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TESTO CONCLUSIVO DELL’INDAGINE CONOSCITIVA DI
AGCOM IN VISTA DELLA REDAZIONE DI UN LIBRO BIANCO
SULLA “TELEVISIONE 2.0 NELL’ERA DELLA CONVERGENZA”.
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In data 13 gennaio 2015, con delibera n. 19/15/CONS, l’Autorità per le Garanzie nelle
Comunicazioni (“AGCOM”) ha approvato il testo conclusivo dell’indagine conoscitiva
relativa alla redazione di un libro bianco sulla “Televisione 2.0 nell’era della convergenza”.
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Tale indagine conoscitiva era stata avviata da AGCOM con delibera n. 93/13/CONS del 6
febbraio 2013, con l’obiettivo di approfondire le tematiche relative agli aspetti complessivi
dei nuovi servizi di televisione su protocollo IP nel settore delle comunicazioni elettroniche,
e, in particolare, gli aspetti concernenti la struttura del mercato e la relativa catena del
valore, i modelli di business, i possibili sviluppi della domanda e dell’offerta, le modalità di
accesso alle piattaforme, le problematiche di interoperabilità tra piattaforme, la
competizione tra le differenti piattaforme distributive, lo sviluppo in termini di concorrenza e
pluralismo.
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Riportiamo di seguito i passaggi principali del documento redatto da AGCOM.
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Il tema della televisione connessa è suddivisibile in tre elementi principali:
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• aspetti distributivi e tecnologici (reti, standard tecnici per la fruizione di contenuti,
terminali come smart TV o Internet enabled television, ma anche tablet e
smartphone);
• aspetti di mercato;
• aspetti regolamentari (privacy e data protection, visibilità - prominence - e
accessibilità dei contenuti, adeguatezza e limiti del quadro regolamentare
esistente).
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Con riferimento al primo aspetto, si evidenzia che nel 2013 oltre il 30% dei televisori flat
panel distribuiti in tutto il mondo apparteneva alla categoria delle smart TV, ovvero un
apparecchio con funzioni che ne rendono possibile la connessione immediata (tramite
collegamento wi-fi o ethernet) a una rete a banda larga oltre che a reti broadcasting
tradizionali. Le smart TV si caratterizzano per un’interfaccia grafica che, pur modificabile
dall’utente, mette sostanzialmente sullo stesso livello la fruizione di servizi online e del
mondo broadcasting tradizionale;. diversamente ci si riferisce ad apparecchi c.d. “Internet
enabled” quando le televisioni sono connesse a una rete a banda larga per tramite di un
set top box esterno, dotato di collegamento ethernet o di una consolle di gioco (con wi-fi),
presentando normalmente funzioni di navigazione in rete meno sofisticate.
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In termini di diffusione delle predette apparecchiature, dall’indagine in questione è emerso
che il numero di coloro che ne possiedono una appare in crescita ed in Italia, nel 2013, ha
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raggiunto il 17% della popolazione. Valori analoghi, compresi tra il 16% e il 19%, si
registrano per altri Paesi europei come Regno Unito, Germania e Spagna, mentre risulta
inferiore (e pari al 12% della popolazione) la diffusione di smart TV in Francia e negli Stati
Uniti.
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Per quanto riguarda le interfacce grafiche, l’Autorità osserva come i principali costruttori di
apparati televisivi intendono stabilire un rapporto diretto con l’utente finale. Ciò secondo
l’Autorità può essere considerato un esempio di come l’industria dell’elettronica di
consumo tenti un processo di integrazione a monte che la porti a posizionarsi nel campo
degli aggregatori (anche se di tipo “virtuale”).
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In materia di aspetti regolamentari relativi alla televisione connessa, l’Autorità si sofferma
in particolare sul tema della prominence ossia, nella prospettiva della Commissione
Europea, “dell’accessibilità ai contenuti in un tempo in cui cambiano i modi in cui le
persone si relazionano all’informazione: grazie ai meccanismi di filtraggio, in particolare la
personalizzazione dei risultati di ricerca, è più probabile che gli utenti ricevano notizie nei
settori di loro interesse e da una prospettiva che condividono. Da un lato, tali meccanismi
di personalizzazione e filtraggio hanno un evidente potenziale di affermazione e
coinvolgimento dei cittadini, perché permettono loro di destreggiarsi nel mare magnum di
informazioni che caratterizza il mondo digitale e di ricevere servizi su misura che
corrispondono alle loro esigenze personali; dall’altro, potrebbe risultarne indebolito il ruolo
dei media in quanto editori nella sfera pubblica e rafforzato invece il ruolo dei fornitori di
piattaforme, ad es. delle imprese del web. Queste ultime potrebbero non solo stabilire
quali contenuti siano accessibili, ma anche interferire sulle scelte, per es. dando maggiore
o minore rilievo ai contenuti che presentano, limitando la possibilità per l’utente di
cambiare le impostazioni del menu o restringendo determinate applicazioni.”.
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Per quanto riguarda le tematiche in materia di privacy e vulnerabilità delle smart TV,
l’Autorità rileva che, con la penetrazione dei modelli più recenti di smart TV nel mercato, si
sono posti nuovi problemi che afferiscono alla riservatezza, alla protezione dei dati e alla
sicurezza informatica, tenendo conto in particolare dei rischi, di break-in, di accesso
illegittimo ai dati personali e di attivazione surrettizia della telecamera. In proposito, si
richiama il caso di un esperto informatico del Regno Unito, che ha rivelato pubblicamente
come la sua televisione raccogliesse – anche quando la funzione di raccolta dati risultava
formalmente disabilitata – un elevato numero di informazioni, come ad esempio lo
zapping, i dati relativi alle preferenze del telespettatore per inviarli in chiaro ai server della
casa madre in Corea del Sud.
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Con riferimento a quest’ultimo aspetto l’Autorità cita anche l’orientamento del Garante per
la protezione dei dati personali che già nel 2005 ha adottato un provvedimento di carattere
generale avente ad oggetto le misure necessarie ed opportune per il trattamento dei dati
personali raccolti attraverso la cosiddetta “Tv interattiva”, ovvero dotata di un “canale di
ritorno”.
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L’Autorità, facendo riferimento alle principali indicazioni evidenziate dagli stakeholder nel
corso dell’indagine, osserva che:
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• la catena del valore è molto articolata, andando da costruttori di hardware
(televisori, decoder e chip integrati nei televisori, ma anche tablet e smartphone);
produttori di software (firmware e layer superiori per la gestione dei metadati
utilizzati nei televisori smart e l’organizzazione della fruibilità dei contenuti);
produttori di contenuti; distributori tradizionali (broadcaster) e innovativi (over-the-
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top, che come Netflix diventano anche produttori di contenuti); investitori
pubblicitari; media agencies; utenti finali;
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• i primi quattro livelli della catena mostrano elevati livelli di concentrazione e una
presenza preponderante di grandi attori multinazionali, attivi su scala globale;
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• attualmente il principale utilizzo della TV rimane quello della visione di contenuti
trasmessi attraverso i canali tradizionali (digitale terrestre, satellitare) e l’utilizzo del
televisore per usi quali giochi online o la navigazione su Internet, mentre la
possibilità di scaricare applicazioni resta marginale.
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Le conclusioni dell’Autorità con riferimento all’indagine conoscitiva in questione riguardano
due punti fondamentali: (i) la verifica della coerenza della regolamentazione esistente
(europea e nazionale) con le dinamiche di un mercato che cambia incessantemente e (ii)
la necessità di esplorare tendenze e innovazioni tecnologiche e capire come gestirle da un
punto di vista regolamentare.
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Per quanto riguarda il primo punto, l’Autorità evidenzia come l’aspetto più importante
riguardi le asimmetrie normative tra operatori televisivi e servizi Internet. In particolare è
stato rilevato che il passaggio alla televisione connessa segna un’evoluzione tale da
mettere in dubbio, per sua natura, alcune decisioni essenziali prese nel quadro della
regolamentazione del settore. Conseguentemente nasce la necessità di intervenire su
processi e su attori economici che operano su scale differenti, che spesso sfuggono a ogni
possibile delimitazione geografica, che operano trasversalmente ai diversi comparti e che
nella loro attività attraversano campi giuridici e normativi separati.
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Con riferimento al secondo punto l’Autorità sottolinea che lo sviluppo di interfacce
proprietarie da parte dei costruttori, che guidano l’utente verso una selezione di contenuti
organizzati sulla base di metadati, richiede il monitoraggio, almeno in ipotesi, di alcuni
problemi potenziali:
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• a livello di middle-ware (es MHP o Hbbtv), la preoccupazione che l’utente sia
confinato in un walled-garden teso a limitarne artatamente le scelte;
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• a livello di interfaccia d’utente, che siano introdotte nel mercato unico versioni
diverse di tali interfacce;
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• che le guide d’utente, realizzate in modo da utilizzare i metadati presenti nei
programmi e consentire una personalizzazione più o meno spinta dei contenuti,
limitino automaticamente o di default le impostazioni utili ai broadcaster.
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Infine con riferimento alle criticità relative alla visibilità dei contenuti (prominence) ed alla
non discriminazione, l’Autorità sottolinea che: (A) occorre sviluppare il concetto di
piattaforma in modo che si adatti alla pluralità di forme esistenti; (B) occorre far sì che la
visibilità dei contenuti non sia limitata o guidata artificialmente da algoritmi che rispondono
principalmente agli interessi degli inserzionisti disposti a pagare per influenzare le risposte
dei motori di ricerca, quando questi vengano utilizzati al posto delle guide alla
programmazione o contestualmente ad esse.
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REPORT DELL’ADVISORY COUNCIL DI GOOGLE SUL RIGHT
TO BE FORGOTTEN.
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Lo scorso 6 febbraio Google ha pubblicato il Report dell’Advisory Council on the Right to
be Forgotten (di seguito, anche “Advisory Council”) che riassume i risultati dei primi mesi
di lavoro del comitato indipendente incaricato, all’indomani della sentenza della Corte di
Giustizia nel caso Google Spain, di individuarne le modalità di implementazione (in
relazione alla sentenza in questione, si veda la nostra newsletter di giugno 2014 e di
dicembre 2014). Il Report rende conto delle riflessioni maturate all’esito di un processo di
consultazione che ha visto l’Advisory Council confrontarsi con esperti di diversi paesi in
occasione di una serie di incontri pubblici tenutisi in Europa.
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Il Report esordisce offrendo una lettura della sentenza Google Spain al netto di possibili
approssimazioni terminologiche. Non si tratta, infatti, ad avviso dell’Advisory Council, di
una decisione che riconosce un generale diritto all’oblio e la cui attuazione si risolve nella
rimozione delle informazioni relative all’interessato. Al contrario, precisa l’Advisory Council,
la sentenza impone a Google di eliminare i risultati di ricerca generati dall’associazione del
nome dell’interessato quando si tratti di risultati “inappropriati, irrilevanti o non più rilevanti
o eccedenti”. Tuttavia, sottolinea il Report, non sussiste un obbligo di rimozione in
presenza di un interesse pubblico predominante, per esempio alla luce del ruolo
dell’interessato nella dimensione pubblica.
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Queste considerazioni servono all’Advisory Council anche per ricordare che la
deindicizzazione è cosa diversa dalla rimozione di una notizia dal sito sorgente: infatti,
una volta eliminato un collegamento dai risultati di ricerca, una notizia rimane senz’altro
disponibile sul sito di provenienza, poiché i criteri che potrebbero giustificare
un’eliminazione dalla sorgente sono differenti (anche alla luce delle implicazioni per la
tutela della libertà di espressione) da quelli che invece devono guidare il motore di ricerca
nel valutare le istanze di deindicizzazione. Proprio l’individuazione dei criteri in base ai
quali valutare le richieste di delisting avanzate dagli utenti costituisce il principale e più
importante frutto degli sforzi dell’Advisory Council.
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Al riguardo, il Report individua quattro criteri, nessuno dei quali di per sé decisivo: (i) il
ruolo dell’interessato nella vita pubblica; (ii) la tipologia di informazione; (iii) la fonte
dell’informazione e (iv) il tempo.
