2. 2
La percezione del rischio è personale: decidiamo
di affrontare o evitare la situazione di rischio in
modo soggettivo. Ogni nostra attività quotidiana
è basata sulla percezione che noi abbiamo del
rischio ed è il frutto di una sua conscia (o
inconscia) valutazione.
3. 3
Il processo percettivo del rischio è poi fortemente
influenzato dalle emozioni generate nel momento in
cui scopriamo ed impariamo un nuovo pericolo e quale
possibile danno può arrecarci.
4. 4
La percezione individuale del rischio:
• è influenzata da abitudini ed esperienze pregresse:
l’individuo tende a sottovalutare i rischi connessi alle abitudini di
lavoro (es. il mancato utilizzo di DPI), i rischi che si presentano
quotidianamente (es. allestimento di un ponteggio) e quelli a
bassa probabilità (es. crollo del ponteggio);
• si basa sull’esperienza personale o di altri (ad esempio in
questo momento tra le altre cose vi riporto le mi esperienze);
• varia in rapporto all’accettabilità collettiva del rischio (in un
determinato ambiente si fa così e tutti devono fare così, forma
mentis) che si modifica nel tempo (fino ad oggi era così, da oggi
in avanti…) nei luoghi, nei gruppi di lavoro, nelle culture ed in
rapporto ai valori personali e culturali, all’età, al sesso.
5. 5
Tale percezione dipende da:
- la conoscenza dei pericoli, quindi la sensazione di immunità da parte
di coloro che hanno familiarità con una determinata situazione;
- la libertà nell’assunzione del rischio (sono libero di fare quello che
voglio);
- la concentrazione del danno nel tempo (in una frazione di secondo
può succedere un danno e quindi non c’è la possibilità di riflettere ed
adottare le misure più opportune);
- la dannosità dei pericoli presenti e la loro frequenza;
- l’esposizione personale;
- la valutazione soggettiva costi/benefici: se un certo comportamento
arreca un altro beneficio, allora il rischio ad esso connesso sarà
percepito in misura minore. Es: un operaio in una piccola azienda
lavora su di una pressa con le protezioni disinserite: probabilmente
percepisce il pericolo derivante dall’operazione molto inferiore rispetto al
vantaggio che trae dal velocizzare il lavoro.
6. 6
La propensione, disposizione al rischio:
- decresce se gli eventi sono ritenuti incontrollabili dal soggetto e
dipendenti da forze, avvenimenti esterni (soggetto non coinvolto,
che non conosce neanche il 1° e 2° comma art. 20 D.Lgs 81/08);
invece il lavoratore deve essere coinvolto
- cresce se gli eventi sono ritenuti controllabili dal soggetto e anche
se dipendenti da forze esterne. Es: coloro che ritengono di poter
controllare i fattori che possono portare ad un disastro, come gli
automobilisti che pensano di essere particolarmente abili nel
guidare l’auto (l’incidente accade in una frazione di secondo),
anche in questo caso devono essere aumentate le conoscenze.
7. 7
Il Rischio è percepito negativo quando non è legato ad un obiettivo
importante, non promette vantaggi immediati, richiama
evidentemente una perdita.
Il Rischio è percepito positivo quando è associato ad una
motivazione rilevante, promette vantaggi immediati (es.: prendere
un appalto), gli svantaggi non sono immediatamente evidenti.
8. 8
Vi sono dei criteri di orientamento, ossia delle strategie mentali che utilizziamo
per “muoverci” in un ambiente incerto:
• primi giorni di lavoro, cambio di mansione, nuovo macchinario, nuovo
prodotto chimico, situazione totalmente nuova
(è stato osservato che gran parte degli infortuni accadono nelle situazioni sopra riportate)
9. 9
Una tranquilla giornata al mare
Anno 2004 Oceano Indiano
Si salvano:
- Alcune tribù indigene semiprimitive
- I turisti giapponesi
- Una bambina inglese che salva anche i suoi
genitori ed i turisti che erano insieme a loro
10. 10
Vi sono altri criteri di orientamento, ossia delle strategie mentali che utilizziamo
per “muoverci” in un ambiente incerto:
• eccessiva conoscenza di un determinato tipo di lavoro, macchinario,
prodotto chimico
(le situazioni sopra riportate portano ad avere atteggiamenti confidenziali che portano ad
un abbassamento della soglia di attenzione e quindi all’infortunio)
• mancanza di tempo
(es.: deve essere terminato un lavoro entro le 17.00, sono le 16.30; il lavoratore si trova su
una piattaforma di lavoro elevabile di 7.00 mt, si accorge di dover eseguire un lavoro a
10.00 mt di altezza che non aveva preventivato. Il lavoratore decide di …………………).
• c’è il tempo, ci sono le conoscenze, c’è negligenza
(atteggiamento di chi adempie svogliatamente e con scarso impegno i propri doveri)
Da sottolineare anche che è stata rilevata una significativa corrispondenza fra la
presenza di un pericolo/rischio nei media ed il grado di attenzione delle persone.
