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LIBERA UNIVERSITÀ MARIA SS. ASSUNTA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE, POLITICHE E DELLE LINGUE MODERNE
CORSO DI STUDI SPECIALISTICO IN RELAZIONI INTERNAZIONALI CLASSE LM 52
CATTEDRA DI DIRITTO ECCLESIASTICO COMPARATO
LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO SULLA LIBERTÀ RELIGIOSA
THE EUROPEAN COURT OF HUMAN RIGHTS JURISPRUDENCE ON RELIGIOUS RIGHTS
Relatore
Prof. Paolo Cavana
CANDIDATO
Francesco Sabatini
N. Matricola 10526 / 400
ANNO ACCADEMICO 2014-2015
1
2
Indice.
Un sentito ringraziamento. p. 7
Introduzione. p. 9
Capitolo Primo. Un po' di storia: la nascita e la maturazione
di un cammino verso una Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo.
1. Le premesse iniziali p. 15
2. 'Ubi societas, ibi religio': la nascita del diritto alla libertà
religiosa nella CEDU p. 29
3. 'Lavori preparatori' p. 37
• Il celebre caso 'Grandrath c. Germania' del 1966 p. 40
4. La completa istituzionalizzazione p. 47
• Un controverso, piccolo, libro rosso: l'affaire 'Handyside c.
Regno Unito' del 1976 p. 52
• Libertà religiosa e adempimenti tributari: il caso 'E. e G. R. c.
Austria' del 1984 p. 57
5. Quale futuro per la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo? p. 62
3
Capitolo Secondo. Primi passi e traguardi della Corte
Europea dei Diritti dell'Uomo sulla libertà religiosa.
1. La metodologia di lavoro della Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo e la 'flessibilità cronologica' del concetto di libertà
religiosa p. 74
2. Il caso 'Kokkinakis c. Grecia' del 1993: una sentenza a buon
diritto notoria? p. 97
3. Quando è la laicità a mancare: la questione 'Hasan e Chaush c.
Bulgaria' del 2000 p. 104
4. 'Eweida e Chaplin c. Regno Unito' del 2013: una conferma
ufficiale per un simbolo religioso 'passivo'? p. 113
5. Quali limiti per il diritto di indossare vestiario di valenza
religiosa? Il caso 'S. A. S. c. Francia' del 2014 p. 125
Capitolo Terzo. I limiti della libertà di espressione sul fatto
religioso.
1. La 'coscienza nella religione': la questione 'Otto-Preminger-
Institut c. Austria' del 1994 p. 137
2. Trasgredire l'autorità: il caso 'Wingrove c. Regno Unito' del
1996 p. 147
4
3. Europa 2015: “est-elle vraiment Charlie?” Ovvero: i nuovi
orizzonti da esplorare nel diritto alla libera espressione sulla
tematica religiosa. p. 163
Conclusioni. p. 169
Riferimenti bibliografici. p. 172
Giurisprudenza p. 181
Sitologia. p. 183
5
Dedicato alle mie ‘tre pie donne’:
mia madre, mia figlia, mia moglie.
6
Un sentito ringraziamento.
Prima di affrontare il lavoro, che tenterò di esporre il più organicamente possibile
in tutte le sue parti, ho reputato necessario anticipare la trattazione con un
doveroso ringraziamento: ciò per non correre il rischio di sembrare ingrato nei
confronti delle persone che mi hanno 'sopportato' durante la fase di ricerca e di
compilazione di tutti gli aspetti connessi a questa tesi.
Il primo ringraziamento va nei confronti di Rossella, mia moglie. Con la sua
comprensione ed esperienza nel campo giuridico (fu già autrice di un interessante
trattato di valore sulla ‘terzietà in Alexandre Kojévé’ nel 2007, per la classe di
filosofia del diritto da lei frequentata presso l’Università degli Studi de ‘La
Sapienza’) ha saputo sempre spalleggiarmi nonostante i momenti di debolezza
sperimentati dallo scrivente. Ha inoltre fornito degli importantissimi ‘input’ utili
alla realizzazione di questo stesso lavoro. Non è esagerato affermare che portare a
compimento questo stesso non sarebbe stato possibile senza i suoi preziosi
consigli: perlomeno, non sarebbe stato possibile farlo entro la sessione autunnale
del 2015!
Il secondo ringraziamento è rivolto al docente di Diritto ecclesiastico comparato,
ed arguto studioso della materia, Paolo Cavana, che è anche il relatore di questo
mio sforzo. Molti professori non avrebbero visto di buon occhio (e più che
giustamente, aggiungerei) lo svolgimento di una tesi compilata con crescenti
ritardi, ben oltre alla data originariamente accordata, a causa dei contrattempi e
delle difficoltà lavorative di chi scrive: lui su ciò non ha battuto ciglio, e perciò
sono lui grato per questo.
Un ultimo ringraziamento, anch’esso sentito come tutti gli altri, se non ancora più
ardentemente vivo, è rivolto a Chi ha permesso tutto questo. Come accaduto nella
fase di svolgimento della tesi triennale del percorso in ‘Scienze politiche’, ho ora
toccato con mano, più che mai, quanto tutti i miei sforzi sono fruttuosi soprattutto
grazie al dono della fede scoperto qualche anno fa, quando amavo dire, con
un’immagine quasi ‘manzoniana’: “sembrava fossi fermo, con il numero di gara
strappato e le ruote a terra, pronto ad un mesto ritiro” ed invece, proprio allora, ho
rinvenuto che tutto sarebbe improvvisamente cambiato grazie alla scoperta di una
7
Novità. Che noi cristiani abbiano l’usanza di festeggiare il 25 dicembre. Da allora
è come se fossi nato a nuova vita, e dunque assumono un significato tutto nuovo
le famose parole di John Fitzgerald Kennedy, uno dei miei uomini politici
preferiti, che sono l’essenza del combattimento del credente, non solo un motto da
abile policy-maker: “Those who dare to fail miserably can achieve greatly”.
La mia speranza è che tutti, un giorno, sperimentino ciò – e anche di più! – di quel
che io ho avuto in dono.
8
Introduzione.
È grazie alla morale se abbiamo ricevuto in dono dai nostri predecessori la
possibilità di poter godere di un diritto che ancora oggi è considerato come fonte
di giustizia. Le regole e le consuetudini tramandate da generazione in
generazione, sin dal periodo dell’infanzia del mondo1, da semplici ammonimenti
volti al mantenimento in sopravvivenza della tribù, si sono poi potute
sistematizzare fino ad arrivare a mutare in XII Tavole prima (che di fatto
organizzavano un'ordinata e costruttiva gestione dei ‘cives romanus’ e non solo) e
poi, moltissimo altro – fino allo scorso secolo – quando ognuno ha potuto
ammirare la creazione di grandi progetti costituzionali, così come delle Grandi
corti internazionali di giustizia, come quella di Giustizia dell’Aja, fino a giungere
a quelle più geo-politicamente circoscritte – ma egualmente fonte di auctoritas
grazie alla loro sempiterna legittimazione derivante non solo dal riconoscimento
della propria autorevolezza, ma anche grazie alla codificazione del loro
funzionamento, che viene attivato dagli organi responsabili della gestione del bene
comune, in tal caso, ‘giudiziariamente’ inquadrato nella classica suddivisione dei
poteri statuali a noi tanto cara2.
Perciò, sembrerebbe potersi dire che, in fondo, morale e diritto, in qualche modo,
si confondano: ed eppure non può che affermarsi con solerzia un grave
interrogativo che richiede una risposta – al pari di tutti i diritti – ad ogni costo.
Come può un diritto di provenienza ‘laica’3 – che cioè si occupa del bene
materiale dei cittadini su di questa terra – venire a dichiarare sul diritto (e
addirittura a sanzionare sul diritto!) relativo ad un ramo giuridico di chiaro 'segno'
1 Felice espressione che non mi è propria: è stata infatti coniata dal polemista politico, ed autore di romanzi, Gilbert
Keith Chesterton, un britannico cattolico di chiara fama attivo nella Londra post-vittoriana a cavallo tra l’800 ed il ‘900.
2 Rispetto alle tradizioni del diritto islamico, attivo in special modo nell’area circostante le catene montuose del
massiccio dello Zagros, che forniscono dignità giuridica, e perciò valore anche giudiziario, ai testi musulmani sacri
quali il Corano, tra l’altro in forme più o meno velate (a seconda della tradizionale scuola di diritto presente nel Paese),
nella nostra tradizione occidentale, come molti sanno, vige anzitutto un concetto di separazione tra diritto e religione,
cosicché si giudica secondo un diritto promanato da autorità civili e non inquadrabili nell’orbe religioso – se non si
esclude la peculiarità offerta dal diritto ecclesiastico, che in breve si potrebbe definire punto di congiuntura tra il diritto
dello Stato-nazione laico e diritto affine alle materie di interesse religioso. In secondo luogo è presente la classica
tripartizione dei poteri statuali, teoria di cui fondatore fu il famoso Barone francese di De Secondat, al secolo
Montesquieu. Per un’esamina storica dell’islam e del suo fondamento giuridico – religioso, v. DONINI PIER GIOVANNI; Il
mondo islamico. Breve storia dal Cinquecento ad oggi, Roma, Editori Laterza, 2007.
3 Il termine 'laico' è qui utilizzato nel suo significato più politico che conosciamo, e cioè quale valore giustapposto a
quell'insieme di elementi che invece attiene alla realtà religiosa. V. nota n. 5, infra.
9
religioso? Come potrebbe mai lo Stato godere dell’autorevolezza per intervenire
sul momento religioso di una persona, o di una comunità?
L’ordine costituito nazionale ha trovato doveroso legittimare tale intervento in
simili questioni apparentemente fuori luogo4 con la giustificazione del
mantenimento dell’ordine (pubblico)5 e del rispetto della conformità dello spazio
(anche questo, pubblico)6. Di conseguenza, qualora la lesione della lettera della
legge si fosse manifestata, lo Stato sarebbe intervenuto con la forza per difendere
l’ambitus pubblico7, non importa se ciò fosse andato a colpire un aspetto
derubricabile come ‘religioso’ – si pensi ad esempio alle manifestazioni religiose
in piazza non espressamente permesse dalle autorità competenti.
Vi è però un secondo livello: quello dove l’autorità statuale viene direttamente ad
incontrarsi con quella competente alla ‘cura delle anime’. È qui che viene a
realizzarsi una dialettica tra le due componenti, ab origine da noi conosciute
come Stato e Chiesa8, ove parrebbe che il diritto civile si mescoli a quello
4 Sono molte – e secolari – le teorie che giustificano l’intervento del princeps negli affari religiosi. Queste ci sono
giunte dalle fonti più svariate, addirittura da argomentazioni proposte da esimi ‘segretari di Stato’ nella Firenze alto-
medievale. O, meno lodevolmente, da atti unilaterali di re cui secondi fini erano evidentemente meno connessi con un
reale bisogno di ‘governance’. Si veda ad esempio l’opinione del Nicolò Machiavelli all’interno della sua opera ‘Il
Principe’ oppure, il rinnovamento religioso promosso da Enrico VIII di Tudor: sul merito vi è un breve ma efficace
studio in: http://www.raistoria.rai.it/articoli/enrico-viii-il-fondatore-della-chiesa-anglicana/10606/default.aspx. Nelle
tradizioni europee, perciò, è chiaro che lo sviluppo della teoria dei ‘due scettri’, ed il suo superamento, ne ha imposto
non una semplice modernizzazione (che casomai è una conseguenza del processo di dialogo tra il momento religioso e
quello statuale) ma una caratterizzazione della legittimazione del concetto di laicità che, in ultima analisi, imponeva la
supremazia del potere politico-giuridico del ‘princeps’ (cioè dei governi nazionali) su di quello spirituale espresso dal
‘pontifex’.
5 Il nostro Codice Civile non rende direttamente noto questo principio ad un articolo specifico, ma vi fa invece ricorso
generalmente, quale principio supremo dell’ordinamento (v. artt. 31 disp. prel. cc. e cfr. art. 251
e art. 1343 cc).
6 Come nel caso italiano, anche in Spagna la legge prevede che si debba rispettare lo spazio comune ad ogni cittadino
osservando la lettera della legge che prevede all’art. 161
della Costituzione iberica “garantiza la libertad ideológica,
religiosa y de culto de los individuos y las comunidades”. Lo stesso accade in Francia, e nel Regno Unito, ove la legge
dichiara lo spazio pubblico come un ambiente dove insuperabilmente vige l’autorità laica dello Stato, per cui è previsto,
quasi sacralmente, all’art. 1 Cost., che la Repubblica francese “est une République indivisible, laïque, démocratique et
sociale. Elle assure l’égalité devant la loi de tous les citoyens sans distinction d’origine, de race ou de religion. Elle
respecte toutes les croyances”. Per quanto riguarda il Regno Unito, invece, il limite alla manifestazione del credo
religioso nell’’orbe pubblico’ non è stato tipizzato in un articolo costituzionale – essendo la realtà inglese quella
referente al sistema di common law – ma va bensì ad afferire all’integrazione di diversi corpus di leggi, sfocianti nella
criminal law, come quella dell’attuale Racial and Religious Hatred Act del 2006, preceduta, però, dal ben più antico
Blasphemy Act del 1697. Si consulti, in merito, la sintetica ma illuminante pagina web: www.parliament.uk/briefing-
papers/SN04597.pdf.
7 È interessante notare che mentre l’ambitus pubblico viene difeso dalle leggi salvaguardanti l’ordine comune a tutti i
cittadini, un ambito votato alla soppressione di comportamenti osceni od immorali, quello privato è salvaguardato, a sua
volta, dalla legge per la difesa della c.d. ‘privacy’ della persona. V. MATHIEU VITTORIO; Privacy e dignità dell’uomo, Una
teoria della persona, G. Giappichelli Editore, Torino, 2004. Cfr. con CIRILLO GIANPIERO PAOLO; Il codice sulla protezione
dei dati personali, Giuffrè editore, Milano, 2004.
8 Si noti che il termine ‘Stato e Chiesa’ non è direttamente riferibile al coacervo dei rapporti presenti tra uno Stato-
nazione ed una confessione specifica (ad es. lo Stato italiano e la Chiesa cattolica od anglicana, o quella ortodossa,
10
canonico, facendo nascere un tertius genus9, conosciuto col nome di diritto
ecclesiastico.
L’esperienza del diritto ecclesiastico è comune a moltissimi Paesi dell’Europa,
com’è noto, e costoro hanno deciso, di comune accordo con le controparti -
esprimenti il sentire religioso dei fedeli - di stilare una tipizzazione dei rapporti
relativi alle materie di interesse comune10.
Tali materie, oggetto di comune interesse come detto, portano in loro la promessa
di chiarificare, ed anzi semplificare, i rapporti inevitabilmente presenti tra società
e fedi: e cioè il rapporto tra prassi giuridica civile e quella religiosa, che
nell’esperienza italiana conosce non pochi momenti di rilievo pure nelle occasioni
meta-private11. È questa infatti la maggiore differenza tra il modello del diritto
ecclesiastico italiano e quello francese; e cioè che, pur avendo entrambi messo
l’accento su di un concetto di doverosa laicità, hanno voluto, poi diversamente,
sottolineare la qualifica di questo marcando esplicitamente, chi più chi meno12, un
pregiudiziale aspetto di apparente aconfessionalità13.
ecc.), bensì fa genericamente riferimento all’insieme delle azioni e dei comportamenti legati al momento laico-statuale
o a quello confessionale-religioso delle rispettive parti. V. AA. VV.; Enciclopedia Giuridica Italiana (volume IV, parte V:
DIRITTO – DIVISIBILITA'), Società Editrice Libraria, Milano, 1912, pag. 311.
9 Dal latino, ‘terzo genere’. Con questo termine, mi riferisco ad una ‘terza suddivisione concettuale’. Tuttavia, questo
concetto caro al diritto romano, progenitore del nostro civil law di matrice continentale, richiama la originaria e famosa
tripartizione giuridica dei liber ‘persones, res e actiones’ propria al Digesto Romano, che possiamo definire un ‘quasi-
Diritto civile’ anteriore ai duemila anni fa. Per un approfondimento. V. MARTINI R., Appunti di diritto romano privato,
CEDAM, Padova, 2000.
10 È probabilmente questo il nucleo del diritto ecclesiastico, europeo, e non solo: una materia ove affluisce l’interesse
reciproco di Stato e Chiese (si noti il plurale). Un’esamina dettagliata dell’origine di tale necessità, che ha poi portato
alla dialettica storica tra i due soggetti è presente in: AA. VV.; Conoscere il Diritto ecclesiastico, Edizioni Studium,
Roma, 2006.
11 Per cogliere la veridicità di quest’affermazione si può analizzare l’esemplare lezione offerta dai ‘nostrani’ Patti
lateranensi o dall’esperienza che ha visto la revisione di quelli nel lontano 1984. Per una breve trattazione, v. DALLA
TORRE GIUSEPPE; Lezioni di Diritto ecclesiastico, G. Giappichelli Editore, Torino, 2002. Per una panoramica completa,
invece, v. AA. VV.; Digesto delle Discipline Pubblicistiche (volume V, DEM-ENEA), UTET, Torino, 1990, pag. 236 e
segg.
12 A dire il vero, una corrente di pensiero dottrinario composta da eminenti giuristi di tradizione ‘personalistico-
cristiana’, sostiene che in Italia sia presente un vero e proprio ‘favor religionis’. V. DALLA TORRE GIUSEPPE; Lezioni di
Diritto ecclesiastico, G. Giappichelli Editore, Torino, 2002, pag. 25, oppure: BARBERINI GIOVANNI, Lezioni di diritto
ecclesiastico, G. Giappichelli Editore, Torino, 2007, pag. 227 e segg. Si confronti questa tesi con quella di autori dal
differente pensiero, quali: TEDESCHI MARIO, Manuale di diritto ecclesiastico, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, pag.
109 e segg., oppure: VITALE ANTONIO; Corso di diritto ecclesiastico, ordinamento giuridico e interessi religiosi, Giuffrè
Editore, Milano, 2005, pp. 4-5.
13 In realtà questo è ciò che appare all’osservatore distratto, cioè colui che si prefigge il compito di analizzare
unicamente le dinamiche dei rapporti giuridici intercorrenti tra Stato e Chiese. Un osservatore più attento agli aspetti
socio-politici, infatti, non mancherà di rimarcare gli aspetti ben più profondi, e cioè di come sia lo Stato italiano che
quello francese possano definirsi invece Stati assolutamente non a-confessionali, essendo il motivo di ciò tutt’altro che
evanescente: nel nostro Paese, infatti, nessuno oserebbe definire lo Stato a-confessionale, in quanto gli ‘onori patri’
11
E non finisce qui. L’esperienza del diritto ecclesiastico infatti travalica i confini
nazionali e conosce nuovi ambiti di studio come quello che mi accingerò a trattare
in questa sede. E cioè il rapporto, parafrasando il famoso titolo di un’opera che ne
tratta, tra il diritto e la religione in Europa14. Questa evoluzione del diritto
ecclesiastico, che oggi si pregia dunque di poter inglobare nel suo studio aspetti
che fino ad un paio di decenni fa gli erano fattualmente sconosciuti15, ha permesso
di analizzare nel suo complesso l’andamento dell’attuazione dei principi europei
all’interno dei singoli Stati che erano sottoscrittori della Convenzione per la
salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali16.
La materia del diritto ecclesiastico venne così a promuoversi nella sua nuova
funzione di volàno dello sviluppo della pre-adolescente società europea17.
Ancora: lo studio del diritto ecclesiastico, ricevuto ‘l’onore di venire incoronato
della sua nuova funzione’ evidentemente sociale, si proponeva di fornire rinnovati
strumenti di riflessione ed auto-analisi per tutti quei giudici della Corte Europea
delle ‘liturgie repubblicane’ ci sottolineano un rispetto, ed anzi un’attiva osservanza delle centenarie tradizioni politico –
istituzionali (si pensi alle modalità con cui un esecutivo di nuova formazione presti giuramento dal Presidente della
Repubblica, od allo scambio della famosa ‘campanella’ che il Presidente del Consiglio uscente ‘dona’ a quello neo-
eletto): aspetti che, sommati a molti altri, sanciscono la presenza di un vero e proprio ‘confessionismo statualista’ (e ciò
pare anche legittimo: sono soprattutto queste ‘solenni attività’, infatti, a permettere, in misura maggiore, di rivestire di
autorità simbolica l’azione statale, più che la previsione di un corpus di leggi in sé che ne definisca l'attività). Lo stesso
accade in Francia, ove, con rigore pure maggiore, si sottolinea la supremazia ineguagliabile del ‘credo’ nello Stato
rispetto a tutte le altre esperienze confessionali. Che dire, poi, nell’esperienza britannica, della somma celebrazione che
è l’apertura annuale dell’attività parlamentare, che ad oggi, la regina Elisabetta II, continua imperterrita a promuovere
nel suo format millenario, che prevede il rispetto del cerimoniale attuato sin dalla discesa di Sua Maestà dalla carrozza
reale? Al riguardo, v. AA. VV.; Novissimo Digesto Italiano (Volume IX, INVE-L), UTET, Torino, 1968. pag. 439 e ss. per
l’esperienza italiana, oppure il sito internet: http://www.france.fr/it/istituzioni-e-valori/laicita-e-liberta-religiosa.html per
l’esperienza francese ed il sito internet: http://about-britain.com/institutions/constitution.htm per quella inglese.
14 V. AA. VV.; Diritto e religione in Europa, Il Mulino, Bologna, 2012.
15 Ibidem, pag. 27 e segg. Non è una tesi straordinariamente lontana dalla realtà quella che sottolinea come, fino agli
anni ’90, non esistessero di fatto analisi concettuali su di un operato avente respiro ‘pan-europeo’, visto che, sino ad
allora, il diritto ecclesiastico comparato si spingeva sino ai suoi pre-determinati confini, che erano quelli del singolo
Stato, al limite confrontato comparatisticamente con la normativa degli altri Stati suoi eguali. Si veda anche la nota n.
224, infra.
16 V. Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (Roma, 4 novembre 1950),
presente in: AA. VV.; Codice internazionale di Diritto internazionale pubblico. Terza edizione, G. Giappichelli Editore,
Torino, 2003, pag. 181 e ss.
17 L’utilizzo del termine ‘pre-adolescente’ è volontariamente stato utilizzato per sottolineare come sia ancora
inevitabilmente acerba l’esperienza di cammino comune tra i diversi Paesi europei. Ciò è vero non solo culturalmente,
per il grande attaccamento dei valori nazionali fatti ormai stabilmente propri dai relativi popoli, ma anche per un motivo
‘banalmente’ economico-finanziario attinente alla realtà che stiamo vivendo oggi stesso nell’UE. Si vedano in merito le
tesi del prof. Paul De Grauwe presenti nel suo interessante manuale: DE GRAUWE PAUL; Economia dell’unione
monetaria. Nona edizione, Il Mulino, Bologna, 2013.
12
dei Diritti Umani che avessero voluto avvalersene dopo aver svolto la loro attività
… in ‘Camera di consiglio’18.
La mia analisi, tuttavia, non muoverà, contrariamente a quanto si possa prevedere,
dalle sue pur legittime premesse nazionali, bensì si focalizzerà nel nucleo del vero
e proprio corpo della ricerca, che è quello relativo alla promozione del diritto di
religione in Europa, principio identificabile nell’art. 9 della Convenzione per la
salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali19, che trova
appunto suo massimo garante nell’opera della Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo20, un’istituzione che solo negli ultimi tempi ha trovato notevole fama,
distinguendosi anche grazie alla propria capacità di rendere ‘efficiente giustizia’
sulla base di ricorsi promossi da singoli o comunità, che si ritenevano soggetti lesi
nel proprio diritto a poter ‘credere liberamente’21.
Le sentenze storiche (e dunque fondamentali) della Corte EDU che andrò ad
analizzare, quindi, seguiranno un assai doveroso criterio cronologico, e
riguarderanno le esperienze dei singoli e delle comunità mittel-europee, ma anche
i percorsi dei soggetti nazionali ‘novelli firmatari’ della CEDU quali quelli
precedentemente appartenenti al ‘blocco dei Paesi comunisti’ (la Lituania, la
Polonia, la Romania, tanto per citarne alcuni) – oltre che gli Stati dell’Atlantico,
come il Regno Unito. E, ciononostante, il mio esame non riguarderà solo i ricorsi
effettivamente analizzati dalla Corte EDU; avrò infatti cura, precedentemente, di
presentare l’antefatto storico che fu la lenta opera di edificazione delle basi della
Corte omonima, che solo tardamente ha conosciuto un effettivo avvio dell’attività
giudiziaria che le è propria. E non solo per la materia del diritto di religione, come
specificato, ma per il novero di tutta la materia prevista dal trattato CEDU.
