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LUMSA
Facoltà di Scienze Giuridiche
Seminario di Terminologia giuridica comparata
docente: Igino Schraffl
“La Privacy in Inghilterra e in Italia”
Francesco Sabatini ( matricola 03592/400)
Premessa al lavoro
Lungo il tortuoso processo di evoluzione, tutti gli ordinamenti secolari hanno mostrato,
conseguentemente al disfacimento dello jus commune, nel lontano periodo medievale,
una certa diversità contenutistica (ma anche proceduralistica) andatasi lentamente ad
accentuare, dove si ponevano dunque le prime basi di una personalità giuridica sempre
più differente da stato a stato. Oggi, queste fondamenta sono ormai molto sviluppate e
diversificate, ma possiamo agevolmente rintracciare delle similarità di istituti e di
diritto in tutta Europa, pur a fronte di una summa divisio, ovvero una profonda divisione
storico-culturale – e di conseguenza giuridica - tra le diverse famiglie di stati di Common
Law e di Civil Law.
La Privacy nel suo fondamento
Tuttavia, nel nostro piccolo, ci limiteremo a trattare di una delle più eminenti
differenze che si crede intercorra negli ordinamenti della famiglia romano-germanica e
della Common Law, relativamente all’istituto giuridico della Privacy. Necessità è infatti
quella di un diretto confronto relativo all’istituto suddetto nell’ordinamento Inglese e
quello Italiano.
E’ doveroso iniziare primariamente la trattazione stabilendo – prima di riversare sulla
materia dati e giudizi avventati – cos’è la Privacy nel suo fondamento stesso.
Consultando il parere di alcuni grandi esperti, giuristi o meno - ma comunque pensatori
- si scopre che la Privacy è la “difesa di un ambitus privato da intrusioni dall’esterno,
difesa che ha sempre trovato posto nel diritto come protezione, sia nel possesso (a
partire dal possesso del proprio corpo, sia della proprietà (disponibilità esclusiva della
cosa)” 1
. Oppure, sembra essere quella cosa che non assume connotati umani “se non
s’incarna nel mondo esterno e negli altri”2
: “l’esistenza privata, nata dalla libertà
d’espressione non può esistere se non si afferma e s’impone nell’incertezza e nel rischio
[…]. L’esistenza privata si fa riconoscere dagli altri, dal pubblico, come l’auctor, autore
di sé” 3
. Altri affermano più concretamente che consiste nella riservatezza, intimità,
riserbo in genere – ovvero un termine molto ampio, dai contorni imprecisi4
. Infine, taluni
sottolineano la sua astrattezza affermando che: “’Privacy’ is a broad, abstract and
ambiguous concept” (dalle parole di Hugo Black, giudice della Supreme Court
americana, nel caso Griswold v. Connecticut, 381 U.S. 479 - 1965) 5
.
1
V. Mathieu Vittorio; Privacy e dignità dell’uomo, Una teoria della persona, Torino, G. Giappichelli Editore, 2004,
Sommario, p. 33
2
V. cit. Polin, Raymond in; Mathieu Vittorio, Privacy e dignità dell’uomo, Una teoria…, Torino, G. Giappichelli
Editore, 2004, p. 3
3
Le public e le privè, la crise du modele occidental de l’Ẻtat. Atti del colloquio internazionale, Venezia 12-15 dicembre
1978. Istituto di Studi Filosofici, Roma 1979.
4
V. de Franchis Francesco; Dizionario giuridico ‘Inglese-Italiano’, Roma, pag. 1187; cfr. con Garzantina, Diritto,
Garzanti, alla voce ‘riservatezza, diritto alla’.
5
E’ altresì utile citare anche l’opinione di F. Gazzoni al riguardo della privacy, secondo il quale “ogni individuo ha
diritto alla intimità della vita privata e familiare, contro ingerenze altrui (pur se compiute fuori dal domicilio domestico,
con mezzi leciti e per scopi non solo speculativi) a prescindere dalla tutela dell’onore, del decoro, della reputazione ed
anche del diritto all’immagine, la cui tutela, peraltro, interferisce con quella della riservatezza” (V. F. Gazzoni; Manuale
di Diritto Privato, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2004 [XI edizione], p.182).
La Privacy italiana & inglese
Nell’ordinamento di Civil Law italiano, questa privacy assume un concetto piuttosto
esteso; va infatti a cogliere gli elementi puramente personalistici6
, dando loro estrema
importanza, per poi concludere a regolamentare gli aspetti più formali (e a volte più
astratti7
). Coadiuvata dal decreto legislativo n.196 del 2003, la Privacy, in realtà, si
presenta nella società italiana con “disposizioni piuttosto frammentate a cui si
accompagnano gravi incertezze a livello dottrinale”8
, a dire il vero parzialmente risolte
grazie al suddetto decreto.