12. 12
12
La teoria psicologica della percezione ha arricchito il quadro
di analisi: insieme al concetto di rischio, inteso come calcolo
probabilistico (la probabilità che il danno si verifichi nelle
normali condizioni di utilizzo di un macchinario, prodotto,
nello svolgimento di un lavoro), troviamo il concetto
di pericolo (ciò che ha il potenziale di causare il danno)
13. 13
Alcune variabili di tipo individuale come gli atteggiamenti verso la
sicurezza, e di tipo sociale come il supporto dei colleghi, possono
influenzare la probabilità che si verifichino eventi infortunistici.
Gli studi socio-antropologici hanno evidenziato che la percezione
del rischio è fortemente influenzata dagli orientamenti culturali
prevalenti ed anche dai processi sociali che si realizzano intorno
alla definizione e valutazione del danno, ossia da tutta la dinamica
delle immagini e delle idee, sostenute da diversi attori sociali
(datore di lavoro, dirigente, preposto, lavoratore, progettista,
fabbricante, fornitore, installatore, manutentore) che si
confrontano comunicando. La teoria socio-culturale ha introdotto i
concetti di contesto, ambiente e costruzione sociale del rischio al
fine di analizzare le diverse situazioni in termini di comparazione
fra specificità locali e combinazioni di processi.
14. 14
Un intervento efficiente ed efficace sul rischio deve far leva sulla
percezione soggettiva del rischio ossia implica informare:
- sulle probabilità di rischio connesse ad eventi ad es. dei quali non si ha
esperienza o per i quali non è stato valutato il potenziale di rischio
- vicinanza: Quante volte si è verificato un incidente di quel tipo in questo
specifico ambiente di lavoro?
- potenziale catastrofico: Che danno provoca un incidente di quel tipo?
- numerosità: Quante volte si è verificato un incidente/infortunio di quel
tipo?
- sul riconoscimento degli indizi che suggeriscono la presenza di rischio su
come risolvere un evento che si rivela rischioso
- Occorre un’analisi approfondita dell’impatto che le nuove azioni avranno
nel contesto dell’attività normalmente svolta dall’individuo: in alcuni casi
sarà necessario informare sulle nuove pratiche, in altri fornire spinte
motivazionali e invece a volte ridisegnare completamente il
comportamento.
15. 15
15
Il Decreto Legislativo n. 81/2008 “Testo Unico in materia di sicurezza e salute nei
luoghi di lavoro” propone un sistema di gestione (preventivo e permanente) della
sicurezza e della salute in ambito lavorativo definendo in modo chiaro le
responsabilità e le figure in ambito aziendale per quanto concerne la sicurezza e
la salute dei lavoratori, e prevede l’uniformità della tutela dei lavoratori e delle
lavoratrici sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche riguardo alle differenze di
genere, età ed alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati. La
valutazione dei rischi, “anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle
sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi
di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi
compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui
anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti
dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato
di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n.
151, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da
altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui
viene resa la prestazione di lavoro”.
16. 16
16
DIFFERENZE LEGATE AL TIPO DI LAVORO, CONOSCENZE, ESPERIENZA,
CONTRATTO DI LAVORO
La percezione del rischio è direttamente influenzata dal tipo di lavoro svolto, dalle
conoscenze possedute e dall’esperienza professionale maturata nella mansione
specifica. In particolare è emerso che i lavoratori, le cui mansioni prevedono una
bassa discrezionalità decisionale, sarebbero più inclini agli infortuni in quanto investiti
da minori responsabilità in merito al conseguimento dei risultati, rispetto ai lavoratori
con mansioni di livello superiore, con maggiori conoscenze e maggior esperienza
lavorativa.
Secondo l'indagine condotta nel 2008 da Ires CGIL e Inail nel comparto sanitario
“i lavoratori atipici (part time, determinato, a chiamata) non strutturati percepiscono
come molto bassi i fattori di rischio tangibili, come ad esempio quelli meccanici,
mentre si sentono più esposti al pericolo di contrarre malattie di origine psicosociale
(stress, malattie alle vie respiratorie, cutanee, ecc.). I lavoratori a tempo
indeterminato sono invece quelli che in assoluto si sentono più esposti a tutte le
tipologie di rischio, quindi più il lavoratore ha un contratto standardizzato più è facile
che abbia la percezione del rischio e mantenga alto il suo livello di attenzione”.
17. 17
Relativamente agli immigrati, un’indagine condotta dalla ASL di Brescia in
aziende dei settori metallurgico, metalmeccanico e materie plastiche ha rivelato
che essi di solito lavorano nei reparti a maggior rischio, nelle postazioni di lavoro
più dequalificate per le quali non viene erogata formazione e sono maggiormente
disponibili a orari prolungati, a straordinari, al lavoro su turni, notturno, festivo.
