al fiume dove crescevano delle lunghe canne, le colsero, con un coltello divisero in quattro una delle due estremità in modo che si aprisse come un fiore, posero una pietra nel mezzo e legarono il tutto con della corda. In questo modo l’estremità aperta fungeva da lungo braccio per raccogliere i fichi d’India senza avvicinarsi alle spine; lo stesso strumento veniva poi utilizzato per tenere fermi i fichi d’India mentre si operava la pulizia, senza causare alcun danno alle mani. Pensarono di chiamarlo“Lungo Braccio Raccogli Fichi d’India”, ma risultava evidentemente troppo complicato; perciò si limitarono a chiamarlo nnocca. Questa sì che fu una grande invenzione, la popolazione ne era entusiasta! Grandi, piccoli, vecchi, giovani, colti e ignoranti: tutti si fabbricarono una nnocca che li aiutasse a raccogliere i fichi d’India e a sbucciarli. I Curti erano furiosi, improvvisamente tutti i loro affari erano andati in fumo; da un giorno all’altro, erano stati spodestati da un gruppo di ragazzi! Il popolo, grazie ai Rivoluzionari, aveva aggirato la maledizione, era finalmente tornato a essere indipendente e ognuno faceva da sé, com’era anticamente. Nino Faranna & Karin Rossi FICHI d’INDIA C’era una volta (e c’è ancora), una splendida terra piena di gente simpatica e ospitale: il Paese dei Fichi d’India. Un posto così bello che negli anni è stato attraversato da migliaia e migliaia di persone, di tutte le etnie, usi e costumi. Adesso, infatti, le persone che lo abitano sono un meraviglioso miscuglio di razze e colori. si intravedevano due metà ben precise! Non faceva ovviamente parte del Clan degli Uomini Bassi, ma non era nemmeno del tutto assimilabile alla consueta gente alta. Per questo motivo, tutti lo chiamavano U Menzanu. Molti non ci facevano caso, la differenza era davvero minima, ma alcuni sapevano che lui era figlio di un matrimonio misto: madre alta, padre basso… e lui, appunto, menzanu. Inutile dire che, inizialmente, chi non lo conosceva bene lo guardava con sospetto. Ma lui andava avanti imperterrito a perseguire il suo obiettivo: spodestare i Curti e sciogliere una volta per tutte la maledizione! Il suo atto di protesta non passò inosservato tra le file dei potenti e U Menzanu fu costretto a scappare di casa. Ma nemmeno questo lo fermò. Anzi! Diede vita a un movimento di informazione con l’intento di accrescere la consapevolezza degli abitanti del Paese, ricordando ai vecchi ciò che avevano dimenticato e spiegando ai giovani ciò che non sapevano. Raccoglieva sempre più seguaci attorno a sé e vennero a sapere di lui anche nelle province vicine. Chiunque voglia assaggiare la dolcezza del fico d’India, dovrà d’ora in poi passare dalle nostre mani!
  • 20. 39UINDOUmaggio 2020 L A T E R R A D E I FI C H I D ’ I N D I A aveva avanzato la richiesta. U Menzanu aprì la sua camicia per permettere loro di ferirlo proprio in mezzo al petto: avrebbe portato la cicatrice della battaglia vinta all’altezza del cuore, per tutta la vita. Il capo dei Curti prese una lunga canna appuntita, gli bucò il petto e, raccolta una goccia di sangue con la punta, la depose sul primo fico maledetto tanto tempo prima. Mentre la maledizione lentamente e finalmente sembrava sciogliersi, U Menzanu si chiuse la camicia, girò i tacchi e se ne andò. Quello che non poteva sapere era che la canna fosse avvelenata! Ancora prima di uscire dai terreni dei Curti, si sentì mancare il respiro, si accasciò e morì, solo, come aveva iniziato. I Curti, avevano previsto tutto. Nascosero il corpo, si assicurarono che non ci fosse alcun testimone, e poi fecero marcia indietro e ristabilirono la maledizione. I Rivoluzionari sapevano del pericolo che U Menzanu correva andando a parlare da solo ai Curti. La sera, quando non lo videro tornare, perlustrarono in lungo e in largo tutto il Paese, ma non c’era, era sparito. Cominciarono allora a cercare un messaggio, un indizio, qualsiasi cosa che potesse indicare loro cosa gli fosse successo; andarono a casa sua e la rivoltarono da cima a fondo… e saltò fuori un biglietto, che diceva:“sono andato da solo, posso sciogliere la maledizione, ma non so se riuscirò a tornare”. Quelle parole scritte suonarono come delle campane nelle orecchie e nel cuore di tutti i Rivoluzionari. L’unico modo per scoprire cosa fosse veramente successo a U Menzanu era andare personalmente, e tutti insieme, dai