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(i.) Il ruolo dell’interessato nella vita pubblica
In primo luogo, l’Advisory Council attribuisce rilievo al ruolo che l’interessato riveste nel
contesto pubblico come variabile da considerare nel bilanciamento con il diritto alla
protezione dei dati personali. Secondo il Report, l’interessato può rientrare in una delle
seguenti categorie, a seconda della sua posizione nella dimensione pubblica:
a. soggetti con un chiaro ruolo nella dimensione pubblica (per esempio: esponenti del
mondo economico e politico, celebrità, artisti, leader religiosi): in questo caso,
secondo l’Advisory Council, maggiore è la rilevanza pubblica, minore sarà la
possibilità che una richiesta di deindicizzazione sia accolta, alla luce del
predominante interesse pubblico alla ricerca di informazioni;
b. soggetti privi di un ruolo apprezzabile nella vita pubblica: in questo caso, le richieste
di deindicizzazione dovrebbero trovare più facilmente accoglimento;
c. soggetti con un ruolo pubblico limitato o circoscritto a un ambito specifico (per
esempio: alcune tipologie di funzionari pubblici, personaggi che rivestono un ruolo
pubblico in ragione di particolari responsabilità o attività professionali): in questo
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caso, non è possibile individuare una maggiore o una minore probabilità di
rimozione, dal momento che l’informazione oggetto di indicizzazione riveste un
peso maggiore rispetto alla scelta di deindicizzare o meno un contenuto.
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(ii.) La tipologia di informazione
Il secondo criterio indicato dal Report corrisponde alla qualità dell’informazione. In base a
questo indice, l’Advisory Council ha enucleato una distinzione fra due categorie: le notizie
in cui appare prevalente una forte aspettativa di riservatezza e le notizie di predominante
interesse pubblico. Nel primo ambito rientrano: (a) le informazioni relative alla vita intima o
sessuale dell’interessato o alla sua situazione economica e finanziaria; (b) le informazioni
di contatto e le credenziali di identificazione (indirizzo, numero di telefono, codici PIN,
password); (c) le informazioni relative a dati sensibili ai sensi dalla Direttiva 95/46/CE sulla
protezione dei dati personali; (d) le informazioni private relative a minori; (e) le notizie non
veritiere, che propongono associazioni non esatte o espongono a nocumento l’interessato;
(f) le informazioni riguardanti la presenza in immagini o filmati che rappresentano
interessato. Rispetto a questo insieme di informazioni, l’interesse alla riservatezza si
presume prevalente, anche se l’esistenza di un interesse pubblico (da valutarsi anche in
base al criterio sub. (i.) sopra indicato) potrebbe giustificare un’eccezione a questo
principio.
Nella seconda categoria, di contro, rientrano tutte le informazioni che normalmente
rivestono un interesse pubblico: si tratta delle informazioni relative al dibattito politico,
relative a tematiche religiose o filosofiche, delle informazioni che si riferiscono alla salute
pubblica e alla protezione dei consumatori o ad attività criminali, delle notizie che
contribuiscono al dibattito su temi di interesse generale, di notizie che siano veritiere e
relative a fatti, di notizie che presentano un interesse storico, nonché di informazioni
relative a ricerche scientifiche o a forme di espressione artistica.
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(iii.) La fonte
In terzo luogo, nel verificare la sussistenza di un interesse pubblico occorre considerare la
fonte dell’informazione e le finalità per le quali è trattata. Un rilevante interesse pubblico,
per esempio, si presume alla base delle notizie diffuse nell’esercizio dell’attività
giornalistica, o comunque dell’attività di blog e siti di informazione di consolidata
autorevolezza.
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(iv.) Il tempo
Ultimo ma non meno importante criterio è il fattore temporale. La stessa decisione Google
Spain, infatti, precisa che talvolta è proprio l’evolversi delle circostanze di fatto a
modificare la rilevanza di una notizia. Il fattore temporale, secondo l’Advisory Council,
riveste particolare importanza nei casi in cui il ruolo dell’interessato rispetto alla
dimensione pubblica sia limitato o sia mutato nel corso del tempo. Al contrario, vi sono
categorie di informazioni per le quali la rilevanza del fattore temporale è assai più limitata
(per esempio, le notizie relative a fatti di straordinario interesse pubblico, come crimini
contro l’umanità).
Merita di essere segnalata l’attenzione che il Report dedica in proposito alle vicende
penali. A seconda delle circostanze, il fattore temporale potrà favorire (si pensi alla notizia
di un reato bagatellare commesso molti anni addietro) o all’opposto disincentivare (si pensi
a reati commessi in passato da personalità che vengano successivamente a rivestire
cariche pubbliche) la rimozione.
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Dopo aver definito i criteri per la valutazione delle richieste di deindicizzazione, il Report si
sofferma anche su alcuni aspetti procedurali.
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In primo luogo, si raccomanda che nel formulare le istanze di delisting l’interessato
fornisca tutte le informazioni necessarie affinché il motore di ricerca possa effettuare il
bilanciamento tra riservatezza e interesse pubblico. In particolare, l’utente dovrà indicare
tutti gli elementi utili a contestualizzare le informazioni cui si riferisce la richiesta di
deindicizzazione (per esempio, l’area geografica entro la quale l’interessato è conosciuto
pubblicamente, il suo ruolo).
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In secondo luogo, il Report affronta il delicato rapporto tra i gestori del sito-fonte e il
processo di deindicizzazione. L’Advisory Council raccomanda in proposito che il motore di
ricerca comunichi, come “good practice”, la rimozione al sito web nella misura in cui la
legge applicabile lo permette.
Il terzo aspetto procedurale riguarda il sindacato circa la decisione di deindicizzare o meno
un contenuto. Al riguardo, il Report raccomanda che non solo gli interessati, ma anche i
gestori dei siti sorgente possano avere accesso alle Autorità di protezione dei dati
personali o alla giurisdizione ordinaria per sindacare le determinazioni assunte dai motori
di ricerca.
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Non meno delicato è il quarto punto, inerente all’ambito territoriale del delisting. Il Report,
preso atto che ogni motore di ricerca può gestire una versione diversa in paesi differenti (e
sotto top-level-domain diversi), propone di circoscrivere allo scenario europeo l’attività di
deindicizzazione. Estendere questo meccanismo ai motori di ricerca utilizzati da utenti
stabiliti al di fuori dall’Europa, infatti, significherebbe imporre la prevalenza dell’interesse
alla rimozione in modo assoluto. Al contrario, secondo l’Advisory Council, circoscrivere la
deindicizzazione, nel contesto europeo, alle versioni nazionali di un motore di ricerca
costituisce senz’altro una misura proporzionata e che assicura una tutela efficace.
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Da ultimo, il Report affronta il tema della trasparenza. Al riguardo, l’Advisory Council detta
raccomandazioni in particolare sulla necessità di motivare le decisioni adottate sulle
richieste di deindicizzazione, esplicitando altresì i criteri su cui esse si sono fondate.
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AGCOM AVVIA CONSULTAZIONE SU ASSEGNAZIONE FREQUENZE BANDA L 

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Con delibera 18/15/CONS del 13 gennaio 2015 l’Autorità per le Garanzie nelle
Comunicazioni ha avviato una consultazione pubblica in vista dell’adozione di un piano
per l’assegnazione delle risorse frequenziali 1452-1492 MHZ prevista dall’articolo 1
comma 144 della c.d. Legge di Stabilità 2015 (Legge 23 dicembre 2014, n. 190). Secondo
la disposizione citata: “Entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore della presente
legge, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni avvia le procedure per l'assegnazione
di diritti d'uso di frequenze radioelettriche da destinare a servizi di comunicazione
elettronica mobili per applicazioni del tipo Supplemental Down Link (SDL) con l'utilizzo
della banda 1452-1492 MHz, conformemente a quanto previsto dal codice delle
comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1º agosto 2003, n. 259. L'Autorità
emana l'eventuale regolamento di gara entro il 15 marzo 2015. Il Ministero dello sviluppo
economico avvia le procedure selettive per l'assegnazione delle frequenze di cui al
presente comma entro i successivi trenta giorni e le conclude entro il 31 ottobre 2015. La
liberazione delle frequenze di cui al presente comma per la loro destinazione ai servizi di
comunicazione elettronica mobili per applicazioni del tipo SDL deve avere luogo entro il 30
giugno 2015”.
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! BREVISSIME
Le risorse frequenziali della c.d. Banda L sono destinate a servizi di comunicazione
elettronica mobili per applicazioni del tipo Supplemental Down Link (SDL). Tali applicazioni
consentono di aggiungere banda alle comunicazioni mobili permettendo agli operatori di
offrire ai consumatori la possibilità di accedere più rapidamente e con prestazioni più
performanti a contenuti presenti in rete.
Qui si trovano tutte le informazioni per partecipare alla consultazione che è aperta fino
all’11 marzo 2015. 	
  
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AGCOM: INDAGINE CONOSCITIVA SUL SETTORE DELLA PRODUZIONE
AUDIOVISIVA E CONSULTAZIONE PUBBLICA SULLO SCHEMA DI TESTO
C O O R D I N ATO D E I R E G O L A M E N T I I N M AT E R I A D I O B B L I G H I D I
PROGRAMMAZIONE ED INVESTIMENTO A FAVORE DI OPERE EUROPEE E DI
OPERE DI PRODUTTORI INDIPENDENTI 

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In data 13 gennaio 2015, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (“AGCOM”) con le
delibere n. 20/15/CONS e n. 21/15/CONS rispettivamente (i) ha avviato un’indagine
conoscitiva sul settore della produzione audiovisiva, che avrà una durata di 90 giorni a
partire dalla pubblicazione della delibera in questione sul sito web dell’Autorità (avvenuta il
5 febbraio 2015), e (ii) ha lanciato una consultazione pubblica sullo “Schema di Testo
coordinato dei regolamenti in materia di obblighi di programmazione ed investimento a
favore di opere europee e di opere di produttori indipendenti” di cui all’Allegato A alla
medesima delibera, stabilendo che le comunicazioni di risposta alla consultazione
dovranno pervenire alla stessa Autorità entro 45 giorni dalla pubblicazione della delibera
sul sito web dell’Autorità (anch’essa avvenuta il 5 febbraio 2015).
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Per quanto riguarda la prima delibera (disponibile cliccando qui), l’Autorità, in ragione delle
funzioni di regolamentazione e verifica della promozione della produzione audiovisiva
europea, prende atto della necessità di procedere ad una ricognizione delle condizioni
strutturali del settore della produzione audiovisiva.
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Gli obiettivi principali che AGCOM si propone di realizzare attraverso l’indagine in
questione sono:
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• favorire un incontro più efficiente tra la struttura della domanda e quella dell’offerta
nel settore della produzione audiovisiva;
• fornire delle linee di indirizzo su cui impostare la futura attività della stessa Autorità
in materia di quote europee;
• valutare l’adeguatezza e la coerenza dell’attuale assetto normativo e regolamentare
di riferimento.
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In merito alla seconda delibera relativa alle quote europee (disponibile cliccando qui),
l’Autorità, prendendo atto delle esigenze di revisione di talune procedure quali, in
particolare, quelle relative alla valutazione delle istanze di deroga agli obblighi previsti
dalla legge in siffatta materia, ritiene di dover sottoporre a consultazione pubblica il testo
coordinato dei regolamenti in materia di obblighi di programmazione ed investimento a
favore di opere europee e di opere di produttori indipendenti. Ciò al fine di consentire la
più ampia partecipazione al relativo procedimento e di rendere le predette procedure
maggiormente confacenti alle dinamiche di mercato sottostanti alle istanze di deroga.
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RESPONSABILITÀ DEI PROVIDER: NUOVO TASSELLO NELLA GIURISPRUDENZA
ITALIANA 

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Con decisione del 10 luglio 2014 depositata il 7 gennaio 2015 la Corte di Appello di
Milano, riformando la sentenza di primo grado, si è pronunciata su una controversia che
vedeva contrapposte RTI e Yahoo in materia di responsabilità degli Internet Service
Providers. La vicenda sostanziale è simile ad altre che, anche in tempi recenti, hanno visto
impegnate le corte nazionali e comunitarie sul tema: la pubblicazione da parte di utenti di
una piattaforma video di contenuti coperti dal diritto d’autore senza l’autorizzazione del
relativo titolare/licenziatario (in questo caso RTI).
La decisione appare di particolare interesse almeno sotto due profili: 1) da un lato, offre
spunti di riflessione nell’ottica di un superamento della distinzione operata da talune
sentenze nazionali tra hosting provider “attivo” e hosting provider “passivo”; 2) dall’altro
conferma la tendenza delle corti italiane a ritenere, in linea con le istanze comunitarie,
sufficiente a far insorgere un obbligo di rimozione dei contenuti in capo al provider l’invio di
una diffida dettagliata da parte dell’avente diritto.
Sotto il primo profilo considerato la Corte di Appello, dopo un’ampia ricognizione della
normativa nonché della giurisprudenza in materia di ruolo e responsabilità dei providers,
rileva come in relazione al servizio offerto dal provider la sussistenza di fattori quali: 1)
l’adozione di un motore di ricerca interno per la localizzazione dei contenuti presenti sul
servizio; 2) l’adozione di svariate modalità di gestione tecnica del servizio; e 3) la
sussistenza di un interesse del provider a conseguire vantaggi economici – non è idonea a
far inferire la natura “attiva” del provider e, dunque, la piena responsabilità dello stesso per
i contenuti caricati dai propri utenti sul servizio esercito. Secondo la Corte si deve parlare
di provider “evoluto” anche alla luce della costante innovazione dei servizi in parola che, in
quanto tale, non può non avvalersi della limitazione di responsabilità prevista dalla
direttiva e dal decreto nazionale sui servizi della società dell’informazione.