Essi accettano condizioni di lavoro che gli italiani rifiutano sia perché il lavoro è
necessario per il permesso di soggiorno, sia perché consente di mantenere le
famiglie di origine ed i figli a scuola, sia perché devono contrattare con l’azienda
la possibilità di cumulare le ferie per poter tornare nel paese d’origine. Inoltre
molti immigrati, dipendenti da imprese esterne di pulizia, manutenzione impianti,
trasporti, lavorano in azienda ma non sono a conoscenza dell’intero ciclo
produttivo, del funzionamento degli impianti e non ricevono formazione come
accade invece per i dipendenti in organico, i quali a loro volta non trasmettono
loro le conoscenze. E’ come se fossero tagliati fuori, ancora più finché non
imparano l’italiano, da molte informazioni e relazioni.
18. 18
DIFFERENZE CULTURALI
L’assunzione di un comportamento di sicurezza è determinato anche dai valori
personali e culturali.
Ognuno di noi nel processo di socializzazione apprende vedendo le altre persone
nel proprio ambiente di vita (famiglia, amici, gruppo di lavoro): impara per
imitazione. Ognuno di noi crede di più a quello che vede fare ed ha dei propri
valori personali che, in parte, sono gli stessi della propria cultura di riferimento,
con differenze ad es. tra la cultura italiana, europea od occidentale rispetto a
culture come quelle di persone che vengono dall’Africa o dall’Asia e che con noi
condividono solo in parte certi valori o una certa sensibilità.
19. 19
I diversi comportamenti ed atteggiamenti culturali e quindi la diversa percezione
dell’immigrato, influenzata dai valori socio-culturali di origine, nel valutare il pericolo
influiscono sulla differente soglia di accettabilità del rischio e sul concetto di
benessere psicofisico. Il riadattamento di un individuo ad una nuova cultura può
avere una ricaduta proprio sulle modalità di percezione dei rischi per la sua salute e
in alcune culture, quando i vantaggi che ne conseguono sono comunque piacevoli e
gratificanti, la soglia di tollerabilità del rischio è più alta rispetto alla nostra cultura.
La disparità tra la percezione soggettiva ed il rischio oggettivo può essere ridotta
attraverso un intervento di educazione alla salute articolato su tre livelli:
prevenzione, contenimento del disagio, promozione delle situazioni di benessere.
20. 20
Inoltre per riuscire a comunicare efficacemente la sicurezza e per far sì che le
persone, anche di culture differenti, percepiscano davvero i rischi che hanno di fronte,
una tecnica che si può utilizzare è l’individuazione dell’opinion leader, cioè colui che fa
circolare l’informazione, che viene ascoltato dagli altri, che è un punto di riferimento
all’interno dei gruppi, che può coinvolgere gli altri componenti del gruppo.
Coinvolgendo l’opinion leader, si coinvolgono a cascata anche gli altri. Ed ovviamente
ci si può avvalere del supporto dei mediatori interculturali.
“...il primo corso sulla sicurezza l’ho fatto solo l’anno scorso, quando sono entrato non
c’era niente... mi hanno dato un opuscolo, solo in italiano, e poi mi hanno fatto firmare
che avevo avuto l’informazione sui rischi... per noi stranieri è un problema... io quando
leggo e non capisco non chiedo agli altri, nessuno di noi chiede agli altri... all’inizio
capivo solo i disegni, per fortuna c’era un vecchio operaio che mi ha aiutato... negli
altri paesi quello che serve per la sicurezza lo scrivono nelle diverse lingue, anche
quattro o cinque, magari in inglese, tanti di noi lo capiscono perché l’hanno studiato a
scuola… non si può fare così, è troppo pericoloso. Quando è stato assunto un altro
pakistano, l’hanno portato da me e mi hanno detto di spiegargli il lavoro... ma anche i
corsi per la sicurezza dovrebbero farne di speciali per noi immigrati perché gli italiani
capiscono mentre noi diciamo subito che abbiamo capito anche se non è vero... o se
no farci prima imparare l’italiano”.
21. 21
Le parole di questo lavoratore pakistano testimoniano come le differenze culturali
impattano sull’efficacia della formazione alla sicurezza, quando erogata: certi lavoratori
immigrati hanno difficoltà ad esporsi, a porre delle domande in pubblico, in prima persona,
hanno paura di essere giudicati dagli altri come non adeguati al lavoro. Per ovviare a tali
comportamenti improduttivi in termini di formazione, si può chiedere ai partecipanti al
corso di scrivere in modo anonimo su un foglio che si fa girare in aula, le domande che
vogliono porre.
Caratteristica dei lavoratori immigrati, anche di quelli che non hanno mai lavorato in
fabbrica e che provengono da paesi poveri di sviluppo industriale è la grande attenzione,
almeno all’inizio, al rispetto delle regole, quindi quando hanno compreso ciò che debbono
fare in termini di sicurezza sul lavoro, rispettano le direttive ricevute. Per molti immigrati le
capacità di disciplina e di autocontrollo vengono incentivate nello sviluppo e quindi
nell’acquisizione durante i percorsi scolastici, universitari e professionali. E’ più tardi che,
dal contatto con i lavoratori italiani, in particolare quelli più giovani, tendono ad assumere
comportamenti a rischio, non rispettando più le norme di sicurezza.
