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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE UMANISTICHE
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN
LINGUE E CULTURE EUROPEE ED EXTRAEUROPEE
______________________________________________________________________________
GIUSEPPE PATTI
“LA NATURALEZZA STA AL TESTO
COME LA CORRETTEZZA GRAMMATICALE STA ALLA FRASE”
LA COLLOCAZIONE IN L2
Tesi
RELATRICE
Chiar.ma Prof.ssa F. V.
ANNO ACCADEMICO 2014- 2015
1
Indice
Abstract 4
Abstract 6
Resumen 8
Introduzione 10
Capitolo I 27
Quando i bambini fanno “boh!”
L’apprendimento della L1
Capitolo II 60
… E quando i «grandi» fanno “boh!”?
L’apprendimento della L2
Capitolo III 88
“Parole, parole, parole”
Il lessico della L2: quantità e qualità.
2
Capitolo IV 109
“These are words that go together well”
La collocazione.
Capitolo V 135
Quid prodest?
A che serve conoscere le collocazioni?
Capitolo VI 164
Modus operandi
Come testare la competenza collocazionale
Capitolo VII 197
“Adesso quello che voglio sono i Fatti…
Servono solo i Fatti nella vita.”
Risultati
3
Capitolo VIII 231
Pars construens
Come favorire nell’immediato lo sviluppo
della competenza collocazionale
Capitolo IX 246
“Con la cultura non si mangia”
Ipotetiche iniziative editoriali finalizzate
allo sviluppo della competenza
collocazionale.
Bibliografia 252
Webgrafia 272
Dediche e ringraziamenti 276
4
Abstract
Nello studio delle lingue straniere, specie nelle fasi iniziali, a chi non è
mai capitato di porsi quesiti come “si può dire do a mistake in inglese?”,
o “come si dice apparecchiare la tavola in tedesco?”, o ancora “è giusto
dire feu jaune (semaforo giallo) in francese?”, “è possibile dire empezar
con (iniziare con) in spagnolo?” ?
Quante volte all’insegnante che ci aveva appena risposto si è chiesto
disorientati “perché si dice make a mistake?”, “Perché si dice Tisch
decken che letteralmente significa coprire la tavola?”, “Perché si dice
feu orange (letteralmente semaforo arancione)? “Perché si dice
empezar por?”?
E quante volte quest’ultimo non ha potuto fare altro che replicare con
un laconico e deludente “perché si dice così.”?
5
Ciò che si cela dietro questo trito “perché si dice così” è la collocazione.
La collocazione è la combinazione di due o più parole che tendono a
presentarsi insieme nello stesso enunciato o tra enunciati prossimi.
Tuttavia, ogni lingua ha per ogni parola un diverso repertorio di
collocazioni.
Queste differenze tra collocazioni rendono più complicato di quanto si
pensi la padronanza di una lingua straniera.
Anche se è vero che gli scambi comunicativi possono concludersi con
successo nonostante l’uso di espressioni linguistiche inusuali per un
madrelingua, la glottodidattica dovrebbe favorire lo sviluppo di una
maggiore accuratezza linguistica nell’apprendente. Perché, come
scriveva Sinclair in Corpus, Concordance, Collocation “la naturalezza
sta al testo come la correttezza grammaticale sta alla frase”.
Questa tesi si propone di descrivere in dettaglio il fenomeno linguistico
della collocazione; avanzare delle proposte finalizzate all’introduzione
del concetto di collocazione nell’insegnamento delle lingue straniere;
6
ed, infine, testare la competenza collocazionale di studenti di lingua
inglese dal differente grado di competenza linguistica.
Abstract
In the study of foreign languages, especially initially, who has never
wondered “Can you say lui ha problemi finanziari (he has financial
problems) in Italian?” Or, “How do you say blue jokes in Spanish?”,
or “Is it correct to say le feu est jaune (the traffic light is yellow) in
French?”, or “Is it possible to say Hausaufgaben tun (do the homework)
in German?”?
How many times, after being corrected by the teacher, have you asked,
disoriented, “Why do you say lui ha problemi economici (economic
problems)?”, “Why do you say bromas verdes (green jokes)?” “Why
do you say le feu est orange (the traffic light is orange)?, “Why do you
say Hausaufgaben machen ?”?
Furthermore, how many times has the teacher had to reply with a brief
and disappointing “It’s just like that”?
7
What lies behind this hackneyed “It’s just like that” is collocation.
Collocation constitutes a subset of formulaic sequences and can be
described as a syntagmatic unit made up of frequently recurring words.
Unfortunately, each word (node) in each language has a different set of
collocates.
Collocational differences between languages make it harder than
commonly thought for learners to master a foreign language.
Even if communicative exchanges can come to a successful end despite
the use of linguistic expressions that do not sound natural to a native
speaker, foreign language teaching should encourage the development
of linguistic accuracy by the learner.
Because, as Sinclair wrote in Corpus, Concordance, Collocation,
“Naturalness is to text what grammatical correctness is to sentence”.
This dissertation aims to describe in detail the linguistc phenomenon of
collocation; to put forward some suggestions to introduce the concept
8
of collocation in foreign language teaching; and, finally, to test some
different proficiency level students on their collocational knowledge.
Resumen
En el estudio de las lenguas extranjeras, sobre todo en las fases
iniciales, quién no se ha planteado nunca interrogantes como: “¿se
puede decir do a mistake en inglés?”, o “¿cómo se dice CD vírgen en
alemán?”, o aun “¿es correcto decir feu jaune (semáforo amarillo) en
francés?”, “es posible decir iniziare per (empezar por) en italiano?
¿Cuántas veces, a causa de la desorientación provocada por la
corrección del docente, se ha preguntado “¿por qué se dice make a
mistake?”, “¿por qué no se puede traducir CD vírgen como
jungfräuliche CD, sino solo como leere /unbespielte CD? “¿Por qué se
dice feu orange (literalmente semáforo naranja)?” “Por qué se dice
iniziare con?
9
Y, ¿cuántas veces el docente no pudo más que contestar con un
lacónico y decepcionante “porque se dice así”?
Detrás de este trillado “porque se dice así” está la colocación.
La colocación es la combinación compuesta por dos o más palabras que
se distinguen por su alta frecuencia de uso. Y cada lengua tiene, para
cada palabra, un diferente conjunto de colocaciones.
Estas diferencias hacen más complicado de lo que se suele pensar el
dominio de una lengua extranjera.
Aunque es verdad que los intercambios comunicativos pueden
concluirse con éxito a pesar del uso de expresiones lingüísticas
inusuales por parte de un hablante nativo, la glotodidáctica debería
favorecer en el estudiante el desarrollo de una mayor precisión
lingüística. Porque, como escribía Sinclair en Corpus, Concordance,
Collocation “la naturalidad es al texto, lo que la corrección gramatical
es a la frase”.
Esta tesis se propone describir en detalle el fenómeno lingüístico de la
colocación; plantear propuestas para introducir el concepto de
colocación en la enseñanza de las lenguas extranjeras; y, por último,
10
averiguar la competencia colocacional en estudiantes de lengua inglesa
pertenecientes a niveles diferentes.
Introduzione
“Michelle, ma belle,
These are words that go together well, my Michelle.
Michelle, ma belle,
Sont des mots qui vont très bien ensemble.
I love you, I love you, I love you.
That's all I want to say.
Until I find a way
I will say the only words I know that
You'll understand.”
The Beatles, Michelle.
“… Il lettore capisce quello che sta succedendo solo se si dice
siamo a un muro contro muro, il governo annuncia lagrime e
sangue, la strada è tutta in salita, il Quirinale è pronto alla
11
guerra, Craxi spara alzo zero, il tempo stringe, non va
demonizzato, non c’è spazio per i mal di pancia, siamo con
l’acqua alla gola, ovvero siamo nell’occhio del ciclone. E il
politico non dice o afferma con energia, ma tuona. E le forze
dell’ordine hanno agito con professionalità1
”
Umberto Eco, Numero zero.
L’idea di realizzare questo lavoro deriva non solo dalla curiosità
instillatami dalla professoressa Vigo nel corso di un ciclo di lezioni
sulla lingua inglese durante il mio primo anno accademico, ma anche
dalle mie esperienze di studente, traduttore amatoriale, tirocinante e di
tutor.
Stando a contatto con gli studenti del liceo scientifico-linguistico e con
i miei colleghi iscritti al primo anno del corso di laurea triennale mi
sono accorto che la fase di produzione presentava dei grossi ostacoli.
Infatti, sebbene gli studenti e i colleghi conoscessero e riconoscessero
i termini presenti nei testi, faticavano ad associare le parole per
1
Grassetto e sottolineato dello scrivente.
12
produrre dei discorsi articolati e personali.
Molto spesso le studentesse e gli studenti si rifugiavano in frasi scarne
o estratte dal libro di testo2
, sacrificando il proprio pensiero. Oppure,
quando erano determinati nell’esprimere la propria opinione, si
limitavano a tradurre in inglese parola per parola delle espressioni
tipicamente italiane3
(*do a picture, *strong rain, etc… ).
A questo problema di fluenza e appropriatezza linguistica se ne
accompagnava un altro, di natura psicologica, ben descritto da Morgan
Lewis:
“[…] students become frustrated
when they are unable to talk or
Gli studenti sviluppano un
sentimento di frustrazione
2
Casi di cosiddetti ‘lexical teddy bears’. Termine coniato da Hasselgren Angela in Hassalgren
Angela, 1994, “Lexical teddy bears and advanced learners: A study into the ways Norwegian
students cope with English vocabulary”. International Journal of Applied Linguistics, 4(2),
237-258.
3
Come anche notato da Nadja Nesselhauf. Nadja Nesselhauf, 2003, “The Use of Collocations
by Advanced Learners of English and Some Implications for Teaching”, Applied Linguistics
24 (2), 223-242. Traduzione dello scrivente.
13
write about ideas which they can
comfortably talk or talk about in
their mother tongue.4
”
quando non sono in grado di
parlare o scrivere di idee di cui
riescono a scrivere o parlare
facilmente nella propria lingua
madre.
La scarsa consapevolezza del fenomeno linguistico della collocation
non l’ho riscontrata solo negli studenti e nei colleghi con cui ho avuto
modo di collaborare, ma anche nella traduzione inglese del sito
ufficiale di EXPO 2015.
“[…] in homepage si legge il titolo «Albanese looks backstage at the
communication campaign of Expo Milano 2015». Il riferimento è alla
campagna di comunicazione di Expo, la cui voce sarà l’attore Antonio
Albanese, ma nessuno conosce l’espressione <looks backstage>,
4
Morgan Lewis, “There is nothing as practical as a good theory” in Michael Lewis (ed.), 2000,
Teaching Collocation: Further Developments in Lexical Approach, Thomson Heinle Language
Teaching.
14
semplicemente perché non esiste.5
”
Passando in rassegna i casi che avevo raccolto, mi accorsi che quegli
enunciati soddisfacevano quasi tutte le proprietà che, secondo Laufer6
,
sono indice della conoscenza di un termine (ricorrevano in una forma
e una struttura morfologica corretta, rispettavano il pattern
sintattico della frase, avevano un significato comprensibile), tranne
una: le collocazioni privilegiate.
Le collocazioni si riscontrano dappertutto in ogni lingua e sono
fondamentali nella comunicazione.
5
Giacomo Valtolina, Quegli strafalcioni (in lingua straniera) sul sito di Expo, Corriere della
Sera, domenica 1 febbraio 2015, p. 27.
Consultabile anche alla pagina web:
http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_febbraio_01/sito-web-expo-strafalcioni-lingua-
straniera-b1aeddd4-a9ee-11e4-a06a-ec27919eedf1.shtml
Ultimo accesso: 18/06/2015.
6
Bettoni, Camilla, 2002, Imparare un’altra lingua. Lezioni di linguistica applicata, Roma –
Bari, Editori Laterza.
15
Tuttavia, poiché, in gran parte, differiscono da una lingua all’altra, esse
costituiscono un ostacolo per chi studia un’altra lingua.
Soprattutto ai livelli più avanzati, gli apprendenti di una lingua straniera
vengono immediatamente riconosciuti come tali perché dimostrano
incertezze nell’uso delle collocazioni.
Mentre i parlanti di L1 memorizzano le collocazioni fin dall’infanzia
e le usano intuitivamente in modo appropriato e non le percepiscono
come nulla di particolare, per gli stranieri esse rappresentano delle
espressioni “particolari” da imparare a memoria.
Per esempio, un apprendente d’inglese dovrebbe essere reso
consapevole del fatto che in questo idioma, per riferirsi all’azione di
cattura di un’istantanea, si devono combinare al sostantivo <picture> i
verbi <get>, <snap>, <take> (take a picture), che il sostantivo
<rain> è solitamente preceduto dagli aggettivi <drenching>, <heavy>,
<pouring>, <torrential>, etc…, che il verbo <look>, nell’accezione di
<guardare>, è seguito da <at>, <toward> o <towards>.
Chi ha a che fare con una lingua straniera dovrebbe essere reso
consapevole. Dovrebbe. Ma spesso non lo è, perché, come hanno
constatato anche Balboni e Bettoni, l’apprendimento del lessico è
16
trascurato o affidato alla libera iniziativa degli studenti.
“[…] i manuali sorvolano (troppo) su questa componente della
competenza linguistica, affidandosi ad una miracolosa acquisizione
spontanea del lessico incluso nei dialoghi, nelle letture, nei materiali
autentici riprodotti.7
”
“Nelle tradizionali dicotomie forma vs contenuto e accuratezza vs
fluenza, l’attenzione, l’attenzione è stata finora rivolta più
all’evoluzione degli elementi formali della lingua, e molto meno
all’evoluzione dell’abilità del comunicare, di come si diventi più fluenti
nell’uso della L2. E tutto questo nonostante la ormai indiscussa
convinzione che lo scopo primario dell’apprendimento linguistico
(anche scolastico) sia oggi quello comunicativo pratico.
Per quanto riguarda i livelli di analisi, è stato certamente privilegiato
quello grammaticale. Oggi si tenta di rimediare, soprattutto con la
7
Balboni, Paolo Emilio, 2012, “Etica e glottotecnologie” in Caon Fabio & Graziano
Serraggiotto (a cura di), 2012, Tecnologie e didattica delle lingue, Torino, Utet università, p.
41.
17
fonologia e la pragmatica, ma rimane ancora trascurato il lessico.8
”
Da queste due citazioni risulta evidente come il lessico non goda di
un’adeguata considerazione nei corsi d’inglese.
Se al lessico non viene dedicato lo spazio che merita, al concetto di
collocazione non viene riservato neanche questo spazio di nicchia.
Infatti, la collocazione è un fenomeno linguistico su cui, solo a partire
dai primi anni Ottanta, è cominciata a convergere l’attenzione dei
linguisti9
.
Di seguito vengono riportati dei dati illustrati da Celia Shalom,
dell’Università di Liverpool, in un articolo apparso su Modern English
Teacher e che danno un’idea di quanto sia limitata la consapevolezza
di questo fondamentale fenomeno linguistico:
8
Camilla Bettoni, 2002, Imparare un’altra lingua. Lezioni di linguistica applicata, Roma –
Bari, Editori Laterza, p.18.
9
Krishnamurthy Ramesh, John Sinclair, Robert Daley & Susan Jones (eds.), 2004, English
Collocation Studies : the OSTI report: Research in Corpus and Discourse, London,
Continuum.
18
“[Some recent] research on
collocational awareness found
that half of a sample of English
teachers in Switzerland talked
about collocation to their
students while only 8% taught it
explicitly.10
”
Un recente studio riguardante la
consapevolezza del concetto di
collocation ha dimostrato che
metà degli insegnanti d’inglese in
Svizzera menziona il concetto di
collocation e solo l’8% lo tratta
in maniera esplicita.
Questo lavoro può idealmente considerarsi in continuità con la mia
precedente analisi dei neologismi che hanno fatto il loro ingresso nella
lingua inglese lungo il corso del decennio 1997-2007.
Tuttavia, in questo caso, la parola non rappresenta il centro unico
dell’attenzione.
Qui siamo in presenza di due fuochi. Di questi, uno è occupato dalla
10
Michael Lewis, “Materials and resources for teaching collocation” in Michael Lewis (ed.),
2000, Teaching Collocation: Further Developments in Lexical Approach, Thomson Heinle
Language Teaching, p. 202-203. Traduzione dello scrivente.
19
parola, o, ad essere più precisi, dalle sequenze di parole.
Infatti, come possono confermare gli studi della linguistica dei corpora
(corpus linguistics) rinvigoriti dai moderni e computerizzati corpora
concodancer, le parole non ricorrono quasi mai da sole nei testi (siano
essi scritti o orali), ma, piuttosto, in sequenze frequenti e prevedibili.
L'altro fuoco del presente lavoro è occupato da un’indagine statistica
sulla conoscenza delle 68 collocazioni inglesi più frequenti in studenti
universitari divisi per anno accademico e distinti in tre livelli di
competenza: B1+, B2 e C1 del Quadro Comune Europeo di
Riferimento per la conoscenza delle lingue.
A margine e a conclusione di questa introduzione, mi preme chiarire
perché abbia deciso di adoperare la lingua italiana per l’illustrazione di
questo studio.
Ho deciso di ricorrere alla “lingua del sì”, piuttosto che cimentarmi in
un esercizio di scrittura in inglese perché, in primo luogo, il fenomeno
della collocazione gode di poca attenzione nell’ambito degli studi
linguistici e glottodidattici italiani. Le pubblicazioni, rispetto a quelle
20
in inglese, sono poco numerose. In più, nelle sue rare apparizioni, alla
collocazione sono dedicate solo poche righe.
• Dizionario delle combinazioni lessicali di Francesco Urzì
(Edizioni Convivium Lussemburgo, 2009);
• MdD. Modi di dire. Lessico italiano delle collocazioni di
Domenico Russo (ARACNE editrice S.r.l, 2010)
• Dizionario delle collocazioni. Le combinazioni delle parole in
italiano di Paola Tiberii (Zanichelli, 2012).
In ritardo di quasi ventisette anni rispetto al primo dizionario inglese di
collocazioni. Il Selected English Collocations, a cura di Christian
Douglas Kozłowska e Halina Dzierżanowska, apparve per la prima
volta nel 198211
.
Verrebbe da chiedersi, inoltre, se sia da imputare alla mancanza di
consapevolezza di questo fenomeno linguistico l’abuso in italiano del
11
Cowie, A.P., 1999, English Dictionary for Foreign Learners: A History, Oxford, OUP.
21
verbo <fare>, o la fiducia cieca riposta in strumenti di traduzione
automatica; comportamento, quest’ultimo, che danneggia i traduttori
professionisti, gli esperti della lingua in cui il messaggio verrà tradotto
e, molto spesso, il contenuto stesso del messaggio.
Sebbene la collocazione possa essere sconosciuta agli utenti di questi
software, il fenomeno non può che essere stato presente nei pensieri
degli sviluppatori dei traduttori automatici di nuova generazione.
Consideriamo il caso di Google Translate. A differenza di tutti gli altri
progetti fallimentari di traduzione automatica che lo hanno preceduto,
il traduttore elettronico sviluppato da Big G presenta una novità
rivoluzionaria.
Come spiega chiaramente David Bellos nel suo Is That a Fish in Your
Ear?, le traduzioni prodotte da Google Translate sono il frutto di un
processo di ricerca di corrispondenze tra espressioni equivalenti
nei testi presenti sulla rete che si avvale, anche, delle conoscenze
22
linguistico-traduttive degli internauti12
.
Attraverso questo ingegnosissimo sistema che combina l’intelligenza
del web e dell’uomo la traduzione viene resa più affidabile.
Più affidabile, ma non perfetta ed applicabile a qualsiasi enunciato e a
qualsiasi contesto.
Insomma, nonostante gli sforzi encomiabili dei tecnici di Google, allo
stato attuale delle cose, Google Translate produce ancora delle
traduzioni imbarazzanti (a volte degne di essere paragonate alla
memorabile supercazzola Prisencolinensinainciusol di Adriano
Celentano) semplicemente perché ripropone la traduzione di quanto sia
stato già tradotto.
In secondo luogo, ho scelto di scrivere questo lavoro in lingua italiana
12
Bellos, David, 2011, Is That a Fish in Your Ear? The Amazing Adventure of Translation,
London, Penguin.
23
perché, come sostengono tanto Michael Lewis13
quanto Nadja
Nesselhauf14
, un approccio che tenga in considerazione la L1
13
“The two traditional ideas which rather
fell out of favour while the Communicative
Approach began to dominate teacher
training and classroom practice –
translation and interference – turn out to be
surprisingly fruitful when seen in the
context of a lexical view of language.”
Le due idee tradizionali che hanno piuttosto
perso il favore di cui godevano quando
l’approccio comunicativo ha iniziato a
prevalere nella formazione degli studenti e
nella pratica didattica- traduzione e
interferenza – sono risultate
sorprendentemente proficue, se viste nel
contesto di una analisi lessicale del
linguaggio.
Lewis, Michael, 1997, Implementing the Lexical Approach. Putting the Theory into Practice,
Heinle CENGAGE Learning, p. 60. Traduzione dello scrivente.
14
“Of the possible combinations, then, only
the frequent and acceptable ones sas well as
the non-congruent ones should be taught
[…] In those many cases where it is
possible […] an L1-based approach to the
teaching of collocations seems highly
desirable”
Delle possibili combinazioni, quindi,
dovrebbero essere insegnate solo quelle
frequenti e accettabili così come quelle non-
equivalenti […] In quei molti casi in cui sia
possibile […] sembra altamente desiderabile
un approccio all’insegnamento delle
collocazioni basato sulla L1.
24
dell’apprendente costituisce un’opzione estremamente valida, sia dal
punto di vista didattico che economico.
Inoltre, le teorie e i dati presenti in questo lavoro potrebbero risultare
utili in ulteriori lavori sul medesimo argomento, o sulla comparazione
tra le collocazioni italiane e quelle straniere, o su delle tecniche
mnemoniche innovative finalizzate all’acquisizione delle collocation15
,
Nesselhauf, Nadia, 2003, “The Use of Collocations by Advanced Learners of English and
Some Implications for Teaching”, Applied Linguistics, 24 (2), pp. 223-242, p. 239-240 .
Traduzione dello scrivente.
15
Si potrebbe colmare così una delle lacune riscontrate da Frank Boers all’interno del Lexical
Approach proposto da Michael Lewis:
“In this approach, learners are
systematically encouraged to notice
recurring lexical chunks in the authentic L2
language they are exposed to. Lewis does
not propose many mnemonic strategies to
help learners to commit those chunks to
memory, but seems to rely mostly on the
power of awareness-raising to trigger
acquisition through imitation of sequences
In questo approccio, gli apprendenti sono
sistematicamente incoraggiati a notare delle
sequenze lessicali ricorrenti in materiale
autentico della L2 a cui sono esposti. Lewis
non propone molte strategie mnemoniche
per aiutare gli apprendenti a vincolare
queste sequenze alla memoria, ma sembra
affidarsi soprattutto alla potenza dello
sviluppo di una consapevolezza linguistica
che, attraverso l’imitazione, attivi
25
etc...
Infine, l’ultima motivazione che mi ha spinto a scrivere in italiano è
che, nella malaugurata ipotesi che il mio studio dovesse prestarsi a delle
critiche che ne minassero il valore, si saranno, per lo meno, rese
disponibili ad un/a qualsiasi lettore/trice italiano/a i contenuti e i
risultati dell’attuale ricerca glottodidattica riconducibile al lexical
approach.
Indipendentemente dalle critiche che possa subire, sono fermamente
convinto che questo giovane (anche se redivivo. L’indiscutibile padre
encountered either inside or outside the
classroom.
To our knowledge, no ‘hard’ empirical
evidence of the effectiveness of ‘chunk-
noticing’ has been published yet […] and
[…] no supporting statistical evidence.”
l’acquisizione di sequenze incontrate sia
fuori che dentro la classe.
Per quanto ne sappiamo, fino ad ora non è
stata pubblicata nessuna vera prova empirica
dell’efficacia di questa osservazione
sistematica, […]e […] nessun dato statistico
a sostegno del Lexical Approach.
Boers, Frank et al., 2006, “Formulaic sequences and perceived oral proficiency: putting a
Lexical Approach to the test”, Language Teaching Research, Vol. 10, No. 3, 245 -
261 doi:10.1191/1362168806lr195oa, p. 248.Traduzione dello scrivente.
26
fondatore è Harold Edward Palmer16
), settore della linguistica applicata
meriti più attenzione.
Infatti, secondo il mio modestissimo punto di vista, lo studio e
l’introduzione della collocazione nell’insegnamento delle lingue
straniere (e materne) potrebbero risultare estremamente preziosi sia per
l’apprendimento che per la padronanza di qualsiasi idioma.
Parafrasando Oscar Wilde; parlatene bene, parlatene male, ma purché
se ne parli17
.