18 Questo è il punto di vista degli autori del già citato testo: Diritto e religione in Europa, con i quali mi sento di
convenire in merito.
19 Per motivi di brevità farò riferimento a questa importantissima dichiarazione utilizzando la sigla ‘CEDU’.
20 Da ora in avanti ricollegherò all’istituzione l’acronimo ‘Corte EDU’.
21 Non potevo esonerarmi dal segnalare che tale diritto è previsto nella nostra Costituzione agli artt. 7, 8 e 19, ove,
rispettivamente, si disciplinano i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica, si qualificano i rapporti fra lo Stato e le altre
confessioni religiose, e si determina infine il principio di libertà di religione nel privato e nell'ambito pubblico (cui
unico limite è il rispetto del principio del 'buon costume'). Per un approfondimento di tale respiro costituzionale, v. AA.
VV.; Istituzioni di Diritto pubblico. Quinta edizione, G. Giappichelli Editore, Torino, 2001, pagg. 440 e ss. Cfr. con: AA.
VV.; Corso di diritto costituzionale. Seconda edizione, Il Mulino Editore, Bologna, 2014, pagg. 215 e segg.
13
Capitolo Primo. Un po’ di storia: la nascita e la
maturazione di un cammino verso una Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo.
“La cosa preziosa e adorabile ai nostri occhi è l'uomo, il vecchio uomo combattivo, debole, dissoluto e
rispettabile che beve birra e inventa credi. E le cose fondate su questa creatura rimangono in eterno; le
cose fondate sulla fantasia del Superuomo sono morte con le civiltà morenti che da sole le hanno create.
Quando Cristo in un momento simbolico fondò la Sua grande società, scelse come pietra angolare non il
brillante Paolo né il mistico Giovanni, ma un arruffone, uno snob, un codardo, in una parola: un uomo”.
Gilbert K. Chesterton; 'Eretici'
14
1. Le premesse iniziali
La storia della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, e prima ancora della
Convenzione che ad oggi le è propria, parte da lontano: nel 1948. In quell'anno,
nel quadro dei lavori del Congresso del Movimento Federalista, presso l'Aja,
alcuni rappresentanti percepiscono l'urgente necessità di giungere finalmente a
creare un effettivo sistema di sicurezza europeo che ponga l'accento sul rispetto
della dignità dell'uomo.
In realtà l'obiettivo dei conferenzieri era originariamente ben più ottimistico: e
cioè quello di creare un istituzione-garante capace di sorvegliare sulla pace e la
sovranità europea, duramente messa alla prova negli anni del Secondo grande
conflitto.
Il nostro cammino europeo di diritti, moderno ed efficiente, volle vedere la luce
nel quadro dell'intervento di uno dei partecipanti invitati al Congresso; un giovane
deputato di nazionalità francese, infatti, tale Pierre-Henri Teitgen, affermò che:
“l'unità europea […] non si poteva compiere totalmente se non partendo dai
diritti dell'individuo e dalla garanzia della loro salvaguardia”22.
Era stato 'gettato un sasso': e lo 'stagno', in questo caso, un'Europa assetata di un
futuro di speranza nel rispetto della persona umana, non poté che raccogliere la
sfida: il tema dei diritti umani europei proposto da Teitgen venne inserito
all'ordine del giorno nei lavori del Congresso. Mai prima di allora qualcuno si era
spinto così oltre, tale da rendere desiderabile la creazione di un sistema di diritti
umani europei, che superava anche la più sfrenata ambizione churchilliana come
quella degli 'Stati Uniti d'Europa23'. Una chiamata a realizzare qualcosa di
veramente nuovo, ed estremamente complesso: chi mai avrebbe potuto
22V. AA. VV.; La Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, Edizioni Scientifiche Italiane,
Napoli, 2006, pag. 17.
23L'ideale degli 'Stati Uniti d'Europa' non è stato ovviamente solo un sogno dell'eminente statista britannico, promotore
nel 1947 dello United Europe Movement, infatti: “Dans les pays restés libres, une action militante se développait en
faveur d'une organisation féderale de l'Europe d'après-guerre. En Grande-Bretagne, le mouvement Federal Union
faisait campagne à la fois pour le fédéralisme européen et le fédéralisme mondial. Coudenhove-Kalergi, réfugié aux
États-Unis où il poursuivait son action, fonda en 1942 auprès de l'Université de New York un Institut de recherches
pour une fédération européenne d'aprés-guerre et réunit un congrès du Mouvement paneuropéen avec la participation
d'hommes politiques en exil. Ces activités attirèrent l'attention de la presse et l'idée d'États-Unis d'Europe commença à
se répandre dans les journaux et dans l'opinion américaine”. V. GERBET PIERRE; La Construction de l'Europe – notre
siècle, Imprimerie nationale, Parigi, 1983, pagg. 48 e segg.
15
amministrare giustizia su di questi presunti futuri diritti se non una Suprema Corte
di uno Stato integralmente federalista, come nel modello americano, pena una
mancanza d'effettività (ideale che però sembrava destinarci all'edificazione di un
pan-europeismo forzoso24), sicché le identità nazionali erano ben lungi dal
definirsi omogenee come nel caso delle nazioni costituenti gli Stati Uniti25?
Tuttavia, nel breve e nel lungo termine, il Congresso dell'Aja si risolse in un
successo: sia gli unionisti che i federalisti difatti riuscirono ad ottenere qualcosa. I
secondi “si videro riconosciuti i loro obiettivi a lungo termine e gli unionisti gli
obiettivi immediati. Per quanto riguarda le conclusioni politiche del Congresso,
esse erano incentrate su due concetti: da una parte si affermava che nessun
progetto di unione europea avrebbe avuto valore concreto senza la Gran
Bretagna (era il motivo principale che aveva indotto i britannici ad inviare una
delegazione di 144 membri) e dall’altra che l’unificazione completa dell’Europa
avrebbe potuto essere realizzata solo progressivamente”26.
E la necessità di creare dei diritti individuali – ed un sistema a salvaguardia di
questi – come in quella sede affermatosi... poteva forse dimenticarsi? No; anche
questa idea venne a svilupparsi seguendo un 'filone dirompente': quello promosso
dalle discussioni della commissione della Direzione del Movimento Federalista,
“composta sia da Teitgen che dall'inglese Maxwell Fyfe e dal belga Dhousse –
24“Le sentiment européen n'a pas en effet la même intensité que le sentiment national ou le sentiment d'appartenance à
une classe sociale. Il tient davantage du choix raisonné que de la réaction viscerérale: l'adhésion à l'idée européenne
s'élève avec le niveau d'instruction et d'information. Le sentiment européen, c'est plutôt une disposition favorable à
l'égard d'initiatives européennes. Le grand public était disposé à les approuver, mais il n'était guère question de
descendre dans la rue pour exiger l'unification de l'Europe”. Ibidem, pag. 64.
25All'alba dell'incontro presso l'Aja fu difatti forte il senso di disillusione verso un progetto effettivamente unitario,
come paventato da alcuni, in senso opposto al disegno federalista; è necessario in merito un breve approfondimento per
quanto riguarda l'analisi delle posizioni politiche relative al progetto costituzionalista europeo che appunto poggiava
nella scelta di una forma di stato unionista o federalista del neonato Stato europeo. Mentre il primo modello (detto
anche confederalista) aveva infatti incontrato il favore degli inglesi, capeggiati soprattutto dall'ormai ex Primo ministro
britannico Churchill (ma anche dall'ex Capo di Stato Aristide Briand), il modello federalista, poi effettivamente
concretizzato, era invece stato accolto favorevolmente dai francesi (ricordiamo Henry Frenay, già capo della Resistenza
francese sotto i nazisti, od il futuro presidente francese François Mitterand, allora Ministro degli ex-combattenti
francesi) e dagli italiani in special modo, tra i quali ricordiamo soprattutto le figure di Altiero Spinelli (futuro leader
della Sinistra europea e pilastro del Movimento Federalista Europeo) e Luigi Einaudi e Piero Calamandrei, personalità
che si sono specialmente distinte del quadro politico e giuridico nostrano. Per un breve cenno sulla nascita e lo sviluppo
del Movimento Federalista Europeo. V. sito internet: http://www.eurit.it/gfe/1a.html.
26 V. JEAN PIERRE GOULY; La saga dei federalisti europei durante e dopo la Seconda Guerra mondiale, in: Saggi, Anno
XLVI, 2004, Numero 1, Pagina 12, visionabile sul sito internet: http://www.thefederalist.eu/site/index.php?
option=com_content&view=article&id=521&lang=it, parte IV ('Dal Congresso dell'Aja al Consiglio d'Europa, 1948-
49).
16
incaricata dell'elaborazione di un primo progetto di Dichiarazione di diritti
dell'uomo e di istituzione di una Corte europea”27.
Si era perciò prodotto un 'salto', anzi, un'accelerazione, nella dialettica filo-
europea di allora, che sembrava non conoscere eguali; ciò se perlomeno
confrontiamo l'attivismo costruttivista del periodo con le attività di discussione e
di confronto che invece, oggi, sembrano ben meno caratterizzate dalla
raggiungibilità degli obiettivi, se non a costo di difficili compromessi politico-
valoriali28.
Nello stesso anno vedeva la luce il Consiglio d'Europa (Council of Europe29),
precursore della nostra attuale Unione Europea, che però, nelle sue radici storiche
testimoniava il difficile periodo di gestazione cui fu costretto, in quanto a molti
parve che fosse nata un'istituzione in nuce priva di quelle caratteristiche di poteri
'reali' che sembravano poterne auspicare un'efficace attività30.
Nello specifico, mi riferisco alle diverse mozioni di contrasto promosse da diversi
soggetti che contestarono la forma – più di organismo politico, che di soggetto
dotato di poteri effettivamente cogenti – che il Consiglio stava assumendo giorno
dopo giorno, dibattito dopo dibattito31.
27V. AA. VV.; La Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, Edizioni Scientifiche Italiane,
Napoli, 2006, pag. 18.
28Mi si potrà certo obiettare a buon diritto che il mondo del dopo-guerra era assai meno problematizzato della realtà
globalizzata (ed eppure a tratti localista) com'è quella attuale. Ed eppure, le difficoltà sociali del periodo e soprattutto la
diffusa povertà delle popolazioni, non sembrarono ostare a questo processo di ricostruzione (non solo nazionale) che
trovò grande sollievo nel naturale ottimismo reso possibile proprio dall'uscita del mondo da un generale stato di guerra.
29La nascita del Consiglio d'Europa, come nota Pierre Gerbet, fu permessa grazie al beneplacito fornito dal Consiglio
dei Cinque (composto dalle nazioni aderenti al Patto di Bruxelles del 17 marzo 1948: Gran Bretagna, Francia, Belgio,
Paesi Bassi e Lussemburgo) nel 1949 all'incontro dei 'Dieci' svoltosi nel 5 maggio dello stesso anno, summit rivolto ai
principali rappresentanti nazionali dei Paesi sostenitori del progetto consiliare, e cioè Danimarca, Irlanda, Italia,
Norvegia e Svezia. V. GERBET PIERRE; La Construction de l'Europe – notre siècle, Imprimerie nationale, Parigi, 1983,
pagg. 88 e segg.
30“Il successivo 7 agosto 1949 si procedette a convocare la prima sessione dell'Assemblea Parlamentare, organo
consultivo del Consiglio d'Europa. Ci vollero però ben tre mozioni della stessa Assemblea nei confronti del Comitato
dei Ministri, il quale aveva inizialmente escluso il tema dei diritti dell'uomo dall'ordine del giorno, per far sì che ciò
accadesse. Portavoce di tale protesta fu anzitutto Winston Churchill, autore di quella che fu ritenuta la mozione più
incisiva dove si sosteneva come fosse inammissibile proporre all'unanimità un'assemblea europea priva del potere di
affrontare il fondamentale tema dei diritti umani”. V. AA. VV.; La Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle
libertà fondamentali, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2006, pag. 18.
31Al di fuori della questione meccanicistica relativa al Consiglio d'Europa, che fu affrontata anche dal nostro
parlamentare Stefano Jacini – che tratta la questione di vincolatività delle dichiarazioni – come ho già esaminato nella
nota precedente, a tenere banco fu soprattutto la questione sulla grande dichiarazione di principi che anche il nostro
governo di allora (guidato da Alcide De Gasperi) attendeva con ansia: “Protestò invano l'allora Ministro degli Esteri
17
Intervenne allora il deputato francese Teitgen, non prima di aver riottenuto
l'inserimento della questione all'ordine del giorno, e venne quindi a spronare tutta
l'assemblea a creare finalmente un gruppo di esperti e politici che potesse
analizzarne i primi profili. Il suo discorso pare si fosse particolarmente distinto
nella manifestazione di quella medesima verve già autorevolmente resa nota a tutti
gli invitati dei lavori della Riunione presso l'Aja, un anno prima. Mirabile fu il
merito di Teitgen nel rendere noto i pericoli insiti nella apparentemente pacifica
'ragion di Stato', che aveva permesso prima lo sviluppo del colonialismo post-
ottocentesco, direi quasi post-moderno, e poi la follia totalitarista propria delle
grande dittature32.
L'esempio portato da Teitgen valse la creazione di una Commissione, guidata tra
gli altri dallo stesso francese e da Maxwell-Fyfe; un organo che si sarebbe
occupato di 'Questioni Giuridiche ed Amministrative'.
Grazie all'operato di questa Commissione, si venne presto ad installare uno studio
focalizzato su due elementi 'principe': anzitutto si sarebbe dovuto verificare quali
valori supremi avrebbero dovuto essere definiti, e poi, li si sarebbe dovuti
difendere prevedendo uno strumento di tutela apposito per questa nuova 'Carta'.
Ciò avrebbe altresì permesso di cristallizzare un'effettiva cogenza della
dichiarazione di fronte a qualsiasi soggetto od autorità, con buona pace dei
seguaci della scuola positivista33.
italiano Carlo Sforza, replicando che per alcuni paesi, tra cui l'Italia, l'ingresso nelle Nazioni Unite non era stato
ancora perfezionato e che, in ogni caso, la circostanza che le stesse avessero realizzato la Dichiarazione del 1948,
espressamente definita come 'universale', non doveva costituire un impedimento alla creazione di una Carta
'continentale', modellata sulla cultura, i valori, e le tradizioni peculiari all'Europa”. V. AA. VV.; La Convenzione
europea dei Diritti dell'uomo e la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, Giuffrè Editore, Milano, 2006, pag. 4.
32Ibidem, pag. 5. Troppo spesso, tuttavia, siamo dimentichi di un altro elemento importante, nell'analisi di quei
meccanismi di favorevole sedimentazione dei processi filo-totalitaristi nelle nazioni, e cioè la necessità che uno Stato
debba giocoforza trovarsi in una condizione di bisogno, che, ad esempio, nel caso tedesco, era costituita da una
necessità impellente di natura economica: non deve infatti sorprendere che terreno fertile della dittatura è l'estrema
povertà, ed in questo, il piano nazista aveva avuto terreno facile – si pensi che “nel 1932 la crisi [tedesca] raggiunse il
suo apice. La produzione industriale calò del 50% rispetto al ’28 e i senza lavoro raggiunsero i sei milioni (ciò
significava che la disoccupazione toccava la metà delle famiglie tedesche). Frattanto i nazisti ingrossavano le loro file
in modo impressionante (un milione e mezzo di iscritti, di cui quasi un terzo inquadrati nelle SA) e riempivano le piazze
con comizi e cortei”. V. AA. VV.; Storia contemporanea – Il Novecento, Giuseppe Laterza & Figli Editori, Roma, 2007,
pagg. 113-114.
33Il positivismo è una corrente di pensiero giuridica che ammette l'esistenza del diritto data la presenza della c.d.
'Grundnorm', e cioè di una norma base che serve a fornire la 'testata d'angolo' di tutta la costruzione giuridica nazionale
che segue (si potrebbe considerare ciò indipendentemente dalla materia giuridica trattata, e tuttavia, in realtà, uno dei
suoi principali sostenitori del positivismo moderno – contrapposto a quello 'antico', di cui sembra potersi datare la data
di nascita al secolo XII ad opera del filosofo Abelardo – il tedesco Hans Kelsen, faceva deliberatamente riferimento ad
18
I lavori sottolinearono sempre più l'assenza del desiderio di rendere
immediatamente noti i diritti che oggi consideriamo, a ragione, strettamente
connaturati all'uomo. Il motivo fu semplice: la Commissione decise, infine, che
sarebbe stato meglio attendere un generale acclimatamento delle democrazie
europee nei confronti di quelli che oggi definiamo 'diritti umani fondamentali',
invece di renderli immediatamente noti e di conseguenza, vincolanti34, a tutti.
Ed eppure, l'anno venturo, risuonò netto l'appello del Consiglio Italiano del
Movimento Europeo, che di seguito riporto: “Italians, 'the Italian Republic
consents, on condition of parity with other states, to limitations of sovereignty
necessary to a system for assuring peace and justice among nations.' This solemn
declaration in the Italian Constitution, which also appears in substance on other
European constitutions, reflects the aspirations of peoples in the aftermath of war
and their awareness of a common and urgent necessity. But it will be no more
than rhetoric until the citizens of all free countries of Europe persuade their
governments to advance from aspirations to bold decisions without losing any
more precious time, since it is an illusion to hope to save in any other way the
freedom, prosperity and lasting peace of Europe and the world. These thoughts
and this necessity are expressed in the Petition for a pact of federal union, which
un paradigma di matrice costituzionale). Secondo principio del pensiero positivista è la necessità della presenza di una
'punizione', e cioè di una norma che preveda un'apposita sanzione in caso di trasgressione dell'enunciato dell'autorità.
Viene spesso contrapposto, o, forse, più spesso, giustapposto, al diritto naturale, che invece trova il suo fondamento
ultimo nell'adattamento dei mores – cioè delle (buone) consuetudini – al diritto, e spesso in ottica conflittuale verso lo
stesso positivismo, ovvero a costo di ledere quanto decretato dal legislatore tramite apposita decretazione normativa.
Questo aspetto è piuttosto importante, in quanto costituisce 'l'eterna partita' tra la validità del positivismo ed il valore del
diritto naturale, che soventemente nella storia si è svolta a danno dell'uno o dell'altro. Ed anche a costo di vite umane.
Uno dei massimi esponenti italiani del positivismo è stato l'indimenticato Norberto Bobbio. Per un approfondimento di
facile fruibilità ma tuttavia storicamente e giuridicamente esauriente, v. AA. VV.; Enciclopedia del diritto (Volume XII,
Delitto-Diritto), Giuffrè Editore, Milano, 1968, pagg. 653 e ss. Per quanto riguarda le specifiche tesi di Norberto
Bobbio, v. BOBBIO NORBERTO, Il positivismo giuridico, G. Giappichelli Editore, Torino, 1996.
34Ovviamente, è pacifico ritenere che la vincolatività del diritto che si stava per produrre in seno alla Commissione,
venne presunta. E ciò in quanto, nel primo anno di lavoro, tutti i membri del Comitato dei Ministri del Consiglio
d'Europa non avevano ancora idea di quale migliore forma dovesse darsi all'impalcatura istituzionale dell'organo
sovranazionale. Né fu agevole intendersi se questo potesse, a tutti gli effetti, definirsi un organismo sovranazionale...
infatti, “malgré le caractère très restrictif du statut, la creation du Conseil de l'Europe suscita beaucoup d'illusions.
L'assemblée consultative s'est réunie à Strasbourgh, au mois d'août 194,dans une atmosphère enthousiaste. […] 'Le but
du Conseil de l'Europe est la création d'une autorité politique européenne ayant des fonctions limitées, mais des
puvoirs réels'. Ce texte a été adopté sans opposition mais dans la fatigue de la fin de session le 5 septembre 1949, et il
fut impossible de préciser le contenu de cette formule très générale. L'Assembée consultative ètait en effet divisée en
deux tendances. D'une part, les “institutionalistes” ou féderalistes qui voulaient faire du Conseil de l'Europe un organe
de type fédéral ou pré-fédéral […] d'autre part, les 'unionistes' qui se bornaient à préconiser le rapprochement des
politiques nationales”. V. GERBET PIERRE; La Construction de l'Europe – notre siècle, Imprimerie nationale, Parigi, 1983,
pagg. 97 e segg.
19
in the course of these months is being signed in Italy and other European states
and will be presented to the Strasbourgh Assembly and the national parliaments.
[…] The future of our country is a cause inseparable from the future of all the free
peoples of Europe. Without unity none of them can ensure its own freedom, justice
and peace. Do everything you can to transform the wish into a reality: Europe
united and at peace.”35.
E questa non sembrava un'eco isolata, visto che esponenti di spicco delle più
diverse forze politiche europee, come quelle danesi36, inglesi37 e persino greche38,
vi avevano aderito non con minor forza.
Fu così che venne accolto in seno all'Assemblea parlamentare del Consiglio
d'Europa il progetto di creare un “apparato giurisdizionale internazionale
composto da un tribunale giudicante e da una commissione con funzioni
istruttorie”39. Sembrava che il sogno di un'Europa unita, ed anzi, di una
federazione di Stati europei, fosse sempre più alla portata – questo perché il
risveglio europeista non passava più solo attraverso uno sviluppo economico
concreto, reso possibile dal Piano Marshall40 dei 'fratelli statunitensi', o da
insistenti voci che si levavano favorevoli nel merito di un progetto europeo di
difesa militare comune41, ma dal diritto stesso, elemento che per antonomasia era
35V. Europa Federata, N. 25, 10 giugno 1950, p.1; pubblicato in: AA. VV.; Documents on the History of European
Integration, Volume 3, The Struggle for European Union by Political Parties and Pressure Groups in Western European
Countries 1945 – 1950, Walter de Gruyter, Berlin, 1988, pagg. 253 e segg.
36Ibidem, pagg. 608 e segg.
37Ibidem, pagg. 721 e segg.
38Ibidem, pagg. 815 e segg.
39V. AA. VV.; La Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, Edizioni Scientifiche Italiane,
Napoli, 2006, pag. 19.
40Il famoso Piano Marshall, fu forse il prodotto più geniale di un'abile strategia politica dettata dalla lungimiranza
statunitense che, nel periodo della Guerra fredda, si mosse prima attraverso un'attività di containment e poi di roll-back
in chiave anti-sovietica, attività che era da realizzarsi, per gli strateghi di Washington, non solo tramite le crude attività
di spionaggio militare-industriale o di dibattito politico (soprattutto sui nascenti diritti dell'uomo) presso la sede del
Palazzo di Vetro, ma in special modo tramite un positivo accoglimento delle istanze europee (anche balcaniche) che
potevano permettere nel long-run delle relazioni euro-americane non solo la restituzione del credito fornito ai Paesi
coinvolti nel progetto marshalliano (che di fatto volgevano in stato di bisogno), ma anche un sempre più marcato
allontanamento dei Paesi occidentali dall'influenza della dialettica ideologica fatta propria dall'URSS. Realmente il
risultato perseguito dagli Stati Uniti. Per una breve panoramica in merito a questo Piano, v. AA. VV.; Storia economica
d'Europa – le economie contemporanee, UTET, Torino, 1980, pagg. 289 e segg.
41Questo fu invece il famoso Piano Pleven, che non aveva matrice economica, come il già citato Piano Marshall, ma fu
bensì il risultato di un progetto francese a favore della creazione di un sistema di difesa comune europeo (che poi
20
chiamato a riunire le nazioni saldandole sempre più tra di loro in nome della
pratica del diritto, anzi, di una rule of law42, punta di diamante di un cammino di
incivilimento che ormai sembrava non conoscesse più ostacoli, nel nuovo progetto
occidentale.
Arrivò poi il momento in cui la bozza della Convenzione dei diritti dell'uomo fu
completata da suddetta Commissione, e perciò venne prontamente inviata
dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, che ne avrebbe discusso i
vari profili. Un altro passo in avanti era stato fatto; ma le maggiori difficoltà non
si erano ancora incontrate.