Andando ad osservare i principi generali del Diritto alla protezione dei dati personali,
possiamo notare come la privacy rivesta un ruolo di ipotetico perimetro insuperabile,
rispetto alla “sempre maggiore esposizione dei privati al pregiudizio di schedature
utilizzabili a fine di controllo”9
. In particolare, la privacy italiana, dopo i recenti sviluppi
relativi all’anno 2003 sembra mettere definitivamente il consociato nelle condizioni di
“mantenere il controllo sulle proprie informazioni”10
; cioè di regolare il flusso degli
accadimenti più o meno informali che lo riguardano, o anche di interromperlo.
Ritornando al discorso puramente legislativo, è necessario osservare come, l’elemento
della privacy, sia stato in realtà previamente affrontato dall’ordinamento in epoche più
lontane - seppure nella maniera superficiale che prima si affermava. In dettaglio, è
interessante notare che la prima legge al riguardo è la n.300 del 20 maggio 1970 (c.d.
“Statuto dei lavoratori”). Questa si dipanava però in pochi articoli e ha primariamente
introdotto norme riguardanti i limiti di utilizzo di impianti audiovisivi, nonché il divieto
di indagini sulle opinioni.
Nel 1981, successivamente, la Convenzione di Strasburgo, sulla protezione delle persone
rispetto al trattamento automatizzato di dati di carattere personale (v. Convenzione,
28 gennaio 1981, n. 108, ratificata dalla legge n.98 del 21 febbraio 1989), enunciava il
principio della tutela dei diritti e delle libertà fondamentali della persona, e, in
particolare, del diritto al rispetto della vita privata a fronte del trattamento
automatizzato dei dati personali.
Seguono poi delle leggi di minore importanza (v. legge 1° aprile 1981, n. 121, “Nuovo
ordinamento dell’amministrazione della pubblica sicurezza”), finché nel 24 ottobre
1995, con Direttiva 46/CE, il Parlamento europeo e il Consiglio della Comunità europea
sanciscono che “ciascuno Stato membro deve garantire la tutela dei diritti e delle
libertà fondamentali delle persone fisiche e particolarmente del diritto alla vita privata,
con riguardo al trattamento dei dati personali, senza tuttavia restringere (o vietare), per
motivi connessi alla predetta tutela, la libera circolazione dei dati personali tra Stati
membri”.
A questa segue la Direttiva 2002/58/CE, che legifera la sfera prettamente riguardante il
trattamento dei dati personali e la tutela della vita privata nel settore delle
6
V. legge 31 dicembre 1996, n.675, CAPO I, Principi generali, Art.1: ‘finalità e definizioni’.
7
V. legge 31 dicembre 1996, n.675, CAPO IX, art. 42: ‘modifiche a disposizioni vigenti’.
8
V. de Franchis Francesco; Dizionario giuridico ‘Inglese-Italiano’, Roma, pag. 1187.
9
V. Rodotà; Elaboratori elettronici e controllo sociale, Bologna, 1973, citato in: Cirillo Gianpiero Paolo; Il codice
sulla protezione dei dati personali, Milano, Giuffrè editore, 2004, p. 11
10
V. Rodotà; Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, citato in: Cirillo Gianpiero Paolo; Il codice sulla protezione dei dati
personali, Milano, Giuffrè editore, 2004, p. 11
comunicazioni elettroniche; al fine di assicurare la libera e legittima circolazione dei
dati inerenti i privati nelle apparecchiature elettroniche11
.
Come si vede, perciò, l’Italia (ma anche tutti i paesi di Civil Law) tende ad evidenziare
in particolar modo – come si è già detto – l’essenza puramente personalistica di questo
diritto alla privacy, da noi ribattezzato ‘riservatezza’, corpo inizialmente estraneo
all’ordinamento, ma che si è inserito nello stesso un poco alla volta, a causa,
probabilmente, di un “assoluta indifferenza da parte del cittadino stesso a questo suo
problema, che eppure è fondamentale, abituato ad una tradizionale violazione da parte
degli organi pubblici e privati della propria privacy [sic]” 12
.
Inoltre, integralmente, il diritto alla privacy italiano (come quello inglese – seppur in
maniera indiretta come si vedrà più avanti) si rifà ai diritti fondamentali di valore
internazionale emessi dalla sede O.N.U. di New York il 10 dicembre 1948, in occasione
della illustre Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, in realtà fondamenti non
ancora totalmente assimilati, nell’interezza delle nazioni del globo. Si ha perciò – di
fatto - un diritto di riservatezza come un diritto al segreto e all’immagine (parte che
sembra particolarmente a cuore a tutti gli ordinamenti sviluppati), nonché come diritto
all’identità – elemento anch’esso al nostro ordinamento molto familiare13
.