16
Palmer, Harold, Edward, 1933, Second Interim Report on English Collocations, A New
Classification of English Tones, Tokyo, Kaitakusha.
17
“There is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being
talked about” in Wilde, Oscar, 1890, The Picture of Dorian Grey. Capitolo 1.
27
Capitolo I
Quando i bambini fanno “boh!”
L’apprendimento della L1
La psicolinguistica, disciplina che si occupa dell’acquisizione del
linguaggio e dei meccanismi di codifica e decodifica, si trova concorde
nell’affermare che esista una facoltà di linguaggio propria della nostra
specie, che essa sia innata e, di conseguenza, trasmessa geneticamente.
A sostegno di tale ipotesi ci si avvale di tre considerazioni:
1. Lo sviluppo del linguaggio dei bambini si svolge secondo
percorsi simili a prescindere dal contesto socio-culturale in cui
cresce: per ogni lingua, almeno per i primi 36 mesi, l’acquisizione
linguistica segue tappe prevedibili.
2. La linguistica acquisizionale mostra l’esistenza di un «ordine
naturale» applicabile non solo all’acquisizione della/e
28
madrelingua/e ma anche all’acquisizione di altre lingue,
indipendentemente dall’età.
3. L’analisi delle lingue esistenti al mondo sembra suggerire
l’esistenza di una «grammatica universale», cioè di meccanismi
che accomunano tutte le lingue. Tale fenomeno è spiegabile solo
ricorrendo all’ipotesi di una facoltà di linguaggio innata18
.
Insomma, nella costituzione degli esseri umani esiste qualcosa che
permette loro di acquisire la prima e le seconde lingue.
Chomsky19
parla, a questo proposito, di un meccanismo di acquisizione
linguistica (Language Acquisition Device, LAD in sigla) e lo considera
come un vero e proprio organo del linguaggio, innato e indistinto da
tutte le altre facoltà mentali. Krashen propende, invece, per un altro
termine: organizzatore.
18
Balboni, Paolo, Emilio, 2013, Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse.
Terza edizione, Torino, Utet università.
19
Balboni, Paolo, Emilio, 2013, Cit.
29
Di sicuro, c’è che, di questo meccanismo, conosciamo poco, al
momento.
È una sorta di scatola near che sembra responsabile dell’elaborazione
delle informazioni presenti nell’input per produrre un sistema
linguistico.
Che questo ‘organizzatore’ sia il cervello è ormai abbastanza ovvio20
.
Considerata questa unità di fondo dell’acquisizione linguistica, è utile,
concentrarsi sulle differenze eistenti tra l’apprendimento della L1 e
quello della L2.
Un’acuta e dettagliata descrizione di come si svolga l’apprendimento
linguistico della L1 da parte dei bambini è stata condotta da Jean
Aitchinson nei capitoli diciottesimo e diciannovesimo della quarta
edizione di Words in the Mind: An introduction to the Mental Lexicon.
20
Pallotti, Gabriele, 2012, La seconda lingua, Bompiani.
30
Secondo la professoressa emerita di Lingua e Comunicazione presso la
prestigiosa università di Oxford, le menti gli esseri umani, nei primi
anni di vita, inglobano parole con un’efficienza ed una facilità tali da
essere paragonate a delle calamite.
Le stime di Aitchinson21
, che si discostano lievemente da quelle di
Chomsky (12)22
e Miller e Gildea (13)23
, dicono che un bambino
acquisisce circa 10 vocaboli al giorno.
In media, all’età di 2 anni, i bambini adoperano attivamente circa 500
parole; intorno ai 3 più di 1000 e, all’età di 5, fino a 3000. Dal computo
sono esclusi i termini che fanno parte del lessico passivo. Quest’ultimo,
21
Aitchinson, Jean, 2012, Words in the Mind: An Introduction to the Mental Lexicon,Fourth
Edition, Wiley-Blackwell.
22
Chomsky, Noam, 1998, Language and Problems of Knowledge: The Managua Lectures.
Cambridge, MA, MIT Press.
23
Miller, G.A. & P.M. Gildea, 1987, “How children learn words”, Scientific American, 257,
86-91.
31
secondo uno studio condotto da Carrey24
, arriverebbe a comprendere
14000 elementi nei soggetti aventi 6 anni.
Tuttavia, considerare l’apprendimento della L1 come una semplice
memorizzazione di parole sarebbe estremamente riduttivo.
Lo sviluppo della L1 implica la comprensione dell’input (visivo e
sonoro), la formulazione e la verifica di ipotesi sugli stimoli
provenienti dall’esterno, la catalogazione, la contestualizzazione e i
tentativi di riproduzione degli stessi.
Prima di esprimersi con la consapevolezza tipica di un parlante adulto,
un bambino deve adempiere a tre compiti di fondamentale importanza:
1/3 La nomenclatura degli enti, degli oggetti o dei concetti
che circondano il bambino (labelling task, in termini
Aitchinsoniani).
2/3 La catalogazione del repertorio lessicale raccolto
(packaging task).
24
Carey Susan, 1978, “The child as a word learner”. In M. Halle, J. Bresnan, and G.A. Miller
(eds.), Linguistic Theary and Psychological Reality, Cambridge, MA, MIT Press.
32
3/3 La costruzione di una rete di associazioni
(enciclopediche, grammaticali, semantiche e collocazionali25
) per
i termini presenti nel proprio lessicale mentale (network-building
task).26
1/3 Il processo che conduce alla nomenclatura
Per i bambini, il processo di attribuzione dei nomi agli oggetti, alle
entità e ai concetti che costituiscono la realtà in cui è immerso è meno
semplice e diretto di quanto si è soliti credere27
.
È troppo semplicistico pensare che, per insegnare una parola ad un
neonato, basti indicare un oggetto o una persona e pronunciarne il nome
corrispondente scandendo le lettere che lo compongono.
La capacità di simbolizzazione, ossia la consapevole associazione di
una combinazione di suoni a un preciso significato, richiede tempo e,
normalmente, non emerge fino al compimento del primo anno di età.
25
Personalissimo neologismo utilizzato per facilità d’esposizione e creato tramite calco
dell’aggettivo inglese collocational (= relativo alle collocazioni).
26
Aitchinson, Jean, 2012, Cit.
27
Aitchinson, Jean, 2012, Cit.
33
Quei <mamma> e <papà>, pronunciati prima del compimento
dell’anno di età e che inorgogliscono i genitori, sono solo degli esercizi
articolatori28
.
Essendo suoni articolati con la parte anteriore della bocca (si noti che
la /m/ e la /p/ sono entrambe delle consonanti bilabiali), queste
sequenze foniche risultano facilmente riproducibili per un bambino.
Figura 1 – Esercizi articolatori nei bambini29
28
Aitchinson, Jean, 2012, Cit.
29
Immagine adattata da un fotogramma del video "10 Minuti con..." Ca' Foscari: Video lezione
di Didattica Lingue Moderne – BALBONI. Disponibile all’indirizzo:
34
Prima che un bambino acquisisca la capacità di simbolizzazione, le sue
espressioni vocali sono o dei semplici esercizi articolatori o una
specie di rito che accompagna le azioni quotidiane.
Per chiarezza d’esposizione, mi affiderò alla traduzione di un caso
riportato da Aitchinson e che ha come protagonista un bambino di
nome Adam.
“Dut” (“duck”) shriecked this
12-month-old child excitedly
each evening at bathtime as he
knocked a yellow toy duck off the
edge of the bathtub. Adam said
“Dut” only when Adam himself
knocked the duck off. And never
said “Dut” when the duck was
/dʌt/ (paperella, papeèlla nel
probabile italiano incerto di un
bimbo della stessa età) gridava
entusiasta questo bambino di 12
mesi ogni sera durante il
bagnetto quando buttava giù dal
bordo della vasca un giocattolo
https://www.youtube.com/watch?v=WP1hDnco-Qw
Ultimo accesso: 24/06/2015
35
swimming in the bath. So dut
seems to be an unanalysed cry
uttered as Adam swiped at the
duck. It was a ritualized
accompaniment to a whole
scenario, and could perhaps be
best translated as “Whoopee” or
“Here goes.”30
giallo dalle sembianze di una
papera.
Ma non ha mai detto /dʌt/
“papeèlla”quando la papera
galleggiava nella vasca.
Quindi /dʌt/ “papeèlla” sembra
essere uno strillo privo di
significato che Adam
pronunciava ogniqualvolta
colpisse la paperella. Era una
formula rituale che
accompagnava l’intera
situazione, traducibile come
“Sìììì!” o “Evvai!”
Come ulteriori prove di quanto sostenuto, Aitchinson descrive altre due
situazioni che vedono coinvolto Adam.
30
Aitchinson, Jean, 2012, Cit., p. 212. Traduzione dello scrivente.
36
“He said “Chuff-chuff” only
when he, Adam, was pushing his
toy train cross the floor. He did
not say “Chuff-chuff” when the
train was still. And he said
“Dog” only when his father, and
no one else, pointed to a picture
of a dog on his bib he was
wearing and said, “What’s
that?”31
[Adam] diceva “ciuf-ciuf” solo
quando lui stesso spingeva il
trenino per il pavimento. Cosa
che non faceva quando il trenino
era fermo. E diceva “cane” solo
quando suo padre, e nessun altro,
indicando la figura di un cane sul
suo bavaglino, gli chiedeva “Che
cos’è?”.
Insomma, in un primo momento, i bambini non sono consapevoli del
fatto che le parole possano servire per indicare un singolo elemento
all’interno della situazione che stanno sperimentando.
Come abbiamo visto, Adam, solo al tocco della paperella o del trenino,
diceva /dʌt/ (“dut” = papeèlla) o “ciuff-ciuff”; inoltre, solo nella
31
Aitchinson, Jean, 2012, Cit. p. 212. Traduzione dello scrivente.
37
circostanza in cui fosse stato il padre a chiedergli cosa ci fosse sul suo
bavaglino, rispondeva “dog”.
Una volta raggiunta la consapevolezza di un legame tra un suono
vocale e un singolo elemento di una situazione rituale, i bambini
iniziano ad estendere l’insieme delle situazioni in cui adoperare tali
sequenze vocali rituali.
“For example, he began to use the
word dog not only when his father
pointed to the dog on his bib and
said, “What’s that?” but also
when his mother or he himself did
so.”32
Per esempio, [Adam] iniziò a
usare la parola cane non solo
quando il padre, indicando il
cane raffigurato sul suo
bavaglino, diceva “che cos’è?”,
ma anche quando lo faceva la
madre o lui stesso.
32
Aitchinson, Jean, 2012, Cit. , p. 212. Traduzione dello scrivente.
38
A questa fase ne segue un’altra in cui gli infanti riescono finalmente a
spezzare il legame tra una parola e la situazione in cui è stata
memorizzata.
E incominciano a ricorrere ad una determinata parola per nominare gli
oggetti. Col tempo, inoltre, le parole apprese attraverso le
rappresentazioni verranno applicate anche agli oggetti o alle entità vere.
In pratica, il piccolo Adam userà la parola “duck” (paperella) anche per
indicare delle papere vere.
Adam, così come tutti i bambini, nel periodo compreso tra gli uno e i
due anni, entrano nella cosiddetta fase di nomenclatura (labelling
stage, espressione ancora una volta tratta da Aitchinson); fase in cui
apprendono i nomi delle cose e che si sovrappone con il processo di
catalogazione delle parole.
39
Figura 2 - Fase di nomenclatura33
2/3 Il processo di catalogazione
Questo processo ha come scopo finale non solo la sistemazione delle
varie parole in categorie (tanto un husky quanto un dalmata meritano
di essere considerati cani), ma anche la ridefinizione dei significati di
alcune parole precedentemente apprese (la parola freddo non denota
33
Immagine adattata da un fotogramma del video "10 Minuti con..." Ca' Foscari: Video lezione
di Didattica Lingue Moderne – BALBONI. Disponibile all’indirizzo:
https://www.youtube.com/watch?v=WP1hDnco-Qw
Ultimo accesso: 24/06/2015
40
esclusivamente lo stato fisico di un cibo, di una bevanda o di un
oggetto, ma anche il temperamento di una persona).
Figura 3 - Processo di catalogazione34
Nel corso di tale processo, il bambino può andare incontro a due errori
opposti: la sottoestensione (underextension) e la sovraestensione
(overextension).
34Immagine adattata da un fotogramma del video "10 Minuti con..." Ca' Foscari: Video lezione
di Didattica Lingue Moderne – BALBONI. Disponibile all’indirizzo:
https://www.youtube.com/watch?v=WP1hDnco-Qw
Ultimo accesso: 24/06/2015
41
Tra i due, il fenomeno di gran lunga più frequente è la sottoestensione.
Questo errore consiste nella convinzione che un vocabolo si riferisca
ad un numero più ristretto di concetti di quanto sia realmente. La
letteratura psicologica è ricca di esempi chiarificatori.
In uno studio pubblicato da Leopold nel 1947, si documenta il caso di
Hildegard, una bimba di appena 20 mesi che si rifiutava di accettare di
adoperare il termine bianco per indicare un foglio vuoto,
semplicemente perché lei aveva associato questa parola sempre e solo
alla neve35
.
Un situazione simile è stata registrata da Asch e Nerlove.
Nell’esperimento i bambini coinvolti dimostravano di sapere che il
latte potesse essere definito freddo o che l’acqua potesse essere
35
Leopold W.F., 1947, Speech Development of a Bilingual Child, vol. 2: Sound-learning in the
First Two Years, Evanston, IL, Northwestern University Press.
42
descritta come profonda, ma ignoravano che questi aggettivi potessero
essere applicati anche per la descrizione delle persone36
.
La sottoestensione è un errore piuttosto normale e viene superato con
la graduale ridefinizione dei significati delle parole apprese.
L’altro ostacolo in cui possono imbattersi i piccoli apprendenti della L1
è la sovraestensione. Con sovraestensione (il fenomeno opposto della
sottoestensione) si intende l’errore che induce il bambino a inserire in
una categoria elementi che ne sono estranei.
Esistono tre ipotesi sull’origine di questo tipo di errore: l’aggiramento
di un ostacolo (gap-filling) (che sia la riproduzione di un fono ritenuto
complicato o la scarsità di vocaboli nel lessico mentale per indicare
cose, persone o situazioni sconosciute fino ad un certo momento); la
confusione (mental fog) dovuta alla scarsa esperienza del bambino; e
36
Asch, S.E. & H. Nerlove, 1960, “The development of double-function terms in children: An
exploratory investigation” in B. Kaplan & S. Wapner, 1967, Perspectives in Psycological
Theory, New Your, International Universities Press.
43
un errore di valutazione (wrong analysis) nella fase di catalogazione
di alcune parole.
Secondo lo psicologo russo Vygotsky, i responsabili di tali sviste
sarebbero le associazioni a catena (chain-complex). I bambini, già
perfettamente capaci di fare deduzioni, tenderebbero a focalizzare la
propria attenzione su un singolo elemento alla volta per poi fare delle
generalizzazioni troppo ampie.
Vygotsky, all’interno di Thought and Language37
, documenta il caso di
bambino che apparentemente inspiegabilmente diceva “quac” per
riferirsi ad una papera in uno stagno, ad un bicchiere di latte, ad una
moneta raffigurante un’aquila e agli occhi di un orsacchiotto.
Per Vygotsky, la spiegazione è da trovare nella generalizzazione di
proprietà condivise dalle situazioni e dagli oggetti percepite dai
bambini: infatti, tanto lo stagno in cui nuotava la papera quanto il latte
all’interno del bicchiere condividono lo stato liquido; sia la papera che
37
Vygotsky, L.S., 1962, Thought and Language, trans. E.Hanfmann & G: Vakar. Cambridge,
MA, MIT Press.
44
l’aquila raffigurata sulla moneta sono due uccelli; infine, tanto la
moneta quanto gli occhi dell’orsacchiotto hanno una forma circolare.
Figura 4 - Esempio di associazione a catena (chain-complex)
Bowerman ritiene, invece, che questi sbagli siano dovuti all’adozione
di prototipi inappropriati. Questi prototipi vengono utilizzati per
condurre un’analisi contrastiva di quanto venga percepito.
La differenza tra il punto di vista dei bambini e quello degli adulti ( e,
conseguentemente, di prototipi) si ripercuote nelle scelte lessicali.
45
In The structure and origin of semantic categories in the language
learning child38
, la linguista statunitense riporta alcune considerazioni
su una bambina rispondente al nome di Eva.
Eva, nel periodo compreso tra i 16 mesi e i due ani di età, ricorreva al
termine <luna> non solo per indicare il satellite che orbita intorno alla
Terra, ma anche per riferirsi ad una fetta di limone, a una foglia verde
luccicante, ad un foglio a forma di mezzaluna, alle corna delle mucche
e ai legumi gialli e verdi con forma ricurva.
Secondo Bowerman, Eva non faceva altro che assegnare la stessa
etichetta a tutti gli oggetti che condividessero quella che, per lei, era la
caratteristica essenziale della luna: la forma.
38
Bowerman, Melissa, 1980, “The structure and origin of semantica categories in the language
learning child” in D. Foster e S.Brandes (eds.), 1980, Symbol as Sense: New Approches to the
Analysis of Meaning, New York, Accademic Press.
46
Figura 5 - Usi di <luna> secondo Eva39
Per mezzo della teoria dei prototipi, che permette di inglobare anche
quella della catena di associazioni elaborata da Vygotsky, si possono
spiegare sia la sovraestensione che i processi che guidano il modo di
catalogare degli adulti.
Infatti, per catalogare, tanto i bambini quanto gli adulti confrontano le
caratteristiche rilevate nei propri prototipi mentali con quelle percepite
nei nuovi stimoli.
39
Immagine adattata da Aitchinson, Jean, 2012, Cit. p. 216
47
Tuttavia, come dimostrano gli studi di Landau40
, Baldwin41
e
Merriman42
, durante l’infanzia, l’aspetto, e soprattutto la forma delle
cose, ha un’influenza determinante.
40
Landau, B., L.B. Smith & S. Jones, 1988, The importance of shape in early lexical learning.,
Cognitive Development, 3, 299-321.
Landau B., 1992, “Syntactic context and the sahpe biasin children’s and adults’ lexical
learning”, Journal of Memory and Language, 31, 807-25.
41
Baldwin, D.A., 1992, Clarifying the role of the shape assumption, Journal of Experimental
Child Psycology, 54, 392-416.
42
Merriman, W.F., P.D. Scott & J. Marazita, 1993, An appearance-function shift in children’s
object naming. Journal of Child Language, 20 101-18.
48
3/3 La creazione di una rete di associazioni
Figura 6 – Associazioni mentali43
La creazione di reti di associazioni è un processo che si svolge
lentamente. Solo col tempo, si giungerà all’instaurazione di quegli
stessi legami tra parole esistenti nella mente di un adulto.
43
Immagine adattata da un fotogramma del video "10 Minuti con..." Ca' Foscari: Video
lezione di Didattica Lingue Moderne – BALBONI. Disponibile all’indirizzo:
https://www.youtube.com/watch?v=WP1hDnco-Qw
Ultimo accesso: 24/06/2015
49
Questa lentezza è facilmente spiegabile alla luce del suddetto fenomeno
della sottoestensione e del fatto che i bambini imparano le parole in un
determinato contesto per poi, solo gradualmente, applicarle ad altre
situazioni.
Durante questa fase associativa, il bambino stabilisce tra le parole
connessioni di natura enciclopedica, grammaticale e collocazionale.
Ci si concentri, innanzitutto, sulle connessioni di natura
enciclopedica.
50
Come emerge chiaramente da numerosi studi44
, compresi quelli di
Piaget45
e di Macnamara46
, nelle fasi iniziali della crescita (intorno ai
due anni), vige una tendenza molto comune a far corrispondere, ad un
oggetto, uno ed un solo nome: un maialino è solo un maialino, e non,
anche, un animale.
Successivamente, attraverso l’apprendimento, intorno al prototipo di
una certa idea si coaguleranno tutti gli altri concetti collegati.
44
La preferenza per l’uso di una sola parola è stato definito in vari modi “principio di contrasto”
(principle of contrast) in Clark E.V., 1987, “The principle of contrast: A constraint on language
acquisition”, in B. MacWhinne, 1987, Mechanisms of Language Acquisition Hillsdale, NJ,
Lawrence Erlbaum.
“Esclusività reciproca” (mutual exclusitiy) in Merriman W.E. & L.L. Bowman, 1989, “The
Mutual Exclusivity Bias in Children’s Word Learning”, Monograpphs of the Society for
Research in Child Development, 54. Tuttavia si dibatte ancora se questa preferenza per
un’unica parola influisca a tutte le età.
45
Macnamara, J., 1982, Names for Things. Cambridge, MA, MIT Press.
46
Inhelder B., & J. Piaget, 1964, The Early Growth of Logic in the Child, London, Routledge
and Kegan Paul.
51
A tal proposito, è particolarmente significativo un esperimento
condotto da White47
su bambini di età compresa tra i 3 ed i 5 anni.
I bambini si mostravano concordi nel inserire tanto i passeri quanto i
pettirossi nella categoria composta dagli uccelli; tuttavia, si mostravano
contrari nel fare la stessa cosa con galline e papere.
Il motivo? Ai loro occhi, galline e papere non erano uccelli, ma
semplicemente galline e papere e, come tali, indegne di essere
considerate uccelli.
Nei bambini, il processo di creazione di reti di associazioni investe
anche la grammatica.
Apparenti involuzioni nell’uso della lingua possono essere il sintomo
di una possibile sistematizzazione dei concetti in fieri.
47
White, T.G., 1982, “Naming practices, tipicality, and underextension in child language”,
Journal of Experimental Child Psychology, 33, 324-46.
52
Questa sistemazione dei concetti attraverso errori è riscontrabile anche
nell’interlingua48
tipica l’apprendimento della L2.
Bowerman in Systematizing semantic knowledge: Changes over time
in the child’s organization of meaning49
riporta il caso di Christie, una
bambina anglofona di 2 anni.
“Christie used the words put
and give appropriately, as in
“I put it somewhere,”
“Gimme more gum.” Then,
when she was 3, she started to
use them interchangeably:
“You put (“give”) me bread
and butter,” “Whenever Eva
Christie usava le parole mettere e
dare appropriatamente, come in “lo
metto da qualche parte”, “dammi
un’altra chewing-gum”. Poi, all’età
di 3 anni, ha iniziato a usarli in
maniera intercambiabile: “Metti
(dai) a me pane e burro”, “Ogni
volta che Eva non ha bisogno del
48
“Chiaramente non più L1 e non ancora pienamente L2, l’interlingua è una lingua in continua
evoluzione verso la L2 man mano che l’apprendimento avanza.” Bettoni, Camilla, 2002,
Imparare un’altra lingua. Lezioni di linguistica applicata. Roma – Bari. Editori Laterza.
49
Bowerman, Melissa, 1978, Systematizing semantic knowledge: Changes over time in the
child’s organization of meaning. Child Development, 49, 977-87.
53
doesn’t need her towel, she
gives (“puts”) it on my table”.
Perhaps, suggested
Chriestie’s mother, she had
suddenly discovered that put
and give had very similar
meanings, but had not yet
realized that one puts
something on to a thing, but
gives something to a person.
Two more years elapsed
before Christie used put and
give correctly by adult
standards50
”.
fazzoletto, lo dà (mette) sul mio
tavolo”.
Forse, suggeriva la madre di
Christie, lei ha scoperto
improvvisamente che dare e mettere
hanno significati molto simili, ma
non ha ancora compreso che si
mette qualcosa su una cosa, ma si
dà qualcosa a una persona.
Sono trascorsi altri due anni prima
che Christie usasse mettere e dare
in maniera grammaticalmente
corretta.
Un altro tipo di legame lessicale che si forma durante l’infanzia è un
legame cui gli esseri umani, inconsciamente, molto legati, soprattutto,
50
Aitchinson, Jean, 2012, Cit. p. 218 – 219. Taduzione dello scrivente.
54
nel parlato51
: le collocazioni, ossia “la regolare cooccorrenza di due o
più parole di solito una vicina all’altra in un enunciato o in enunciati
prossima52
”.
Si pensi, per esempio, allo stile formulare di quelle opere letterarie e
non che in origine erano destinate all’oralità come i poemi epici o i libri
sacri (il pelide Achille, Achille piè veloce, la glaucopide Atena, Dio
Onnipotente, i 99 epiteti per Allah contenuti nel Corano, etc…).
Le collocazioni costituiscono una tale attrazione per la mente dei
bambini che Gropen53
è riuscito a riscontrare delle collocazioni di
origine visiva nella produzione linguistica di bambini non vedenti.
Emblematico è il caso di Kelli, una bimba non vedente:
“Kelli apparently started off by
learning the names for various
objects, like many sighted
Kelli apparentemente aveva
incominciato ad imparare i nomi
dei vari oggetti, come molti
51
Shin, Dongkwang, 2007, The High Frequency Collocations of Spoken and Written English.