Sotto il secondo profilo la Corte di Appello, superando il disposto del decreto e-commerce
ma in linea con quanto previsto dalla direttiva europea, chiarisce, ponendosi in linea di
continuità con altre decisioni emesse da giudici italiani, come l’invio di una diffida
stragiudiziale che in maniera dettagliata dia conto della titolarità dei diritti di autore, nonché
degli URL delle pagine ove risultano localizzati i contenuti presuntivamente illeciti è di per
se’ sufficiente per far sorgere in capo al provider un obbligo di rimozione dei suddetti
contenuti.
Per un’analisi più approfondita della rilevante decisione si rimanda a un contributo
pubblicato su Medialaws e al commento del Prof. Oreste Pollicino e del collega Marco
Bassini pubblicato su Diritto24.
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CLAIM NUTRIZIONALI: AGCM SANZIONA PER OLTRE UN MILIONE DI EURO
QUATTRO AZIENDE DEL SETTORE ALIMENTARE PER PUBBLICITÀ INGANNEVOLE 

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Con provvedimenti pubblicati in data 17 febbraio 2015, su segnalazioni di privati e
dell’Unione nazionale consumatori, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
(“AGCM”) ha sanzionato quattro grandi aziende del settore alimentare, produttrici di
patatine fritte in busta, per pratiche commerciali scorrette, consistenti nella diffusione,
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tramite vari canali e attraverso diciture e immagini suggestive, messaggi pubblicitari
contenenti specifiche indicazioni di tipo nutrizionale o salutistico, o in merito alla
composizione e agli ingredienti o alle modalità di trasformazione o cottura, rivelatesi poi
ingannevoli.
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In particolare, AGCM ha ritenuto ingannevole e contrastante con le prescrizioni
comunitarie in materia i claim nutrizionali di tipo comparativo aventi ad oggetto la
dichiarazione enfatica, effettuata dalle aziende in questione, circa il ridotto contenuto di
grassi dei loro prodotti, in quanto la percentuale di riduzione vantata era inferiore a quella
consentita oppure non adeguatamente accostata con la medesima evidenza grafica allo
specifico termine di raffronto utilizzato. Tali claims erano pertanto idonei a fuorviare i
consumatori da scelte commerciali consapevoli, ingenerando confusione circa l’effettiva
portata nutrizionale dei prodotti.
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In secondo luogo, è stata considerata ingannevole l’attribuzione ai prodotti della
caratteristica di “artigianalità” (ad esempio, patate “cotte a mano”) operata da tre delle
aziende interessate, stante la natura industriale e seriale della produzione e l’adozione di
processi, ancorché specifici e distinti, ma comunque standardizzati in vista di una
distribuzione assai ampia del prodotto. Secondo AGCM, poi, due aziende (San Carlo e
Amica Chips) hanno posto in essere pratiche commerciali omissive o ingannevoli in
quanto ingeneranti nel consumatore l’erronea convinzione che determinati prodotti fossero
nettamente diversi dal prodotto base o dalla variante aromatizzata. Infine, l’azienda Ica
Foods è stata ritenuta responsabile di aver attribuito al proprio prodotto “Crik Crok & Blue”
proprietà salutistiche ancora controverse nella comunità scientifica e comunque non
autorizzate dalla Commissione europea.
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L’AGCM ha perciò irrogato sanzioni amministrative pecuniarie rispettivamente pari a:
350.000 Euro per il gruppo “San Carlo”; 300.000 Euro ad “Amica chips”; 250.000 Euro a
“Pata” e 150.000 Euro a “Ica Foods”. In aggiunta, l’Autorità ha imposto il divieto di
continuare o diffondere la pratica commerciale considerata scorretta e ingannevole.
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I provvedimenti in oggetto sono disponibili cliccando qui.
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AGCM SUI “SERVIZI PREMIUM” A SOVRAPPREZZO: SANZIONI PER PRATICHE
COMMERCIALI SCORRETTE NEI CONFRONTI DI H3G, TIM, VODAFONE E WIND 

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In data 13 gennaio 2015, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”) ha
irrogato sanzioni pari ad Euro 1.750.000,00, nei confronti di Telecom e H3G, e pari ad
Euro 800.000 nei confronti di Wind e Vodafone, per pratiche commerciali scorrette con
riferimento alla commercializzazione di servizi premium, forniti da società estranee al
rapporto negoziale fra utente e operatore. Tali servizi premium consistono in giochi e
video, accessibili durante la navigazione in mobilità mediante banner, pop up e landing
page, i cui costi vengono addebitati dagli operatori sul credito telefonico della sim, senza
che l’utente abbia fatto alcuna richiesta di attivazione dei servizi stessi.
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L’Autorità ha accertato che i quattro operatori hanno attuato delle pratiche commerciali
scorrette, che si articolano in due distinte condotte: la prima, di tipo omissivo, consiste
nell’aver taciuto la circostanza che i contratti di telefonia mobile pre-abilitano la sim alla
ricezione dei servizi premium, nonché in merito all’esistenza di un blocco selettivo, idoneo
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ad impedire tale ricezione, che può essere attivato mediante richiesta esplicita
all’operatore; la seconda, qualificata come aggressiva, consiste nell’adozione di una
procedura automatica di attivazione del servizio e di fatturazione dello stesso, in assenza
di un controllo sull’attendibilità delle richieste di attivazione, provenienti dai fornitori dei
suddetti servizi, e di un’autorizzazione al pagamento degli stessi da parte degli utenti.
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A tali comportamenti, si aggiunge un’ulteriore condotta, messa in atto da TIM e H3G,
consistente nella diffusione di messaggi che omettono informazioni rilevanti o che
determinano l’attivazione del servizio a sovrapprezzo, senza un’espressa manifestazione
di volontà da parte dell’utente.
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L’Autorità ha inoltre tenuto conto del fatto che i quattro operatori fossero consapevoli
dell’esistenza di addebiti relativi a servizi premium, non richiesti dai propri clienti mobili, e
che traessero un vantaggio economico dalla commercializzazione di tali servizi. L’AGCM
ha quindi giudicato tali pratiche come contrarie alla diligenza professionale e idonee a
falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore, vietandone
la continuazione e stabilendo che gli operatori, entro 60 giorni, comunichino le iniziative
assunte per ottemperare al provvedimento.
!
AGCM ACCOGLIE GLI IMPEGNI DI ITUNES, GOOGLE, AMAZON E GAMELOFT IN
MATERIA DI DIFFUSIONE DI APP APPARENTEMENTE GRATUITE 

!
Con provvedimento del 28 gennaio 2015 l’Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato (di seguito anche “AGCM”) ha accolto gli impegni presentati da iTunes, Google,
Amazon e Gameloft (di seguito anche le “Parti”) nell’ambito di un procedimento istruttorio
avviato nel 2014 per verificare la possibile ingannevolezza di pratiche commerciali
connesse alla realizzazione, pubblicazione e diffusione di un videogioco denominato
“Littlest Pet Shop” (di seguito anche “LPS”), concepito per essere scaricato ed utilizzato su
terminali mobili sotto forma di Applicazione (di seguito anche “App”).
!
In particolare, alle Parti venivano contestate le seguenti condotte: (i) la diffusione di
informazioni ingannevoli o non complete circa gli effettivi costi necessari per una completa
fruizione del gioco; (ii) l’omissione dell’indirizzo geografico del produttore del software e di
informazioni rilevanti circa l’esistenza o l’esclusione del diritto di recesso; (iii) la
presentazione in modo ambiguo delle informazioni relative alla presenza, all’interno del
gioco, di proposte di acquisto, nonché delle informazioni relative agli strumenti per limitare
in via preventiva la realizzazione degli acquisti proposti mediante l’utilizzo dello strumento
di pagamento associato al dispositivo o all’account del consumatore. Esclusivamente nei
confronti di Gameloft veniva, poi, contestata l’ulteriore condotta consistente
nell’inserimento, all’interno del gioco, di esortazioni rivolte ai bambini affinché questi
effettuassero acquisti o convincessero i genitori a farlo.
!
Alla luce di quanto sopra esposto, nel corso del procedimento le Parti hanno presentato
articolate proposte di impegni (accettate con il provvedimento in oggetto) ai sensi
dell’articolo 27, comma 7, del Codice del Consumo (D. Lgs. 206/2005, e successive
modifiche), elaborando i seguenti correttivi: a) la sostituzione di termini quali “gratis”, “free”
e simili con espressioni tali da rendere chiara ai consumatori la possibilità che un’App
scaricabile gratuitamente comporti la necessità di effettuare successivi pagamenti per una
sua piena utilizzazione; b) l’adozione di misure volte a consentire ai consumatori un più
© 2015 Portolano Cavallo Studio Legale
efficace e consapevole controllo sugli strumenti di pagamento associati al dispositivo o
all’account utilizzato per l’acquisto, in modo da neutralizzare il rischio di acquisti
indesiderati; c) l’adozione di accorgimenti volti a rendere più chiare ai consumatori le
modalità di impostazione del Parental Control per gli acquisti in-app; d) l’estensione
dell’implementazione degli impegni proposti a tutta l’area dell’Unione Europea.
!
NOTE COMPAGNIE DI VOLO NEL MIRINO DELL’AGCM: SANZIONI COMPLESSIVE
PARI AD EURO 800.000 

!
Di recente l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”) ha irrogato
sanzioni, complessivamente pari ad Euro 800.000, per pratiche commerciali scorrette
poste in essere da note compagnie di volo.
In particolare, con provvedimento del 13 gennaio 2015 AGCM ha irrogato una sanzione
amministrativa pecuniaria pari ad Euro 170.000 nei confronti di EasyJet, per pratiche
commerciali scorrette consistenti nella pubblicizzazione, attraverso il sito internet della
società, di un’offerta promozionale di voli aerei nazionali e internazionali a prezzi
particolarmente vantaggiosi, senza rendere evidente in maniera adeguata al consumatore
le effettive condizioni e limitazioni dell’offerta. Infatti: (i) le condizioni offerte sul sito internet
della compagnia per un volo di sola andata sarebbero risultate disponibili soltanto per un
viaggio effettuato da due passeggeri o per un viaggio andata e ritorno; e (ii) nel caso di
prenotazione singola la tariffa finale sarebbe risultata maggiore rispetto a quella
pubblicizzata.
!
Per ragioni analoghe a quelle sopra esposte è stata sanzionata (in questo caso, in misura
pari ad Euro 80.000) anche Air France. In particolare, con provvedimento dell’8 gennaio
2015, AGCM ha ritenuto scorrette le limitazioni previste dalla citata compagnia di volo in
caso di mancata utilizzazione, da parte dei consumatori, della prima tratta di un biglietto
andata e ritorno o con destinazioni multiple. In particolare, secondo AGCM sarebbe
contraria ai principi del Codice del Consumo la condotta consistente nell’annullare il
biglietto sequenziale di ritorno o, comunque, la richiesta di un supplemento di prezzo al
passeggero che intenda effettuare il volo di ritorno non avendo fruito della tratta di andata
(la cosiddetta “no show rule”). E ciò con specifico riferimento sia alle modalità di
informazione al momento dell'acquisto online circa l'esistenza di questa regola tariffaria,
sia riguardo alla mancata previsione di una specifica procedura che consenta di avvisare
la compagnia aerea, in un tempo ragionevole, di voler comunque effettuare il volo di
ritorno.
!
Più elevata risulta, poi, e precisamente pari ad Euro 550.000, la sanzione amministrativa
pecuniaria irrogata da AGCM, con provvedimento del 19 gennaio 2015, nei confronti di
Ryanair per pratiche commerciali scorrette in relazione alle modalità di assistenza fornite
ai passeggeri attraverso un servizio di call center raggiungibile esclusivamente tramite
numerazioni a sovrapprezzo. La suddetta sanzione è stata irrogata al termine di un
procedimento per pratiche commerciali scorrette avviato il 6 giugno 2014 a seguito di
numerose segnalazioni da parte di passeggeri e associazioni di consumatori che
lamentavano l’estrema difficoltà e onerosità nel mettersi in contatto con l’operatore per
esercitare specifiche prerogative contrattuali, quali, ad esempio: (a) la richiesta di
assistenza per l’imbarco di persone con ridotta mobilità; (b) la scelta di un volo sostitutivo
in caso di variazioni al piano di volo disposte dal vettore; (c) la modifica della prenotazione
effettuata prima del volo; (d) la richiesta di restituzione delle somme erroneamente
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addebitate al momento della prenotazione e di emissione della fattura commerciale per il
volo acquistato; (e) l’utilizzazione dei bonus di credito concessi dal vettore.