Curti. numero zeroANNO 138 I Curti, però, non si arresero, si riunirono a consiglio ed escogitarono un nuovo, malefico piano per riprendere il monopolio sul fico d’India, semplice ma efficace. Una notte, si riunirono in squadre, si recarono al fiume e raccolsero tutte le canne che c’erano; per fare in modo che non ne nascessero più, poi, sparsero sale sul terreno. Andarono così a rubare ogni nnocca in ogni casa del Paese e ne fecero un gran falò. Le canne, come si può facilmente intuire, vennero piantate nei loro terreni e, a guardia di essi, furono poste delle guardie armate fino ai denti, di modo che nessuno si avvicinasse. Semplice, ma efficace. Oltre il danno, la beffa! Ora non solo i fichi d’India continuavano ad avere le spine, ma anche le persone che avevano trovato il modo di raccoglierli con le loro forze dovevano pagare per avere accesso allo strumento di lavoro. U Menzanu, e tutti i Rivoluzionari, disperati, non sapevano più che pesci prendere; lo sconforto li aveva invasi e non vedevano alcuna soluzione all’orizzonte. Fu allora che il nostro eroe, da solo, come all’inizio della storia, decise di farsi avanti. Proprio lui, che per un brutto scherzo del destino conosceva personalmente i Curti in quanto proprio suo padre ne faceva parte! U Menzanu andò a trovarli, da solo, armato semplicemente delle sue parole. Chiese loro a gran voce di smetterla con il loro monopolio, urlò indignato che la gente è tutta uguale e tutti hanno gli stessi diritti, parlò per molto tempo, come un avvocato davanti a molti giudici. I Curti lo ascoltarono con molta attenzione, apparvero addirittura convinti, alla fine del discorso. Accettarono di revocare il monopolio, ma per sciogliere la maledizione, dissero, era necessaria una goccia del sangue di colui che IMPRONTE LA MALEDIZIONE DELLE SPINE E così, si avviarono. Erano tantissimi, non entravano nella strada tanti erano! Il “monopolio del fico d’India”aveva unito un popolo nella battaglia per tutto ciò che era giusto. Arrivati nel territorio dei Curti, vi entrarono di forza, nonostante le guardie che, intimorite, si arresero a quella folla sterminata di persone. Poco più avanti trovarono il corpo senza vita di U Menzanu, ma non fecero in tempo a farsi prendere dal dolore che videro… le spine. Sì, le spine dei fichi d’India! Stavano cadendo una a una da tutti i frutti: l’energia travolgente di quella massa di persone, unite da una causa comune, aveva avuto il potere di spezzare una volta per tutte il maleficio. I Curti, presi d’assalto alla sprovvista, non riuscirono lanciare una contro- contro-maledizione e i fichi d’India tornarono a essere lisci come una volta. Loro invece, i Curti, vennero tutti legati insieme e buttati in una fossa circondata da canne appuntite avvelenate, come quella che aveva ucciso U Menzanu; lì sarebbero rimasti per il resto dei loro giorni. Che dire del Paese dei Fichi d’India? Non ci fu più bisogno dei Rivoluzionari, che decisero comunque di restare uniti per ricordare ogni anno il loro capo e amico, che si era sacrificato per la causa più giusta di tutte. Soprattutto, decisero di portare avanti l’opera e lo spirito di U Menzanu, tramandando a chi sarebbe venuto dopo di loro il racconto di ciò che era accaduto, per non commettere più gli errori che erano stati fatti in passato e vivere per sempre in armonia. Ora, devo essere sincero con voi tutti. In realtà, come i bravi lettori sapranno sicuramente, le cose purtroppo non stanno proprio così. Il sacrificio del nostro protagonista è solo uno, ma ce ne sono stati molti altri; probabilmente ce ne saranno molti ancora, in futuro. Dovete sapere che c’è una splendida terra chiamata Sicilia, dove i fichi d’India hanno ancora le spine. Le hanno sempre avute, e ognuno con molta pazienza li sbuccia e riesce a mangiarli fin dall’alba dei tempi. Ma una cosa non c’è sempre stata: si chiama Cosa Nostra e, come una maledizione, ha afflitto questa terra per molti anni e con soprusi di ogni genere. Molte persone coraggiose l’hanno combattuta e hanno pagato con la loro vita l’attaccamento a questa giusta e folle causa, secondo alcuni persa in partenza. Purtroppo non è stata sconfitta. Non ancora. Io, dal canto mio, spero di vivere abbastanza per vedere sciolta la nostra maledizione.« Dovete sapere che c’è una splendida terra chiamata Sicilia, dove i fichi d’India hanno ancora le spine.