Il dibattito assembleare divenne infatti acceso ed il clima che venne ad imporsi
sempre più difficoltoso, cioè poco prolifico in termini di soluzioni raggiunte di
sarebbe divenuto noto, dopo il 1951, con l'acronimo di C.E.D., Comunità Europea di Difesa). Tale Piano fu ideato dal
Presidente del Consiglio francese Réné Pleven nel 1951, in risposta alle stringenti necessità di rispondere, da una parte,
al dovere di proteggersi dall'aggressività sovietica (allora minaccia di dimensioni spaventevoli, in quanto afferente ad
un sistema politico, economico e militare sostanzialmente sconosciuto all'Europa) – tra l'altro sollecitata a più riprese
dagli stessi S.U. nei diversi talks ed incontri delle autorità nazionali euro-americane dopo il secondo dopo guerra – e
dall'altro, di accontentare la sempre percepita necessità francese di proteggersi dal 'leone dormiente' che ancora pareva
essere – agli occhi dell'opinione pubblica francese intera – la Germania (ad esclusione, forse, di alcuni esponenti del
socialismo francese, che sembra giudicarono prematuro tale progetto di natura deliberatamente militare, almeno prima
ancora che fosse portato a compimento l'impalcatura europea economico-politica, framework che sarebbe stata
riconosciuto, da lì a pochi anni, nell'agenzia comunitaria avente il nome di OECE). Ovviamente tale giudizio era più il
frutto di una distorsione concettuale dettata in maggior misura dal difficile passato avuto col vicino tedesco, che aveva
prima costretto i francesi alla capitolazione della Nazione, e poi all'esperienza del governo-fantoccio di Vichy, il tutto
nell'arco di soli pochi anni. Dunque, di ben poco conto doveva apparire agli occhi dei francesi che la Germania versasse
in una condizione di fattuale inoffensività, tenendo conto delle sanzioni post-guerresche (e delle riparazioni di guerra)
che le erano state imposte dai Paesi alleati! Per l'analisi degli aspetti politici del Piano Pleven, v. GERBET PIERRE; La
Construction de l'Europe – notre siècle, Imprimerie nationale, Parigi, 1983, pagg. 152 e segg. Per conoscere invece
l'entità delle riparazioni imposte alla Germania in seguito al trionfo delle Nazioni alleate, ed analizzare l'annessa
vicenda relativa all'evoluzione di questo debito, v. www.keynesblog.com/2015/03/10/europa-ca...
42Gary Slapper e David Kelly avvertono che con questo termine ci si riferisce ad un “symbolic ideal against which
proponents of widely divergent political persuasions measure and criticise the shortcomings of contemporary State
practice” (v. AA. VV.; The English Legal System, dodicesima edizione, Routledge, Oxon, 2011, pag. 23). Meno
ambiguamente, possiamo definire il termine rule of law come il nostrano principio di 'eguaglianza di ogni soggetto di
fronte alla legge', previsto nella Costituzione italiana all'art. 3. Tuttavia, il concetto di rule of law appartiene più
strettamente al mondo giuridico anglo-americano, e, così, a voler esser molto precisi, come avverte Michel Rosenfeld,
“there is no consensus on what 'the rule of law' stands for, even if it is fairly clear what it stands again. An important
part of the problem stems from the fact that 'the rule of law' is an 'essentially contestable concept', with both descriptive
and prescriptive content over which there is a lack of widespread agreement” (sic). Di conseguenza, la rule of law
sarebbe una specie di spirito che vorrebbe rappresentare concretamente la legge di fronte all'uomo (cioè al cittadino),
pur essendo al tempo stesso consapevole della propria natura astratta, e perciò, difficilmente definibile. Il tutto,
sembrerebbe formare un ragionamento logico, e dunque concordo con l'autore in merito alla sua tesi relativa alla
presunta natura 'metafisica' della rule of law, specialmente se teniamo in conto della naturale predisposizione
dell'umanità a ledere anche i più basilari precetti morali, prima ancora che giuridici! V. ROSENFELD MICHEL; The Rule of
Law and the Legitimacy of Constitutional Democracy, 74 S. Cal. L. Rev. 1307-1349 (2001), citato in: AA. VV.;
Comparative Constitutionalism – cases and materials, Second Edition, St. Paul (USA), 2010, pag. 42.
21
collettivo accordo: nello specifico, due aspetti della bozza di Convenzione
avevano agitato gli animi oltre modo, arrivando a bloccare di fatto i lavori: mi
riferisco anzitutto sul come inserire, nella 'bozza finale', la clausola a salvaguardia
del diritto alla proprietà privata personale43, e poi, sul come realizzare l'articolo
che invece sarebbe stato posto a salvaguardia del diritto all'istruzione della
persona44.
Non sorprendentemente, una risoluzione avanzata da alcuni deputati, che
conteneva l'esortazione ad occuparsi di questi due diritti in un futuro incontro, fu
votata finalmente a favore, e così si poté superare l'impasse potendo quegli stessi
aspetti 'trovar sanzione' solo pochi anni dopo45, una volta resa pubblica la
Convenzione; ovvero grazie all'integrazione di specifici concordati46.
E tuttavia l'agone politico sembrava ben lungi dal potersi definire esaurito.
L'ultimo ostacolo incontrato dai padri costituenti fu, infatti, quello su cui verté
forse la discussione più critica di tutto il lavoro svolto dall'Assemblea: quello
concernente la proponibilità del concetto di organo giudiziario europeo supremo,
tribunale che, idealmente, avrebbe avuto il compito di vegliare sulla stessa
Convenzione, che stava via via conoscendo forma compiuta. Ma che, nei fatti, era
ancora incompleta, un'eccellente ma pur sempre precipua draft47, dovendo questa
ancora sottostare al vaglio finale del Comitato dei Ministri! E questo invitò perciò
43“Con riferimento al diritto di proprietà, di opinione contraria erano essenzialmente i socialisti ed i social-
democratici dei vari paesi europei, nel timore che la sua inclusione all'interno della Convenzione costituisse una forte
minaccia per la progettata realizzazione delle riforme agrarie nonché per il piano di nazionalizzazione delle grandi
industrie; di tutt'altro avviso invece i liberali, convinti assertori della necessità di garantire al massimo grado il diritto
di proprietà quale presupposto essenziale dell'iniziativa economica privata”. V. Aa. Vv.; La Convenzione europea dei
Diritti dell'uomo e la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, Giuffrè Editore, Milano, 2006, pagg. 6–7.
44Paradossalmente, qui il contrasto fu tra le forze liberal-socialiste di natura prettamente 'laica', e quelle cattolico-
protestanti: il fronte comune dei secondi lottava per imporre un concetto di diritto 'europeo' all'istruzione personale che
fornisse maggiore peso specifico alla libertà d'insegnamento (e quindi favorevole a riconoscere alle scuole private di
ispirazione religiosa una massima valenza), ciò al contrario di quanto sostenuto dagli assembleari 'laici', che invece
rivendicavano con forza l'idea che una definizione articolata in via generica rivestisse egualmente di massima dignità
sia l'impianto scolastico pubblico (che a loro maggiormente stava a cuore) che quello privato stesso, andando così a
contentare le riserve espresse in via di principio degli assembleari 'credenti'. Ibidem, pag. 7.
45“Further rights and liberties have been provided for in the several Protocols which have been added to the
Convention since 1950. The First Protocol, signed in Paris in 1952, includes: the right to the peaceful enjoyment of
possessions (Article 1); the right to education (Article 2)”. V. AA. VV.; European Civil Liberties and the European
Convention on Human Rights – A Comparative Study, Martinus Nijhoff Publishers, The Hague, 1997, pag. 6.
46I primi Stati firmatari del Primo Protocollo alla CEDU furono il Regno Unito (3-11-1952), la Norvegia (18-12-1952),
l'Irlanda (25-2-1953), la Danimarca (13-4-1953), la Svezia (22-6-1953), l'Islanda (29-6-1953), il Lussemburgo (3-9-
1953), la Turchia (18-5-1954), l'Olanda (31-8-1954), il Belgio (14-6-1955), l'Italia (26-10-1955). V. AA. VV.; Codice di
diritto internazionale pubblico – Sesta edizione, G. Giappichelli Editore, Torino, 2013, pag. 612.
22
alla cautela i difensori di detto progetto, che in Assemblea dovettero in special
modo contrastare la dura opposizione svolta dalla mozione presentata dal
Presidente del Senato belga Rolin48, che sottolineò una duplice criticità nel merito
di tale progetto giudiziario: egli definì infatti assai pericoloso tale piano in quanto
capace di confondersi con l'attività delle altre corti di giustizia nazionali,
introducendo nel sistema giuridico di questi una 'falla' nel concetto di certezza del
diritto49 (o, come notano degli studiosi, nel principio di ordine costituito50).
Inoltre, un riconoscimento siffatto della potestà della nascente Corte europea
avrebbe potuto ledere all'operato già svolto dalla Corte di Giustizia Internazionale
delle Nazioni Unite, che in talune occasioni, si sarebbe potuta percepire come
'superata' nella propria attività da quella del 'nuovo' giudice europeo.
Il problema posto dal Rolin godeva di solide basi; perciò le parti latrici di diverso
avviso avrebbero dovuto 'fare gruppo' il più possibile per portare a compimento
quello che, improvvisamente, iniziava a paventarsi come un compito assai arduo.
Alcuni dei nostri deputati connazionali presero così a distinguersi per la lucidità
dei loro interventi51, che parvero ai molti presenti nell'aula un chiaro segnale di
47Termine inglese col quale si definisce una 'bozza incompleta'.
48La formale denunzia operata da Rolin è visionabile sul sito internet http://assembly.coe.int, inserendo i seguenti
parametri di ricerca: 'Doc. 26', '07 May 1951', 'Review of the processes of settlement of disputes by International
Courts'.
49Quanto è simile il concetto di certezza del diritto rispetto a quello di eguaglianza sostanziale di ognuno di fronte alla
legge, come previsto dall'art. 3 Cost.? Mi chiedo se in fondo non siano essenzialmente due risvolti univoci 'della stessa
moneta', nel costituzionalismo italiano. Un 'noto' teorico del diritto ci fa sapere che “perciò alcune norme derivano dai
principi universali della legge naturale come conclusioni; cioè come il precetto di non uccidere potrebbe derivare dal
principio che non si deve far male a nessuno. Invece altre norme ne derivano come determinazioni. La legge di natura,
ad esempio, stabilisce che chi pecca venga punito; ma precisare con quale pena, è una determinazione della legge
naturale. Ora, nella legge umana positiva si ritrova l'una e l'altra cosa. Però le norme del primo tipo non si trovano in
codesta legge soltanto come norme positive, ma conservano un certo vigore della legge naturale. Invece le norme del
secondo tipo lo devono soltanto alla legge umana”. Possibile che le norme di produzione positiva (umana) abbiano una
cogenza (un'effettività) minore rispetto ad altre? V. D'AQUINO TOMMASO, Summa Theologiae, I-II, 90-97, citato in:
MEZZETTI LUCA; Princìpi costituzionali, G. Giappichelli Editore, Torino, 2011, pag.10. Per una riflessione più ampia, cfr.
nota n. 42.
50V. AA. VV.; La Convenzione europea dei Diritti dell'uomo e la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, Giuffrè
Editore, Milano, 2006, pag. 8.
51Ibidem, pag. 8. Non sono purtroppo riuscito a venire in possesso degli atti di lavoro dell'Assemblea parlamentare, in
special modo non ho avuto riferimento alcuno rispetto agli interventi dei nostri deputati italiani in merito. Sembra che
questi atti risiedano presso la biblioteca del Consiglio d'Europa a Strasburgo, non essendo questi stati convertiti in
'documenti elettronici'. Nemmeno la Camera dei Deputati, per quanto sembri assurdo, sembra conservare l'operato e gli
interventi dei propri deputati presso l'Assemblea. L'unica traccia che ho avuto di questo è la relazione conclusiva del
Capo degli Affari Legali ed Amministrativi (Maxwell-Fyfe) che afferma, resocontando la discussione al Presidente del
23
quanto l'Italia desiderasse profondamente un sistema europeo senza mezzi termini,
in fatto di poteri giuridici, oltre che politici.
Al coro dei nostri deputati si aggiunse il fondamentale appoggio di quelli francesi,
che permisero di sostenere con grande intelligenza le tesi dello stesso Teitgen, che
nella delegazione francese si fece portavoce della mozione conclusiva che poi
avrebbe dovuta esser messa al voto. E che avrebbe decretato la conferma
definitiva della bontà del sistema giudiziario europeo – o meno.
Il deputato francese decise di giocare d'astuzia. Accolse quindi parzialmente le tesi
di Rolin, pur aggiungendo che: “considering that it is patently necessary to avoid
such a multiplication of international jurisdictions, Considering that, even in
connection with disputes regarding the interpretation and implementation of
Conventions setting up Authorities having limited membership, a single European
Court would offer a far better guarantee of independence and impartiality than a
Court of which all the Members would be nationals of States which might have
already adopted a particular attitude on the question submitted to the judges,
Considering that a single juridical body would be, in the nature of things,
qualified to settle disputes between Members of the Council of Europe, regarding
the interpretation and application of the Statute, as of all European Conventions,
and could simultaneously fulfil the same advisory functions in relation to the
Committee of Ministers and to the Assembly, as the International Court of Justice
does in relation to the United Nations Organisation”52.
La votazione che poi si tenne, diede torto a Rolin, e così il progetto di Corte
europea di giustizia poté sperare di vedere la luce. Non solo: finalmente tutta la
bozza della Convenzione europea dei diritti dell'uomo era finalmente pronta per
conoscere il vaglio del Comitato dei Ministri, che si sarebbe adoperato per
discuterne i singoli articoli. Ed operare le proprie, determinanti, scelte.
Consiglio d'Europa: “In this connection it wishes to stress that, independently of the States accepting this compulsory
jurisdiction, the European Court may also according to the draft, have a case brought before it following an agreed
submission by the States concerned : such an agreement would be reached for this case alone. This should be sufficient
to justify the creation of the Court as a now organ of the Council of Europe. On the other hand, the Committee is glad
to note that the Conference of Senior Officials did not retain the definition of the Court's competence, by which the
Committee of Experts had tried to exclude from this competence violations resulting from legislative action—a
limitation which the Committee would have considered unacceptable”. Il testo è disponibile all'indirizzo
http://assembly.coe.int, utilizzando le seguenti parole-chiave: 'Doc. 6', '07 August 1950', 'Draft Convention for the
protection of the Human Rights and Fundamental Freedoms'.
52Per il testo completo della mozione promossa da Teitgen, v. sito internet: http://assembly.coe.int. I parametri di ricerca
di tale documento sono: 'Doc. 102', '07 December 1952', 'Establishment of a Single European Court of Justice'.
24
Ma quanto, in realtà, queste scelte sarebbero state finali – ci si potrebbe
interrogare – dopo che la bozza aveva prima preso forma con lo studio di una
commissione realizzata ad hoc, e poi con l'analisi (e il dibattito) di un'Assemblea
parlamentare? Effettivamente, questa Convenzione era 'lungi dall'addivenire': di
conseguenza nessuno dei passaggi a seguire, ancorché decisivi, sarebbe stato
ultimativo. Di fatto, il Comitato dei Ministri, scelse immediatamente, dopo la
lettura della bozza finale, di coinvolgere un 'Comitato di Esperti Governativi'
(Committee of Experts), composti da insigni giuristi appartenenti alle diverse
nazionalità coinvolte nell'obiettivo. Costoro, tra cui ricordiamo il nostro Tomaso
Perassi53, avevano il compito di risolvere tre ordini di problemi: precisare la
portata giuridica delle norme54 (operazione non eccessivamente complessa a dire
il vero, esercitando gli esperti con la necessaria dovizia il proprio ruolo),
confermare – o meno – la necessità di rimandare in futuro la definizione del
principio di diritto alla proprietà e all'istruzione e, infine, garantire il valore del
nascente meccanismo giudiziario europeo, realmente l'operazione più difficoltosa,
ma forse non insormontabile.
E tuttavia, come ci riferiscono Carlo Russo e Paolo Quaini – secondo la loro tesi
che è chiaramente vincolata alle indubbie capacità tecniche del gruppo di esperti –
fu infine adottata una differente strategia, e “all'opportunità di istituire il
meccanismo giurisdizionale di tutela, il Comitato ritenne che, trattandosi di
53Tomaso Perassi fu insigne giurista, ma seppe altresì distinguersi per l'attività diplomatica e politica. Scrive un suo
biografo: “Laureatosi a pieni voti in Giurisprudenza presso l’Università di Pavia, nel 1914 ottenne la cattedra di
Istituzioni di Diritto pubblico e di Diritto internazionale all’Istituto Superiore di Commercio di Bari; nel 1921 passò
alla facoltà di Scienze Economiche e Commerciali di Napoli; poi, nel 1928 si trasferì all’Istituto Superiore di Roma e
infine, nel 1937 alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma nominato professore di Diritto internazionale. A
fianco dell’attività di docente ricoprì diversi incarichi a livello statale: come consulente del ministero degli Affari
Esteri, tra il 1931 e il 1936, fece parte della delegazione italiana presso la Società delle Nazioni. Dal 1944 fu a capo
dell’Ufficio del contenzioso diplomatico. Eletto deputato all’Assemblea Costituente nelle liste del Partito
Repubblicano, ricoprì il ruolo di segretario della 'Commissione dei 75'. Nel 1952 fu presidente dell’Alta Corte per la
regione Sicilia, dal 1955 al 1960 giudice e poi vice presidente (1957) della Corte Costituzionale”. V. sito internet:
http://www.societaverbanisti.it/eventi-2/noterelle/45-noterelle/655-perassi-tomaso.html
54Con ciò intendo che vi era necessità di garantire una terminologia giuridica ed una composizione sistematica degna
della Convenzione che si stava venendo a disegnare: ciò significa che era obbligatorio non solo che le norme fossero
tecnicamente corrette e pronte per una facile interpretazione da parte dei giuristi (si tenga inoltre conto del fatto che le
norme dovevano risultare di utilizzo anche al mondo giuridico inglese, quello ben differente del common law), ma che
fossero altresì chiare per 'l'utente finale', il cittadino, e che, soprattutto, reggessero il loro non sottostimabile compito
di... resistere alla prova del tempo. Che realmente avrebbe designato, o meno, il successo dell'operazione.
25
valutazione più spiccatamente politica che tecnica, su di essa dovesse
pronunciarsi lo stesso Comitato dei Ministri”55.
Il Consiglio dei Ministri decise allora di girare la bozza finale aggiornata dei
contenuti giuridici inseriti dal Comitato di Esperti ad un secondo team, che però
doveva evidentemente contraddistinguersi per il godimento di un profilo di
giudizio marcatamente 'politico'. Il Consiglio optò allora per la creazione apposita
di un 'Comitato degli Alti Funzionari' (Conference of Senior Officials), che
avrebbe dovuto raccogliere le più eminenti personalità del panorama europeo
distintesi per la solidità del proprio curriculum politico56.
Le riunioni del Comitato proseguirono senza particolari difficoltà, perlomeno fino
a quando fu chiaro che, anche in questo caso, stava emergendo in seno al
Comitato una dicotomia apparentemente insanabile: quella tra i rappresentanti che
desideravano ricoprire di obbligatorietà l'attività della neonata Corte europea, e
quelli che invece ne rigettavano l'opera – e dunque la sua costituzione –
giustificando tale posizione sulla base delle tesi roliniane che già ho esposto
precedentemente57.
L'impossibilità di ottenere anche solo una 'maggioranza semplice' presso i loro
incontri, costrinsero di fatto i politici a propendere per una soluzione intermedia,
che faceva proprie le virtù58 – e le pecche – del progetto voluto dai due
55V. AA. VV.; La Convenzione europea dei Diritti dell'uomo e la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, Giuffrè
Editore, Milano, 2006, pag. 10.
56L'Italia degasperiana scelse di fornire il proprio contributo, anche in questo caso, coinvolgendo lo stesso Perassi.
Probabilmente, così fu sia per rispondere ad una 'necessità di coerenza' nel seguito dell'evoluzione della discussione
sulla bozza, sia per conciliare le funzioni politiche che erano già proprie del Perassi.
57V. p. 20 dello scritto.
58La bontà di avere una Corte europea funzionale a tutti gli effetti, era quella di non dover obbligare gli Stati d'Europa a
ricorrere alla CIG, già impegnata a gestire i molti casi sottopostegli dai molti Stati parti aderenti all'ONU: ricordiamoci
infatti che fino alla fine del XX° secolo, la pratica della creazione di corti internazionali specifiche, come il Tribunale
per il Territorio dell'Ex Iugoslavia (1991) o la Corte Africana sui Diritti dell'Uomo e dei Popoli (1998), non era di uso
comune nell'allora mentalità (che forse non vedeva semplicemente la necessità di costituirne). Ciò se perlomeno
escludiamo dal novero quelle corti internazionali che ebbero una natura persino più specifica, osservando le proprie
funzioni secondo un duplice criterio; quello della regionalità, e, soprattutto, della temporaneità: vi furono infatti corti
specialmente avocate a giudicare crimini di guerra riscontrati in seguito alla fine dei grandi conflitti mondiali, che, dopo
aver terminato il loro compito, videro esaurire il proprio compito e vennero sciolte. Si pensi per esempio a quel
tribunale militare dell’Estremo Oriente istituito dalle undici nazioni vincitrici della guerra che fu chiamato a giudicare i
crimini contro l'umanità al termine della capitolazione giapponese, nel 1945. V. HENSHALL KENNETH G.; Storia del
Giappone, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2005, pag. 211. Per approfondire sul tema delle varie Corti
internazionali, v. AA. VV.; The Manual on International Courts and Tribunals. Second edition, Oxford University Press,
Oxford, 2010.
26
schieramenti: ergo, la Corte di giustizia europea sarebbe a tutti gli effetti nata, ma
in concreto la sua giurisdizione sarebbe stata facoltativa, ovvero, sarebbe stata
contrassegnata dall'obbligatorietà solo dietro l'espresso consenso degli Stati
coinvolti nella querelle. Questa soluzione fu prevista altresì nel caso di ricorso di
singoli individui alla Corte.
La fine di questo lungo travaglio dovette sembrare ai molti studiosi e politici
coinvolti ormai prossima. Parve a tutti che, questa volta per davvero, da lì in breve
il Comitato dei Ministri, avendo ricevuto le ultime correzioni effettuate dal
Comitato di Esperti Governativi, potesse finalmente deliberare il testo finale della
Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e dare così il via alle procedure per la
creazione di una Corte Europea dei diritti. Alle nomine dei primi giudici. Ed
invece, un'ultima sottolineatura, un ultimo 'fremito', ingiunse la necessità di
riconsiderare proprio quest'ultimo aspetto: e la paternità del gesto aveva la firma
dei rappresentanti della Commissione delle Questioni Giuridiche ed
Amministrative, che fino ad allora era invece rimasta in un silenzio attendista! Sir
Maxwell-Fyfe, ancora chairman della suddetta commissione, relazionando con
una lettera scritta di suo pugno il lavoro sinora svolto allo stesso Presidente del
Consiglio d'Europa, venne a dichiarare che: “The Committee is inclined to
recommend, in a general way, that the Consultative Assembly adopt the practical
compromise of the creation of a European Court with optional jurisdiction.
However, it would like to sec a considerable reduction in the number proposed (9)
of States accepting the compulsory jurisdiction of the Court, on which provisions
depends the election of the Court's judges. It considers indeed that this condition
would be such as to delay overmuch the institution of the Court. In this
connection it wishes to stress that, independently of the States accepting this
compulsory jurisdiction, the European Court may also according to the draft,
have a case brought before it following an agreed submission by the States
concerned : such an agreement would be reached for this case alone. This should
be sufficient to justify the creation of the Court as a now organ of the Council of
Europe”59.
59La dichiarazione di sir Maxwell-Fyfe terminava sottolineando la bontà dell'operato svolto dalla Commissione degli
Alti Funzionari, capaci di eliminare, dalla definizione di quelle competenze sottese alla Corte di giustizia europea, la
capacità di giudicare le norme promanate dalle diverse fonti di diritto nazionale, elemento che invece era in palese
contrasto con quanto espresso dal Comitato di Esperti Governativi. V. sito internet: http://assembly.coe.int. I parametri
di ricerca da inserire per ottenere il documento sono: 'Doc. 6', '07 August 1950', 'Draft Convention for the protection of
Human Rights and Fundamental Freedoms'.