!
INVESTMENT COMPACT: VERSO L’INTRODUZIONE DI PMI INNOVATIVE E
ALLARGAMENTO DEL PATENT BOX 

!
Nel corso del Consiglio dei Ministri n. 45 del 20 gennaio 2015 è stato approvato il D.L.
3/2015 (c.d. Investment compact) contenente disposizioni urgenti per il sistema bancario e
per gli investimenti.
!
Si segnalano quali novità di particolare rilievo inserite nel decreto: (i) l’introduzione nel
nostro ordinamento della categoria delle “PMI innovative” e (ii) l’estensione
dell’ambito di applicazione del nuovo regime di patent box previsto dalla cd. Legge di
Stabilità 2015.
!
Per essere considerata “innovativa” una PMI deve essere non quotata in borsa, avere
bilancio certificato, e almeno due dei seguenti requisiti:
!
• spese in ricerca e sviluppo pari ad almeno il 3% del maggior valore tra fatturato e
costo della produzione;
• impiego di personale altamente qualificato in misura almeno pari a un quinto della
forza lavoro complessiva;
• essere detentrice, licenziataria o depositaria di un brevetto o software registrato alla
SIAE.
!
In presenza di tali condizioni una PMI avrà diritto alle agevolazioni riservate alle start up
innovative, ma non si applicheranno alla stessa le norme relative al diritto fallimentare e
nemmeno quelle in materia di contratti di lavoro.
!
Per quanto riguarda il secondo aspetto, il decreto prevede l’estensione del regime di
patent box a tutte le tipologie di marchi, inclusi quelli commerciali. In particolare, il
provvedimento rimuove la limitazione che allo stato attuale vede i marchi d’impresa
agevolati solo se funzionalmente equivalenti ai brevetti, estendendola pertanto a tutti i
marchi, inclusi quelli commerciali.
!
Se tale estensione deve essere sicuramente accolta con favore, vi sono tuttavia profili di
incertezza che caratterizzano la disposizione in esame, in attesa dell’emanazione del
decreto interministeriale cui la Legge di Stabilità 2015 demanda il compito di definire le
relative disposizioni attuative.
!
CORTE DI GIUSTIZIA: L’ESAURIMENTO DEL DIRITTO DI DISTRIBUZIONE NON
OPERA SE SI CAMBIA SUPPORTO MATERIALE

!
Con decisione del 22 gennaio 2015 in causa C-419/13 (Art & Allposters International BV)
la Corte di Giustizia dell’Unione europea è tornata ad occuparsi del principio di
esaurimento del diritto di distribuzione in una controversia che vedeva contrapposte una
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collecting society olandese e una società specializzata in riproduzioni su supporti quali
legno o altri materiali di opere degli artisti i cui diritti erano amministrati dalla società di
gestione collettiva dei diritti.
Secondo l’attrice il comportamento della società si poneva in violazione dei diritti autorali
dei propri associati in quanto quest’ultima non chiedeva alcuna autorizzazione per tali
riproduzioni. Vittoriosa in primo grado la società risultava sconfitta in grado di appello e
decideva così di proporre ricorso per cassazione.
Nell’ambito del giudizio in sede di legittimità i giudici olandesi chiedevano alla Corte di
Giustizia di chiarire se l’articolo 4 della Direttiva 2001/29, e in particolare il secondo
comma di tale disposizione che disciplina il principio di esaurimento del diritto di
distribuzione prevedendo che “Il diritto di distribuzione dell'originale o di copie dell'opera
non si esaurisce nella Comunità, tranne nel caso in cui la prima vendita o il primo altro
trasferimento di proprietà nella Comunità di detto oggetto sia effettuata dal titolare del
diritto o con il suo consenso”, operi o meno nel caso in cui l’opera in questione sia stata
riprodotta su un supporto diverso dall’originario.
La Corte, ripercorrendo la propria significativa giurisprudenza in materia, rileva come la
Direttiva 2001/29 riferendosi in più parti agli oggetti materiali che incorporano opere
protette ha inteso attribuire ai rispettivi titolari un pieno controllo tanto con riferimento alle
opere, quanto in relazione agli oggetti materiali che le incorporano. Tale impostazione
risulta, peraltro, confermata dai trattati internazionali in materia di protezione del diritto
d’autore di cui è parte l’Unione europea oltre che i propri Stati membri.
Sotto altro profilo la Corte osserva come la modifica dell’oggetto materiale che incorpora
l’opera deve far ritenere che la società convenuta svolgesse una nuova riproduzione della
stessa opera rispetto alla quale i rispettivi autori non avevano prestato alcun consenso.
Alla luce di quanto sopra la Corte di Giustizia ha stabilito che in ipotesi come quella
descritta nella causa principale il principio di esaurimento del diritto di distribuzione non
opera e, pertanto, è necessario ottenere una specifica autorizzazione da parte dei titolari
delle opere protette che si riproducono.
!
LA CORTE DI GIUSTIZIA SI PRONUNCIA SULLO SCREEN SCRAPING DI BANCHE
DATI ONLINE 

!
Con sentenza del 15 gennaio scorso la Corte di Giustizia dell’Unione europea, nella causa
C-30/14 (Ryanair Ltd vs. PR Aviation BV), ha reso una pronuncia relativa
all’interpretazione della Direttiva 96/9/CE sulla tutela giuridica delle banche dati in un caso
concernente il cd. screen scraping di siti web. Tale pratica consiste nell’estrazione
sistematica di dati contenuti su un sito web, attraverso l’uso di sistemi automatici o di
applicazioni software.
!
La controversia dalla quale ha avuto origine la decisione della Corte di Giustizia
concerneva l’estrazione di informazioni sui voli (partenze/arrivi, prezzi, orari, ecc.) dal sito
web di Ryanair da parte della società PR Aviation, che gestisce un sito sul quale i
consumatori possono ricercare informazioni relative ai voli di compagnie aeree low cost,
raffrontarne i prezzi e, pagando una commissione, prenotare un volo. L’accesso al sito
web di Ryanair presuppone che il visitatore del sito accetti, barrando un’apposita casella,
l’applicazione delle condizioni generali di utilizzo di tale sito, le quali vietano
espressamente pratiche di screen scraping senza l’autorizzazione di Ryanair.
!
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Secondo Ryanair la pratica in questione costituiva violazione del diritto d’autore sulla
propria banca dati online contenente informazioni relative ai voli nonché del cd. diritto sui
generis sulla medesima banca dati (quest’ultimo è il diritto riconosciuto dalla Direttiva
96/9/CE al “costitutore” di una banca di dati, ossia a chi abbia effettuato investimenti
rilevanti, sotto il profilo qualitativo o quantitativo, per il conseguimento, la verifica e la
presentazione di una banca dati). Inoltre, Ryanair riteneva che la condotta in questione
costituisse violazione delle condizioni generali di utilizzo del proprio sito.
!
Il Tribunale di Utrecht, prima, e la Corte d’Appello Amsterdam, poi, respingevano la
richiesta di Ryanair di ordinare a PR Aviation la cessazione delle condotte reputate illecite
e di disporre il risarcimento dei danni. In particolare, secondo la Corte d’Appello, lo screen
scraping effettuato da PR Aviation corrispondeva a un impiego normale del sito web di
Ryanair, da ritenersi lecito secondo quanto previsto dalle norme in materia di libere
utilizzazioni di cui alla Direttiva 96/9/CE (articoli 6 e 8), che prevedono diritti aventi natura
imperativa (e, dunque, non derogabili contrattualmente) in favore degli utenti legittimi di
una banca dati.
!
La Corte Suprema dei Paesi Bassi (Hoge Raad der Nederlanden), investita della
controversia, nutrendo dubbi circa l’applicazione delle disposizioni della Direttiva 96/9/CE
in materia di libere utilizzazioni rispetto a banche dati che non siano tutelate né dal diritto
d’autore né dal cd. diritto sui generis, sospendeva il procedimento principale e
sottoponeva alla Corte di Giustizia la seguente questione pregiudiziale:
!
“Se l’efficacia della direttiva [96/9] si estenda anche alle banche dati online che non sono
tutelate dal diritto d’autore, ai sensi del capitolo II [di tale] direttiva, e neppure da un diritto
sui generis, a norma del capitolo III [della medesima], nel senso che, anche per tale
motivo, la libertà di utilizzare siffatte banche dati in applicazione (eventualmente per
analogia) degli articoli 6, paragrafo 1, e 8, in combinato disposto con l’articolo 15 della
direttiva [96/9], non può essere contrattualmente limitata”.
!
Con la sentenza in questione (resa dalla Corte di Giustizia senza attendere le conclusioni
dell’Avvocato generale), la corte ha chiarito che la citata Direttiva deve essere interpretata
nel senso che essa non è applicabile a una banca dati non tutelata né dal diritto d’autore
né dal cd. diritto sui generis. Pertanto, le norme in materia di libere utilizzazioni previste
dalla Direttiva − ivi inclusa la previsione della nullità di pattuizioni volte a limitare o
escludere queste ultime − non ostano a che il creatore di una banca dati stabilisca
limitazioni contrattuali all’utilizzo della stessa da parte dei terzi (vietando, come nel caso
delle condizioni contrattuali di Ryanair, pratiche di screen scraping). Spetta al giudice del
rinvio verificare se la banca dati di Ryanair sia meritevole di protezione con il diritto
d’autore oppure con il diritto sui generis riconosciuto al costitutore della banca dati.
!
La pronuncia (da un punto di vista strettamente giuridico non particolarmente innovativa)
potrebbe avere un impatto rilevante sul modello di business e l’attività non soltanto di
agenzie di viaggi online interessate ad offrire al pubblico i voli di altre compagnie aeree
ma, più in generale, di comparatori di prezzi o simili operatori. Della questione si è
occupata anche la giurisprudenza italiana, con una pronuncia del 4 giugno 2013 del
Tribunale di Milano resa nel caso Viaggiare S.r.l. c. Ryanair Ltd (che abbiamo commentato
qui). In tale ultimo caso, (i) si è considerato lecito lo screen scraping della banca dati
online di Ryanair (ritenuta nel caso di specie meritevole di tutela con il diritto sui generis in
ragione degli investimenti effettuati dalla società) in quanto, secondo il tribunale, tale
attività non risultava idonea ad arrecare un pregiudizio ingiustificato agli investimenti di
quest’ultima, e (ii) si è stabilito che il rifiuto di Ryanair alle Online Travel Agencies di
© 2015 Portolano Cavallo Studio Legale
intermediare i propri voli costituiva abuso di posizione dominante, poiché impediva lo
sviluppo del mercato a valle dell’intermediazione dei voli della compagnia low cost a
danno dei consumatori.
!
CORTE DI GIUSTIZIA: I SISTEMI DI PRENOTAZIONE ELETTRONICA DEVONO
PRECISARE DALL’INIZIO IL PREZZO FINALE DEI VOLI 

!
Con sentenza del 15 gennaio 2015, relativa alla causa C-573/13, la Corte di Giustizia si è
pronunciata in merito al rinvio pregiudiziale formulato dalla Corte federale suprema
tedesca (Bundesgerichtshof) con riferimento al Regolamento (CE) n. 1008/2008 recante
norme comuni per la prestazione di servizi aerei nell’UE.
!
Nell’ambito del procedimento che ha dato origine alla pronuncia, l’Unione federale tedesca
delle centrali ed associazioni dei consumatori sostenevano che le modalità di
presentazione delle tariffe passeggeri nel sistema di prenotazione elettronica di Air Berlin,
vigente nel novembre 2008, non rispettavano i requisiti imposti dal diritto dell’Unione
relativamente alla trasparenza dei prezzi dei servizi aerei.
!
L’Air Berlin, soccombente nei primi due gradi di giudizio, ha quindi adito la Corte federale
suprema tedesca, la quale ha formulato dei quesiti pregiudiziali con riferimento all’articolo
23, paragrafo 1, del Regolamento: in particolare, relativamente alla trasparenza dei
prezzi, la Corte Federale ha chiesto se tale norma debba essere interpretata nel senso
che, nell’ambito di un sistema elettronico di prenotazione, il prezzo finale da pagare debba
essere indicato già alla prima esposizione dei prezzi relativi a servizi aerei e con
riferimento a tutti i collegamenti acquistabili.
!
In merito ai tali quesiti, la Corte di Giustizia ha chiarito che, nell’ambito di un sistema di
prenotazione elettronica, il prezzo da pagare deve essere precisato ad ogni indicazione
delle tariffe aeree, fin dalla prima visualizzazione. Ciò vale non solo per il servizio aereo
selezionato dal cliente ma anche per ogni servizio aereo di cui sia esposta la tariffa. Tale
interpretazione, coerente con la ratio e l’obiettivo della normativa dell’Unione, è volta a
garantire che i clienti possano operare un raffronto effettivo dei prezzi dei servizi aerei
praticati dai vari vettori.