Ora esaminate queste particolarità relative al nostro paese, si deve dunque procedere
all’esamina del modello inglese. L’ordinamento Common Law relativo a tutto lo United
Kingdom, infatti, dispone dei criteri che vanno al di fuori dell’europeista concezione
sostanzialmente etica, risalente all’esperienza della Rivoluzione Francese. A questo
dettato, perciò, si potrebbero – almeno teoricamente – muovere delle critiche, poiché il
diritto al nome e all’immagine (tanto per citare i due più conosciuti pilastri della nostra
right of privacy) di diritto e di fatto, non esistono nel mondo monarchico. Non vi è
nessuna legge al riguardo – ma ciò non deve trarre in inganno. Infatti, i più intimi
dettagli di una persona possono essere pubblicati; a condizione che il fatto non dia luogo
alla c.d. defamation (caso che altresì il nostro ordinamento tutela, trattasi della nota
diffamazione), che è inquadrata in una semplice cornice di (severa) tutela della
reputazione altrui in tema di libel.
Da qui la necessità di procedere all’identificazione del termine tecnico libel: “Libel is
the publication of a statement which exposes a person to hatred, ridicule or contemptor
which causes him to beshunned or avoided or which has a tendency to injure him in his
office, trade or profession in the estimation of right-thinking members of society
generally; Libel is all about words that damage a person's reputation in the eyes of
reasonable people”14
. Tuttavia, se tali ‘statements’ corrispondono a realtà, allora il
giudice inglese, premesso ciò, potrà accordare alla parte richiamata in giudizio maggiori
strumenti di difesa (in tal caso la dottrina inglese suole parlare di rehabilitation of
11
V. anche panoramica sulle leggi relative ai paesi dell’Unione Europea, in materia di protezione di dati personali, su:
http://europa.eu.int/comm/international_market/privacy/law/implementation_en.htm.
12
V. de Franchis Francesco; Dizionario giuridico ‘Inglese-Italiano’, Roma, pag. 1188.
13
V. art. 22 Cost. It., di conseguenza generalizzato dall’art. 2 Cost. It.
14
Trad: “(Il) libel consiste nella pubblicazione di un pensiero falso e malevolo nei confronti di una persona che viene
descritta come pericolosa, viene messa al ridicolo, o comunque sotto cattiva luce nei confronti della società, con la
conseguenza che questa sarà evitata o danneggiata nel suo lavoro d’ufficio, commercio o professione nei confronti della
stessa società generalizzata. (Il) libel riguarda dunque tuttociò che danneggia la reputazione della persona agli occhi
della società". Caldamente consigliata la visione del sito internet sul libel inglese: http://www.newsdesk-
uk.com/law/libelcheck.shtml; il sito tratta esaurientemente la definizione di libel, fornendone casi specifici e
spiegandone il criterio d’azione giudiziale nel caso che questo diritto “alla buona reputazione” venga oggettivamente
leso.
offenders15
). E’ importante aggiungere che, la “privacy inglese”, permette poi a coloro
che hanno espresso tali pensieri lesivi, un ulteriore effetto di “alleviamento della
colpa”, qualora loro stessi riescano a manifestare la loro good faith (buona fede; se
l’offensore non era al corrente delle particolari condizioni economiche, sociali, politiche
ma anche di salute della persona discussa), la c. d. without malice (mancanza di
malizia, nel proferir il commento incriminato) o l’interessante caso del public interest
(caso di interesse pubblico; l’ordinamento inglese, infatti prevede che qualora il
soggetto non appartenga alla public arena, ovvero al settore delle pubblicazioni,
scandalistiche o meno, debba guardarsi bene da esibirsi in commenti pericolosi riguardo
alle personalità nelle pubblicazioni stesse, a meno che questa non risulti – per l’appunto
– un salariato del settore sopra descritto).
Ma è forse proprio questo elemento ad accomunare i due ordinamenti presi in esame. E’
interessante notare come anche nell’esperienza italiana, si siano stabiliti dei codici di
“buona condotta”, che si rifanno largamente al settore delle pubblicazioni su vasta scala
territoriale, e che investono tutti i professionisti del settore. Ma non solo. E’ infatti con
la legge n. 675 del 1996, che i codici deontologici e di buona condotta assumono un
significato particolarmente evidente. In quell’anno infatti, il c.d. “codice dei giornalisti”
risalente primordialmente al 1989, con la già citata legge n. 98 – ratifica della legge
dell’Accordo di Strasburgo, viene accompagnato da altri codici per altrettanti settori
pubblici. Vi è insomma una sentita necessità, sviluppatasi solo nel tempo, di vagliare le
informazioni e tutelare il privato nella sua reputazione e identità.
