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Periodico di informazione a cura dell’associazione “Il Cielo sopra Esquilino” Numero 25 anno V - Maggio/Giugno 2019
PiazzaVittorio:lastessaoccasioneI lavori per il riassetto dei giardini di piazza Vittorio sono partiti a marzo e dovrebbero terminare
a settembre, ma la vera sfida sarà quella del successivo mantenimento. Molte le questioni aperte
Era il marzo 2015, oltre 4 anni fa, quando la
nostra testata debuttava con il titolo ‘Un’oc-
casione da non perdere’ riferendosi al progetto
dei giardini di piazza Vittorio. Da allora, come
spesso avviene per le opere pubbliche, l’iter di
realizzazione del progetto non si è certo distin-
to per velocità.
La firma del protocollo di intesa tra ammini-
strazione e Comitato Piazza Vittorio Partecipata
è del giugno 2014. Poi, nel 2015, l’individua-
zione dei fondi, 2.500.000 euro, all’interno di
quelli stanziati per il Giubileo, divenuti in segui-
to 2.875.000 euro. Per l’emissione ufficiale del
bando di gara si è dovuto attendere fino al mar-
zo 2017. Un altro anno è trascorso per la nomi-
na delle varie commissioni, prima che potesse
essere stilata, nel maggio 2018, la sospirata
graduatoria delle 14 offerte presentate. Come
se non bastasse, è sopraggiunto il fallimento
di una delle ditte dell’associazione di imprese
vincitrice. Di qui le ulteriori tempistiche ne-
cessarie alla sua sostituzione e alle successive
verifiche da parte dell’ANAC (l’agenzia anti cor-
ruzione). Insomma, una vera corsa ad ostacoli.
Il piano di gestione. Quella dei lavori era
però solo una parte dell’occasione che anda-
va colta. La scommessa sui giardini non è tan-
to quella della loro ristrutturazione, ma bensì
quella del successivo mantenimento. Un pro-
getto pilota quello di piazza Vittorio. Il primo
a Roma a prevedere, assieme al riassetto ini-
ziale, anche la successiva gestione di quanto
realizzato. Parallelamente alla stesura del ban-
do di gara è stato infatti redatto, dal Comitato
Piazza Vittorio Partecipata, il Piano di Gestione
che l’amministrazione comunale ha fatto pro-
prio tramite una memoria di giunta approvata
nel settembre 2017. Un documento di 225 pa-
gine con analisi, criticità e proposte per gestire
al meglio il giardino. Prodotto grazie al finan-
ziamento ottenuto dal FAI per l’edizione 2012
de ‘I luoghi del cuore’, quando piazza Vittorio
risultò tra i siti più amati d’Italia.
Riccardo Iacobucci
segue a pagina 3
Il cinema e l’impegno di Carlotta Natoli
L’attrice, residente nel rione, ci racconta i suoi esordi nel grande schermo e nella televisione.
E parla anche del suo impegno con i comitati di zona: «l’incontro con la diversità aiuta a crescere»
Carlotta Natoli ha interpretato
ruoli importanti nel cinema –
con registi come Michele Placido,
Enrico Oldoini, Francesca Comen-
cini – e in numerose serie televi-
sive di successo, come ‘Distretto
di Polizia’, ‘Tutti pazzi per amore’,
‘Braccialetti Rossi’ e ‘La compagnia
del cigno’. Tra i suoi ultimi lavori ri-
cordiamo il film ‘Troppa Grazia’, di
Gianni Zanasi, che ha ricevuto un
importante riconoscimento all'ulti-
mo festival di Cannes nella sezione
‘Quinzaine des Réalisateurs’, e la
fiction ‘L’Aquila - Grandi speranze’,
con la regia di Marco Risi, che ri-
percorre i tragici momenti vissuti
dagli abitanti della città, colpita dal
terribile terremoto dell'aprile 2009.
In questa piacevole chiacchierata,
avuta nella bella cornice di Palazzo
Merulana, abbiamo parlato della
sua professione e del nostro rione,
in cui vive da molti anni.
Come ha esordito nel cinema?
Ho cominciato ad 8 anni lavoran-
do con mio padre Piero nel film
‘Con-fusione’. Racconta la storia
di un padre che dopo l'abbandono
da parte della moglie rimane solo
con la figlia, la quale lo convince a
prendere una roulotte e a partire
per il mare: inizia così un viaggio
on the road che li porterà a scio-
gliere alcuni nodi affettivi. Il film
ebbe molto successo, io vinsi an-
che una targa al Festival di Vene-
zia del 1980. In seguito, anche se
continuavo a dirmi che il cinema
non aveva per me grande interes-
se e che preferivo seguire le orme
di mia madre, professoressa e tra-
duttrice di lingua e letteratura rus-
sa, ho continuato a fare altri film
con mio padre e con attori quali
Valerio Mastrandrea e Neri Mar-
corè. E man mano ho capito che
amavo molto recitare sul grande
schermo.
Maria Grazia Sentinelli
segue a pagina 2
2
antonio.finelli@tiscali.it antonio.finelli@tiscali.it
Piazza Vittorio e il tram
Sguardi sull’Esquilino di Antonio Finelli
(antonio.finelli@tiscali.it)
Ilcinemael’impegnodiCarlottaNatoli> segue dalla prima pagina
Lei è una affermata attrice, oltre che del
cinema anche della televisione. Le sem-
brerà una domanda un po’ scontata, ma
siamo curiosi di sapere se trova mag-
giore soddisfazione ad interpretare i
ruoli cinematografici o quelli televisivi?
Sicuramente la mia passione è il cinema, ma
ho deciso di interpretare anche ruoli nella te-
levisione, perché il cinema italiano è diventato
un po’ chiuso ed autoreferenziale, e oggi ri-
chiede per lo più ruoli stereotipati, o la don-
na giovane e bella o quella un po’ fragile e
nevrotica; difficile che metta in scena donne
vere, di grande forza e drammaticità. Ai giorni
d’oggi anche Anna Magnani avrebbe difficoltà
a trovare lavoro. Paradossalmente invece la
televisione sperimenta di più e ha un aspet-
to popolare che mi attrae. I ruoli di Laura ne
‘I misteri di Laura’, o la dottoressa Lisandri in
‘Braccialetti rossi’, o la Monika di ‘Tutti pazzi
per amore’ li ho trovati diversi tra loro, ma tut-
ti molto innovativi. C’è poi da dire che la serie
televisiva ti fa entrare di più nel personaggio
che interpreti, spesso per più stagioni, facen-
dolo diventare tuo, e ti permette di recitare
meglio. Un po’ come succede a teatro. Peraltro
io amo molto anche il teatro in cui ho recente-
mente lavorato ne ‘Le giornate della memoria’,
liberamente tratto dal libro di Alessandro Por-
telli sull’eccidio delle Fosse Ardeatine. La regi-
sta è Francesca Comencini e i personaggi, tutti
femminili, sono sei: tre gappiste e tre donne
che hanno perso nella strage i loro familiari.
Venendo al rione, ci piacerebbe sape-
re come giudica l’offerta culturale di
Esquilino, dove ci sono due teatri, un
cinema d’essai, librerie, gallerie d’arte
come Palazzo Merulana e parecchi cen-
tri e associazioni culturali. Le sembra
che queste presenze riescano ad espri-
mere un livello culturale soddisfacen-
te o le sembra che manchi qualcosa?
Secondo me il rione è pieno di ottime organiz-
zazioni culturali, come l’Apollo11, che fa una
programmazione di qualità, il centro Matemù,
che promuove moltissime iniziative di buon li-
vello aggregando i giovani del rione, l’Associa-
zione Esquilino Basket, che accoglie moltissimi
ragazzi,o la Scuola Di Donato, che fa fiorire
numerosi eventi sportivi, sociali e culturali.
Forse quello che manca è una migliore comu-
nicazione, che faccia arrivare l’informazione
a tutti i cittadini del rione, o magari un po-
sto conosciuto dove promuovere i vari eventi.
Ciò favorirebbe anche un maggior coordina-
mento tra le varie iniziative.
Esquilino vede una presenza molto forte
di registi, attori, artisti e intellettuali che
vivono nel rione da vari anni. Qual è, se-
condo lei, la ragione di tale concentrazio-
ne di personaggi della cultura?
La presenza di tante comunità straniere ma
anche italiane – molti residenti italiani vengo-
no da diverse città come Milano, Napoli, Torino
– rende questo rione non banale e non omolo-
gato. Poi, certo, c’è il fatto che è un luogo cen-
trale e relativamente economico. La differenza
che si respira ad Esquilino, sia politica che et-
nica, fa sì che il rione non sia mai uguale a se
stesso e crea una vivacità che attira gli artisti
che prendono ispirazione da queste contrad-
dizioni. Vorremmo una maggiore pulizia, un
minor degrado, maggiori regole di convivenza,
ma non dobbiamo cancellare queste contrad-
dizioni che lo rendono vitale.
Sappiamo che è molto attiva nei comitati
del rione. Come mai lei, affermata e cono-
sciuta attrice, ha deciso di dedicare un po’
di tempo a questo tipo di attività?
In verità la mia prima motivazione a muover-
mi è nata da un’esigenza di sicurezza. Io ho
tre figli adolescenti e sotto casa mia c’era uno
spaccio di droga. Così per far fronte all’emer-
genza è nato un comitato per il contenimento
dello spaccio, che ha messo in rete cittadini e
forze dell’ordine e che ha raggiunto qualche
risultato. Attraverso questa attività, ho cono-
sciuto altre associazioni e cittadini che si im-
pegnano moltissimo nel rione e mi è venuto il
desiderio di continuare a dare una mano per
la riqualificazione dell’Esquilino. Abbiamo bi-
sogno, e mi rivolgo soprattutto alla sinistra,
di cui mi sento parte, di forze politiche che si
facciano carico di queste istanze di convivenza
tra le diverse etnie, e che facciano proprio il
concetto di interculturalità. Incrociarsi con la
differenza aiuta a crescere. L’interculturalità è
il futuro. Io personalmente ho sempre pensato
che l’importante è partecipare. Faccio mie le
parole di una canzone di Giorgio Gaber: ‘Liber-
tà è partecipazione’. Io sono una persona mol-
to appassionata e quindi mi appassiono anche
alla vita del rione. Mi chiamo Carlotta, cioè una
che lotta.
Maria Grazia Sentinelli
Il rione mormoraIl rione mormora
> segue dalla prima pagina
Il bando di gara includeva due
anni di manutenzione ed i vinci-
tori hanno anche formulato una
proposta migliorativa portandoli a
cinque. Un’ottima notizia che però
non basta. Il Piano di Gestione
prevedeva infatti non solo inter-
venti strutturali e sul verde, ma
anche maggiori momenti di so-
cialità ed interventi di mediazione
sociale e culturale, necessari per
favorire la convivenza di tutti nel
giardino.
Lavori in corso. I lavori avviati a
marzo, e che è previsto termini-
no per settembre, non andranno
comunque a stravolgere l’asset-
to dei giardini. L’intento primario
è di recuperare il verde di quello
che un tempo era un vero e pro-
prio giardino botanico, superando
allo stesso tempo le attuali criti-
cità. Più spazi destinati alla so-
cialità ed una riduzione dei pun-
ti ciechi, oggi luoghi di incuria.