  • 21. 41maggio 2020 UINDOUnumero zeroANNO 140 STORYTELLING RICORDI DI IERI, IMPRESSIONI DI OGGI 23 marzoMi alzo e tiro su la tapparella. La corda cede e con un tonfo sordo si srotola tutta, sigillando la stanza. Sono al buio. Apro la finestra e provo a sollevarla, a infilare sotto, nel taglio di luce, la punta di un coltello, una squadretta di ferro, un pezzo di qualunque cosa, la spingo con le mani. Niente. Immobile. Mi manca l’aria, mi viene da piangere nella totale oscurità. Prendo una scala e cerco di aprire il cassone, gli do delle manate e dei pugni. Immobile pure lui, direi incollato, fuso con il muro, aggrappato lì. Chiamo, chiedo aiuto: «Vediamo, lasciamo passare qualche giorno», «È chiuso il ferramenta di fronte?» «Non c’è un uomo lì?»… Capisco, in effetti non è che si possa prendere e venire in casa d’altri così. Smetto di resistere. Oggi lavoro al buio. 20 marzoChiudo il pc, finalmente emergo dall'ennesima riunione digitale, ed esco quasi di corsa. Ho bisogno di aria. Prendo la bici, pedalo lungo le strade deserte. Le gambe mi portano sul ponte dell’Ortica. Salgo e poi giù veloce con il vento tra i capelli. Ma sono davvero a Milano? Arrivo al Forlanini al crepuscolo, faccio il giro del laghetto e torno indietro. In via Corelli, incontro un fagiano: attraversa con tutta calma la strada. Freno. Mi guarda di sottecchi con un'andatura da spaccone, prende un pochino di rincorsa e si alza in volo maestoso, verso il cielo di Linate. L'aria profuma di erba umida. Grazie, ora lo so, è iniziata la Primavera. 21 marzoSabato notte. Apro la finestra sulla piazza vuota. Entra uno sterminato silenzio che non somiglia a niente. Abbiamo giocato a Taboo stasera, ognuno davanti al proprio schermo. Abbiamo riso e dimenticato. Ora vorrei tutti qui seduti vicini insieme, intorno a un grande tavolo che occupi la piazza intera.  M A R 2 0 2 0 5 12 19 26 Th 6 13 20 Fr 7 14 21 27 28 Sa4 11 18 25 We1 8 15 22 29 Su 3 10 17 24 TuMo 2 9 16 23 3130 diarioprimavera Susanna Tresoldi di Non so perché ma sono felice. Vi racconto la mia settimana. 22 marzoStasera io e Teresa facciamo la pizza. Stendiamo la pasta gommosa che appiccica le dita, mettiamo il sugo e la mozzarella, mentre il forno si scalda chiacchieriamo in video con le amiche del mare. Tiriamo fuori una bottiglia di prosecco e intanto facciamo le bolle di sapone. Alla fine parliamo sdraiate per terra, vicine vicine. Ieri è lontanissimo. Mi sembra di indossare gli stivali delle sette leghe di Pollicino. Sono leghe di tempo queste, ogni ora ci allontana dal passato come un’intera vita. 24 marzoNotte fonda… siamo in videochiamata io e Gian. Non ci incontriamo dal 1° marzo. È a letto. Vedo le sue braccia intrecciate, ne sento la consistenza, sento il suo odore, vedo la barba lunga e imbiancata… la sento ruvida sulla mia faccia. Non c’è nulla di più familiare per me di questo viso, di queste braccia. Dei suoi occhi che mi guardano nell’intimità del silenzio totale. 25 marzoMi sveglio. Mi sto abituando a non vedere nulla e mi piace. La stanza è come rimpicciolita, trasformata, avvolta in un incantesimo misterioso. Mi protegge. Mi viene in mente il castello della bella addormentata. Vedo tutta la città e il Paese sospesi in una foresta magica, avvolti in un bozzolo che li salverà, ci salverà. Oggi non esco. Resto a casa.
