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COMUNE DI RESCALDINA
CONSIGLIO COMUNALE DEL 24 GIUGNO 2016
INTERROGAZIONE VERBALE
Presidente del Consiglio
Diamo inizio ai lavori del Consiglio Comunale del 24 giugno 2016. Do la parola al Consigliere
Magistrali per un’interrogazione.
Cons. MAGISTRALI PAOLO (Capogruppo Magistrali Sindaco)
Siccome è un’interrogazione verbale all’inizio del Consiglio, visto che si tratta di un argomento di
strettissima attualità, e anche abbastanza sentito, volevo chiedere al Sindaco delucidazioni su....
dovevo esordire dicendo un’affermazione fatta in chiesa da don Enrico, mi è stato riferito
domenica, poi c'è stato anche un tamtam sui social, e oggi mi pare sia uscito anche - non ho
ancora avuto occasione di leggerlo - un articolo su Sette Giorni, che riferisce di questo (lo dico fra
virgolette, perché non ne sono a conoscenza) “accordo” fra Comune e parrocchia per accogliere
sul territorio un certo numero di profughi.
Innanzitutto volevo capire se la notizia è vera, è fondata, come si è sviluppato questo rapporto,
che mi pare discenda anche probabilmente da un disegno della Prefettura, da un’emergenza che
sicuramente è nazionale, ma che sta poi ricadendo sui singoli territori.
Su un argomento di questo genere probabilmente sarebbe stato più opportuno, ma penso si
possa ancora rimediare, non dico arrivare a fare un Consiglio Comunale aperto, però informare a
livello di Commissione, cioè parlarne anche con l’opposizione.
Non entrerei, e non compete a noi entrare nel merito delle politiche nazionali in tema di
immigrazione, che sono state gestite male negli ultimi anni, a cavallo fra i vari Governi, però di
fatto adesso l’emergenza non è più un’emergenza, sta diventando un flusso continuo. Vediamo
che, ahimè, dispiace ovviamente per i profughi, ma anche le singole comunità stanno subendo più
o meno negativamente anche le conseguenze di questi flussi migratori, e quindi secondo me
sarebbe stato anche opportuno coinvolgere sicuramente l’opposizione, e parlarne a livello di
Consiglieri come il Comune di Rescaldina possa affrontare richieste di questo genere, se ce ne
sono state, e soprattutto come si intende procedere. Grazie.
Sindaco CATTANEO MICHELE
In realtà non c'è nessun accordo tra il Comune e la parrocchia. La questione è questa: qualche
mese fa, ormai un paio di mesi fa, il Prefetto ha annunciato che avrebbe sgombrato i cortili della
Caserma Cadorna per piazzare una tendopoli per accogliere 300 profughi, in un campo come il
campo di Bresso.
Tra inizialmente gli 11 Sindaci del Piano di Zona, e poi i 22 Sindaci dell’area omogenea dell’Alto
Milanese, innanzitutto si è espressa preoccupazione, perché una tendopoli di 300 persone
presentava diversi problemi, innanzitutto una difficile gestione; si è ritenuto, praticamente a parere
unanime di tutti, che 300 persone in una tendopoli fossero molto difficilmente gestibili, e avesse
tutte quelle caratteristiche che le persone di solito tacciano come negative, anche giustamente,
per queste esperienze di accoglienza. Quindi un gran numero di persone, sostanzialmente
occupate in nulla durante la giornata, dove è più facile che nascano alcuni problemi.
Contemporaneamente la diocesi di Milano e la Caritas hanno avanzato una proposta a tutte le
parrocchie della diocesi di accogliere almeno una famiglia in ogni parrocchia, e quindi di mettere a
disposizione o immobili delle parrocchie, o immobili di privati con altri sistemi per accogliere queste
famiglie.
Per esempio il Decanato del Castanese ha già comunicato alla diocesi che se non ci fossero
immobili delle parrocchie, saranno le parrocchie ad affittare appartamenti apposta per
l’accoglienza.
Allora che cosa ci si è detti? Soprattutto il Sindaco Vercesi di San Vittore Olona diceva “io mi sono
venuta a trovare - come è successo anche a Rescaldina qualche anno fa - con una cooperativa
proprietaria di un appartamento che ha deciso di ospitare dei profughi nel suo appartamento”.
E’ successo mi sembra anche qui nel 2011 in un appartamento di proprietà della parrocchia in
affitto all’Associazione Cielo e Terra.
Quindi cosa si è detto tra i 22 Sindaci? Ci si è detti “se va così ci troviamo con i 300 profughi,
praticamente ingestibili, nell’area della Caserma Cadorna, più tutti questi profughi accolti nelle
diverse parrocchie”.
Allora in un incontro con il Prefetto i Sindaci - ne abbiamo avuti diversi - hanno avanzato la
proposta di dire “invece di fare 300 più, facciamo che i Sindaci sposino questo modello di
accoglienza proposto dalla diocesi, in modo che i 300 si spalmino sul territorio, e quindi non siano
300 più altri, ma siano 300 effettivi sul territorio dei 22 Comuni”.
Da qui è nata la proposta, che è una proposta della Caritas diocesana, di utilizzare, attraverso la
Cooperativa Intrecci, attraverso la Fondazione Padre Somaschi, di fare in modo che siano queste
due realtà che prendono in affitto degli appartamenti eventualmente messi a disposizione dai
privati da destinare ai profughi.
Quindi in realtà non c'è nessun intervento del Comune, e non c'è stato nessun atto del Comune in
questo senso. C'è stato un assenso di massima di tutti i 22 Comuni del Castanese, che dovrebbe
diventare subito a settembre un accordo tra i Comuni e la Prefettura, perché la Prefettura si è
impegnata, nel caso di un accordo diffuso, quindi di un accordo di accoglienza diffusa come quello
che si sta proponendo adesso, si è impegnata a non inviare più nessun profugo nei territori dei 22
Comuni, oltre questi 300 in arrivo, perché a saldo dei 300 il Prefetto è stato molto fermo.
La situazione è questa, quindi nessun soldo messo a disposizione dei Comuni, ma neanche
nessun soldo in più messo a disposizione dallo Stato.