27
Questa situazione fu allora nuovamente presa in esame dal Comitato degli Alti
Funzionari, per espressa volontà del Comitato dei Ministri. Quello, tuttavia, si
scoprì incapace a discuterne costruttivamente, e così, lo stesso Comitato dei
Ministri si risolse a confermare l'idea che la giurisdizione della Corte sarebbe stata
inizialmente facoltativa. Ciò portò ad ufficializzare la bozza di Convenzione, che
fu finalmente firmata dai 'padri fondatori', nella cornice di Palazzo Barberini in
Roma, nell'anno 195060.
60“Le 4 novembre 1950, au Palais Barberini de Rome, j'étais là au moment de la signature de la Convention
européenne. Je me rappelle le Comte Carlo Forza, ministre des Affaires étrangères de l'Italie, lorsqu'il a pris la parole
de manière rhétorique, en disant: 'C'est un moment historique pour l'Europe: nous avons créé l'Europe des droits de
l'homme. L'Europe du droit, l'Europe de la liberté où sont garanties la liberté et la dignité de la personne'”. V. AA. VV.;
Droit et justice – Collection dirigée par Pierre Lambert – Cinquantième anniversaire de la Convention européenne des
droits de l'homme, Nemesis, Bruxelles, 2002, pagg. 62-63.
28
2. 'Ubi societas, ibi religio': la nascita del diritto di
religione nella CEDU
Il progetto dei nostri 'padri europei' sul diritto di religione, aspetto che ora rimane
doveroso trattare, non conobbe una sorte assai diversa dal cammino compiuto da
tutti gli articoli costituenti la Dichiarazione. Questo percorso di crescita si
estrinsecò, anche in questo caso, nel rispetto del leitmotif già conosciuto presso il
Consiglio d'Europa, in special modo nella fase di forgiatura di tutti gli articoli
integranti la CEDU di per sé – e dunque attraverso quella continua sinfonia
(ahinoi definibile nei casi peggiori anche tiritera, quando cioè l'accordo non
pareva raggiungersi sui punti all'ordine del giorno e le delegazioni bloccavano i
lavori per le loro intransigenze) svoltasi tra Comitato direttivo, nello specifico
quello dei Ministri, e sottocomitati di diverso genere, anche in questo caso
chiamati a specificare gli aspetti tecnici di questa statuizione.
Ebbene, non deve stupire che il futuro art. 9 CEDU avrebbe conosciuto il proprio
momento fondativo grazie al progetto di Carta europea dei diritti dell'uomo61,
'iato di libertà' emesso dalla Sezione Giuridica Internazionale62 del già noto
Movimento Europeo, che, nell'estate del '49, richiamando il 'diritto di libertà
religiosa' già all'art. 1, statuì formalmente che “ogni Stato parte della presente
Convenzione garantirà ad ogni persona nel proprio territorio i seguenti diritti:
[…] la libertà di credenza, di pratica e di insegnamento religioso”63. Nel testo
erano altresì presenti dei correttivi, che limitavano tali affermazioni in conformità
61V. AA. VV.; Collected Edition of the 'Travaux Préparatoires' of the European Convention on Human Rights (Volume I),
Martinus Nijhoff, The Hague, 1985, pag. 296.
62Traduzione dell'originario titolo del dipartimento del Movimento Europeo: 'International Juridical Section of the
European Movement'. V. EVANS MALCOM D.; Religious Liberty and International Law in Europe, CSICL, Cambridge
University Press, Cambridge, 1997, pag. 263.
63V. Documento CE, Confidentiel, H (61) 4, Add. 1, 1949.
29
ai principi generali di diritto delle nazioni civili64 ed alle norme imperative di
legge65.
Tale diritto di religione, evidentemente connotato al pensiero della persona,
avrebbe costituito un forum internum66, nel senso fornitoci dall'attuale
manualistica estera: “it is true that thoughts and views, as long as they have not
been expressed, are intangible and that convictions are especially valuable for the
person concerned if he can express them. But that does not render the (inner)
freedom of [thought, conscience and] religion useless”67.
64Si definiscono 'principi generali di diritto delle nazioni civili' quelle pratiche consolidate e riconosciute che, poste in
essere dalla maggioranza degli Stati dello scacchiere internazionale, spesso godono altresì del rango di consuetudine
internazionale all'interno del diritto internazionale pubblico (e tuttavia i due concetti sarebbero da tenersi distinti, in
quanto in realtà surrogati: non sempre, infatti, un 'principio generale di diritto delle nazioni civili' ha conosciuto – a
volte per la semplice mancanza di utilizzo nella prassi – quella 'dignità' che gli ha permesso di venir elevato al rango di
'consuetudo internationalis'. V. CONFORTI BENEDETTO, Diritto internazionale – VII edizione, Editoriale Scientifica, Napoli,
2006, pagg. 31-35.
65Specificamente, ciò significa che, la legislazione che sarebbe seguita sulla 'libertà di credenza, di pratica e di
insegnamento religioso' come sopra riportato, avrebbe dovuto rispettare i seguenti limiti: “(a) protecting the legal rights
of others; (b) meeting the just requirements of morality, public order (including the safety of the community) and the
general welfare”. V. EVANS MALCOM D.; Religious Liberty and International Law in Europe, CSICL, Cambridge
University Press, Cambridge, 1997, pag. 264.
66Questa dizione è assai in voga nella dottrina inglese: essa si ricollega ad uno dei componenti cruciali del diritto
canonico, che già dalla sua nascita primordiale – seguita all'approfondimento delle materie di diritto romano presso le
prime università medievali italiane ed inglesi (Bologna ed Oxford in primis) – ha voluto provvedere a recepire,
direttamente dalla dottrina teologica, una bipartizione, che identifica le conseguenze materiali del peccato come
produttrici di effetti, rispettivamente, in foro interno e/o in foro esterno. Il foro interno dunque, verrebbe a definire un
ambito strettamente interiore, a livello dunque cerebrale, di pensiero, anzi: strettamente correlato all'anima. E così gli
effetti del peccato avrebbero delle conseguenze (e andrebbero giudicati) in foro interno. Ciò mentre il foro esterno,
invece, riguarderebbe tutti gli accadimenti di evidente significatività giuridica che andrebbero oltre l'ambito del singolo
(atti o fatti che, dunque, posti in essere dalla persona, o meglio dal christifideles, com'è invalso definire il cittadino
cristiano nel diritto canonico millenario) implicherebbero uno speciale significato per il diritto: si pensi ad esempio alla
rilevanza di talune attività del singolo (o di una pluralità di singoli) per il diritto civile o penale. Ciò illumina altresì sul
motivo per il quale, via via, nella pratica del diritto canonico originario, questo si sia sempre più venuto ad integrare con
lo ius civile di originaria concezione romanica, fino a divenire parte pulsante del sistema politico peninsulare di quelli
che erroneamente vennero definiti 'secoli bui', in un unicum che noi conosciamo oggi col nome di utrumque ius. V. Aa.
Vv.; Novissimo Digesto Italiano – TOMO V: 'CRI-DIS', UTET, 1960, pag, 796, che alla voce 'diritto canonico' esplicita
tali concetti: “...si sviluppò così una scienza del diritto canonico che in breve raggiunse un'ampiezza e uno sviluppo tali
da costituire, parallelamente e quasi in contrappeso al diritto romano, quel glorioso binomio dell'utrumque ius che rese
celebri i nostri Studi dal Medioevo in poi. […] in particolare, il diritto canonico, si distingue dalla teologia morale,
perché, pure enunciando entrambe le discipline i principi che devono regolare gli atti umani in ordine al fine supremo,
la teologia morale considera il comando etico in ordine esclusivo al cosidetto 'foro interno', la cui violazione
costituisce il peccato […], mentre il diritto canonico riguarda le attività dei fedeli essenzialmente in quanto si
riferiscono all'ordine esteriore o sociale della Chiesa […], il diritto canonico si limita a prendere tali postulati come
presupposti che pone a base del sistema giuridico e degli istituti da esso elaborati”. Per un ulteriore approfondimento,
di matrice storica, v. CARAVALE MARIO; Ordinamenti giuridici dell'Europa medievale, Il Mulino, Bologna, 1994.
67V. AA. VV.; Theory and Practice of the European Convention on Human Rights, Intersentia, Oxford, 2006, Quarta ed.,
pag. 752.
30
Questa gradita novità, dal potenziale giuridico inespresso e già in partenza non
priva di ambiguità68, conobbe poi una sostanziale metamorfosi nella seconda fase,
quella ufficiale, che vide protagonista la delegazione irlandese, capace di
presentare alla XIX seduta della Commissione preparatoria del Consiglio
d'Europa (propria del periodo in cui lo stesso diritto veniva già presentato nella
stessa Carta europea dal ME!) un argomento intitolato: “la difesa dei diritti
fondamentali politici, civili e religiosi dell'uomo”69.
Dopo circa un mese, questa proposta venne approvata (con modifiche) nella
sessione agostana dalla Commissione per le questioni giuridiche ed
amministrative70, su proposta dell'Assemblea stessa. Nelle carte che riportano i
lavori preparatori, viene ovviamente registrato anche questo episodio – si legge:
“La Convenzione e la procedura di cui il Comitato determinerà ulteriormente le
modalità, garantiranno ad ogni persona residente nel territorio metropolitano
dello Stato membro le libertà ed i diritti fondamentali enumerati qui di seguito:
[…] la libertà di pensiero, di coscienza e di religione in conformità all'art. 18
della Dichiarazione delle Nazioni Unite”71.
È perciò, anche in questo caso, esplicito il richiamo della CEDU alle supreme
convenzioni che l'hanno preceduta, di ordine globale72.
68Con questo intendo affermare che, se il diritto di religione come oggi conosciuto dalla lettera dell'art. 9 CEDU colà
fosse invece rimasto formulato, e cioè secondo la definizione fornita dal progetto del ME, allora, rispetto all'attuale
definizione, la società europea avrebbe senza dubbio dovuto scontare maggiori problemi di interpretazione giuridica,
che difatti sono stati facilmente evitati provvedendo ad una saggia codificazione non onnicomprensiva, ma tuttavia
estremamente prona ad una rielaborazione secondo le ragioni dettate dal caso di specie – si prenda ad esempio il lavoro
'esegetico' della Corte EDU o della difesa dei ricorrenti alla giustizia di Strasburgo.
69V. Documento CE, CP/19, punto III, pagg. 2-3, 6 luglio 1949, citato in: MARGIOTTA BROGLIO FRANCESCO; La protezione
internazionale della libertà religiosa nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Giuffrè Editore, Milano, 1967,
pag. 13.
70Si ricordi che Teitgen avrebbe svolto il ruolo di Segretario (rapporteur), mentre Sir David Maxwell-Fyfe quello di
rappresentante (chairman).
71V. Documento CE, A. 167, p. 2, 1949, citato in: Margiotta Broglio Francesco; La protezione internazionale della
libertà religiosa nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Giuffrè Editore, Milano, 1967, pag. 14.
72Ovviamente i partecipanti facevano riferimento alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. L'art. 18 della
Dichiarazione in questione recita: “ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale
diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia
in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e
nell'osservanza dei riti”. V. AA. VV.; Codice di diritto internazionale pubblico – Quinta edizione, Giappichelli Editore,
Torino, 2010, pag. 160.
31
Merita tuttavia di essere citato anche lo step successivo di questo
approfondimento della discussione allora in atto presso l'Assemblea, in merito a
quello che sarebbe stata la libertà di manifestazione del pensiero (e della propria
religione): nel settembre, difatti, la Commissione venne a presentare una 'bozza
giuridica' che permettesse ai cittadini europei di vedersi garantiti i loro diritti
essenziali, tra cui figurava ovviamente quello afferente alla libertà di religione.
Questa riportava: “Nella Convenzione gli Stati membri si impegneranno ad
assicurare ad ogni persona residente nel loro territorio: […] 5° - la libertà di
pensiero, di coscienza e di religione, in conformità all'art. 18 della Dichiarazione
delle Nazioni Unite”73.
Seguì, a partire dall'ottobre dello stesso anno, l'esamina del caso da parte di un
comitato di esperti dei diritti umani, incaricati dal Comitato dei Ministri di
tradurre nel diritto quanto elaborato sino ad allora in via unicamente 'politica': e
cioè sottoporre la raccomandazione che era stata prodotta, la n. 38 – che nel
proprio nucleo relativo al diritto di religione non aveva conosciuto alcuna
reinterpretazione rispetto a quanto già affermato in precedenza – ad un vaglio di
esperti del settore74. Il compito di costoro, ci informa il Prof. Margiotta Broglio,
sarebbe stato nientemeno quello di “esaminarla e discuterla alla luce dei lavori e
degli studi compiuti dagli organi delle Nazioni Unite”75.
Venne allora a promuoversi un'attività anzitutto di cesura, in special modo da
parte di due singoli esperti di diritto (quello di nazionalità turca e svedese)76, e
poi, seguì un tempo di studio sulle ulteriori modifiche da apporre da parte di un
'Sotto-Comitato'77, che volle promuovere un'analisi volta a salvaguardare quanto
rientrante nella legittima area di azione dei governi nazionali, venendo ad
73V. Documento CE, AS (1) 77, pag. 204, 1949, citato in: MARGIOTTA BROGLIO FRANCESCO; La protezione internazionale
della libertà religiosa nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Giuffrè Editore, Milano, 1967, pag. 15. Si noti
che la bozza della proposta avanzata dalla Commissione non venne a riformulare in alcun modo quanto inizialmente
modificato dalla Commissione per le questioni giuridiche ed amministrative; elemento che ci sottolinea la serietà
dell'impegno di quell'ufficio nel cogliere le questioni sollevate dalla delegazioni irlandese.
74Ibidem.
75V. MARGIOTTA BROGLIO FRANCESCO; La protezione internazionale della libertà religiosa nella Convenzione europea dei
diritti dell'uomo, Giuffrè Editore, Milano, 1967, pag. 16.
76Il prof. Margiotta Broglio ci indica che l'obiettivo fosse quello di “restringere la portata del diritto di libertà
religiosa” tant'è che l'esperto turco giunse addirittura a voler promuovere un testo così esplicito da rendere addirittura
noto che lo scopo di detto articolo fosse quello di “prevenire i tentativi di ritorno all'oscurantismo” (!). Ibidem.
77Così MARGIOTTA BROGLIO. Ibidem, pag. 17.
32
utilizzare una formula onnicomprensiva che avrebbe permesso di fare salva la
volontà del potere statale, che così affermava: “questa disposizione non lede le
legislazioni nazionali già esistenti che comportano regole restrittive concernenti
le istituzioni e le fondazioni religiose e l'appartenenza a determinate
confessioni”78.
La mossa inaspettata, di qui, fu quella dell'esperto britannico del comitato, che
venne a promuovere addirittura l'idea di utilizzare, per il diritto di religione e
quello concernente la libertà di pensiero, le medesime affermazioni 'scolpite' nell'
art. 16 del progetto di Patto delle Nazioni Unite per i diritti civili e politici del
194979, che già di per sé era identico “all'art. 18 della Dichiarazione Universale
[dei Diritti dell'Uomo]”80 ! Mossa invero non del tutto inattesa poiché, come ho
già evidenziato, sino ad allora, la promozione di tale diritto pareva doversi ad ogni
costo sviluppare in pacifica collaborazione con le grandi carte dei diritti che
l'avevano preceduto – e dunque non lo si avrebbe fatto solo in riferimento al mero
diritto di religione81 – ancorché tale attività, che solo banalmente si può definire di
'ricopiatura', avrebbe avuto lo svantaggio di recepire dei contenuti di principio
forse non rielaborati tenendo conto della specifica cultura europea82.
78Documento CE, A. 796, 1949, p. 2, citato in: ibidem.
79Oggi, tale previsione, come rielaborata in seguito alle modifiche seguite nel 1966, è svolta dall'art. 18 che dichiara:
“1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di avere
o di adottare una religione o un credo di sua scelta, nonché la libertà di manifestare, individualmente o in comune con
altri, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nel culto e nell'osservanza dei riti, nelle
pratiche e nell'insegnamento...”. V. AA. VV.; Codice di diritto internazionale pubblico – Quinta edizione, Giappichelli
Editore, Torino, 2010, pag. 167.
80Ibidem, pag. 18.
81I lavori preparatori della CE forniscono una visione d'insieme su di questa pratica di 'recezione diretta' invalsa nei
confronti dei grandi trattati internazionali. V. Documento CE, AS (1) 77, 1949, citato in: MARGIOTTA BROGLIO FRANCESCO;
La protezione internazionale della libertà religiosa nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Giuffrè Editore,
Milano, 1967. Cfr. con nota a seguire.
82È vero, infatti, che recepire una norma universalmente incontrovertibile sembra produrre l'effetto di rendere
istantaneamente efficace la prescrizione – e tuttavia il rischio insito in tale attività di 'recezione diretta' è proprio il
reciproco di quello; e cioè, lamentare la debolezza del diritto: per la lontananza di questo, evidentemente,
dall'esperienza sociale. E ciò senza che si tenga conto dei diversi paradigmi interpretativi fatti propri dalle corti europee.
33
Fu così che, nel febbraio del 1950, venne accolta favorevolmente la tesi del
delegato britannico83, ma solo al riguardo del primo paragrafo, che dunque vide
confermato il proprio ruolo all'interno della bozza dell'articolo 9.
Al tempo stesso, tale progetto di legge, tuttavia, conservava in sé un limite ben
specifico: quello di presentare un secondo paragrafo che aveva il compito di
accogliere le osservazioni precedentemente fatte dall'esperto di diritto turco e
svedese. In breve, si rende necessario chiarire che gli esperti di diritto
acconsentirono a procedere in tal modo per piegare il nascente art. 9 alla
“richiesta dei rappresentanti della Svezia e della Turchia, a causa dell'esistenza,
nei loro paesi, di alcune leggi che potevano essere considerate contrarie al diritto
di libero esercizio della religione, e si aggiungeva che il paragrafo stesso
riguardava soltanto le leggi già esistenti e che non sarebbe stato invocabile per
giustificare nuove limitazioni al libero esercizio della religione”84.
All'inizio del marzo dello stesso anno, poi, si tenne un altra riunione tra gli esperti
del Comitato, ove si distinse nuovamente il rappresentante britannico, che questa
volta volle ottenere la modifica del secondo paragrafo dell'articolo in senso
restrittivo, e cioè per tornare ad equiparare l'articolo in oggetto al 18 della
Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Dopo diverse negoziazioni in
seno all'assemblea, venne ad ottenersi un nuovo risultato, che fece entrare anche il
secondo paragrafo nello stato di 'bozza definitiva'85.
Purtroppo, il definirsi dei due principali paragrafi del prematuro articolo
concernente il diritto di religione, non parve infine accogliere il favore di tutto il
Comitato di esperti. Dopo il superamento di una delicata fase di stallo, dove i
tecnici inglesi erano nuovamente emersi per la loro ferrea volontà di configurare
all'articolo in questione tutti i concreti diritti – e facendo ciò si erano scontrati con
la maggioranza degli studiosi che invece continuava a reputare quella statuizione
di natura politica, più che giuridica, elemento che evidentemente doveva
83Fu ovviamente il Comitato degli esperti di diritto a votare favorevolmente alla cristallizzazione del capoverso di cui si
tratta. V. MARGIOTTA BROGLIO FRANCESCO; La protezione internazionale della libertà religiosa nella Convenzione europea
dei diritti dell'uomo, Giuffrè Editore, Milano, 1967, pag. 18.
84Ibidem, pag. 19.
85“2. - La libertà di manifestare la propria religione e le proprie convinzioni non può essere oggetto che delle sole
restrizioni previste dalla legge che costituiscono misure necessarie alla sicurezza pubblica, alla protezione dell'ordine,
della sanità o della morale pubblica o alla protezione dei diritti e libertà altrui, con la riserva che nessuna disposizione
della presente Convenzione possa essere considerata come lesiva delle regolamentazioni nazionali già esistenti che si
applicano alle istituzioni o fondazioni religiose, o all'appartenenza a determinate confessioni”. Ibidem.
34
giustificare una maggior semplicità della prescrizione – tutto il Comitato accettò
di presentare ben quattro diversi progetti di articolo al Comitato dei Ministri, che
così, sarebbe stato coinvolto nel (non) facile dovere di operare una semplice
scelta86... di natura definitiva.
I quattro dossier, denominati Variante A, Variante A/2, Variante B e Variante B/2,
una volta giunti sul tavolo del Comitato dei Ministri, invece, si risolsero nella
pronta convocazione di tutte le delegazioni politiche presenti nel Consiglio
d'Europa. Giacché si trattava ora di effettuare una scelta di valore squisitamente
politico, il Comitato dei Ministri aveva rifiutato di procedere unilateralmente, per
accettare, invece, di promuovere un dibattito, ove le diverse delegazioni nazionali
avrebbero contribuito offrendo le loro diverse istruzioni impartitele dai rispettivi
governi.
In cosa differivano questi quattro dossier? “Relativamente alla tutela della libertà
religiosa, l'art. 2, par. 5, delle Varianti A e A/2, costituiva la pura e semplice
replica dell'art. 2, par. 5 del già ricordato pre-Progetto di Convenzione elaborato
dal Comitato di esperti il 15 febbraio 1950 – e, quindi, del par. 1 dell'art. 18 della
Dichiarazione Universale delle Nazioni Unite – ed era completato, come nel pre-
Progetto, da un art. 7 lett. b), rimasto anch'esso immutato. L'art. 9, invece, delle
Varianti B e B/2, riproduceva esattamente i termini dell'articolo così come era
stato elaborato dal Comitato di redazione nel corso della seconda riunione del
Comitato di esperti; in questi stessi termini le norme apparivano in un pre-
progetto di Convenzione messo a punto dal Comitato di esperti nella seduta del 9
marzo 1950”87. In breve, perciò, le Varianti A sposavano le tesi britanniche sopra
esaminate, mentre le Varianti B accoglievano l'eccezione avanzata dagli esperti
turchi e svedesi (e cioè sulla necessità di 'fare salva la legislazione nazionale',
come visto88).
86Ibidem, pag. 20.
87Ibidem, pag. 21.
88In realtà, anche se solo per poche settimane, i delegati turchi e svedesi furono inizialmente ben compatti nella
promozione di un approccio 'numerico del diritto di religione': “Turkey proposed two amendments, the first adding the
words, 'subject to reservations concerning legislative measures to prevent attempts being made once again to suppress
these freedoms' (Doc. A 775 CETP. Vol III, p. 182); the second adding the words, 'subject to reservations as regards the
measures required for ensuring secuirity and public order, as well as those restrictions which, for reason of history, it
has been considered necessary, by the States, signatory to this Convention, to place on the exercise of this right' (Doc. A
787, ibid., p. 196). Sweden proposed to add: 'This provision does not affect existing national laws as regards rules
relating to religious practice and membership of certain faiths'”. Subito dopo, sia la Turchia che la Svezia, decisero
invece di abbandonare questo progetto, per propendere a favore della Variante A – volendo però conservare, almeno in
35
Ecco che nel giugno del '50, finalmente, venne a riunirsi una Conferenza di alti
funzionari, avocati dal Comitato a discutere una scelta definitiva. Quest'organo
venne prima a definire un progetto di art. 9 'pronto per l'integrazione', ma poi,
eliminato il secondo paragrafo89, decise di correggerlo per venire incontro alle
richieste inglesi, che forse, non a torto, pretendevano una puntuale definizione
concreta dei diritti 'includenti'90.
L'articolo 9, sul diritto di religione, venne perciò alla luce il 7 agosto del 195091.
Fu poi incluso nel medesimo progetto definitivo di Convenzione Europea dei
Diritti dell'Uomo, subendo, invero, solo una lieve modifica terminologica ad
opera del Sotto-Comitato della Conferenza degli Alti Funzionari, che ne sancì,
così, definitivamente la vita, presentandolo a noi come oggi lo conosciamo.
parte, la clausola di espressa salvaguardia rivolta alla legislazione nazionale. V. EVANS MALCOM D.; Religious Liberty
and International Law in Europe, CSICL, Cambridge University Press, Cambridge, 1997, pagg. 267-268.
89Prima dell'ultima correzione, il secondo paragrafo recitava, con minore precisione: “2. La libertà di manifestare la
propria religione e le proprie convinzioni non può essere oggetto che delle sole limitazioni previste dalla legge che
costituiscano misure necessarie alla sicurezza pubblica, alla protezione dell'ordine, della sanità e della morale
pubbliche in una società democratica, o alla protezione dei diritti e libertà altrui, con la riserva che nessuna delle
disposizioni della presente Convenzione possa essere considerata come lesiva delle regolamentazioni nazionali già
esistenti che si applicano alle istituzioni e fondazioni religiose, o alla appartenenza a determinate confessioni”. V.