  • 22. 26 marzoSono le 8.30. Tere sta iniziando la lezione di latino. Sento che saluta la prof. e si mette le cuffie. Mi siedo a gambe incrociate in cucina, mi stiracchio sul tappetino, alzo gli occhi…. La pianta di Datura è illuminata! È arrivato il Sole. Ogni anno, verso fine ottobre si abbassa dietro la casa di fronte, la più alta. Per mesi lo vedo solo da lontano, sui muri intorno. Le piante perdono le foglie. A marzo, un giorno ritorna. Porta l’estate. Oggi è quel giorno. Accendo la moka. Ho voglia di cantare. 43maggio 2020 UINDOUANNO 1 numero zero42 ARTE RITRATTI, OLTRE I CONFINISTORYTELLING RICORDI DI IERI, IMPRESSIONI DI OGGI RITRATTO #7 Confuse pennellate di rosso, tremanti, come le mani sempre sporche fanno da sfondo su una tela bianca verniciata della stessa luce. Si concentrano al centro di un supporto tondo, in fondo, su un porto sicuro. La loro gradazione è intensa e decisa: si mimetizzano nel sangue che le ha generate e in esso si perdono, ritrovandosi sempre. Filo di ferro dorato, piegato, in innumerevoli giri della morte discende e risale come TESI, ANTITESI, SINTESI. SINTESI, TESI, ANTITESI, SINTESI. Soluzioni acquose che amalgamano umori presenti dall’inizio dei tempi, fino alla fine dei giorni. Accompagnano silenziose e improvvise come punti. « Dedicato per sempre alla scoperta del suo materiale, forse è oro morbido come ferro. Agli argini del rosso che scorre immobile per dare la vita, si concentrano come sputi malati delle piccole macchie nere solubili. BeatriceFiniguerra ovvero ritratto di una persona in movimento  28 marzoTorno con la spesa. Milano nel sole stamattina sembra un pigro borgo di provincia. Immagino gli amici nelle case intorno a preparare il pranzo. Più tardi ci scambieremo video e foto di piatti e ricette. Un autobus mi passa accanto, delicato come una piuma. Sono sul mio divano ora, sdraiata sulla coperta pelosa, il tablet tra le mani, una tazza di caffè lungo con cannella sul vassoio verde « 27 marzoNon mi faccio ingannare dal cielo grigio. Mi metto a potare, sistemare, ripulire, aggiungo terra. Un vicino mi vede e saluta… prendo la palla al balzo e gli chiedo una mano per la tapparella. In un attimo è alla porta. Non vuole nemmeno i guanti. Sale sulla scala, litiga un po’ con il cassone che alla fine cede. Tira su la tapparella e lega la corda, fissandola al lato. La stanza si riempie d’aria buona, torna quella di sempre, con il suo disordine.
  • 23. 45UINDOUmaggio 2020numero zeroANNO 144 ARTE RITRATTI, OLTRE I CONFINI Martina Corno Di fronte a noi, oltre i confini Ci sono dipinti che mostrano a noi spettatori ciò che avviene al di là della finestra. L’espediente crea un dialogo con il soggetto che spesso è raffigurato di schiena, preso a guardare all’esterno dell’ambiente entro il quale è descritto… Edward Hopper Morning sun (1952) Johann Heinrich Füssli Signoraallafinestraalchiarodiluna(1800-1810) Caspar David Friedrich Donna alla finestra (1822) Morisot Berthe Eugène Manet all’isola di Wight (1875) Salvador Dalí Ragazza alla finestra (1925) Henri Matisse La finestra aperta a Collioure (1905) Pablo Picasso La table devant la fenetre, 1919 Umberto Boccioni La strada entra nella casa (1911) Giorgio De Chirico Il poeta e il filosofo (1915) René Magritt Condizione umana, (1933) S i innesca un meccanismo empatico che non solo ci dà, a livello di concretezza, la stessa visuale del protagonista dipinto, ma in secondo luogo, e decisamente più importante, porta a incuriosirci sul personaggio stesso: cosa attirerà la sua attenzione? E che pensieri avrà, mentre guarda quel che accade oltre la finestra di casa sua? Come si sente, mentre rimane affacciato al davanzale? Inconsciamente o meno, ci ricordiamo di quello che noi per primi abbiamo visto dalle nostre finestre. E così si crea la connessione e la comprensione della storia che il quadro vuole raccontarci. Ciascuno di noi potrebbe essere il protagonista del dipinto, e carichiamo del nostro flusso di pensieri il soggetto