Voi sapete, per esempio, i profughi ospitati a Bresso, nel centro gestito dalla Croce Rossa Italiana,
la Croce Rossa Italiana per ogni profugo lì accolto prende 35 euro al giorno, che utilizza per la
custodia, le pulizie, il vitto, l’alloggio, le eventuali presenze educative. Quei 35 euro al giorno
verrebbero destinati in parte anche all’affitto e al ripristino dell’appartamento al termine
dell’accoglienza.
Penso di avere risposto.
Cons. MAGISTRALI PAOLO (Capogruppo Magistrali Sindaco)
Visto che l'argomento è abbastanza importante, 300 profughi su quanti Comuni interessanti? Solo
il legnanese, o di più?
Questi 35 euro verranno comunque sostenuti dallo Stato, o ci saranno poi delle spese indirette a
carico del Comune?
Sindaco CATTANEO MICHELE
Ho già risposto, ma è meglio specificare: 300 profughi sul territorio dei 22 Comuni dell’area
omogenea, e le spese saranno sostenute dallo Stato, e sono spese che lo Stato avrebbe
comunque dovuto sostenere in qualsiasi posto andassero questi profughi.
Comunque quello che si spera di ottenere è di evitare l’esperienza di altri Comuni anche qua
vicino, dove ci sono cooperative o altre realtà che hanno magari degli immobili vuoti, anche di
dimensioni ragguardevoli, li riempiono di profughi, proprio per avere questi soldi.
Presidente del Consiglio
Grazie.
COMUNE DI RESCALDINA 4.06.2016 pag. 3 di 40
6 settembre 2016
Al massimo tre rifugiati ogni 1.000 abitanti. La polverizzazione della presenza straniera sul
territorio nazionale è il cuore della proposta del Ministro Alfano (in discussione mentre scrivo),
volta a rispondere alle proteste di una parte dei comuni italiani, che lamentano il peso eccessivo di
richiedenti asilo e protezione, ospitati nei propri territori. Eppure l’Italia ha nel complesso meno
stranieri rispetto ad altri Paesi Ue (l’8,3% dei residenti, contro il 9,3% della Germania e il 9,6%
della Spagna); gli sbarchi, nonostante l’allarme creato dal battage mediatico, sono sostanzialmente
ai livelli del 2015 (erano stati 79.618 al 15 luglio 2015 e sono 79.533 alla stessa data di quest’anno);
il numero dei rifugiati, infine, seppure progressivamente aumentato in termini assoluti, rimane
decisamente contenuto: in tutto sono oggi 135.785 persone, poco più di 2 ogni 1.000 residenti (basti
pensare che in Austria sono 11 su 1.000 e in Svezia 15).
Dunque il nocciolo della questione è la gestione dell’accoglienza di numeri tutto sommato ancora
assai modesti. Il modello fino ad oggi dominante nel nostro Paese ha visto la concentrazione dei
migranti a centinaia dentro grosse strutture “emergenziali”, spesso ubicate a livello metropolitano o
suburbano, in condizioni di forte disagio socio-abitativo e in assenza di reali progetti di inclusione
sociale. Sul versante opposto, una più ridotta quota di persone (29.000 nel 2015) sono state accolte
invece in modo diffuso (spesso in comuni piccoli e nelle aree interne extra urbane e montane), con
il coinvolgimento degli enti locali, nell’ambito del sistema Sprar: qui l’approccio mira (non senza
difficoltà) all’inserimento “osmotico” dei migranti nei contesti locali e, in alcuni casi, la presenza
dei rifugiati sta risultando un fattore interessante per lo sviluppo di territori in crisi economica e
demografica (http://goo.gl/QbC9AR). E proprio su questo secondo modello punta in effetti anche il
Governo nazionale, laddove l’ipotesi di Alfano prevede incentivi per gli enti che aderiranno allo
Sprar, con una deroga al blocco delle assunzioni (per impiegare personale nel settore socio-
assistenziale e dell’inclusione) e con un occhio di riguardo rispetto ai vincoli di spesa, previsti per i
comuni dalla Legge di stabilità. Ma l’idea di fondo di questa proposta di intervento mostra la
propria miopia laddove l’immigrazione straniera (e l’arrivo dei profughi, in particolare) rimane
comunque associata ad un problema (una “emergenza”), da gestire a livello centrale, attraverso
una distribuzione “a pioggia” sui territori: evidentemente si ritiene che, sparpagliati e dispersi a
piccoli o piccolissimi gruppi in tutti comuni italiani, gli stranieri impatterebbero in misura minima
sui contesti locali, riducendo le occasioni di protesta e facilitandone il controllo da parte degli enti
preposti.
Ma quali effetti socio-economici e demografici potrebbe sortire una politica di polverizzazione
territoriale dei rifugiati, in particolare rispetto alle aree montane e interne del Paese? Come
ben sappiamo, i comuni montani, tra Alpi e Appennini, sono in grandissima parte piccoli o
piccolissimi, in maggioranza con una popolazione residente inferiore alle 5.000 persone e, in
numerosi casi (specie alle quote più elevate e nelle aree interne), ben al di sotto delle 1.000 unità.
Dunque, applicando alla lettera la proposta di Alfano, sulle montagne italiane in media andrebbero
collocati dai 2 ai 5 rifugiati per ogni comune, e in non pochi casi, al massimo uno: con questi
numeri, naturalmente sarebbe ben difficile ipotizzare un ripopolamento e un rilancio delle terre alte,
basato anche o soprattutto sull’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati.
In proposito, proprio dagli Appennini, dove la presenza diffusa dei migranti è particolarmente
significativa (l’accoglienza Sprar si è sviluppata innanzitutto al centro-sud, e spesso nelle aree
interne e rurali/montane), si sono già levate alcune voci preoccupate. Tra i primi in allarme,
Giuseppe Iennarella, sindaco di Brognaturo (Vibo Valentia), paese di 650 abitanti, a 753 m.
d’altitudine, che, con i suoi 146 richiedenti asilo oggi ospitati, risulta il comune con numero
massimo di accolti in Italia. Per il sindaco (intervistato lo scorso luglio dal quotidiano La Stampa,
http://goo.gl/uLar0r) questi cittadini stranieri sono una delle risorse principali per rilanciare un
territorio che si va spopolando da decenni e che non è oggetto di alcuna politica di sviluppo: grazie
a loro, infatti, è stato riattivato un hotel da tempo in crisi, dando concrete possibilità di lavoro ad
un’impresa locale e ai suoi dipendenti; l’impatto positivo dei rifugiati si sente poi sui piccoli negozi,
che, a rischio di chiudere, sono tornati oggi a vendere beni di prima necessità ai migranti; e ancor di
più la presenza dei rifugiati impatta a livello demografico, in un paese da cui i giovani italiani sono
in gran parte fuggiti. A Brognaturo, secondo quanto previsto dall’ipotesi Alfano, di richiedenti asilo
dovrebbero invece essercene in tutto due.