Documento CE, CM/WP 4 (50) 9; A. 372, 1950, citato in: MARGIOTTA BROGLIO FRANCESCO; La protezione internazionale
della libertà religiosa nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Giuffrè Editore, Milano, 1967. V. nota
precedente.
90Le osservazioni della delegazione inglese, si incuneavano sul novero delle polemiche già fatte nei confronti della
pretesa avanzata da parte svedese e turca, ingiustificabili dal punto di vista britannico (e per la delegazione danese).
Come afferma Evans: “the representatives of both the UK and the Netherlands objected, considering it wrong that
special circumstances appertaining to only two States should become the subject of a collctive guarantee, and saw
problems in reconciling the preservation of the existing legislation with the principle of non-discrimination”. Tant'è che
alla fine prevarrà, com'è ragionevole, la posizione anglo-danese. V. EVANS MALCOM D.; Religious Liberty and
International Law in Europe, CSICL, Cambridge University Press, Cambridge, 1997, pag. 268.
91V. MARGIOTTA BROGLIO FRANCESCO; La protezione internazionale della libertà religiosa nella Convenzione europea dei
diritti dell'uomo, Giuffrè Editore, Milano, 1967, pag. 25.
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  • 1. LIBERA UNIVERSITÀ MARIA SS. ASSUNTA DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE, POLITICHE E DELLE LINGUE MODERNE CORSO DI STUDI SPECIALISTICO IN RELAZIONI INTERNAZIONALI CLASSE LM 52 CATTEDRA DI DIRITTO ECCLESIASTICO COMPARATO LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO SULLA LIBERTÀ RELIGIOSA THE EUROPEAN COURT OF HUMAN RIGHTS JURISPRUDENCE ON RELIGIOUS RIGHTS Relatore Prof. Paolo Cavana CANDIDATO Francesco Sabatini N. Matricola 10526 / 400 ANNO ACCADEMICO 2014-2015 1
  • 2. 2
  • 3. Indice. Un sentito ringraziamento. p. 7 Introduzione. p. 9 Capitolo Primo. Un po' di storia: la nascita e la maturazione di un cammino verso una Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. 1. Le premesse iniziali p. 15 2. 'Ubi societas, ibi religio': la nascita del diritto alla libertà religiosa nella CEDU p. 29 3. 'Lavori preparatori' p. 37 • Il celebre caso 'Grandrath c. Germania' del 1966 p. 40 4. La completa istituzionalizzazione p. 47 • Un controverso, piccolo, libro rosso: l'affaire 'Handyside c. Regno Unito' del 1976 p. 52 • Libertà religiosa e adempimenti tributari: il caso 'E. e G. R. c. Austria' del 1984 p. 57 5. Quale futuro per la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo? p. 62 3
  • 4. Capitolo Secondo. Primi passi e traguardi della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo sulla libertà religiosa. 1. La metodologia di lavoro della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo e la 'flessibilità cronologica' del concetto di libertà religiosa p. 74 2. Il caso 'Kokkinakis c. Grecia' del 1993: una sentenza a buon diritto notoria? p. 97 3. Quando è la laicità a mancare: la questione 'Hasan e Chaush c. Bulgaria' del 2000 p. 104 4. 'Eweida e Chaplin c. Regno Unito' del 2013: una conferma ufficiale per un simbolo religioso 'passivo'? p. 113 5. Quali limiti per il diritto di indossare vestiario di valenza religiosa? Il caso 'S. A. S. c. Francia' del 2014 p. 125 Capitolo Terzo. I limiti della libertà di espressione sul fatto religioso. 1. La 'coscienza nella religione': la questione 'Otto-Preminger- Institut c. Austria' del 1994 p. 137 2. Trasgredire l'autorità: il caso 'Wingrove c. Regno Unito' del 1996 p. 147 4
  • 5. 3. Europa 2015: “est-elle vraiment Charlie?” Ovvero: i nuovi orizzonti da esplorare nel diritto alla libera espressione sulla tematica religiosa. p. 163 Conclusioni. p. 169 Riferimenti bibliografici. p. 172 Giurisprudenza p. 181 Sitologia. p. 183 5
  • 6. Dedicato alle mie ‘tre pie donne’: mia madre, mia figlia, mia moglie. 6
  • 7. Un sentito ringraziamento. Prima di affrontare il lavoro, che tenterò di esporre il più organicamente possibile in tutte le sue parti, ho reputato necessario anticipare la trattazione con un doveroso ringraziamento: ciò per non correre il rischio di sembrare ingrato nei confronti delle persone che mi hanno 'sopportato' durante la fase di ricerca e di compilazione di tutti gli aspetti connessi a questa tesi. Il primo ringraziamento va nei confronti di Rossella, mia moglie. Con la sua comprensione ed esperienza nel campo giuridico (fu già autrice di un interessante trattato di valore sulla ‘terzietà in Alexandre Kojévé’ nel 2007, per la classe di filosofia del diritto da lei frequentata presso l’Università degli Studi de ‘La Sapienza’) ha saputo sempre spalleggiarmi nonostante i momenti di debolezza sperimentati dallo scrivente. Ha inoltre fornito degli importantissimi ‘input’ utili alla realizzazione di questo stesso lavoro. Non è esagerato affermare che portare a compimento questo stesso non sarebbe stato possibile senza i suoi preziosi consigli: perlomeno, non sarebbe stato possibile farlo entro la sessione autunnale del 2015! Il secondo ringraziamento è rivolto al docente di Diritto ecclesiastico comparato, ed arguto studioso della materia, Paolo Cavana, che è anche il relatore di questo mio sforzo. Molti professori non avrebbero visto di buon occhio (e più che giustamente, aggiungerei) lo svolgimento di una tesi compilata con crescenti ritardi, ben oltre alla data originariamente accordata, a causa dei contrattempi e delle difficoltà lavorative di chi scrive: lui su ciò non ha battuto ciglio, e perciò sono lui grato per questo. Un ultimo ringraziamento, anch’esso sentito come tutti gli altri, se non ancora più ardentemente vivo, è rivolto a Chi ha permesso tutto questo. Come accaduto nella fase di svolgimento della tesi triennale del percorso in ‘Scienze politiche’, ho ora toccato con mano, più che mai, quanto tutti i miei sforzi sono fruttuosi soprattutto grazie al dono della fede scoperto qualche anno fa, quando amavo dire, con un’immagine quasi ‘manzoniana’: “sembrava fossi fermo, con il numero di gara strappato e le ruote a terra, pronto ad un mesto ritiro” ed invece, proprio allora, ho rinvenuto che tutto sarebbe improvvisamente cambiato grazie alla scoperta di una 7
  • 8. Novità. Che noi cristiani abbiano l’usanza di festeggiare il 25 dicembre. Da allora è come se fossi nato a nuova vita, e dunque assumono un significato tutto nuovo le famose parole di John Fitzgerald Kennedy, uno dei miei uomini politici preferiti, che sono l’essenza del combattimento del credente, non solo un motto da abile policy-maker: “Those who dare to fail miserably can achieve greatly”. La mia speranza è che tutti, un giorno, sperimentino ciò – e anche di più! – di quel che io ho avuto in dono. 8
  • 9. Introduzione. È grazie alla morale se abbiamo ricevuto in dono dai nostri predecessori la possibilità di poter godere di un diritto che ancora oggi è considerato come fonte di giustizia. Le regole e le consuetudini tramandate da generazione in generazione, sin dal periodo dell’infanzia del mondo1, da semplici ammonimenti volti al mantenimento in sopravvivenza della tribù, si sono poi potute sistematizzare fino ad arrivare a mutare in XII Tavole prima (che di fatto organizzavano un'ordinata e costruttiva gestione dei ‘cives romanus’ e non solo) e poi, moltissimo altro – fino allo scorso secolo – quando ognuno ha potuto ammirare la creazione di grandi progetti costituzionali, così come delle Grandi corti internazionali di giustizia, come quella di Giustizia dell’Aja, fino a giungere a quelle più geo-politicamente circoscritte – ma egualmente fonte di auctoritas grazie alla loro sempiterna legittimazione derivante non solo dal riconoscimento della propria autorevolezza, ma anche grazie alla codificazione del loro funzionamento, che viene attivato dagli organi responsabili della gestione del bene comune, in tal caso, ‘giudiziariamente’ inquadrato nella classica suddivisione dei poteri statuali a noi tanto cara2. Perciò, sembrerebbe potersi dire che, in fondo, morale e diritto, in qualche modo, si confondano: ed eppure non può che affermarsi con solerzia un grave interrogativo che richiede una risposta – al pari di tutti i diritti – ad ogni costo. Come può un diritto di provenienza ‘laica’3 – che cioè si occupa del bene materiale dei cittadini su di questa terra – venire a dichiarare sul diritto (e addirittura a sanzionare sul diritto!) relativo ad un ramo giuridico di chiaro 'segno' 1 Felice espressione che non mi è propria: è stata infatti coniata dal polemista politico, ed autore di romanzi, Gilbert Keith Chesterton, un britannico cattolico di chiara fama attivo nella Londra post-vittoriana a cavallo tra l’800 ed il ‘900. 2 Rispetto alle tradizioni del diritto islamico, attivo in special modo nell’area circostante le catene montuose del massiccio dello Zagros, che forniscono dignità giuridica, e perciò valore anche giudiziario, ai testi musulmani sacri quali il Corano, tra l’altro in forme più o meno velate (a seconda della tradizionale scuola di diritto presente nel Paese), nella nostra tradizione occidentale, come molti sanno, vige anzitutto un concetto di separazione tra diritto e religione, cosicché si giudica secondo un diritto promanato da autorità civili e non inquadrabili nell’orbe religioso – se non si esclude la peculiarità offerta dal diritto ecclesiastico, che in breve si potrebbe definire punto di congiuntura tra il diritto dello Stato-nazione laico e diritto affine alle materie di interesse religioso. In secondo luogo è presente la classica tripartizione dei poteri statuali, teoria di cui fondatore fu il famoso Barone francese di De Secondat, al secolo Montesquieu. Per un’esamina storica dell’islam e del suo fondamento giuridico – religioso, v. DONINI PIER GIOVANNI; Il mondo islamico. Breve storia dal Cinquecento ad oggi, Roma, Editori Laterza, 2007. 3 Il termine 'laico' è qui utilizzato nel suo significato più politico che conosciamo, e cioè quale valore giustapposto a quell'insieme di elementi che invece attiene alla realtà religiosa. V. nota n. 5, infra. 9
  • 10. religioso? Come potrebbe mai lo Stato godere dell’autorevolezza per intervenire sul momento religioso di una persona, o di una comunità? L’ordine costituito nazionale ha trovato doveroso legittimare tale intervento in simili questioni apparentemente fuori luogo4 con la giustificazione del mantenimento dell’ordine (pubblico)5 e del rispetto della conformità dello spazio (anche questo, pubblico)6. Di conseguenza, qualora la lesione della lettera della legge si fosse manifestata, lo Stato sarebbe intervenuto con la forza per difendere l’ambitus pubblico7, non importa se ciò fosse andato a colpire un aspetto derubricabile come ‘religioso’ – si pensi ad esempio alle manifestazioni religiose in piazza non espressamente permesse dalle autorità competenti. Vi è però un secondo livello: quello dove l’autorità statuale viene direttamente ad incontrarsi con quella competente alla ‘cura delle anime’. È qui che viene a realizzarsi una dialettica tra le due componenti, ab origine da noi conosciute come Stato e Chiesa8, ove parrebbe che il diritto civile si mescoli a quello 4 Sono molte – e secolari – le teorie che giustificano l’intervento del princeps negli affari religiosi. Queste ci sono giunte dalle fonti più svariate, addirittura da argomentazioni proposte da esimi ‘segretari di Stato’ nella Firenze alto- medievale. O, meno lodevolmente, da atti unilaterali di re cui secondi fini erano evidentemente meno connessi con un reale bisogno di ‘governance’. Si veda ad esempio l’opinione del Nicolò Machiavelli all’interno della sua opera ‘Il Principe’ oppure, il rinnovamento religioso promosso da Enrico VIII di Tudor: sul merito vi è un breve ma efficace studio in: http://www.raistoria.rai.it/articoli/enrico-viii-il-fondatore-della-chiesa-anglicana/10606/default.aspx. Nelle tradizioni europee, perciò, è chiaro che lo sviluppo della teoria dei ‘due scettri’, ed il suo superamento, ne ha imposto non una semplice modernizzazione (che casomai è una conseguenza del processo di dialogo tra il momento religioso e quello statuale) ma una caratterizzazione della legittimazione del concetto di laicità che, in ultima analisi, imponeva la supremazia del potere politico-giuridico del ‘princeps’ (cioè dei governi nazionali) su di quello spirituale espresso dal ‘pontifex’. 5 Il nostro Codice Civile non rende direttamente noto questo principio ad un articolo specifico, ma vi fa invece ricorso generalmente, quale principio supremo dell’ordinamento (v. artt. 31 disp. prel. cc. e cfr. art. 251 e art. 1343 cc). 6 Come nel caso italiano, anche in Spagna la legge prevede che si debba rispettare lo spazio comune ad ogni cittadino osservando la lettera della legge che prevede all’art. 161 della Costituzione iberica “garantiza la libertad ideológica, religiosa y de culto de los individuos y las comunidades”. Lo stesso accade in Francia, e nel Regno Unito, ove la legge dichiara lo spazio pubblico come un ambiente dove insuperabilmente vige l’autorità laica dello Stato, per cui è previsto, quasi sacralmente, all’art. 1 Cost., che la Repubblica francese “est une République indivisible, laïque, démocratique et sociale. Elle assure l’égalité devant la loi de tous les citoyens sans distinction d’origine, de race ou de religion. Elle respecte toutes les croyances”. Per quanto riguarda il Regno Unito, invece, il limite alla manifestazione del credo religioso nell’’orbe pubblico’ non è stato tipizzato in un articolo costituzionale – essendo la realtà inglese quella referente al sistema di common law – ma va bensì ad afferire all’integrazione di diversi corpus di leggi, sfocianti nella criminal law, come quella dell’attuale Racial and Religious Hatred Act del 2006, preceduta, però, dal ben più antico Blasphemy Act del 1697. Si consulti, in merito, la sintetica ma illuminante pagina web: www.parliament.uk/briefing- papers/SN04597.pdf. 7 È interessante notare che mentre l’ambitus pubblico viene difeso dalle leggi salvaguardanti l’ordine comune a tutti i cittadini, un ambito votato alla soppressione di comportamenti osceni od immorali, quello privato è salvaguardato, a sua volta, dalla legge per la difesa della c.d. ‘privacy’ della persona. V. MATHIEU VITTORIO; Privacy e dignità dell’uomo, Una teoria della persona, G. Giappichelli Editore, Torino, 2004. Cfr. con CIRILLO GIANPIERO PAOLO; Il codice sulla protezione dei dati personali, Giuffrè editore, Milano, 2004. 8 Si noti che il termine ‘Stato e Chiesa’ non è direttamente riferibile al coacervo dei rapporti presenti tra uno Stato- nazione ed una confessione specifica (ad es. lo Stato italiano e la Chiesa cattolica od anglicana, o quella ortodossa, 10
  • 11. canonico, facendo nascere un tertius genus9, conosciuto col nome di diritto ecclesiastico. L’esperienza del diritto ecclesiastico è comune a moltissimi Paesi dell’Europa, com’è noto, e costoro hanno deciso, di comune accordo con le controparti - esprimenti il sentire religioso dei fedeli - di stilare una tipizzazione dei rapporti relativi alle materie di interesse comune10. Tali materie, oggetto di comune interesse come detto, portano in loro la promessa di chiarificare, ed anzi semplificare, i rapporti inevitabilmente presenti tra società e fedi: e cioè il rapporto tra prassi giuridica civile e quella religiosa, che nell’esperienza italiana conosce non pochi momenti di rilievo pure nelle occasioni meta-private11. È questa infatti la maggiore differenza tra il modello del diritto ecclesiastico italiano e quello francese; e cioè che, pur avendo entrambi messo l’accento su di un concetto di doverosa laicità, hanno voluto, poi diversamente, sottolineare la qualifica di questo marcando esplicitamente, chi più chi meno12, un pregiudiziale aspetto di apparente aconfessionalità13. ecc.), bensì fa genericamente riferimento all’insieme delle azioni e dei comportamenti legati al momento laico-statuale o a quello confessionale-religioso delle rispettive parti. V. AA. VV.; Enciclopedia Giuridica Italiana (volume IV, parte V: DIRITTO – DIVISIBILITA'), Società Editrice Libraria, Milano, 1912, pag. 311. 9 Dal latino, ‘terzo genere’. Con questo termine, mi riferisco ad una ‘terza suddivisione concettuale’. Tuttavia, questo concetto caro al diritto romano, progenitore del nostro civil law di matrice continentale, richiama la originaria e famosa tripartizione giuridica dei liber ‘persones, res e actiones’ propria al Digesto Romano, che possiamo definire un ‘quasi- Diritto civile’ anteriore ai duemila anni fa. Per un approfondimento. V. MARTINI R., Appunti di diritto romano privato, CEDAM, Padova, 2000. 10 È probabilmente questo il nucleo del diritto ecclesiastico, europeo, e non solo: una materia ove affluisce l’interesse reciproco di Stato e Chiese (si noti il plurale). Un’esamina dettagliata dell’origine di tale necessità, che ha poi portato alla dialettica storica tra i due soggetti è presente in: AA. VV.; Conoscere il Diritto ecclesiastico, Edizioni Studium, Roma, 2006. 11 Per cogliere la veridicità di quest’affermazione si può analizzare l’esemplare lezione offerta dai ‘nostrani’ Patti lateranensi o dall’esperienza che ha visto la revisione di quelli nel lontano 1984. Per una breve trattazione, v. DALLA TORRE GIUSEPPE; Lezioni di Diritto ecclesiastico, G. Giappichelli Editore, Torino, 2002. Per una panoramica completa, invece, v. AA. VV.; Digesto delle Discipline Pubblicistiche (volume V, DEM-ENEA), UTET, Torino, 1990, pag. 236 e segg. 12 A dire il vero, una corrente di pensiero dottrinario composta da eminenti giuristi di tradizione ‘personalistico- cristiana’, sostiene che in Italia sia presente un vero e proprio ‘favor religionis’. V. DALLA TORRE GIUSEPPE; Lezioni di Diritto ecclesiastico, G. Giappichelli Editore, Torino, 2002, pag. 25, oppure: BARBERINI GIOVANNI, Lezioni di diritto ecclesiastico, G. Giappichelli Editore, Torino, 2007, pag. 227 e segg. Si confronti questa tesi con quella di autori dal differente pensiero, quali: TEDESCHI MARIO, Manuale di diritto ecclesiastico, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, pag. 109 e segg., oppure: VITALE ANTONIO; Corso di diritto ecclesiastico, ordinamento giuridico e interessi religiosi, Giuffrè Editore, Milano, 2005, pp. 4-5. 13 In realtà questo è ciò che appare all’osservatore distratto, cioè colui che si prefigge il compito di analizzare unicamente le dinamiche dei rapporti giuridici intercorrenti tra Stato e Chiese. Un osservatore più attento agli aspetti socio-politici, infatti, non mancherà di rimarcare gli aspetti ben più profondi, e cioè di come sia lo Stato italiano che quello francese possano definirsi invece Stati assolutamente non a-confessionali, essendo il motivo di ciò tutt’altro che evanescente: nel nostro Paese, infatti, nessuno oserebbe definire lo Stato a-confessionale, in quanto gli ‘onori patri’ 11
  • 12. E non finisce qui. L’esperienza del diritto ecclesiastico infatti travalica i confini nazionali e conosce nuovi ambiti di studio come quello che mi accingerò a trattare in questa sede. E cioè il rapporto, parafrasando il famoso titolo di un’opera che ne tratta, tra il diritto e la religione in Europa14. Questa evoluzione del diritto ecclesiastico, che oggi si pregia dunque di poter inglobare nel suo studio aspetti che fino ad un paio di decenni fa gli erano fattualmente sconosciuti15, ha permesso di analizzare nel suo complesso l’andamento dell’attuazione dei principi europei all’interno dei singoli Stati che erano sottoscrittori della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali16. La materia del diritto ecclesiastico venne così a promuoversi nella sua nuova funzione di volàno dello sviluppo della pre-adolescente società europea17. Ancora: lo studio del diritto ecclesiastico, ricevuto ‘l’onore di venire incoronato della sua nuova funzione’ evidentemente sociale, si proponeva di fornire rinnovati strumenti di riflessione ed auto-analisi per tutti quei giudici della Corte Europea delle ‘liturgie repubblicane’ ci sottolineano un rispetto, ed anzi un’attiva osservanza delle centenarie tradizioni politico – istituzionali (si pensi alle modalità con cui un esecutivo di nuova formazione presti giuramento dal Presidente della Repubblica, od allo scambio della famosa ‘campanella’ che il Presidente del Consiglio uscente ‘dona’ a quello neo- eletto): aspetti che, sommati a molti altri, sanciscono la presenza di un vero e proprio ‘confessionismo statualista’ (e ciò pare anche legittimo: sono soprattutto queste ‘solenni attività’, infatti, a permettere, in misura maggiore, di rivestire di autorità simbolica l’azione statale, più che la previsione di un corpus di leggi in sé che ne definisca l'attività). Lo stesso accade in Francia, ove, con rigore pure maggiore, si sottolinea la supremazia ineguagliabile del ‘credo’ nello Stato rispetto a tutte le altre esperienze confessionali. Che dire, poi, nell’esperienza britannica, della somma celebrazione che è l’apertura annuale dell’attività parlamentare, che ad oggi, la regina Elisabetta II, continua imperterrita a promuovere nel suo format millenario, che prevede il rispetto del cerimoniale attuato sin dalla discesa di Sua Maestà dalla carrozza reale? Al riguardo, v. AA. VV.; Novissimo Digesto Italiano (Volume IX, INVE-L), UTET, Torino, 1968. pag. 439 e ss. per l’esperienza italiana, oppure il sito internet: http://www.france.fr/it/istituzioni-e-valori/laicita-e-liberta-religiosa.html per l’esperienza francese ed il sito internet: http://about-britain.com/institutions/constitution.htm per quella inglese. 14 V. AA. VV.; Diritto e religione in Europa, Il Mulino, Bologna, 2012. 15 Ibidem, pag. 27 e segg. Non è una tesi straordinariamente lontana dalla realtà quella che sottolinea come, fino agli anni ’90, non esistessero di fatto analisi concettuali su di un operato avente respiro ‘pan-europeo’, visto che, sino ad allora, il diritto ecclesiastico comparato si spingeva sino ai suoi pre-determinati confini, che erano quelli del singolo Stato, al limite confrontato comparatisticamente con la normativa degli altri Stati suoi eguali. Si veda anche la nota n. 224, infra. 16 V. Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (Roma, 4 novembre 1950), presente in: AA. VV.; Codice internazionale di Diritto internazionale pubblico. Terza edizione, G. Giappichelli Editore, Torino, 2003, pag. 181 e ss. 17 L’utilizzo del termine ‘pre-adolescente’ è volontariamente stato utilizzato per sottolineare come sia ancora inevitabilmente acerba l’esperienza di cammino comune tra i diversi Paesi europei. Ciò è vero non solo culturalmente, per il grande attaccamento dei valori nazionali fatti ormai stabilmente propri dai relativi popoli, ma anche per un motivo ‘banalmente’ economico-finanziario attinente alla realtà che stiamo vivendo oggi stesso nell’UE. Si vedano in merito le tesi del prof. Paul De Grauwe presenti nel suo interessante manuale: DE GRAUWE PAUL; Economia dell’unione monetaria. Nona edizione, Il Mulino, Bologna, 2013. 12
  • 13. dei Diritti Umani che avessero voluto avvalersene dopo aver svolto la loro attività … in ‘Camera di consiglio’18. La mia analisi, tuttavia, non muoverà, contrariamente a quanto si possa prevedere, dalle sue pur legittime premesse nazionali, bensì si focalizzerà nel nucleo del vero e proprio corpo della ricerca, che è quello relativo alla promozione del diritto di religione in Europa, principio identificabile nell’art. 9 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali19, che trova appunto suo massimo garante nell’opera della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo20, un’istituzione che solo negli ultimi tempi ha trovato notevole fama, distinguendosi anche grazie alla propria capacità di rendere ‘efficiente giustizia’ sulla base di ricorsi promossi da singoli o comunità, che si ritenevano soggetti lesi nel proprio diritto a poter ‘credere liberamente’21. Le sentenze storiche (e dunque fondamentali) della Corte EDU che andrò ad analizzare, quindi, seguiranno un assai doveroso criterio cronologico, e riguarderanno le esperienze dei singoli e delle comunità mittel-europee, ma anche i percorsi dei soggetti nazionali ‘novelli firmatari’ della CEDU quali quelli precedentemente appartenenti al ‘blocco dei Paesi comunisti’ (la Lituania, la Polonia, la Romania, tanto per citarne alcuni) – oltre che gli Stati dell’Atlantico, come il Regno Unito. E, ciononostante, il mio esame non riguarderà solo i ricorsi effettivamente analizzati dalla Corte EDU; avrò infatti cura, precedentemente, di presentare l’antefatto storico che fu la lenta opera di edificazione delle basi della Corte omonima, che solo tardamente ha conosciuto un effettivo avvio dell’attività giudiziaria che le è propria. E non solo per la materia del diritto di religione, come specificato, ma per il novero di tutta la materia prevista dal trattato CEDU. 18 Questo è il punto di vista degli autori del già citato testo: Diritto e religione in Europa, con i quali mi sento di convenire in merito. 19 Per motivi di brevità farò riferimento a questa importantissima dichiarazione utilizzando la sigla ‘CEDU’. 20 Da ora in avanti ricollegherò all’istituzione l’acronimo ‘Corte EDU’. 21 Non potevo esonerarmi dal segnalare che tale diritto è previsto nella nostra Costituzione agli artt. 7, 8 e 19, ove, rispettivamente, si disciplinano i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica, si qualificano i rapporti fra lo Stato e le altre confessioni religiose, e si determina infine il principio di libertà di religione nel privato e nell'ambito pubblico (cui unico limite è il rispetto del principio del 'buon costume'). Per un approfondimento di tale respiro costituzionale, v. AA. VV.; Istituzioni di Diritto pubblico. Quinta edizione, G. Giappichelli Editore, Torino, 2001, pagg. 440 e ss. Cfr. con: AA. VV.; Corso di diritto costituzionale. Seconda edizione, Il Mulino Editore, Bologna, 2014, pagg. 215 e segg. 13