Verrà innanzitutto rivisto l’attua-
le percorso perimetrale che co-
steggia la cancellata. Il sentiero
sarà più sinuoso e ritroverà la
sua continuità, riprendendo quel-
lo che era il progetto originale di
fine ’800. Verrà aperto un varco
nella recinzione dell’area arche-
ologica che consentirà il passag-
gio trai Trofei di Mario e la Por-
ta Magica. Nell’altro angolo, il
sentiero costeggerà l’area cani,
consentendo così a bici, cammi-
natori e corridori di percorrere
l’intero giro senza interruzioni.
Le aree giochi e la casina liber-
ty. La collina, che nasconde quello
che un tempo era il centro ope-
rativo della metro A, verrà inte-
grata in un’area giochi dedicata ai
ragazzi più grandi, con scivoli ed
una mini-parete attrezzata verti-
cale. Una seconda area giochi per
i bimbi più piccoli occuperà inve-
ce l’angolo lato Principe Eugenio.
Tra le due, un’area attrezzata con
pedana e pergolato in legno. La
casina liberty, oggi utilizzata come
spogliatoio e magazzino AMA, ol-
tre che come bagno pubblico, è
previsto che venga assegnata e
destinata a bar e punto ristoro.
L’angolo circostante verrà ripavi-
mentato a sampietrini, anche qui
riprendendo quello che era l’a-
spetto del passato.
Acqua che scorre. Le fontane
create con il progetto degli anni
’90, che hanno finora potuto co-
noscere l’acqua solo nelle giorna-
te di pioggia, verranno dismesse
e trasformate in sedute o fioriere.
Mentre verrà riposizionato e valo-
rizzato il ‘fritto misto’ di Mario Ru-
telli. Il gruppo scultoreo animerà
infatti una nuova fontana posta al
centro di una piazzetta contornata
di panchine, non distante dal col-
locamento attuale. All’interno dei
giardini verranno anche ricollocate
alcune delle fontanelle da tempo
non attive oggi presenti ai vari in-
gressi.
Gli impianti. Una delle principali
opere di rinnovamento sarà forse
meno visibile, almeno direttamen-
te, cioè quella degli impianti. L’ir-
rigazione sarà ricostruita ex novo
e verrà realizzato un impianto
di smaltimento delle acque pio-
vane lungo il perimetro dei vari
percorsi, che comunque saranno
anch’essi permeabili. L’impianto
elettrico verrà razionalizzato, in
particolare riducendo le numero-
se torrette di alimentazione – un
tempo di servizio ai banchi del
mercato – e prevedendone inve-
ce di nuove a servizio dei futuri
eventi che si svolgeranno in piaz-
za (come il cinema estivo). Anche
l’impianto di illuminazione verrà
rivisitato in base ad un nuovo pia-
no redatto da ACEA.
I punti aperti. Si tratta insom-
ma di un progetto che, almeno
sulla carta, dovrebbe apportare
solo migliorie ai giardini che sia-
mo abituati a conoscere e utiliz-
zare. Dobbiamo però sperare che
il tema del mantenimento venga
affrontato correttamente in tutti i
suoi aspetti e che non si aprano
ora tempi biblici per poter proce-
dere all’assegnazione e alla mes-
sa in opera del bar nella casina
liberty che, negli auspici di molti,
dovrebbe costituire un punto di ri-
ferimento all’interno dei giardini.
Anche sui tempi e le modalità di
riassegnazione del nuovo spazio
destinato alle giostrine, presenti
nel progetto finale sebbene ridi-
mensionate, non vi sono certez-
ze. Si rischia quindi che alla sua
riapertura il giardino sia del tutto
privo di presidi fissi, con tutto ciò
che ne consegue. Inoltre, anco-
ra non si parla di come possano
essere restituiti alla città i locali
sottostanti la collina, oltre 1.000
mq che ATAC ha lasciato da anni
in stato di abbandono e che il Co-
mune potrebbe reclamare per poi
destinarli ad un uso sociale.
Riccardo Iacobucci
3L’occhio del cieloL’occhio del cielo
PiazzaVittorio:lastessaoccasione
4 C’è chi faC’è chi fa
Tutti pazzi per Esquilino basket!La società sportiva del rione è una realtà nazionale, con la squadra femminile promossa in Serie B
Camminando per le vie del rione si posso-
no ancora sentire i ‘pischelli’ e le ‘pischelle’
giocare a palla. Ma non quella da calcio, bensì
quella a spicchi da basket.
Le origini. Questa storia bizzarra che unisce i
figli del mondo iniziò nel 1998, quando Claudio
Silvestri fondò la società sportiva che poi prese
il nome e lo storico stemma dell’Esquilino. Il
radicamento che ne conseguì fu inimmaginabi-
le. Già all’alba del duemila la canotta giallo-blu
era diventata un simbolo del nostro rione.
La scuola Federico Di Donato rafforzò anco-
ra di più la sua natura di luogo di incontro. Lì
nacquero e si strinsero amicizie strettissime.
Si cullarono i primi sogni. Trovarono un nuovo
senso i pomeriggi post scuola e i sabati mat-
tina, che prima erano un continuo rifugiarsi a
casa di quello o quell’altro amichetto che ‘ave-
va la playstation’. Oggi i ragazzi si possono tro-
vare tutti nel cortile della ‘Dido’, soprannome
della scuola di via Bixio, che è divenuta la casa
dell’amico più ‘figo’!
Una scommessa coraggiosa. Fu quasi per
gioco che si formarono i primi gruppi di mini-
basket, quelli storici del ’93, ’94 e ’95. E sin
dagli albori, il presidente Claudio Silvestri e il
dirigente Sergio Nisticò puntarono molto su
quella che per qualcuno era una scommessa
azzardata, ovvero sul settore femminile. In
breve tempo, riuscirono a formare una squa-
dra per ogni categoria, dal mini al basket, ren-
dendo il settore femminile gialloblu uno dei più
importanti di tutto il Lazio. Quei gruppi, quelle
bambine e quei bambini, sono oggi degli adulti.
Ma lo sport unisce il passato con il futuro, in
un presente eterno. E sembra essere un pre-
sente eterno quello di cinque ragazze cresciu-
te all’ombra dei tabelloni della ‘Dido’ e della
Bonghi. Emilia Nisticò (Emi), Camilla Tennenini
(Cami), Cecilia Scaricamazza (Cek), Elettra To-
massoni (Ele) e Giulia Gabrielli (Giuppi), oltre
che amiche, sono compagne di squadra da una
vita. Furono lo scheletro di una formazione che
sotto la gestione Russo giocava un basket ve-
loce e divertente. Ad infoltire la rosa giunsero,
negli anni, Ilaria Munnia, Elena Di Pietro, Chia-
ra Baldan, Elena Zelli e Laura Zullo. Fu così
che tre anni fa, nel 2016, l’Esquilino iscriveva
per la prima volta una squadra senior alla Se-
rie C femminile. Quella che per alcuni era una
scommessa, si dimostrò essere una lungimi-
rante scelta sportiva. Questa prima assoluta
venne gestita dal coach Massimo Baralla, che
nel 2012 aveva preso le redini della gestione
tecnica, avviando un processo di crescita che
non si è ancora concluso.
L’anno seguente – nella stagione sportiva
2017-2018 – il cambio in panchina, con l’ar-
rivo del coach Alessandro Ceravolo e del se-
condo Cristiano Tesei, ha portato nuova linfa
al gruppo. Dopo un campionato disputato ad
ottimi livelli, la squadra giunse ai quarti di fi-
nale contro Albano.
Il regalo più bello. L’Esquilino Basket comin-
cia allora ad attrarre nuove giovani giocatrici e
giocatori da tutta Roma, ed è così che nasce la
neo formata Promozione maschile (che ad oggi
lotta per la Serie D), e la nuova Under 18, sia
maschile che femminile. Nello stesso periodo,
si inizia a giocare e ad allenarsi al Santa Maria.
La palestra è bellissima, il plesso comodo. Ma
il regalo più grande lo fanno gli abitanti del
rione, che vengono assiduamente a sostenere
le loro amiche, figlie, nipoti, cugine, o sempli-
cemente a tifare per chi sta portando lustro ai
colori dell’Esquilino. Così, anche gli spalti del
Santa Maria diventano luogo di unione e di ri-
trovo. Dove i veterani che hanno smesso, o
quasi, di giocare si ritrovano fianco a fianco ai
bimbi di 6-7 anni che hanno appena iniziato ad
innamorarsi di questo sport.
Promosse in Serie B! Il lavoro continua, le
squadre crescono. E quest’anno si è rivelato
quello giusto per la promozione delle nostre
ragazze in Serie B. Alla squadra si uniscono-
Sara Favilla e Sara Ricercato, che aggiungo-
no centimetri e tecnica, e Nicole Piacente, che
aumenta la quantità di estro a disposizione
del tecnico Ceravolo. La solidità è garanti-
ta da Giuliana Bellomia. Dal settore giovanile
arrivano poi Francesca Cabiddu, Chiara Marti-
no, Margherita D’Avella, Laura Giachini, Anita
Cenci, che donano freschezza e profondità alla
rosa. Se prima le ragazze dell’Esquilino gioca-
vano un basket divertente e veloce, oggi san-
no stupire con un basket maturo e di un livello
superiore. Grazie al lavoro di tutto il gruppo,
dalla dirigenza a chi gioca meno fino al pubbli-
co, le ragazze, dopo solo 22 partite disputate,
accedono alle final four e conquistano la pro-
mozione in Serie B.
Non si finisce mai di sognare. C’erano delle
ragazze, erano amiche ed avevano un sogno
forse troppo grande per essere confessato ad
alta voce. Queste ragazze sono diventate un
punto di riferimento per le più giovani. Ed è
così che, dai cortili delle scuole del rione, è
sbocciata Emma Arcà, simbolo del vivaio fem-
minile dell’Esquilino, convocata in nazionale
Under 15, trascinatrice della nostra squadra
Under 14, prima in classifica, a punteggio pie-
no, nel girone di ammissione alla finale regio-
nale di categoria.
All’ Esquilino mancano i luoghi di aggregazione.
Oltre alla squadra e alle scuole, c’è poco. Da anni
vorremmo un palazzetto dello sport, ma forse
ci basta la nostra palla che rimbalza per terra,
come il cuore nel petto e i nostri sogni che vola-
no liberi. Forse ci basta il cielo sopra l’Esquilino.
Lorenzo Fabi
Francesca Valenza
5Il rione mormoraIl rione mormora
Prezioso: 149 anni di coltelliDal Molise all’Esquilino. Lo storico negozio delle lame di qualità, giunto alla quinta generazione
Sono ben cinque le generazio-
ni della famiglia Prezioso che
si sono succedute alla guida delle
Coltellerie omonime, in via Car-
lo Alberto a Roma. E visitando lo
storico negozio ristrutturato da
Daniela, viene immediato parago-
narne la struttura alla famiglia. Per
traghettare storia e tradizione nel
nuovo millennio, gli storici scaffali,
presenti dietro al classico banco-
ne frontale dedicato alla clientela,
sono stati ricoperti da tre strati di
pannelli scorrevoli che espongono
le centinaia di posate e coltelli del
negozio. Come per i tronchi degli
alberi, potremmo immaginare di
contare quattro ‘cerchi’ genera-
zionali.
Nicola I. Le coltellerie Prezioso
nascono nel 1872 ad opera di Ni-
cola Prezioso I, nato in provincia
di Isernia, in quello che un tem-
po era chiamato Cameli (paese
su due colli simili a gobbe) e poi
Sant'Elena Sannita, commercian-
te di coltelli per l'agricoltura e la
pastorizia prodotti nell'alto Molise,
a Frosolone, ma anche di rasoi di
Sheffield, in Inghilterra, e di So-
lingen, in Germania. Le condizioni,
a quei tempi di estrema povertà
della regione, costringono l'im-
prenditore molisano a rivolgersi
soprattutto al mercato campano,
dove riesce a cogliere e a sfruttare
al meglio le opportunità di svilup-
po offerte dalla riunificazione del
territorio e dalla costituzione dello
Stato italiano.