Un altro territorio appenninico che si va distinguendo per l’accoglienza dei migranti è il Mugello:
qui, in un’area collinare e montuosa appartenente alla città metropolitana di Firenze, sono
attualmente accolte 241 persone, in buona parte nell’ambito del sistema Sprar, con un impatto
importante in termini di abitazioni private sfitte e riattate allo scopo, di canoniche ed edifici religiosi
recuperati per l’accoglienza, nonché di immobili pubblici dismessi e rifunzionalizzati come ostelli.
Grazie all’ospitalità offerta ai rifugiati, si è colta così l’opportunità di preservare e ristrutturare nel
contempo un patrimonio edilizio locale a rischio abbandono o decisamente sotto-utilizzato.
A Dicomano – comune di circa 5.000 abitanti, alla confluenza tra la valle del Mugello e la
Valdisieve, luogo di escursioni naturalistiche e di produzioni alimentari d’eccellenza – è nato il
primo giornale dei richiedenti asilo, promosso dagli operatori della cooperativa “il Cenacolo”: si
chiama “La nostra voce” ed è un bimestrale (distribuito gratuitamente in tutta la zona) che
racconta le storie e i drammi dei profughi, ma anche i loro sogni, le loro speranze, la loro cultura.
«L’idea di realizzarlo – spiega Davide Delle Cave, responsabile del progetto, nell’intervista
pubblicata su Vita.it di luglio – è nata dall’esigenza di comunicare con l’esterno, che i profughi ci
avevano manifestato già da qualche tempo: si sono accorti di essere guardati con diffidenza dalle
altre persone, senza poter esprimersi e farsi conoscere davvero, a causa della propria lingua». Anche
qui, se applicassimo i criteri della proposta Alfano, i migranti si ridurrebbero in tutto ad una
trentina, sparsi tra colli e vallate, in situazioni di isolamento sociale a cui ben difficilmente si
potrebbe rispondere con progetti di comunicazione e di aggregazione, come quello de “La nostra
voce”.
dal sito Dislivelli
Un altro caso da segnalare, sempre nell’Appennino centrale, è quello di Collegiove (Rieti), comune
posto alle pendici dei monti Cervia e Navegna, da cui prende il nome la riserva naturale che occupa
buona parte del territorio circostante: qui, a 1001 m. di altitudine, in un piccolo borgo ridotto a 213
abitanti (erano ancora più di 500 negli anni Sessanta), ci sono ben 30 posti Sprar, in proporzione,
una delle più elevate offerte di accoglienza a livello nazionale (1 rifugiato ogni 7 residenti), con un
evidente impatto proprio sul versante demografico. Sempre seguendo l’ipotesi Alfano, a Collegiove
essere ospitato al massimo uno straniero.
Infine, mantenendo il focus sull’Appennino e spostandoci più a sud, appare particolarmente
dovrebbe istruttivo il caso della Calabria, recentemente analizzato da Alessandra Corrado e
Mariafrancesca D’Agostino nel numero di luglio di Agriregioneuropa (http://goo.gl/PHQ9sl): i
comuni delle aree interne calabresi (che sono ben l’80% del totale) hanno visto, tra 1981 e 2011, la
propria popolazione ridursi di oltre il 45%; la popolazione residua si caratterizza per essere sparsa
sul territorio, nell’ambito di centri con meno di 5.000 abitanti (il 74% del totale) e, spesso, anche
sotto i 1.000. Negli ultimi decenni, tuttavia, si sono progressivamente determinati flussi demografici
inversi, legati proprio alla diffusione dell’immigrazione straniera verso l’interno e la montagna, in
relazione alle opportunità lavorative nel settore primario e, in anni più recenti, all’accoglienza dei
rifugiati. Come sottolinea Corrado, i piccoli comuni della Locride appaiono particolarmente
interessanti da questo punto di vista. Impiegando prima risorse esclusivamente locali e
successivamente quelle provenienti dall’adesione alla rete nazionale Sprar, nei comuni di Riace,
Badolato, Caulonia e Stignano sono stati avviati vasti interventi di riqualificazione del patrimonio
immobiliare esistente, per facilitare l’accoglienza dei rifugiati nei centri storici, ma anche per
sviluppare innovativi circuiti di turismo solidale, che negli anni hanno portato migliaia di visitatori
provenienti da tutto il mondo.
Progressivamente, sono state inoltre aperte botteghe artigianali e altre piccole attività basate sul
recupero di vecchie tradizioni e antichi mestieri, mobilitando il capitale sociale di queste realtà.
Raccogliendo la sfida lanciata dai piccoli comuni delle aree interne e montane, già sette anni fa il
governo regionale calabrese varava un’apposita normativa (la L.R. n. 18 del 2009), per sostenere
progetti realizzati in «comunità interessate da un crescente spopolamento o che presentino
situazioni di particolare sofferenza socio-economica, che intendano intraprendere percorsi di
riqualificazione e di rilancio socio-economico e culturale, collegati all’accoglienza dei richiedenti
asilo, dei rifugiati, e dei titolari di misure di protezione sussidiaria o umanitaria». Dopo un periodo
di stasi, la Regione Calabria sta oggi lavorando per articolare questo sistema di governance,
stabilmente orientato a favorire l’inserimento di lungo periodo dei migranti all’interno dei piccoli
comuni, con la precisa volontà di ri-categorizzare i rifugiati come una risorsa per lo sviluppo
territoriale delle zone in crisi. Nel complesso oggi, dei 50 enti locali aderenti allo Sprar in ambito
regionale (per un totale di 1966 presenze), ben 41 ricadono nelle aree interne, accogliendo 1552
beneficiari. La Regione Calabria ha inoltre recentemente presentato alla Commissione europea il
Piano “Calabria. Terra di sole e di accoglienza”, proponendo il reinsediamento sul territorio
regionale di 3.000-4.000 rifugiati, intorno a cui costruire un “Laboratorio di civiltà”, attraverso il
potenziamento delle competenze individuali, l’ampliamento dell’offerta all’abitare non segregato
(con il recupero del patrimonio immobiliare pubblico esistente), e il sostegno alla creazione di
imprese sociali innovative, nel campo delle energie sostenibili, dell’agricoltura biologica, dei servizi
alla persona. Gli Appennini, dal centro-nord al sud, mostrano dunque una via di sviluppo locale
interessante e innovativa, basata sulla ricerca di un equilibrio dinamico tra le risorse locali e il
numero di stranieri che possono essere realisticamente ospitati sul territorio: la polverizzazione dei
richiedenti asilo a livello nazionale, unitamente al loro etichettamento come “emergenza sociale”,
rischierebbe di rendere vani questi sforzi.