English Teaching, Vol. 62, No. 1, Spring 2007.
52
Beccaria, Gian Luigi (ed.), 2008, “collocazione” in Dizionario di linguistica e di filologia,
metrica, retorica, Torino, Einaudi, p. 155.
53
Gropen, J., S. Pinker, W.E. Hollander, & R. Goldberg, 1991, “Affectedness and direct
speech” Cognition, 41, 153-96.
55
children. Then she noticed which
words could co-occur, again like
other children. She had heard
people talk about blue cars,
brown dogs and yellow flowers,
so she knew that colors things
could be […].”54
bambini normodotati. Quindi ha
notato quali parole ricorrevano
insieme, ancora una volta come
altri bambini. Avendo sentito gli
altri parlare di macchine blu,
cani marroni e fiori gialli,
sapeva di che colore fossero le
cose.
Tuttavia, come dimostrano gli studi di Entwisle55
, R. Brown e Berko56
,
pare che esista una ma a differenza tra le collocazioni abituali dei
bambini e quelle degli adulti.
54
Aitchinson, Jean, 2012, Cit., p. 217. Traduzione dello scrivente.
55
Entwisle, D.R., 1966, Word-associations of Young Children, Baltimore, MD, John Hopkins
Press.
56
Brown, R., & J. Berko, 1960, “Word association and the acquisition of grammar”, Child
Development, 31, 1-14.
56
Sembra, infatti, che nella scelta delle collocazioni degli adulti pesi la
consapevolezza dell’organizzazione del lessico in parti del discorso57
:
la sintassi.
La creazione di legami tra parole non può che trarre un ulteriore
rafforzamento dal procedimento attraverso il quale i bambini
apprendono a separare i singoli elementi presenti nella catena
fonica.
Per raggiungere tale scopo, i piccoli apprendenti, in una prima fase,
memorizzano e ripetono per intero le stringhe sonore (chunks) che
accompagnano dei gesti e/o delle situazioni rituali.
57
Brown, R., & J. Berko, 1960, Cit.
57
Figura 758
Aitchinson, a tal proposito, illustra i casi di due bambini, di cui uno
apprezzabile e comprensibile anche se in traduzione:
“Fourteen-month-old Minh
said Obedie apparently in
imitation of adult “Open the
door,” when he was pounding
on a closed door and shouting
Minh, un bimbo di appena 14 mesi,
mentre stava battendo i pugni
contro una porta chiusa e urlava a
suo fratello che si trovava dall’altro
lato, ha detto /ˈəʊbədi:/ (cioè apri la
58
Immagine adattata da Aitchinson, Jean, 2012, Cit. p.228.
58
to his older brother on the
other side. […]
Both these utterances seem to
be unanalyzed wholes, not yet
divided into words.”59
porta; apipòdda, nel probabile
italiano stentato di un bimbo)
nell’intento di imitare la frase
“Open the door” (apri la porta)
pronunciata da un adulto,. […]
Entrambi questi enunciati sembrano
delle sequenze foniche non ancora
suddivise in parole né, tantomeno,
analizzate.
A partire da questa collezione di pezzi non analizzati, gli infanti non
solo rafforzano la rete di legami esistenti tra le parole, ma, inoltre, sono
grado di:
1. Ricavare informazioni sull’accentazione delle parole
2. Trarre informazioni sul prosodia degli enunciati.
59
Aitchinson, Jean, 2012, Cit. p. 228. Traduzione dello scrivente.
59
3. Porre i presupposti necessari per la produzione orale tramite
l’associazione delle immagini sonore memorizzate con il
movimento dei muscoli coinvolti nella fonazione.
4. Costruirsi un piccolo repertorio lessicale60
pronto per l’uso con
l’indubbio vantaggio di ridurre i tempi di comprensione ed
elaborazione dei messaggi.
Conclusasi questa breve descrizione delle fasi iniziali di acquisizione
della L1, si può rivolgere l’attenzione alle dinamiche con cui si è svolto
e si svolge l’apprendimento della L2.
60
Aitchinson, Jean, 2012, Cit.
60
Capitolo II
… E quando i «grandi» fanno “boh!”?
L’apprendimento della L261
Come scriveva il filosofo greco Aristotele (IV secolo a.C.) in la
“Politica”, l’essere umano è un animale sociale; e, in quanto tale, tende
ad aggregarsi con altri individui e a costituirsi in società.
Tuttavia, i rapporti tra gli esseri umani, nel corso dei millenni, non si
sono limitati a quelli tra membri di piccole comunità isolate tra loro,
ma hanno anche visto il coinvolgimento di membri di comunità più o
meno vicine per scambi commerciali o guerre. Altre volte, invece, sono
stati i processi migratori a mettere in contatto popolazioni molto diverse
tra loro.
In queste occasioni di contatto, la comunicazione ha, ovviamente,
rappresentato un ostacolo considerevole.
61
In questo lavoro, L2 indica qualsiasi lingua un individuo impari dopo che si sia stabilizzata
la sua prima lingua (L1). Pertanto, con L2 si intende anche una terza lingua, una quarta, ecc.…
61
Tra le soluzioni adottate dagli esseri umani per venire a capo di questo
problema non c’è stata solo la creazione di lingue ibride destinate
all’espletamento di una determinata funzione (le lingue pidgin), ma
anche l’apprendimento delle lingue straniere.
Renzo Titone, nel suo Cinque millenni di insegnamento delle lingue62
,
ci ricorda che le prime tavolette bilingui ittite-sumere risalgono al 2600
a.C..
Se l’apprendimento e l’insegnamento delle lingue straniere
costituiva una necessità più di 4000 anni fa, figuriamoci in un’epoca in
cui i mezzi di trasporto e le telecomunicazioni hanno trasformato il
mondo in un villaggio globale.
La scienza che studia l’insegnamento delle lingue è la
glottodidattica.
Questa scienza, chiamata anche, a seconda dei vari universi
epistemologici di riferimento, pedagogia delle lingue, linguistica
62
Titone, R., 1986, Cinque millenni di insegnamento delle lingue, Brescia, La Scuola.
62
applicata, linguistica educativa, didattologia delle lingue –culture e
didattica delle lingue moderne, ha registrato, nell’ un notevole
sviluppo che ha condotto ad un susseguirsi di innovazioni teoriche e
pratiche63
.
Questo capitolo si propone di passarle in rassegna per capire in che
modo si sia evoluto l’insegnamento della L2.
Nel mondo romano, nel Medioevo e nel corso del Rinascimento,
l’insegnamento delle lingue si svolgeva attraverso l’interazione con un
parlante nativo (ad esempio, uno schiavo ellenico al servizio di una
famiglia romana, o un intellettuale ospite presso una corte straniera).
Poste queste condizioni, l’insegnamento non poteva che essere
finalizzato alla comunicazione. L’attenzione all’uso prevaleva sulla
forma ed, inoltre, i modelli da imitare e le regole da rispettare erano
tratti dai testi classici.
63
Balboni, Paolo Emilio, 2012, Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse,
Torino, Utet università.
63
A partire dal Seicento fino quasi ai nostri giorni (in Italia è entrato in
crisi negli anni Settanta-Ottanta), la didattica delle lingue assunse il
cosiddetto approccio64
formalistico.
Tale scelta fu dovuta alla pesantissima eredità lasciata
dall’insegnamento del latino e alla compilazione dei primi dizionari e
grammatiche da parte di quelle istituzioni nate per studiare e normare
le varie lingue volgari (l’Accademia della Crusca in Italia, Port Royal
in Francia, la Royal Society in Inghilterra).
L’approccio formalistico si basava sulla convinzione che la lingua
fosse un’entità priva di vita strettamente conforme alle regole fissate
dalla grammatica.
Le pratiche didattiche che discendevano da questo approccio si
limitavano alla lettura e alla traduzione di testi (a volte privi di un fine
concreto), rivolgevano la massima attenzione alla grammatica
(concepita come unione di morfologia e sintassi) e richiedevano la
64
Come in Balboni (2012), Cit. anche qui il termine «approccio» si riferisce alla “filosofia di
fondo” cui possono essere ricondotti i vari modelli d’insegnamento delle lingue straniere,
mentre con «metodo» si intende “l’insieme degli strumenti di organizzazione dell’educazione
linguistica”, non le tecniche di classe.
64
memorizzazione di singoli vocaboli per mezzo di liste (i paradigmi dei
verbi irregolari, la famiglia, i numeri ecc…).
Dopo due secoli di dominio incontrastato, il primo attacco
all’approccio formalistico venne sferrato dagli Stati Uniti.
E non poteva essere altrimenti. Gli Stati Uniti d’America, a seguito
dalle molteplici ondate migratorie, erano diventati una società
multiculturale ed, inoltre, la conoscenza delle lingue non era
considerata un semplice ornamento culturale, ma un sapere
indispensabile negli scambi commerciali e nei rapporti internazionali.
Fu in questo contesto che ebbe inizio la storia delle scuole Berlitz. La
prima venne fondata nel 1872 in Rhode Island da Maximillian Berlitz,
un emigrato tedesco. Sotto la gestione dell’omonimo nipote del
fondatore, l’attività didattica di questa scuola, adottò un approccio
naturale: un insegnante madrelingua, servendosi anche di materiali
autentici, impartiva delle lezioni tematiche e interattive in lingua
straniera. Fu così che l’attenzione alla grammatica passò in secondo
65
piano rispetto allo sviluppo delle abilità comunicative e della capacità
di comprendere un testo pur non conoscendo ogni parola.
La rivoluzione operata da questo approccio è evidente: la lingua era
ritenuta viva e al parlato veniva riconosciuta una sua importanza.
Tuttavia, va ricordato che l’impatto di questo approccio rimase limitato
alle scuole private a causa dei suoi costi elevati.
La linguistica applicata subì una brusca involuzione nel secondo
decennio del XX secolo.
I conflitti europei, l’isolazionismo statunitense, i nazionalismi e la
chiusura dei regimi dittatoriali dividono il mondo. Le libertà si
riducono; tra queste, anche quella di movimento delle persone.
Le lingue cessano di essere vive e si limitano a veicolare informazioni
da testi scritti (opere scientifiche, letterarie, ecc.…).
Per rispondere a questa esigenza nacque l’approccio della sola lettura
o «Reading Method».
La pratica didattica dell’approccio della sola lettura prevedeva la
lettura, la comprensione e l’analisi di testi; in un primo momento,
intuitivamente graduati e, successivamente, autentici.
66
Tutto si svolgeva sotto la guida di un docente forniva agli alunni
qualche schema grammaticale e li erudiva su come decifrare al meglio
i materiali forniti. Nei casi in cui le parole costituivano un ostacolo alla
comprensione si ricorreva a un dizionario bilingue.
Agli inizi degli anni Quaranta del XX secolo, gli Stati Uniti d’America
diedero un ulteriore contributo alla didattica delle lingue con lo
sviluppo dell’approccio strutturalistico.
Questa innovazione delle pratiche dell’insegnamento linguistico deve
le sue origini più che alla maturazione di teorie glottodidattiche, alla
necessità di formare, nel più breve tempo possibile, le truppe
statunitensi (Army Specialised Training Program) a causa della tanto
improvvisa quanto indesiderata partecipazione alla seconda guerra
mondiale.
L’approccio strutturalistico, la cui parabola si concluse alla fine degli
anni Cinquanta, poggiava su due capisaldi teorici:
67
1. L’ipotesi di matrice neocomportamentistica per cui
l’apprendimento è il prodotto di una serie di stimoli e risposte
seguite da conferme o correzioni;
2. La teoria bloomfieldiana secondo la quale la lingua possa essere
ridotta in microstrutture.
A livello pratico, l’interazione tra la psicologia neocomportamentistica
e la linguistica tassonomica si tradusse nei cosiddetti pattern drills, o
esercizi strutturali.
Tali esercizi, supportati dall’impiego del registratore prima e dal
laboratorio linguistico poi, avevano come obiettivo la memorizzazione
robotica di campioni di lingua autentica (strutture, lessico, ecc.…) a
partire dai quali, in via del tutto ipotetica, si sarebbe riusciti a generare
lingua spontaneamente.
Negli anni Sessanta l’approccio strutturalistico era in piena parabola
discendente. A ciò avevano contribuito vari fattori: le obiezioni mosse
da Chomsky al modello d’apprendimento skinneriano; l’idea di matrice
sociolinguistica, secondo la quale le microstrutture linguistiche
assumono un determinato significato solo all’interno di un preciso
68
contesto sociale; e il nuovo ordine economico-politico mondiale che,
rendendo nuovamente possibile la circolazione di merci e persone,
aveva fatto riemergere la necessità di un insegnamento finalizzato alla
comunicazione.
Il modello glottodidattico elaborato negli anni Sessanta, che Balboni
definisce approccio (proto)comunicativo65
e su cui si basano ancora
molti corsi di lingua, non gettò il bambino con l’acqua sporca.
Gli esercizi struttutali (pattern drills), tipici dell’approccio
strutturalistico, non furono esclusi dalle pratiche didattiche, ma limitati
alla fase di esercitazione.
Le strutture e il lessico, da adesso, orientati al raggiungimento di uno
scopo, vennero distribuiti tra le varie unità didattiche dei libri di testo e
calati in situazioni verosimili. Queste situazioni, inoltre, venivano
ricreate in classe con l’ausilio del registrazioni e delle illustrazioni
(quest’ultimo elemento spiega la denominazione di «metodo
situazionale»).
65
Balboni, Paolo Emilio, 2012, Cit.
69
Altri approcci che vennero recuperati da questo modello
d’insegnamento furono l’approccio della sola lettura attraverso
l’introduzione di letture sulla civiltà e l’approccio formalistico grazie
all’inserimento di sezioni dedicate alla spiegazione ed esercitazione
grammaticale
Le procedure operative per mezzo delle quali l’approccio
(proto)comunicativo ha trovato attuazione prevedevano un percorso
scandito dalla sequenza delle 3 P, ossia presentazione (presentation),
pratica (practice) e produzione (production).
Il docente, prima di affrontare l’unità didattica, esplorava il paratesto
che la accompagnava al fine di attivare nella mente degli studenti le
parole chiave utili alla comprensione del dialogo, successivamente
riproduceva il dialogo registrato attraverso una strumentazione acustica
ed, infine, richiedeva agli alunni di completare gli esercizi di
comprensione, di drammatizzare o ripetere coralmente gli scambi di
battute per familiarizzare con pronuncia e prosodia.
Tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta l’attenzione dei linguisti si
sposta convintamente dagli elementi costitutivi della lingua alle
70
funzioni svolte dalla lingua. Le due pubblicazioni più influenti di
questo periodo sono How to Do Things with Words (1962) scritto da
John L. Austin e Speech Acts (1969) di John Searle.
Lo spunto fornito dalle riflessioni dei due filosofi anglosassoni indusse
Trim, Willkins, Widdowsin, Munby, Van Ek e altri studiosi ad
elaborare un elenco di funzioni comunicative (salutare, presentarsi
ecc.…) e a fissare dei livelli di competenza comunicativa applicabili a
tutte le lingue.
Tali iniziative, sostenute dal Consiglio d’Europa con tanta convinzione
da farne la base per la creazione il Quadro Comune Europeo di
Riferimento, hanno dato ampia risonanza al cosiddetto approccio
comunicativo.
L’approccio comunicativo costituisce ancora oggi la tendenza
dominante in glottodidattica e rappresenta una grande categoria che
include molteplici punti di vista. Tuttavia, gli elementi comuni a tutti
71
sono, oltre all’interesse per gli scopi comunicativi, il ruolo dei testi e
l’attenzione rivolta all’apprendente66
.
Mentre gli scopi comunicativi assicurano alle attività didattiche un
senso pratico, i testi ricoprono il ruolo di oggetto di apprendimento.
I testi (non più le frasi), tanto in fase ricettiva quanto in quella
produttiva, hanno il compito di avviare quei processi che dovranno
culminare nella comprensione e nella produzione all’interno delle
situazioni comunicative in cui si troverà l’apprendente.
Quest’ultimo, alla luce delle teorie sull’interlingua e sul suo sviluppo,
assume una centralità mai avuta in qualsiasi altro approccio precedente:
si punta all’individualizzazione dell’istruzione, si presta molto più
interesse alle sue motivazioni, ai suoi bisogni linguistici e ai suoi stili
cognitivi di apprendimento; infine, gli errori commessi vengono
considerati solo degli stadi intermedi dell’interlingua destinati a
66
Treccani.it – Glottodidattica. A cura di Wanda d’Addio Colosimo:
http://www.treccani.it/enciclopedia/glottodidattica_res-9353c566-87ea-11dc-8e9d-
0016357eee51_(Enciclopedia-Italiana)/
Ultimo accesso: 18/06/2015.
72
scomparire una volta colmato lo scarto tra la competenza già acquisita
e quella da raggiungere (i+167
).
Obiettivo realizzabile, secondo alcuni (Krashen) per mezzo di una
maggiore esposizione all’input, mentre, secondo altri, attraverso la
tradizionale esplicitazione delle regole.
Tra le varie realizzazioni dell’approccio comunicativo meritano una
particolare attenzione:
1. Il metodo funzionale-nozionale
2. Il metodo naturale di Krashen
3. I cosiddetti metodi «clinici»
a. Total Physical Response
b. Community Language Learning
c. Silent Way
d. La suggestopedia
67
Formula inventata da Krashen per rappresentare la condizione necessaria affinché l’input
venga acquisito dall’apprendente. Nella formula, la lettera «i» sta per intaken e indica la
competenza comunicativa gà acquisita, mentre la combinazione composta dall’operatore
matematico «+» e dal numero «1» designa l’area di sviluppo potenziale dell’interlingua.
73
1. Il metodo funzionale-nozionale è, senza dubbio, il metodo più
diffuso di realizzazione dell’approccio comunicativo, e, di
conseguenza, quello cui si ispirano la maggior parte dei manuali
odierni. Questo metodo si caratterizza per la fusione dei concetti di
«nozione» (intesa come forma linguistica) e di «atto comunicativo»
(vale a dire il fine pragmatico) e, per lo svolgimento del percorso
didattico, si serve della struttura metodologica delle 3 P:
presentazione, pratica, produzione.
2. Il metodo naturale di Krashen. Il metodo elaborato dal
neurolinguista statunitense ipotizza l’esistenza di un unico percorso
sia per l’apprendimento della L1 che per l’apprendimento della L2.
Conseguentemente, affinché lo studente apprenda un nuovo idioma,
è necessario esporlo ad un input accuratamente graduato sulla base
dell’ordine naturale e del livello di acquisizione dell’apprendente.
3. I metodi «clinici». Si tratta di una serie di proposte provenienti dalla
psicologia umanistica e risalenti agli anni Sessanta e Settanta.
74
A classificarli sotto l’etichetta di metodi «clinici» fu Renzo Titone
nel suo volume Glottodidattica, un profilo storico (1982).
La motivazione risiede nelle analogie tra il rapporto insegnante-
studente e quello psicologo-paziente tipico delle sedute
psicoterapeutiche: il docente parla poco, lo incoraggia a prendere la
parola, lo sostiene con la mimica faciale, lo corregge servendosi del
linguaggio del corpo.
a. Total Physical Response, metodo messo a punto
dall’accademico statunitense James Asher negli anni Sessanta.
Il docente impartisce agli apprendenti, nel corso del tempo,
degli ordini sempre più complessi ed articolati (prendi la
penna, prendi la penna rossa, prendi la penna rossa e scrivi,
ecc.…) fino al momento in cui saranno gli studenti a doversi
servire del mezzo linguistico per eseguire l’ordine.
b. Community Language Learning, ideato dallo psicologo
gesuita Curran sul finire degli anni Sessanta, prevede
l’adozione dei modelli della seduta psicoterapeutica all’interno
75
del contesto didattico. Ne consegue un ridimensionamento
della figura del docente che non guida più il processo
d’apprendimento, ma si limita a consigliare, supportare e
venire incontro ai ritmi e agli stili d’apprendimento di ciascun
discente.
c. Silent Way, metodo inventato dal pedagogista svizzero
Gattegno. Il docente fornisce un modello agli studenti a cui
viene richiesto di riapplicarlo. L’insegnante rimane in silenzio,
supervisiona il lavoro degli studenti alle prese con
l’applicazione modello e, in caso di errori, interviene
servendosi solo di gesti.
d. Nata tra gli anni Sessanta e Settanta per merito del medico e
psicoterapeuta bulgaro Georgi Lozarov, la suggestopedia,
nelle sue sperimentazioni, ha dimostrato un’efficacia
sorprendente: alla fine di corsi tenuti secondo il metodo
suggestopedico, gli apprendenti erano in grado di imparare una
lingua straniera molto più velocemente ed, inoltre, riuscivano
76
a conseguire risultati più duraturi nel tempo e con minore fatica
rispetto ai metodi tradizionali.
Il metodo suggestopedico, servendosi di tecniche tipiche della
psicologia clinica, mira a costruire, intorno all’apprendente, un
clima rilassato e pieno di stimoli gradevoli.
Le lezioni non solo cominciano e finiscono con momenti di
training autogeno, ma sono anche accompagnate da brani di
musica barocca che fungono da sottofondo musicale68
.
Anche l’impegno e l’intraprendenza dell’allievo rivestono un
ruolo importante in questo metodo; infatti, i testi analizzati in
classe devono essere visionati nuovamente sia prima di andare
a dormire che non appena svegli.
Nonostante il suo enorme potenziale, questo metodo non è mai
riuscito ad imporsi e diffondersi. Perché?
Perché la suggestopedia, per la sua realizzazione, richiede aule
progettate ad hoc, gruppi ridotti di studenti e insegnanti con
una formazione specifica.
68
Vignozzi, Letizia, 2013, “Esperimenti suggestopedici”, Didattica & Classe Plurilingue, n.
7, settembre-dicembre 2003.
77
Nel corso del tempo, i vari approcci che si sono succeduti si sono
proposti di fornire allo studente tanto un bagaglio grammaticale quanto
uno lessicale, ma non si sono potuti mai porre il problema di ricreare
nella mente dell’apprendente il processo di creazione di una rete di
collocazioni; come, invece avviene nelle prime fasi
dell’apprendimento della L1 (capitolo 1).
La causa di ciò è stato il fatto che la collocazione ha costituito per la
linguistica e la glottodidattica quello che l’antimateria ha rappresentato
e rappresenta ancora per la fisica: un fenomeno ipotizzabile, ma
difficilmente dimostrabile.
Si è dovuto attendere lo sviluppo delle tecnologie informatiche e la
successiva creazione di enormi banche dati di testi per poter realizzare
le condizioni necessarie per un’analisi di come il lessico si comporti
nella produzione linguistica69
.
69
Porcelli, Gianfranco, 2004, Comunicare in una lingua straniera: il lessico Torino, UTET-
Libreria.
78
E quindi, avere la prova evidente dell’esistenza della collocazione in
ogni forma di comunicazione verbale, anche se più o meno frequente a
seconda del canale utilizzato70
.
A differenza di quanto si è portati a pensare comunemente, le parole
non si dispongono a caso (un appello si può lanciare, ma non tirare,
sebbene queste due parole siano sinonimi; si può realizzare un forte
guadagno, non un guadagno potente71
), ma, invece, si combinano
secondo delle regole dettate dalla propria collocazione.
Ma, purtroppo, le parole di ogni lingua, per ragioni arbitrarie (Micheal
Lewis) o no (Dilin Liu), hanno collocazioni differenti.
Se lo studente è ignaro di questo fenomeno linguistico non potrà che
utilizzare le collocazioni della propria lingua (transfer negativo) e, nel
70
Shin, Dongkwang, 2007, The High Frequency Collocations of Spoken and Written English,
English Teaching, Vol. 62, No. 1, Spring 2007.
71
Paola, Tiberii, 2012, “Introduzione” in Paola, Tiberii, 2012, Dizionario delle collocazioni. Le
combinazioni delle parole in italiano, Zanichelli.
79
caso di non coincidenza tra le collocazioni dei due idiomi, commettere
un errore.
Questa è la ragione per cui uno studente italiano è tentato dal dire
*strong rain, anzichè heavy rain (forte pioggia); uno studente tedesco
ha più probabilità di incorrere in un errore come *make homework72
(Hausaufgaben machen, in tedesco, fare i compiti in italiano), o uno
studente coreano è più portato a parlare di *thick tea73
, piuttosto che di
strong tea (tè forte).
Uno studente che non ha sviluppato alcuna sensibilità per il fenomeno
della collocazione non penserà mai che, sebbene aim e goal siano due
sinonimi, solo goal possa combinarsi con il verbo reach74
(reach a
goal, achieve a goal, achieve an aim, *reach an aim).