!
La pronuncia della corte è disponibile cliccando qui.
!
" I numeri precedenti sono disponibili online sul sito.
" Se desideri iscriverti al servizio clicca qui.

!
© 2015 Portolano Cavallo Studio Legale

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  • 1. ! TESTO CONCLUSIVO DELL’INDAGINE CONOSCITIVA DI AGCOM IN VISTA DELLA REDAZIONE DI UN LIBRO BIANCO SULLA “TELEVISIONE 2.0 NELL’ERA DELLA CONVERGENZA”. ! In data 13 gennaio 2015, con delibera n. 19/15/CONS, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (“AGCOM”) ha approvato il testo conclusivo dell’indagine conoscitiva relativa alla redazione di un libro bianco sulla “Televisione 2.0 nell’era della convergenza”. ! Tale indagine conoscitiva era stata avviata da AGCOM con delibera n. 93/13/CONS del 6 febbraio 2013, con l’obiettivo di approfondire le tematiche relative agli aspetti complessivi dei nuovi servizi di televisione su protocollo IP nel settore delle comunicazioni elettroniche, e, in particolare, gli aspetti concernenti la struttura del mercato e la relativa catena del valore, i modelli di business, i possibili sviluppi della domanda e dell’offerta, le modalità di accesso alle piattaforme, le problematiche di interoperabilità tra piattaforme, la competizione tra le differenti piattaforme distributive, lo sviluppo in termini di concorrenza e pluralismo. ! Riportiamo di seguito i passaggi principali del documento redatto da AGCOM. ! Il tema della televisione connessa è suddivisibile in tre elementi principali: ! • aspetti distributivi e tecnologici (reti, standard tecnici per la fruizione di contenuti, terminali come smart TV o Internet enabled television, ma anche tablet e smartphone); • aspetti di mercato; • aspetti regolamentari (privacy e data protection, visibilità - prominence - e accessibilità dei contenuti, adeguatezza e limiti del quadro regolamentare esistente). ! Con riferimento al primo aspetto, si evidenzia che nel 2013 oltre il 30% dei televisori flat panel distribuiti in tutto il mondo apparteneva alla categoria delle smart TV, ovvero un apparecchio con funzioni che ne rendono possibile la connessione immediata (tramite collegamento wi-fi o ethernet) a una rete a banda larga oltre che a reti broadcasting tradizionali. Le smart TV si caratterizzano per un’interfaccia grafica che, pur modificabile dall’utente, mette sostanzialmente sullo stesso livello la fruizione di servizi online e del mondo broadcasting tradizionale;. diversamente ci si riferisce ad apparecchi c.d. “Internet enabled” quando le televisioni sono connesse a una rete a banda larga per tramite di un set top box esterno, dotato di collegamento ethernet o di una consolle di gioco (con wi-fi), presentando normalmente funzioni di navigazione in rete meno sofisticate. ! In termini di diffusione delle predette apparecchiature, dall’indagine in questione è emerso che il numero di coloro che ne possiedono una appare in crescita ed in Italia, nel 2013, ha © 2015 Portolano Cavallo Studio Legale
  • 2. raggiunto il 17% della popolazione. Valori analoghi, compresi tra il 16% e il 19%, si registrano per altri Paesi europei come Regno Unito, Germania e Spagna, mentre risulta inferiore (e pari al 12% della popolazione) la diffusione di smart TV in Francia e negli Stati Uniti. ! Per quanto riguarda le interfacce grafiche, l’Autorità osserva come i principali costruttori di apparati televisivi intendono stabilire un rapporto diretto con l’utente finale. Ciò secondo l’Autorità può essere considerato un esempio di come l’industria dell’elettronica di consumo tenti un processo di integrazione a monte che la porti a posizionarsi nel campo degli aggregatori (anche se di tipo “virtuale”). ! In materia di aspetti regolamentari relativi alla televisione connessa, l’Autorità si sofferma in particolare sul tema della prominence ossia, nella prospettiva della Commissione Europea, “dell’accessibilità ai contenuti in un tempo in cui cambiano i modi in cui le persone si relazionano all’informazione: grazie ai meccanismi di filtraggio, in particolare la personalizzazione dei risultati di ricerca, è più probabile che gli utenti ricevano notizie nei settori di loro interesse e da una prospettiva che condividono. Da un lato, tali meccanismi di personalizzazione e filtraggio hanno un evidente potenziale di affermazione e coinvolgimento dei cittadini, perché permettono loro di destreggiarsi nel mare magnum di informazioni che caratterizza il mondo digitale e di ricevere servizi su misura che corrispondono alle loro esigenze personali; dall’altro, potrebbe risultarne indebolito il ruolo dei media in quanto editori nella sfera pubblica e rafforzato invece il ruolo dei fornitori di piattaforme, ad es. delle imprese del web. Queste ultime potrebbero non solo stabilire quali contenuti siano accessibili, ma anche interferire sulle scelte, per es. dando maggiore o minore rilievo ai contenuti che presentano, limitando la possibilità per l’utente di cambiare le impostazioni del menu o restringendo determinate applicazioni.”. ! Per quanto riguarda le tematiche in materia di privacy e vulnerabilità delle smart TV, l’Autorità rileva che, con la penetrazione dei modelli più recenti di smart TV nel mercato, si sono posti nuovi problemi che afferiscono alla riservatezza, alla protezione dei dati e alla sicurezza informatica, tenendo conto in particolare dei rischi, di break-in, di accesso illegittimo ai dati personali e di attivazione surrettizia della telecamera. In proposito, si richiama il caso di un esperto informatico del Regno Unito, che ha rivelato pubblicamente come la sua televisione raccogliesse – anche quando la funzione di raccolta dati risultava formalmente disabilitata – un elevato numero di informazioni, come ad esempio lo zapping, i dati relativi alle preferenze del telespettatore per inviarli in chiaro ai server della casa madre in Corea del Sud. ! Con riferimento a quest’ultimo aspetto l’Autorità cita anche l’orientamento del Garante per la protezione dei dati personali che già nel 2005 ha adottato un provvedimento di carattere generale avente ad oggetto le misure necessarie ed opportune per il trattamento dei dati personali raccolti attraverso la cosiddetta “Tv interattiva”, ovvero dotata di un “canale di ritorno”. ! L’Autorità, facendo riferimento alle principali indicazioni evidenziate dagli stakeholder nel corso dell’indagine, osserva che: ! • la catena del valore è molto articolata, andando da costruttori di hardware (televisori, decoder e chip integrati nei televisori, ma anche tablet e smartphone); produttori di software (firmware e layer superiori per la gestione dei metadati utilizzati nei televisori smart e l’organizzazione della fruibilità dei contenuti); produttori di contenuti; distributori tradizionali (broadcaster) e innovativi (over-the- © 2015 Portolano Cavallo Studio Legale
  • 3. top, che come Netflix diventano anche produttori di contenuti); investitori pubblicitari; media agencies; utenti finali; ! • i primi quattro livelli della catena mostrano elevati livelli di concentrazione e una presenza preponderante di grandi attori multinazionali, attivi su scala globale; ! • attualmente il principale utilizzo della TV rimane quello della visione di contenuti trasmessi attraverso i canali tradizionali (digitale terrestre, satellitare) e l’utilizzo del televisore per usi quali giochi online o la navigazione su Internet, mentre la possibilità di scaricare applicazioni resta marginale. ! Le conclusioni dell’Autorità con riferimento all’indagine conoscitiva in questione riguardano due punti fondamentali: (i) la verifica della coerenza della regolamentazione esistente (europea e nazionale) con le dinamiche di un mercato che cambia incessantemente e (ii) la necessità di esplorare tendenze e innovazioni tecnologiche e capire come gestirle da un punto di vista regolamentare. ! Per quanto riguarda il primo punto, l’Autorità evidenzia come l’aspetto più importante riguardi le asimmetrie normative tra operatori televisivi e servizi Internet. In particolare è stato rilevato che il passaggio alla televisione connessa segna un’evoluzione tale da mettere in dubbio, per sua natura, alcune decisioni essenziali prese nel quadro della regolamentazione del settore. Conseguentemente nasce la necessità di intervenire su processi e su attori economici che operano su scale differenti, che spesso sfuggono a ogni possibile delimitazione geografica, che operano trasversalmente ai diversi comparti e che nella loro attività attraversano campi giuridici e normativi separati. ! Con riferimento al secondo punto l’Autorità sottolinea che lo sviluppo di interfacce proprietarie da parte dei costruttori, che guidano l’utente verso una selezione di contenuti organizzati sulla base di metadati, richiede il monitoraggio, almeno in ipotesi, di alcuni problemi potenziali: ! • a livello di middle-ware (es MHP o Hbbtv), la preoccupazione che l’utente sia confinato in un walled-garden teso a limitarne artatamente le scelte; ! • a livello di interfaccia d’utente, che siano introdotte nel mercato unico versioni diverse di tali interfacce; ! • che le guide d’utente, realizzate in modo da utilizzare i metadati presenti nei programmi e consentire una personalizzazione più o meno spinta dei contenuti, limitino automaticamente o di default le impostazioni utili ai broadcaster. ! Infine con riferimento alle criticità relative alla visibilità dei contenuti (prominence) ed alla non discriminazione, l’Autorità sottolinea che: (A) occorre sviluppare il concetto di piattaforma in modo che si adatti alla pluralità di forme esistenti; (B) occorre far sì che la visibilità dei contenuti non sia limitata o guidata artificialmente da algoritmi che rispondono principalmente agli interessi degli inserzionisti disposti a pagare per influenzare le risposte dei motori di ricerca, quando questi vengano utilizzati al posto delle guide alla programmazione o contestualmente ad esse. ! © 2015 Portolano Cavallo Studio Legale
  • 4. REPORT DELL’ADVISORY COUNCIL DI GOOGLE SUL RIGHT TO BE FORGOTTEN. ! Lo scorso 6 febbraio Google ha pubblicato il Report dell’Advisory Council on the Right to be Forgotten (di seguito, anche “Advisory Council”) che riassume i risultati dei primi mesi di lavoro del comitato indipendente incaricato, all’indomani della sentenza della Corte di Giustizia nel caso Google Spain, di individuarne le modalità di implementazione (in relazione alla sentenza in questione, si veda la nostra newsletter di giugno 2014 e di dicembre 2014). Il Report rende conto delle riflessioni maturate all’esito di un processo di consultazione che ha visto l’Advisory Council confrontarsi con esperti di diversi paesi in occasione di una serie di incontri pubblici tenutisi in Europa. ! Il Report esordisce offrendo una lettura della sentenza Google Spain al netto di possibili approssimazioni terminologiche. Non si tratta, infatti, ad avviso dell’Advisory Council, di una decisione che riconosce un generale diritto all’oblio e la cui attuazione si risolve nella rimozione delle informazioni relative all’interessato. Al contrario, precisa l’Advisory Council, la sentenza impone a Google di eliminare i risultati di ricerca generati dall’associazione del nome dell’interessato quando si tratti di risultati “inappropriati, irrilevanti o non più rilevanti o eccedenti”. Tuttavia, sottolinea il Report, non sussiste un obbligo di rimozione in presenza di un interesse pubblico predominante, per esempio alla luce del ruolo dell’interessato nella dimensione pubblica. ! Queste considerazioni servono all’Advisory Council anche per ricordare che la deindicizzazione è cosa diversa dalla rimozione di una notizia dal sito sorgente: infatti, una volta eliminato un collegamento dai risultati di ricerca, una notizia rimane senz’altro disponibile sul sito di provenienza, poiché i criteri che potrebbero giustificare un’eliminazione dalla sorgente sono differenti (anche alla luce delle implicazioni per la tutela della libertà di espressione) da quelli che invece devono guidare il motore di ricerca nel valutare le istanze di deindicizzazione. Proprio l’individuazione dei criteri in base ai quali valutare le richieste di delisting avanzate dagli utenti costituisce il principale e più importante frutto degli sforzi dell’Advisory Council. ! Al riguardo, il Report individua quattro criteri, nessuno dei quali di per sé decisivo: (i) il ruolo dell’interessato nella vita pubblica; (ii) la tipologia di informazione; (iii) la fonte dell’informazione e (iv) il tempo. ! (i.) Il ruolo dell’interessato nella vita pubblica In primo luogo, l’Advisory Council attribuisce rilievo al ruolo che l’interessato riveste nel contesto pubblico come variabile da considerare nel bilanciamento con il diritto alla protezione dei dati personali. Secondo il Report, l’interessato può rientrare in una delle seguenti categorie, a seconda della sua posizione nella dimensione pubblica: a. soggetti con un chiaro ruolo nella dimensione pubblica (per esempio: esponenti del mondo economico e politico, celebrità, artisti, leader religiosi): in questo caso, secondo l’Advisory Council, maggiore è la rilevanza pubblica, minore sarà la possibilità che una richiesta di deindicizzazione sia accolta, alla luce del predominante interesse pubblico alla ricerca di informazioni; b. soggetti privi di un ruolo apprezzabile nella vita pubblica: in questo caso, le richieste di deindicizzazione dovrebbero trovare più facilmente accoglimento; c. soggetti con un ruolo pubblico limitato o circoscritto a un ambito specifico (per esempio: alcune tipologie di funzionari pubblici, personaggi che rivestono un ruolo pubblico in ragione di particolari responsabilità o attività professionali): in questo © 2015 Portolano Cavallo Studio Legale