Andrea Membretti
P.s.
Mentre chiudo questo articolo l’Appennino centrale è stato appena colpito dal fortissimo terremoto
del 24 agosto scorso. Tra i molti volontari che si sono attivati da ogni parte d’Italia per portare
aiuto nelle zone devastate dal sisma, mi sembra importante segnalare la presenza di alcune decine
di richiedenti asilo, ospiti di strutture Sprar dei territori limitrofi.
Nuova Brianza
Simona Calvi - 25 ottobre 2016
Profughi Monza: Il Comune vuole la gestione. Il discorso del
sindaco in Consiglio
Profughi Monza: Il Comune di Monza vuole la gestione. Praticamente un gol a porta vuota.
Roberto Scanagatti l’ha segnato lunedì sera (ieri per chi legge, ndr) in Consiglio comunale.
Profughi Monza: Il Comune vuole la gestione – Il clima
Consiglio comunale di Monza. Un gruppo di residenti di via Asiago è sugli spalti. Ascolta cosa
diranno i politici cittadini. Non molto. La notizia, al di là delle solite esternazioni politiche, non c’è.
Il massimo è un biglietto per Marrakech sola andata consegnato dal leghista Alberto Mariani
al primo cittadino (“così sarà fiero di andare a fare il sindaco dei marocchini” ha
detto quest’ultimo). Sul piatto in realtà c’è molto, ossia l’ipotesi di trasferire i richiedenti asilo da
via Asiago all’ospedale vecchio, oggetto di un’asta da 50 milioni di euro andata a vuoto e di un
accordo di programma. La Regione di Roberto Maroni non vuole. E l’opposizione in Aula si
allinea.
La stato dell’arte
“Nella prima fase degli arrivi – ha esordito il sindaco – il sistema dei bandi della Prefettura per
individuare spazi di accoglienza ha funzionato. È andato in crisi quando l’Europa ha chiuso le
frontiere e quel turnover di immigrati che arrivavano e partivano si è bloccato qui”. Risultato:
l’ingolfamento della “macchina dell’accoglienza”. “Le strutture comunali hanno svolto il loro
compito con aree come via Spallanzani, ma quando ad ottobre è stato chiaro che i nuovi bandi non
avevano più la caratteristica del contenimento, abbiamo fatto rilevare come questo elemento potesse
costituire un dato negativo per le persone che avrebbero dovuto convivere con quella situazione”.
La novità
Che Anci stesse lavorando ad un trasferimento delle competenze dalle Prefetture ai Comune è cosa
nota. Che Monza fosse già pronta ad assumersi questa responsabilità (non gratis) è stato
ribadito ieri. “Come Anci – ha sottolineato Scanagatti, che è anche presidente lombardo
dell’Associazione dei Comuni – abbiamo chiesto che venissero trasferite le responsabilità ora in
capo alle Prefetture. Prendendoci delle gatte da pelare, visto che si parla di persone che non hanno
ancora ottenuto il riconoscimento di rifugiato e che hanno tre gradi di giudizio nel caso in cui al
primo grado venga rifiutato”. Allora perché prendersi questa responsabilità? Perché non mancano i
vantaggi.
Come cambieranno le cose
“L’accordo con il ministero dell’Interno prevede che i Comuni che aderiscono al nuovo modello
si assumono l’onere della gestione, ottenendo in cambio una clausola di salvaguardia. Ossia un tetto
massimo del 2,5 per mille di presenze”. Per Monza si tratterebbe di ospitare, dunque, non più di
400 persone. “Questo – ha precisato il primo cittadino – è l’elemento che funge da garanzia”. Non
solo. “Nell’ambito dell’accordo ci sono risorse economiche in capo ai Comuni e deroghe per la
dotazione organica. Noi oggi subiamo ancora il blocco del turnover al 25%, ma per svolgere
queste funzioni è necessario altro personale”. In pratica, chi accetta avrà soldi e possibilità di
assunzione. I tempi di applicazione non saranno comunque brevissimi. Lo scorso 11 ottobre le
Prefetture sono state informate con circolare ministeriale. Per chi non aderisce, saranno le Prefetture
a continuare a decidere.
Profughi: Il Comune vuole la gestione – Via Asiago e
l’ospedale vecchio
A Monza, come ha ribadito anche ieri, di strutture alternative per spostare gli immigrati di via
Asiago non ce ne sono. Le soluzioni, infatti, sono arrivate dai privati. Esclusi tassativamente
l’utilizzo dell’area ex TPM, che andrà ad accogliere i senzatetto durante l’inverno, e le case di
proprietà comunale. Ultima spiaggia? L’ospedale vecchio, appunto. “L’Università Bicocca se ne è
andata un anno fa e gli spazi sono tutti liberi. Sappiamo con certezza che lo stabile non sarà
utilizzato se non fra qualche anno, sicuramente non prima” ha detto il sindaco.