72
Nesselhauf, Nadja, 2003, “The Use of Collocations by Advanced Learners of English and
Some Implications for Teaching”, Applied Linguistics 24 (2), 223-242.
73
Shin, Dongkwang, 2006 A Collocation Inventory for Beginners, Victoria University of
Wellington.
74
Nasselhauf, Nadia, 2003, Cit.
80
Tali osservazioni sono confermate dalle conclusioni di una
pubblicazione accademica a firma di Bahns ed Eldaw75
(2003).
Secondo i due studiosi, infatti, le probabilità che uno studente scelga
una collocazione errata sono due volte superiori rispetto a quelle di
utilizzare una parola inappropriata.
L’esclusione della collocazione dall’insegnamento delle lingue
straniere è stata all’origine di quella condizione definita da Morgan
Lewis come l’«intermediate plateau» (la palude76
del B1-B2).
What can you really do for those
‘intermediate plateau’ students
who need a breakthrough? […]
The reason why so many students
Cosa si può fare per quegli
studenti rimasti impantanati nella
palude del B1-B2 che hanno
bisogno di trarsi fuori? […]
75
Bahns, J. & M. Eldaw, 1993, “Should we teach EFL students collocations?”, System, 21 (1),
101 – 114.
76
Sebbene plateau significhi altopiano, qui si è deciso di tradurre «intermediate plateau» con
«la palude del B1-B2» per cercare di trasferire al/lla lettore/trice la frustrazione che ì
accompagna questa situazione e la difficoltà con la quale si cerca di uscirne.
81
are not making any percieved
progress is simply because they
have not been trained to notice
which words go with which. They
may know quite a lot of
individual words which they
struggle to use, along with their
grammatical knowledge, but they
lack the ability to use those
words in a range of collocations
which pack more meaning into
what they say or write77
.
La ragione per cui così tanti
studenti non compiono progressi
apprezzabili è semplicemente
perché non sono stati allenati a
notare quali parole vanno
insieme.
Possono conoscere un bel po’ di
singole parole, insieme con una
buona conoscenza grammaticale,
ma mancano della capacità di
usare quelle parole in una varietà
di collocazioni che infondano più
senso a ciò che dicono o
scrivono.
77
Lewis, Morgan, 2000, “There is Nothing as Practical as a Good Theory” in Lewis, Michael,
2000, Teaching Collocation: Further Developments in Lexical Approach, CENGAGE
Learning,.
82
Per trasmettere agli studenti di L2 la consapevolezza che le parole si
combinano in sequenze e, di conseguenza, per facilitare la produzione
linguistica, Michael Lewis ha concepito il cosiddetto approccio
lessicale (Lexical Approach).
L’approccio lessicale, elaborato per la prima volta da Michael Lewis
nel 1993 (anno di pubblicazione de The Lexical Approach. The State of
ELT and a Way Forward) non si propone di rivoluzionare la
glottodidattica, ma di completarla. Infatti, il Lexical Approach non
disdegna né bandisce lo studio della grammatica, ma tenta solamente
di prestare maggiore attenzione ad un aspetto completamente ignorato
negli approcci precedenti: la ‘grammatica della parole’, ossia la
maniera in cui le parole si associano tra di loro nella lingua straniera.
Secondo Lewis “la lingua non è composta da una grammatica
lessicalizzata, ma da una un lessico grammaticalizzato78
”.
78
Lewis, Michael, 1993, The Lexical Approach. The State of ELT and a Way Forward, Heinle
CENGAGE Learning, p. vi.
83
Pertanto, la lingua non può essere analizzata e studiata solo attraverso
le sole categorie della grammatica (strutture) e del lessico (parole).
L’apprendimento delle lingue deve includere anche lo studio delle
sequenze prefabbricate di lingua (chunks), perché queste se
accuratamente combinate, producono testi scorrevoli e coerenti.
All’interno del lessico oltre alle parole, Lewis individua tre tipi di
sequenze prefabbricate: le collocazioni, le espressioni fisse e le
espressioni semi-fisse.
Dal punto di vista della struttura metodologica, l’approccio lessicale si
distingue dagli approcci che lo hanno preceduto perché si propone di
sostituire la sequenza Presenta-Pratica-Produci con la procedura
Osserva-Ipotizza-Sperimenta.
All’interno di questo paradigma metodologico (Osserva-Ipotizza
Sperimenta) vale la pena soffermarsi soprattutto sulla prima e
sull’ultima fase.
Per il teorico del Lexical Approach, l’osservazione dei fenomeni
linguistici presenti all’interno dei testi riveste una grandissima
84
importanza perché “tutto ciò che produciamo linguisticamente
proviene da ciò che sta fuori di noi79
”.
L’inevitabile conseguenza di tale osservazione è che, fin dalle prime
fasi dell’insegnamento linguistico, bisogna tentare di indirizzare
l’attenzione degli/lle apprendenti sui fenomeni linguistici e sulla
grammatica (awareness raising) in modo da indurre i/le discenti a
scoprire la grammatica (Ipotesi) e ad interiorizzarne le regole.
Un’abilità che riveste un’enorme importanza all’interno dell’approccio
lessicale e che i docenti di lingua straniera devono affrettarsi a
trasmettere è il chunking, ossia il riconoscimento nei testi delle
sequenze semi-fisse che compongono la lingua.
L’acquisizione di tale abilità non deve passare solo attraverso un
atteggiamento di awareness raising da parte dell’insegnante (per
Lewis, l’esposizione agli input scandita dalla domanda “avete notato
che…?” dovrebbe sostituire l’insegnamento esplicito della
grammatica) e del materiale didattico, ma anche attraverso la
79
Lewis, Michael, 1993, The Lexical Approach. The State of ELT and a Way Forward, Heinle
CENGAGE Learning, p. 194.
85
sistematica registrazione e consultazione di appositi taccuini da parte
degli/lle apprendenti.
Attraverso lo sviluppo dell’abilità di chunking e una lunga esposizione
a input autentici accuratamente selezionati dal docente, l’apprendente
potrà crearsi un a vasta collezione di sequenze semi-fisse (chunks) da
utilizzare quando (il più tardi possibile) gli sarà richiesta la produzione
di testi lunghi e complessi.
La sperimentazione, che rappresenta il terzo ed ultimo tassello della
struttura metodologica proposta da Lewis nel Lexical Approach, deve
essere incoraggiata durante la fase di produzione linguistica
dell’apprendente.
Affinché l’apprendente provi quante più soluzioni linguistiche
possibili, l’errore deve cessare di essere considerato un fallimento e va
scoraggiata qualsiasi strategia di aggiramento degli ostacoli linguistici.
Sebbene l’approccio lessicale consideri l’errore come parte del
processo di acquisizione linguistica, il docente che adotti tale approccio
86
non può sottrarsi al dovere di reagire alle sviste linguistiche degli/lle
allievi/e.
Lewis invita i/le insegnanti a rispondere agli errori prodotti
nell’espressione orale e in quella scritta in due maniere differenti.
In caso di errore nella produzione linguistica orale, Lewis suggerisce
all’insegnante di ricorrere alla strategia della riformulazione
(reformulation), poiché, riformulando quanto espresso erroneamente
dal discente, si può tentare di fornire l’input lessicale o grammaticale
necessario per colmare le lacune linguistiche emerse.
Siccome, secondo Lewis, gran parte di queste lacune linguistiche sono
dovute a carenze lessicali e i docenti, nella riformulazione dei
messaggi, devono prestare più attenzione al lessico che alla
grammatica.
Nel caso in cui l’apprendente commetta errori in un elaborato scritto,
Lewis, invece, consiglia all’educatore/trice di coinvolgere il discente in
un processo di co-revisione dell’elaborato (feedback).
87
Ciò che accomuna queste due differenti maniere di rispondere
all’errore è il tentativo di consapevolizzazione dell’apprendente
(awareness raising). Infatti, tanto la riformulazione quanto il processo
di co-revisione degli elaborati scritti cercano di sviluppare nel discente
l’attitudine alla riflessione linguistica perché, secondo Lewis, “la prima
responsabilità di ogni insegnante è lo sviluppo negli studenti di una
capacità di reazione agli stimoli80
”
80
“The teacher’s primary responsability is response-ability”
Lewis, Michael, 1993, The Lexical Approach. The State of ELT and a Way Forward, Heinle
CENGAGE Learning, p. 188.
88
Capitolo III
“Parole, parole, parole”
Il lessico della L2: quantità e qualità.
Nell’apprendimento delle lingue straniere, la creazione di un proprio
lessico mentale è un processo di capitale importanza.
Infatti, come notava acutamente il linguista inglese Wilikins, chi va
all’estero si munisce di un vocabolario non di una grammatica, perché,
senza grammatica si può comunicare molto poco, ma senza lessico non
si può comunicare proprio nulla81
.
• Dal punto di vista quantitativo, l’obiettivo più ambizioso che
può porsi chi apprende una L2 è quello di memorizzare tutte le
parole presenti in una lingua.
81
“Without grammar, very little can be conveyed; without vocabulary nothing can be
conveyed” Wilkins David A., 1972, Linguistics in Language Teaching, Edward Arnold, p. 111.
89
Ma quante sono le parole presenti in una lingua?
Per dare risposta ad un tale quesito, la cosa più semplice da poter fare
è controllare il numero di parole presenti su un dizionario.
Ma già a intorno al termine stesso di <parola> incominciano a sorgere
problemi di natura teorica.
Il concetto di <parola> è tanto radicato nella coscienza di ciascun
individuo da aver prodotto in tutte le lingue svariati espressioni e modi
di dire, come ad esempio: <uomo di poche parole>; <fatti non
parole>; <a buen entendedor, pocas palabras bastan> (dallo spagnolo
all’italiano: a buon intenditore poche parole); <ein Mensch von
wenigen Worten> (dal tedesco all’italiano: un uomo di poche parole);
<a man of his word> (dall’inglese all’italiano: un uomo di parola),
ecc…
Tuttavia, dal punto di vista linguistico, le parole sono talmente difficili
da descrivere da aver indotto gli studiosi e le studiose ad adottare più
di una definizione, ma con risultati poco soddisfacenti. Ad aggravare la
confusione hanno contribuito le diversità esistenti tra le lingue.
90
Chi ha pensato di considerare parola quei grafemi isolati da due spazi
bianchi ha finito per escludere da tale categoria i composti, le parole di
quegli idiomi che non hanno un sistema di scrittura e quelle lingue le
cui parole possono essere composte da due caratteri separati da uno
spazio (come ad esempio il cinese in cui ma ma significa mamma).
I linguisti che hanno adoperato come definizione operativa quella di
“unità della lingua che può essere usata da sola per formare un
enunciato82
” non hanno tenuto conto delle parole grammaticali come e,
ma, di, con.
C’è chi considera <parole> quelle unità al cui interno non si possono
inserire degli altri elementi linguistici (<amo Maria> sono due parole
che possono essere ‘interrotte’: <amo follemente Maria>).
Per convenzione nei dizionari, le parole vengono inserite sotto forma
di lemmi, ossia le unità grafiche che rappresentano tutte le forme flesse
che la parola può assumere.
82
Graffi, Giorgio & Sergio Scalise, 2012, Le lingue e il linguaggio. Introduzione alla
linguistica Bologna, Il Mulino, p. 115.
91
Il vocabolario Zingarelli 2015 contiene più di 144.000 lemmi83
, il
Grande Dizionario di Italiano Garzanti 250.00084
, la 23a
edizione di El
diccionario de la lengua española de la Real Academia Española
93.00085
, il Duden nella sua 26a
edizione comprende 150.000 entrate86
,
la seconda edizione dell’Oxford English Dictionary conta più di
83
http://www.zanichelli.it/ricerca/prodotti/lo-zingarelli-vocabolario-della-lingua-italiana-
zingarelli-001
Ultimo accesso: 19/06/2015
84
http://www.garzantilinguistica.it/products-page/cdrom-4/grande-dizionario-di-italiano-
licenza-online-per-2-anni/
Ultimo accesso: 19/06/2015
85
http://www.rae.es/diccionario-de-la-lengua-espanola/presentacion
Ultimo accesso: 19/06/2015
86
http://www.duden.de/shop/duden-die-deutsche-rechtschreibung-
138511?campaign=D1_Startseitenbuehne/Startseite/Bild/D1&utm_source=Startseite&utm_m
edium=Bild&utm_content=D1&utm_campaign=D1_Startseitenbuehne&affiliate_id=422
Ultimo accesso: 19/06/2015
92
171.000 voci87
, mentre la terza edizione del Webster's International
Dictionary ne ha al suo interno 470.00088
Nation, nonostante ritenga che la definizione di lemma sia
sufficientemente comprensiva, preferisce adottare quella di famiglia
lessicale89
.
La famiglia lessicale costituisce l’insieme di quelle parole che hanno la
stessa base o radice. Il concetto di famiglia lessicale si differenzia da
quello di lemma perché include anche i vocaboli derivanti dall’aggiunta
di morfemi lessicali; e non solo di morfemi grammaticali.
Nation e Warring90
, in virtù del criterio di famiglia lessicale, hanno
passato al setaccio i lemmi contenuti nella terza edizione del succitato
87
http://www.oxforddictionaries.com/words/how-many-words-are-there-in-the-english-
language
Ultimo accesso: 19/06/2015
88
http://www.merriam-webster.com/help/faq/total_words.htm
Ultimo accesso: 19/06/2015.
89
Nation, I.S.P., 2013, Learning Vocabulary in Another Language. Second Edition, Cambridge
University Press.
90
Nation, P. & R. Waring, R., 1997, “Vocabulary Size, text coverage and word list” in Schmitt
N. & M. McCarthy (eds.), 1997, Vocabulary: description, acquisition and pedagogy,
Cambridge, Cambridge University Press.
93
Webster's International Dictionary e hanno trovato 54.000 famiglie
lessicali.
Le parole presenti sui dizionari costituiscono un quantità
incomparabilmente più vasta rispetto a quella conosciuta, in media da
un parlante nativo.
Sfortunatamente, le ricerche sull’ampiezza media del lessico mentale
(ossia, “la conoscenza delle parole prese ad una ad una, ma anche le
conoscenze relative al funzionamento delle parole e dei complessi
rapporti tra le varie parole, tra le varie classi di parole, ecc.91
”) sono
state poche e alcune di queste risultano viziate da errori di metodo che
ne hanno invalidato l’affidabilità.
Tuttavia, esistono due studi molto autorevoli a firma di Goulden92
e
Zechmeister93
che convergono nell’affermare che il lessico mentale di
91
Graffi, Giorgio & Sergio Scalise, 2003, Cit. p. 148.
92
Goulden, R., I.S.P., Nation & J., Read, 1990, “How large can a receptive vocabulary be?”,
Applied Linguistics, 11, 4, 341-63.
93
Zechmesiter, E.B., A.M. Chronis, W.L Cull., C.A. D’Anna,. & N.A. Healy, 1995, “Growth
of a functionally important lexicon”, Journal of Reading Behaviour, 27, 2, 201-12.
94
un adulto istruito si aggiri, in media, intorno alle 20.000 famiglie
lessicali. Inoltre, secondo una stima fornita da Biemiller e Slonim, una
persona, nell’età compresa tra i 3 ed i 25 anni, sarebbe in grado di
memorizzare circa 1.000 famiglie lessicali l’anno94
.
Un traguardo simile è chiaramente troppo pretenzioso per un
apprendente di L2.
Infatti, come ci ricorda Bettoni nel suo Imparare un’altra lingua.
Lezioni di linguistica applicata95
, la L2 si differenzia dalla L1 anche
perché, mentre per l’apprendimento completo della L1 raggiunto verso
i cinque-sei anni, i bambini impiegano tra le 12.000 e le 14.000 ore, un
intero corso scolastico di L2 (dalle elementari alle superiori) può
contare solo su 1.000-1.200 ore spalmate su undici anni. E spesso
queste lezioni sono condotte in L1.
94
Biemiller, L. and N. Slonim, 2001,” Estimating root vocabulary growth in normative and
advantaged populations: Evidence for a common sequence of vocabulary acquisition”, Journal
of Eucational Psychology, 93, 3, 489 – 520.
95
Bettoni, Camilla, 2002, Imparare un’altra lingua. Lezioni di linguistica applicata, Roma-
Bari, Editori Laterza.
95
Considerati questi limiti temporali, per ridurre il peso
dell’apprendimento (learning burden96
), ciò che si può fare è
concentrare l’attenzione degli apprendenti sulle parole più usate, e
quindi più necessarie, nella L2.
Questa osservazione non è solo il prodotto di un ragionamento logico,
ma è anche sostenuta dai dati forniti dalla linguistica dei corpora.
Nation97
, dopo aver condotto uno studio sulle famiglie lessicali più
frequenti all’interno del British National Corpus98
e averle raggruppate
96
Il learning burden (tradotto dallo scrivente come ‘peso dell’apprendimento’) è un concetto
elaborato da Swenson & West (1934) ed indica la mole di sforzi necessaria per
l’apprendimento.
Swenson, E. & M.P. West, 1934, “On the counting of new words in textbooks for teaching
foreign languages”, Bullettin of the Department of Educational Research, University of
Toronto, 1.
97
Nation, I.S.P., 2006, “How Large a Vocabulary Is Needed For Reading and Listening?”, The
Canadian Modern Language Review/La Revue canadienne des langues vivantes, 63,
(September/septembre)
98 Il British National Corpus è una raccolta digitale di 100.000.000 parole databili a partire dal
XX secolo e provenienti da campioni autentici di lingua parlata o scritta.
What is BNC? http://www.natcorp.ox.ac.uk/corpus/index.xml
96
in gruppi di mille, ha analizzato vari tipi di testi ed è giunto a delle
conclusioni particolarmente significative per la glottodidattica:
affinché si possa comprendere il 98% delle parole in un qualsiasi tipo
di testo è necessario conoscere le 9.000 famiglie lessicali più frequenti.
Nation fissa questa percentuale come obiettivo di un apprendente di L2
perché, secondo più studi (Hu e Nation99
; Schmitt100
; Nation; van
Zeeland e Schmitt101
), la comprensione del 98% dei vocaboli presenti
in un testo può consentire la deduzione del significato del rimanente
2%.
Famiglie lessicali
Ultimo accesso: 19/06/2015.
99
Hu M. & I.S.P., Nation, 2000, “Unknown vocabulary density and reading
comprehension”. Reading in a Foreign Language 13, 1: 403-430.
100
Schmitt N., X., Jiang & W., Grabe, 2011, The percentage of words known in a text and
reading comprehension. Modern Language Journal 95, 1: 26-43.
101
Van Zeeland, H., & N., Schmitt, 2012, “Lexical coverage in L1 and L2 listening
comprehension: The same or different from reading comprehension”, Applied Linguistics,
34(4), 457-479.
97
in ordine decrescente di frequenza102
% copertura
testo
1° gruppo di 1.000 famiglie lessicali
2° gruppo di 1.000 famiglie lessicali
3° gruppo di 1.000 famiglie lessicali
4° gruppo di 1.000 famiglie lessicali
5° gruppo di 1.000 famiglie lessicali
6° gruppo di 1.000 famiglie lessicali
7° gruppo di 1.000 famiglie lessicali
8° gruppo di 1.000 famiglie lessicali
9° gruppo di 1.000 famiglie lessicali
10° gruppo di 1.000 famiglie lessicali
11° gruppo di 1.000 famiglie lessicali
12° gruppo di 1.000 famiglie lessicali
13° gruppo di 1.000 famiglie lessicali
14° gruppo di 1.000 famiglie lessicali
81,14
89,24
93,60
95,37
96,41
97,08
97,53
97,86
98,08
98,23
98,38
98,49
98,58
98,65
102
Tabella tratta da Nation I.S.P., 2013, Cit., p. 21.
98
15° gruppo di 1.000 famiglie lessicali
16° gruppo di 1.000 famiglie lessicali
17° gruppo di 1.000 famiglie lessicali
18° gruppo di 1.000 famiglie lessicali
19° gruppo di 1.000 famiglie lessicali
20° gruppo di 1.000 famiglie lessicali
98,71
98,75
98,79
98,83
98,58
98,86
Ovviamente, il numero di famiglie lessicali necessario per raggiungere
l’obiettivo del 98% di copertura di un testo cambia a seconda del tipo
di testo in questione.
Ad esempio, la visione di un film per bambini richiede la conoscenza
di un minor numero di vocaboli rispetto alla lettura di un romanzo o di
un articolo di giornale.
Tipi di
testo103
95% di
copertura testo
conseguibile con
98% di
copertura testo
conseguibile con
%
Nomi
propri
103
Tabella tratta da Nation, I.S.P., 2013, Cit., p 16.
99
Romanzi le prime
4.000
famiglie lessicali
le prime
9.000
famiglie lessicali
1-2%
Articoli di giornale le prime
4.000
famiglie lessicali
le prime
8.000
famiglie lessicali
5-6%
Film per bambini le prime
4.000
famiglie lessicali
le prime
6.000
famiglie lessicali
1.5%
Inglese conversazionale le prime
3.000
famiglie lessicali
le prime
7.000
famiglie lessicali
1.3%
100
Se ogni tipo di testo richiede un lessico mentale più o meno ampio, è
inevitabile che anche la crescita linguistica e le attività glottodidattiche
ad essa connesse esigano un determinato inventario lessicale.
Ancora una volta, Nation in Learning Vocabulary in Another
Language, traccia un percorso ideale di espansione del vocabolario che
condurrebbe l’apprendente a guadagnare gradualmente una maggiore
autonomia.
Finalità
linguistica104
Ampiezza
vocabolario
Vocabolario di sopravvivenza per un
viaggio all’estero
120 parole ed espressioni
Letture elementari le prime
100-400 famiglie lessicali
104
Tabella tratta da Nation, I.S.P., Cit., p. 39.
101
Letture graduate
per il livello intermedio
le prime
1.000 famiglie lessicali
Abilità orali di base le prime
1.200 famiglie lessicali
Abilità uditive di base le prime
3.000 famiglie lessicali
Letture graduate e
uso del dizionario monolingua
le prime
3.000 famiglie lessicali
Lettura di testi contenenti parole
con frequenza media
(6°-8° gruppo di 1.000 famiglie lessicali)
le prime
4.000-6.000-8.000
famiglie lessicali
Lettura di testi non semplificati
e visione di programmi televisivi
le prime
3.000 parole
102
Lettura di testi non semplificati
senza l’ausilio del dizionario
le prime
6.000-9.000 parole
Osservando i dati forniti da Nation, non si può non compararli con
quelli elaborati da Tullio De Mauro nel 1980105
. Infatti, anche secondo
il linguista napoletano, nella lingua italiana è individuabile un
vocabolario di base. Questo vocabolario di base, composto da circa
7.000 parole, è conosciuto da chiunque abbia completato la scuola
media inferiore. De Mauro lo suddivide in tre categorie: fondamentale,
di alto uso, di alta disponibilità.
Tutte e tre le categorie, proprio come in Nation, si basano su un criterio
di frequenza decrescente; tuttavia, nella suddivisione di De Mauro, la
categoria dei vocaboli “di alta disponibilità” si distingue dalle altre
anche perché contiene “parole che diciamo e scriviamo raramente, ma
che pensiamo con grande frequenza106
”.
105
De Mauro, Tullio, 1980, Guida all’uso delle parole. Parlare e scrivere semplice e preciso
per capire e farsi capire, Roma, Editori Riuniti.
106
De Mauro, Tullio, Cit., p. 150.
103
Vocabolario di
base107
Ampiezza esempi
Fondamentale 2,000 parole frutta, movimento, ricco
Di alto uso 2,750 parole circa barzelletta, concepire
Di alta disponibilità 2,300 parole circa lontananza, padroneggiare
Avendo chiarito il quesito relativo alla quantità di vocaboli necessario
ad un apprendente di L2, adesso possiamo concentrarci su un nuovo
interrogativo: che cosa significa davvero conoscere una parola?
A differenza di quanto si crede comunemente, la conoscenza delle
parole della L2 non si esaurisce al riconoscimento della forma fonica e
ortografica e alla memorizzazione del significato in L1, ma include
107
Tabella tratta da Bettoni, Camilla, 2002, Cit., p. 65.
104
anche la cognizione di altre proprietà. Proprietà illustrate chiaramente
da Laufer in Vocabulary Description, Acquisition and Pedagogy 108
:
1. forma
2. struttura morfologica
3. pattern sintattico
4. significato
5. relazioni lessicali
6. collocazioni.
• Alla luce di tale osservazione, accanto ad una conoscenza delle
parole di tipo quantitativo, non si può che parlare anche di una
conoscenza delle parole di tipo qualitativo.
108
Laufer, Batia, 1997, “What's in a word that makes it hard or easy? Intralexical factors
affecting the difficulty of vocabulary acquisition” in Schmitt, N., & M. McCarthy (eds.), 1997,
Vocabulary Description, Acquisition and Pedagogy, Cambridge, Cambridge University Press.