  • 5. caso, non è possibile individuare una maggiore o una minore probabilità di rimozione, dal momento che l’informazione oggetto di indicizzazione riveste un peso maggiore rispetto alla scelta di deindicizzare o meno un contenuto. ! (ii.) La tipologia di informazione Il secondo criterio indicato dal Report corrisponde alla qualità dell’informazione. In base a questo indice, l’Advisory Council ha enucleato una distinzione fra due categorie: le notizie in cui appare prevalente una forte aspettativa di riservatezza e le notizie di predominante interesse pubblico. Nel primo ambito rientrano: (a) le informazioni relative alla vita intima o sessuale dell’interessato o alla sua situazione economica e finanziaria; (b) le informazioni di contatto e le credenziali di identificazione (indirizzo, numero di telefono, codici PIN, password); (c) le informazioni relative a dati sensibili ai sensi dalla Direttiva 95/46/CE sulla protezione dei dati personali; (d) le informazioni private relative a minori; (e) le notizie non veritiere, che propongono associazioni non esatte o espongono a nocumento l’interessato; (f) le informazioni riguardanti la presenza in immagini o filmati che rappresentano interessato. Rispetto a questo insieme di informazioni, l’interesse alla riservatezza si presume prevalente, anche se l’esistenza di un interesse pubblico (da valutarsi anche in base al criterio sub. (i.) sopra indicato) potrebbe giustificare un’eccezione a questo principio. Nella seconda categoria, di contro, rientrano tutte le informazioni che normalmente rivestono un interesse pubblico: si tratta delle informazioni relative al dibattito politico, relative a tematiche religiose o filosofiche, delle informazioni che si riferiscono alla salute pubblica e alla protezione dei consumatori o ad attività criminali, delle notizie che contribuiscono al dibattito su temi di interesse generale, di notizie che siano veritiere e relative a fatti, di notizie che presentano un interesse storico, nonché di informazioni relative a ricerche scientifiche o a forme di espressione artistica. ! (iii.) La fonte In terzo luogo, nel verificare la sussistenza di un interesse pubblico occorre considerare la fonte dell’informazione e le finalità per le quali è trattata. Un rilevante interesse pubblico, per esempio, si presume alla base delle notizie diffuse nell’esercizio dell’attività giornalistica, o comunque dell’attività di blog e siti di informazione di consolidata autorevolezza. ! (iv.) Il tempo Ultimo ma non meno importante criterio è il fattore temporale. La stessa decisione Google Spain, infatti, precisa che talvolta è proprio l’evolversi delle circostanze di fatto a modificare la rilevanza di una notizia. Il fattore temporale, secondo l’Advisory Council, riveste particolare importanza nei casi in cui il ruolo dell’interessato rispetto alla dimensione pubblica sia limitato o sia mutato nel corso del tempo. Al contrario, vi sono categorie di informazioni per le quali la rilevanza del fattore temporale è assai più limitata (per esempio, le notizie relative a fatti di straordinario interesse pubblico, come crimini contro l’umanità). Merita di essere segnalata l’attenzione che il Report dedica in proposito alle vicende penali. A seconda delle circostanze, il fattore temporale potrà favorire (si pensi alla notizia di un reato bagatellare commesso molti anni addietro) o all’opposto disincentivare (si pensi a reati commessi in passato da personalità che vengano successivamente a rivestire cariche pubbliche) la rimozione. ! Dopo aver definito i criteri per la valutazione delle richieste di deindicizzazione, il Report si sofferma anche su alcuni aspetti procedurali. ! © 2015 Portolano Cavallo Studio Legale
  • 6. In primo luogo, si raccomanda che nel formulare le istanze di delisting l’interessato fornisca tutte le informazioni necessarie affinché il motore di ricerca possa effettuare il bilanciamento tra riservatezza e interesse pubblico. In particolare, l’utente dovrà indicare tutti gli elementi utili a contestualizzare le informazioni cui si riferisce la richiesta di deindicizzazione (per esempio, l’area geografica entro la quale l’interessato è conosciuto pubblicamente, il suo ruolo). ! In secondo luogo, il Report affronta il delicato rapporto tra i gestori del sito-fonte e il processo di deindicizzazione. L’Advisory Council raccomanda in proposito che il motore di ricerca comunichi, come “good practice”, la rimozione al sito web nella misura in cui la legge applicabile lo permette. Il terzo aspetto procedurale riguarda il sindacato circa la decisione di deindicizzare o meno un contenuto. Al riguardo, il Report raccomanda che non solo gli interessati, ma anche i gestori dei siti sorgente possano avere accesso alle Autorità di protezione dei dati personali o alla giurisdizione ordinaria per sindacare le determinazioni assunte dai motori di ricerca. ! Non meno delicato è il quarto punto, inerente all’ambito territoriale del delisting. Il Report, preso atto che ogni motore di ricerca può gestire una versione diversa in paesi differenti (e sotto top-level-domain diversi), propone di circoscrivere allo scenario europeo l’attività di deindicizzazione. Estendere questo meccanismo ai motori di ricerca utilizzati da utenti stabiliti al di fuori dall’Europa, infatti, significherebbe imporre la prevalenza dell’interesse alla rimozione in modo assoluto. Al contrario, secondo l’Advisory Council, circoscrivere la deindicizzazione, nel contesto europeo, alle versioni nazionali di un motore di ricerca costituisce senz’altro una misura proporzionata e che assicura una tutela efficace. ! Da ultimo, il Report affronta il tema della trasparenza. Al riguardo, l’Advisory Council detta raccomandazioni in particolare sulla necessità di motivare le decisioni adottate sulle richieste di deindicizzazione, esplicitando altresì i criteri su cui esse si sono fondate. ! AGCOM AVVIA CONSULTAZIONE SU ASSEGNAZIONE FREQUENZE BANDA L 
 ! Con delibera 18/15/CONS del 13 gennaio 2015 l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha avviato una consultazione pubblica in vista dell’adozione di un piano per l’assegnazione delle risorse frequenziali 1452-1492 MHZ prevista dall’articolo 1 comma 144 della c.d. Legge di Stabilità 2015 (Legge 23 dicembre 2014, n. 190). Secondo la disposizione citata: “Entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni avvia le procedure per l'assegnazione di diritti d'uso di frequenze radioelettriche da destinare a servizi di comunicazione elettronica mobili per applicazioni del tipo Supplemental Down Link (SDL) con l'utilizzo della banda 1452-1492 MHz, conformemente a quanto previsto dal codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1º agosto 2003, n. 259. L'Autorità emana l'eventuale regolamento di gara entro il 15 marzo 2015. Il Ministero dello sviluppo economico avvia le procedure selettive per l'assegnazione delle frequenze di cui al presente comma entro i successivi trenta giorni e le conclude entro il 31 ottobre 2015. La liberazione delle frequenze di cui al presente comma per la loro destinazione ai servizi di comunicazione elettronica mobili per applicazioni del tipo SDL deve avere luogo entro il 30 giugno 2015”. © 2015 Portolano Cavallo Studio Legale ! BREVISSIME
  • 7. Le risorse frequenziali della c.d. Banda L sono destinate a servizi di comunicazione elettronica mobili per applicazioni del tipo Supplemental Down Link (SDL). Tali applicazioni consentono di aggiungere banda alle comunicazioni mobili permettendo agli operatori di offrire ai consumatori la possibilità di accedere più rapidamente e con prestazioni più performanti a contenuti presenti in rete. Qui si trovano tutte le informazioni per partecipare alla consultazione che è aperta fino all’11 marzo 2015.   ! AGCOM: INDAGINE CONOSCITIVA SUL SETTORE DELLA PRODUZIONE AUDIOVISIVA E CONSULTAZIONE PUBBLICA SULLO SCHEMA DI TESTO C O O R D I N ATO D E I R E G O L A M E N T I I N M AT E R I A D I O B B L I G H I D I PROGRAMMAZIONE ED INVESTIMENTO A FAVORE DI OPERE EUROPEE E DI OPERE DI PRODUTTORI INDIPENDENTI 
 ! In data 13 gennaio 2015, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (“AGCOM”) con le delibere n. 20/15/CONS e n. 21/15/CONS rispettivamente (i) ha avviato un’indagine conoscitiva sul settore della produzione audiovisiva, che avrà una durata di 90 giorni a partire dalla pubblicazione della delibera in questione sul sito web dell’Autorità (avvenuta il 5 febbraio 2015), e (ii) ha lanciato una consultazione pubblica sullo “Schema di Testo coordinato dei regolamenti in materia di obblighi di programmazione ed investimento a favore di opere europee e di opere di produttori indipendenti” di cui all’Allegato A alla medesima delibera, stabilendo che le comunicazioni di risposta alla consultazione dovranno pervenire alla stessa Autorità entro 45 giorni dalla pubblicazione della delibera sul sito web dell’Autorità (anch’essa avvenuta il 5 febbraio 2015). ! Per quanto riguarda la prima delibera (disponibile cliccando qui), l’Autorità, in ragione delle funzioni di regolamentazione e verifica della promozione della produzione audiovisiva europea, prende atto della necessità di procedere ad una ricognizione delle condizioni strutturali del settore della produzione audiovisiva. ! Gli obiettivi principali che AGCOM si propone di realizzare attraverso l’indagine in questione sono: ! • favorire un incontro più efficiente tra la struttura della domanda e quella dell’offerta nel settore della produzione audiovisiva; • fornire delle linee di indirizzo su cui impostare la futura attività della stessa Autorità in materia di quote europee; • valutare l’adeguatezza e la coerenza dell’attuale assetto normativo e regolamentare di riferimento. ! In merito alla seconda delibera relativa alle quote europee (disponibile cliccando qui), l’Autorità, prendendo atto delle esigenze di revisione di talune procedure quali, in particolare, quelle relative alla valutazione delle istanze di deroga agli obblighi previsti dalla legge in siffatta materia, ritiene di dover sottoporre a consultazione pubblica il testo coordinato dei regolamenti in materia di obblighi di programmazione ed investimento a favore di opere europee e di opere di produttori indipendenti. Ciò al fine di consentire la più ampia partecipazione al relativo procedimento e di rendere le predette procedure maggiormente confacenti alle dinamiche di mercato sottostanti alle istanze di deroga. ! © 2015 Portolano Cavallo Studio Legale
  • 8. RESPONSABILITÀ DEI PROVIDER: NUOVO TASSELLO NELLA GIURISPRUDENZA ITALIANA 