Nella terra d’albione, di primaria importanza è invece il Data Protection Act del 199816
,
che stabilisce, in maniera certosina, quali provvedimenti configurare per ogni necessità,
stabilendo con rigidi principi il campo d’azione della legge al riguardo, atto che
troviamo fondamentale citare, ma che non tratteremo data la sua vastità casistica. Si
deve solamente sottolineare come l’ordinamento inglese rifiuti una qualsiasi tutela
contro il privato per le “intercettazioni telefoniche o altre conversazioni, e perfino lo
spionaggio industriale” ove “l’unico modo di proteggere indirettamente la riservatezza,
a parte l’azione di libel, ha luogo attraverso le azioni previste a tutela del possesso dei
beni di una persona (trespass17
, nuisance18
), ovvero del diritto d’autore, del diritto di
brevetto o dei marchi di fabbrica” 19
; situazione tra l’altro ripresentatasi concretamente
nell’estate del 2004, dove i service provider britannici bocciarono la proposta del
ministro degli interni David Blunkett, al fine di consentire alla polizia e ai servizi di
15
Trad. lett.: “Riabilitazione dell’offensore”. Questo configura – com’è già stato spiegato – una capacità maggiore di
difesa dell’accusato contro le pretese dell’offeso, sempre in sede giudiziale.
16
Si consiglia di ricercare il Data Protection Act nell’omonimo sito internet inglese della House of Commons (trad.:
Camera dei Comuni): http://www.parliament.uk/
17
Trespass; “termine intraducibile che indica una vasta figura di illecito costituita da una serie di comportamenti che
danno luogo ad illeciti civili o penali o addirittura ad entrambi” (V. de Franchis Francesco; Dizionario giuridico
‘Inglese-Italiano’, Roma, pag. 1188, parte I) è perciò un’azione di protezione per beni mobili e immobili, ma anche per
l’integrità fisica della persona stessa. Una piccola curiosità: il trespass nasce come writ reale in Inghilterra nel lontano
XIII secolo, precisamente intorno al 1285, al tempo di Enrico II, che invece, con lo Statuto di Westminster cercava
inutilmente di porre un freno al forte sviluppo dei sempre maggiori casi di Common Law. Da allora, la Cancelleria
Reale abbraccerà poco alla volta funzioni giurisprudenziali, giudicando i casi secondo profili di equità – rispetto ai
consueti principi di giustizia. Inizia così la nascita dell’Equity Law, che giunge fino ai nostri tempi nel pieno del suo
sviluppo plurisecolare! (In questo caso V. A. Cavanna; Storia, pp. 516-518, citato in: Caravale Mario; Ordinamenti
giuridici dell’Europa medievale, Bologna, il Mulino, 1994, p. 411).
18
Nuisance; “molestia o turbativa in genere. Definita più spesso come qualsiasi illecito che interferisca con l’uso o
godimento dei beni immobili in danno all’avente diritto, ovvero minaccia alla di lui salute. […] La nuisance non è
esperibile se la condotta non dà luogo al danno” (de Franchis Francesco; Dizionario giuridico ‘Inglese-Italiano’, Roma,
pag. 1188, parte I).
19
V. de Franchis Francesco; Dizionario giuridico ‘Inglese-Italiano’, Roma, pag. 1188, parte I.
intelligence libero accesso ai dati personali dei propri utenti; poiché secondo l’articolo
del giorno dopo del “The Guardian” (quotidiano a larga diffusione in Inghilterra), i
service provider non avrebbero visto i presupposti per intensificare i controlli né per
obbligare le società a conservare per mesi e anni le 'tracce' degli utenti20
.
Dati tutti questi elementi, si potrebbe perciò azzardare l’ipotesi di una sostanziale
differenza nei due sistemi trattati, che segnalano una maggiore libertà – e formalità -
nel settore inglese21
(assistito da una volontà pubblica che sembra intimorita dallo
spauracchio di una ipotetica limitazione della libertà d’espressione) ed una maggiore (e
forse anche apparente) tutela nel caso italiano della difesa della privacy, che considera
e tutela primariamente la persona nel suo fondamento umano stesso, andando perciò a
sottolineare l’aspetto sostanziale, seguendo dunque i principi della Dichiarazione
Universale, ripresi evidentemente nella Costituzione stessa22
; elemento però soggetto di
conflitto d’interessi, poiché occorre altresì “fare un bilanciamento tra due interessi
egualmente rilevanti” ove “accanto alla protezione del singolo si deve tutelare il diritto
di sapere dei consociati, di essere informati, diritto protetto anch’esso, sia pure
indirettamente, dalla Costituzione (art. 21)” 23
.
20
V. sito internet: http://www.privacy.it, nella sezione relativa all’estero, Inghilterra.
21
Per esaminare più approfonditamente il sistema di Common Law inglese caldamente consigliata è la visione del sito
internet: http://www.lawteacher.net/english.htm
22
V. art. 2 Cost. ma anche 21 Cost., cfr. con l’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo.
23
V. Garzantina; Diritto, Garzanti, alla voce “riservatezza, diritto alla’.
Bibliografia
- Autori vari: Garzantina, Diritto, Garzanti, Torino, 2001;
- Caravale Mario: Ordinamenti giuridici dell’Europa medievale, il Mulino, Bologna,
1994;
- Cirillo Gianpiero Paolo (a cura di): Il codice sulla protezione dei dati personali,
Giuffrè Editore, Milano, 2004;
- De Franchis Francesco: Dizionario Giuridico ‘Inglese-Italiano’, Roma, 1974 (?);
- Gazzoni Francesco: Manuale di Diritto privato, Edizioni Scientifiche Italiane,
Napoli, 2004 (XI edizione);
- Mathieu Vittorio : Privacy e dignità dell’uomo. Una teoria della persona,
Giappichelli, Torino, 2004.