105
È evidente che il peso dell’apprendimento (learning burden) di
ciascuna di queste proprietà varia a seconda della distanza tipologica e
lessicale presente tra e due lingue109
.
Lo sforzo sarà maggiore nel caso in cui la L2 possegga un sistema di
scrittura differente, abbia dei fonemi difficilmente riproducibili
dall’apprendente, non mostri una stabile corrispondenza tra grafemi e
fonemi, presenti delle collocazioni diverse dalle L1, ecc….
Lo sforzo sarà minore per quegli apprendenti la cui L1 abbia delle
affinità con L2: stesso sistema alfabetico, simile grammatica
fonologica e grafemica, parole dallo stesso significato metaforico,
ecc…
Tra le proprietà elencate da Laufer la prima non poteva che essere la
forma. Con essa si intendono sia la pronuncia che l’ortografia di una
parola, insomma entrambe le forme (orale o scritta) che possono essere
assunte dal significante nella comunicazione verbale.
109
Nation, I.S.P., 2013, Cit.
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PATTI Giuseppe. Tesi: la collocazione in L2 .pdf

  • 1. UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA DIPARTIMENTO DI SCIENZE UMANISTICHE CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN LINGUE E CULTURE EUROPEE ED EXTRAEUROPEE ______________________________________________________________________________ GIUSEPPE PATTI “LA NATURALEZZA STA AL TESTO COME LA CORRETTEZZA GRAMMATICALE STA ALLA FRASE” LA COLLOCAZIONE IN L2 Tesi RELATRICE Chiar.ma Prof.ssa F. V. ANNO ACCADEMICO 2014- 2015
  • 2. 1 Indice Abstract 4 Abstract 6 Resumen 8 Introduzione 10 Capitolo I 27 Quando i bambini fanno “boh!” L’apprendimento della L1 Capitolo II 60 … E quando i «grandi» fanno “boh!”? L’apprendimento della L2 Capitolo III 88 “Parole, parole, parole” Il lessico della L2: quantità e qualità.
  • 3. 2 Capitolo IV 109 “These are words that go together well” La collocazione. Capitolo V 135 Quid prodest? A che serve conoscere le collocazioni? Capitolo VI 164 Modus operandi Come testare la competenza collocazionale Capitolo VII 197 “Adesso quello che voglio sono i Fatti… Servono solo i Fatti nella vita.” Risultati
  • 4. 3 Capitolo VIII 231 Pars construens Come favorire nell’immediato lo sviluppo della competenza collocazionale Capitolo IX 246 “Con la cultura non si mangia” Ipotetiche iniziative editoriali finalizzate allo sviluppo della competenza collocazionale. Bibliografia 252 Webgrafia 272 Dediche e ringraziamenti 276
  • 5. 4 Abstract Nello studio delle lingue straniere, specie nelle fasi iniziali, a chi non è mai capitato di porsi quesiti come “si può dire do a mistake in inglese?”, o “come si dice apparecchiare la tavola in tedesco?”, o ancora “è giusto dire feu jaune (semaforo giallo) in francese?”, “è possibile dire empezar con (iniziare con) in spagnolo?” ? Quante volte all’insegnante che ci aveva appena risposto si è chiesto disorientati “perché si dice make a mistake?”, “Perché si dice Tisch decken che letteralmente significa coprire la tavola?”, “Perché si dice feu orange (letteralmente semaforo arancione)? “Perché si dice empezar por?”? E quante volte quest’ultimo non ha potuto fare altro che replicare con un laconico e deludente “perché si dice così.”?
  • 6. 5 Ciò che si cela dietro questo trito “perché si dice così” è la collocazione. La collocazione è la combinazione di due o più parole che tendono a presentarsi insieme nello stesso enunciato o tra enunciati prossimi. Tuttavia, ogni lingua ha per ogni parola un diverso repertorio di collocazioni. Queste differenze tra collocazioni rendono più complicato di quanto si pensi la padronanza di una lingua straniera. Anche se è vero che gli scambi comunicativi possono concludersi con successo nonostante l’uso di espressioni linguistiche inusuali per un madrelingua, la glottodidattica dovrebbe favorire lo sviluppo di una maggiore accuratezza linguistica nell’apprendente. Perché, come scriveva Sinclair in Corpus, Concordance, Collocation “la naturalezza sta al testo come la correttezza grammaticale sta alla frase”. Questa tesi si propone di descrivere in dettaglio il fenomeno linguistico della collocazione; avanzare delle proposte finalizzate all’introduzione del concetto di collocazione nell’insegnamento delle lingue straniere;
  • 7. 6 ed, infine, testare la competenza collocazionale di studenti di lingua inglese dal differente grado di competenza linguistica. Abstract In the study of foreign languages, especially initially, who has never wondered “Can you say lui ha problemi finanziari (he has financial problems) in Italian?” Or, “How do you say blue jokes in Spanish?”, or “Is it correct to say le feu est jaune (the traffic light is yellow) in French?”, or “Is it possible to say Hausaufgaben tun (do the homework) in German?”? How many times, after being corrected by the teacher, have you asked, disoriented, “Why do you say lui ha problemi economici (economic problems)?”, “Why do you say bromas verdes (green jokes)?” “Why do you say le feu est orange (the traffic light is orange)?, “Why do you say Hausaufgaben machen ?”? Furthermore, how many times has the teacher had to reply with a brief and disappointing “It’s just like that”?
  • 8. 7 What lies behind this hackneyed “It’s just like that” is collocation. Collocation constitutes a subset of formulaic sequences and can be described as a syntagmatic unit made up of frequently recurring words. Unfortunately, each word (node) in each language has a different set of collocates. Collocational differences between languages make it harder than commonly thought for learners to master a foreign language. Even if communicative exchanges can come to a successful end despite the use of linguistic expressions that do not sound natural to a native speaker, foreign language teaching should encourage the development of linguistic accuracy by the learner. Because, as Sinclair wrote in Corpus, Concordance, Collocation, “Naturalness is to text what grammatical correctness is to sentence”. This dissertation aims to describe in detail the linguistc phenomenon of collocation; to put forward some suggestions to introduce the concept
  • 9. 8 of collocation in foreign language teaching; and, finally, to test some different proficiency level students on their collocational knowledge. Resumen En el estudio de las lenguas extranjeras, sobre todo en las fases iniciales, quién no se ha planteado nunca interrogantes como: “¿se puede decir do a mistake en inglés?”, o “¿cómo se dice CD vírgen en alemán?”, o aun “¿es correcto decir feu jaune (semáforo amarillo) en francés?”, “es posible decir iniziare per (empezar por) en italiano? ¿Cuántas veces, a causa de la desorientación provocada por la corrección del docente, se ha preguntado “¿por qué se dice make a mistake?”, “¿por qué no se puede traducir CD vírgen como jungfräuliche CD, sino solo como leere /unbespielte CD? “¿Por qué se dice feu orange (literalmente semáforo naranja)?” “Por qué se dice iniziare con?
  • 10. 9 Y, ¿cuántas veces el docente no pudo más que contestar con un lacónico y decepcionante “porque se dice así”? Detrás de este trillado “porque se dice así” está la colocación. La colocación es la combinación compuesta por dos o más palabras que se distinguen por su alta frecuencia de uso. Y cada lengua tiene, para cada palabra, un diferente conjunto de colocaciones. Estas diferencias hacen más complicado de lo que se suele pensar el dominio de una lengua extranjera. Aunque es verdad que los intercambios comunicativos pueden concluirse con éxito a pesar del uso de expresiones lingüísticas inusuales por parte de un hablante nativo, la glotodidáctica debería favorecer en el estudiante el desarrollo de una mayor precisión lingüística. Porque, como escribía Sinclair en Corpus, Concordance, Collocation “la naturalidad es al texto, lo que la corrección gramatical es a la frase”. Esta tesis se propone describir en detalle el fenómeno lingüístico de la colocación; plantear propuestas para introducir el concepto de colocación en la enseñanza de las lenguas extranjeras; y, por último,
  • 11. 10 averiguar la competencia colocacional en estudiantes de lengua inglesa pertenecientes a niveles diferentes. Introduzione “Michelle, ma belle, These are words that go together well, my Michelle. Michelle, ma belle, Sont des mots qui vont très bien ensemble. I love you, I love you, I love you. That's all I want to say. Until I find a way I will say the only words I know that You'll understand.” The Beatles, Michelle. “… Il lettore capisce quello che sta succedendo solo se si dice siamo a un muro contro muro, il governo annuncia lagrime e sangue, la strada è tutta in salita, il Quirinale è pronto alla
  • 12. 11 guerra, Craxi spara alzo zero, il tempo stringe, non va demonizzato, non c’è spazio per i mal di pancia, siamo con l’acqua alla gola, ovvero siamo nell’occhio del ciclone. E il politico non dice o afferma con energia, ma tuona. E le forze dell’ordine hanno agito con professionalità1 ” Umberto Eco, Numero zero. L’idea di realizzare questo lavoro deriva non solo dalla curiosità instillatami dalla professoressa Vigo nel corso di un ciclo di lezioni sulla lingua inglese durante il mio primo anno accademico, ma anche dalle mie esperienze di studente, traduttore amatoriale, tirocinante e di tutor. Stando a contatto con gli studenti del liceo scientifico-linguistico e con i miei colleghi iscritti al primo anno del corso di laurea triennale mi sono accorto che la fase di produzione presentava dei grossi ostacoli. Infatti, sebbene gli studenti e i colleghi conoscessero e riconoscessero i termini presenti nei testi, faticavano ad associare le parole per 1 Grassetto e sottolineato dello scrivente.
  • 13. 12 produrre dei discorsi articolati e personali. Molto spesso le studentesse e gli studenti si rifugiavano in frasi scarne o estratte dal libro di testo2 , sacrificando il proprio pensiero. Oppure, quando erano determinati nell’esprimere la propria opinione, si limitavano a tradurre in inglese parola per parola delle espressioni tipicamente italiane3 (*do a picture, *strong rain, etc… ). A questo problema di fluenza e appropriatezza linguistica se ne accompagnava un altro, di natura psicologica, ben descritto da Morgan Lewis: “[…] students become frustrated when they are unable to talk or Gli studenti sviluppano un sentimento di frustrazione 2 Casi di cosiddetti ‘lexical teddy bears’. Termine coniato da Hasselgren Angela in Hassalgren Angela, 1994, “Lexical teddy bears and advanced learners: A study into the ways Norwegian students cope with English vocabulary”. International Journal of Applied Linguistics, 4(2), 237-258. 3 Come anche notato da Nadja Nesselhauf. Nadja Nesselhauf, 2003, “The Use of Collocations by Advanced Learners of English and Some Implications for Teaching”, Applied Linguistics 24 (2), 223-242. Traduzione dello scrivente.
  • 14. 13 write about ideas which they can comfortably talk or talk about in their mother tongue.4 ” quando non sono in grado di parlare o scrivere di idee di cui riescono a scrivere o parlare facilmente nella propria lingua madre. La scarsa consapevolezza del fenomeno linguistico della collocation non l’ho riscontrata solo negli studenti e nei colleghi con cui ho avuto modo di collaborare, ma anche nella traduzione inglese del sito ufficiale di EXPO 2015. “[…] in homepage si legge il titolo «Albanese looks backstage at the communication campaign of Expo Milano 2015». Il riferimento è alla campagna di comunicazione di Expo, la cui voce sarà l’attore Antonio Albanese, ma nessuno conosce l’espressione <looks backstage>, 4 Morgan Lewis, “There is nothing as practical as a good theory” in Michael Lewis (ed.), 2000, Teaching Collocation: Further Developments in Lexical Approach, Thomson Heinle Language Teaching.
  • 15. 14 semplicemente perché non esiste.5 ” Passando in rassegna i casi che avevo raccolto, mi accorsi che quegli enunciati soddisfacevano quasi tutte le proprietà che, secondo Laufer6 , sono indice della conoscenza di un termine (ricorrevano in una forma e una struttura morfologica corretta, rispettavano il pattern sintattico della frase, avevano un significato comprensibile), tranne una: le collocazioni privilegiate. Le collocazioni si riscontrano dappertutto in ogni lingua e sono fondamentali nella comunicazione. 5 Giacomo Valtolina, Quegli strafalcioni (in lingua straniera) sul sito di Expo, Corriere della Sera, domenica 1 febbraio 2015, p. 27. Consultabile anche alla pagina web: http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_febbraio_01/sito-web-expo-strafalcioni-lingua- straniera-b1aeddd4-a9ee-11e4-a06a-ec27919eedf1.shtml Ultimo accesso: 18/06/2015. 6 Bettoni, Camilla, 2002, Imparare un’altra lingua. Lezioni di linguistica applicata, Roma – Bari, Editori Laterza.
  • 16. 15 Tuttavia, poiché, in gran parte, differiscono da una lingua all’altra, esse costituiscono un ostacolo per chi studia un’altra lingua. Soprattutto ai livelli più avanzati, gli apprendenti di una lingua straniera vengono immediatamente riconosciuti come tali perché dimostrano incertezze nell’uso delle collocazioni. Mentre i parlanti di L1 memorizzano le collocazioni fin dall’infanzia e le usano intuitivamente in modo appropriato e non le percepiscono come nulla di particolare, per gli stranieri esse rappresentano delle espressioni “particolari” da imparare a memoria. Per esempio, un apprendente d’inglese dovrebbe essere reso consapevole del fatto che in questo idioma, per riferirsi all’azione di cattura di un’istantanea, si devono combinare al sostantivo <picture> i verbi <get>, <snap>, <take> (take a picture), che il sostantivo <rain> è solitamente preceduto dagli aggettivi <drenching>, <heavy>, <pouring>, <torrential>, etc…, che il verbo <look>, nell’accezione di <guardare>, è seguito da <at>, <toward> o <towards>. Chi ha a che fare con una lingua straniera dovrebbe essere reso consapevole. Dovrebbe. Ma spesso non lo è, perché, come hanno constatato anche Balboni e Bettoni, l’apprendimento del lessico è
  • 17. 16 trascurato o affidato alla libera iniziativa degli studenti. “[…] i manuali sorvolano (troppo) su questa componente della competenza linguistica, affidandosi ad una miracolosa acquisizione spontanea del lessico incluso nei dialoghi, nelle letture, nei materiali autentici riprodotti.7 ” “Nelle tradizionali dicotomie forma vs contenuto e accuratezza vs fluenza, l’attenzione, l’attenzione è stata finora rivolta più all’evoluzione degli elementi formali della lingua, e molto meno all’evoluzione dell’abilità del comunicare, di come si diventi più fluenti nell’uso della L2. E tutto questo nonostante la ormai indiscussa convinzione che lo scopo primario dell’apprendimento linguistico (anche scolastico) sia oggi quello comunicativo pratico. Per quanto riguarda i livelli di analisi, è stato certamente privilegiato quello grammaticale. Oggi si tenta di rimediare, soprattutto con la 7 Balboni, Paolo Emilio, 2012, “Etica e glottotecnologie” in Caon Fabio & Graziano Serraggiotto (a cura di), 2012, Tecnologie e didattica delle lingue, Torino, Utet università, p. 41.
  • 18. 17 fonologia e la pragmatica, ma rimane ancora trascurato il lessico.8 ” Da queste due citazioni risulta evidente come il lessico non goda di un’adeguata considerazione nei corsi d’inglese. Se al lessico non viene dedicato lo spazio che merita, al concetto di collocazione non viene riservato neanche questo spazio di nicchia. Infatti, la collocazione è un fenomeno linguistico su cui, solo a partire dai primi anni Ottanta, è cominciata a convergere l’attenzione dei linguisti9 . Di seguito vengono riportati dei dati illustrati da Celia Shalom, dell’Università di Liverpool, in un articolo apparso su Modern English Teacher e che danno un’idea di quanto sia limitata la consapevolezza di questo fondamentale fenomeno linguistico: 8 Camilla Bettoni, 2002, Imparare un’altra lingua. Lezioni di linguistica applicata, Roma – Bari, Editori Laterza, p.18. 9 Krishnamurthy Ramesh, John Sinclair, Robert Daley & Susan Jones (eds.), 2004, English Collocation Studies : the OSTI report: Research in Corpus and Discourse, London, Continuum.
  • 19. 18 “[Some recent] research on collocational awareness found that half of a sample of English teachers in Switzerland talked about collocation to their students while only 8% taught it explicitly.10 ” Un recente studio riguardante la consapevolezza del concetto di collocation ha dimostrato che metà degli insegnanti d’inglese in Svizzera menziona il concetto di collocation e solo l’8% lo tratta in maniera esplicita. Questo lavoro può idealmente considerarsi in continuità con la mia precedente analisi dei neologismi che hanno fatto il loro ingresso nella lingua inglese lungo il corso del decennio 1997-2007. Tuttavia, in questo caso, la parola non rappresenta il centro unico dell’attenzione. Qui siamo in presenza di due fuochi. Di questi, uno è occupato dalla 10 Michael Lewis, “Materials and resources for teaching collocation” in Michael Lewis (ed.), 2000, Teaching Collocation: Further Developments in Lexical Approach, Thomson Heinle Language Teaching, p. 202-203. Traduzione dello scrivente.
  • 20. 19 parola, o, ad essere più precisi, dalle sequenze di parole. Infatti, come possono confermare gli studi della linguistica dei corpora (corpus linguistics) rinvigoriti dai moderni e computerizzati corpora concodancer, le parole non ricorrono quasi mai da sole nei testi (siano essi scritti o orali), ma, piuttosto, in sequenze frequenti e prevedibili. L'altro fuoco del presente lavoro è occupato da un’indagine statistica sulla conoscenza delle 68 collocazioni inglesi più frequenti in studenti universitari divisi per anno accademico e distinti in tre livelli di competenza: B1+, B2 e C1 del Quadro Comune Europeo di Riferimento per la conoscenza delle lingue. A margine e a conclusione di questa introduzione, mi preme chiarire perché abbia deciso di adoperare la lingua italiana per l’illustrazione di questo studio. Ho deciso di ricorrere alla “lingua del sì”, piuttosto che cimentarmi in un esercizio di scrittura in inglese perché, in primo luogo, il fenomeno della collocazione gode di poca attenzione nell’ambito degli studi linguistici e glottodidattici italiani. Le pubblicazioni, rispetto a quelle
  • 21. 20 in inglese, sono poco numerose. In più, nelle sue rare apparizioni, alla collocazione sono dedicate solo poche righe. • Dizionario delle combinazioni lessicali di Francesco Urzì (Edizioni Convivium Lussemburgo, 2009); • MdD. Modi di dire. Lessico italiano delle collocazioni di Domenico Russo (ARACNE editrice S.r.l, 2010) • Dizionario delle collocazioni. Le combinazioni delle parole in italiano di Paola Tiberii (Zanichelli, 2012). In ritardo di quasi ventisette anni rispetto al primo dizionario inglese di collocazioni. Il Selected English Collocations, a cura di Christian Douglas Kozłowska e Halina Dzierżanowska, apparve per la prima volta nel 198211 . Verrebbe da chiedersi, inoltre, se sia da imputare alla mancanza di consapevolezza di questo fenomeno linguistico l’abuso in italiano del 11 Cowie, A.P., 1999, English Dictionary for Foreign Learners: A History, Oxford, OUP.
  • 22. 21 verbo <fare>, o la fiducia cieca riposta in strumenti di traduzione automatica; comportamento, quest’ultimo, che danneggia i traduttori professionisti, gli esperti della lingua in cui il messaggio verrà tradotto e, molto spesso, il contenuto stesso del messaggio. Sebbene la collocazione possa essere sconosciuta agli utenti di questi software, il fenomeno non può che essere stato presente nei pensieri degli sviluppatori dei traduttori automatici di nuova generazione. Consideriamo il caso di Google Translate. A differenza di tutti gli altri progetti fallimentari di traduzione automatica che lo hanno preceduto, il traduttore elettronico sviluppato da Big G presenta una novità rivoluzionaria. Come spiega chiaramente David Bellos nel suo Is That a Fish in Your Ear?, le traduzioni prodotte da Google Translate sono il frutto di un processo di ricerca di corrispondenze tra espressioni equivalenti nei testi presenti sulla rete che si avvale, anche, delle conoscenze
  • 23. 22 linguistico-traduttive degli internauti12 . Attraverso questo ingegnosissimo sistema che combina l’intelligenza del web e dell’uomo la traduzione viene resa più affidabile. Più affidabile, ma non perfetta ed applicabile a qualsiasi enunciato e a qualsiasi contesto. Insomma, nonostante gli sforzi encomiabili dei tecnici di Google, allo stato attuale delle cose, Google Translate produce ancora delle traduzioni imbarazzanti (a volte degne di essere paragonate alla memorabile supercazzola Prisencolinensinainciusol di Adriano Celentano) semplicemente perché ripropone la traduzione di quanto sia stato già tradotto. In secondo luogo, ho scelto di scrivere questo lavoro in lingua italiana 12 Bellos, David, 2011, Is That a Fish in Your Ear? The Amazing Adventure of Translation, London, Penguin.
  • 24. 23 perché, come sostengono tanto Michael Lewis13 quanto Nadja Nesselhauf14 , un approccio che tenga in considerazione la L1 13 “The two traditional ideas which rather fell out of favour while the Communicative Approach began to dominate teacher training and classroom practice – translation and interference – turn out to be surprisingly fruitful when seen in the context of a lexical view of language.” Le due idee tradizionali che hanno piuttosto perso il favore di cui godevano quando l’approccio comunicativo ha iniziato a prevalere nella formazione degli studenti e nella pratica didattica- traduzione e interferenza – sono risultate sorprendentemente proficue, se viste nel contesto di una analisi lessicale del linguaggio. Lewis, Michael, 1997, Implementing the Lexical Approach. Putting the Theory into Practice, Heinle CENGAGE Learning, p. 60. Traduzione dello scrivente. 14 “Of the possible combinations, then, only the frequent and acceptable ones sas well as the non-congruent ones should be taught […] In those many cases where it is possible […] an L1-based approach to the teaching of collocations seems highly desirable” Delle possibili combinazioni, quindi, dovrebbero essere insegnate solo quelle frequenti e accettabili così come quelle non- equivalenti […] In quei molti casi in cui sia possibile […] sembra altamente desiderabile un approccio all’insegnamento delle collocazioni basato sulla L1.
  • 25. 24 dell’apprendente costituisce un’opzione estremamente valida, sia dal punto di vista didattico che economico. Inoltre, le teorie e i dati presenti in questo lavoro potrebbero risultare utili in ulteriori lavori sul medesimo argomento, o sulla comparazione tra le collocazioni italiane e quelle straniere, o su delle tecniche mnemoniche innovative finalizzate all’acquisizione delle collocation15 , Nesselhauf, Nadia, 2003, “The Use of Collocations by Advanced Learners of English and Some Implications for Teaching”, Applied Linguistics, 24 (2), pp. 223-242, p. 239-240 . Traduzione dello scrivente. 15 Si potrebbe colmare così una delle lacune riscontrate da Frank Boers all’interno del Lexical Approach proposto da Michael Lewis: “In this approach, learners are systematically encouraged to notice recurring lexical chunks in the authentic L2 language they are exposed to. Lewis does not propose many mnemonic strategies to help learners to commit those chunks to memory, but seems to rely mostly on the power of awareness-raising to trigger acquisition through imitation of sequences In questo approccio, gli apprendenti sono sistematicamente incoraggiati a notare delle sequenze lessicali ricorrenti in materiale autentico della L2 a cui sono esposti. Lewis non propone molte strategie mnemoniche per aiutare gli apprendenti a vincolare queste sequenze alla memoria, ma sembra affidarsi soprattutto alla potenza dello sviluppo di una consapevolezza linguistica che, attraverso l’imitazione, attivi
  • 26. 25 etc... Infine, l’ultima motivazione che mi ha spinto a scrivere in italiano è che, nella malaugurata ipotesi che il mio studio dovesse prestarsi a delle critiche che ne minassero il valore, si saranno, per lo meno, rese disponibili ad un/a qualsiasi lettore/trice italiano/a i contenuti e i risultati dell’attuale ricerca glottodidattica riconducibile al lexical approach. Indipendentemente dalle critiche che possa subire, sono fermamente convinto che questo giovane (anche se redivivo. L’indiscutibile padre encountered either inside or outside the classroom. To our knowledge, no ‘hard’ empirical evidence of the effectiveness of ‘chunk- noticing’ has been published yet […] and […] no supporting statistical evidence.” l’acquisizione di sequenze incontrate sia fuori che dentro la classe. Per quanto ne sappiamo, fino ad ora non è stata pubblicata nessuna vera prova empirica dell’efficacia di questa osservazione sistematica, […]e […] nessun dato statistico a sostegno del Lexical Approach. Boers, Frank et al., 2006, “Formulaic sequences and perceived oral proficiency: putting a Lexical Approach to the test”, Language Teaching Research, Vol. 10, No. 3, 245 - 261 doi:10.1191/1362168806lr195oa, p. 248.Traduzione dello scrivente.