 ! Con decisione del 10 luglio 2014 depositata il 7 gennaio 2015 la Corte di Appello di Milano, riformando la sentenza di primo grado, si è pronunciata su una controversia che vedeva contrapposte RTI e Yahoo in materia di responsabilità degli Internet Service Providers. La vicenda sostanziale è simile ad altre che, anche in tempi recenti, hanno visto impegnate le corte nazionali e comunitarie sul tema: la pubblicazione da parte di utenti di una piattaforma video di contenuti coperti dal diritto d’autore senza l’autorizzazione del relativo titolare/licenziatario (in questo caso RTI). La decisione appare di particolare interesse almeno sotto due profili: 1) da un lato, offre spunti di riflessione nell’ottica di un superamento della distinzione operata da talune sentenze nazionali tra hosting provider “attivo” e hosting provider “passivo”; 2) dall’altro conferma la tendenza delle corti italiane a ritenere, in linea con le istanze comunitarie, sufficiente a far insorgere un obbligo di rimozione dei contenuti in capo al provider l’invio di una diffida dettagliata da parte dell’avente diritto. Sotto il primo profilo considerato la Corte di Appello, dopo un’ampia ricognizione della normativa nonché della giurisprudenza in materia di ruolo e responsabilità dei providers, rileva come in relazione al servizio offerto dal provider la sussistenza di fattori quali: 1) l’adozione di un motore di ricerca interno per la localizzazione dei contenuti presenti sul servizio; 2) l’adozione di svariate modalità di gestione tecnica del servizio; e 3) la sussistenza di un interesse del provider a conseguire vantaggi economici – non è idonea a far inferire la natura “attiva” del provider e, dunque, la piena responsabilità dello stesso per i contenuti caricati dai propri utenti sul servizio esercito. Secondo la Corte si deve parlare di provider “evoluto” anche alla luce della costante innovazione dei servizi in parola che, in quanto tale, non può non avvalersi della limitazione di responsabilità prevista dalla direttiva e dal decreto nazionale sui servizi della società dell’informazione. Sotto il secondo profilo la Corte di Appello, superando il disposto del decreto e-commerce ma in linea con quanto previsto dalla direttiva europea, chiarisce, ponendosi in linea di continuità con altre decisioni emesse da giudici italiani, come l’invio di una diffida stragiudiziale che in maniera dettagliata dia conto della titolarità dei diritti di autore, nonché degli URL delle pagine ove risultano localizzati i contenuti presuntivamente illeciti è di per se’ sufficiente per far sorgere in capo al provider un obbligo di rimozione dei suddetti contenuti. Per un’analisi più approfondita della rilevante decisione si rimanda a un contributo pubblicato su Medialaws e al commento del Prof. Oreste Pollicino e del collega Marco Bassini pubblicato su Diritto24. ! CLAIM NUTRIZIONALI: AGCM SANZIONA PER OLTRE UN MILIONE DI EURO QUATTRO AZIENDE DEL SETTORE ALIMENTARE PER PUBBLICITÀ INGANNEVOLE 
 ! Con provvedimenti pubblicati in data 17 febbraio 2015, su segnalazioni di privati e dell’Unione nazionale consumatori, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”) ha sanzionato quattro grandi aziende del settore alimentare, produttrici di patatine fritte in busta, per pratiche commerciali scorrette, consistenti nella diffusione, © 2015 Portolano Cavallo Studio Legale
  • 9. tramite vari canali e attraverso diciture e immagini suggestive, messaggi pubblicitari contenenti specifiche indicazioni di tipo nutrizionale o salutistico, o in merito alla composizione e agli ingredienti o alle modalità di trasformazione o cottura, rivelatesi poi ingannevoli. ! In particolare, AGCM ha ritenuto ingannevole e contrastante con le prescrizioni comunitarie in materia i claim nutrizionali di tipo comparativo aventi ad oggetto la dichiarazione enfatica, effettuata dalle aziende in questione, circa il ridotto contenuto di grassi dei loro prodotti, in quanto la percentuale di riduzione vantata era inferiore a quella consentita oppure non adeguatamente accostata con la medesima evidenza grafica allo specifico termine di raffronto utilizzato. Tali claims erano pertanto idonei a fuorviare i consumatori da scelte commerciali consapevoli, ingenerando confusione circa l’effettiva portata nutrizionale dei prodotti. ! In secondo luogo, è stata considerata ingannevole l’attribuzione ai prodotti della caratteristica di “artigianalità” (ad esempio, patate “cotte a mano”) operata da tre delle aziende interessate, stante la natura industriale e seriale della produzione e l’adozione di processi, ancorché specifici e distinti, ma comunque standardizzati in vista di una distribuzione assai ampia del prodotto. Secondo AGCM, poi, due aziende (San Carlo e Amica Chips) hanno posto in essere pratiche commerciali omissive o ingannevoli in quanto ingeneranti nel consumatore l’erronea convinzione che determinati prodotti fossero nettamente diversi dal prodotto base o dalla variante aromatizzata. Infine, l’azienda Ica Foods è stata ritenuta responsabile di aver attribuito al proprio prodotto “Crik Crok & Blue” proprietà salutistiche ancora controverse nella comunità scientifica e comunque non autorizzate dalla Commissione europea. ! L’AGCM ha perciò irrogato sanzioni amministrative pecuniarie rispettivamente pari a: 350.000 Euro per il gruppo “San Carlo”; 300.000 Euro ad “Amica chips”; 250.000 Euro a “Pata” e 150.000 Euro a “Ica Foods”. In aggiunta, l’Autorità ha imposto il divieto di continuare o diffondere la pratica commerciale considerata scorretta e ingannevole. ! I provvedimenti in oggetto sono disponibili cliccando qui. ! AGCM SUI “SERVIZI PREMIUM” A SOVRAPPREZZO: SANZIONI PER PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE NEI CONFRONTI DI H3G, TIM, VODAFONE E WIND 
 ! In data 13 gennaio 2015, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”) ha irrogato sanzioni pari ad Euro 1.750.000,00, nei confronti di Telecom e H3G, e pari ad Euro 800.000 nei confronti di Wind e Vodafone, per pratiche commerciali scorrette con riferimento alla commercializzazione di servizi premium, forniti da società estranee al rapporto negoziale fra utente e operatore. Tali servizi premium consistono in giochi e video, accessibili durante la navigazione in mobilità mediante banner, pop up e landing page, i cui costi vengono addebitati dagli operatori sul credito telefonico della sim, senza che l’utente abbia fatto alcuna richiesta di attivazione dei servizi stessi. ! L’Autorità ha accertato che i quattro operatori hanno attuato delle pratiche commerciali scorrette, che si articolano in due distinte condotte: la prima, di tipo omissivo, consiste nell’aver taciuto la circostanza che i contratti di telefonia mobile pre-abilitano la sim alla ricezione dei servizi premium, nonché in merito all’esistenza di un blocco selettivo, idoneo © 2015 Portolano Cavallo Studio Legale
  • 10. ad impedire tale ricezione, che può essere attivato mediante richiesta esplicita all’operatore; la seconda, qualificata come aggressiva, consiste nell’adozione di una procedura automatica di attivazione del servizio e di fatturazione dello stesso, in assenza di un controllo sull’attendibilità delle richieste di attivazione, provenienti dai fornitori dei suddetti servizi, e di un’autorizzazione al pagamento degli stessi da parte degli utenti. ! A tali comportamenti, si aggiunge un’ulteriore condotta, messa in atto da TIM e H3G, consistente nella diffusione di messaggi che omettono informazioni rilevanti o che determinano l’attivazione del servizio a sovrapprezzo, senza un’espressa manifestazione di volontà da parte dell’utente. ! L’Autorità ha inoltre tenuto conto del fatto che i quattro operatori fossero consapevoli dell’esistenza di addebiti relativi a servizi premium, non richiesti dai propri clienti mobili, e che traessero un vantaggio economico dalla commercializzazione di tali servizi. L’AGCM ha quindi giudicato tali pratiche come contrarie alla diligenza professionale e idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore, vietandone la continuazione e stabilendo che gli operatori, entro 60 giorni, comunichino le iniziative assunte per ottemperare al provvedimento. ! AGCM ACCOGLIE GLI IMPEGNI DI ITUNES, GOOGLE, AMAZON E GAMELOFT IN MATERIA DI DIFFUSIONE DI APP APPARENTEMENTE GRATUITE 
 ! Con provvedimento del 28 gennaio 2015 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito anche “AGCM”) ha accolto gli impegni presentati da iTunes, Google, Amazon e Gameloft (di seguito anche le “Parti”) nell’ambito di un procedimento istruttorio avviato nel 2014 per verificare la possibile ingannevolezza di pratiche commerciali connesse alla realizzazione, pubblicazione e diffusione di un videogioco denominato “Littlest Pet Shop” (di seguito anche “LPS”), concepito per essere scaricato ed utilizzato su terminali mobili sotto forma di Applicazione (di seguito anche “App”). ! In particolare, alle Parti venivano contestate le seguenti condotte: (i) la diffusione di informazioni ingannevoli o non complete circa gli effettivi costi necessari per una completa fruizione del gioco; (ii) l’omissione dell’indirizzo geografico del produttore del software e di informazioni rilevanti circa l’esistenza o l’esclusione del diritto di recesso; (iii) la presentazione in modo ambiguo delle informazioni relative alla presenza, all’interno del gioco, di proposte di acquisto, nonché delle informazioni relative agli strumenti per limitare in via preventiva la realizzazione degli acquisti proposti mediante l’utilizzo dello strumento di pagamento associato al dispositivo o all’account del consumatore. Esclusivamente nei confronti di Gameloft veniva, poi, contestata l’ulteriore condotta consistente nell’inserimento, all’interno del gioco, di esortazioni rivolte ai bambini affinché questi effettuassero acquisti o convincessero i genitori a farlo. ! Alla luce di quanto sopra esposto, nel corso del procedimento le Parti hanno presentato articolate proposte di impegni (accettate con il provvedimento in oggetto) ai sensi dell’articolo 27, comma 7, del Codice del Consumo (D. Lgs. 206/2005, e successive modifiche), elaborando i seguenti correttivi: a) la sostituzione di termini quali “gratis”, “free” e simili con espressioni tali da rendere chiara ai consumatori la possibilità che un’App scaricabile gratuitamente comporti la necessità di effettuare successivi pagamenti per una sua piena utilizzazione; b) l’adozione di misure volte a consentire ai consumatori un più © 2015 Portolano Cavallo Studio Legale
  • 11. efficace e consapevole controllo sugli strumenti di pagamento associati al dispositivo o all’account utilizzato per l’acquisto, in modo da neutralizzare il rischio di acquisti indesiderati; c) l’adozione di accorgimenti volti a rendere più chiare ai consumatori le modalità di impostazione del Parental Control per gli acquisti in-app; d) l’estensione dell’implementazione degli impegni proposti a tutta l’area dell’Unione Europea. ! NOTE COMPAGNIE DI VOLO NEL MIRINO DELL’AGCM: SANZIONI COMPLESSIVE PARI AD EURO 800.000 
 ! Di recente l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”) ha irrogato sanzioni, complessivamente pari ad Euro 800.000, per pratiche commerciali scorrette poste in essere da note compagnie di volo. In particolare, con provvedimento del 13 gennaio 2015 AGCM ha irrogato una sanzione amministrativa pecuniaria pari ad Euro 170.000 nei confronti di EasyJet, per pratiche commerciali scorrette consistenti nella pubblicizzazione, attraverso il sito internet della società, di un’offerta promozionale di voli aerei nazionali e internazionali a prezzi particolarmente vantaggiosi, senza rendere evidente in maniera adeguata al consumatore le effettive condizioni e limitazioni dell’offerta. Infatti: (i) le condizioni offerte sul sito internet della compagnia per un volo di sola andata sarebbero risultate disponibili soltanto per un viaggio effettuato da due passeggeri o per un viaggio andata e ritorno; e (ii) nel caso di prenotazione singola la tariffa finale sarebbe risultata maggiore rispetto a quella pubblicizzata. ! Per ragioni analoghe a quelle sopra esposte è stata sanzionata (in questo caso, in misura pari ad Euro 80.000) anche Air France. In particolare, con provvedimento dell’8 gennaio 2015, AGCM ha ritenuto scorrette le limitazioni previste dalla citata compagnia di volo in caso di mancata utilizzazione, da parte dei consumatori, della prima tratta di un biglietto andata e ritorno o con destinazioni multiple. In particolare, secondo AGCM sarebbe contraria ai principi del Codice del Consumo la condotta consistente nell’annullare il biglietto sequenziale di ritorno o, comunque, la richiesta di un supplemento di prezzo al passeggero che intenda effettuare il volo di ritorno non avendo fruito della tratta di andata (la cosiddetta “no show rule”). E ciò con specifico riferimento sia alle modalità di informazione al momento dell'acquisto online circa l'esistenza di questa regola tariffaria, sia riguardo alla mancata previsione di una specifica procedura che consenta di avvisare la compagnia aerea, in un tempo ragionevole, di voler comunque effettuare il volo di ritorno. ! Più elevata risulta, poi, e precisamente pari ad Euro 550.000, la sanzione amministrativa pecuniaria irrogata da AGCM, con provvedimento del 19 gennaio 2015, nei confronti di Ryanair per pratiche commerciali scorrette in relazione alle modalità di assistenza fornite ai passeggeri attraverso un servizio di call center raggiungibile esclusivamente tramite numerazioni a sovrapprezzo. La suddetta sanzione è stata irrogata al termine di un procedimento per pratiche commerciali scorrette avviato il 6 giugno 2014 a seguito di numerose segnalazioni da parte di passeggeri e associazioni di consumatori che lamentavano l’estrema difficoltà e onerosità nel mettersi in contatto con l’operatore per esercitare specifiche prerogative contrattuali, quali, ad esempio: (a) la richiesta di assistenza per l’imbarco di persone con ridotta mobilità; (b) la scelta di un volo sostitutivo in caso di variazioni al piano di volo disposte dal vettore; (c) la modifica della prenotazione effettuata prima del volo; (d) la richiesta di restituzione delle somme erroneamente © 2015 Portolano Cavallo Studio Legale