  • 14. Capitolo Primo. Un po’ di storia: la nascita e la maturazione di un cammino verso una Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. “La cosa preziosa e adorabile ai nostri occhi è l'uomo, il vecchio uomo combattivo, debole, dissoluto e rispettabile che beve birra e inventa credi. E le cose fondate su questa creatura rimangono in eterno; le cose fondate sulla fantasia del Superuomo sono morte con le civiltà morenti che da sole le hanno create. Quando Cristo in un momento simbolico fondò la Sua grande società, scelse come pietra angolare non il brillante Paolo né il mistico Giovanni, ma un arruffone, uno snob, un codardo, in una parola: un uomo”. Gilbert K. Chesterton; 'Eretici' 14
  • 15. 1. Le premesse iniziali La storia della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, e prima ancora della Convenzione che ad oggi le è propria, parte da lontano: nel 1948. In quell'anno, nel quadro dei lavori del Congresso del Movimento Federalista, presso l'Aja, alcuni rappresentanti percepiscono l'urgente necessità di giungere finalmente a creare un effettivo sistema di sicurezza europeo che ponga l'accento sul rispetto della dignità dell'uomo. In realtà l'obiettivo dei conferenzieri era originariamente ben più ottimistico: e cioè quello di creare un istituzione-garante capace di sorvegliare sulla pace e la sovranità europea, duramente messa alla prova negli anni del Secondo grande conflitto. Il nostro cammino europeo di diritti, moderno ed efficiente, volle vedere la luce nel quadro dell'intervento di uno dei partecipanti invitati al Congresso; un giovane deputato di nazionalità francese, infatti, tale Pierre-Henri Teitgen, affermò che: “l'unità europea […] non si poteva compiere totalmente se non partendo dai diritti dell'individuo e dalla garanzia della loro salvaguardia”22. Era stato 'gettato un sasso': e lo 'stagno', in questo caso, un'Europa assetata di un futuro di speranza nel rispetto della persona umana, non poté che raccogliere la sfida: il tema dei diritti umani europei proposto da Teitgen venne inserito all'ordine del giorno nei lavori del Congresso. Mai prima di allora qualcuno si era spinto così oltre, tale da rendere desiderabile la creazione di un sistema di diritti umani europei, che superava anche la più sfrenata ambizione churchilliana come quella degli 'Stati Uniti d'Europa23'. Una chiamata a realizzare qualcosa di veramente nuovo, ed estremamente complesso: chi mai avrebbe potuto 22V. AA. VV.; La Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2006, pag. 17. 23L'ideale degli 'Stati Uniti d'Europa' non è stato ovviamente solo un sogno dell'eminente statista britannico, promotore nel 1947 dello United Europe Movement, infatti: “Dans les pays restés libres, une action militante se développait en faveur d'une organisation féderale de l'Europe d'après-guerre. En Grande-Bretagne, le mouvement Federal Union faisait campagne à la fois pour le fédéralisme européen et le fédéralisme mondial. Coudenhove-Kalergi, réfugié aux États-Unis où il poursuivait son action, fonda en 1942 auprès de l'Université de New York un Institut de recherches pour une fédération européenne d'aprés-guerre et réunit un congrès du Mouvement paneuropéen avec la participation d'hommes politiques en exil. Ces activités attirèrent l'attention de la presse et l'idée d'États-Unis d'Europe commença à se répandre dans les journaux et dans l'opinion américaine”. V. GERBET PIERRE; La Construction de l'Europe – notre siècle, Imprimerie nationale, Parigi, 1983, pagg. 48 e segg. 15
  • 16. amministrare giustizia su di questi presunti futuri diritti se non una Suprema Corte di uno Stato integralmente federalista, come nel modello americano, pena una mancanza d'effettività (ideale che però sembrava destinarci all'edificazione di un pan-europeismo forzoso24), sicché le identità nazionali erano ben lungi dal definirsi omogenee come nel caso delle nazioni costituenti gli Stati Uniti25? Tuttavia, nel breve e nel lungo termine, il Congresso dell'Aja si risolse in un successo: sia gli unionisti che i federalisti difatti riuscirono ad ottenere qualcosa. I secondi “si videro riconosciuti i loro obiettivi a lungo termine e gli unionisti gli obiettivi immediati. Per quanto riguarda le conclusioni politiche del Congresso, esse erano incentrate su due concetti: da una parte si affermava che nessun progetto di unione europea avrebbe avuto valore concreto senza la Gran Bretagna (era il motivo principale che aveva indotto i britannici ad inviare una delegazione di 144 membri) e dall’altra che l’unificazione completa dell’Europa avrebbe potuto essere realizzata solo progressivamente”26. E la necessità di creare dei diritti individuali – ed un sistema a salvaguardia di questi – come in quella sede affermatosi... poteva forse dimenticarsi? No; anche questa idea venne a svilupparsi seguendo un 'filone dirompente': quello promosso dalle discussioni della commissione della Direzione del Movimento Federalista, “composta sia da Teitgen che dall'inglese Maxwell Fyfe e dal belga Dhousse – 24“Le sentiment européen n'a pas en effet la même intensité que le sentiment national ou le sentiment d'appartenance à une classe sociale. Il tient davantage du choix raisonné que de la réaction viscerérale: l'adhésion à l'idée européenne s'élève avec le niveau d'instruction et d'information. Le sentiment européen, c'est plutôt une disposition favorable à l'égard d'initiatives européennes. Le grand public était disposé à les approuver, mais il n'était guère question de descendre dans la rue pour exiger l'unification de l'Europe”. Ibidem, pag. 64. 25All'alba dell'incontro presso l'Aja fu difatti forte il senso di disillusione verso un progetto effettivamente unitario, come paventato da alcuni, in senso opposto al disegno federalista; è necessario in merito un breve approfondimento per quanto riguarda l'analisi delle posizioni politiche relative al progetto costituzionalista europeo che appunto poggiava nella scelta di una forma di stato unionista o federalista del neonato Stato europeo. Mentre il primo modello (detto anche confederalista) aveva infatti incontrato il favore degli inglesi, capeggiati soprattutto dall'ormai ex Primo ministro britannico Churchill (ma anche dall'ex Capo di Stato Aristide Briand), il modello federalista, poi effettivamente concretizzato, era invece stato accolto favorevolmente dai francesi (ricordiamo Henry Frenay, già capo della Resistenza francese sotto i nazisti, od il futuro presidente francese François Mitterand, allora Ministro degli ex-combattenti francesi) e dagli italiani in special modo, tra i quali ricordiamo soprattutto le figure di Altiero Spinelli (futuro leader della Sinistra europea e pilastro del Movimento Federalista Europeo) e Luigi Einaudi e Piero Calamandrei, personalità che si sono specialmente distinte del quadro politico e giuridico nostrano. Per un breve cenno sulla nascita e lo sviluppo del Movimento Federalista Europeo. V. sito internet: http://www.eurit.it/gfe/1a.html. 26 V. JEAN PIERRE GOULY; La saga dei federalisti europei durante e dopo la Seconda Guerra mondiale, in: Saggi, Anno XLVI, 2004, Numero 1, Pagina 12, visionabile sul sito internet: http://www.thefederalist.eu/site/index.php? option=com_content&view=article&id=521&lang=it, parte IV ('Dal Congresso dell'Aja al Consiglio d'Europa, 1948- 49). 16
  • 17. incaricata dell'elaborazione di un primo progetto di Dichiarazione di diritti dell'uomo e di istituzione di una Corte europea”27. Si era perciò prodotto un 'salto', anzi, un'accelerazione, nella dialettica filo- europea di allora, che sembrava non conoscere eguali; ciò se perlomeno confrontiamo l'attivismo costruttivista del periodo con le attività di discussione e di confronto che invece, oggi, sembrano ben meno caratterizzate dalla raggiungibilità degli obiettivi, se non a costo di difficili compromessi politico- valoriali28. Nello stesso anno vedeva la luce il Consiglio d'Europa (Council of Europe29), precursore della nostra attuale Unione Europea, che però, nelle sue radici storiche testimoniava il difficile periodo di gestazione cui fu costretto, in quanto a molti parve che fosse nata un'istituzione in nuce priva di quelle caratteristiche di poteri 'reali' che sembravano poterne auspicare un'efficace attività30. Nello specifico, mi riferisco alle diverse mozioni di contrasto promosse da diversi soggetti che contestarono la forma – più di organismo politico, che di soggetto dotato di poteri effettivamente cogenti – che il Consiglio stava assumendo giorno dopo giorno, dibattito dopo dibattito31. 27V. AA. VV.; La Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2006, pag. 18. 28Mi si potrà certo obiettare a buon diritto che il mondo del dopo-guerra era assai meno problematizzato della realtà globalizzata (ed eppure a tratti localista) com'è quella attuale. Ed eppure, le difficoltà sociali del periodo e soprattutto la diffusa povertà delle popolazioni, non sembrarono ostare a questo processo di ricostruzione (non solo nazionale) che trovò grande sollievo nel naturale ottimismo reso possibile proprio dall'uscita del mondo da un generale stato di guerra. 29La nascita del Consiglio d'Europa, come nota Pierre Gerbet, fu permessa grazie al beneplacito fornito dal Consiglio dei Cinque (composto dalle nazioni aderenti al Patto di Bruxelles del 17 marzo 1948: Gran Bretagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo) nel 1949 all'incontro dei 'Dieci' svoltosi nel 5 maggio dello stesso anno, summit rivolto ai principali rappresentanti nazionali dei Paesi sostenitori del progetto consiliare, e cioè Danimarca, Irlanda, Italia, Norvegia e Svezia. V. GERBET PIERRE; La Construction de l'Europe – notre siècle, Imprimerie nationale, Parigi, 1983, pagg. 88 e segg. 30“Il successivo 7 agosto 1949 si procedette a convocare la prima sessione dell'Assemblea Parlamentare, organo consultivo del Consiglio d'Europa. Ci vollero però ben tre mozioni della stessa Assemblea nei confronti del Comitato dei Ministri, il quale aveva inizialmente escluso il tema dei diritti dell'uomo dall'ordine del giorno, per far sì che ciò accadesse. Portavoce di tale protesta fu anzitutto Winston Churchill, autore di quella che fu ritenuta la mozione più incisiva dove si sosteneva come fosse inammissibile proporre all'unanimità un'assemblea europea priva del potere di affrontare il fondamentale tema dei diritti umani”. V. AA. VV.; La Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2006, pag. 18. 31Al di fuori della questione meccanicistica relativa al Consiglio d'Europa, che fu affrontata anche dal nostro parlamentare Stefano Jacini – che tratta la questione di vincolatività delle dichiarazioni – come ho già esaminato nella nota precedente, a tenere banco fu soprattutto la questione sulla grande dichiarazione di principi che anche il nostro governo di allora (guidato da Alcide De Gasperi) attendeva con ansia: “Protestò invano l'allora Ministro degli Esteri 17
  • 18. Intervenne allora il deputato francese Teitgen, non prima di aver riottenuto l'inserimento della questione all'ordine del giorno, e venne quindi a spronare tutta l'assemblea a creare finalmente un gruppo di esperti e politici che potesse analizzarne i primi profili. Il suo discorso pare si fosse particolarmente distinto nella manifestazione di quella medesima verve già autorevolmente resa nota a tutti gli invitati dei lavori della Riunione presso l'Aja, un anno prima. Mirabile fu il merito di Teitgen nel rendere noto i pericoli insiti nella apparentemente pacifica 'ragion di Stato', che aveva permesso prima lo sviluppo del colonialismo post- ottocentesco, direi quasi post-moderno, e poi la follia totalitarista propria delle grande dittature32. L'esempio portato da Teitgen valse la creazione di una Commissione, guidata tra gli altri dallo stesso francese e da Maxwell-Fyfe; un organo che si sarebbe occupato di 'Questioni Giuridiche ed Amministrative'. Grazie all'operato di questa Commissione, si venne presto ad installare uno studio focalizzato su due elementi 'principe': anzitutto si sarebbe dovuto verificare quali valori supremi avrebbero dovuto essere definiti, e poi, li si sarebbe dovuti difendere prevedendo uno strumento di tutela apposito per questa nuova 'Carta'. Ciò avrebbe altresì permesso di cristallizzare un'effettiva cogenza della dichiarazione di fronte a qualsiasi soggetto od autorità, con buona pace dei seguaci della scuola positivista33. italiano Carlo Sforza, replicando che per alcuni paesi, tra cui l'Italia, l'ingresso nelle Nazioni Unite non era stato ancora perfezionato e che, in ogni caso, la circostanza che le stesse avessero realizzato la Dichiarazione del 1948, espressamente definita come 'universale', non doveva costituire un impedimento alla creazione di una Carta 'continentale', modellata sulla cultura, i valori, e le tradizioni peculiari all'Europa”. V. AA. VV.; La Convenzione europea dei Diritti dell'uomo e la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, Giuffrè Editore, Milano, 2006, pag. 4. 32Ibidem, pag. 5. Troppo spesso, tuttavia, siamo dimentichi di un altro elemento importante, nell'analisi di quei meccanismi di favorevole sedimentazione dei processi filo-totalitaristi nelle nazioni, e cioè la necessità che uno Stato debba giocoforza trovarsi in una condizione di bisogno, che, ad esempio, nel caso tedesco, era costituita da una necessità impellente di natura economica: non deve infatti sorprendere che terreno fertile della dittatura è l'estrema povertà, ed in questo, il piano nazista aveva avuto terreno facile – si pensi che “nel 1932 la crisi [tedesca] raggiunse il suo apice. La produzione industriale calò del 50% rispetto al ’28 e i senza lavoro raggiunsero i sei milioni (ciò significava che la disoccupazione toccava la metà delle famiglie tedesche). Frattanto i nazisti ingrossavano le loro file in modo impressionante (un milione e mezzo di iscritti, di cui quasi un terzo inquadrati nelle SA) e riempivano le piazze con comizi e cortei”. V. AA. VV.; Storia contemporanea – Il Novecento, Giuseppe Laterza & Figli Editori, Roma, 2007, pagg. 113-114. 33Il positivismo è una corrente di pensiero giuridica che ammette l'esistenza del diritto data la presenza della c.d. 'Grundnorm', e cioè di una norma base che serve a fornire la 'testata d'angolo' di tutta la costruzione giuridica nazionale che segue (si potrebbe considerare ciò indipendentemente dalla materia giuridica trattata, e tuttavia, in realtà, uno dei suoi principali sostenitori del positivismo moderno – contrapposto a quello 'antico', di cui sembra potersi datare la data di nascita al secolo XII ad opera del filosofo Abelardo – il tedesco Hans Kelsen, faceva deliberatamente riferimento ad 18
  • 19. I lavori sottolinearono sempre più l'assenza del desiderio di rendere immediatamente noti i diritti che oggi consideriamo, a ragione, strettamente connaturati all'uomo. Il motivo fu semplice: la Commissione decise, infine, che sarebbe stato meglio attendere un generale acclimatamento delle democrazie europee nei confronti di quelli che oggi definiamo 'diritti umani fondamentali', invece di renderli immediatamente noti e di conseguenza, vincolanti34, a tutti. Ed eppure, l'anno venturo, risuonò netto l'appello del Consiglio Italiano del Movimento Europeo, che di seguito riporto: “Italians, 'the Italian Republic consents, on condition of parity with other states, to limitations of sovereignty necessary to a system for assuring peace and justice among nations.' This solemn declaration in the Italian Constitution, which also appears in substance on other European constitutions, reflects the aspirations of peoples in the aftermath of war and their awareness of a common and urgent necessity. But it will be no more than rhetoric until the citizens of all free countries of Europe persuade their governments to advance from aspirations to bold decisions without losing any more precious time, since it is an illusion to hope to save in any other way the freedom, prosperity and lasting peace of Europe and the world. These thoughts and this necessity are expressed in the Petition for a pact of federal union, which un paradigma di matrice costituzionale). Secondo principio del pensiero positivista è la necessità della presenza di una 'punizione', e cioè di una norma che preveda un'apposita sanzione in caso di trasgressione dell'enunciato dell'autorità. Viene spesso contrapposto, o, forse, più spesso, giustapposto, al diritto naturale, che invece trova il suo fondamento ultimo nell'adattamento dei mores – cioè delle (buone) consuetudini – al diritto, e spesso in ottica conflittuale verso lo stesso positivismo, ovvero a costo di ledere quanto decretato dal legislatore tramite apposita decretazione normativa. Questo aspetto è piuttosto importante, in quanto costituisce 'l'eterna partita' tra la validità del positivismo ed il valore del diritto naturale, che soventemente nella storia si è svolta a danno dell'uno o dell'altro. Ed anche a costo di vite umane. Uno dei massimi esponenti italiani del positivismo è stato l'indimenticato Norberto Bobbio. Per un approfondimento di facile fruibilità ma tuttavia storicamente e giuridicamente esauriente, v. AA. VV.; Enciclopedia del diritto (Volume XII, Delitto-Diritto), Giuffrè Editore, Milano, 1968, pagg. 653 e ss. Per quanto riguarda le specifiche tesi di Norberto Bobbio, v. BOBBIO NORBERTO, Il positivismo giuridico, G. Giappichelli Editore, Torino, 1996. 34Ovviamente, è pacifico ritenere che la vincolatività del diritto che si stava per produrre in seno alla Commissione, venne presunta. E ciò in quanto, nel primo anno di lavoro, tutti i membri del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa non avevano ancora idea di quale migliore forma dovesse darsi all'impalcatura istituzionale dell'organo sovranazionale. Né fu agevole intendersi se questo potesse, a tutti gli effetti, definirsi un organismo sovranazionale... infatti, “malgré le caractère très restrictif du statut, la creation du Conseil de l'Europe suscita beaucoup d'illusions. L'assemblée consultative s'est réunie à Strasbourgh, au mois d'août 194,dans une atmosphère enthousiaste. […] 'Le but du Conseil de l'Europe est la création d'une autorité politique européenne ayant des fonctions limitées, mais des puvoirs réels'. Ce texte a été adopté sans opposition mais dans la fatigue de la fin de session le 5 septembre 1949, et il fut impossible de préciser le contenu de cette formule très générale. L'Assembée consultative ètait en effet divisée en deux tendances. D'une part, les “institutionalistes” ou féderalistes qui voulaient faire du Conseil de l'Europe un organe de type fédéral ou pré-fédéral […] d'autre part, les 'unionistes' qui se bornaient à préconiser le rapprochement des politiques nationales”. V. GERBET PIERRE; La Construction de l'Europe – notre siècle, Imprimerie nationale, Parigi, 1983, pagg. 97 e segg. 19
  • 20. in the course of these months is being signed in Italy and other European states and will be presented to the Strasbourgh Assembly and the national parliaments. […] The future of our country is a cause inseparable from the future of all the free peoples of Europe. Without unity none of them can ensure its own freedom, justice and peace. Do everything you can to transform the wish into a reality: Europe united and at peace.”35. E questa non sembrava un'eco isolata, visto che esponenti di spicco delle più diverse forze politiche europee, come quelle danesi36, inglesi37 e persino greche38, vi avevano aderito non con minor forza. Fu così che venne accolto in seno all'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa il progetto di creare un “apparato giurisdizionale internazionale composto da un tribunale giudicante e da una commissione con funzioni istruttorie”39. Sembrava che il sogno di un'Europa unita, ed anzi, di una federazione di Stati europei, fosse sempre più alla portata – questo perché il risveglio europeista non passava più solo attraverso uno sviluppo economico concreto, reso possibile dal Piano Marshall40 dei 'fratelli statunitensi', o da insistenti voci che si levavano favorevoli nel merito di un progetto europeo di difesa militare comune41, ma dal diritto stesso, elemento che per antonomasia era 35V. Europa Federata, N. 25, 10 giugno 1950, p.1; pubblicato in: AA. VV.; Documents on the History of European Integration, Volume 3, The Struggle for European Union by Political Parties and Pressure Groups in Western European Countries 1945 – 1950, Walter de Gruyter, Berlin, 1988, pagg. 253 e segg. 36Ibidem, pagg. 608 e segg. 37Ibidem, pagg. 721 e segg. 38Ibidem, pagg. 815 e segg. 39V. AA. VV.; La Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2006, pag. 19. 40Il famoso Piano Marshall, fu forse il prodotto più geniale di un'abile strategia politica dettata dalla lungimiranza statunitense che, nel periodo della Guerra fredda, si mosse prima attraverso un'attività di containment e poi di roll-back in chiave anti-sovietica, attività che era da realizzarsi, per gli strateghi di Washington, non solo tramite le crude attività di spionaggio militare-industriale o di dibattito politico (soprattutto sui nascenti diritti dell'uomo) presso la sede del Palazzo di Vetro, ma in special modo tramite un positivo accoglimento delle istanze europee (anche balcaniche) che potevano permettere nel long-run delle relazioni euro-americane non solo la restituzione del credito fornito ai Paesi coinvolti nel progetto marshalliano (che di fatto volgevano in stato di bisogno), ma anche un sempre più marcato allontanamento dei Paesi occidentali dall'influenza della dialettica ideologica fatta propria dall'URSS. Realmente il risultato perseguito dagli Stati Uniti. Per una breve panoramica in merito a questo Piano, v. AA. VV.; Storia economica d'Europa – le economie contemporanee, UTET, Torino, 1980, pagg. 289 e segg. 41Questo fu invece il famoso Piano Pleven, che non aveva matrice economica, come il già citato Piano Marshall, ma fu bensì il risultato di un progetto francese a favore della creazione di un sistema di difesa comune europeo (che poi 20