  • 27. 26 fondatore è Harold Edward Palmer16 ), settore della linguistica applicata meriti più attenzione. Infatti, secondo il mio modestissimo punto di vista, lo studio e l’introduzione della collocazione nell’insegnamento delle lingue straniere (e materne) potrebbero risultare estremamente preziosi sia per l’apprendimento che per la padronanza di qualsiasi idioma. Parafrasando Oscar Wilde; parlatene bene, parlatene male, ma purché se ne parli17 . 16 Palmer, Harold, Edward, 1933, Second Interim Report on English Collocations, A New Classification of English Tones, Tokyo, Kaitakusha. 17 “There is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about” in Wilde, Oscar, 1890, The Picture of Dorian Grey. Capitolo 1.
  • 28. 27 Capitolo I Quando i bambini fanno “boh!” L’apprendimento della L1 La psicolinguistica, disciplina che si occupa dell’acquisizione del linguaggio e dei meccanismi di codifica e decodifica, si trova concorde nell’affermare che esista una facoltà di linguaggio propria della nostra specie, che essa sia innata e, di conseguenza, trasmessa geneticamente. A sostegno di tale ipotesi ci si avvale di tre considerazioni: 1. Lo sviluppo del linguaggio dei bambini si svolge secondo percorsi simili a prescindere dal contesto socio-culturale in cui cresce: per ogni lingua, almeno per i primi 36 mesi, l’acquisizione linguistica segue tappe prevedibili. 2. La linguistica acquisizionale mostra l’esistenza di un «ordine naturale» applicabile non solo all’acquisizione della/e
  • 29. 28 madrelingua/e ma anche all’acquisizione di altre lingue, indipendentemente dall’età. 3. L’analisi delle lingue esistenti al mondo sembra suggerire l’esistenza di una «grammatica universale», cioè di meccanismi che accomunano tutte le lingue. Tale fenomeno è spiegabile solo ricorrendo all’ipotesi di una facoltà di linguaggio innata18 . Insomma, nella costituzione degli esseri umani esiste qualcosa che permette loro di acquisire la prima e le seconde lingue. Chomsky19 parla, a questo proposito, di un meccanismo di acquisizione linguistica (Language Acquisition Device, LAD in sigla) e lo considera come un vero e proprio organo del linguaggio, innato e indistinto da tutte le altre facoltà mentali. Krashen propende, invece, per un altro termine: organizzatore. 18 Balboni, Paolo, Emilio, 2013, Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse. Terza edizione, Torino, Utet università. 19 Balboni, Paolo, Emilio, 2013, Cit.
  • 30. 29 Di sicuro, c’è che, di questo meccanismo, conosciamo poco, al momento. È una sorta di scatola near che sembra responsabile dell’elaborazione delle informazioni presenti nell’input per produrre un sistema linguistico. Che questo ‘organizzatore’ sia il cervello è ormai abbastanza ovvio20 . Considerata questa unità di fondo dell’acquisizione linguistica, è utile, concentrarsi sulle differenze eistenti tra l’apprendimento della L1 e quello della L2. Un’acuta e dettagliata descrizione di come si svolga l’apprendimento linguistico della L1 da parte dei bambini è stata condotta da Jean Aitchinson nei capitoli diciottesimo e diciannovesimo della quarta edizione di Words in the Mind: An introduction to the Mental Lexicon. 20 Pallotti, Gabriele, 2012, La seconda lingua, Bompiani.
  • 31. 30 Secondo la professoressa emerita di Lingua e Comunicazione presso la prestigiosa università di Oxford, le menti gli esseri umani, nei primi anni di vita, inglobano parole con un’efficienza ed una facilità tali da essere paragonate a delle calamite. Le stime di Aitchinson21 , che si discostano lievemente da quelle di Chomsky (12)22 e Miller e Gildea (13)23 , dicono che un bambino acquisisce circa 10 vocaboli al giorno. In media, all’età di 2 anni, i bambini adoperano attivamente circa 500 parole; intorno ai 3 più di 1000 e, all’età di 5, fino a 3000. Dal computo sono esclusi i termini che fanno parte del lessico passivo. Quest’ultimo, 21 Aitchinson, Jean, 2012, Words in the Mind: An Introduction to the Mental Lexicon,Fourth Edition, Wiley-Blackwell. 22 Chomsky, Noam, 1998, Language and Problems of Knowledge: The Managua Lectures. Cambridge, MA, MIT Press. 23 Miller, G.A. & P.M. Gildea, 1987, “How children learn words”, Scientific American, 257, 86-91.
  • 32. 31 secondo uno studio condotto da Carrey24 , arriverebbe a comprendere 14000 elementi nei soggetti aventi 6 anni. Tuttavia, considerare l’apprendimento della L1 come una semplice memorizzazione di parole sarebbe estremamente riduttivo. Lo sviluppo della L1 implica la comprensione dell’input (visivo e sonoro), la formulazione e la verifica di ipotesi sugli stimoli provenienti dall’esterno, la catalogazione, la contestualizzazione e i tentativi di riproduzione degli stessi. Prima di esprimersi con la consapevolezza tipica di un parlante adulto, un bambino deve adempiere a tre compiti di fondamentale importanza: 1/3 La nomenclatura degli enti, degli oggetti o dei concetti che circondano il bambino (labelling task, in termini Aitchinsoniani). 2/3 La catalogazione del repertorio lessicale raccolto (packaging task). 24 Carey Susan, 1978, “The child as a word learner”. In M. Halle, J. Bresnan, and G.A. Miller (eds.), Linguistic Theary and Psychological Reality, Cambridge, MA, MIT Press.
  • 33. 32 3/3 La costruzione di una rete di associazioni (enciclopediche, grammaticali, semantiche e collocazionali25 ) per i termini presenti nel proprio lessicale mentale (network-building task).26 1/3 Il processo che conduce alla nomenclatura Per i bambini, il processo di attribuzione dei nomi agli oggetti, alle entità e ai concetti che costituiscono la realtà in cui è immerso è meno semplice e diretto di quanto si è soliti credere27 . È troppo semplicistico pensare che, per insegnare una parola ad un neonato, basti indicare un oggetto o una persona e pronunciarne il nome corrispondente scandendo le lettere che lo compongono. La capacità di simbolizzazione, ossia la consapevole associazione di una combinazione di suoni a un preciso significato, richiede tempo e, normalmente, non emerge fino al compimento del primo anno di età. 25 Personalissimo neologismo utilizzato per facilità d’esposizione e creato tramite calco dell’aggettivo inglese collocational (= relativo alle collocazioni). 26 Aitchinson, Jean, 2012, Cit. 27 Aitchinson, Jean, 2012, Cit.
  • 34. 33 Quei <mamma> e <papà>, pronunciati prima del compimento dell’anno di età e che inorgogliscono i genitori, sono solo degli esercizi articolatori28 . Essendo suoni articolati con la parte anteriore della bocca (si noti che la /m/ e la /p/ sono entrambe delle consonanti bilabiali), queste sequenze foniche risultano facilmente riproducibili per un bambino. Figura 1 – Esercizi articolatori nei bambini29 28 Aitchinson, Jean, 2012, Cit. 29 Immagine adattata da un fotogramma del video "10 Minuti con..." Ca' Foscari: Video lezione di Didattica Lingue Moderne – BALBONI. Disponibile all’indirizzo:
  • 35. 34 Prima che un bambino acquisisca la capacità di simbolizzazione, le sue espressioni vocali sono o dei semplici esercizi articolatori o una specie di rito che accompagna le azioni quotidiane. Per chiarezza d’esposizione, mi affiderò alla traduzione di un caso riportato da Aitchinson e che ha come protagonista un bambino di nome Adam. “Dut” (“duck”) shriecked this 12-month-old child excitedly each evening at bathtime as he knocked a yellow toy duck off the edge of the bathtub. Adam said “Dut” only when Adam himself knocked the duck off. And never said “Dut” when the duck was /dʌt/ (paperella, papeèlla nel probabile italiano incerto di un bimbo della stessa età) gridava entusiasta questo bambino di 12 mesi ogni sera durante il bagnetto quando buttava giù dal bordo della vasca un giocattolo https://www.youtube.com/watch?v=WP1hDnco-Qw Ultimo accesso: 24/06/2015
  • 36. 35 swimming in the bath. So dut seems to be an unanalysed cry uttered as Adam swiped at the duck. It was a ritualized accompaniment to a whole scenario, and could perhaps be best translated as “Whoopee” or “Here goes.”30 giallo dalle sembianze di una papera. Ma non ha mai detto /dʌt/ “papeèlla”quando la papera galleggiava nella vasca. Quindi /dʌt/ “papeèlla” sembra essere uno strillo privo di significato che Adam pronunciava ogniqualvolta colpisse la paperella. Era una formula rituale che accompagnava l’intera situazione, traducibile come “Sìììì!” o “Evvai!” Come ulteriori prove di quanto sostenuto, Aitchinson descrive altre due situazioni che vedono coinvolto Adam. 30 Aitchinson, Jean, 2012, Cit., p. 212. Traduzione dello scrivente.
  • 37. 36 “He said “Chuff-chuff” only when he, Adam, was pushing his toy train cross the floor. He did not say “Chuff-chuff” when the train was still. And he said “Dog” only when his father, and no one else, pointed to a picture of a dog on his bib he was wearing and said, “What’s that?”31 [Adam] diceva “ciuf-ciuf” solo quando lui stesso spingeva il trenino per il pavimento. Cosa che non faceva quando il trenino era fermo. E diceva “cane” solo quando suo padre, e nessun altro, indicando la figura di un cane sul suo bavaglino, gli chiedeva “Che cos’è?”. Insomma, in un primo momento, i bambini non sono consapevoli del fatto che le parole possano servire per indicare un singolo elemento all’interno della situazione che stanno sperimentando. Come abbiamo visto, Adam, solo al tocco della paperella o del trenino, diceva /dʌt/ (“dut” = papeèlla) o “ciuff-ciuff”; inoltre, solo nella 31 Aitchinson, Jean, 2012, Cit. p. 212. Traduzione dello scrivente.
  • 38. 37 circostanza in cui fosse stato il padre a chiedergli cosa ci fosse sul suo bavaglino, rispondeva “dog”. Una volta raggiunta la consapevolezza di un legame tra un suono vocale e un singolo elemento di una situazione rituale, i bambini iniziano ad estendere l’insieme delle situazioni in cui adoperare tali sequenze vocali rituali. “For example, he began to use the word dog not only when his father pointed to the dog on his bib and said, “What’s that?” but also when his mother or he himself did so.”32 Per esempio, [Adam] iniziò a usare la parola cane non solo quando il padre, indicando il cane raffigurato sul suo bavaglino, diceva “che cos’è?”, ma anche quando lo faceva la madre o lui stesso. 32 Aitchinson, Jean, 2012, Cit. , p. 212. Traduzione dello scrivente.
  • 39. 38 A questa fase ne segue un’altra in cui gli infanti riescono finalmente a spezzare il legame tra una parola e la situazione in cui è stata memorizzata. E incominciano a ricorrere ad una determinata parola per nominare gli oggetti. Col tempo, inoltre, le parole apprese attraverso le rappresentazioni verranno applicate anche agli oggetti o alle entità vere. In pratica, il piccolo Adam userà la parola “duck” (paperella) anche per indicare delle papere vere. Adam, così come tutti i bambini, nel periodo compreso tra gli uno e i due anni, entrano nella cosiddetta fase di nomenclatura (labelling stage, espressione ancora una volta tratta da Aitchinson); fase in cui apprendono i nomi delle cose e che si sovrappone con il processo di catalogazione delle parole.
  • 40. 39 Figura 2 - Fase di nomenclatura33 2/3 Il processo di catalogazione Questo processo ha come scopo finale non solo la sistemazione delle varie parole in categorie (tanto un husky quanto un dalmata meritano di essere considerati cani), ma anche la ridefinizione dei significati di alcune parole precedentemente apprese (la parola freddo non denota 33 Immagine adattata da un fotogramma del video "10 Minuti con..." Ca' Foscari: Video lezione di Didattica Lingue Moderne – BALBONI. Disponibile all’indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=WP1hDnco-Qw Ultimo accesso: 24/06/2015
  • 41. 40 esclusivamente lo stato fisico di un cibo, di una bevanda o di un oggetto, ma anche il temperamento di una persona). Figura 3 - Processo di catalogazione34 Nel corso di tale processo, il bambino può andare incontro a due errori opposti: la sottoestensione (underextension) e la sovraestensione (overextension). 34Immagine adattata da un fotogramma del video "10 Minuti con..." Ca' Foscari: Video lezione di Didattica Lingue Moderne – BALBONI. Disponibile all’indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=WP1hDnco-Qw Ultimo accesso: 24/06/2015
  • 42. 41 Tra i due, il fenomeno di gran lunga più frequente è la sottoestensione. Questo errore consiste nella convinzione che un vocabolo si riferisca ad un numero più ristretto di concetti di quanto sia realmente. La letteratura psicologica è ricca di esempi chiarificatori. In uno studio pubblicato da Leopold nel 1947, si documenta il caso di Hildegard, una bimba di appena 20 mesi che si rifiutava di accettare di adoperare il termine bianco per indicare un foglio vuoto, semplicemente perché lei aveva associato questa parola sempre e solo alla neve35 . Un situazione simile è stata registrata da Asch e Nerlove. Nell’esperimento i bambini coinvolti dimostravano di sapere che il latte potesse essere definito freddo o che l’acqua potesse essere 35 Leopold W.F., 1947, Speech Development of a Bilingual Child, vol. 2: Sound-learning in the First Two Years, Evanston, IL, Northwestern University Press.
  • 43. 42 descritta come profonda, ma ignoravano che questi aggettivi potessero essere applicati anche per la descrizione delle persone36 . La sottoestensione è un errore piuttosto normale e viene superato con la graduale ridefinizione dei significati delle parole apprese. L’altro ostacolo in cui possono imbattersi i piccoli apprendenti della L1 è la sovraestensione. Con sovraestensione (il fenomeno opposto della sottoestensione) si intende l’errore che induce il bambino a inserire in una categoria elementi che ne sono estranei. Esistono tre ipotesi sull’origine di questo tipo di errore: l’aggiramento di un ostacolo (gap-filling) (che sia la riproduzione di un fono ritenuto complicato o la scarsità di vocaboli nel lessico mentale per indicare cose, persone o situazioni sconosciute fino ad un certo momento); la confusione (mental fog) dovuta alla scarsa esperienza del bambino; e 36 Asch, S.E. & H. Nerlove, 1960, “The development of double-function terms in children: An exploratory investigation” in B. Kaplan & S. Wapner, 1967, Perspectives in Psycological Theory, New Your, International Universities Press.
  • 44. 43 un errore di valutazione (wrong analysis) nella fase di catalogazione di alcune parole. Secondo lo psicologo russo Vygotsky, i responsabili di tali sviste sarebbero le associazioni a catena (chain-complex). I bambini, già perfettamente capaci di fare deduzioni, tenderebbero a focalizzare la propria attenzione su un singolo elemento alla volta per poi fare delle generalizzazioni troppo ampie. Vygotsky, all’interno di Thought and Language37 , documenta il caso di bambino che apparentemente inspiegabilmente diceva “quac” per riferirsi ad una papera in uno stagno, ad un bicchiere di latte, ad una moneta raffigurante un’aquila e agli occhi di un orsacchiotto. Per Vygotsky, la spiegazione è da trovare nella generalizzazione di proprietà condivise dalle situazioni e dagli oggetti percepite dai bambini: infatti, tanto lo stagno in cui nuotava la papera quanto il latte all’interno del bicchiere condividono lo stato liquido; sia la papera che 37 Vygotsky, L.S., 1962, Thought and Language, trans. E.Hanfmann & G: Vakar. Cambridge, MA, MIT Press.
  • 45. 44 l’aquila raffigurata sulla moneta sono due uccelli; infine, tanto la moneta quanto gli occhi dell’orsacchiotto hanno una forma circolare. Figura 4 - Esempio di associazione a catena (chain-complex) Bowerman ritiene, invece, che questi sbagli siano dovuti all’adozione di prototipi inappropriati. Questi prototipi vengono utilizzati per condurre un’analisi contrastiva di quanto venga percepito. La differenza tra il punto di vista dei bambini e quello degli adulti ( e, conseguentemente, di prototipi) si ripercuote nelle scelte lessicali.
  • 46. 45 In The structure and origin of semantic categories in the language learning child38 , la linguista statunitense riporta alcune considerazioni su una bambina rispondente al nome di Eva. Eva, nel periodo compreso tra i 16 mesi e i due ani di età, ricorreva al termine <luna> non solo per indicare il satellite che orbita intorno alla Terra, ma anche per riferirsi ad una fetta di limone, a una foglia verde luccicante, ad un foglio a forma di mezzaluna, alle corna delle mucche e ai legumi gialli e verdi con forma ricurva. Secondo Bowerman, Eva non faceva altro che assegnare la stessa etichetta a tutti gli oggetti che condividessero quella che, per lei, era la caratteristica essenziale della luna: la forma. 38 Bowerman, Melissa, 1980, “The structure and origin of semantica categories in the language learning child” in D. Foster e S.Brandes (eds.), 1980, Symbol as Sense: New Approches to the Analysis of Meaning, New York, Accademic Press.
  • 47. 46 Figura 5 - Usi di <luna> secondo Eva39 Per mezzo della teoria dei prototipi, che permette di inglobare anche quella della catena di associazioni elaborata da Vygotsky, si possono spiegare sia la sovraestensione che i processi che guidano il modo di catalogare degli adulti. Infatti, per catalogare, tanto i bambini quanto gli adulti confrontano le caratteristiche rilevate nei propri prototipi mentali con quelle percepite nei nuovi stimoli. 39 Immagine adattata da Aitchinson, Jean, 2012, Cit. p. 216
  • 48. 47 Tuttavia, come dimostrano gli studi di Landau40 , Baldwin41 e Merriman42 , durante l’infanzia, l’aspetto, e soprattutto la forma delle cose, ha un’influenza determinante. 40 Landau, B., L.B. Smith & S. Jones, 1988, The importance of shape in early lexical learning., Cognitive Development, 3, 299-321. Landau B., 1992, “Syntactic context and the sahpe biasin children’s and adults’ lexical learning”, Journal of Memory and Language, 31, 807-25. 41 Baldwin, D.A., 1992, Clarifying the role of the shape assumption, Journal of Experimental Child Psycology, 54, 392-416. 42 Merriman, W.F., P.D. Scott & J. Marazita, 1993, An appearance-function shift in children’s object naming. Journal of Child Language, 20 101-18.
  • 49. 48 3/3 La creazione di una rete di associazioni Figura 6 – Associazioni mentali43 La creazione di reti di associazioni è un processo che si svolge lentamente. Solo col tempo, si giungerà all’instaurazione di quegli stessi legami tra parole esistenti nella mente di un adulto. 43 Immagine adattata da un fotogramma del video "10 Minuti con..." Ca' Foscari: Video lezione di Didattica Lingue Moderne – BALBONI. Disponibile all’indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=WP1hDnco-Qw Ultimo accesso: 24/06/2015
  • 50. 49 Questa lentezza è facilmente spiegabile alla luce del suddetto fenomeno della sottoestensione e del fatto che i bambini imparano le parole in un determinato contesto per poi, solo gradualmente, applicarle ad altre situazioni. Durante questa fase associativa, il bambino stabilisce tra le parole connessioni di natura enciclopedica, grammaticale e collocazionale. Ci si concentri, innanzitutto, sulle connessioni di natura enciclopedica.
  • 51. 50 Come emerge chiaramente da numerosi studi44 , compresi quelli di Piaget45 e di Macnamara46 , nelle fasi iniziali della crescita (intorno ai due anni), vige una tendenza molto comune a far corrispondere, ad un oggetto, uno ed un solo nome: un maialino è solo un maialino, e non, anche, un animale. Successivamente, attraverso l’apprendimento, intorno al prototipo di una certa idea si coaguleranno tutti gli altri concetti collegati. 44 La preferenza per l’uso di una sola parola è stato definito in vari modi “principio di contrasto” (principle of contrast) in Clark E.V., 1987, “The principle of contrast: A constraint on language acquisition”, in B. MacWhinne, 1987, Mechanisms of Language Acquisition Hillsdale, NJ, Lawrence Erlbaum. “Esclusività reciproca” (mutual exclusitiy) in Merriman W.E. & L.L. Bowman, 1989, “The Mutual Exclusivity Bias in Children’s Word Learning”, Monograpphs of the Society for Research in Child Development, 54. Tuttavia si dibatte ancora se questa preferenza per un’unica parola influisca a tutte le età. 45 Macnamara, J., 1982, Names for Things. Cambridge, MA, MIT Press. 46 Inhelder B., & J. Piaget, 1964, The Early Growth of Logic in the Child, London, Routledge and Kegan Paul.
  • 52. 51 A tal proposito, è particolarmente significativo un esperimento condotto da White47 su bambini di età compresa tra i 3 ed i 5 anni. I bambini si mostravano concordi nel inserire tanto i passeri quanto i pettirossi nella categoria composta dagli uccelli; tuttavia, si mostravano contrari nel fare la stessa cosa con galline e papere. Il motivo? Ai loro occhi, galline e papere non erano uccelli, ma semplicemente galline e papere e, come tali, indegne di essere considerate uccelli. Nei bambini, il processo di creazione di reti di associazioni investe anche la grammatica. Apparenti involuzioni nell’uso della lingua possono essere il sintomo di una possibile sistematizzazione dei concetti in fieri. 47 White, T.G., 1982, “Naming practices, tipicality, and underextension in child language”, Journal of Experimental Child Psychology, 33, 324-46.
  • 53. 52 Questa sistemazione dei concetti attraverso errori è riscontrabile anche nell’interlingua48 tipica l’apprendimento della L2. Bowerman in Systematizing semantic knowledge: Changes over time in the child’s organization of meaning49 riporta il caso di Christie, una bambina anglofona di 2 anni. “Christie used the words put and give appropriately, as in “I put it somewhere,” “Gimme more gum.” Then, when she was 3, she started to use them interchangeably: “You put (“give”) me bread and butter,” “Whenever Eva Christie usava le parole mettere e dare appropriatamente, come in “lo metto da qualche parte”, “dammi un’altra chewing-gum”. Poi, all’età di 3 anni, ha iniziato a usarli in maniera intercambiabile: “Metti (dai) a me pane e burro”, “Ogni volta che Eva non ha bisogno del 48 “Chiaramente non più L1 e non ancora pienamente L2, l’interlingua è una lingua in continua evoluzione verso la L2 man mano che l’apprendimento avanza.” Bettoni, Camilla, 2002, Imparare un’altra lingua. Lezioni di linguistica applicata. Roma – Bari. Editori Laterza. 49 Bowerman, Melissa, 1978, Systematizing semantic knowledge: Changes over time in the child’s organization of meaning. Child Development, 49, 977-87.
  • 54. 53 doesn’t need her towel, she gives (“puts”) it on my table”. Perhaps, suggested Chriestie’s mother, she had suddenly discovered that put and give had very similar meanings, but had not yet realized that one puts something on to a thing, but gives something to a person. Two more years elapsed before Christie used put and give correctly by adult standards50 ”. fazzoletto, lo dà (mette) sul mio tavolo”. Forse, suggeriva la madre di Christie, lei ha scoperto improvvisamente che dare e mettere hanno significati molto simili, ma non ha ancora compreso che si mette qualcosa su una cosa, ma si dà qualcosa a una persona. Sono trascorsi altri due anni prima che Christie usasse mettere e dare in maniera grammaticalmente corretta. Un altro tipo di legame lessicale che si forma durante l’infanzia è un legame cui gli esseri umani, inconsciamente, molto legati, soprattutto, 50 Aitchinson, Jean, 2012, Cit. p. 218 – 219. Taduzione dello scrivente.
  • 55. 54 nel parlato51 : le collocazioni, ossia “la regolare cooccorrenza di due o più parole di solito una vicina all’altra in un enunciato o in enunciati prossima52 ”. Si pensi, per esempio, allo stile formulare di quelle opere letterarie e non che in origine erano destinate all’oralità come i poemi epici o i libri sacri (il pelide Achille, Achille piè veloce, la glaucopide Atena, Dio Onnipotente, i 99 epiteti per Allah contenuti nel Corano, etc…). Le collocazioni costituiscono una tale attrazione per la mente dei bambini che Gropen53 è riuscito a riscontrare delle collocazioni di origine visiva nella produzione linguistica di bambini non vedenti. Emblematico è il caso di Kelli, una bimba non vedente: “Kelli apparently started off by learning the names for various objects, like many sighted Kelli apparentemente aveva incominciato ad imparare i nomi dei vari oggetti, come molti 51 Shin, Dongkwang, 2007, The High Frequency Collocations of Spoken and Written English. English Teaching, Vol. 62, No. 1, Spring 2007. 52 Beccaria, Gian Luigi (ed.), 2008, “collocazione” in Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, retorica, Torino, Einaudi, p. 155. 53 Gropen, J., S. Pinker, W.E. Hollander, & R. Goldberg, 1991, “Affectedness and direct speech” Cognition, 41, 153-96.