Di norma i lavoratori immigrati evidenziano carenze nella conoscenza del sistema di tutela
nei luoghi di lavoro, nella comprensione della formazione ricevuta in materia di sicurezza,
nell’atteggiamento culturale relativamente alle azioni da avviare per ridurre gli infortuni nel
luogo di lavoro.
22. 22
Le parole di questo lavoratore pakistano testimoniano come le differenze culturali
impattano sull’efficacia della formazione alla sicurezza, quando erogata: certi lavoratori
immigrati hanno difficoltà ad esporsi, a porre delle domande in pubblico, in prima persona,
hanno paura di essere giudicati dagli altri come non adeguati al lavoro. Per ovviare a tali
comportamenti improduttivi in termini di formazione, si può chiedere ai partecipanti al
corso di scrivere in modo anonimo su un foglio che si fa girare in aula, le domande che
vogliono porre.
Caratteristica dei lavoratori immigrati, anche di quelli che non hanno mai lavorato in
fabbrica e che provengono da paesi poveri di sviluppo industriale è la grande attenzione,
almeno all’inizio, al rispetto delle regole, quindi quando hanno compreso ciò che debbono
fare in termini di sicurezza sul lavoro, rispettano le direttive ricevute. Per molti immigrati le
capacità di disciplina e di autocontrollo vengono incentivate nello sviluppo e quindi
nell’acquisizione durante i percorsi scolastici, universitari e professionali. E’ più tardi che,
dal contatto con i lavoratori italiani, in particolare quelli più giovani, tendono ad assumere
comportamenti a rischio, non rispettando più le norme di sicurezza.
Di norma i lavoratori immigrati evidenziano carenze nella conoscenza del sistema di tutela
nei luoghi di lavoro, nella comprensione della formazione ricevuta in materia di sicurezza,
nell’atteggiamento culturale relativamente alle azioni da avviare per ridurre gli infortuni nel
luogo di lavoro.
23. 23
DIFFERENZE LEGATE AL SESSO
Esistono caratteristiche del mondo fisico, chimico e biologico che possono dar luogo a
danni diversi se le persone esposte sono di sesso diverso.
In questo posto di lavoro o in questa attività lavorativa, le caratteristiche fisiche, chimiche e
biologiche sono tali da assumere la caratteristica del pericolo in modo diverso se le
persone sono di sesso diverso? Queste eventuali differenze riguardano la probabilità o
l’intensità del danno? Queste differenze possono riguardare anche le misure di
prevenzione, ad es. la forma e le dimensioni dei DPI?
Studi hanno fornito risposte a queste domande identificando, ad es. i rischi per le funzioni
riproduttive e le implicazioni per la prole (in gestazione o durante l’allattamento) derivanti
dalle diverse esposizioni di maschi e femmine ad agenti chimici, fisici e biologici.
24. 24
DIFFERENZE LEGATE AL SESSO
Non solo differenze biologiche, chimiche, fisiche ma anche culturali e sociali (educazione
ricevuta, ruolo nella società, aspettative sociali, comunicazione, ecc.). Le donne, rispetto
agli uomini, sembrano avere maggiore sensibilità nella percezione del rischio e nella
gestione della prevenzione. Seguendo schemi di altruismo e abnegazione materna, le
donne possono perdere molta della loro determinazione nel perseguire il proprio
benessere qualora venga loro proposto un benessere collettivo, prioritario sul loro, di cui
siano investite di qualche responsabilità. L'indagine dell'Ires CGIL e Inail (2008) nel
comparto sanità, ha riscontrato una maggiore presenza di malattie di origine lavorativa tra
le donne: la disuguaglianza nel mercato del lavoro le vede sempre più in difficoltà rispetto
ai colleghi uomini nel raggiungere posizioni qualificate.
Inoltre va sottolineato come uno dei fattori di rischio psico-sociale che maggiormente
colpisce le donne, trascurato dalle ricerche e dagli interventi di prevenzione, è lo stress
lavoro-correlato che esse subiscono più degli uomini a causa del doppio carico di
lavoro, familiare ed extra-familiare. Qui merita citare l’indicazione da parte dell’Inail a
porre attenzione, nell’analisi del fenomeno stress che il Testo Unico impone, alla realtà
esterna, ossia alla condivisione dei ruoli di cura familiari, alla presenza di strutture di
accoglienza per l’infanzia e di strutture e servizi per anziani e persone non autosufficienti.
Affinché vi sia equilibrio tra vita privata e vita professionale, è necessaria una moderna
organizzazione del lavoro capace di far coesistere attività professionali di qualità con le
responsabilità di uomini e donne nel lavoro di cura.