Da Napoli a Roma. L'azienda così
avviata passa al figlio Michelange-
lo, associato ai fratelli Domenico
e Angelo, nella ditta ‘N. Prezioso
& figli’. Michelangelo provvede ad
ampliare la gamma di prodotti
distribuiti, aprendo alla clientela
del Centro Italia, del Sud e delle
Isole. Il risultato è la crescita si-
gnificativa dell'azienda fino agli
anni immediatamente precedenti
la seconda guerra mondiale. Pur-
troppo, l'evento bellico avrà con-
seguenze disastrose, e l’azienda
ne uscirà gravemente ridimensio-
nata da saccheggi, crisi economi-
ca, iperinflazione. Da qui l'idea di
portare l'attività a Roma, per ri-
partire con vecchi e nuovi fornitori
e una rinnovata clientela. Scelsero
l’Esquilino per i collegamenti con il
Molise e il resto d'Italia – un tem-
po principalmente carretti e spedi-
zioni postali – in un quartiere che
già allora, osserva Daniela, «ospi-
tava grossisti di cappelli, abiti da
sposa e che oggi ospita operatori
di nazionalità straniera».
Le attività, cominciate in principio
in via Turati e vicine tra loro, per
efficientamento logistico si sono
poi dovute separare, portando la
distribuzione in via Appia Nuova
e il negozio in via Carlo Alberto,
«Quelli che un tempo erano am-
bulanti e professionisti, oggi sono
diventati grossisti e clientela al
dettaglio» ci racconta Daniela,
all’interno del negozio.
Nel 1985, Nicola II consegna defi-
nitivamente le chiavi delle ‘Coltel-
lerie Prezioso Srl’ ai figli Domenico
ed Angelo per la parte distributiva,
e a Daniela per quella al dettaglio.
Si aggiunge alla famiglia l'infatica-
bile amico Peppe, «praticamente
un altro figlio» per papà Nicola,
per il tempo e la dedizione ancora
oggi investiti nel negozio.
Coltelli e cultura, l’accoppiata
vincente. «Lo studio viene prima
degli affari di famiglia» racconta
Daniela, come se a parlare in quel
momento ci fosse suo padre, che
continua a frequentare il negozio e
la distribuzione. Il bisnonno inve-
stì in coltelli e libri e quell’insegna-
mento resterà il baluardo di tutta
la famiglia per generazioni. Quei
libri che hanno consentito a tut-
ti i figli di laurearsi e che il padre
dovette abbandonare suo malgra-
do, lasciando il corso di laurea in
giurisprudenza per poter seguire
l'attività.
Daniela, architetto, ha invece
messo a frutto gli studi anche sul
negozio dell’Esquilino, che appare
come una sterminata esposizio-
ne di posate e coltelli, fissati alle
pareti con il sistema calamitato
o con il più comune elastico, na-
scondendo gli scaffali di 50 anni
fa, ma tutt’ora utilizzati. Lei si è
occupata dal 1997 del negozio,
inizialmente quasi per caso, co-
minciando proprio con una ristrut-
turazione conservativa. Il ban-
cone, in noce nostrano, è quello
originale degli anni 50 e l'insegna,
un tempo accantonata in magaz-
zino, è anch’essa originale del Mo-
lise. Un’impronta nuova al negozio
è stata data con l'allargamento a
casalinghi e ad articoli di design,
sempre all'insegna della qualità,
«unico modo per resistere a pro-
dotti dozzinali e a buon mercato
venduti da altri».
Nel segno del cammello. Col-
telli sportivi, da collezione, pro-
fessionali, per le case e posateria,
venduti nell'arco di questi 149
anni a hotel di lusso, ambasciate
e scuole di chef, «manteniamo il
riserbo sui nomi dei clienti», oltre
che a moltissima clientela italiana
e straniera. Un’attività che non si
esaurisce con la distribuzione di
marchi altrui, ma che offre anche
un prestigioso brand proprietario
che ha come logo proprio quel
cammello di Cameli/Sant'Elena
Sannita, dove tutto iniziò.
E con i coltelli Camel si taglia an-
che il nastro della 5ª generazione,
grazie all'inventiva del più giovane
nipote Nicola (III), che ha creato
e realizzato un coltello sportivo
innovativo ed emozionale chiama-
to… ‘Prezioso’.
Silvio Nobili
Foto: www.lucaferrantefotografo.it
Con Roma capitale d’Italia, dopo il 20 set-
tembre 1870, l’espansione edilizia del-
la città divenne l’affare del secolo. Abbagliati
dalla prospettiva di facili guadagni, tutti volle-
ro diventare costruttori: i proprietari terrieri,
l’aristocrazia romana, le grandi imprese set-
tentrionali, le banche ed i piccoli imprendito-
ri, ma anche persone senza arte né parte. Si
mise così in moto un meccanismo perverso
che risultò come drogato, perché si procede-
va soprattutto a cambiali per pagare terreni e
materiali. La crisi economica comportò presto
il venir meno dei capitali investiti nella spe-
culazione edilizia e quindi un forte dissesto
bancario. Nel marasma conseguente le banche
diradarono i crediti, i cantieri chiusero ed i la-
voratori, disoccupati, scesero in piazza.
Il comizio del 1° maggio 1891. Sono giorni
di manifestazioni, quelli della primavera 1891.
Il 17 aprile ce ne è stata una in piazza di Ter-
mini, il 19 un’altra a piazza Dante. Il 23 la città
è stata avvolta da una nube di fumo densissi-
mo per lo scoppio della polveriera di Monte-
verde, con 230 feriti e alcuni morti. Si pensa
ad un attentato e corre voce di un complotto
anarchico. Il ministro dirama una circolare per
proibire il comizio del 1° maggio, ma è tar-
di per impedire la manifestazione. Il comitato
organizzatore, comunque, ha modo di concor-
darne le modalità: i lavoratori devono giunge-
re in piazza in ordine sparso, evitando le vie
del centro, e sciogliersi alla fine della manife-
stazione, senza cortei organizzati.
La manifestazione è convocata in piazza Santa
Croce in Gerusalemme per il pomeriggio, ma
la vigilia si presenta già carica di tensione: l’e-
sercito consegnato in caserma, carabinieri e
guardie a perlustrare la città, minacce di gravi
sanzioni per impiegati ed operai in caso di ade-
sione alla manifestazione sindacale.
Un’atmosfera carica di tensione. Il 1°
maggio, non una bottega aperta, circolano
pochissime persone e tutta la città è avvolta
“in un silenzio di tomba”. Solo “nell’estremo
lembo del quartiere Esquilino” si trovano in at-
tesa i “soldati e la folla irrequieta". La piazza,
estesissima, che dalla basilica di Santa Croce
in Gerusalemme si spinge lungo il viale, sino a
Porta San Giovanni, circondata sin dal matti-
no da “carabinieri, fanteria e bersaglieri”, nel
primo pomeriggio è già piena. Oltre duemila
i lavoratori presenti e, sotto la bandiera nera
orlata di rosso, anche un nutrito gruppo di
anarchici. I lavoratori edili gridano “viva l’e-
sercito italiano, viva i nostri fratelli armati”,
inneggiando ai soldati presenti in servizio di
ordine pubblico. I primi interventi dal palco
sono retorici e vaghi e vengono fischiati. Un
gruppo di manifestanti sotto al palco accompa-
gna con urla di giubilo gli incitamenti alla rivo-
luzione pronunciati da alcuni oratori. Dal palco
si chiede di non applaudire chi invita “a spar-
gere sangue”. La tensione in piazza aumenta.
A gran voce, si chiede l’intervento del leader
socialista Amilcare Cipriani che, salutato con
“clamorose ovazioni”, dal palco, tra gli applau-
si, esorta alla prudenza. La folla è sempre più
infervorata; molti vorrebbero lo scontro subi-
to, altri chiedono moderazione e prudenza. Sul
palco, Cipriani e gli altri leader sono preoccu-
pati, temendo disordini di piazza.
Poi la situazione sfugge di mano ed un giovane
anarchico si lancia dal palco tra la folla esal-
tata. Un ispettore di pubblica sicurezza ordi-
na gli squilli di tromba e qualcuno comincia a
sparare. È l’inizio della rivolta. Un giovane ca-
labrese, da poco in servizio presso la questu-
ra di Roma, cade colpito a morte, mentre un
maresciallo dei carabinieri viene disarmato. I
rivoltosi, “armati alla meno peggio”, attaccano
le forze dell’ordine che arrestano i più facino-
rosi. I tafferugli, iniziati nei pressi del palco, si
propagano in poco tempo al resto della piazza.
La protesta dilaga. Le forze dell’ordine, dopo
l’iniziale sorpresa, riportano la situazione sotto
controllo. La cavalleria accerchia i dimostranti
mentre agenti e militari presidiano il vastis-
simo piazzale, dalla basilica sino a Porta San
Giovanni, accolti da un fitto lancio di pietre da
parte dei manifestanti e degli inquilini dei pa-
lazzi lungo il viale, che dalle loro finestre get-
tano di tutto. All’inizio di via Emanuele Filiber-
to si fanno barricate disponendo i carretti di
traverso. Più giù, in viale Manzoni, si assaltano
le carceri femminili di Villa Altieri, provocando
la reazione dei militari che feriscono alla mano
un artigiano e colpiscono a morte un giovane
carrettiere. Poi i tumulti si estendono sino a
piazza San Giovanni in Laterano dove la ca-
valleria respinge la folla che lancia sassi. L’uso
delle armi sblocca poi la situazione che lenta-
mente ritorna alla normalità. Anche il tentativo
di estendere la rivolta in città viene sventato
grazie al presidio armato posto tra via Meru-
lana e via dello Statuto. La manifestazione del
1° maggio si conclude con l’arresto di oltre
duecento tra lavoratori, esponenti socialisti e
anarchici e dure condanne ai processi dei mesi
successivi.
Di chi fu la responsabilità? Ancora oggi non
è chiaro cosa abbia trasformato il 1°maggio in
una giornata di violenze. Sicuramente la cat-
tiva organizzazione dell’ordine pubblico – ed
il ministro Nicotera sarà duramente criticato
– ma forse anche una precisa provocazione,
come fa supporre la presenza di un gruppo
di facinorosi nei pressi del palco. Gli avveni-
menti del 1° maggio 1891 si dimostreranno
infatti politicamente utili per gli ambienti più
reazionari del governo e degli industriali per
terrorizzare la borghesia contro i “perfidi rossi”
e ridimensionare così il nascente movimento
operaio italiano.
Carmelo G. Severino
6 La memoriaLa memoria
1891. Primo maggio a Santa Croce in GerusalemmeAncora oggi non è chiaro chi furono i responsabili dei disordini che scoppiarono durante la manifesta-
zione. Organizzata dal nascente movimento operaio italiano, fu repressa con arresti e dure condanne
8 Il rione mormoraIl rione mormora
Federico e le ‘creature’ del rione AdottArt
Lo scorso 13 aprile si è svolta
la terza edizione di AdottArt.