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Privacy in England and Italy

  • 1. LUMSA Facoltà di Scienze Giuridiche Seminario di Terminologia giuridica comparata docente: Igino Schraffl “La Privacy in Inghilterra e in Italia” Francesco Sabatini ( matricola 03592/400)
  • 2. Premessa al lavoro Lungo il tortuoso processo di evoluzione, tutti gli ordinamenti secolari hanno mostrato, conseguentemente al disfacimento dello jus commune, nel lontano periodo medievale, una certa diversità contenutistica (ma anche proceduralistica) andatasi lentamente ad accentuare, dove si ponevano dunque le prime basi di una personalità giuridica sempre più differente da stato a stato. Oggi, queste fondamenta sono ormai molto sviluppate e diversificate, ma possiamo agevolmente rintracciare delle similarità di istituti e di diritto in tutta Europa, pur a fronte di una summa divisio, ovvero una profonda divisione storico-culturale – e di conseguenza giuridica - tra le diverse famiglie di stati di Common Law e di Civil Law. La Privacy nel suo fondamento Tuttavia, nel nostro piccolo, ci limiteremo a trattare di una delle più eminenti differenze che si crede intercorra negli ordinamenti della famiglia romano-germanica e della Common Law, relativamente all’istituto giuridico della Privacy. Necessità è infatti quella di un diretto confronto relativo all’istituto suddetto nell’ordinamento Inglese e quello Italiano. E’ doveroso iniziare primariamente la trattazione stabilendo – prima di riversare sulla materia dati e giudizi avventati – cos’è la Privacy nel suo fondamento stesso. Consultando il parere di alcuni grandi esperti, giuristi o meno - ma comunque pensatori - si scopre che la Privacy è la “difesa di un ambitus privato da intrusioni dall’esterno, difesa che ha sempre trovato posto nel diritto come protezione, sia nel possesso (a partire dal possesso del proprio corpo, sia della proprietà (disponibilità esclusiva della cosa)” 1 . Oppure, sembra essere quella cosa che non assume connotati umani “se non s’incarna nel mondo esterno e negli altri”2 : “l’esistenza privata, nata dalla libertà d’espressione non può esistere se non si afferma e s’impone nell’incertezza e nel rischio […]. L’esistenza privata si fa riconoscere dagli altri, dal pubblico, come l’auctor, autore di sé” 3 . Altri affermano più concretamente che consiste nella riservatezza, intimità, riserbo in genere – ovvero un termine molto ampio, dai contorni imprecisi4 . Infine, taluni sottolineano la sua astrattezza affermando che: “’Privacy’ is a broad, abstract and ambiguous concept” (dalle parole di Hugo Black, giudice della Supreme Court americana, nel caso Griswold v. Connecticut, 381 U.S. 479 - 1965) 5 . 1 V. Mathieu Vittorio; Privacy e dignità dell’uomo, Una teoria della persona, Torino, G. Giappichelli Editore, 2004, Sommario, p. 33 2 V. cit. Polin, Raymond in; Mathieu Vittorio, Privacy e dignità dell’uomo, Una teoria…, Torino, G. Giappichelli Editore, 2004, p. 3 3 Le public e le privè, la crise du modele occidental de l’Ẻtat. Atti del colloquio internazionale, Venezia 12-15 dicembre 1978. Istituto di Studi Filosofici, Roma 1979. 4 V. de Franchis Francesco; Dizionario giuridico ‘Inglese-Italiano’, Roma, pag. 1187; cfr. con Garzantina, Diritto, Garzanti, alla voce ‘riservatezza, diritto alla’. 5 E’ altresì utile citare anche l’opinione di F. Gazzoni al riguardo della privacy, secondo il quale “ogni individuo ha diritto alla intimità della vita privata e familiare, contro ingerenze altrui (pur se compiute fuori dal domicilio domestico, con mezzi leciti e per scopi non solo speculativi) a prescindere dalla tutela dell’onore, del decoro, della reputazione ed anche del diritto all’immagine, la cui tutela, peraltro, interferisce con quella della riservatezza” (V. F. Gazzoni; Manuale di Diritto Privato, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2004 [XI edizione], p.182).