25. 25
DIFFERENZE IN RAPPORTO ALL’ETA’
E’ stata riscontrata una maggiore incidenza di infortuni in ambito industriale, nei lavoratori
più giovani, ma infortuni meno gravi rispetto a quelli occorsi ai più anziani, spiegati non in
relazione alla disattenzione e all’impulsività dei giovani, quanto alla scarsa competenza
che li contraddistingue. Voglio poi fare un cenno all’inquinamento acustico. La scarsa
comprensione dei danni alla salute che l’ esposizione a rumore può comportare è forse
determinata, almeno per le lesioni a lungo termine, dall’impossibilità di verificare nel
quotidiano il danno e soprattutto dall’inesistenza del problema nel patrimonio culturale e
sociale. La fascia maggiormente esposta è quella giovanile, anche in considerazione delle
attività extralavorative svolte (es. ascoltare musica ad alto volume). Pongono quindi
maggiori resistenze psicologiche alla presa di coscienza del problema, perché ciò
comporta modifiche nello stile di vita non solo lavorativo.
26. 26
Al fine di incrementare i comportamenti “sicuri” nei luoghi di lavoro è indispensabile
intervenire sugli atteggiamenti dei lavoratori, promuovendone la condivisione di principi
che costituiscono una cultura della sicurezza, intesa come l’insieme delle percezioni che i
lavoratori manifestano rispetto al grado di impegno che la loro organizzazione rivolge ai
problemi del lavoro.
La formazione in materia di sicurezza gioca un ruolo importante nel determinare una
“corretta” percezione dei rischi occupazionali, in quanto ne aumenta la percezione di
controllo. Recentemente è stato dimostrato come i lavoratori che hanno ricevuto
un’adeguata formazione circa le procedure di sicurezza, percepiscano più correttamente la
pericolosità dei rischi ai quali sono esposti, rispetto ai colleghi non sottoposti ad alcun
training formativo.
Un buon clima di sicurezza, predittivo di un basso numero di infortuni, e quindi una
leadership che guida la costruzione ed il mantenimento della cultura della sicurezza,
influenzano in senso positivo l’adesione dei lavoratori alle procedure di sicurezza aziendali
e l’assunzione di comportamenti sicuri rispetto ai rischi occupazionali.
Considerando il numero elevato di variabili presenti in un evento infortunistico, studi hanno
concluso che le principali ipotesi esplicative sono riconducibili alla percezione del rischio,
agli aspetti di assuefazione alle situazioni di pericolo, ai fenomeni di automatizzazione, che
possono avere come effetto l’assunzione di comportamenti a rischio.
27. 27
Come il Datore di Lavoro può intervenire per sensibilizzare
ed orientare il lavoratore alla percezione del rischio in
azienda
28. 28
Tutto quello che facciamo è comunicazione, tutto produce un
effetto, tutto influisce sugli altri. E’ nel momento del primo
contatto che gli altri si fanno un’immagine al 90% positiva o
negativa di noi.
Poiché la prima impressione è quella che conta che cosa
possiamo fare per influire positivamente fin dai primi istanti?
Ognuno di noi non vale soltanto per quello che è o conosce,
ma per il modo in cui proietta all’esterno la sua personalità
29. 29
Mostriamo entusiasmo e cordialità.
Facciamo sì che il nostro interlocutore senta che siamo lieti di incontrare proprio lui.
Sorridiamo.
Un sorriso abbatte molte barriere, apre molte porte, sconfigge molte diffidenze.
Presentiamoci chiaramente.
Nessuno ama fingere di aver capito il nostro nome o confessare di non averlo capito.
Cortesia.
La cortesia è apprezzata da tutti, non costa nulla e rappresenta il miglior biglietto da visita.
Curiamo la nostra persona.
Fa sempre piacere poter parlare con una persona dall’aspetto piacevole.
Guardiamo negli occhi il nostro interlocutore.
E’ il modo migliore per mostrare sicurezza e infondere fiducia.
Interessiamoci sinceramente all’altro.
Il tempo impiegato a parlare con lui, a dargli riconoscimenti e a farlo sentire al centro delle
nostre attenzioni è un investimento a bassissimo costo e ad alto rendimento. Siamo tutti
assetati di riconoscimenti e tutti pensiamo di non riceverne mai abbastanza.
Chiamiamo spesso per nome il nostro interlocutore.
E’ il suono più dolce che ogni uomo conosce in qualsiasi lingua.
Usiamo un linguaggio comprensibile.
Qualunque persona è grata a chi la mette in condizione di comprendere presto e bene.
Usiamo un tono di voce caldo e un ritmo pacato.
Sembreremo più forti e sicuri (e sapendo di apparire sicuri lo saremo davvero!).
Osserviamo l’ambiente e i comportamenti.
Attraverso di essi il nostro interlocutore ci dice molto più di quanto non desideri.
30. 30
La Comunicazione consapevole
Tutti comunicano, ma quanti sono quelli che lo fanno
CONSAPEVOLMENTE?
Che cosa voglio dire esattamente?
Qual è il modo migliore per dirlo?
E’ il momento giusto?
Che impressione voglio dare di me?
Qual è il modo migliore per riuscirci?
Quali effetti sta provocando la mia comunicazione sul mio interlocutore?
Che sensazioni sto suscitando in lui? Che cosa mi dice il suo
atteggiamento?
Quali sono le sue reazioni?