Profughi: Il Comune vuole la gestione – La proposta
E qui è arrivata la zampata. Perché tolti i privati e tolte le aree comunali (ex TPM e case) di
possibilità non ce ne sono. Come a dire, chi non accetta lascerà i residenti di via Asiago al loro
destino: “Se il Consiglio comunale di Monza assume una posizione politica unitaria verso la
Regione – ha concluso il sindaco – potremo trasferire i richiedenti all’interno dell’ospedale vecchio
vista la situazione emergenziale. Finora questa proposta, avanzata al tavolo della Prefettura, non ha
trovato ascolto. Ma una posizione unitaria che prescinda dagli schieramenti, può risolvere la
situazione”. Good bye opposizione…
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Per comprendere le problematiche dei profughi

  • 1. COMUNE DI RESCALDINA CONSIGLIO COMUNALE DEL 24 GIUGNO 2016 INTERROGAZIONE VERBALE Presidente del Consiglio Diamo inizio ai lavori del Consiglio Comunale del 24 giugno 2016. Do la parola al Consigliere Magistrali per un’interrogazione. Cons. MAGISTRALI PAOLO (Capogruppo Magistrali Sindaco) Siccome è un’interrogazione verbale all’inizio del Consiglio, visto che si tratta di un argomento di strettissima attualità, e anche abbastanza sentito, volevo chiedere al Sindaco delucidazioni su.... dovevo esordire dicendo un’affermazione fatta in chiesa da don Enrico, mi è stato riferito domenica, poi c'è stato anche un tamtam sui social, e oggi mi pare sia uscito anche - non ho ancora avuto occasione di leggerlo - un articolo su Sette Giorni, che riferisce di questo (lo dico fra virgolette, perché non ne sono a conoscenza) “accordo” fra Comune e parrocchia per accogliere sul territorio un certo numero di profughi. Innanzitutto volevo capire se la notizia è vera, è fondata, come si è sviluppato questo rapporto, che mi pare discenda anche probabilmente da un disegno della Prefettura, da un’emergenza che sicuramente è nazionale, ma che sta poi ricadendo sui singoli territori. Su un argomento di questo genere probabilmente sarebbe stato più opportuno, ma penso si possa ancora rimediare, non dico arrivare a fare un Consiglio Comunale aperto, però informare a livello di Commissione, cioè parlarne anche con l’opposizione. Non entrerei, e non compete a noi entrare nel merito delle politiche nazionali in tema di immigrazione, che sono state gestite male negli ultimi anni, a cavallo fra i vari Governi, però di fatto adesso l’emergenza non è più un’emergenza, sta diventando un flusso continuo. Vediamo che, ahimè, dispiace ovviamente per i profughi, ma anche le singole comunità stanno subendo più o meno negativamente anche le conseguenze di questi flussi migratori, e quindi secondo me sarebbe stato anche opportuno coinvolgere sicuramente l’opposizione, e parlarne a livello di Consiglieri come il Comune di Rescaldina possa affrontare richieste di questo genere, se ce ne sono state, e soprattutto come si intende procedere. Grazie. Sindaco CATTANEO MICHELE In realtà non c'è nessun accordo tra il Comune e la parrocchia. La questione è questa: qualche mese fa, ormai un paio di mesi fa, il Prefetto ha annunciato che avrebbe sgombrato i cortili della Caserma Cadorna per piazzare una tendopoli per accogliere 300 profughi, in un campo come il campo di Bresso. Tra inizialmente gli 11 Sindaci del Piano di Zona, e poi i 22 Sindaci dell’area omogenea dell’Alto Milanese, innanzitutto si è espressa preoccupazione, perché una tendopoli di 300 persone presentava diversi problemi, innanzitutto una difficile gestione; si è ritenuto, praticamente a parere unanime di tutti, che 300 persone in una tendopoli fossero molto difficilmente gestibili, e avesse tutte quelle caratteristiche che le persone di solito tacciano come negative, anche giustamente, per queste esperienze di accoglienza. Quindi un gran numero di persone, sostanzialmente occupate in nulla durante la giornata, dove è più facile che nascano alcuni problemi. Contemporaneamente la diocesi di Milano e la Caritas hanno avanzato una proposta a tutte le parrocchie della diocesi di accogliere almeno una famiglia in ogni parrocchia, e quindi di mettere a disposizione o immobili delle parrocchie, o immobili di privati con altri sistemi per accogliere queste famiglie. Per esempio il Decanato del Castanese ha già comunicato alla diocesi che se non ci fossero immobili delle parrocchie, saranno le parrocchie ad affittare appartamenti apposta per l’accoglienza. Allora che cosa ci si è detti? Soprattutto il Sindaco Vercesi di San Vittore Olona diceva “io mi sono venuta a trovare - come è successo anche a Rescaldina qualche anno fa - con una cooperativa proprietaria di un appartamento che ha deciso di ospitare dei profughi nel suo appartamento”. E’ successo mi sembra anche qui nel 2011 in un appartamento di proprietà della parrocchia in affitto all’Associazione Cielo e Terra.