Nove artisti di Esquilino, appar-
tenenti o invitati dall’Associazio-
ne Arco di Gallieno, hanno espo-
sto le loro opere in otto botteghe
del rione. Nell’evento inaugurale
del progetto, curato da Michela
Becchis e Roberta Melasecca, ci
si è mossi passeggiando tra le
varie botteghe, dove si è potuto
assistere, in presenza degli arti-
sti, alla descrizione delle opere
esposte, e nello stesso tempo
ascoltare dai gestori dei luoghi
ospitanti, la spiegazione della
loro attività. Nelle due librerie
coinvolte, le persone intervenu-
te hanno potuto inoltre ascoltare
alcune letture. Ne è nato quindi
un percorso dove ognuno ha po-
tuto guardare, ascoltare, parla-
re, conoscere e scambiarsi emo-
zioni.
Le opere saranno ospitate per-
manentemente nei luoghi pre-
scelti. Infatti, AdottArt intende
nel tempo creare un museo dif-
fuso del rione, stabilendo una
relazione continua con il suo tes-
suto commerciale.
Questi gli artisti e i luoghi coin-
volti nella terza edizione di Adot-
tArt:
- Fabio Maria Alecci, alla Lavan-
deria Luca di Ye Shiliang,
- Navid Azimi Sajadi, nella Far-
macia Longo,
- Primarosa Cesarini Sforza e
Lea Contestabile, alla Libreria
Pagina 2,
- Gianluca Esposito, alla Libreria
per Bambini The Little Reader,
- Elizabeth Frolet, alla Boutique
Sitenne,
- Sabina D’Angelosante, da Ar-
redamenti Fratelli Grilli,
- Amedeo Longo, nel Labora-
torio orafo “Plurale”,
- Patrizia Molinari, nello Spa-
zio Apollo11.
Le disavventuree gli straordinari incontri mattutini di uno studente del liceo Pilo Albertelli
Federico è un ragazzo che os-
serva molto; fin da piccolo,
due occhioni grandi e profondi gli
albergavano sopra il naso. Sem-
pre a caccia di particolari, il suo
sguardo saltellava su ogni per-
sona, spesso fantasticando e in-
ventando per ognuna una storia
diversa: d’altronde, proprio a lui
piaceva parlare di sé in terza per-
sona, e trasportarsi ora di qua,
ora di là ora… a scuola! Lì, infatti,
il nostro Federico è diretto. Con il
consueto ritardo di cinque minu-
ti, la Metro A è riuscita a portarlo
fino alla fermata Manzoni, dove
ora comincia la rocambolesca av-
ventura per raggiungere in tempo
il Liceo Classico Pilo Albertelli, a
piazza dell’Esquilino, da cinque
anni sede dei suoi studi.
Federico pensa, uscito dalla me-
tro, di incamminarsi spedito verso
la vicina fermata del tram, che lo
potrebbe portare fino a via Napo-
leone III: così fa.
La creatura delle 07,50. Ed
ecco che, dopo i primi cento me-
tri, incontra la prima delle tante
creature del rione, la vera pa-
drona dell’Esquilino alle 07,50
del mattino: lo studente dell’al-
tra scuola. È incredibile, pensa,
quanto questa zona pulluli di isti-
tuti, licei, scuole medie e scuole
private: c’è l’Istituto Tecnico per il
Turismo Cristoforo Colombo, il Li-
ceo Classico Tasso, il Liceo Scien-
tifico Plinio Il Vecchio, l’Istituto
Tecnico Industriale Galileo Galilei
e addirittura due sedi per il Liceo
Scientifico Newton! Migliaia di ra-
gazzi e ragazze usano percorrere
quelle vie, chi di corsa, chi sapen-
do di entrare in seconda ora.
Uno stato particolare, quello degli
studenti dell’Esquilino alle 07,50:
la maggior parte di loro a quell’o-
ra è in metamorfosi, abbandona il
suo vero sé, seminandone pezzi
e brandelli per tutta via Principe
Amedeo, per lasciare il posto ad
un avatar scolastico, che spesso
ben poco ha a che fare con l’esse-
re che un’ora prima si è svegliato
per andare a prendere la metro.
Incolonnati su sei file, seduti per
sei ore a pensare chissà a quale
filosofo etico: li riconosceresti,
quegli studenti, mentre manda-
no a quel paese un autista che
ha chiuso loro le porte in faccia,
o mentre cedono il posto ad una
anziana signora?
Un Cicerone maldestro. Ma non
è il momento di porsi domande.
Raggiunta la fermata Manzoni,
trafelato e quasi assassinato dal
solito mattutino pirata della stra-
da, il nostro liceale sale sul tram,
il 5, diretto a… Piazza dei Gerani!?
Ma da quella parte non va a Ter-
mini? Confuso, scarica i suoi dub-
bi sul conducente della vettura,
che con eleganza aristocratica gli
risponde: “Ao, e me so’ sbajjato.
Va a Termini, do’ voi che va, a Fra-
scati?”. Cortese, pensa Federico.
Eppure, che diamine ci vorrebbe
a scrivere il capolinea corretto?
Possibile che l’ATAC sia così tra-
scurata? La società del trasporto
pubblico romano che, soprattutto
nel rione Esquilino – ad un pas-
so da Santa Maria Maggiore, tre
dal Colosseo e due dalle Terme di
Diocleziano – dovrebbe essere il
Cicerone su gomma di migliaia di
turisti ogni anno, è così mal gestita
che non riesce neanche a correg-
gere la destinazione di un tram?
Una nuova insidia. Fammi guar-
dare l’ora, pensa Federico: l’en-
trata all’Albertelli è alle 08,00.
L’orologio segna le 08,10…
Come al suo solito beffardo, al
pari della natura leopardiana, il
quartiere Esquilino ha però pronta
un’altra insidia: la manifestazione
dei sindacati. Loro sì che sono l’a-
nima del quartiere. Ogni venerdì,
la solita storia. Diritti, lavoratori,
sfruttamento, pensioni, vogliamo
cose… ogni volta, le stesse grida
al megafono. Ma possibile che
sempre qui debbano rivendicare i
propri diritti? Che poi, pensa, ‘di-
ritti’… per ogni sindacalista della
CGIL che protesta c’è un minatore
cileno che ride a crepapelle, per
poi ricordarsi che deve lavorare
altre sedici ore. Federico, nella
sua ignoranza, forza dei presun-
tuosi, sa solo che il tram ora è fer-
mo e che lui anche oggi arriverà
in ritardo a scuola.
La sua attenzione viene ora cat-
turata da un ragazzo di colore,
più precisamente dalle sue urla: a
quanto pare, anche lui sta facen-
do tardi. Povero, pensa Federico:
che ne può sapere un ragazzo,
diventato uomo troppo presto,
venuto su un barcone dalla Libia,
che ora vive in chissà quale pa-
lazzone abusivo a Piazza Dante,
magari mantenuto dalla mafia,
dei problemi dei proletari italiani?
Mentre è perso in questi pensie-
ri, lo sguardo del nostro liceale si
posa sulla gelateria Fassi, astro
alimentare dell’Esquilino; da un
paio d’anni, un imprenditore co-
reano l’ha acquistata dal vecchio
proprietario italiano, come ulte-
riore dimostrazione della bravura
degli orientali in affari. L’Esquilino
è un rione fluido, quasi camaleon-
tico. Pochi sono i punti fissi: i bar
dove prendi sempre il caffè, la ge-
lateria che monta bene la panna,
il fast-food quasi commestibile.
Qualcosa in più. Prima di rag-
giungere il portone amorevolmen-
te ammuffito dell’Albertelli, Fede-
rico incontra l’ultima creatura della
sua avventura: lungo via dell’E-
squilino, i suoi occhioni si posano
su una mendicante di mezz’età,
coperta alla bell’e meglio da pile
scadenti. Gli chiede un euro, per
un panino. In quel momento, Fe-
derico pensa a come l’Esquilino
possa farti divertire un mondo o
farti sentire terribilmente solo;
ora è tutto tranne che ilare, e de-
cide di non far sentire sola, per
una mattina, quella mendicante.
Dandole un euro le confida, a bas-
sa voce affinché non lo sentano i
pessimisti: “Buona giornata”. Ed
entra a scuola, con quindici minu-
ti di ritardo, un euro in meno ma,
forse, qualcosa in più.
Federico Moretti
Vicedirettore del giornale Ondanomala
Liceo Pilo Albertelli di Roma
9In itinereIn itinere
Giacomo Leopardi: «Don’t let me be misunderstood!»
Una semplicistica chiave di lettura condiziona da tempo il giudizio complessivo sulla poetica leopardiana
Anche oggi arriverò in ritardo.
Pare sia un brutto vizio degli
inguaribili ottimisti, ma in questo
caso il 714 proprio non si decide a
passare. Sarà una buona mezz’ora
ormai che lo aspetto su via Meru-
lana, altezza Largo Leopardi.
…Si comincia a sentire un gran
vociare. Forse sarò suggestionato,
ma mi pare di sentire dei lamen-
ti che abbiano poco a che vedere
con i disservizi del trasporto pub-
blico locale. Non si dovrebbe fic-
care il naso negli affari altrui, ma
quel signore un po’ ingobbito mi
dà proprio la sensazione d’avere
qualcosa da raccontare. Ho gli oc-
chi gonfi di stupore: lui è Giaco-
mo, conte di nobil prosapia, ed ha
i suoi natali in Recanati, oggi Mar-
che, fu Stato Pontificio. È risentito,
indispettito da quel dire comune
che lo vorrebbe cupo, pessimista
ed afflitto. Ascoltandolo bene, in
effetti, parrebbe tutt’altro.
Un doloroso equivoco. È vittima
d’un fraintendimento Giacomo Le-
opardi (1798-1837), d’un equivo-
co che incide troppo radicalmente
sul giudizio complessivo circa la
sua poetica e la sua opera. Quella
chiave di lettura oltremodo sem-
plicistica e disinvolta, che vuole
ascrivere all’infermità ed alla ma-
lattia il suo approdo doloroso ma
consapevole al Pessimismo, non
può e non deve essere l’unica del-
la quale valersi per avvicinarsi alla
magnifica produzione leopardiana.
Per la letteratura, del suo secolo e
di quelli successivi, Giacomo Leo-
pardi è stato ed è molto altro.
I fervori giovanili. Cresciuto tra
i volumi della biblioteca del padre
Monaldo, Leopardi trascorse i pri-
mi anni donandosi a quello che egli
medesimo definì “studio matto e
disperatissimo”. Non passò troppo
tempo prima che il prodigio fosse
notato dai più fervidi intellettuali
della sua epoca.
Questi sono gli anni dei fervori
giovanili. Ardente nel desiderio di
misurarsi con ambienti cultura-
li più vasti, Leopardi pianifica la
fuga da Recanati ma fallisce, sco-
perto dal padre che solo in seguito
gli concederà l’agognata libertà,
riconoscendogli anche una mode-
sta rendita. Comincia così la pe-
regrinazione che lo porterà prima
a Roma, che lo delude profonda-
mente, per poi approdare a Milano
e Bologna, abbandonate per i ri-
gori delle stagioni, che ne mina-
vano ulteriormente la salute. Leo-
pardi giunge infine a Firenze, dove
è eletto socio dell’Accademia della
Crusca e può finalmente confron-
tarsi coi suoi più illustri contempo-
ranei. Ed è proprio a Firenze che
conosce l’amico di una vita, l’esule
napoletano Antonio Ranieri.