31. 31
1. NOI COMUNICHIAMO SEMPRE
- con le parole
- con i gesti, l’espressione, lo sguardo, la postura
- con il tono e il volume della voce, con il ritmo dell’eloquio, con le pause
2. NOI COMUNICHIAMO CIO’ CHE L’ALTRO HA CAPITO
- non contano le intenzioni, conta il risultato
3. SIAMO RESPONSABILI DEL RISULTATO CHE OTTENIAMO
4. NOI INFLUIAMO SEMPRE SUGLI ALTRI
(sopratutto sul loro inconscio)
5. BASTA POCO PER INFLUIRE POSITIVAMENTE O
NEGATIVAMENTE FIN DAL PRIMO CONTATTO
(e ogni incontro è un primo contatto)
32. 32
LA COMUNICAZIONE EFFICACE
QUANDO PARLI, IL TUO DISCORSO DEVE ESSERE MIGLIORE DI QUELLO
CHE SAREBBE STATO IL TUO SILENZIO
(proverbio arabo)
Domandarono a Confucio: Da dove cominceresti se dovessi governare il popolo?
“Migliorerei l’uso del linguaggio” rispose il maestro.
Gli ascoltatori rimasero sorpresi:
“Ma non c’entra con la domanda!” dissero, “che cosa significa migliorare l’uso del
linguaggio?”
Confucio rispose:
“Se il linguaggio non è preciso, ciò che si dice non è ciò che si pensa e questo porta ad
opere irrealizzate, così facendo non progrediranno né la morale né l’arte e se arte e
morale non progrediscono, la giustizia non sarà giusta. Questo porterà ad una
nazione che non conoscerà il suo fondamento e il fine a cui tende. Non si tolleri
perciò alcun arbitrio nelle parole, ecco il problema primo e fondamentale”.
33. 33
La preparazione è la chiave del successo
Qual è il mio obiettivo? Che cosa voglio ottenere? Che cosa
deve accadere dopo che ho parlato? Come posso
suscitare l’interesse degli ascoltatori fin dal primo istante?
Come coinvolgerli? Quali punti toccare? Quali argomenti
approfondire? A cosa dare enfasi? Come concludere?
34. 34
L’importanza dell’efficacia della formazione alla sicurezza
La formazione è una misura di sicurezza al pari di un dispositivo di
protezione e deve essere efficace e efficiente. L’efficacia della formazione, la
verifica d’apprendimento, le responsabilità.
Sono due i motivi che esigono che una formazione alla sicurezza sia nei fatti, in
maniera dimostrabile “efficace”:
- “la formazione è una ‘misura di sicurezza’, essa infatti, al pari di un dispositivo
di protezione, svolge una funzione essenziale per il controllo dei rischi lavorativi;
- la formazione comporta “precise (e pesanti) responsabilità in chi con essa è
coinvolto (sempre di più poste in evidenza in tempi recenti)”: datore di lavoro, SPP
e soggetto formatore.
Se guardiamo alla formazione come misura di sicurezza, la normativa ci chiede
- a fronte di rischi lavorativi - “l’adozione di misure di sicurezza che eliminino o
riducano, nei limiti del tecnicamente fattibile, la loro entità o quella delle
conseguenze del loro verificarsi”. In questo senso la formazione alla sicurezza
“è l’unica misura che può essere validamente opposta alle situazioni di
rischio residuo” (es. auto con tutte le sicurezza, ma resta il rischio residuo
che può essere gestito dall’autista): è dalla formazione che può derivare da
parte del lavoratore il comportamento idoneo a “tenere sotto controllo un rischio
quando tutte le altre misure poste in atto non siano state in grado di eliminarlo”.
35. 35
Ad esempio, in una situazione in cui nonostante le precauzioni tecniche, protezioni
mobili che attenuano il rumore; persista un livello di rumore che richiede l’uso
di DPI auricolari, la misura di sicurezza non è rappresentata dal DPI, bensì dal
fatto che il DPI sia effettivamente portato dai lavoratori esposti. E “questo dipende
dal loro corretto comportamento che a sua volta è il frutto della corretta
formazione”.
E tale misura di sicurezza deve essere:
-efficace: “in grado di ottenere il comportamento desiderato - e ciò dipenderà dalla
capacità di chi la eroga (formatore)”;
-efficiente: “cioè mantenuta sotto osservazione ed aggiornata in modo da
adeguarsi continuamente alla domanda di auto-protezione del lavoratore derivante
dal possibile evolvere delle situazioni e di rischio residuo cui viene a trovarsi
esposto – e questo è compito del SPP”.
E l’ efficacia della formazione è un elemento che acquista sempre più importanza -
anche per l’organo di vigilanza o il magistrato – proprio in relazione al fatto che
“il comportamento del lavoratore è normalmente riconosciuto essere tra le
componenti più frequenti (e spesso determinanti) degli eventi infortunistici”.
36. 36
Riguardo all’efficacia della formazione.
Se “mancano ad oggi criteri di valutazione ben individuati ed uniformi”.