  • 2. Quindi cosa si è detto tra i 22 Sindaci? Ci si è detti “se va così ci troviamo con i 300 profughi, praticamente ingestibili, nell’area della Caserma Cadorna, più tutti questi profughi accolti nelle diverse parrocchie”. Allora in un incontro con il Prefetto i Sindaci - ne abbiamo avuti diversi - hanno avanzato la proposta di dire “invece di fare 300 più, facciamo che i Sindaci sposino questo modello di accoglienza proposto dalla diocesi, in modo che i 300 si spalmino sul territorio, e quindi non siano 300 più altri, ma siano 300 effettivi sul territorio dei 22 Comuni”. Da qui è nata la proposta, che è una proposta della Caritas diocesana, di utilizzare, attraverso la Cooperativa Intrecci, attraverso la Fondazione Padre Somaschi, di fare in modo che siano queste due realtà che prendono in affitto degli appartamenti eventualmente messi a disposizione dai privati da destinare ai profughi. Quindi in realtà non c'è nessun intervento del Comune, e non c'è stato nessun atto del Comune in questo senso. C'è stato un assenso di massima di tutti i 22 Comuni del Castanese, che dovrebbe diventare subito a settembre un accordo tra i Comuni e la Prefettura, perché la Prefettura si è impegnata, nel caso di un accordo diffuso, quindi di un accordo di accoglienza diffusa come quello che si sta proponendo adesso, si è impegnata a non inviare più nessun profugo nei territori dei 22 Comuni, oltre questi 300 in arrivo, perché a saldo dei 300 il Prefetto è stato molto fermo. La situazione è questa, quindi nessun soldo messo a disposizione dei Comuni, ma neanche nessun soldo in più messo a disposizione dallo Stato. Voi sapete, per esempio, i profughi ospitati a Bresso, nel centro gestito dalla Croce Rossa Italiana, la Croce Rossa Italiana per ogni profugo lì accolto prende 35 euro al giorno, che utilizza per la custodia, le pulizie, il vitto, l’alloggio, le eventuali presenze educative. Quei 35 euro al giorno verrebbero destinati in parte anche all’affitto e al ripristino dell’appartamento al termine dell’accoglienza. Penso di avere risposto. Cons. MAGISTRALI PAOLO (Capogruppo Magistrali Sindaco) Visto che l'argomento è abbastanza importante, 300 profughi su quanti Comuni interessanti? Solo il legnanese, o di più? Questi 35 euro verranno comunque sostenuti dallo Stato, o ci saranno poi delle spese indirette a carico del Comune? Sindaco CATTANEO MICHELE Ho già risposto, ma è meglio specificare: 300 profughi sul territorio dei 22 Comuni dell’area omogenea, e le spese saranno sostenute dallo Stato, e sono spese che lo Stato avrebbe comunque dovuto sostenere in qualsiasi posto andassero questi profughi. Comunque quello che si spera di ottenere è di evitare l’esperienza di altri Comuni anche qua vicino, dove ci sono cooperative o altre realtà che hanno magari degli immobili vuoti, anche di dimensioni ragguardevoli, li riempiono di profughi, proprio per avere questi soldi. Presidente del Consiglio Grazie. COMUNE DI RESCALDINA 4.06.2016 pag. 3 di 40
  • 3. 6 settembre 2016 Al massimo tre rifugiati ogni 1.000 abitanti. La polverizzazione della presenza straniera sul territorio nazionale è il cuore della proposta del Ministro Alfano (in discussione mentre scrivo), volta a rispondere alle proteste di una parte dei comuni italiani, che lamentano il peso eccessivo di richiedenti asilo e protezione, ospitati nei propri territori. Eppure l’Italia ha nel complesso meno stranieri rispetto ad altri Paesi Ue (l’8,3% dei residenti, contro il 9,3% della Germania e il 9,6% della Spagna); gli sbarchi, nonostante l’allarme creato dal battage mediatico, sono sostanzialmente ai livelli del 2015 (erano stati 79.618 al 15 luglio 2015 e sono 79.533 alla stessa data di quest’anno); il numero dei rifugiati, infine, seppure progressivamente aumentato in termini assoluti, rimane decisamente contenuto: in tutto sono oggi 135.785 persone, poco più di 2 ogni 1.000 residenti (basti pensare che in Austria sono 11 su 1.000 e in Svezia 15). Dunque il nocciolo della questione è la gestione dell’accoglienza di numeri tutto sommato ancora assai modesti. Il modello fino ad oggi dominante nel nostro Paese ha visto la concentrazione dei migranti a centinaia dentro grosse strutture “emergenziali”, spesso ubicate a livello metropolitano o suburbano, in condizioni di forte disagio socio-abitativo e in assenza di reali progetti di inclusione sociale. Sul versante opposto, una più ridotta quota di persone (29.000 nel 2015) sono state accolte invece in modo diffuso (spesso in comuni piccoli e nelle aree interne extra urbane e montane), con il coinvolgimento degli enti locali, nell’ambito del sistema Sprar: qui l’approccio mira (non senza difficoltà) all’inserimento “osmotico” dei migranti nei contesti locali e, in alcuni casi, la presenza dei rifugiati sta risultando un fattore interessante per lo sviluppo di territori in crisi economica e demografica (http://goo.gl/QbC9AR). E proprio su questo secondo modello punta in effetti anche il Governo nazionale, laddove l’ipotesi di Alfano prevede incentivi per gli enti che aderiranno allo Sprar, con una deroga al blocco delle assunzioni (per impiegare personale nel settore socio- assistenziale e dell’inclusione) e con un occhio di riguardo rispetto ai vincoli di spesa, previsti per i comuni dalla Legge di stabilità. Ma l’idea di fondo di questa proposta di intervento mostra la propria miopia laddove l’immigrazione straniera (e l’arrivo dei profughi, in particolare) rimane comunque associata ad un problema (una “emergenza”), da gestire a livello centrale, attraverso una distribuzione “a pioggia” sui territori: evidentemente si ritiene che, sparpagliati e dispersi a
  • 4. piccoli o piccolissimi gruppi in tutti comuni italiani, gli stranieri impatterebbero in misura minima sui contesti locali, riducendo le occasioni di protesta e facilitandone il controllo da parte degli enti preposti. Ma quali effetti socio-economici e demografici potrebbe sortire una politica di polverizzazione territoriale dei rifugiati, in particolare rispetto alle aree montane e interne del Paese? Come ben sappiamo, i comuni montani, tra Alpi e Appennini, sono in grandissima parte piccoli o piccolissimi, in maggioranza con una popolazione residente inferiore alle 5.000 persone e, in numerosi casi (specie alle quote più elevate e nelle aree interne), ben al di sotto delle 1.000 unità. Dunque, applicando alla lettera la proposta di Alfano, sulle montagne italiane in media andrebbero collocati dai 2 ai 5 rifugiati per ogni comune, e in non pochi casi, al massimo uno: con questi numeri, naturalmente sarebbe ben difficile ipotizzare un ripopolamento e un rilancio delle terre alte, basato anche o soprattutto sull’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati. In proposito, proprio dagli Appennini, dove la presenza diffusa dei migranti è particolarmente significativa (l’accoglienza Sprar si è sviluppata innanzitutto al centro-sud, e spesso nelle aree interne e rurali/montane), si sono già levate alcune voci preoccupate. Tra i primi in allarme, Giuseppe Iennarella, sindaco di Brognaturo (Vibo Valentia), paese di 650 abitanti, a 753 m. d’altitudine, che, con i suoi 146 richiedenti asilo oggi ospitati, risulta il comune con numero massimo di accolti in Italia. Per il sindaco (intervistato lo scorso luglio dal quotidiano La Stampa, http://goo.gl/uLar0r) questi cittadini stranieri sono una delle risorse principali per rilanciare un territorio