1. RECENSIONE DA KANDINSKY A POLLOCK PALAZZO STROZZI -19 MARZO- 24 LUGLIO 2016
Da Kandinsky a Pollock: ancora alcune note sull’esposizione
Articolo di Vanessa Maggi
Nel mio precedente articolo (http://okarte.it/index.php/mostre-ed-eventi-2015/centro-mostre-eventi-
2015/53315-la-grande-arte-dei-guggenheim-articolo-di-vanessa-maggi), mettevo in risalto le opere della
collezione Guggenheim come capisaldi della pittura moderna, radici essenziali per i successivi rinnovamenti,
le incompatibilità, e i ripudi successivi. Effettivamente, quando si visiona dappresso opere di artisti del calibro
di Duchamp, Picasso, Ernst, Kandisky, per poi proseguire in una infilata senza sosta, con Pollock, Burri, fino
a Rothko o Bacon, tra i tanti presenti in mostra, si ha l’impressione di scorrere attraverso tutta la storia
dell’arte moderna, e di farne immediatamente parte. E ancora, last but not least, l’indagine esistenziale,
sociologica, delle avanguardie europee, adesso in confronto dialettico con quelle statunitensi, attraverso uno
“…spaccato unico... in una fitta serie di assonanze, contrasti, stimoli”, come sostiene Massimo Barbero (in 5
domande al curatore, Rassegna stampa, Fondazione Palazzo Strozzi). Oggi in effetti, gli artisti contemporanei
devono tutto a quegli eccentrici creativi, e ai movimenti cui hanno partecipato, attivato, o ai quali sono stati
semplicemente accomunati, poiché non c’era nulla che l’entourage di Peggy Guggenheim non potesse
realizzare. Dal video, della breve e piacevolissima durata (ottima strategia del curatore), si percepisce il clima
frizzante e innovativo che la mecenate aveva ispirato. Erano gli anni di fervore ed entusiasmo, anni di
innovazione, che soltanto negli USA si sarebbero potuti creare: tutto era possibile allora. Si pensi
all’installazione che la stessa Peggy aveva costruito con luci intermittenti ed effetti di horror vacui, che
avrebbero destato scalpore e shock, e a quanto forse siamo attualmente retrocessi. Perché difatti, mi chiedo,
non ripristinare quel medesimo “gioco” allucinogeno nella nuova esposizione fiorentina, magari con
modifiche e nuovi espedienti. Seducente è nondimeno l’avvolgente e ludica realizzazione della prima sala,
con l’effetto circolare che evoca il ricordo della rotonda Guggenheim, per ristabilire l’inedito confronto tra le
collezioni di zio Salomon e nipote. La mostra è davvero un’occasione da non perdere per tutti, soprattutto
per chi con l’arte “moderna” non è ancora in sintonia, affinché ne intuisca il clima, e ne apprezzi gli espedienti
poetici e tecnici di artisti tout court. Non c’è pennellata smaltata su tavola, collage, o materia grumosa e
liquefatta, che non abbia influenzato la maniera dei contemporanei, senza parlare dei dripping, visibili ancora
in molte produzioni artistiche degli anni ottanta-novanta. Gli artisti presenti in mostra sono numerosissimi e
non si possono citare tutti, ma vi basti di sapere che sono stati tutti estremamente celebri, e che hanno fatto
la storia, innescato poetiche che hanno trovato seguito anche nell’opposizione. E quanto questo influsso sia
perpetrato nei posteri è evidente già all’interno della mostra stessa: è il caso ad esempio di Francis Bacon, il
quale deve moltissimo al primo Marx Ernst. Tra tutti i capolavori emergono le chimere di Basaldella,
considerevoli riflusso di antichità etnica mescolata a terrore contemporaneo. Unica avvertenza: attenzione a
schiudere gli occhi al passaggio dal buio di Rothko ai neon abbacinanti della sala Lichtenstein.
2. Ringrazio per la realizzazione di tali eventi, poiché consentono anche a chi non ha potuto viaggiare e
conoscere la collezione veneziana di Peggy Guggenheim, o quella newyorkese, di ammirare quei talenti e di
comprenderne le ragioni sottese.
Vanessa Maggi
Storica dell’arte
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