Uno - riconosciuto dallo stesso legislatore – è la “verifica (intermedia e finale)
dell’apprendimento” richiamata in più occasioni nei testi che regolamentano
l’erogazione e svolgimento delle attività formative.
Questo è un elemento “che non può mancare al termine di un percorso formativo
che, prima ancora che efficace, voglia almeno essere allineato con i requisiti di
base di una formazione che possa effettivamente essere considerata tale, cioè
una azione in grado di conseguire o addirittura di cambiare un determinato
comportamento”. E specialmente ciò deve valere “in tutti i casi in cui dal
comportamento tenuto possono derivare conseguenze di estrema gravità
(pensiamo alle manovre di emergenza in caso di guasti in situazioni ad alto
rischio) e comunque tanto più nel caso della sicurezza sul lavoro”. Es. i quasi
infortuni.
Il problema è che non sempre è specificato come debba essere fatta una verifica
finale. “Spesso sono disponibili delle indicazioni: ad es. viene richiesta la
compilazione di un questionario oppure il superamento di una prova pratica”.
37. 37
“l’individuazione di modalità di verifica che siano affidabili e pertinenti alle
situazioni oggetto della formazione è compito della vera e propria scienza della
formazione e ad essa occorrerebbe sempre fare riferimento”. “In taluni casi
soccorrono le norme, o si può ricorrere a precisi protocolli di buona prassi,
normalmente utilizzati in particolari settori di attività (l’uso di determinate
attrezzature di lavoro, ad es.)”.
E nel caso di una formazione non efficace, non è una esimente per il datore di
lavoro “l’aver fatto ricorso ad un soggetto formatore ‘qualificato’ ovvero in
possesso dei requisiti previsti dai documenti regolamentari applicabili alle singole
fattispecie”. Ne consegue dunque “la necessità di selezionare attentamente il
soggetto formatore per evitare di trovarsi a rispondere, per una scelta
infelice e non accurata, della violazione dell’art. 37” del Testo Unico relativo
alla formazione.
E una lettura accurata dell’articolo (il datore di lavoro assicura che ciascun
lavoratore …) mostra come “la formazione dei lavoratori non può essere vista
come una azione destinata ad una popolazione, ancorché apparentemente
omogenea, di soggetti altrimenti indifferenziati”. La formazione, per essere
efficace, “deve corrispondere ad una azione mirata ai bisogni del singolo”. E
dunque “il datore di lavoro deve esigere dal soggetto incaricato per la formazione il
conseguimento di questo obiettivo”.
38. 38
Una rassegna delle responsabilità degli altri soggetti coinvolti:
- “un altro soggetto che ha responsabilità precise - di carattere professionale,
poiché non vi sono sanzioni al riguardo nel T.U. - riguardo alla progettazione ed
effettuazione di una formazione efficace, è il RSPP, al quale è richiesto di proporre
i programmi di formazione. Quindi una attenta ricerca e valutazione dei bisogni di
formazione va comunque effettuata (eventualmente con lo specialista della
formazione) e documentata nel DVR”;
- anche il formatore non può sottrarsi ad una precisa responsabilità, “specialmente
quando rientri tra le categorie individuate per tale funzione dai pertinenti documenti
regolamentari”. La responsabilità sarà di tipo professionale, “in caso di
contestazione o dimostrata inefficacia della formazione, ma potrà avere anche
risvolti di tipo contrattuale laddove il datore di lavoro suo committente ritenga di
volersi rivalere per il danno conseguente”.
39. 39
“Lo stato della qualità della formazione sulla sicurezza nel sistema
prevenzionale italiano:
- la formazione spesso è vista non come ‘processo educativo’ ma come mero
obbligo formale;
- l’analisi dei bisogni formativi e del contesto organizzativo (processo di diagnosi)
spesso manca e/o risulta inadeguata;
- gli approcci progettuali e metodologici denotano scarsa inadeguatezza;
- le verifiche dell’efficacia formativa (ex ante, in itinere, ex post) sono assenti e/o
inadeguate;
- un sistema di monitoraggio della qualità formativa basata su standard qualitativi
definiti e misurabili sulla base di parametri ed indicatori in genere manca o risulta
inadeguato;
- risulta una eccessiva presenza di soggetti non qualificati”.
40. 40
DECRETO LEGISLATIVO 26 MARZO 2001 n° 151
“Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternità e della paternità”
In particolare il datore di lavoro dovrà, una volta informato dalla lavoratrice del
proprio stato, attivare tutte quelle procedure al fine di garantire le misure
necessarie affinché l’esposizione al rischio delle lavoratrici gestanti e puerpere
sia evitata, modificandone temporaneamente le condizioni o l’orario di lavoro. La
procedura si applica e diventa operativa dopo la presentazione del certificato
medico di gravidanza. Tale certificato deve essere presentato il più presto
possibile, senza che, tuttavia, eventuali ritardi comportino per la lavoratrice la
perdita dei relativi diritti.