che si va spopolando da decenni e che non è oggetto di alcuna politica di sviluppo: grazie a loro, infatti, è stato riattivato un hotel da tempo in crisi, dando concrete possibilità di lavoro ad un’impresa locale e ai suoi dipendenti; l’impatto positivo dei rifugiati si sente poi sui piccoli negozi, che, a rischio di chiudere, sono tornati oggi a vendere beni di prima necessità ai migranti; e ancor di più la presenza dei rifugiati impatta a livello demografico, in un paese da cui i giovani italiani sono in gran parte fuggiti. A Brognaturo, secondo quanto previsto dall’ipotesi Alfano, di richiedenti asilo dovrebbero invece essercene in tutto due. Un altro territorio appenninico che si va distinguendo per l’accoglienza dei migranti è il Mugello: qui, in un’area collinare e montuosa appartenente alla città metropolitana di Firenze, sono attualmente accolte 241 persone, in buona parte nell’ambito del sistema Sprar, con un impatto importante in termini di abitazioni private sfitte e riattate allo scopo, di canoniche ed edifici religiosi recuperati per l’accoglienza, nonché di immobili pubblici dismessi e rifunzionalizzati come ostelli. Grazie all’ospitalità offerta ai rifugiati, si è colta così l’opportunità di preservare e ristrutturare nel contempo un patrimonio edilizio locale a rischio abbandono o decisamente sotto-utilizzato. A Dicomano – comune di circa 5.000 abitanti, alla confluenza tra la valle del Mugello e la Valdisieve, luogo di escursioni naturalistiche e di produzioni alimentari d’eccellenza – è nato il primo giornale dei richiedenti asilo, promosso dagli operatori della cooperativa “il Cenacolo”: si chiama “La nostra voce” ed è un bimestrale (distribuito gratuitamente in tutta la zona) che racconta le storie e i drammi dei profughi, ma anche i loro sogni, le loro speranze, la loro cultura. «L’idea di realizzarlo – spiega Davide Delle Cave, responsabile del progetto, nell’intervista pubblicata su Vita.it di luglio – è nata dall’esigenza di comunicare con l’esterno, che i profughi ci avevano manifestato già da qualche tempo: si sono accorti di essere guardati con diffidenza dalle altre persone, senza poter esprimersi e farsi conoscere davvero, a causa della propria lingua». Anche qui, se applicassimo i criteri della proposta Alfano, i migranti si ridurrebbero in tutto ad una trentina, sparsi tra colli e vallate, in situazioni di isolamento sociale a cui ben difficilmente si potrebbe rispondere con progetti di comunicazione e di aggregazione, come quello de “La nostra voce”. dal sito Dislivelli
  • 5. Un altro caso da segnalare, sempre nell’Appennino centrale, è quello di Collegiove (Rieti), comune posto alle pendici dei monti Cervia e Navegna, da cui prende il nome la riserva naturale che occupa buona parte del territorio circostante: qui, a 1001 m. di altitudine, in un piccolo borgo ridotto a 213 abitanti (erano ancora più di 500 negli anni Sessanta), ci sono ben 30 posti Sprar, in proporzione, una delle più elevate offerte di accoglienza a livello nazionale (1 rifugiato ogni 7 residenti), con un evidente impatto proprio sul versante demografico. Sempre seguendo l’ipotesi Alfano, a Collegiove essere ospitato al massimo uno straniero. Infine, mantenendo il focus sull’Appennino e spostandoci più a sud, appare particolarmente dovrebbe istruttivo il caso della Calabria, recentemente analizzato da Alessandra Corrado e Mariafrancesca D’Agostino nel numero di luglio di Agriregioneuropa (http://goo.gl/PHQ9sl): i comuni delle aree interne calabresi (che sono ben l’80% del totale) hanno visto, tra 1981 e 2011, la propria popolazione ridursi di oltre il 45%; la popolazione residua si caratterizza per essere sparsa sul territorio, nell’ambito di centri con meno di 5.000 abitanti (il 74% del totale) e, spesso, anche sotto i 1.000. Negli ultimi decenni, tuttavia, si sono progressivamente determinati flussi demografici inversi, legati proprio alla diffusione dell’immigrazione straniera verso l’interno e la montagna, in relazione alle opportunità lavorative nel settore primario e, in anni più recenti, all’accoglienza dei rifugiati. Come sottolinea Corrado, i piccoli comuni della Locride appaiono particolarmente interessanti da questo punto di vista. Impiegando prima risorse esclusivamente locali e successivamente quelle provenienti dall’adesione alla rete nazionale Sprar, nei comuni di Riace, Badolato, Caulonia e Stignano sono stati avviati vasti interventi di riqualificazione del patrimonio immobiliare esistente, per facilitare l’accoglienza dei rifugiati nei centri storici, ma anche per sviluppare innovativi circuiti di turismo solidale, che negli anni hanno portato migliaia di visitatori provenienti da tutto il mondo. Progressivamente, sono state inoltre aperte botteghe artigianali e altre piccole attività basate sul recupero di vecchie tradizioni e antichi mestieri, mobilitando il capitale sociale di queste realtà. Raccogliendo la sfida lanciata dai piccoli comuni delle aree interne e montane, già sette anni fa il governo regionale calabrese varava un’apposita normativa (la L.R. n. 18 del 2009), per sostenere progetti realizzati in «comunità interessate da un crescente spopolamento o che presentino situazioni di particolare sofferenza socio-economica, che intendano intraprendere percorsi di riqualificazione e di rilancio socio-economico e culturale, collegati all’accoglienza dei richiedenti asilo, dei rifugiati, e dei titolari di misure di protezione sussidiaria o umanitaria». Dopo un periodo di stasi, la Regione Calabria sta oggi lavorando per articolare questo sistema di governance, stabilmente orientato a favorire l’inserimento di lungo periodo dei migranti all’interno dei piccoli comuni, con la precisa volontà di ri-categorizzare i rifugiati come una risorsa per lo sviluppo territoriale delle zone in crisi. Nel complesso oggi, dei 50 enti locali aderenti allo Sprar in ambito
  • 6. regionale (per un totale di 1966 presenze), ben 41 ricadono nelle aree interne, accogliendo 1552 beneficiari. La Regione Calabria ha inoltre recentemente presentato alla Commissione europea il Piano “Calabria. Terra di sole e di accoglienza”, proponendo il reinsediamento sul territorio regionale di 3.000-4.000 rifugiati, intorno a cui costruire un “Laboratorio di civiltà”, attraverso il potenziamento delle competenze individuali, l’ampliamento dell’offerta all’abitare non segregato (con il recupero del patrimonio immobiliare pubblico esistente), e il sostegno alla creazione di imprese sociali innovative, nel campo delle energie sostenibili, dell’agricoltura biologica, dei servizi alla persona. Gli Appennini, dal centro-nord al sud, mostrano dunque una via di sviluppo locale interessante e innovativa, basata sulla ricerca di un equilibrio dinamico tra le risorse locali e il numero di stranieri che possono essere realisticamente ospitati sul territorio: la polverizzazione dei richiedenti asilo a livello nazionale, unitamente al loro etichettamento come “emergenza sociale”, rischierebbe di rendere vani questi sforzi. Andrea Membretti P.s. Mentre chiudo questo articolo l’Appennino centrale è stato appena colpito dal fortissimo terremoto del 24 agosto scorso. Tra i molti volontari che si sono attivati da ogni parte d’Italia per portare aiuto nelle zone devastate dal sisma, mi sembra importante segnalare la presenza di alcune decine di richiedenti asilo, ospiti di strutture Sprar dei territori limitrofi.