bidimensionale che si presta a rappresentare chiunque, ovunque. Il soggetto non è più solo un disegno: siamo noi mentre fumiamo una sigaretta sul balcone ascoltando i discorsi della gente per strada, noi che sentiamo il profumo del cibo che i vicini stanno cucinando o il calore del sole sulla pelle. Ogni piccolo evento davanti al quale saremmo di solito incuranti, si riempie di significato: quello che noi gli diamo osservandolo. E come il soggetto del dipinto guarda davanti a sé, noi guardiamo lui, in un atteggiamento ripetuto che accentua la differenza tra realtà e artefatto: stiamo facendo entrambi la stessa cosa, nello stesso momento. E poi ci sono quei dipinti in cui possiamo vedere solo il soggetto intento a guardar fuori, precludendoci la possibilità di sapere cosa sta scorgendo, ma, al contempo, regalandoci la libertà di immaginarlo noi quel qualcosa, aprendoci infinite interpretazioni, chiedendoci di decidere lo scenario, con un solo piccolo e per nulla trascurabile indizio: la sua espressione. Chissà cosa scatena: gioia, sgomento, nostalgia? E qua iniziamo a costruire la sua storia, che ha un po’ della nostra. Magari è il risveglio confuso del mattino prima di andare al lavoro, magari l’attesa infinita di un amante che dovrebbe arrivare a momenti. Il dipinto diventa il contenitore della nostra fantasia e il soggetto il suo spettatore. La finestra è l’apertura verso un mondo, quello plasmato con la nostra fantasia.Alla fine, poco importa se il pittore vuole mostrare o nascondere il paesaggio. Conta il lascito prezioso che generosamente mette a nostra disposizione: una tela da riempire di noi. «
  • 24. ANNO 1 numero zero46 ARTE RITRATTI, OLTRE I CONFINI D I S E G N I N I C O N L E D I T A Un dito, un iPhone, un disegnino Bianca Costanzo disegniniconledita disegniniconledita OOgni artista deve fare i conti con gli strumenti che l'epoca gli concede. Che siano uno scalpello, un pennello o dei ritagli di giornale, c'è sempre un limite che la creatività deve superare. Il mio limite sta in un dito e nello schermo di un IPhone. Il risultato? Magari non la Gioconda, ma tanti disegnini. Nonmiricordopiùilcoloredellefoglie Lorenzo Capineri Nino Faranna Karin Rossi Martina Corno Irene Raschellà Francesco Aliprandi Emanuele Cavalcanti 348 4856086 polveridiscena@gmail.com https://www.facebook.com/polveridiscena/ https://www.youtube.com/channel/UCAUt1m3pOUXyDhwMq4-KnWQ teatro arti visive e performative pedagogia teatrale “Il Teatro resiste come un divino anacronismo”
  • 25. sulas. f. [lat. scient. Sula, da una voce islandese] ZOOL Genere di uccelli marini dell’ordine dei Pelecaniformi (Sula), simili ai cormorani, dal piumaggio prevalentemente bianco e bruno-scuro o nero, con grosso becco conico e ali grandi e appuntite. PER CATTURARE I PESCI DI CUI SI CIBANO EFFETTUANO SPETTACOLARI TUFFI DA 50 M DI ALTEZZA, VOLANDO IN PICCHIATA FINO A 100 KM/H: STRINGONO LE ALI AL CORPO, RIPIEGANDOLE ALL’INDIETRO, E ASSUMONO LA TIPICA FORMA DI FRECCIA. RIVISTELISTINILIBRIINFOGRAFICHECOVERADV M O D U LISTIC A A ZIEN D A LELO G H IB R O C H U R E ANNUNCILEAFLETCATALOGHIFLYERLOCANDINE MANUALIREPORTAZIENDALIDIARIPANNELLIPUBBLICITARI CARTELLONISTICAROLL-UPNEW SLETTERAGENDE PRESENTAZIONIPERM EETINGCALENDARIM ONOGRAFIE di patrizia cella ilbozzetto1988@libero.it MILANO 025464123 Di cosa ha bisogno un messaggio per essere incisivo ed efficace? Di un contenuto solido e di un linguaggio comprensibile a tutti. Di una rappresentazione visiva d’impatto. Di una strategia di divulgazione snella e dinamica. Fare comunicazione equivale a scoccare una freccia verso il bersaglio stabilito. È catturare l’attenzione di chi legge. È dotare idee e progetti di ali, per portarli in quota e condurli poi a centrare con decisione l’obiettivo. Un buon design grafico fa la DIFFERENZA tra volare e svolazzare. TU DA CHE PARTE VORRESTI STARE? se scegli divolare SEGUI LA FRECCIA LA COMUNICAZIONE GRAFICA, QUELLA A PORTATA DI TUTTI il bozzetto di patrizia cella patrizia cella