  • 56. 55 children. Then she noticed which words could co-occur, again like other children. She had heard people talk about blue cars, brown dogs and yellow flowers, so she knew that colors things could be […].”54 bambini normodotati. Quindi ha notato quali parole ricorrevano insieme, ancora una volta come altri bambini. Avendo sentito gli altri parlare di macchine blu, cani marroni e fiori gialli, sapeva di che colore fossero le cose. Tuttavia, come dimostrano gli studi di Entwisle55 , R. Brown e Berko56 , pare che esista una ma a differenza tra le collocazioni abituali dei bambini e quelle degli adulti. 54 Aitchinson, Jean, 2012, Cit., p. 217. Traduzione dello scrivente. 55 Entwisle, D.R., 1966, Word-associations of Young Children, Baltimore, MD, John Hopkins Press. 56 Brown, R., & J. Berko, 1960, “Word association and the acquisition of grammar”, Child Development, 31, 1-14.
  • 57. 56 Sembra, infatti, che nella scelta delle collocazioni degli adulti pesi la consapevolezza dell’organizzazione del lessico in parti del discorso57 : la sintassi. La creazione di legami tra parole non può che trarre un ulteriore rafforzamento dal procedimento attraverso il quale i bambini apprendono a separare i singoli elementi presenti nella catena fonica. Per raggiungere tale scopo, i piccoli apprendenti, in una prima fase, memorizzano e ripetono per intero le stringhe sonore (chunks) che accompagnano dei gesti e/o delle situazioni rituali. 57 Brown, R., & J. Berko, 1960, Cit.
  • 58. 57 Figura 758 Aitchinson, a tal proposito, illustra i casi di due bambini, di cui uno apprezzabile e comprensibile anche se in traduzione: “Fourteen-month-old Minh said Obedie apparently in imitation of adult “Open the door,” when he was pounding on a closed door and shouting Minh, un bimbo di appena 14 mesi, mentre stava battendo i pugni contro una porta chiusa e urlava a suo fratello che si trovava dall’altro lato, ha detto /ˈəʊbədi:/ (cioè apri la 58 Immagine adattata da Aitchinson, Jean, 2012, Cit. p.228.
  • 59. 58 to his older brother on the other side. […] Both these utterances seem to be unanalyzed wholes, not yet divided into words.”59 porta; apipòdda, nel probabile italiano stentato di un bimbo) nell’intento di imitare la frase “Open the door” (apri la porta) pronunciata da un adulto,. […] Entrambi questi enunciati sembrano delle sequenze foniche non ancora suddivise in parole né, tantomeno, analizzate. A partire da questa collezione di pezzi non analizzati, gli infanti non solo rafforzano la rete di legami esistenti tra le parole, ma, inoltre, sono grado di: 1. Ricavare informazioni sull’accentazione delle parole 2. Trarre informazioni sul prosodia degli enunciati. 59 Aitchinson, Jean, 2012, Cit. p. 228. Traduzione dello scrivente.
  • 60. 59 3. Porre i presupposti necessari per la produzione orale tramite l’associazione delle immagini sonore memorizzate con il movimento dei muscoli coinvolti nella fonazione. 4. Costruirsi un piccolo repertorio lessicale60 pronto per l’uso con l’indubbio vantaggio di ridurre i tempi di comprensione ed elaborazione dei messaggi. Conclusasi questa breve descrizione delle fasi iniziali di acquisizione della L1, si può rivolgere l’attenzione alle dinamiche con cui si è svolto e si svolge l’apprendimento della L2. 60 Aitchinson, Jean, 2012, Cit.
  • 61. 60 Capitolo II … E quando i «grandi» fanno “boh!”? L’apprendimento della L261 Come scriveva il filosofo greco Aristotele (IV secolo a.C.) in la “Politica”, l’essere umano è un animale sociale; e, in quanto tale, tende ad aggregarsi con altri individui e a costituirsi in società. Tuttavia, i rapporti tra gli esseri umani, nel corso dei millenni, non si sono limitati a quelli tra membri di piccole comunità isolate tra loro, ma hanno anche visto il coinvolgimento di membri di comunità più o meno vicine per scambi commerciali o guerre. Altre volte, invece, sono stati i processi migratori a mettere in contatto popolazioni molto diverse tra loro. In queste occasioni di contatto, la comunicazione ha, ovviamente, rappresentato un ostacolo considerevole. 61 In questo lavoro, L2 indica qualsiasi lingua un individuo impari dopo che si sia stabilizzata la sua prima lingua (L1). Pertanto, con L2 si intende anche una terza lingua, una quarta, ecc.…
  • 62. 61 Tra le soluzioni adottate dagli esseri umani per venire a capo di questo problema non c’è stata solo la creazione di lingue ibride destinate all’espletamento di una determinata funzione (le lingue pidgin), ma anche l’apprendimento delle lingue straniere. Renzo Titone, nel suo Cinque millenni di insegnamento delle lingue62 , ci ricorda che le prime tavolette bilingui ittite-sumere risalgono al 2600 a.C.. Se l’apprendimento e l’insegnamento delle lingue straniere costituiva una necessità più di 4000 anni fa, figuriamoci in un’epoca in cui i mezzi di trasporto e le telecomunicazioni hanno trasformato il mondo in un villaggio globale. La scienza che studia l’insegnamento delle lingue è la glottodidattica. Questa scienza, chiamata anche, a seconda dei vari universi epistemologici di riferimento, pedagogia delle lingue, linguistica 62 Titone, R., 1986, Cinque millenni di insegnamento delle lingue, Brescia, La Scuola.
  • 63. 62 applicata, linguistica educativa, didattologia delle lingue –culture e didattica delle lingue moderne, ha registrato, nell’ un notevole sviluppo che ha condotto ad un susseguirsi di innovazioni teoriche e pratiche63 . Questo capitolo si propone di passarle in rassegna per capire in che modo si sia evoluto l’insegnamento della L2. Nel mondo romano, nel Medioevo e nel corso del Rinascimento, l’insegnamento delle lingue si svolgeva attraverso l’interazione con un parlante nativo (ad esempio, uno schiavo ellenico al servizio di una famiglia romana, o un intellettuale ospite presso una corte straniera). Poste queste condizioni, l’insegnamento non poteva che essere finalizzato alla comunicazione. L’attenzione all’uso prevaleva sulla forma ed, inoltre, i modelli da imitare e le regole da rispettare erano tratti dai testi classici. 63 Balboni, Paolo Emilio, 2012, Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse, Torino, Utet università.
  • 64. 63 A partire dal Seicento fino quasi ai nostri giorni (in Italia è entrato in crisi negli anni Settanta-Ottanta), la didattica delle lingue assunse il cosiddetto approccio64 formalistico. Tale scelta fu dovuta alla pesantissima eredità lasciata dall’insegnamento del latino e alla compilazione dei primi dizionari e grammatiche da parte di quelle istituzioni nate per studiare e normare le varie lingue volgari (l’Accademia della Crusca in Italia, Port Royal in Francia, la Royal Society in Inghilterra). L’approccio formalistico si basava sulla convinzione che la lingua fosse un’entità priva di vita strettamente conforme alle regole fissate dalla grammatica. Le pratiche didattiche che discendevano da questo approccio si limitavano alla lettura e alla traduzione di testi (a volte privi di un fine concreto), rivolgevano la massima attenzione alla grammatica (concepita come unione di morfologia e sintassi) e richiedevano la 64 Come in Balboni (2012), Cit. anche qui il termine «approccio» si riferisce alla “filosofia di fondo” cui possono essere ricondotti i vari modelli d’insegnamento delle lingue straniere, mentre con «metodo» si intende “l’insieme degli strumenti di organizzazione dell’educazione linguistica”, non le tecniche di classe.
  • 65. 64 memorizzazione di singoli vocaboli per mezzo di liste (i paradigmi dei verbi irregolari, la famiglia, i numeri ecc…). Dopo due secoli di dominio incontrastato, il primo attacco all’approccio formalistico venne sferrato dagli Stati Uniti. E non poteva essere altrimenti. Gli Stati Uniti d’America, a seguito dalle molteplici ondate migratorie, erano diventati una società multiculturale ed, inoltre, la conoscenza delle lingue non era considerata un semplice ornamento culturale, ma un sapere indispensabile negli scambi commerciali e nei rapporti internazionali. Fu in questo contesto che ebbe inizio la storia delle scuole Berlitz. La prima venne fondata nel 1872 in Rhode Island da Maximillian Berlitz, un emigrato tedesco. Sotto la gestione dell’omonimo nipote del fondatore, l’attività didattica di questa scuola, adottò un approccio naturale: un insegnante madrelingua, servendosi anche di materiali autentici, impartiva delle lezioni tematiche e interattive in lingua straniera. Fu così che l’attenzione alla grammatica passò in secondo
  • 66. 65 piano rispetto allo sviluppo delle abilità comunicative e della capacità di comprendere un testo pur non conoscendo ogni parola. La rivoluzione operata da questo approccio è evidente: la lingua era ritenuta viva e al parlato veniva riconosciuta una sua importanza. Tuttavia, va ricordato che l’impatto di questo approccio rimase limitato alle scuole private a causa dei suoi costi elevati. La linguistica applicata subì una brusca involuzione nel secondo decennio del XX secolo. I conflitti europei, l’isolazionismo statunitense, i nazionalismi e la chiusura dei regimi dittatoriali dividono il mondo. Le libertà si riducono; tra queste, anche quella di movimento delle persone. Le lingue cessano di essere vive e si limitano a veicolare informazioni da testi scritti (opere scientifiche, letterarie, ecc.…). Per rispondere a questa esigenza nacque l’approccio della sola lettura o «Reading Method». La pratica didattica dell’approccio della sola lettura prevedeva la lettura, la comprensione e l’analisi di testi; in un primo momento, intuitivamente graduati e, successivamente, autentici.
  • 67. 66 Tutto si svolgeva sotto la guida di un docente forniva agli alunni qualche schema grammaticale e li erudiva su come decifrare al meglio i materiali forniti. Nei casi in cui le parole costituivano un ostacolo alla comprensione si ricorreva a un dizionario bilingue. Agli inizi degli anni Quaranta del XX secolo, gli Stati Uniti d’America diedero un ulteriore contributo alla didattica delle lingue con lo sviluppo dell’approccio strutturalistico. Questa innovazione delle pratiche dell’insegnamento linguistico deve le sue origini più che alla maturazione di teorie glottodidattiche, alla necessità di formare, nel più breve tempo possibile, le truppe statunitensi (Army Specialised Training Program) a causa della tanto improvvisa quanto indesiderata partecipazione alla seconda guerra mondiale. L’approccio strutturalistico, la cui parabola si concluse alla fine degli anni Cinquanta, poggiava su due capisaldi teorici:
  • 68. 67 1. L’ipotesi di matrice neocomportamentistica per cui l’apprendimento è il prodotto di una serie di stimoli e risposte seguite da conferme o correzioni; 2. La teoria bloomfieldiana secondo la quale la lingua possa essere ridotta in microstrutture. A livello pratico, l’interazione tra la psicologia neocomportamentistica e la linguistica tassonomica si tradusse nei cosiddetti pattern drills, o esercizi strutturali. Tali esercizi, supportati dall’impiego del registratore prima e dal laboratorio linguistico poi, avevano come obiettivo la memorizzazione robotica di campioni di lingua autentica (strutture, lessico, ecc.…) a partire dai quali, in via del tutto ipotetica, si sarebbe riusciti a generare lingua spontaneamente. Negli anni Sessanta l’approccio strutturalistico era in piena parabola discendente. A ciò avevano contribuito vari fattori: le obiezioni mosse da Chomsky al modello d’apprendimento skinneriano; l’idea di matrice sociolinguistica, secondo la quale le microstrutture linguistiche assumono un determinato significato solo all’interno di un preciso
  • 69. 68 contesto sociale; e il nuovo ordine economico-politico mondiale che, rendendo nuovamente possibile la circolazione di merci e persone, aveva fatto riemergere la necessità di un insegnamento finalizzato alla comunicazione. Il modello glottodidattico elaborato negli anni Sessanta, che Balboni definisce approccio (proto)comunicativo65 e su cui si basano ancora molti corsi di lingua, non gettò il bambino con l’acqua sporca. Gli esercizi struttutali (pattern drills), tipici dell’approccio strutturalistico, non furono esclusi dalle pratiche didattiche, ma limitati alla fase di esercitazione. Le strutture e il lessico, da adesso, orientati al raggiungimento di uno scopo, vennero distribuiti tra le varie unità didattiche dei libri di testo e calati in situazioni verosimili. Queste situazioni, inoltre, venivano ricreate in classe con l’ausilio del registrazioni e delle illustrazioni (quest’ultimo elemento spiega la denominazione di «metodo situazionale»). 65 Balboni, Paolo Emilio, 2012, Cit.
  • 70. 69 Altri approcci che vennero recuperati da questo modello d’insegnamento furono l’approccio della sola lettura attraverso l’introduzione di letture sulla civiltà e l’approccio formalistico grazie all’inserimento di sezioni dedicate alla spiegazione ed esercitazione grammaticale Le procedure operative per mezzo delle quali l’approccio (proto)comunicativo ha trovato attuazione prevedevano un percorso scandito dalla sequenza delle 3 P, ossia presentazione (presentation), pratica (practice) e produzione (production). Il docente, prima di affrontare l’unità didattica, esplorava il paratesto che la accompagnava al fine di attivare nella mente degli studenti le parole chiave utili alla comprensione del dialogo, successivamente riproduceva il dialogo registrato attraverso una strumentazione acustica ed, infine, richiedeva agli alunni di completare gli esercizi di comprensione, di drammatizzare o ripetere coralmente gli scambi di battute per familiarizzare con pronuncia e prosodia. Tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta l’attenzione dei linguisti si sposta convintamente dagli elementi costitutivi della lingua alle
  • 71. 70 funzioni svolte dalla lingua. Le due pubblicazioni più influenti di questo periodo sono How to Do Things with Words (1962) scritto da John L. Austin e Speech Acts (1969) di John Searle. Lo spunto fornito dalle riflessioni dei due filosofi anglosassoni indusse Trim, Willkins, Widdowsin, Munby, Van Ek e altri studiosi ad elaborare un elenco di funzioni comunicative (salutare, presentarsi ecc.…) e a fissare dei livelli di competenza comunicativa applicabili a tutte le lingue. Tali iniziative, sostenute dal Consiglio d’Europa con tanta convinzione da farne la base per la creazione il Quadro Comune Europeo di Riferimento, hanno dato ampia risonanza al cosiddetto approccio comunicativo. L’approccio comunicativo costituisce ancora oggi la tendenza dominante in glottodidattica e rappresenta una grande categoria che include molteplici punti di vista. Tuttavia, gli elementi comuni a tutti
  • 72. 71 sono, oltre all’interesse per gli scopi comunicativi, il ruolo dei testi e l’attenzione rivolta all’apprendente66 . Mentre gli scopi comunicativi assicurano alle attività didattiche un senso pratico, i testi ricoprono il ruolo di oggetto di apprendimento. I testi (non più le frasi), tanto in fase ricettiva quanto in quella produttiva, hanno il compito di avviare quei processi che dovranno culminare nella comprensione e nella produzione all’interno delle situazioni comunicative in cui si troverà l’apprendente. Quest’ultimo, alla luce delle teorie sull’interlingua e sul suo sviluppo, assume una centralità mai avuta in qualsiasi altro approccio precedente: si punta all’individualizzazione dell’istruzione, si presta molto più interesse alle sue motivazioni, ai suoi bisogni linguistici e ai suoi stili cognitivi di apprendimento; infine, gli errori commessi vengono considerati solo degli stadi intermedi dell’interlingua destinati a 66 Treccani.it – Glottodidattica. A cura di Wanda d’Addio Colosimo: http://www.treccani.it/enciclopedia/glottodidattica_res-9353c566-87ea-11dc-8e9d- 0016357eee51_(Enciclopedia-Italiana)/ Ultimo accesso: 18/06/2015.
  • 73. 72 scomparire una volta colmato lo scarto tra la competenza già acquisita e quella da raggiungere (i+167 ). Obiettivo realizzabile, secondo alcuni (Krashen) per mezzo di una maggiore esposizione all’input, mentre, secondo altri, attraverso la tradizionale esplicitazione delle regole. Tra le varie realizzazioni dell’approccio comunicativo meritano una particolare attenzione: 1. Il metodo funzionale-nozionale 2. Il metodo naturale di Krashen 3. I cosiddetti metodi «clinici» a. Total Physical Response b. Community Language Learning c. Silent Way d. La suggestopedia 67 Formula inventata da Krashen per rappresentare la condizione necessaria affinché l’input venga acquisito dall’apprendente. Nella formula, la lettera «i» sta per intaken e indica la competenza comunicativa gà acquisita, mentre la combinazione composta dall’operatore matematico «+» e dal numero «1» designa l’area di sviluppo potenziale dell’interlingua.
  • 74. 73 1. Il metodo funzionale-nozionale è, senza dubbio, il metodo più diffuso di realizzazione dell’approccio comunicativo, e, di conseguenza, quello cui si ispirano la maggior parte dei manuali odierni. Questo metodo si caratterizza per la fusione dei concetti di «nozione» (intesa come forma linguistica) e di «atto comunicativo» (vale a dire il fine pragmatico) e, per lo svolgimento del percorso didattico, si serve della struttura metodologica delle 3 P: presentazione, pratica, produzione. 2. Il metodo naturale di Krashen. Il metodo elaborato dal neurolinguista statunitense ipotizza l’esistenza di un unico percorso sia per l’apprendimento della L1 che per l’apprendimento della L2. Conseguentemente, affinché lo studente apprenda un nuovo idioma, è necessario esporlo ad un input accuratamente graduato sulla base dell’ordine naturale e del livello di acquisizione dell’apprendente. 3. I metodi «clinici». Si tratta di una serie di proposte provenienti dalla psicologia umanistica e risalenti agli anni Sessanta e Settanta.
  • 75. 74 A classificarli sotto l’etichetta di metodi «clinici» fu Renzo Titone nel suo volume Glottodidattica, un profilo storico (1982). La motivazione risiede nelle analogie tra il rapporto insegnante- studente e quello psicologo-paziente tipico delle sedute psicoterapeutiche: il docente parla poco, lo incoraggia a prendere la parola, lo sostiene con la mimica faciale, lo corregge servendosi del linguaggio del corpo. a. Total Physical Response, metodo messo a punto dall’accademico statunitense James Asher negli anni Sessanta. Il docente impartisce agli apprendenti, nel corso del tempo, degli ordini sempre più complessi ed articolati (prendi la penna, prendi la penna rossa, prendi la penna rossa e scrivi, ecc.…) fino al momento in cui saranno gli studenti a doversi servire del mezzo linguistico per eseguire l’ordine. b. Community Language Learning, ideato dallo psicologo gesuita Curran sul finire degli anni Sessanta, prevede l’adozione dei modelli della seduta psicoterapeutica all’interno
  • 76. 75 del contesto didattico. Ne consegue un ridimensionamento della figura del docente che non guida più il processo d’apprendimento, ma si limita a consigliare, supportare e venire incontro ai ritmi e agli stili d’apprendimento di ciascun discente. c. Silent Way, metodo inventato dal pedagogista svizzero Gattegno. Il docente fornisce un modello agli studenti a cui viene richiesto di riapplicarlo. L’insegnante rimane in silenzio, supervisiona il lavoro degli studenti alle prese con l’applicazione modello e, in caso di errori, interviene servendosi solo di gesti. d. Nata tra gli anni Sessanta e Settanta per merito del medico e psicoterapeuta bulgaro Georgi Lozarov, la suggestopedia, nelle sue sperimentazioni, ha dimostrato un’efficacia sorprendente: alla fine di corsi tenuti secondo il metodo suggestopedico, gli apprendenti erano in grado di imparare una lingua straniera molto più velocemente ed, inoltre, riuscivano
  • 77. 76 a conseguire risultati più duraturi nel tempo e con minore fatica rispetto ai metodi tradizionali. Il metodo suggestopedico, servendosi di tecniche tipiche della psicologia clinica, mira a costruire, intorno all’apprendente, un clima rilassato e pieno di stimoli gradevoli. Le lezioni non solo cominciano e finiscono con momenti di training autogeno, ma sono anche accompagnate da brani di musica barocca che fungono da sottofondo musicale68 . Anche l’impegno e l’intraprendenza dell’allievo rivestono un ruolo importante in questo metodo; infatti, i testi analizzati in classe devono essere visionati nuovamente sia prima di andare a dormire che non appena svegli. Nonostante il suo enorme potenziale, questo metodo non è mai riuscito ad imporsi e diffondersi. Perché? Perché la suggestopedia, per la sua realizzazione, richiede aule progettate ad hoc, gruppi ridotti di studenti e insegnanti con una formazione specifica. 68 Vignozzi, Letizia, 2013, “Esperimenti suggestopedici”, Didattica & Classe Plurilingue, n. 7, settembre-dicembre 2003.
  • 78. 77 Nel corso del tempo, i vari approcci che si sono succeduti si sono proposti di fornire allo studente tanto un bagaglio grammaticale quanto uno lessicale, ma non si sono potuti mai porre il problema di ricreare nella mente dell’apprendente il processo di creazione di una rete di collocazioni; come, invece avviene nelle prime fasi dell’apprendimento della L1 (capitolo 1). La causa di ciò è stato il fatto che la collocazione ha costituito per la linguistica e la glottodidattica quello che l’antimateria ha rappresentato e rappresenta ancora per la fisica: un fenomeno ipotizzabile, ma difficilmente dimostrabile. Si è dovuto attendere lo sviluppo delle tecnologie informatiche e la successiva creazione di enormi banche dati di testi per poter realizzare le condizioni necessarie per un’analisi di come il lessico si comporti nella produzione linguistica69 . 69 Porcelli, Gianfranco, 2004, Comunicare in una lingua straniera: il lessico Torino, UTET- Libreria.
  • 79. 78 E quindi, avere la prova evidente dell’esistenza della collocazione in ogni forma di comunicazione verbale, anche se più o meno frequente a seconda del canale utilizzato70 . A differenza di quanto si è portati a pensare comunemente, le parole non si dispongono a caso (un appello si può lanciare, ma non tirare, sebbene queste due parole siano sinonimi; si può realizzare un forte guadagno, non un guadagno potente71 ), ma, invece, si combinano secondo delle regole dettate dalla propria collocazione. Ma, purtroppo, le parole di ogni lingua, per ragioni arbitrarie (Micheal Lewis) o no (Dilin Liu), hanno collocazioni differenti. Se lo studente è ignaro di questo fenomeno linguistico non potrà che utilizzare le collocazioni della propria lingua (transfer negativo) e, nel 70 Shin, Dongkwang, 2007, The High Frequency Collocations of Spoken and Written English, English Teaching, Vol. 62, No. 1, Spring 2007. 71 Paola, Tiberii, 2012, “Introduzione” in Paola, Tiberii, 2012, Dizionario delle collocazioni. Le combinazioni delle parole in italiano, Zanichelli.
  • 80. 79 caso di non coincidenza tra le collocazioni dei due idiomi, commettere un errore. Questa è la ragione per cui uno studente italiano è tentato dal dire *strong rain, anzichè heavy rain (forte pioggia); uno studente tedesco ha più probabilità di incorrere in un errore come *make homework72 (Hausaufgaben machen, in tedesco, fare i compiti in italiano), o uno studente coreano è più portato a parlare di *thick tea73 , piuttosto che di strong tea (tè forte). Uno studente che non ha sviluppato alcuna sensibilità per il fenomeno della collocazione non penserà mai che, sebbene aim e goal siano due sinonimi, solo goal possa combinarsi con il verbo reach74 (reach a goal, achieve a goal, achieve an aim, *reach an aim). 72 Nesselhauf, Nadja, 2003, “The Use of Collocations by Advanced Learners of English and Some Implications for Teaching”, Applied Linguistics 24 (2), 223-242. 73 Shin, Dongkwang, 2006 A Collocation Inventory for Beginners, Victoria University of Wellington. 74 Nasselhauf, Nadia, 2003, Cit.