Siamo ormai oltre il 1830 e la
parte più vasta della produzione
Leopardiana ha già avuto compi-
mento. Lo Zibaldone, il persona-
lissimo diario del poeta, comin-
ciato nel 1817, ha già raccontato
il principio dell’Illusione, quella
tensione dell’individuo all’infinito
ed all’indefinito che, a dispetto
della condizione finita della natura
umana, riesce a procurare piace-
re mediante l’immaginazione. Da
qui ha origine proprio la poetica
del Vago e dell’Indefinito, che ha
il suo culmine nella lirica apparte-
nente ai Canti, L’Infinito (1819).
Successive sono le celebri A Sil-
via, Il Sabato del Villaggio, Il Pas-
sero Solitario, Canto Notturno di
un Pastore errante dell’Asia e Le
Operette Morali. Queste ultime,
ventiquattro tra novelle e dialoghi,
possono intendersi quale sintesi
del pensiero maturato nel corso
di tutta la stesura dello Zibaldone.
Nell’opera, Leopardi seppe valersi
magnificamente del metasemema
e dell’allegoria, declinando con
una satira alacre le critiche che
rivolgeva all’uomo ed alla sua na-
tura, o, più prosaicamente, ai fer-
venti progressisti del suo “secolo
decimonono”.
Un fiore nel deserto. Ormai
consunto dalla malattia, Leopardi
segue Ranieri a Napoli, dove da
Ranieri medesimo e dalla sorel-
la di questi, Paolina, riceve cure
amorevolissime. È proprio qui che
Leopardi assiste all’eruzione effu-
siva del Vesuvio. Anacronistica-
mente, ciò che osservano gli oc-
chi di Giacomo, lo racconta Plinio
il Giovane, nel 79 d.C.: “Interim
a Vesuvio monte pluribus locis
latissimae flammae, altaque in-
cendia relucebant, quorum fulgor
et claritas tenebris noctis excita-
batur” (i.e.: Frattanto, dal monte
Vesuvio, in più luoghi rilucevano
vastissime fiamme ed alti incen-
di, ed il bagliore divampava nel-
le tenebre della notte). Proprio
dalla contemplazione del Vesevo,
formidabile sterminator, Leopardi
prende le mosse per la compo-
sizione de La Ginestra, ovvero Il
Fiore del Deserto, sublime poe-
ma lirico, che possiamo intende-
re certamente quale testamento
ideologico e spirituale del poeta.
La Ginestra infatti, è la perfetta
allegoria del pensiero ultimo leo-
pardiano. Questa fiorisce in terre
desertiche e desolate, sfidando la
Natura “di voler matrigna” e pre-
sto o tardi soccomberà al “sotter-
raneo foco”. Cionondimeno, nella
sua ostinazione, diviene prototipo
del velato ma dirompente concet-
to di eroismo leopardiano.
Le ginestre dell’Esquilino. Ed
ecco che d’improvviso riecheggia-
no soavi le Illusioni e gli ardori del
giovane Giacomo, che per un mo-
mento si lascia alle spalle la sua
dolorosa presa di coscienza.
È proprio innanzi all’ineluttabilità
del suo destino che nella Ginestra
si sublimano il coraggio, la resi-
stenza ma soprattutto la solidarie-
tà tra gli uomini “negli alterni pe-
rigli e nelle angosce della guerra
comune” stretti “in social catena”.
Allora pare davvero cammini an-
cora tra di noi Leopardi, e tra le
pagine delle Operette ritrovo l’e-
co dei nostri lamenti per i picco-
li e grandi fastidi di tutti i giorni,
assieme a quella vaga autoironia
che abbiamo imparato ad eserci-
tare quando parliamo del nostro
Esquilino. Poi, passeggiando per le
nostre strade, magari comprando
il pane a via Buonarroti oppure un
gelato al caffè in via Principe Eu-
genio, mi accorgo che le ginestre
qui fioriscono tutti i giorni e sono
tenacissime, soprattutto adesso
che la primavera dilaga tra i viali
di Roma. Ed anche se non potre-
mo mai annoverare Leopardi nella
categoria dei ritardatari, inguari-
bili ottimisti, illudiamoci e immagi-
niamocelo anche noi, per un mo-
mento, il profumo della Ginestra…
Ed è bellissimo perdersi in questo
incantesimo!
Francesco Ciamei
Ditelo al cieloDitelo al cielo10
La bellezza di George
“They call me George”: quando qualcuno risponde così,
in genere, se non è un attore, è perché ha imparato sulla
propria pelle a non fidarsi, a non offrire il proprio nome
a uno sconosciuto che glielo chiede. Se poi la sua pelle è
nera, quel sospetto ce l’ha scolpito nel corpo.
Dai primi giorni di gennaio George si prende cura dei
giardini di piazza Vittorio. Come tanti altri migranti che
hanno trovato nell’incuria delle strade di Roma uno
spunto per inventarsi un lavoretto, è armato di rastrello,
ramazza e tanti sacchi neri in cui imbusta la sporcizia che
trova. Solo che, a differenza di altri, non sparge ciotole o
cappelli con la speranza di raccogliere un piccolo contri-
buto da parte di qualche riconoscente cittadino. Lui lo fa
“on a voluntary basis” spiega. Poi non rifiuta una mancia,
irresistibile quando si ammira la sua cura.
La particolarità del suo lavoro infatti è che George è un
fanatico della bellezza: non si limita a togliere erbacce,
foglie secche e spazzatura, ma ogni mattina all’alba crea
e ricostruisce piccoli mosaici, talvolta quasi dei mandala,
con i sassolini e i pezzi di selciato rotto che trova sui bor-
di delle aiuole. Non si demoralizza quando il giorno suc-
cessivo trova una nuova devastazione: con ritmo lento e
pazienza ricomincia, anche quando piove.
Questo ‘lavoro’ lo aiuta a non perdere fiducia, in se stesso
innanzitutto, perché in concreto la speranza che questa
attività possa aiutarlo con le sue pratiche di rinnovo del
permesso di soggiorno è assai vaga. È arrivato in Italia
nel 2012 dalla Liberia, paese prima teatro di guerre civili
e ora governato da George Weah, ex calciatore (in Italia
ha giocato nel Milan e ha anche conquistato, primo afri-
cano, il pallone d’oro), presidente più democratico ma
che ha non poche difficoltà a rimettere in sesto il paese.
Non so se si possa fare qualcosa perché la bellezza che
sta a cuore a George possa essere valorizzata e il suo la-
voro riconosciuto. Però incontrarlo la mattina, dopo aver
oltrepassato cassonetti traboccanti di spazzatura e altri
resti urbani, è un piacere che illumina la giornata. Passa-
te a trovarlo e diffondete… credo valga la pena.
Alessandra Orsi
Gentile lettrice,
la ringraziamo di questo suo bel contributo. L’abbiamo
ricevuto qualche tempo fa e, data la nostra cadenza bi-
mestrale, non ci è stato possibile pubblicarlo prima. Nel
momento in cui scriviamo, i giardini di Piazza Vittorio
sono chiusi per i lavori di riqualificazione di cui vi abbia-
mo raccontato a pag. 3 di questo giornale. Non sappia-
mo se George sia ancora in zona o se magari ha trovato
un altro giardino a cui dedicare i propri atti di amorevole
cura, ma il messaggio che ci trasmette rimane sempre
valido.
La redazione
Dov’è il lampione n. 16?
LUX FUIT! In via Luigi Luzzati è sparita da più di 5 anni
la parte terminale del lampione n. 16 (circa 2,5 metri di
ghisa pesante!) compreso naturalmente il portalampada.
Più volte è stata fatta segnalazione alla ACEA, ma ab-
biamo ricevuto solo cortesi parole di impegno. Il mezzo
lampione scomparso va ad aggiungersi ai disagi... illu-
minatori che vedono la sostituzione di lampade defunte
solo dopo diverse settimane dalla loro dipartita! Dateci la
luce visto che per averla paghiamo tutti qualcosa. O no?
Cordiali saluti e buon lavoro alla Redazione.
Lucio Lo Grande
Street art per via Statilia
Buongiorno amici,
molto spesso passo per via del Porto fluviale e dintorni
e non posso fare a meno di ammirare la vera street art
che decora e abbellisce molti palazzi della zona. Poiché
abito in via Principe Aimone, piccola strada compresa tra
via Statilia e via San Quintino, ho da tempo un sogno. Il
lungo muro che delimita Villa Wolkonski su via Statilia è
purtroppo deturpato da ignobili graffiti senza significato
alcuno, se non quello di rendere sporco il muro come
la mentalità di chi li compie. Sarebbe bellissimo, maga-
ri con il permesso dell’Ambasciata Inglese, far decora-
re detto muro da veri artisti, come nel caso citato so-
pra, magari con scene raffiguranti giardini, bambini che
giocano e simili. Ricordo con piacere quanto fui colpito
entrando in auto a San Francisco, nel vedere un lungo
muro dipinto con vari personaggi e situazioni veramen-
te piacevoli. Forse qualcuno più avanti negli anni, come
me, ricorderà che lo si vedeva nella sigla di un gialletto
televisivo di qualche decennio fa.
C’è qualcuno che crede che questo sogno sia realizza-
bile? Grazie e complimenti ancora per il vostro impegno
nel migliorare il rione.
Cari saluti,
Oronzo Tampone
L’Esquilino un tempo…
Carissimi!
Grazie per la bella pubblicazione, con cui ci aggiornate
circa il ‘nuovo’ e ci ricordate circa il ‘vecchio’ da non di-
menticare! Chissà che cos'era e com'era la nostra Piazza
Vittorio Emanuele II quando venne inaugurata negli anni
Ottanta del 1800, abitata dai funzionari della capitale di
uno Stato europeo tutto nuovo: il Regno d'Italia! Quel-
la città un po' bruttina e caciarona, tutta arroccata sul
Tevere, chiusa dentro le Mura Aureliane, doveva invece
diventare la capitale di un Regno! E concorrere con Pari-
gi, in primo luogo!
Se non erro, l'unica grande e lunga via della Roma pa-
palina era la via Merulana, che collegava le due grandi
Basiliche, Santa Maria Maggiore e San Giovanni in Late-
rano, incrociata a valle dalla via Labicana. Questa partiva
dal Colosseo e saliva su, verso i Castelli. Qualche anno
prima della Breccia di Porta Pia moriva il Belli, che con i
suoi sonetti ci ha lasciato l'immagine forse più fedele di
quella Roma papalina che oggi non esiste più! La Città
del Vaticano è tutt'un'altra cosa!
Buon, lavoro!
Maurizio Tiriticco
Esquilino Poesia
Prosegue la rasse-
gna ‘Esquilino poe-
sia’. Ogni lunedì alle ore
19.00, letture e discus-
sione nel teatro della
scuola Federico Di Dona-
to, in via Bixio 83.
Questi i prossimi appun-
tamenti:
13 maggio. Francesco
D’Alessandro, Emanuele
Franceschetti
20 maggio. La Poesia
per la Fratellanza dei
Popoli: Ndjock Ngana,
Odeh Amarneh, Roberto
Piperno
27 maggio. Tomaso
Binga, Lidia Riviello
3 giugno. Silvia Bre, So-
nia Gentili.
Un laboratorio
teatrale
per insegnare
l’italiano
ai migranti
‘FOCUS - Casa dei diritti
sociali’ organizza da di-
versi anni un laboratorio
teatrale interculturale,
pensato come suppor-
to per l’insegnamento
ai migranti, allievi del-
la scuola di italiano per
stranieri di via Giolitti.
Ogni anno, un cast di
attori, ‘ingaggiati’ tra
gli allievi della scuola,
si cimentano in prove
stancanti e divertenti, e
quindi in una rappresen-
tazione finale sotto la di-
rezione di Magda Merca-
tali, volontaria della Casa
dei diritti Sociali.