  • 3. La Privacy italiana & inglese Nell’ordinamento di Civil Law italiano, questa privacy assume un concetto piuttosto esteso; va infatti a cogliere gli elementi puramente personalistici6 , dando loro estrema importanza, per poi concludere a regolamentare gli aspetti più formali (e a volte più astratti7 ). Coadiuvata dal decreto legislativo n.196 del 2003, la Privacy, in realtà, si presenta nella società italiana con “disposizioni piuttosto frammentate a cui si accompagnano gravi incertezze a livello dottrinale”8 , a dire il vero parzialmente risolte grazie al suddetto decreto. Andando ad osservare i principi generali del Diritto alla protezione dei dati personali, possiamo notare come la privacy rivesta un ruolo di ipotetico perimetro insuperabile, rispetto alla “sempre maggiore esposizione dei privati al pregiudizio di schedature utilizzabili a fine di controllo”9 . In particolare, la privacy italiana, dopo i recenti sviluppi relativi all’anno 2003 sembra mettere definitivamente il consociato nelle condizioni di “mantenere il controllo sulle proprie informazioni”10 ; cioè di regolare il flusso degli accadimenti più o meno informali che lo riguardano, o anche di interromperlo. Ritornando al discorso puramente legislativo, è necessario osservare come, l’elemento della privacy, sia stato in realtà previamente affrontato dall’ordinamento in epoche più lontane - seppure nella maniera superficiale che prima si affermava. In dettaglio, è interessante notare che la prima legge al riguardo è la n.300 del 20 maggio 1970 (c.d. “Statuto dei lavoratori”). Questa si dipanava però in pochi articoli e ha primariamente introdotto norme riguardanti i limiti di utilizzo di impianti audiovisivi, nonché il divieto di indagini sulle opinioni. Nel 1981, successivamente, la Convenzione di Strasburgo, sulla protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato di dati di carattere personale (v. Convenzione, 28 gennaio 1981, n. 108, ratificata dalla legge n.98 del 21 febbraio 1989), enunciava il principio della tutela dei diritti e delle libertà fondamentali della persona, e, in particolare, del diritto al rispetto della vita privata a fronte del trattamento automatizzato dei dati personali. Seguono poi delle leggi di minore importanza (v. legge 1° aprile 1981, n. 121, “Nuovo ordinamento dell’amministrazione della pubblica sicurezza”), finché nel 24 ottobre 1995, con Direttiva 46/CE, il Parlamento europeo e il Consiglio della Comunità europea sanciscono che “ciascuno Stato membro deve garantire la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche e particolarmente del diritto alla vita privata, con riguardo al trattamento dei dati personali, senza tuttavia restringere (o vietare), per motivi connessi alla predetta tutela, la libera circolazione dei dati personali tra Stati membri”. A questa segue la Direttiva 2002/58/CE, che legifera la sfera prettamente riguardante il trattamento dei dati personali e la tutela della vita privata nel settore delle 6 V. legge 31 dicembre 1996, n.675, CAPO I, Principi generali, Art.1: ‘finalità e definizioni’. 7 V. legge 31 dicembre 1996, n.675, CAPO IX, art. 42: ‘modifiche a disposizioni vigenti’. 8 V. de Franchis Francesco; Dizionario giuridico ‘Inglese-Italiano’, Roma, pag. 1187. 9 V. Rodotà; Elaboratori elettronici e controllo sociale, Bologna, 1973, citato in: Cirillo Gianpiero Paolo; Il codice sulla protezione dei dati personali, Milano, Giuffrè editore, 2004, p. 11 10 V. Rodotà; Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, citato in: Cirillo Gianpiero Paolo; Il codice sulla protezione dei dati personali, Milano, Giuffrè editore, 2004, p. 11
  • 4. comunicazioni elettroniche; al fine di assicurare la libera e legittima circolazione dei dati inerenti i privati nelle apparecchiature elettroniche11 . Come si vede, perciò, l’Italia (ma anche tutti i paesi di Civil Law) tende ad evidenziare in particolar modo – come si è già detto – l’essenza puramente personalistica di questo diritto alla privacy, da noi ribattezzato ‘riservatezza’, corpo inizialmente estraneo all’ordinamento, ma che si è inserito nello stesso un poco alla volta, a causa, probabilmente, di un “assoluta indifferenza da parte del cittadino stesso a questo suo problema, che eppure è fondamentale, abituato ad una tradizionale violazione da parte degli organi pubblici e privati della propria privacy [sic]” 12 . Inoltre, integralmente, il diritto alla privacy italiano (come quello inglese – seppur in maniera indiretta come si vedrà più avanti) si rifà ai diritti fondamentali di valore internazionale emessi dalla sede O.N.U. di New York il 10 dicembre 1948, in occasione della illustre Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, in realtà fondamenti non ancora totalmente assimilati, nell’interezza delle nazioni del globo. Si ha perciò – di fatto - un diritto di riservatezza come un diritto al segreto e all’immagine (parte che sembra particolarmente a cuore a tutti gli ordinamenti sviluppati), nonché come diritto all’identità – elemento anch’esso al nostro ordinamento