  • 21. chiamato a riunire le nazioni saldandole sempre più tra di loro in nome della pratica del diritto, anzi, di una rule of law42, punta di diamante di un cammino di incivilimento che ormai sembrava non conoscesse più ostacoli, nel nuovo progetto occidentale. Arrivò poi il momento in cui la bozza della Convenzione dei diritti dell'uomo fu completata da suddetta Commissione, e perciò venne prontamente inviata dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, che ne avrebbe discusso i vari profili. Un altro passo in avanti era stato fatto; ma le maggiori difficoltà non si erano ancora incontrate. Il dibattito assembleare divenne infatti acceso ed il clima che venne ad imporsi sempre più difficoltoso, cioè poco prolifico in termini di soluzioni raggiunte di sarebbe divenuto noto, dopo il 1951, con l'acronimo di C.E.D., Comunità Europea di Difesa). Tale Piano fu ideato dal Presidente del Consiglio francese Réné Pleven nel 1951, in risposta alle stringenti necessità di rispondere, da una parte, al dovere di proteggersi dall'aggressività sovietica (allora minaccia di dimensioni spaventevoli, in quanto afferente ad un sistema politico, economico e militare sostanzialmente sconosciuto all'Europa) – tra l'altro sollecitata a più riprese dagli stessi S.U. nei diversi talks ed incontri delle autorità nazionali euro-americane dopo il secondo dopo guerra – e dall'altro, di accontentare la sempre percepita necessità francese di proteggersi dal 'leone dormiente' che ancora pareva essere – agli occhi dell'opinione pubblica francese intera – la Germania (ad esclusione, forse, di alcuni esponenti del socialismo francese, che sembra giudicarono prematuro tale progetto di natura deliberatamente militare, almeno prima ancora che fosse portato a compimento l'impalcatura europea economico-politica, framework che sarebbe stata riconosciuto, da lì a pochi anni, nell'agenzia comunitaria avente il nome di OECE). Ovviamente tale giudizio era più il frutto di una distorsione concettuale dettata in maggior misura dal difficile passato avuto col vicino tedesco, che aveva prima costretto i francesi alla capitolazione della Nazione, e poi all'esperienza del governo-fantoccio di Vichy, il tutto nell'arco di soli pochi anni. Dunque, di ben poco conto doveva apparire agli occhi dei francesi che la Germania versasse in una condizione di fattuale inoffensività, tenendo conto delle sanzioni post-guerresche (e delle riparazioni di guerra) che le erano state imposte dai Paesi alleati! Per l'analisi degli aspetti politici del Piano Pleven, v. GERBET PIERRE; La Construction de l'Europe – notre siècle, Imprimerie nationale, Parigi, 1983, pagg. 152 e segg. Per conoscere invece l'entità delle riparazioni imposte alla Germania in seguito al trionfo delle Nazioni alleate, ed analizzare l'annessa vicenda relativa all'evoluzione di questo debito, v. www.keynesblog.com/2015/03/10/europa-ca... 42Gary Slapper e David Kelly avvertono che con questo termine ci si riferisce ad un “symbolic ideal against which proponents of widely divergent political persuasions measure and criticise the shortcomings of contemporary State practice” (v. AA. VV.; The English Legal System, dodicesima edizione, Routledge, Oxon, 2011, pag. 23). Meno ambiguamente, possiamo definire il termine rule of law come il nostrano principio di 'eguaglianza di ogni soggetto di fronte alla legge', previsto nella Costituzione italiana all'art. 3. Tuttavia, il concetto di rule of law appartiene più strettamente al mondo giuridico anglo-americano, e, così, a voler esser molto precisi, come avverte Michel Rosenfeld, “there is no consensus on what 'the rule of law' stands for, even if it is fairly clear what it stands again. An important part of the problem stems from the fact that 'the rule of law' is an 'essentially contestable concept', with both descriptive and prescriptive content over which there is a lack of widespread agreement” (sic). Di conseguenza, la rule of law sarebbe una specie di spirito che vorrebbe rappresentare concretamente la legge di fronte all'uomo (cioè al cittadino), pur essendo al tempo stesso consapevole della propria natura astratta, e perciò, difficilmente definibile. Il tutto, sembrerebbe formare un ragionamento logico, e dunque concordo con l'autore in merito alla sua tesi relativa alla presunta natura 'metafisica' della rule of law, specialmente se teniamo in conto della naturale predisposizione dell'umanità a ledere anche i più basilari precetti morali, prima ancora che giuridici! V. ROSENFELD MICHEL; The Rule of Law and the Legitimacy of Constitutional Democracy, 74 S. Cal. L. Rev. 1307-1349 (2001), citato in: AA. VV.; Comparative Constitutionalism – cases and materials, Second Edition, St. Paul (USA), 2010, pag. 42. 21
  • 22. collettivo accordo: nello specifico, due aspetti della bozza di Convenzione avevano agitato gli animi oltre modo, arrivando a bloccare di fatto i lavori: mi riferisco anzitutto sul come inserire, nella 'bozza finale', la clausola a salvaguardia del diritto alla proprietà privata personale43, e poi, sul come realizzare l'articolo che invece sarebbe stato posto a salvaguardia del diritto all'istruzione della persona44. Non sorprendentemente, una risoluzione avanzata da alcuni deputati, che conteneva l'esortazione ad occuparsi di questi due diritti in un futuro incontro, fu votata finalmente a favore, e così si poté superare l'impasse potendo quegli stessi aspetti 'trovar sanzione' solo pochi anni dopo45, una volta resa pubblica la Convenzione; ovvero grazie all'integrazione di specifici concordati46. E tuttavia l'agone politico sembrava ben lungi dal potersi definire esaurito. L'ultimo ostacolo incontrato dai padri costituenti fu, infatti, quello su cui verté forse la discussione più critica di tutto il lavoro svolto dall'Assemblea: quello concernente la proponibilità del concetto di organo giudiziario europeo supremo, tribunale che, idealmente, avrebbe avuto il compito di vegliare sulla stessa Convenzione, che stava via via conoscendo forma compiuta. Ma che, nei fatti, era ancora incompleta, un'eccellente ma pur sempre precipua draft47, dovendo questa ancora sottostare al vaglio finale del Comitato dei Ministri! E questo invitò perciò 43“Con riferimento al diritto di proprietà, di opinione contraria erano essenzialmente i socialisti ed i social- democratici dei vari paesi europei, nel timore che la sua inclusione all'interno della Convenzione costituisse una forte minaccia per la progettata realizzazione delle riforme agrarie nonché per il piano di nazionalizzazione delle grandi industrie; di tutt'altro avviso invece i liberali, convinti assertori della necessità di garantire al massimo grado il diritto di proprietà quale presupposto essenziale dell'iniziativa economica privata”. V. Aa. Vv.; La Convenzione europea dei Diritti dell'uomo e la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, Giuffrè Editore, Milano, 2006, pagg. 6–7. 44Paradossalmente, qui il contrasto fu tra le forze liberal-socialiste di natura prettamente 'laica', e quelle cattolico- protestanti: il fronte comune dei secondi lottava per imporre un concetto di diritto 'europeo' all'istruzione personale che fornisse maggiore peso specifico alla libertà d'insegnamento (e quindi favorevole a riconoscere alle scuole private di ispirazione religiosa una massima valenza), ciò al contrario di quanto sostenuto dagli assembleari 'laici', che invece rivendicavano con forza l'idea che una definizione articolata in via generica rivestisse egualmente di massima dignità sia l'impianto scolastico pubblico (che a loro maggiormente stava a cuore) che quello privato stesso, andando così a contentare le riserve espresse in via di principio degli assembleari 'credenti'. Ibidem, pag. 7. 45“Further rights and liberties have been provided for in the several Protocols which have been added to the Convention since 1950. The First Protocol, signed in Paris in 1952, includes: the right to the peaceful enjoyment of possessions (Article 1); the right to education (Article 2)”. V. AA. VV.; European Civil Liberties and the European Convention on Human Rights – A Comparative Study, Martinus Nijhoff Publishers, The Hague, 1997, pag. 6. 46I primi Stati firmatari del Primo Protocollo alla CEDU furono il Regno Unito (3-11-1952), la Norvegia (18-12-1952), l'Irlanda (25-2-1953), la Danimarca (13-4-1953), la Svezia (22-6-1953), l'Islanda (29-6-1953), il Lussemburgo (3-9- 1953), la Turchia (18-5-1954), l'Olanda (31-8-1954), il Belgio (14-6-1955), l'Italia (26-10-1955). V. AA. VV.; Codice di diritto internazionale pubblico – Sesta edizione, G. Giappichelli Editore, Torino, 2013, pag. 612. 22
  • 23. alla cautela i difensori di detto progetto, che in Assemblea dovettero in special modo contrastare la dura opposizione svolta dalla mozione presentata dal Presidente del Senato belga Rolin48, che sottolineò una duplice criticità nel merito di tale progetto giudiziario: egli definì infatti assai pericoloso tale piano in quanto capace di confondersi con l'attività delle altre corti di giustizia nazionali, introducendo nel sistema giuridico di questi una 'falla' nel concetto di certezza del diritto49 (o, come notano degli studiosi, nel principio di ordine costituito50). Inoltre, un riconoscimento siffatto della potestà della nascente Corte europea avrebbe potuto ledere all'operato già svolto dalla Corte di Giustizia Internazionale delle Nazioni Unite, che in talune occasioni, si sarebbe potuta percepire come 'superata' nella propria attività da quella del 'nuovo' giudice europeo. Il problema posto dal Rolin godeva di solide basi; perciò le parti latrici di diverso avviso avrebbero dovuto 'fare gruppo' il più possibile per portare a compimento quello che, improvvisamente, iniziava a paventarsi come un compito assai arduo. Alcuni dei nostri deputati connazionali presero così a distinguersi per la lucidità dei loro interventi51, che parvero ai molti presenti nell'aula un chiaro segnale di 47Termine inglese col quale si definisce una 'bozza incompleta'. 48La formale denunzia operata da Rolin è visionabile sul sito internet http://assembly.coe.int, inserendo i seguenti parametri di ricerca: 'Doc. 26', '07 May 1951', 'Review of the processes of settlement of disputes by International Courts'. 49Quanto è simile il concetto di certezza del diritto rispetto a quello di eguaglianza sostanziale di ognuno di fronte alla legge, come previsto dall'art. 3 Cost.? Mi chiedo se in fondo non siano essenzialmente due risvolti univoci 'della stessa moneta', nel costituzionalismo italiano. Un 'noto' teorico del diritto ci fa sapere che “perciò alcune norme derivano dai principi universali della legge naturale come conclusioni; cioè come il precetto di non uccidere potrebbe derivare dal principio che non si deve far male a nessuno. Invece altre norme ne derivano come determinazioni. La legge di natura, ad esempio, stabilisce che chi pecca venga punito; ma precisare con quale pena, è una determinazione della legge naturale. Ora, nella legge umana positiva si ritrova l'una e l'altra cosa. Però le norme del primo tipo non si trovano in codesta legge soltanto come norme positive, ma conservano un certo vigore della legge naturale. Invece le norme del secondo tipo lo devono soltanto alla legge umana”. Possibile che le norme di produzione positiva (umana) abbiano una cogenza (un'effettività) minore rispetto ad altre? V. D'AQUINO TOMMASO, Summa Theologiae, I-II, 90-97, citato in: MEZZETTI LUCA; Princìpi costituzionali, G. Giappichelli Editore, Torino, 2011, pag.10. Per una riflessione più ampia, cfr. nota n. 42. 50V. AA. VV.; La Convenzione europea dei Diritti dell'uomo e la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, Giuffrè Editore, Milano, 2006, pag. 8. 51Ibidem, pag. 8. Non sono purtroppo riuscito a venire in possesso degli atti di lavoro dell'Assemblea parlamentare, in special modo non ho avuto riferimento alcuno rispetto agli interventi dei nostri deputati italiani in merito. Sembra che questi atti risiedano presso la biblioteca del Consiglio d'Europa a Strasburgo, non essendo questi stati convertiti in 'documenti elettronici'. Nemmeno la Camera dei Deputati, per quanto sembri assurdo, sembra conservare l'operato e gli interventi dei propri deputati presso l'Assemblea. L'unica traccia che ho avuto di questo è la relazione conclusiva del Capo degli Affari Legali ed Amministrativi (Maxwell-Fyfe) che afferma, resocontando la discussione al Presidente del 23
  • 24. quanto l'Italia desiderasse profondamente un sistema europeo senza mezzi termini, in fatto di poteri giuridici, oltre che politici. Al coro dei nostri deputati si aggiunse il fondamentale appoggio di quelli francesi, che permisero di sostenere con grande intelligenza le tesi dello stesso Teitgen, che nella delegazione francese si fece portavoce della mozione conclusiva che poi avrebbe dovuta esser messa al voto. E che avrebbe decretato la conferma definitiva della bontà del sistema giudiziario europeo – o meno. Il deputato francese decise di giocare d'astuzia. Accolse quindi parzialmente le tesi di Rolin, pur aggiungendo che: “considering that it is patently necessary to avoid such a multiplication of international jurisdictions, Considering that, even in connection with disputes regarding the interpretation and implementation of Conventions setting up Authorities having limited membership, a single European Court would offer a far better guarantee of independence and impartiality than a Court of which all the Members would be nationals of States which might have already adopted a particular attitude on the question submitted to the judges, Considering that a single juridical body would be, in the nature of things, qualified to settle disputes between Members of the Council of Europe, regarding the interpretation and application of the Statute, as of all European Conventions, and could simultaneously fulfil the same advisory functions in relation to the Committee of Ministers and to the Assembly, as the International Court of Justice does in relation to the United Nations Organisation”52. La votazione che poi si tenne, diede torto a Rolin, e così il progetto di Corte europea di giustizia poté sperare di vedere la luce. Non solo: finalmente tutta la bozza della Convenzione europea dei diritti dell'uomo era finalmente pronta per conoscere il vaglio del Comitato dei Ministri, che si sarebbe adoperato per discuterne i singoli articoli. Ed operare le proprie, determinanti, scelte. Consiglio d'Europa: “In this connection it wishes to stress that, independently of the States accepting this compulsory jurisdiction, the European Court may also according to the draft, have a case brought before it following an agreed submission by the States concerned : such an agreement would be reached for this case alone. This should be sufficient to justify the creation of the Court as a now organ of the Council of Europe. On the other hand, the Committee is glad to note that the Conference of Senior Officials did not retain the definition of the Court's competence, by which the Committee of Experts had tried to exclude from this competence violations resulting from legislative action—a limitation which the Committee would have considered unacceptable”. Il testo è disponibile all'indirizzo http://assembly.coe.int, utilizzando le seguenti parole-chiave: 'Doc. 6', '07 August 1950', 'Draft Convention for the protection of the Human Rights and Fundamental Freedoms'. 52Per il testo completo della mozione promossa da Teitgen, v. sito internet: http://assembly.coe.int. I parametri di ricerca di tale documento sono: 'Doc. 102', '07 December 1952', 'Establishment of a Single European Court of Justice'. 24
  • 25. Ma quanto, in realtà, queste scelte sarebbero state finali – ci si potrebbe interrogare – dopo che la bozza aveva prima preso forma con lo studio di una commissione realizzata ad hoc, e poi con l'analisi (e il dibattito) di un'Assemblea parlamentare? Effettivamente, questa Convenzione era 'lungi dall'addivenire': di conseguenza nessuno dei passaggi a seguire, ancorché decisivi, sarebbe stato ultimativo. Di fatto, il Comitato dei Ministri, scelse immediatamente, dopo la lettura della bozza finale, di coinvolgere un 'Comitato di Esperti Governativi' (Committee of Experts), composti da insigni giuristi appartenenti alle diverse nazionalità coinvolte nell'obiettivo. Costoro, tra cui ricordiamo il nostro Tomaso Perassi53, avevano il compito di risolvere tre ordini di problemi: precisare la portata giuridica delle norme54 (operazione non eccessivamente complessa a dire il vero, esercitando gli esperti con la necessaria dovizia il proprio ruolo), confermare – o meno – la necessità di rimandare in futuro la definizione del principio di diritto alla proprietà e all'istruzione e, infine, garantire il valore del nascente meccanismo giudiziario europeo, realmente l'operazione più difficoltosa, ma forse non insormontabile. E tuttavia, come ci riferiscono Carlo Russo e Paolo Quaini – secondo la loro tesi che è chiaramente vincolata alle indubbie capacità tecniche del gruppo di esperti – fu infine adottata una differente strategia, e “all'opportunità di istituire il meccanismo giurisdizionale di tutela, il Comitato ritenne che, trattandosi di 53Tomaso Perassi fu insigne giurista, ma seppe altresì distinguersi per l'attività diplomatica e politica. Scrive un suo biografo: “Laureatosi a pieni voti in Giurisprudenza presso l’Università di Pavia, nel 1914 ottenne la cattedra di Istituzioni di Diritto pubblico e di Diritto internazionale all’Istituto Superiore di Commercio di Bari; nel 1921 passò alla facoltà di Scienze Economiche e Commerciali di Napoli; poi, nel 1928 si trasferì all’Istituto Superiore di Roma e infine, nel 1937 alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma nominato professore di Diritto internazionale. A fianco dell’attività di docente ricoprì diversi incarichi a livello statale: come consulente del ministero degli Affari Esteri, tra il 1931 e il 1936, fece parte della delegazione italiana presso la Società delle Nazioni. Dal 1944 fu a capo dell’Ufficio del contenzioso diplomatico. Eletto deputato all’Assemblea Costituente nelle liste del Partito Repubblicano, ricoprì il ruolo di segretario della 'Commissione dei 75'. Nel 1952 fu presidente dell’Alta Corte per la regione Sicilia, dal 1955 al 1960 giudice e poi vice presidente (1957) della Corte Costituzionale”. V. sito internet: http://www.societaverbanisti.it/eventi-2/noterelle/45-noterelle/655-perassi-tomaso.html 54Con ciò intendo che vi era necessità di garantire una terminologia giuridica ed una composizione sistematica degna della Convenzione che si stava venendo a disegnare: ciò significa che era obbligatorio non solo che le norme fossero tecnicamente corrette e pronte per una facile interpretazione da parte dei giuristi (si tenga inoltre conto del fatto che le norme dovevano risultare di utilizzo anche al mondo giuridico inglese, quello ben differente del common law), ma che fossero altresì chiare per 'l'utente finale', il cittadino, e che, soprattutto, reggessero il loro non sottostimabile compito di... resistere alla prova del tempo. Che realmente avrebbe designato, o meno, il successo dell'operazione. 25
  • 26. valutazione più spiccatamente politica che tecnica, su di essa dovesse pronunciarsi lo stesso Comitato dei Ministri”55. Il Consiglio dei Ministri decise allora di girare la bozza finale aggiornata dei contenuti giuridici inseriti dal Comitato di Esperti ad un secondo team, che però doveva evidentemente contraddistinguersi per il godimento di un profilo di giudizio marcatamente 'politico'. Il Consiglio optò allora per la creazione apposita di un 'Comitato degli Alti Funzionari' (Conference of Senior Officials), che avrebbe dovuto raccogliere le più eminenti personalità del panorama europeo distintesi per la solidità del proprio curriculum politico56. Le riunioni del Comitato proseguirono senza particolari difficoltà, perlomeno fino a quando fu chiaro che, anche in questo caso, stava emergendo in seno al Comitato una dicotomia apparentemente insanabile: quella tra i rappresentanti che desideravano ricoprire di obbligatorietà l'attività della neonata Corte europea, e quelli che invece ne rigettavano l'opera – e dunque la sua costituzione – giustificando tale posizione sulla base delle tesi roliniane che già ho esposto precedentemente57. L'impossibilità di ottenere anche solo una 'maggioranza semplice' presso i loro incontri, costrinsero di fatto i politici a propendere per una soluzione intermedia, che faceva proprie le virtù58 – e le pecche – del progetto voluto dai due 55V. AA. VV.; La Convenzione europea dei Diritti dell'uomo e la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, Giuffrè Editore, Milano, 2006, pag. 10. 56L'Italia degasperiana scelse di fornire il proprio contributo, anche in questo caso, coinvolgendo lo stesso Perassi. Probabilmente, così fu sia per rispondere ad una 'necessità di coerenza' nel seguito dell'evoluzione della discussione sulla bozza, sia per conciliare le funzioni politiche che erano già proprie del Perassi. 57V. p. 20 dello scritto. 58La bontà di avere una Corte europea funzionale a tutti gli effetti, era quella di non dover obbligare gli Stati d'Europa a ricorrere alla CIG, già impegnata a gestire i molti casi sottopostegli dai molti Stati parti aderenti all'ONU: ricordiamoci infatti che fino alla fine del XX° secolo, la pratica della creazione di corti internazionali specifiche, come il Tribunale per il Territorio dell'Ex Iugoslavia (1991) o la Corte Africana sui Diritti dell'Uomo e dei Popoli (1998), non era di uso comune nell'allora mentalità (che forse non vedeva semplicemente la necessità di costituirne). Ciò se perlomeno escludiamo dal novero quelle corti internazionali che ebbero una natura persino più specifica, osservando le proprie funzioni secondo un duplice criterio; quello della regionalità, e, soprattutto, della temporaneità: vi furono infatti corti specialmente avocate a giudicare crimini di guerra riscontrati in seguito alla fine dei grandi conflitti mondiali, che, dopo aver terminato il loro compito, videro esaurire il proprio compito e vennero sciolte. Si pensi per esempio a quel tribunale militare dell’Estremo Oriente istituito dalle undici nazioni vincitrici della guerra che fu chiamato a giudicare i crimini contro l'umanità al termine della capitolazione giapponese, nel 1945. V. HENSHALL KENNETH G.; Storia del Giappone, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2005, pag. 211. Per approfondire sul tema delle varie Corti internazionali, v. AA. VV.; The Manual on International Courts and Tribunals. Second edition, Oxford University Press, Oxford, 2010. 26
  • 27. schieramenti: ergo, la Corte di giustizia europea sarebbe a tutti gli effetti nata, ma in concreto la sua giurisdizione sarebbe stata facoltativa, ovvero, sarebbe stata contrassegnata dall'obbligatorietà solo dietro l'espresso consenso degli Stati coinvolti nella querelle. Questa soluzione fu prevista altresì nel caso di ricorso di singoli individui alla Corte. La fine di questo lungo travaglio dovette sembrare ai molti studiosi e politici coinvolti ormai prossima. Parve a tutti che, questa volta per davvero, da lì in breve il Comitato dei Ministri, avendo ricevuto le ultime correzioni effettuate dal Comitato di Esperti Governativi, potesse finalmente deliberare il testo finale della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e dare così il via alle procedure per la creazione di una Corte Europea dei diritti. Alle nomine dei primi giudici. Ed invece, un'ultima sottolineatura, un ultimo 'fremito', ingiunse la necessità di riconsiderare proprio quest'ultimo aspetto: e la paternità del gesto aveva la firma dei rappresentanti della Commissione delle Questioni Giuridiche ed Amministrative, che fino ad allora era invece rimasta in un silenzio attendista! Sir Maxwell-Fyfe, ancora chairman della suddetta commissione, relazionando con una lettera scritta di suo pugno il lavoro sinora svolto allo stesso Presidente del Consiglio d'Europa, venne a dichiarare che: “The Committee is inclined to recommend, in a general way, that the Consultative Assembly adopt the practical compromise of the creation of a European Court with optional jurisdiction. However, it would like to sec a considerable reduction in the number proposed (9) of States accepting the compulsory jurisdiction of the Court, on which provisions depends the election of the Court's judges. It considers indeed that this condition would be such as to delay overmuch the institution of the Court. In this connection it wishes to stress that, independently of the States accepting this compulsory jurisdiction, the European Court may also according to the draft, have a case brought before it following an agreed submission by the States concerned : such an agreement would be reached for this case alone. This should be sufficient to justify the creation of the Court as a now organ of the Council of Europe”59. 59La dichiarazione di sir Maxwell-Fyfe terminava sottolineando la bontà dell'operato svolto dalla Commissione degli Alti Funzionari, capaci di eliminare, dalla definizione di quelle competenze sottese alla Corte di giustizia europea, la capacità di giudicare le norme promanate dalle diverse fonti di diritto nazionale, elemento che invece era in palese contrasto con quanto espresso dal Comitato di Esperti Governativi. V. sito internet: http://assembly.coe.int. I parametri di ricerca da inserire per ottenere il documento sono: 'Doc. 6', '07 August 1950', 'Draft Convention for the protection of Human Rights and Fundamental Freedoms'. 27
  • 28. Questa situazione fu allora nuovamente presa in esame dal Comitato degli Alti Funzionari, per espressa volontà del Comitato dei Ministri. Quello, tuttavia, si scoprì incapace a discuterne costruttivamente, e così, lo stesso Comitato dei Ministri si risolse a confermare l'idea che la giurisdizione della Corte sarebbe stata inizialmente facoltativa. Ciò portò ad ufficializzare la bozza di Convenzione, che fu finalmente firmata dai 'padri fondatori', nella cornice di Palazzo Barberini in Roma, nell'anno 195060. 60“Le 4 novembre 1950, au Palais Barberini de Rome, j'étais là au moment de la signature de la Convention européenne. Je me rappelle le Comte Carlo Forza, ministre des Affaires étrangères de l'Italie, lorsqu'il a pris la parole de manière rhétorique, en disant: 'C'est un moment historique pour l'Europe: nous avons créé l'Europe des droits de l'homme. L'Europe du droit, l'Europe de la liberté où sont garanties la liberté et la dignité de la personne'”. V. AA. VV.; Droit et justice – Collection dirigée par Pierre Lambert – Cinquantième anniversaire de la Convention européenne des droits de l'homme, Nemesis, Bruxelles, 2002, pagg. 62-63. 28