Lo spettacolo finale
quest’anno si terrà il 31
maggio e l’1-2 giugno,
presso il Teatro Belli a
Trastevere.
A pranzo
A cena
16.90 €
21.90 €
PRENOTAZIONI TAKE AWAY
TEL. 06 77076392
PRANZO
11:00-15:00
BAR
7:00-18.00
CENA
18:00-23:00
I NOSTRI ORARI
Piazza Dante 6
Tel. 06.70453481
info@rocografica.it
seguici su
Numero 25 anno V
Maggio/Giugno 2019
Bimestrale gratuito a cura dell’associazione
“Il Cielo sopra Esquilino”
Registrato presso il Tribunale di Roma
N° 62/2015 28-04-2015
da Associazione “Il Cielo sopra Esquilino”
Codice fiscale 97141220588
Direttrice Responsabile
Paola Mauti
Redazione
Chiara Armezzani, Carlo Di Carlo,
Francesco Ciamei, Andrea Fassi, Luca Ferrante,
M. Elisabetta Gramolini, Riccardo Iacobucci,
Salvatore Mortelliti, Antonia Niro, Silvio Nobili,
Patrizia Pellegrini, Maria Grazia Sentinelli,
Carmelo G. Severino
Hanno collaborato a questo numero
Claudia Bellia, Lorenzo Fabi, Antonio Finelli,
Federico Moretti, Francesca Valenza
Per informazioni, lettere, sostegno,
proposte e collaborazioni
redazione@cielosopraesquilino.it
Potete trovare Il cielo sopra Esquilino
anche online:
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Chiuso in redazione il 10/05/2019
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Ditelo al cieloDitelo al cielo 13
Franco, Ciccio e ‘Bella ciao’
La domenica, a volte, ci riversavamo nel cine-
ma parrocchiale, la cosiddetta ‘Sala Sessoria-
na’ che per me aveva un nome pieno di mistero.
Mi chiedevo come una sala parrocchiale potesse
avere un nome che iniziasse con ‘sesso’. Senza
lontanamente immaginare che qui esistesse il
Sessorio dell’Imperatore Settimio Severo.
Ricordo alla fine della proiezione cinematografi-
ca di ‘Sandokan’ i bambini seguire in coro la sigla
iniziando con un ‘Sandokaaan’ che si traduceva
in un urlo prorompente. E quell’urlo mi trasmet-
teva un’emozione incontenibile, mi faceva sen-
tire parte di un tutto. Questo non si verificava
per i film di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia,
oppure la serie di ‘Attenti a quei due’, con Tony
Curtis e Roger Moore, e ancora: ‘Un maggiolino
tutto matto’. Più che i film mi interessavano i
comportamenti dei coetanei che tifavano per il
‘maggiolino’ e per le avventure di Tony Curtis e
Roger Moore che compivano imprese impossibili
sfidando la forza di gravità. Il tutto era accom-
pagnato da un consumo rumoroso di patatine,
gelati, pop-corn. Adesso il cinema parrocchiale
non esiste più, cancellato con un colpo di spugna.
Così anche il presepe che nel periodo natalizio
veniva allestito nel giardino di fronte alla Chiesa
di Santa Croce, con statue a grandezza naturale.
Intorno ai quattro anni di età, durante le nume-
rose manifestazioni a San Giovanni in Laterano,
ero affascinata dalla distesa di bandiere rosse
e dagli slogan come: ‘Nixon boia è ora che tu
muoia’ e dalle canzoni: ‘Bella ciao’, ‘El pueblo
unido jamas serà vencido’, che mi esercitavo a
ripetere davanti allo specchio.
Sono cambiati gli eventi della storica piazza,
come è mutato il luogo degli appuntamenti. Pri-
ma che la Coin, costruita sul finire degli anni
settanta, divenisse il luogo eletto per gli appun-
tamenti in piazza San Giovanni, la statua di San
Francesco costituiva il più celebre punto di ri-
trovo. Adesso la statua di San Francesco, sop-
piantata dalla Coin e dalla metropolitana, rima-
ne un luogo di bivacco per i turisti stanchi, per i
barboni. In occasione poi del concertone del 1°
maggio viene utilizzata come una gremitissima
pedana. I ragazzi che vi assistono si abbarbica-
no, nella migliore delle ipotesi, alle statue del
monumento quando addirittura non vi si arram-
picano sopra.
Le trattorie di zona, che in occasione della fe-
sta di San Giovanni servivano zuppe di lumache,
sono scomparse. Si trattava di trattorie tipiche
romane, che la sera di San Giovanni allestivano
dei tavoli all’esterno dove i passanti potevano
vedere i clienti mangiare lumache.
Anche Piazza Vittorio fa parte del mio rione, e
dagli anni dell’infanzia ad oggi è cambiata mol-
tissimo. Lungo i portici della grande piazza in
stile ottocentesco si susseguivano negozi di
commercianti italiani prima di cadere uno ad
uno nelle mani dei cinesi. Quello che ha resi-
stito più a lungo è stata la rosticceria, il primo
negozio all’angolo della piazza. La rosticceria ne
segnava per me il traguardo immaginario. Ap-
pena scorgevo dalla vetrina i polli che cuoce-
vano sul girarrosto, realizzavo di essere giun-
ta alla meta. Mi chiedevo se quei polli fossero
sempre gli stessi o se ogni tanto li cambiassero.
Non sono mai entrata in quel negozio respinta
dall’odore di frittura scadente che emanava. Al-
cuni negozi, che vendevano stoffe a metraggio
e abbigliamento, riportavano sull’insegna i tipi-
ci cognomi ebraici come Pontecorvo, Di Segni,
Sermoneta. Sotto i portici si trovavano anche di-
verse oreficerie, ricordo Rutili. Quando doveva-
mo acquistare un abito elegante ci recavamo da
Fusodoro dei Marzotto, un bellissimo magazzino
che trattava esclusivamente il settore dell’abbi-
gliamento. Ma Fusodoro è legato agli anni della
prima infanzia perché ha chiuso molto presto.
I Magazzini allo Statuto, cosiddetti perché si tro-
vavano in via dello Statuto, rappresentavano un
punto di riferimento. Successivamente il nome è
stato abbreviato in MAS. Come ricorda mia non-
na, anche questi vendevano stoffe a metraggio
e, fino al 1955, al piano superiore erano dotati di
una sartoria. Ma vi si trovava anche oggettisti-
ca per la casa e attrezzature per la cucina. Poi,
sul finire degli anni settanta è iniziata la deriva.
Sono diventati di fatto il primo outlet esistente
a Roma. Vi si vendevano stock di abbigliamen-
to rimasto invenduto altrove. Appena entrati si
passava tra i banchi dove erano disposte monta-
gne di magliette dai colori sgargianti, pantaloni,
jeans, scarpe, mutande per un’intera città, calze
dai colori improponibili, dal rosa fucsia al giallo
evidenziatore. Da Mas si poteva trovare anche
l’abbigliamento di stile militare, sportivo, scarpe
da montagna, doposcì, e nel piano sotterraneo
un reparto casalinghi. Ogni volta che vi entra-
vo venivo dotata dal personale del magazzino di
un’enorme busta di plastica, e percepivo un leg-
gero odore di muffa a testimonianza che quella
merce era costituita da fondi di magazzino.
Claudia Bellia
Un nuovo breve racconto della nostra lettrice Claudia Bellia,
con il rione com’era: il cinema parrocchiale, il presepe di Santa Croce,
i negozi di piazza Vittorio e i luoghi d’incontro di una volta
Giovedì 21 marzo siamo scesi
giù a teatro per festeggiare
la Giornata Mondiale della Poe-
sia. Alcune classi hanno “decla-
mato” per ricordare L’infinito di
Giacomo Leopardi.
Un bambino della V-C ha scritto
dei versi in dialetto marchigiano,
usando infatti lo stesso dialetto
di Leopardi. Mentre la interpre-
tava, un suo compagno di classe,
il fratello di un nostro amico, la
traduceva.
Un bambino della III-D ha reci-
tato una poesia, mentre gli altri
la rappresentavano attraverso i
gesti, e la poesia era proprio L’in-
finito.
Le seconde hanno inventato delle
poesie. La II-D è salita sul pal-
coscenico utilizzando degli stru-
menti e alla fine un bambino ha
detto “con i miei amici mi sento
una poesia” e tutti l’hanno ab-
bracciato.
La II-B invece ha letto una frase
per uno; un bambino non riusciva
a leggere ed un suo amico lo ha
incoraggiato. La poesia parlava
dell’amicizia infinita.
Ci siamo divertiti tanto per que-
sto specialissimo 21 marzo.
Abbiamo capito che fare poesia
non è difficile, basta aprire la
mente e il cuore e con un pizzi-
co di fantasia la poesia diventa
melodia.
Possiamo pensare che il prossimo
anno saliremo sul palco anche noi.
Classe III-B
Achiunque stia leggendo vogliamo
consigliare la lettura dell’Iliade,
dell’Eneide e dell’Odissea.
Incontrerete nel cuore tre eroi che vi
aiuteranno a crescere:
Achille, con il suo desiderio di gloria
ci spiega che è meglio vivere dieci anni
da lupo che cento da pecora e che la
guerra porta la morte, anche se fatta
in nome di un ideale o di un sentimento.
Il permaloso, prepotente, spietato
Achille impersonifica e spiega il com-
portamento dell’ira e che a volte un po’
di cattiveria serve.
Enea, con il suo amore verso il padre
e la famiglia, con il rispetto verso il
volere degli dei, rappresenta la pietas.
Enea, il pio, dice anche di non stare
soli, di essere se stessi, di pensare
agli altri. Ci piace Enea perché con il
coraggio, la forza di volontà e la sua
generosità ha ottenuto la vittoria nel
suo cuore, perché la perseveranza va
premiata e la pietà ci può salvare
Ulisse, con il lungo viaggio verso la sua
terra ci insegna che non importa la
meta ma il viaggio, ci fa capire com’è
avere una famiglia, che non bisogna
farsi ingannare dalle apparenze e che
bisogna credere in se stessi. Con la
sua curiosità e la sua saggezza riesce
a superare tutti gli ostacoli. Ci è pia-
ciuto perché fa le cose con decisione.
A noi hanno cambiato il modo di ve-
dere le cose e ci hanno fatto capire
l’importanza del lavoro di squadra per
raggiungere i propri obiettivi, metten-
do a rischio la propria vita.
E dire che noi faremmo qualsiasi cosa
pur di non morire perché non siamo
dotati di quei sentimenti. Li abbiamo
persi quando abbiamo spezzato la fi-
ducia, il legame fra noi, e tutti sappia-
mo come, quando e dove.
Abbiamo tutti errori e torti piccoli e
grandi da rimediare, e per tutti c’è un
modo di farlo.
Ecco perché ve li consigliamo.
Classe V-C
“Il mondo a Scuola”
a cura dell’Istituto Comprensivo “Daniele Manin” - www. danielemanin.gov.it
14
Giornata della poesia
Era da un po’ che non salivamo su un
palco, davanti a noi c’era un pubbli-
co gigantesco di bambini e maestre,
che sorridevano e applaudivano. Che
emozione... e che felicità e orgoglio
abbiamo provato nel partecipare alla
Giornata Mondiale della Poesia!
Abbiamo recitato, e interpretato con
la Mimesis, la poesia del poeta Giaco-
mo Leopardi che si intitola “L’Infinito”.
Poi abbiamo dedicato alla nostra scuo-
la un componimento realizzato da noi
in classe con il brainstorming:
La mia Scuola
La mia Scuola è come una madre
che ci tiene tutti insieme,
come una famiglia.