  • 81. 80 Tali osservazioni sono confermate dalle conclusioni di una pubblicazione accademica a firma di Bahns ed Eldaw75 (2003). Secondo i due studiosi, infatti, le probabilità che uno studente scelga una collocazione errata sono due volte superiori rispetto a quelle di utilizzare una parola inappropriata. L’esclusione della collocazione dall’insegnamento delle lingue straniere è stata all’origine di quella condizione definita da Morgan Lewis come l’«intermediate plateau» (la palude76 del B1-B2). What can you really do for those ‘intermediate plateau’ students who need a breakthrough? […] The reason why so many students Cosa si può fare per quegli studenti rimasti impantanati nella palude del B1-B2 che hanno bisogno di trarsi fuori? […] 75 Bahns, J. & M. Eldaw, 1993, “Should we teach EFL students collocations?”, System, 21 (1), 101 – 114. 76 Sebbene plateau significhi altopiano, qui si è deciso di tradurre «intermediate plateau» con «la palude del B1-B2» per cercare di trasferire al/lla lettore/trice la frustrazione che ì accompagna questa situazione e la difficoltà con la quale si cerca di uscirne.
  • 82. 81 are not making any percieved progress is simply because they have not been trained to notice which words go with which. They may know quite a lot of individual words which they struggle to use, along with their grammatical knowledge, but they lack the ability to use those words in a range of collocations which pack more meaning into what they say or write77 . La ragione per cui così tanti studenti non compiono progressi apprezzabili è semplicemente perché non sono stati allenati a notare quali parole vanno insieme. Possono conoscere un bel po’ di singole parole, insieme con una buona conoscenza grammaticale, ma mancano della capacità di usare quelle parole in una varietà di collocazioni che infondano più senso a ciò che dicono o scrivono. 77 Lewis, Morgan, 2000, “There is Nothing as Practical as a Good Theory” in Lewis, Michael, 2000, Teaching Collocation: Further Developments in Lexical Approach, CENGAGE Learning,.
  • 83. 82 Per trasmettere agli studenti di L2 la consapevolezza che le parole si combinano in sequenze e, di conseguenza, per facilitare la produzione linguistica, Michael Lewis ha concepito il cosiddetto approccio lessicale (Lexical Approach). L’approccio lessicale, elaborato per la prima volta da Michael Lewis nel 1993 (anno di pubblicazione de The Lexical Approach. The State of ELT and a Way Forward) non si propone di rivoluzionare la glottodidattica, ma di completarla. Infatti, il Lexical Approach non disdegna né bandisce lo studio della grammatica, ma tenta solamente di prestare maggiore attenzione ad un aspetto completamente ignorato negli approcci precedenti: la ‘grammatica della parole’, ossia la maniera in cui le parole si associano tra di loro nella lingua straniera. Secondo Lewis “la lingua non è composta da una grammatica lessicalizzata, ma da una un lessico grammaticalizzato78 ”. 78 Lewis, Michael, 1993, The Lexical Approach. The State of ELT and a Way Forward, Heinle CENGAGE Learning, p. vi.
  • 84. 83 Pertanto, la lingua non può essere analizzata e studiata solo attraverso le sole categorie della grammatica (strutture) e del lessico (parole). L’apprendimento delle lingue deve includere anche lo studio delle sequenze prefabbricate di lingua (chunks), perché queste se accuratamente combinate, producono testi scorrevoli e coerenti. All’interno del lessico oltre alle parole, Lewis individua tre tipi di sequenze prefabbricate: le collocazioni, le espressioni fisse e le espressioni semi-fisse. Dal punto di vista della struttura metodologica, l’approccio lessicale si distingue dagli approcci che lo hanno preceduto perché si propone di sostituire la sequenza Presenta-Pratica-Produci con la procedura Osserva-Ipotizza-Sperimenta. All’interno di questo paradigma metodologico (Osserva-Ipotizza Sperimenta) vale la pena soffermarsi soprattutto sulla prima e sull’ultima fase. Per il teorico del Lexical Approach, l’osservazione dei fenomeni linguistici presenti all’interno dei testi riveste una grandissima
  • 85. 84 importanza perché “tutto ciò che produciamo linguisticamente proviene da ciò che sta fuori di noi79 ”. L’inevitabile conseguenza di tale osservazione è che, fin dalle prime fasi dell’insegnamento linguistico, bisogna tentare di indirizzare l’attenzione degli/lle apprendenti sui fenomeni linguistici e sulla grammatica (awareness raising) in modo da indurre i/le discenti a scoprire la grammatica (Ipotesi) e ad interiorizzarne le regole. Un’abilità che riveste un’enorme importanza all’interno dell’approccio lessicale e che i docenti di lingua straniera devono affrettarsi a trasmettere è il chunking, ossia il riconoscimento nei testi delle sequenze semi-fisse che compongono la lingua. L’acquisizione di tale abilità non deve passare solo attraverso un atteggiamento di awareness raising da parte dell’insegnante (per Lewis, l’esposizione agli input scandita dalla domanda “avete notato che…?” dovrebbe sostituire l’insegnamento esplicito della grammatica) e del materiale didattico, ma anche attraverso la 79 Lewis, Michael, 1993, The Lexical Approach. The State of ELT and a Way Forward, Heinle CENGAGE Learning, p. 194.
  • 86. 85 sistematica registrazione e consultazione di appositi taccuini da parte degli/lle apprendenti. Attraverso lo sviluppo dell’abilità di chunking e una lunga esposizione a input autentici accuratamente selezionati dal docente, l’apprendente potrà crearsi un a vasta collezione di sequenze semi-fisse (chunks) da utilizzare quando (il più tardi possibile) gli sarà richiesta la produzione di testi lunghi e complessi. La sperimentazione, che rappresenta il terzo ed ultimo tassello della struttura metodologica proposta da Lewis nel Lexical Approach, deve essere incoraggiata durante la fase di produzione linguistica dell’apprendente. Affinché l’apprendente provi quante più soluzioni linguistiche possibili, l’errore deve cessare di essere considerato un fallimento e va scoraggiata qualsiasi strategia di aggiramento degli ostacoli linguistici. Sebbene l’approccio lessicale consideri l’errore come parte del processo di acquisizione linguistica, il docente che adotti tale approccio
  • 87. 86 non può sottrarsi al dovere di reagire alle sviste linguistiche degli/lle allievi/e. Lewis invita i/le insegnanti a rispondere agli errori prodotti nell’espressione orale e in quella scritta in due maniere differenti. In caso di errore nella produzione linguistica orale, Lewis suggerisce all’insegnante di ricorrere alla strategia della riformulazione (reformulation), poiché, riformulando quanto espresso erroneamente dal discente, si può tentare di fornire l’input lessicale o grammaticale necessario per colmare le lacune linguistiche emerse. Siccome, secondo Lewis, gran parte di queste lacune linguistiche sono dovute a carenze lessicali e i docenti, nella riformulazione dei messaggi, devono prestare più attenzione al lessico che alla grammatica. Nel caso in cui l’apprendente commetta errori in un elaborato scritto, Lewis, invece, consiglia all’educatore/trice di coinvolgere il discente in un processo di co-revisione dell’elaborato (feedback).
  • 88. 87 Ciò che accomuna queste due differenti maniere di rispondere all’errore è il tentativo di consapevolizzazione dell’apprendente (awareness raising). Infatti, tanto la riformulazione quanto il processo di co-revisione degli elaborati scritti cercano di sviluppare nel discente l’attitudine alla riflessione linguistica perché, secondo Lewis, “la prima responsabilità di ogni insegnante è lo sviluppo negli studenti di una capacità di reazione agli stimoli80 ” 80 “The teacher’s primary responsability is response-ability” Lewis, Michael, 1993, The Lexical Approach. The State of ELT and a Way Forward, Heinle CENGAGE Learning, p. 188.
  • 89. 88 Capitolo III “Parole, parole, parole” Il lessico della L2: quantità e qualità. Nell’apprendimento delle lingue straniere, la creazione di un proprio lessico mentale è un processo di capitale importanza. Infatti, come notava acutamente il linguista inglese Wilikins, chi va all’estero si munisce di un vocabolario non di una grammatica, perché, senza grammatica si può comunicare molto poco, ma senza lessico non si può comunicare proprio nulla81 . • Dal punto di vista quantitativo, l’obiettivo più ambizioso che può porsi chi apprende una L2 è quello di memorizzare tutte le parole presenti in una lingua. 81 “Without grammar, very little can be conveyed; without vocabulary nothing can be conveyed” Wilkins David A., 1972, Linguistics in Language Teaching, Edward Arnold, p. 111.
  • 90. 89 Ma quante sono le parole presenti in una lingua? Per dare risposta ad un tale quesito, la cosa più semplice da poter fare è controllare il numero di parole presenti su un dizionario. Ma già a intorno al termine stesso di <parola> incominciano a sorgere problemi di natura teorica. Il concetto di <parola> è tanto radicato nella coscienza di ciascun individuo da aver prodotto in tutte le lingue svariati espressioni e modi di dire, come ad esempio: <uomo di poche parole>; <fatti non parole>; <a buen entendedor, pocas palabras bastan> (dallo spagnolo all’italiano: a buon intenditore poche parole); <ein Mensch von wenigen Worten> (dal tedesco all’italiano: un uomo di poche parole); <a man of his word> (dall’inglese all’italiano: un uomo di parola), ecc… Tuttavia, dal punto di vista linguistico, le parole sono talmente difficili da descrivere da aver indotto gli studiosi e le studiose ad adottare più di una definizione, ma con risultati poco soddisfacenti. Ad aggravare la confusione hanno contribuito le diversità esistenti tra le lingue.
  • 91. 90 Chi ha pensato di considerare parola quei grafemi isolati da due spazi bianchi ha finito per escludere da tale categoria i composti, le parole di quegli idiomi che non hanno un sistema di scrittura e quelle lingue le cui parole possono essere composte da due caratteri separati da uno spazio (come ad esempio il cinese in cui ma ma significa mamma). I linguisti che hanno adoperato come definizione operativa quella di “unità della lingua che può essere usata da sola per formare un enunciato82 ” non hanno tenuto conto delle parole grammaticali come e, ma, di, con. C’è chi considera <parole> quelle unità al cui interno non si possono inserire degli altri elementi linguistici (<amo Maria> sono due parole che possono essere ‘interrotte’: <amo follemente Maria>). Per convenzione nei dizionari, le parole vengono inserite sotto forma di lemmi, ossia le unità grafiche che rappresentano tutte le forme flesse che la parola può assumere. 82 Graffi, Giorgio & Sergio Scalise, 2012, Le lingue e il linguaggio. Introduzione alla linguistica Bologna, Il Mulino, p. 115.
  • 92. 91 Il vocabolario Zingarelli 2015 contiene più di 144.000 lemmi83 , il Grande Dizionario di Italiano Garzanti 250.00084 , la 23a edizione di El diccionario de la lengua española de la Real Academia Española 93.00085 , il Duden nella sua 26a edizione comprende 150.000 entrate86 , la seconda edizione dell’Oxford English Dictionary conta più di 83 http://www.zanichelli.it/ricerca/prodotti/lo-zingarelli-vocabolario-della-lingua-italiana- zingarelli-001 Ultimo accesso: 19/06/2015 84 http://www.garzantilinguistica.it/products-page/cdrom-4/grande-dizionario-di-italiano- licenza-online-per-2-anni/ Ultimo accesso: 19/06/2015 85 http://www.rae.es/diccionario-de-la-lengua-espanola/presentacion Ultimo accesso: 19/06/2015 86 http://www.duden.de/shop/duden-die-deutsche-rechtschreibung- 138511?campaign=D1_Startseitenbuehne/Startseite/Bild/D1&utm_source=Startseite&utm_m edium=Bild&utm_content=D1&utm_campaign=D1_Startseitenbuehne&affiliate_id=422 Ultimo accesso: 19/06/2015
  • 93. 92 171.000 voci87 , mentre la terza edizione del Webster's International Dictionary ne ha al suo interno 470.00088 Nation, nonostante ritenga che la definizione di lemma sia sufficientemente comprensiva, preferisce adottare quella di famiglia lessicale89 . La famiglia lessicale costituisce l’insieme di quelle parole che hanno la stessa base o radice. Il concetto di famiglia lessicale si differenzia da quello di lemma perché include anche i vocaboli derivanti dall’aggiunta di morfemi lessicali; e non solo di morfemi grammaticali. Nation e Warring90 , in virtù del criterio di famiglia lessicale, hanno passato al setaccio i lemmi contenuti nella terza edizione del succitato 87 http://www.oxforddictionaries.com/words/how-many-words-are-there-in-the-english- language Ultimo accesso: 19/06/2015 88 http://www.merriam-webster.com/help/faq/total_words.htm Ultimo accesso: 19/06/2015. 89 Nation, I.S.P., 2013, Learning Vocabulary in Another Language. Second Edition, Cambridge University Press. 90 Nation, P. & R. Waring, R., 1997, “Vocabulary Size, text coverage and word list” in Schmitt N. & M. McCarthy (eds.), 1997, Vocabulary: description, acquisition and pedagogy, Cambridge, Cambridge University Press.
  • 94. 93 Webster's International Dictionary e hanno trovato 54.000 famiglie lessicali. Le parole presenti sui dizionari costituiscono un quantità incomparabilmente più vasta rispetto a quella conosciuta, in media da un parlante nativo. Sfortunatamente, le ricerche sull’ampiezza media del lessico mentale (ossia, “la conoscenza delle parole prese ad una ad una, ma anche le conoscenze relative al funzionamento delle parole e dei complessi rapporti tra le varie parole, tra le varie classi di parole, ecc.91 ”) sono state poche e alcune di queste risultano viziate da errori di metodo che ne hanno invalidato l’affidabilità. Tuttavia, esistono due studi molto autorevoli a firma di Goulden92 e Zechmeister93 che convergono nell’affermare che il lessico mentale di 91 Graffi, Giorgio & Sergio Scalise, 2003, Cit. p. 148. 92 Goulden, R., I.S.P., Nation & J., Read, 1990, “How large can a receptive vocabulary be?”, Applied Linguistics, 11, 4, 341-63. 93 Zechmesiter, E.B., A.M. Chronis, W.L Cull., C.A. D’Anna,. & N.A. Healy, 1995, “Growth of a functionally important lexicon”, Journal of Reading Behaviour, 27, 2, 201-12.
  • 95. 94 un adulto istruito si aggiri, in media, intorno alle 20.000 famiglie lessicali. Inoltre, secondo una stima fornita da Biemiller e Slonim, una persona, nell’età compresa tra i 3 ed i 25 anni, sarebbe in grado di memorizzare circa 1.000 famiglie lessicali l’anno94 . Un traguardo simile è chiaramente troppo pretenzioso per un apprendente di L2. Infatti, come ci ricorda Bettoni nel suo Imparare un’altra lingua. Lezioni di linguistica applicata95 , la L2 si differenzia dalla L1 anche perché, mentre per l’apprendimento completo della L1 raggiunto verso i cinque-sei anni, i bambini impiegano tra le 12.000 e le 14.000 ore, un intero corso scolastico di L2 (dalle elementari alle superiori) può contare solo su 1.000-1.200 ore spalmate su undici anni. E spesso queste lezioni sono condotte in L1. 94 Biemiller, L. and N. Slonim, 2001,” Estimating root vocabulary growth in normative and advantaged populations: Evidence for a common sequence of vocabulary acquisition”, Journal of Eucational Psychology, 93, 3, 489 – 520. 95 Bettoni, Camilla, 2002, Imparare un’altra lingua. Lezioni di linguistica applicata, Roma- Bari, Editori Laterza.
  • 96. 95 Considerati questi limiti temporali, per ridurre il peso dell’apprendimento (learning burden96 ), ciò che si può fare è concentrare l’attenzione degli apprendenti sulle parole più usate, e quindi più necessarie, nella L2. Questa osservazione non è solo il prodotto di un ragionamento logico, ma è anche sostenuta dai dati forniti dalla linguistica dei corpora. Nation97 , dopo aver condotto uno studio sulle famiglie lessicali più frequenti all’interno del British National Corpus98 e averle raggruppate 96 Il learning burden (tradotto dallo scrivente come ‘peso dell’apprendimento’) è un concetto elaborato da Swenson & West (1934) ed indica la mole di sforzi necessaria per l’apprendimento. Swenson, E. & M.P. West, 1934, “On the counting of new words in textbooks for teaching foreign languages”, Bullettin of the Department of Educational Research, University of Toronto, 1. 97 Nation, I.S.P., 2006, “How Large a Vocabulary Is Needed For Reading and Listening?”, The Canadian Modern Language Review/La Revue canadienne des langues vivantes, 63, (September/septembre) 98 Il British National Corpus è una raccolta digitale di 100.000.000 parole databili a partire dal XX secolo e provenienti da campioni autentici di lingua parlata o scritta. What is BNC? http://www.natcorp.ox.ac.uk/corpus/index.xml
  • 97. 96 in gruppi di mille, ha analizzato vari tipi di testi ed è giunto a delle conclusioni particolarmente significative per la glottodidattica: affinché si possa comprendere il 98% delle parole in un qualsiasi tipo di testo è necessario conoscere le 9.000 famiglie lessicali più frequenti. Nation fissa questa percentuale come obiettivo di un apprendente di L2 perché, secondo più studi (Hu e Nation99 ; Schmitt100 ; Nation; van Zeeland e Schmitt101 ), la comprensione del 98% dei vocaboli presenti in un testo può consentire la deduzione del significato del rimanente 2%. Famiglie lessicali Ultimo accesso: 19/06/2015. 99 Hu M. & I.S.P., Nation, 2000, “Unknown vocabulary density and reading comprehension”. Reading in a Foreign Language 13, 1: 403-430. 100 Schmitt N., X., Jiang & W., Grabe, 2011, The percentage of words known in a text and reading comprehension. Modern Language Journal 95, 1: 26-43. 101 Van Zeeland, H., & N., Schmitt, 2012, “Lexical coverage in L1 and L2 listening comprehension: The same or different from reading comprehension”, Applied Linguistics, 34(4), 457-479.
  • 98. 97 in ordine decrescente di frequenza102 % copertura testo 1° gruppo di 1.000 famiglie lessicali 2° gruppo di 1.000 famiglie lessicali 3° gruppo di 1.000 famiglie lessicali 4° gruppo di 1.000 famiglie lessicali 5° gruppo di 1.000 famiglie lessicali 6° gruppo di 1.000 famiglie lessicali 7° gruppo di 1.000 famiglie lessicali 8° gruppo di 1.000 famiglie lessicali 9° gruppo di 1.000 famiglie lessicali 10° gruppo di 1.000 famiglie lessicali 11° gruppo di 1.000 famiglie lessicali 12° gruppo di 1.000 famiglie lessicali 13° gruppo di 1.000 famiglie lessicali 14° gruppo di 1.000 famiglie lessicali 81,14 89,24 93,60 95,37 96,41 97,08 97,53 97,86 98,08 98,23 98,38 98,49 98,58 98,65 102 Tabella tratta da Nation I.S.P., 2013, Cit., p. 21.
  • 99. 98 15° gruppo di 1.000 famiglie lessicali 16° gruppo di 1.000 famiglie lessicali 17° gruppo di 1.000 famiglie lessicali 18° gruppo di 1.000 famiglie lessicali 19° gruppo di 1.000 famiglie lessicali 20° gruppo di 1.000 famiglie lessicali 98,71 98,75 98,79 98,83 98,58 98,86 Ovviamente, il numero di famiglie lessicali necessario per raggiungere l’obiettivo del 98% di copertura di un testo cambia a seconda del tipo di testo in questione. Ad esempio, la visione di un film per bambini richiede la conoscenza di un minor numero di vocaboli rispetto alla lettura di un romanzo o di un articolo di giornale. Tipi di testo103 95% di copertura testo conseguibile con 98% di copertura testo conseguibile con % Nomi propri 103 Tabella tratta da Nation, I.S.P., 2013, Cit., p 16.
  • 100. 99 Romanzi le prime 4.000 famiglie lessicali le prime 9.000 famiglie lessicali 1-2% Articoli di giornale le prime 4.000 famiglie lessicali le prime 8.000 famiglie lessicali 5-6% Film per bambini le prime 4.000 famiglie lessicali le prime 6.000 famiglie lessicali 1.5% Inglese conversazionale le prime 3.000 famiglie lessicali le prime 7.000 famiglie lessicali 1.3%
  • 101. 100 Se ogni tipo di testo richiede un lessico mentale più o meno ampio, è inevitabile che anche la crescita linguistica e le attività glottodidattiche ad essa connesse esigano un determinato inventario lessicale. Ancora una volta, Nation in Learning Vocabulary in Another Language, traccia un percorso ideale di espansione del vocabolario che condurrebbe l’apprendente a guadagnare gradualmente una maggiore autonomia. Finalità linguistica104 Ampiezza vocabolario Vocabolario di sopravvivenza per un viaggio all’estero 120 parole ed espressioni Letture elementari le prime 100-400 famiglie lessicali 104 Tabella tratta da Nation, I.S.P., Cit., p. 39.
  • 102. 101 Letture graduate per il livello intermedio le prime 1.000 famiglie lessicali Abilità orali di base le prime 1.200 famiglie lessicali Abilità uditive di base le prime 3.000 famiglie lessicali Letture graduate e uso del dizionario monolingua le prime 3.000 famiglie lessicali Lettura di testi contenenti parole con frequenza media (6°-8° gruppo di 1.000 famiglie lessicali) le prime 4.000-6.000-8.000 famiglie lessicali Lettura di testi non semplificati e visione di programmi televisivi le prime 3.000 parole
  • 103. 102 Lettura di testi non semplificati senza l’ausilio del dizionario le prime 6.000-9.000 parole Osservando i dati forniti da Nation, non si può non compararli con quelli elaborati da Tullio De Mauro nel 1980105 . Infatti, anche secondo il linguista napoletano, nella lingua italiana è individuabile un vocabolario di base. Questo vocabolario di base, composto da circa 7.000 parole, è conosciuto da chiunque abbia completato la scuola media inferiore. De Mauro lo suddivide in tre categorie: fondamentale, di alto uso, di alta disponibilità. Tutte e tre le categorie, proprio come in Nation, si basano su un criterio di frequenza decrescente; tuttavia, nella suddivisione di De Mauro, la categoria dei vocaboli “di alta disponibilità” si distingue dalle altre anche perché contiene “parole che diciamo e scriviamo raramente, ma che pensiamo con grande frequenza106 ”. 105 De Mauro, Tullio, 1980, Guida all’uso delle parole. Parlare e scrivere semplice e preciso per capire e farsi capire, Roma, Editori Riuniti. 106 De Mauro, Tullio, Cit., p. 150.
  • 104. 103 Vocabolario di base107 Ampiezza esempi Fondamentale 2,000 parole frutta, movimento, ricco Di alto uso 2,750 parole circa barzelletta, concepire Di alta disponibilità 2,300 parole circa lontananza, padroneggiare Avendo chiarito il quesito relativo alla quantità di vocaboli necessario ad un apprendente di L2, adesso possiamo concentrarci su un nuovo interrogativo: che cosa significa davvero conoscere una parola? A differenza di quanto si crede comunemente, la conoscenza delle parole della L2 non si esaurisce al riconoscimento della forma fonica e ortografica e alla memorizzazione del significato in L1, ma include 107 Tabella tratta da Bettoni, Camilla, 2002, Cit., p. 65.
  • 105. 104 anche la cognizione di altre proprietà. Proprietà illustrate chiaramente da Laufer in Vocabulary Description, Acquisition and Pedagogy 108 : 1. forma 2. struttura morfologica 3. pattern sintattico 4. significato 5. relazioni lessicali 6. collocazioni. • Alla luce di tale osservazione, accanto ad una conoscenza delle parole di tipo quantitativo, non si può che parlare anche di una conoscenza delle parole di tipo qualitativo. 108 Laufer, Batia, 1997, “What's in a word that makes it hard or easy? Intralexical factors affecting the difficulty of vocabulary acquisition” in Schmitt, N., & M. McCarthy (eds.), 1997, Vocabulary Description, Acquisition and Pedagogy, Cambridge, Cambridge University Press.
  • 106. 105 È evidente che il peso dell’apprendimento (learning burden) di ciascuna di queste proprietà varia a seconda della distanza tipologica e lessicale presente tra e due lingue109 . Lo sforzo sarà maggiore nel caso in cui la L2 possegga un sistema di scrittura differente, abbia dei fonemi difficilmente riproducibili dall’apprendente, non mostri una stabile corrispondenza tra grafemi e fonemi, presenti delle collocazioni diverse dalle L1, ecc…. Lo sforzo sarà minore per quegli apprendenti la cui L1 abbia delle affinità con L2: stesso sistema alfabetico, simile grammatica fonologica e grafemica, parole dallo stesso significato metaforico, ecc… Tra le proprietà elencate da Laufer la prima non poteva che essere la forma. Con essa si intendono sia la pronuncia che l’ortografia di una parola, insomma entrambe le forme (orale o scritta) che possono essere assunte dal significante nella comunicazione verbale. 109 Nation, I.S.P., 2013, Cit.