  • 12. addebitate al momento della prenotazione e di emissione della fattura commerciale per il volo acquistato; (e) l’utilizzazione dei bonus di credito concessi dal vettore. ! INVESTMENT COMPACT: VERSO L’INTRODUZIONE DI PMI INNOVATIVE E ALLARGAMENTO DEL PATENT BOX 
 ! Nel corso del Consiglio dei Ministri n. 45 del 20 gennaio 2015 è stato approvato il D.L. 3/2015 (c.d. Investment compact) contenente disposizioni urgenti per il sistema bancario e per gli investimenti. ! Si segnalano quali novità di particolare rilievo inserite nel decreto: (i) l’introduzione nel nostro ordinamento della categoria delle “PMI innovative” e (ii) l’estensione dell’ambito di applicazione del nuovo regime di patent box previsto dalla cd. Legge di Stabilità 2015. ! Per essere considerata “innovativa” una PMI deve essere non quotata in borsa, avere bilancio certificato, e almeno due dei seguenti requisiti: ! • spese in ricerca e sviluppo pari ad almeno il 3% del maggior valore tra fatturato e costo della produzione; • impiego di personale altamente qualificato in misura almeno pari a un quinto della forza lavoro complessiva; • essere detentrice, licenziataria o depositaria di un brevetto o software registrato alla SIAE. ! In presenza di tali condizioni una PMI avrà diritto alle agevolazioni riservate alle start up innovative, ma non si applicheranno alla stessa le norme relative al diritto fallimentare e nemmeno quelle in materia di contratti di lavoro. ! Per quanto riguarda il secondo aspetto, il decreto prevede l’estensione del regime di patent box a tutte le tipologie di marchi, inclusi quelli commerciali. In particolare, il provvedimento rimuove la limitazione che allo stato attuale vede i marchi d’impresa agevolati solo se funzionalmente equivalenti ai brevetti, estendendola pertanto a tutti i marchi, inclusi quelli commerciali. ! Se tale estensione deve essere sicuramente accolta con favore, vi sono tuttavia profili di incertezza che caratterizzano la disposizione in esame, in attesa dell’emanazione del decreto interministeriale cui la Legge di Stabilità 2015 demanda il compito di definire le relative disposizioni attuative. ! CORTE DI GIUSTIZIA: L’ESAURIMENTO DEL DIRITTO DI DISTRIBUZIONE NON OPERA SE SI CAMBIA SUPPORTO MATERIALE
 ! Con decisione del 22 gennaio 2015 in causa C-419/13 (Art & Allposters International BV) la Corte di Giustizia dell’Unione europea è tornata ad occuparsi del principio di esaurimento del diritto di distribuzione in una controversia che vedeva contrapposte una © 2015 Portolano Cavallo Studio Legale
  • 13. collecting society olandese e una società specializzata in riproduzioni su supporti quali legno o altri materiali di opere degli artisti i cui diritti erano amministrati dalla società di gestione collettiva dei diritti. Secondo l’attrice il comportamento della società si poneva in violazione dei diritti autorali dei propri associati in quanto quest’ultima non chiedeva alcuna autorizzazione per tali riproduzioni. Vittoriosa in primo grado la società risultava sconfitta in grado di appello e decideva così di proporre ricorso per cassazione. Nell’ambito del giudizio in sede di legittimità i giudici olandesi chiedevano alla Corte di Giustizia di chiarire se l’articolo 4 della Direttiva 2001/29, e in particolare il secondo comma di tale disposizione che disciplina il principio di esaurimento del diritto di distribuzione prevedendo che “Il diritto di distribuzione dell'originale o di copie dell'opera non si esaurisce nella Comunità, tranne nel caso in cui la prima vendita o il primo altro trasferimento di proprietà nella Comunità di detto oggetto sia effettuata dal titolare del diritto o con il suo consenso”, operi o meno nel caso in cui l’opera in questione sia stata riprodotta su un supporto diverso dall’originario. La Corte, ripercorrendo la propria significativa giurisprudenza in materia, rileva come la Direttiva 2001/29 riferendosi in più parti agli oggetti materiali che incorporano opere protette ha inteso attribuire ai rispettivi titolari un pieno controllo tanto con riferimento alle opere, quanto in relazione agli oggetti materiali che le incorporano. Tale impostazione risulta, peraltro, confermata dai trattati internazionali in materia di protezione del diritto d’autore di cui è parte l’Unione europea oltre che i propri Stati membri. Sotto altro profilo la Corte osserva come la modifica dell’oggetto materiale che incorpora l’opera deve far ritenere che la società convenuta svolgesse una nuova riproduzione della stessa opera rispetto alla quale i rispettivi autori non avevano prestato alcun consenso. Alla luce di quanto sopra la Corte di Giustizia ha stabilito che in ipotesi come quella descritta nella causa principale il principio di esaurimento del diritto di distribuzione non opera e, pertanto, è necessario ottenere una specifica autorizzazione da parte dei titolari delle opere protette che si riproducono. ! LA CORTE DI GIUSTIZIA SI PRONUNCIA SULLO SCREEN SCRAPING DI BANCHE DATI ONLINE 
 ! Con sentenza del 15 gennaio scorso la Corte di Giustizia dell’Unione europea, nella causa C-30/14 (Ryanair Ltd vs. PR Aviation BV), ha reso una pronuncia relativa all’interpretazione della Direttiva 96/9/CE sulla tutela giuridica delle banche dati in un caso concernente il cd. screen scraping di siti web. Tale pratica consiste nell’estrazione sistematica di dati contenuti su un sito web, attraverso l’uso di sistemi automatici o di applicazioni software. ! La controversia dalla quale ha avuto origine la decisione della Corte di Giustizia concerneva l’estrazione di informazioni sui voli (partenze/arrivi, prezzi, orari, ecc.) dal sito web di Ryanair da parte della società PR Aviation, che gestisce un sito sul quale i consumatori possono ricercare informazioni relative ai voli di compagnie aeree low cost, raffrontarne i prezzi e, pagando una commissione, prenotare un volo. L’accesso al sito web di Ryanair presuppone che il visitatore del sito accetti, barrando un’apposita casella, l’applicazione delle condizioni generali di utilizzo di tale sito, le quali vietano espressamente pratiche di screen scraping senza l’autorizzazione di Ryanair. ! © 2015 Portolano Cavallo Studio Legale
  • 14. Secondo Ryanair la pratica in questione costituiva violazione del diritto d’autore sulla propria banca dati online contenente informazioni relative ai voli nonché del cd. diritto sui generis sulla medesima banca dati (quest’ultimo è il diritto riconosciuto dalla Direttiva 96/9/CE al “costitutore” di una banca di dati, ossia a chi abbia effettuato investimenti rilevanti, sotto il profilo qualitativo o quantitativo, per il conseguimento, la verifica e la presentazione di una banca dati). Inoltre, Ryanair riteneva che la condotta in questione costituisse violazione delle condizioni generali di utilizzo del proprio sito. ! Il Tribunale di Utrecht, prima, e la Corte d’Appello Amsterdam, poi, respingevano la richiesta di Ryanair di ordinare a PR Aviation la cessazione delle condotte reputate illecite e di disporre il risarcimento dei danni. In particolare, secondo la Corte d’Appello, lo screen scraping effettuato da PR Aviation corrispondeva a un impiego normale del sito web di Ryanair, da ritenersi lecito secondo quanto previsto dalle norme in materia di libere utilizzazioni di cui alla Direttiva 96/9/CE (articoli 6 e 8), che prevedono diritti aventi natura imperativa (e, dunque, non derogabili contrattualmente) in favore degli utenti legittimi di una banca dati. ! La Corte Suprema dei Paesi Bassi (Hoge Raad der Nederlanden), investita della controversia, nutrendo dubbi circa l’applicazione delle disposizioni della Direttiva 96/9/CE in materia di libere utilizzazioni rispetto a banche dati che non siano tutelate né dal diritto d’autore né dal cd. diritto sui generis, sospendeva il procedimento principale e sottoponeva alla Corte di Giustizia la seguente questione pregiudiziale: ! “Se l’efficacia della direttiva [96/9] si estenda anche alle banche dati online che non sono tutelate dal diritto d’autore, ai sensi del capitolo II [di tale] direttiva, e neppure da un diritto sui generis, a norma del capitolo III [della medesima], nel senso che, anche per tale motivo, la libertà di utilizzare siffatte banche dati in applicazione (eventualmente per analogia) degli articoli 6, paragrafo 1, e 8, in combinato disposto con l’articolo 15 della direttiva [96/9], non può essere contrattualmente limitata”. ! Con la sentenza in questione (resa dalla Corte di Giustizia senza attendere le conclusioni dell’Avvocato generale), la corte ha chiarito che la citata Direttiva deve essere interpretata nel senso che essa non è applicabile a una banca dati non tutelata né dal diritto d’autore né dal cd. diritto sui generis. Pertanto, le norme in materia di libere utilizzazioni previste dalla Direttiva − ivi inclusa la previsione della nullità di pattuizioni volte a limitare o escludere queste ultime − non ostano a che il creatore di una banca dati stabilisca limitazioni contrattuali all’utilizzo della stessa da parte dei terzi (vietando, come nel caso delle condizioni contrattuali di Ryanair, pratiche di screen scraping). Spetta al giudice del rinvio verificare se la banca dati di Ryanair sia meritevole di protezione con il diritto d’autore oppure con il diritto sui generis riconosciuto al costitutore della banca dati. ! La pronuncia (da un punto di vista strettamente giuridico non particolarmente innovativa) potrebbe avere un impatto rilevante sul modello di business e l’attività non soltanto di agenzie di viaggi online interessate ad offrire al pubblico i voli di altre compagnie aeree ma, più in generale, di comparatori di prezzi o simili operatori. Della questione si è occupata anche la giurisprudenza italiana, con una pronuncia del 4 giugno 2013 del Tribunale di Milano resa nel caso Viaggiare S.r.l. c. Ryanair Ltd (che abbiamo commentato qui). In tale ultimo caso, (i) si è considerato lecito lo screen scraping della banca dati online di Ryanair (ritenuta nel caso di specie meritevole di tutela con il diritto sui generis in ragione degli investimenti effettuati dalla società) in quanto, secondo il tribunale, tale attività non risultava idonea ad arrecare un pregiudizio ingiustificato agli investimenti di quest’ultima, e (ii) si è stabilito che il rifiuto di Ryanair alle Online Travel Agencies di © 2015 Portolano Cavallo Studio Legale
  • 15. intermediare i propri voli costituiva abuso di posizione dominante, poiché impediva lo sviluppo del mercato a valle dell’intermediazione dei voli della compagnia low cost a danno dei consumatori. ! CORTE DI GIUSTIZIA: I SISTEMI DI PRENOTAZIONE ELETTRONICA DEVONO PRECISARE DALL’INIZIO IL PREZZO FINALE DEI VOLI 
 ! Con sentenza del 15 gennaio 2015, relativa alla causa C-573/13, la Corte di Giustizia si è pronunciata in merito al rinvio pregiudiziale formulato dalla Corte federale suprema tedesca (Bundesgerichtshof) con riferimento al Regolamento (CE) n. 1008/2008 recante norme comuni per la prestazione di servizi aerei nell’UE. ! Nell’ambito del procedimento che ha dato origine alla pronuncia, l’Unione federale tedesca delle centrali ed associazioni dei consumatori sostenevano che le modalità di presentazione delle tariffe passeggeri nel sistema di prenotazione elettronica di Air Berlin, vigente nel novembre 2008, non rispettavano i requisiti imposti dal diritto dell’Unione relativamente alla trasparenza dei prezzi dei servizi aerei. ! L’Air Berlin, soccombente nei primi due gradi di giudizio, ha quindi adito la Corte federale suprema tedesca, la quale ha formulato dei quesiti pregiudiziali con riferimento all’articolo 23, paragrafo 1, del Regolamento: in particolare, relativamente alla trasparenza dei prezzi, la Corte Federale ha chiesto se tale norma debba essere interpretata nel senso che, nell’ambito di un sistema elettronico di prenotazione, il prezzo finale da pagare debba essere indicato già alla prima esposizione dei prezzi relativi a servizi aerei e con riferimento a tutti i collegamenti acquistabili. ! In merito ai tali quesiti, la Corte di Giustizia ha chiarito che, nell’ambito di un sistema di prenotazione elettronica, il prezzo da pagare deve essere precisato ad ogni indicazione delle tariffe aeree, fin dalla prima visualizzazione. Ciò vale non solo per il servizio aereo selezionato dal cliente ma anche per ogni servizio aereo di cui sia esposta la tariffa. Tale interpretazione, coerente con la ratio e l’obiettivo della normativa dell’Unione, è volta a garantire che i clienti possano operare un raffronto effettivo dei prezzi dei servizi aerei praticati dai vari vettori. ! La pronuncia della corte è disponibile cliccando qui. ! " I numeri precedenti sono disponibili online sul sito. " Se desideri iscriverti al servizio clicca qui.
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