  • 7. Nuova Brianza Simona Calvi - 25 ottobre 2016 Profughi Monza: Il Comune vuole la gestione. Il discorso del sindaco in Consiglio Profughi Monza: Il Comune di Monza vuole la gestione. Praticamente un gol a porta vuota. Roberto Scanagatti l’ha segnato lunedì sera (ieri per chi legge, ndr) in Consiglio comunale. Profughi Monza: Il Comune vuole la gestione – Il clima Consiglio comunale di Monza. Un gruppo di residenti di via Asiago è sugli spalti. Ascolta cosa diranno i politici cittadini. Non molto. La notizia, al di là delle solite esternazioni politiche, non c’è. Il massimo è un biglietto per Marrakech sola andata consegnato dal leghista Alberto Mariani al primo cittadino (“così sarà fiero di andare a fare il sindaco dei marocchini” ha detto quest’ultimo). Sul piatto in realtà c’è molto, ossia l’ipotesi di trasferire i richiedenti asilo da via Asiago all’ospedale vecchio, oggetto di un’asta da 50 milioni di euro andata a vuoto e di un accordo di programma. La Regione di Roberto Maroni non vuole. E l’opposizione in Aula si allinea. La stato dell’arte “Nella prima fase degli arrivi – ha esordito il sindaco – il sistema dei bandi della Prefettura per individuare spazi di accoglienza ha funzionato. È andato in crisi quando l’Europa ha chiuso le frontiere e quel turnover di immigrati che arrivavano e partivano si è bloccato qui”. Risultato: l’ingolfamento della “macchina dell’accoglienza”. “Le strutture comunali hanno svolto il loro compito con aree come via Spallanzani, ma quando ad ottobre è stato chiaro che i nuovi bandi non avevano più la caratteristica del contenimento, abbiamo fatto rilevare come questo elemento potesse costituire un dato negativo per le persone che avrebbero dovuto convivere con quella situazione”.
  • 8. La novità Che Anci stesse lavorando ad un trasferimento delle competenze dalle Prefetture ai Comune è cosa nota. Che Monza fosse già pronta ad assumersi questa responsabilità (non gratis) è stato ribadito ieri. “Come Anci – ha sottolineato Scanagatti, che è anche presidente lombardo dell’Associazione dei Comuni – abbiamo chiesto che venissero trasferite le responsabilità ora in capo alle Prefetture. Prendendoci delle gatte da pelare, visto che si parla di persone che non hanno ancora ottenuto il riconoscimento di rifugiato e che hanno tre gradi di giudizio nel caso in cui al primo grado venga rifiutato”. Allora perché prendersi questa responsabilità? Perché non mancano i vantaggi. Come cambieranno le cose “L’accordo con il ministero dell’Interno prevede che i Comuni che aderiscono al nuovo modello si assumono l’onere della gestione, ottenendo in cambio una clausola di salvaguardia. Ossia un tetto massimo del 2,5 per mille di presenze”. Per Monza si tratterebbe di ospitare, dunque, non più di 400 persone. “Questo – ha precisato il primo cittadino – è l’elemento che funge da garanzia”. Non solo. “Nell’ambito dell’accordo ci sono risorse economiche in capo ai Comuni e deroghe per la dotazione organica. Noi oggi subiamo ancora il blocco del turnover al 25%, ma per svolgere queste funzioni è necessario altro personale”. In pratica, chi accetta avrà soldi e possibilità di assunzione. I tempi di applicazione non saranno comunque brevissimi. Lo scorso 11 ottobre le Prefetture sono state informate con circolare ministeriale. Per chi non aderisce, saranno le Prefetture a continuare a decidere.
  • 9. Profughi: Il Comune vuole la gestione – Via Asiago e l’ospedale vecchio A Monza, come ha ribadito anche ieri, di strutture alternative per spostare gli immigrati di via Asiago non ce ne sono. Le soluzioni, infatti, sono arrivate dai privati. Esclusi tassativamente l’utilizzo dell’area ex TPM, che andrà ad accogliere i senzatetto durante l’inverno, e le case di proprietà comunale. Ultima spiaggia? L’ospedale vecchio, appunto. “L’Università Bicocca se ne è andata un anno fa e gli spazi sono tutti liberi. Sappiamo con certezza che lo stabile non sarà utilizzato se non fra qualche anno, sicuramente non prima” ha detto il sindaco. Profughi: Il Comune vuole la gestione – La proposta E qui è arrivata la zampata. Perché tolti i privati e tolte le aree comunali (ex TPM e case) di possibilità non ce ne sono. Come a dire, chi non accetta lascerà i residenti di via Asiago al loro destino: “Se il Consiglio comunale di Monza assume una posizione politica unitaria verso la Regione – ha concluso il sindaco – potremo trasferire i richiedenti all’interno dell’ospedale vecchio vista la situazione emergenziale. Finora questa proposta, avanzata al tavolo della Prefettura, non ha trovato ascolto. Ma una posizione unitaria che prescinda dagli schieramenti, può risolvere la situazione”. Good bye opposizione…