  • 29. 2. 'Ubi societas, ibi religio': la nascita del diritto di religione nella CEDU Il progetto dei nostri 'padri europei' sul diritto di religione, aspetto che ora rimane doveroso trattare, non conobbe una sorte assai diversa dal cammino compiuto da tutti gli articoli costituenti la Dichiarazione. Questo percorso di crescita si estrinsecò, anche in questo caso, nel rispetto del leitmotif già conosciuto presso il Consiglio d'Europa, in special modo nella fase di forgiatura di tutti gli articoli integranti la CEDU di per sé – e dunque attraverso quella continua sinfonia (ahinoi definibile nei casi peggiori anche tiritera, quando cioè l'accordo non pareva raggiungersi sui punti all'ordine del giorno e le delegazioni bloccavano i lavori per le loro intransigenze) svoltasi tra Comitato direttivo, nello specifico quello dei Ministri, e sottocomitati di diverso genere, anche in questo caso chiamati a specificare gli aspetti tecnici di questa statuizione. Ebbene, non deve stupire che il futuro art. 9 CEDU avrebbe conosciuto il proprio momento fondativo grazie al progetto di Carta europea dei diritti dell'uomo61, 'iato di libertà' emesso dalla Sezione Giuridica Internazionale62 del già noto Movimento Europeo, che, nell'estate del '49, richiamando il 'diritto di libertà religiosa' già all'art. 1, statuì formalmente che “ogni Stato parte della presente Convenzione garantirà ad ogni persona nel proprio territorio i seguenti diritti: […] la libertà di credenza, di pratica e di insegnamento religioso”63. Nel testo erano altresì presenti dei correttivi, che limitavano tali affermazioni in conformità 61V. AA. VV.; Collected Edition of the 'Travaux Préparatoires' of the European Convention on Human Rights (Volume I), Martinus Nijhoff, The Hague, 1985, pag. 296. 62Traduzione dell'originario titolo del dipartimento del Movimento Europeo: 'International Juridical Section of the European Movement'. V. EVANS MALCOM D.; Religious Liberty and International Law in Europe, CSICL, Cambridge University Press, Cambridge, 1997, pag. 263. 63V. Documento CE, Confidentiel, H (61) 4, Add. 1, 1949. 29
  • 30. ai principi generali di diritto delle nazioni civili64 ed alle norme imperative di legge65. Tale diritto di religione, evidentemente connotato al pensiero della persona, avrebbe costituito un forum internum66, nel senso fornitoci dall'attuale manualistica estera: “it is true that thoughts and views, as long as they have not been expressed, are intangible and that convictions are especially valuable for the person concerned if he can express them. But that does not render the (inner) freedom of [thought, conscience and] religion useless”67. 64Si definiscono 'principi generali di diritto delle nazioni civili' quelle pratiche consolidate e riconosciute che, poste in essere dalla maggioranza degli Stati dello scacchiere internazionale, spesso godono altresì del rango di consuetudine internazionale all'interno del diritto internazionale pubblico (e tuttavia i due concetti sarebbero da tenersi distinti, in quanto in realtà surrogati: non sempre, infatti, un 'principio generale di diritto delle nazioni civili' ha conosciuto – a volte per la semplice mancanza di utilizzo nella prassi – quella 'dignità' che gli ha permesso di venir elevato al rango di 'consuetudo internationalis'. V. CONFORTI BENEDETTO, Diritto internazionale – VII edizione, Editoriale Scientifica, Napoli, 2006, pagg. 31-35. 65Specificamente, ciò significa che, la legislazione che sarebbe seguita sulla 'libertà di credenza, di pratica e di insegnamento religioso' come sopra riportato, avrebbe dovuto rispettare i seguenti limiti: “(a) protecting the legal rights of others; (b) meeting the just requirements of morality, public order (including the safety of the community) and the general welfare”. V. EVANS MALCOM D.; Religious Liberty and International Law in Europe, CSICL, Cambridge University Press, Cambridge, 1997, pag. 264. 66Questa dizione è assai in voga nella dottrina inglese: essa si ricollega ad uno dei componenti cruciali del diritto canonico, che già dalla sua nascita primordiale – seguita all'approfondimento delle materie di diritto romano presso le prime università medievali italiane ed inglesi (Bologna ed Oxford in primis) – ha voluto provvedere a recepire, direttamente dalla dottrina teologica, una bipartizione, che identifica le conseguenze materiali del peccato come produttrici di effetti, rispettivamente, in foro interno e/o in foro esterno. Il foro interno dunque, verrebbe a definire un ambito strettamente interiore, a livello dunque cerebrale, di pensiero, anzi: strettamente correlato all'anima. E così gli effetti del peccato avrebbero delle conseguenze (e andrebbero giudicati) in foro interno. Ciò mentre il foro esterno, invece, riguarderebbe tutti gli accadimenti di evidente significatività giuridica che andrebbero oltre l'ambito del singolo (atti o fatti che, dunque, posti in essere dalla persona, o meglio dal christifideles, com'è invalso definire il cittadino cristiano nel diritto canonico millenario) implicherebbero uno speciale significato per il diritto: si pensi ad esempio alla rilevanza di talune attività del singolo (o di una pluralità di singoli) per il diritto civile o penale. Ciò illumina altresì sul motivo per il quale, via via, nella pratica del diritto canonico originario, questo si sia sempre più venuto ad integrare con lo ius civile di originaria concezione romanica, fino a divenire parte pulsante del sistema politico peninsulare di quelli che erroneamente vennero definiti 'secoli bui', in un unicum che noi conosciamo oggi col nome di utrumque ius. V. Aa. Vv.; Novissimo Digesto Italiano – TOMO V: 'CRI-DIS', UTET, 1960, pag, 796, che alla voce 'diritto canonico' esplicita tali concetti: “...si sviluppò così una scienza del diritto canonico che in breve raggiunse un'ampiezza e uno sviluppo tali da costituire, parallelamente e quasi in contrappeso al diritto romano, quel glorioso binomio dell'utrumque ius che rese celebri i nostri Studi dal Medioevo in poi. […] in particolare, il diritto canonico, si distingue dalla teologia morale, perché, pure enunciando entrambe le discipline i principi che devono regolare gli atti umani in ordine al fine supremo, la teologia morale considera il comando etico in ordine esclusivo al cosidetto 'foro interno', la cui violazione costituisce il peccato […], mentre il diritto canonico riguarda le attività dei fedeli essenzialmente in quanto si riferiscono all'ordine esteriore o sociale della Chiesa […], il diritto canonico si limita a prendere tali postulati come presupposti che pone a base del sistema giuridico e degli istituti da esso elaborati”. Per un ulteriore approfondimento, di matrice storica, v. CARAVALE MARIO; Ordinamenti giuridici dell'Europa medievale, Il Mulino, Bologna, 1994. 67V. AA. VV.; Theory and Practice of the European Convention on Human Rights, Intersentia, Oxford, 2006, Quarta ed., pag. 752. 30
  • 31. Questa gradita novità, dal potenziale giuridico inespresso e già in partenza non priva di ambiguità68, conobbe poi una sostanziale metamorfosi nella seconda fase, quella ufficiale, che vide protagonista la delegazione irlandese, capace di presentare alla XIX seduta della Commissione preparatoria del Consiglio d'Europa (propria del periodo in cui lo stesso diritto veniva già presentato nella stessa Carta europea dal ME!) un argomento intitolato: “la difesa dei diritti fondamentali politici, civili e religiosi dell'uomo”69. Dopo circa un mese, questa proposta venne approvata (con modifiche) nella sessione agostana dalla Commissione per le questioni giuridiche ed amministrative70, su proposta dell'Assemblea stessa. Nelle carte che riportano i lavori preparatori, viene ovviamente registrato anche questo episodio – si legge: “La Convenzione e la procedura di cui il Comitato determinerà ulteriormente le modalità, garantiranno ad ogni persona residente nel territorio metropolitano dello Stato membro le libertà ed i diritti fondamentali enumerati qui di seguito: […] la libertà di pensiero, di coscienza e di religione in conformità all'art. 18 della Dichiarazione delle Nazioni Unite”71. È perciò, anche in questo caso, esplicito il richiamo della CEDU alle supreme convenzioni che l'hanno preceduta, di ordine globale72. 68Con questo intendo affermare che, se il diritto di religione come oggi conosciuto dalla lettera dell'art. 9 CEDU colà fosse invece rimasto formulato, e cioè secondo la definizione fornita dal progetto del ME, allora, rispetto all'attuale definizione, la società europea avrebbe senza dubbio dovuto scontare maggiori problemi di interpretazione giuridica, che difatti sono stati facilmente evitati provvedendo ad una saggia codificazione non onnicomprensiva, ma tuttavia estremamente prona ad una rielaborazione secondo le ragioni dettate dal caso di specie – si prenda ad esempio il lavoro 'esegetico' della Corte EDU o della difesa dei ricorrenti alla giustizia di Strasburgo. 69V. Documento CE, CP/19, punto III, pagg. 2-3, 6 luglio 1949, citato in: MARGIOTTA BROGLIO FRANCESCO; La protezione internazionale della libertà religiosa nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Giuffrè Editore, Milano, 1967, pag. 13. 70Si ricordi che Teitgen avrebbe svolto il ruolo di Segretario (rapporteur), mentre Sir David Maxwell-Fyfe quello di rappresentante (chairman). 71V. Documento CE, A. 167, p. 2, 1949, citato in: Margiotta Broglio Francesco; La protezione internazionale della libertà religiosa nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Giuffrè Editore, Milano, 1967, pag. 14. 72Ovviamente i partecipanti facevano riferimento alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. L'art. 18 della Dichiarazione in questione recita: “ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti”. V. AA. VV.; Codice di diritto internazionale pubblico – Quinta edizione, Giappichelli Editore, Torino, 2010, pag. 160. 31
  • 32. Merita tuttavia di essere citato anche lo step successivo di questo approfondimento della discussione allora in atto presso l'Assemblea, in merito a quello che sarebbe stata la libertà di manifestazione del pensiero (e della propria religione): nel settembre, difatti, la Commissione venne a presentare una 'bozza giuridica' che permettesse ai cittadini europei di vedersi garantiti i loro diritti essenziali, tra cui figurava ovviamente quello afferente alla libertà di religione. Questa riportava: “Nella Convenzione gli Stati membri si impegneranno ad assicurare ad ogni persona residente nel loro territorio: […] 5° - la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, in conformità all'art. 18 della Dichiarazione delle Nazioni Unite”73. Seguì, a partire dall'ottobre dello stesso anno, l'esamina del caso da parte di un comitato di esperti dei diritti umani, incaricati dal Comitato dei Ministri di tradurre nel diritto quanto elaborato sino ad allora in via unicamente 'politica': e cioè sottoporre la raccomandazione che era stata prodotta, la n. 38 – che nel proprio nucleo relativo al diritto di religione non aveva conosciuto alcuna reinterpretazione rispetto a quanto già affermato in precedenza – ad un vaglio di esperti del settore74. Il compito di costoro, ci informa il Prof. Margiotta Broglio, sarebbe stato nientemeno quello di “esaminarla e discuterla alla luce dei lavori e degli studi compiuti dagli organi delle Nazioni Unite”75. Venne allora a promuoversi un'attività anzitutto di cesura, in special modo da parte di due singoli esperti di diritto (quello di nazionalità turca e svedese)76, e poi, seguì un tempo di studio sulle ulteriori modifiche da apporre da parte di un 'Sotto-Comitato'77, che volle promuovere un'analisi volta a salvaguardare quanto rientrante nella legittima area di azione dei governi nazionali, venendo ad 73V. Documento CE, AS (1) 77, pag. 204, 1949, citato in: MARGIOTTA BROGLIO FRANCESCO; La protezione internazionale della libertà religiosa nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Giuffrè Editore, Milano, 1967, pag. 15. Si noti che la bozza della proposta avanzata dalla Commissione non venne a riformulare in alcun modo quanto inizialmente modificato dalla Commissione per le questioni giuridiche ed amministrative; elemento che ci sottolinea la serietà dell'impegno di quell'ufficio nel cogliere le questioni sollevate dalla delegazioni irlandese. 74Ibidem. 75V. MARGIOTTA BROGLIO FRANCESCO; La protezione internazionale della libertà religiosa nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Giuffrè Editore, Milano, 1967, pag. 16. 76Il prof. Margiotta Broglio ci indica che l'obiettivo fosse quello di “restringere la portata del diritto di libertà religiosa” tant'è che l'esperto turco giunse addirittura a voler promuovere un testo così esplicito da rendere addirittura noto che lo scopo di detto articolo fosse quello di “prevenire i tentativi di ritorno all'oscurantismo” (!). Ibidem. 77Così MARGIOTTA BROGLIO. Ibidem, pag. 17. 32
  • 33. utilizzare una formula onnicomprensiva che avrebbe permesso di fare salva la volontà del potere statale, che così affermava: “questa disposizione non lede le legislazioni nazionali già esistenti che comportano regole restrittive concernenti le istituzioni e le fondazioni religiose e l'appartenenza a determinate confessioni”78. La mossa inaspettata, di qui, fu quella dell'esperto britannico del comitato, che venne a promuovere addirittura l'idea di utilizzare, per il diritto di religione e quello concernente la libertà di pensiero, le medesime affermazioni 'scolpite' nell' art. 16 del progetto di Patto delle Nazioni Unite per i diritti civili e politici del 194979, che già di per sé era identico “all'art. 18 della Dichiarazione Universale [dei Diritti dell'Uomo]”80 ! Mossa invero non del tutto inattesa poiché, come ho già evidenziato, sino ad allora, la promozione di tale diritto pareva doversi ad ogni costo sviluppare in pacifica collaborazione con le grandi carte dei diritti che l'avevano preceduto – e dunque non lo si avrebbe fatto solo in riferimento al mero diritto di religione81 – ancorché tale attività, che solo banalmente si può definire di 'ricopiatura', avrebbe avuto lo svantaggio di recepire dei contenuti di principio forse non rielaborati tenendo conto della specifica cultura europea82. 78Documento CE, A. 796, 1949, p. 2, citato in: ibidem. 79Oggi, tale previsione, come rielaborata in seguito alle modifiche seguite nel 1966, è svolta dall'art. 18 che dichiara: “1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di avere o di adottare una religione o un credo di sua scelta, nonché la libertà di manifestare, individualmente o in comune con altri, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nel culto e nell'osservanza dei riti, nelle pratiche e nell'insegnamento...”. V. AA. VV.; Codice di diritto internazionale pubblico – Quinta edizione, Giappichelli Editore, Torino, 2010, pag. 167. 80Ibidem, pag. 18. 81I lavori preparatori della CE forniscono una visione d'insieme su di questa pratica di 'recezione diretta' invalsa nei confronti dei grandi trattati internazionali. V. Documento CE, AS (1) 77, 1949, citato in: MARGIOTTA BROGLIO FRANCESCO; La protezione internazionale della libertà religiosa nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Giuffrè Editore, Milano, 1967. Cfr. con nota a seguire. 82È vero, infatti, che recepire una norma universalmente incontrovertibile sembra produrre l'effetto di rendere istantaneamente efficace la prescrizione – e tuttavia il rischio insito in tale attività di 'recezione diretta' è proprio il reciproco di quello; e cioè, lamentare la debolezza del diritto: per la lontananza di questo, evidentemente, dall'esperienza sociale. E ciò senza che si tenga conto dei diversi paradigmi interpretativi fatti propri dalle corti europee. 33
  • 34. Fu così che, nel febbraio del 1950, venne accolta favorevolmente la tesi del delegato britannico83, ma solo al riguardo del primo paragrafo, che dunque vide confermato il proprio ruolo all'interno della bozza dell'articolo 9. Al tempo stesso, tale progetto di legge, tuttavia, conservava in sé un limite ben specifico: quello di presentare un secondo paragrafo che aveva il compito di accogliere le osservazioni precedentemente fatte dall'esperto di diritto turco e svedese. In breve, si rende necessario chiarire che gli esperti di diritto acconsentirono a procedere in tal modo per piegare il nascente art. 9 alla “richiesta dei rappresentanti della Svezia e della Turchia, a causa dell'esistenza, nei loro paesi, di alcune leggi che potevano essere considerate contrarie al diritto di libero esercizio della religione, e si aggiungeva che il paragrafo stesso riguardava soltanto le leggi già esistenti e che non sarebbe stato invocabile per giustificare nuove limitazioni al libero esercizio della religione”84. All'inizio del marzo dello stesso anno, poi, si tenne un altra riunione tra gli esperti del Comitato, ove si distinse nuovamente il rappresentante britannico, che questa volta volle ottenere la modifica del secondo paragrafo dell'articolo in senso restrittivo, e cioè per tornare ad equiparare l'articolo in oggetto al 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Dopo diverse negoziazioni in seno all'assemblea, venne ad ottenersi un nuovo risultato, che fece entrare anche il secondo paragrafo nello stato di 'bozza definitiva'85. Purtroppo, il definirsi dei due principali paragrafi del prematuro articolo concernente il diritto di religione, non parve infine accogliere il favore di tutto il Comitato di esperti. Dopo il superamento di una delicata fase di stallo, dove i tecnici inglesi erano nuovamente emersi per la loro ferrea volontà di configurare all'articolo in questione tutti i concreti diritti – e facendo ciò si erano scontrati con la maggioranza degli studiosi che invece continuava a reputare quella statuizione di natura politica, più che giuridica, elemento che evidentemente doveva 83Fu ovviamente il Comitato degli esperti di diritto a votare favorevolmente alla cristallizzazione del capoverso di cui si tratta. V. MARGIOTTA BROGLIO FRANCESCO; La protezione internazionale della libertà religiosa nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Giuffrè Editore, Milano, 1967, pag. 18. 84Ibidem, pag. 19. 85“2. - La libertà di manifestare la propria religione e le proprie convinzioni non può essere oggetto che delle sole restrizioni previste dalla legge che costituiscono misure necessarie alla sicurezza pubblica, alla protezione dell'ordine, della sanità o della morale pubblica o alla protezione dei diritti e libertà altrui, con la riserva che nessuna disposizione della presente Convenzione possa essere considerata come lesiva delle regolamentazioni nazionali già esistenti che si applicano alle istituzioni o fondazioni religiose, o all'appartenenza a determinate confessioni”. Ibidem. 34
  • 35. giustificare una maggior semplicità della prescrizione – tutto il Comitato accettò di presentare ben quattro diversi progetti di articolo al Comitato dei Ministri, che così, sarebbe stato coinvolto nel (non) facile dovere di operare una semplice scelta86... di natura definitiva. I quattro dossier, denominati Variante A, Variante A/2, Variante B e Variante B/2, una volta giunti sul tavolo del Comitato dei Ministri, invece, si risolsero nella pronta convocazione di tutte le delegazioni politiche presenti nel Consiglio d'Europa. Giacché si trattava ora di effettuare una scelta di valore squisitamente politico, il Comitato dei Ministri aveva rifiutato di procedere unilateralmente, per accettare, invece, di promuovere un dibattito, ove le diverse delegazioni nazionali avrebbero contribuito offrendo le loro diverse istruzioni impartitele dai rispettivi governi. In cosa differivano questi quattro dossier? “Relativamente alla tutela della libertà religiosa, l'art. 2, par. 5, delle Varianti A e A/2, costituiva la pura e semplice replica dell'art. 2, par. 5 del già ricordato pre-Progetto di Convenzione elaborato dal Comitato di esperti il 15 febbraio 1950 – e, quindi, del par. 1 dell'art. 18 della Dichiarazione Universale delle Nazioni Unite – ed era completato, come nel pre- Progetto, da un art. 7 lett. b), rimasto anch'esso immutato. L'art. 9, invece, delle Varianti B e B/2, riproduceva esattamente i termini dell'articolo così come era stato elaborato dal Comitato di redazione nel corso della seconda riunione del Comitato di esperti; in questi stessi termini le norme apparivano in un pre- progetto di Convenzione messo a punto dal Comitato di esperti nella seduta del 9 marzo 1950”87. In breve, perciò, le Varianti A sposavano le tesi britanniche sopra esaminate, mentre le Varianti B accoglievano l'eccezione avanzata dagli esperti turchi e svedesi (e cioè sulla necessità di 'fare salva la legislazione nazionale', come visto88). 86Ibidem, pag. 20. 87Ibidem, pag. 21. 88In realtà, anche se solo per poche settimane, i delegati turchi e svedesi furono inizialmente ben compatti nella promozione di un approccio 'numerico del diritto di religione': “Turkey proposed two amendments, the first adding the words, 'subject to reservations concerning legislative measures to prevent attempts being made once again to suppress these freedoms' (Doc. A 775 CETP. Vol III, p. 182); the second adding the words, 'subject to reservations as regards the measures required for ensuring secuirity and public order, as well as those restrictions which, for reason of history, it has been considered necessary, by the States, signatory to this Convention, to place on the exercise of this right' (Doc. A 787, ibid., p. 196). Sweden proposed to add: 'This provision does not affect existing national laws as regards rules relating to religious practice and membership of certain faiths'”. Subito dopo, sia la Turchia che la Svezia, decisero invece di abbandonare questo progetto, per propendere a favore della Variante A – volendo però conservare, almeno in 35
  • 36. Ecco che nel giugno del '50, finalmente, venne a riunirsi una Conferenza di alti funzionari, avocati dal Comitato a discutere una scelta definitiva. Quest'organo venne prima a definire un progetto di art. 9 'pronto per l'integrazione', ma poi, eliminato il secondo paragrafo89, decise di correggerlo per venire incontro alle richieste inglesi, che forse, non a torto, pretendevano una puntuale definizione concreta dei diritti 'includenti'90. L'articolo 9, sul diritto di religione, venne perciò alla luce il 7 agosto del 195091. Fu poi incluso nel medesimo progetto definitivo di Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, subendo, invero, solo una lieve modifica terminologica ad opera del Sotto-Comitato della Conferenza degli Alti Funzionari, che ne sancì, così, definitivamente la vita, presentandolo a noi come oggi lo conosciamo. parte, la clausola di espressa salvaguardia rivolta alla legislazione nazionale. V. EVANS MALCOM D.; Religious Liberty and International Law in Europe, CSICL, Cambridge University Press, Cambridge, 1997, pagg. 267-268. 89Prima dell'ultima correzione, il secondo paragrafo recitava, con minore precisione: “2. La libertà di manifestare la propria religione e le proprie convinzioni non può essere oggetto che delle sole limitazioni previste dalla legge che costituiscano misure necessarie alla sicurezza pubblica, alla protezione dell'ordine, della sanità e della morale pubbliche in una società democratica, o alla protezione dei diritti e libertà altrui, con la riserva che nessuna delle disposizioni della presente Convenzione possa essere considerata come lesiva delle regolamentazioni nazionali già esistenti che si applicano alle istituzioni e fondazioni religiose, o alla appartenenza a determinate confessioni”. V. Documento CE, CM/WP 4 (50) 9; A. 372, 1950, citato in: MARGIOTTA BROGLIO FRANCESCO; La protezione internazionale della libertà religiosa nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Giuffrè Editore, Milano, 1967. V. nota precedente. 90Le osservazioni della delegazione inglese, si incuneavano sul novero delle polemiche già fatte nei confronti della pretesa avanzata da parte svedese e turca, ingiustificabili dal punto di vista britannico (e per la delegazione danese). Come afferma Evans: “the representatives of both the UK and the Netherlands objected, considering it wrong that special circumstances appertaining to only two States should become the subject of a collctive guarantee, and saw problems in reconciling the preservation of the existing legislation with the principle of non-discrimination”. Tant'è che alla fine prevarrà, com'è ragionevole, la posizione anglo-danese. V. EVANS MALCOM D.; Religious Liberty and International Law in Europe, CSICL, Cambridge University Press, Cambridge, 1997, pag. 268. 91V. MARGIOTTA BROGLIO FRANCESCO; La protezione internazionale della libertà religiosa nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Giuffrè Editore, Milano, 1967, pag. 25. 36