La mia Scuola è un dono prezioso,
è come una casa, e ci insegna la vita.
Lei è una stella che brilla nella notte
e ci orienta nel sapere.
Nella mia scuola c’è tanto Amore.
Mentre recitavamo una nostra compa-
gna improvvisava una danza espressiva
con un vestito coloratissimo del suo
paese di origine.
Ci è sembrato di vivere un sogno.
Questa bellissima esperienza ci ha
insegnato ad esprimerci con tutto noi
stessi, superando ogni timore.
Classe III-D
Il ritorno delle leggende
L’amicizia è per tutti
Vi vogliamo presentare la II-B.
Abbiamo tante lingue nella
nostra classe, bambini che ven-
gono da tanti paesi del mondo ma
per parlare insieme abbiamo l’i-
taliano. Siamo amici e ci vogliamo
bene.
Giochiamo insieme, litighiamo
qualche volta, ma facciamo prima
o poi pace, perché per noi l’amici-
zia è la cosa più importante.
Se un bambino è triste o arrab-
biato lo aiutiamo e lo consoliamo:
gli facciamo tornare il sorriso!
Noi insieme lavoriamo con il gio-
co di squadra: lavoriamo mentre
giochiamo e giochiamo mentre
lavoriamo.
Aspettiamo con gioia chi rimane
indietro e ci aiutiamo a vicenda;
se sbagliamo non ci arrendiamo.
Siamo sicuri che la nostra amici-
zia non si spezzerà mai.
Avete capito com’è la nostra
classe?
Ci ha fatto piacere conoscervi,
alla prossima.
Ciao, adios, bye, salam, ni hao.
Classe II-B
La bellezza
della Poesia
Sono Papille, sono tornato, e
ringrazio di nuovo Andrea Fassi
per avermi lasciato con disponibili-
tà e generosità questa pagina dove
il mio stanco spirito può raccon-
tarvi sfumature e glorie del cibo.
Di rientro dagli Stati Uniti per l’in-
tervento alla lingua cui mi sono
sottoposto, porto con me un’espe-
rienza edificante. Il giorno prece-
dente all’intervento, ho visitato
la Starbuck’s Roastery Reserve a
New York. Sapere che aprirà an-
che a Roma mi ha elettrizzato.
Da Seattle a Roma. Starbuck’s,
quello che tutti conoscono, nasce
da un’intuizione imprenditoriale di
tre universitari negli anni ’70, fi-
glia di una curiosità nata dallo stu-
dio dei bar italiani. Prese il nome
da un personaggio del romanzo di
Moby Dick e per questa ragione
è già meritevole di successo, al-
meno questo passatemelo. Dopo
l’apertura del primo negozio a
Seattle, nel 1971, e la conquista
di quasi tutto il globo nei decen-
ni successivi, credo che le odierne
aperture a Milano e Roma chiuda-
no il cerchio. Come spesso capita
in questi casi, la capitale è ancora
indecisa se accogliere o disdegna-
re il colosso del caffè.
A Roma alloggio a pochi metri dal-
la stazione San Pietro, quindi pas-
so spesso per Borgo Pio e per la
zona limitrofa ai Musei Vaticani.
Sembra sia lì che aprirà la prima
Roastery Reserve romana, ed è lì
che oggi il caffè è di media qualità
se non bassa. L’obiettivo di Star-
buck’s è, oggi come agli albori, of-
frire un’esperienza totale al clien-
te. Così è stato per me allo store
di New York.
Ma andiamo con ordine.
L’estetica del caffè. La Roastery
Reserve di New York, uguale con-
cetto degli store di Seattle, Tokyo
e ora Milano, aperto in collabora-
zione con Princi – marchio italiano
dei prodotti da forno – è un’espe-
rienza mistica. L’enorme entrata
in rame è il varco per la galassia
del caffè. L’aroma del chicco più
consumato al mondo mi accoglie
appena tostato solleticandomi le
narici. Inspiro a pieni polmoni e
procedo nell’enorme locale dai
colori ramati. Il vibrare di una
grande tostatrice che intravedo in
lontananza si ripete incessante;
mi ricorda quando, una sessanti-
na d’anni fa, in campagna dai miei
nonni, sentivo il rumore delle pale
del mulino girare lente.
Una ragazza scivola via da un ta-
volo su cui ampolle e alambicchi
sono adagiati con sapienza, mi
chiede sorridendo cosa ne penso
del nuovo negozio, mentre mi of-
fre un assaggio di uno specialty
coffee. Per chi non lo sapesse, lo
specialty coffee è un’alternativa al
caffè classico, in parole povere è
un diverso metodo di estrazione e
tostatura di un caffè mono origine.
La bocca si scalda, l’aroma del
caffè mi ricorda bacche di vaniglia
e cioccolato. La decisione della be-
vanda mi permette di dimenticare
che, da quando ustionai la lingua,
parte del gusto non riesco più a
percepirlo. Per fortuna il resto del
sapore sopravvive denso nel re-
tro del mio palato, sprigionando
potente il suo aroma. Chiudo gli
occhi: la prima immagine è una
distesa di caffè in sud America,
subito però l’immagine è rettifica-
ta dal pensiero del gioviale barista
Sergio, proprietario del bar sotto
casa mia a Roma. La mia mente lo
dipinge scocciato, perché spesso
non ho monete ma solo bancono-
te da venti euro. Riapro gli occhi,
sono ancora qui in paradiso, la ra-
gazza mi sorride.
Il caffè è ottimo, procedo e un ra-
gazzo mi ferma. Cortese mi chie-
de se fossi interessato a conosce-
re le fasi della tostatura del caffè
e le miscele presenti in negozio.
Sebbene le conosca già tutte e
non abbia molto tempo, dopo po-
chi minuti mi trovo a tastare chic-
chi abbrustoliti, odorandoli come
un segugio. Il rame intorno a me
brilla, il caffè profuma e il locale
è pieno. È un bar americano nato
da una sfumatura italiana. È l’idea
del bar secondo il fondatore Ho-
ward Schultz. Un’esperienza per-
sino per un ex critico gastronomi-
co come me.
Di nuovo Sergio si affaccia nei
miei pensieri. Lo immagino nervo-
so che mi chiede informazioni sul-
le mie necessità,“Ce voi n’goccio
de latte?”, mentre con un panno
annerito spolvera l’unto bancone
rovesciandomi delle briciole sui
pantaloni. Da Sergio il caffè cam-
bia ogni giorno, pur rimanendo
nei canoni dell’accettabile. È il più
buono della zona San Pietro, e an-
che da lui, come in tutti i bar limi-
trofi, non è permesso conoscere la
miscela o la tostatura del prodot-
to. Forse sono io a essere preten-
zioso, ma ho la sensazione che da
Sergio qualcosa non funzioni e che
ormai siamo tutti così abituati da
non cogliere il problema.
Nostalgia canaglia. Procedo
verso la pasticceria firmata Prin-
ci, mi limito a un Muffin forse un
po’ troppo saporito e sorseggio un
cappuccino, molto buono. Una ra-
gazza mi consegna un foglio su cui
leggo le provenienze dei caffè con
cui preparano gli espressi, la to-
statrice prosegue il suo lento lavo-
ro, diversi cappuccini sono deco-
rati da due ragazzi esperti in latte
art. Può un prodotto avere tutte le
sue più belle sfumature espresse
in un locale? Sì, può.
Mi alzo, una ragazza mi saluta con
un sorriso ringraziandomi. Sto di-
ventando vecchio, per un istante
questa perfezione che ha nutrito la
mia ricerca per il bello e il profes-
sionale si diluisce nel pensiero di
Sergio, che ora mi manca. Sergio
mi sorride senza che me lo aspetto,
mi racconta della moglie che non
sta bene e di quanto sia stanco.
Non dobbiamo temere Starbuck’s.
Starbuck’s deve insegnarci molto,
ma non potrà mai insegnare la
profondità di un caffè espresso al
bar sotto casa.
Andrea Fassi
15EsquisitoEsquisito
Il cibo, il caffè e il cambiamentoUn’esperienza mistica nella Roastery Reserve di New York, il fidato barista Sergio e l’eterno ritorno
Illustrazione di Chiara Armezzani
Cielo sopraesquilino numero25

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Cielo sopraesquilino numero25

  • 1. Periodico di informazione a cura dell’associazione “Il Cielo sopra Esquilino” Numero 25 anno V - Maggio/Giugno 2019 PiazzaVittorio:lastessaoccasioneI lavori per il riassetto dei giardini di piazza Vittorio sono partiti a marzo e dovrebbero terminare a settembre, ma la vera sfida sarà quella del successivo mantenimento. Molte le questioni aperte Era il marzo 2015, oltre 4 anni fa, quando la nostra testata debuttava con il titolo ‘Un’oc- casione da non perdere’ riferendosi al progetto dei giardini di piazza Vittorio. Da allora, come spesso avviene per le opere pubbliche, l’iter di realizzazione del progetto non si è certo distin- to per velocità. La firma del protocollo di intesa tra ammini- strazione e Comitato Piazza Vittorio Partecipata è del giugno 2014. Poi, nel 2015, l’individua- zione dei fondi, 2.500.000 euro, all’interno di quelli stanziati per il Giubileo, divenuti in segui- to 2.875.000 euro. Per l’emissione ufficiale del bando di gara si è dovuto attendere fino al mar- zo 2017. Un altro anno è trascorso per la nomi- na delle varie commissioni, prima che potesse essere stilata, nel maggio 2018, la sospirata graduatoria delle 14 offerte presentate. Come se non bastasse, è sopraggiunto il fallimento di una delle ditte dell’associazione di imprese vincitrice. Di qui le ulteriori tempistiche ne- cessarie alla sua sostituzione e alle successive verifiche da parte dell’ANAC (l’agenzia anti cor- ruzione). Insomma, una vera corsa ad ostacoli. Il piano di gestione. Quella dei lavori era però solo una parte dell’occasione che anda- va colta. La scommessa sui giardini non è tan- to quella della loro ristrutturazione, ma bensì quella del successivo mantenimento. Un pro- getto pilota quello di piazza Vittorio. Il primo a Roma a prevedere, assieme al riassetto ini- ziale, anche la successiva gestione di quanto realizzato. Parallelamente alla stesura del ban- do di gara è stato infatti redatto, dal Comitato Piazza Vittorio Partecipata, il Piano di Gestione che l’amministrazione comunale ha fatto pro- prio tramite una memoria di giunta approvata nel settembre 2017. Un documento di 225 pa- gine con analisi, criticità e proposte per gestire al meglio il giardino. Prodotto grazie al finan- ziamento ottenuto dal FAI per l’edizione 2012 de ‘I luoghi del cuore’, quando piazza Vittorio risultò tra i siti più amati d’Italia. Riccardo Iacobucci segue a pagina 3 Il cinema e l’impegno di Carlotta Natoli L’attrice, residente nel rione, ci racconta i suoi esordi nel grande schermo e nella televisione. E parla anche del suo impegno con i comitati di zona: «l’incontro con la diversità aiuta a crescere» Carlotta Natoli ha interpretato ruoli importanti nel cinema – con registi come Michele Placido, Enrico Oldoini, Francesca Comen- cini – e in numerose serie televi- sive di successo, come ‘Distretto di Polizia’, ‘Tutti pazzi per amore’, ‘Braccialetti Rossi’ e ‘La compagnia del cigno’. Tra i suoi ultimi lavori ri- cordiamo il film ‘Troppa Grazia’, di Gianni Zanasi, che ha ricevuto un importante riconoscimento all'ulti- mo festival di Cannes nella sezione ‘Quinzaine des Réalisateurs’, e la fiction ‘L’Aquila - Grandi speranze’, con la regia di Marco Risi, che ri- percorre i tragici momenti vissuti dagli abitanti della città, colpita dal terribile terremoto dell'aprile 2009. In questa piacevole chiacchierata, avuta nella bella cornice di Palazzo Merulana, abbiamo parlato della sua professione e del nostro rione, in cui vive da molti anni. Come ha esordito nel cinema? Ho cominciato ad 8 anni lavoran- do con mio padre Piero nel film ‘Con-fusione’. Racconta la storia di un padre che dopo l'abbandono da parte della moglie rimane solo con la figlia, la quale lo convince a prendere una roulotte e a partire per il mare: inizia così un viaggio on the road che li porterà a scio- gliere alcuni nodi affettivi. Il film ebbe molto successo, io vinsi an- che una targa al Festival di Vene- zia del 1980. In seguito, anche se continuavo a dirmi che il cinema non aveva per me grande interes- se e che preferivo seguire le orme di mia madre, professoressa e tra- duttrice di lingua e letteratura rus- sa, ho continuato a fare altri film con mio padre e con attori quali Valerio Mastrandrea e Neri Mar- corè. E man mano ho capito che amavo molto recitare sul grande schermo. Maria Grazia Sentinelli segue a pagina 2