molto familiare13 . Ora esaminate queste particolarità relative al nostro paese, si deve dunque procedere all’esamina del modello inglese. L’ordinamento Common Law relativo a tutto lo United Kingdom, infatti, dispone dei criteri che vanno al di fuori dell’europeista concezione sostanzialmente etica, risalente all’esperienza della Rivoluzione Francese. A questo dettato, perciò, si potrebbero – almeno teoricamente – muovere delle critiche, poiché il diritto al nome e all’immagine (tanto per citare i due più conosciuti pilastri della nostra right of privacy) di diritto e di fatto, non esistono nel mondo monarchico. Non vi è nessuna legge al riguardo – ma ciò non deve trarre in inganno. Infatti, i più intimi dettagli di una persona possono essere pubblicati; a condizione che il fatto non dia luogo alla c.d. defamation (caso che altresì il nostro ordinamento tutela, trattasi della nota diffamazione), che è inquadrata in una semplice cornice di (severa) tutela della reputazione altrui in tema di libel. Da qui la necessità di procedere all’identificazione del termine tecnico libel: “Libel is the publication of a statement which exposes a person to hatred, ridicule or contemptor which causes him to beshunned or avoided or which has a tendency to injure him in his office, trade or profession in the estimation of right-thinking members of society generally; Libel is all about words that damage a person's reputation in the eyes of reasonable people”14 . Tuttavia, se tali ‘statements’ corrispondono a realtà, allora il giudice inglese, premesso ciò, potrà accordare alla parte richiamata in giudizio maggiori strumenti di difesa (in tal caso la dottrina inglese suole parlare di rehabilitation of 11 V. anche panoramica sulle leggi relative ai paesi dell’Unione Europea, in materia di protezione di dati personali, su: http://europa.eu.int/comm/international_market/privacy/law/implementation_en.htm. 12 V. de Franchis Francesco; Dizionario giuridico ‘Inglese-Italiano’, Roma, pag. 1188. 13 V. art. 22 Cost. It., di conseguenza generalizzato dall’art. 2 Cost. It. 14 Trad: “(Il) libel consiste nella pubblicazione di un pensiero falso e malevolo nei confronti di una persona che viene descritta come pericolosa, viene messa al ridicolo, o comunque sotto cattiva luce nei confronti della società, con la conseguenza che questa sarà evitata o danneggiata nel suo lavoro d’ufficio, commercio o professione nei confronti della stessa società generalizzata. (Il) libel riguarda dunque tuttociò che danneggia la reputazione della persona agli occhi della società". Caldamente consigliata la visione del sito internet sul libel inglese: http://www.newsdesk- uk.com/law/libelcheck.shtml; il sito tratta esaurientemente la definizione di libel, fornendone casi specifici e spiegandone il criterio d’azione giudiziale nel caso che questo diritto “alla buona reputazione” venga oggettivamente leso.
  • 5. offenders15 ). E’ importante aggiungere che, la “privacy inglese”, permette poi a coloro che hanno espresso tali pensieri lesivi, un ulteriore effetto di “alleviamento della colpa”, qualora loro stessi riescano a manifestare la loro good faith (buona fede; se l’offensore non era al corrente delle particolari condizioni economiche, sociali, politiche ma anche di salute della persona discussa), la c. d. without malice (mancanza di malizia, nel proferir il commento incriminato) o l’interessante caso del public interest (caso di interesse pubblico; l’ordinamento inglese, infatti prevede che qualora il soggetto non appartenga alla public arena, ovvero al settore delle pubblicazioni, scandalistiche o meno, debba guardarsi bene da esibirsi in commenti pericolosi riguardo alle personalità nelle pubblicazioni stesse, a meno che questa non risulti – per l’appunto – un salariato del settore sopra descritto). Ma è forse proprio questo elemento ad accomunare i due ordinamenti presi in esame. E’ interessante notare come anche nell’esperienza italiana, si siano stabiliti dei codici di “buona condotta”, che si rifanno largamente al settore delle pubblicazioni su vasta scala territoriale, e che investono tutti i professionisti del settore. Ma non solo. E’ infatti con la legge n. 675 del 1996, che i codici deontologici e di buona condotta assumono un significato particolarmente evidente. In quell’anno infatti, il c.d. “codice dei giornalisti” risalente primordialmente al 1989, con la già citata legge n. 98 – ratifica della legge dell’Accordo di Strasburgo, viene accompagnato da altri codici per altrettanti settori pubblici. Vi è insomma una sentita necessità, sviluppatasi solo nel tempo, di vagliare le informazioni e tutelare il privato nella sua reputazione e identità. Nella terra d’albione, di primaria importanza è invece il Data Protection Act del 199816 , che stabilisce, in maniera certosina, quali provvedimenti configurare per ogni necessità, stabilendo con rigidi principi il campo d’azione della legge al riguardo, atto che troviamo fondamentale citare, ma che non tratteremo data la sua vastità casistica. Si deve solamente