LAVORATRICI MADRI
41. 41
Le fasi temporali di avanzamento della gravidanza, in funzioni delle quali
saranno attivate procedure ben distinte. Sono quindi specificati 5 periodi:
I. Periodo segnalato verbalmente dalla lavoratrice e non ben definito che si
identifica prima della certificazione medica dello stato di gravidanza
II. Periodo che va dalla presentazione del certificato medico e fino al
settimo mese di gestazione
III. Periodo che va dal settimo mese e fino all'ottavo di gestazione
(prosecuzione del lavoro oltre il termine di interdizione obbligatoria)
IV. Periodo successivo al parto e fino al terzo mese di età del figlio
V. Periodo successivo al parto e compreso tra il terzo ed il settimo mese di
età del figlio
42. 42
E' vietato adibire le gestanti al trasporto e al sollevamento di pesi, nonchè ai
lavori pericolosi, faticosi ed insalubri.
La lavoratrice che svolge le mansioni sopra citate è addetta ad altre mansioni
per il periodo per il quale è previsto il divieto.
La lavoratrice è, altresì, spostata ad altre mansioni nei casi in cui i Servizi
ispettivi del Ministero del lavoro, d'ufficio o su istanza della lavoratrice, accertino
che le condizioni di lavoro o ambientali sono pregiudizievoli alla salute della
donna.
Quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, il
Servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio, può
disporre l'interdizione dal lavoro.
43. 43
LAVORATORI MINORENNI
DECRETO LEGISLATIVO 345/99 e s.m.i.
L'età minima per l'ammissione al lavoro è fissata al momento in cui il minore
ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e comunque non può essere
inferiore ai 15 anni compiuti."
Il datore di lavoro, prima di adibire i minori al lavoro e a ogni modifica
rilevante delle condizioni di lavoro, effettua la valutazione dei rischi
possono essere ammessi al lavoro purchè siano riconosciuti idonei all'attività
lavorativa cui saranno adibiti a seguito di visita medica.
il minorenne svolgerà le lavorazioni sotto il controllo di un tutor
44. 44
circa il 60% delle denunce riguarda malattie osteo-articolari e muscolo-
tendinee, dovute prevalentemente a sovraccarico bio-meccanico. Tra queste,
in particolare, spiccano le affezioni dei dischi intervertebrali (oltre novemila
denunce) e le tendiniti (più di ottomila), che sono più che raddoppiate
nell'ultimo quinquennio
seguono l'ipoacusia da rumore (circa seimila casi all'anno e fino al 2008 la
patologia più diffusa),
le malattie da asbesto (asbestosi, neoplasie e placche pleuriche), con oltre
duemila casi all'anno e in crescita,
e le malattie respiratorie, che sono circa duemila all'anno, escludendo quelle
correlate all'asbesto.
LE DENUNCE ED I RICONOSCIMENTI INAIL PIÙ
FREQUENTI HANNO RIGUARDATO:
46. 46
“ quegli aspetti di progettazione del lavoro e di
organizzazione e gestione del lavoro, nonché i
rispettivi contesti ambientali e sociali,
che potenzialmente possono arrecare
danni fisici o psicologici”
(Cox & Griffiths, 1995).
I RISCHI PSICOSOCIALI
47. 47
Alcune definizioni di “STRESS”
“una reazione aspecifica dell’organismo a quasi
ogni tipo di esposizione, stimolo e sollecitazione”.
(Seyle 1936)
“Reazioni fisiche ed emotive dannose che si
manifestano quando le richieste lavorative non
sono commisurate alle capacità, risorse o
esigenze del lavoratore”.
(National Institute for Occupational Safety and Health, NIOSH 1999)
48. 48
LE CAUSE DI STRESS
• eventi e situazioni legate all’AMBIENTE DI LAVORO
- fattori fisici - fattori psicologici - fattori gestionali
• stili di vita, atteggiamenti riconducibili al CARATTERE DELL’INDIVIDUO
• eventi legati all’AMBIENTE ESTERNO
Lo stress, potenzialmente, può colpire in qualunque luogo di lavoro e
qualunque lavoratore
a prescindere dalla dimensione dell’azienda, dal campo di attività, dal tipo di
contratto o di rapporto di lavoro. In pratica non tutti i luoghi di lavoro e non
tutti i lavoratori ne sono necessariamente interessati.
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FATTORI FISICI
eccessivo rumore
umidità
posizioni scomode e/o
dolorose
esposizione a sostanze
tossiche o pericolose
(possono generare stress o rendere le persone maggiormente sensibili ad altri
agenti stressanti presenti sul luogo di lavoro)
FATTORI PSICOLOGICI-SOCIALI LEGATI AL LAVORO
contatto con la sofferenza umana (infermieri)
personale esposto a pericoli (sommozzatori, vigili del fuoco…)
minacce di aggressioni (personale di sorveglianza…)
FATTORI GESTIONALI
Aspetti temporali della giornata e
dell’attività lavorativa
Contenuto dell’attività lavorativa
Condizioni dell’organizzazione
Rapporti interpersonali nel gruppo di lavoro
o con i supervisori