sottolineare come l’ordinamento inglese rifiuti una qualsiasi tutela contro il privato per le “intercettazioni telefoniche o altre conversazioni, e perfino lo spionaggio industriale” ove “l’unico modo di proteggere indirettamente la riservatezza, a parte l’azione di libel, ha luogo attraverso le azioni previste a tutela del possesso dei beni di una persona (trespass17 , nuisance18 ), ovvero del diritto d’autore, del diritto di brevetto o dei marchi di fabbrica” 19 ; situazione tra l’altro ripresentatasi concretamente nell’estate del 2004, dove i service provider britannici bocciarono la proposta del ministro degli interni David Blunkett, al fine di consentire alla polizia e ai servizi di 15 Trad. lett.: “Riabilitazione dell’offensore”. Questo configura – com’è già stato spiegato – una capacità maggiore di difesa dell’accusato contro le pretese dell’offeso, sempre in sede giudiziale. 16 Si consiglia di ricercare il Data Protection Act nell’omonimo sito internet inglese della House of Commons (trad.: Camera dei Comuni): http://www.parliament.uk/ 17 Trespass; “termine intraducibile che indica una vasta figura di illecito costituita da una serie di comportamenti che danno luogo ad illeciti civili o penali o addirittura ad entrambi” (V. de Franchis Francesco; Dizionario giuridico ‘Inglese-Italiano’, Roma, pag. 1188, parte I) è perciò un’azione di protezione per beni mobili e immobili, ma anche per l’integrità fisica della persona stessa. Una piccola curiosità: il trespass nasce come writ reale in Inghilterra nel lontano XIII secolo, precisamente intorno al 1285, al tempo di Enrico II, che invece, con lo Statuto di Westminster cercava inutilmente di porre un freno al forte sviluppo dei sempre maggiori casi di Common Law. Da allora, la Cancelleria Reale abbraccerà poco alla volta funzioni giurisprudenziali, giudicando i casi secondo profili di equità – rispetto ai consueti principi di giustizia. Inizia così la nascita dell’Equity Law, che giunge fino ai nostri tempi nel pieno del suo sviluppo plurisecolare! (In questo caso V. A. Cavanna; Storia, pp. 516-518, citato in: Caravale Mario; Ordinamenti giuridici dell’Europa medievale, Bologna, il Mulino, 1994, p. 411). 18 Nuisance; “molestia o turbativa in genere. Definita più spesso come qualsiasi illecito che interferisca con l’uso o godimento dei beni immobili in danno all’avente diritto, ovvero minaccia alla di lui salute. […] La nuisance non è esperibile se la condotta non dà luogo al danno” (de Franchis Francesco; Dizionario giuridico ‘Inglese-Italiano’, Roma, pag. 1188, parte I). 19 V. de Franchis Francesco; Dizionario giuridico ‘Inglese-Italiano’, Roma, pag. 1188, parte I.
  • 6. intelligence libero accesso ai dati personali dei propri utenti; poiché secondo l’articolo del giorno dopo del “The Guardian” (quotidiano a larga diffusione in Inghilterra), i service provider non avrebbero visto i presupposti per intensificare i controlli né per obbligare le società a conservare per mesi e anni le 'tracce' degli utenti20 . Dati tutti questi elementi, si potrebbe perciò azzardare l’ipotesi di una sostanziale differenza nei due sistemi trattati, che segnalano una maggiore libertà – e formalità - nel settore inglese21 (assistito da una volontà pubblica che sembra intimorita dallo spauracchio di una ipotetica limitazione della libertà d’espressione) ed una maggiore (e forse anche apparente) tutela nel caso italiano della difesa della privacy, che considera e tutela primariamente la persona nel suo fondamento umano stesso, andando perciò a sottolineare l’aspetto sostanziale, seguendo dunque i principi della Dichiarazione Universale, ripresi evidentemente nella Costituzione stessa22 ; elemento però soggetto di conflitto d’interessi, poiché occorre altresì “fare un bilanciamento tra due interessi egualmente rilevanti” ove “accanto alla protezione del singolo si deve tutelare il diritto di sapere dei consociati, di essere informati, diritto protetto anch’esso, sia pure indirettamente, dalla Costituzione (art. 21)” 23 . 20 V. sito internet: http://www.privacy.it, nella sezione relativa all’estero, Inghilterra. 21 Per esaminare più approfonditamente il sistema di Common Law inglese caldamente consigliata è la visione del sito internet: http://www.lawteacher.net/english.htm 22 V. art. 2 Cost. ma anche 21 Cost., cfr. con l’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo. 23 V. Garzantina; Diritto, Garzanti, alla voce “riservatezza, diritto alla’.
  • 7. Bibliografia - Autori vari: Garzantina, Diritto, Garzanti, Torino, 2001; - Caravale Mario: Ordinamenti giuridici dell’Europa medievale, il Mulino, Bologna, 1994; - Cirillo Gianpiero Paolo (a cura di): Il codice sulla protezione dei dati personali, Giuffrè Editore, Milano, 2004; - De Franchis Francesco: Dizionario Giuridico ‘Inglese-Italiano’, Roma, 1974 (?); - Gazzoni Francesco: Manuale di Diritto privato, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2004 (XI edizione); - Mathieu Vittorio : Privacy e dignità dell’uomo. Una teoria della persona, Giappichelli, Torino, 2004.