  • 2. 2 antonio.finelli@tiscali.it antonio.finelli@tiscali.it Piazza Vittorio e il tram Sguardi sull’Esquilino di Antonio Finelli (antonio.finelli@tiscali.it) Ilcinemael’impegnodiCarlottaNatoli> segue dalla prima pagina Lei è una affermata attrice, oltre che del cinema anche della televisione. Le sem- brerà una domanda un po’ scontata, ma siamo curiosi di sapere se trova mag- giore soddisfazione ad interpretare i ruoli cinematografici o quelli televisivi? Sicuramente la mia passione è il cinema, ma ho deciso di interpretare anche ruoli nella te- levisione, perché il cinema italiano è diventato un po’ chiuso ed autoreferenziale, e oggi ri- chiede per lo più ruoli stereotipati, o la don- na giovane e bella o quella un po’ fragile e nevrotica; difficile che metta in scena donne vere, di grande forza e drammaticità. Ai giorni d’oggi anche Anna Magnani avrebbe difficoltà a trovare lavoro. Paradossalmente invece la televisione sperimenta di più e ha un aspet- to popolare che mi attrae. I ruoli di Laura ne ‘I misteri di Laura’, o la dottoressa Lisandri in ‘Braccialetti rossi’, o la Monika di ‘Tutti pazzi per amore’ li ho trovati diversi tra loro, ma tut- ti molto innovativi. C’è poi da dire che la serie televisiva ti fa entrare di più nel personaggio che interpreti, spesso per più stagioni, facen- dolo diventare tuo, e ti permette di recitare meglio. Un po’ come succede a teatro. Peraltro io amo molto anche il teatro in cui ho recente- mente lavorato ne ‘Le giornate della memoria’, liberamente tratto dal libro di Alessandro Por- telli sull’eccidio delle Fosse Ardeatine. La regi- sta è Francesca Comencini e i personaggi, tutti femminili, sono sei: tre gappiste e tre donne che hanno perso nella strage i loro familiari. Venendo al rione, ci piacerebbe sape- re come giudica l’offerta culturale di Esquilino, dove ci sono due teatri, un cinema d’essai, librerie, gallerie d’arte come Palazzo Merulana e parecchi cen- tri e associazioni culturali. Le sembra che queste presenze riescano ad espri- mere un livello culturale soddisfacen- te o le sembra che manchi qualcosa? Secondo me il rione è pieno di ottime organiz- zazioni culturali, come l’Apollo11, che fa una programmazione di qualità, il centro Matemù, che promuove moltissime iniziative di buon li- vello aggregando i giovani del rione, l’Associa- zione Esquilino Basket, che accoglie moltissimi ragazzi,o la Scuola Di Donato, che fa fiorire numerosi eventi sportivi, sociali e culturali. Forse quello che manca è una migliore comu- nicazione, che faccia arrivare l’informazione a tutti i cittadini del rione, o magari un po- sto conosciuto dove promuovere i vari eventi. Ciò favorirebbe anche un maggior coordina- mento tra le varie iniziative. Esquilino vede una presenza molto forte di registi, attori, artisti e intellettuali che vivono nel rione da vari anni. Qual è, se- condo lei, la ragione di tale concentrazio- ne di personaggi della cultura? La presenza di tante comunità straniere ma anche italiane – molti residenti italiani vengo- no da diverse città come Milano, Napoli, Torino – rende questo rione non banale e non omolo- gato. Poi, certo, c’è il fatto che è un luogo cen- trale e relativamente economico. La differenza che si respira ad Esquilino, sia politica che et- nica, fa sì che il rione non sia mai uguale a se stesso e crea una vivacità che attira gli artisti che prendono ispirazione da queste contrad- dizioni. Vorremmo una maggiore pulizia, un minor degrado, maggiori regole di convivenza, ma non dobbiamo cancellare queste contrad- dizioni che lo rendono vitale. Sappiamo che è molto attiva nei comitati del rione. Come mai lei, affermata e cono- sciuta attrice, ha deciso di dedicare un po’ di tempo a questo tipo di attività? In verità la mia prima motivazione a muover- mi è nata da un’esigenza di sicurezza. Io ho tre figli adolescenti e sotto casa mia c’era uno spaccio di droga. Così per far fronte all’emer- genza è nato un comitato per il contenimento dello spaccio, che ha messo in rete cittadini e forze dell’ordine e che ha raggiunto qualche risultato. Attraverso questa attività, ho cono- sciuto altre associazioni e cittadini che si im- pegnano moltissimo nel rione e mi è venuto il desiderio di continuare a dare una mano per la riqualificazione dell’Esquilino. Abbiamo bi- sogno, e mi rivolgo soprattutto alla sinistra, di cui mi sento parte, di forze politiche che si facciano carico di queste istanze di convivenza tra le diverse etnie, e che facciano proprio il concetto di interculturalità. Incrociarsi con la differenza aiuta a crescere. L’interculturalità è il futuro. Io personalmente ho sempre pensato che l’importante è partecipare. Faccio mie le parole di una canzone di Giorgio Gaber: ‘Liber- tà è partecipazione’. Io sono una persona mol- to appassionata e quindi mi appassiono anche alla vita del rione. Mi chiamo Carlotta, cioè una che lotta. Maria Grazia Sentinelli Il rione mormoraIl rione mormora
  • 3. > segue dalla prima pagina Il bando di gara includeva due anni di manutenzione ed i vinci- tori hanno anche formulato una proposta migliorativa portandoli a cinque. Un’ottima notizia che però non basta. Il Piano di Gestione prevedeva infatti non solo inter- venti strutturali e sul verde, ma anche maggiori momenti di so- cialità ed interventi di mediazione sociale e culturale, necessari per favorire la convivenza di tutti nel giardino. Lavori in corso. I lavori avviati a marzo, e che è previsto termini- no per settembre, non andranno comunque a stravolgere l’asset- to dei giardini. L’intento primario è di recuperare il verde di quello che un tempo era un vero e pro- prio giardino botanico, superando allo stesso tempo le attuali criti- cità. Più spazi destinati alla so- cialità ed una riduzione dei pun- ti ciechi, oggi luoghi di incuria. Verrà innanzitutto rivisto l’attua- le percorso perimetrale che co- steggia la cancellata. Il sentiero sarà più sinuoso e ritroverà la sua continuità, riprendendo quel- lo che era il progetto originale di fine ’800. Verrà aperto un varco nella recinzione dell’area arche- ologica che consentirà il passag- gio trai Trofei di Mario e la Por- ta Magica. Nell’altro angolo, il sentiero costeggerà l’area cani, consentendo così a bici, cammi- natori e corridori di percorrere l’intero giro senza interruzioni. Le aree giochi e la casina liber- ty. La collina, che nasconde quello che un tempo era il centro ope- rativo della metro A, verrà inte- grata in un’area giochi dedicata ai ragazzi più grandi, con scivoli ed una mini-parete attrezzata verti- cale. Una seconda area giochi per i bimbi più piccoli occuperà inve- ce l’angolo lato Principe Eugenio. Tra le due, un’area attrezzata con pedana e pergolato in legno. La casina liberty, oggi utilizzata come spogliatoio e magazzino AMA, ol- tre che come bagno pubblico, è previsto che venga assegnata e destinata a bar e punto ristoro. L’angolo circostante verrà ripavi- mentato a sampietrini, anche qui riprendendo quello che era l’a- spetto del passato. Acqua che scorre. Le fontane create con il progetto degli anni ’90, che hanno finora potuto co- noscere l’acqua solo nelle giorna- te di pioggia, verranno dismesse e trasformate in sedute o fioriere. Mentre verrà riposizionato e valo- rizzato il ‘fritto misto’ di Mario Ru- telli. Il gruppo scultoreo animerà infatti una nuova fontana posta al centro di una piazzetta contornata di panchine, non distante dal col- locamento attuale. All’interno dei giardini verranno anche ricollocate alcune delle fontanelle da tempo non attive oggi presenti ai vari in- gressi. Gli impianti. Una delle principali opere di rinnovamento sarà forse meno visibile, almeno direttamen- te, cioè quella degli impianti. L’ir- rigazione sarà ricostruita ex novo e verrà realizzato un impianto di smaltimento delle acque pio- vane lungo il perimetro dei vari percorsi, che comunque saranno anch’essi permeabili. L’impianto elettrico verrà razionalizzato, in particolare riducendo le numero- se torrette di alimentazione – un tempo di servizio ai banchi del mercato – e prevedendone inve- ce di nuove a servizio dei futuri eventi che si svolgeranno in piaz- za (come il cinema estivo). Anche l’impianto di illuminazione verrà rivisitato in base ad un nuovo pia- no redatto da ACEA. I punti aperti. Si tratta insom- ma di un progetto che, almeno sulla carta, dovrebbe apportare solo migliorie ai giardini che sia- mo abituati a conoscere e utiliz- zare. Dobbiamo però sperare che il tema del mantenimento venga affrontato correttamente in tutti i suoi aspetti e che non si aprano ora tempi biblici per poter proce- dere all’assegnazione e alla mes- sa in opera del bar nella casina liberty che, negli auspici di molti, dovrebbe costituire un punto di ri- ferimento all’interno dei giardini. Anche sui tempi e le modalità di riassegnazione del nuovo spazio destinato alle giostrine, presenti nel progetto finale sebbene ridi- mensionate, non vi sono certez- ze. Si rischia quindi che alla sua riapertura il giardino sia del tutto privo di presidi fissi, con tutto ciò che ne consegue. Inoltre, anco- ra non si parla di come possano essere restituiti alla città i locali sottostanti la collina, oltre 1.000 mq che ATAC ha lasciato da anni in stato di abbandono e che il Co- mune potrebbe reclamare per poi destinarli ad un uso sociale. Riccardo Iacobucci 3L’occhio del cieloL’occhio del cielo PiazzaVittorio:lastessaoccasione
  • 4. 4 C’è chi faC’è chi fa Tutti pazzi per Esquilino basket!La società sportiva del rione è una realtà nazionale, con la squadra femminile promossa in Serie B Camminando per le vie del rione si posso- no ancora sentire i ‘pischelli’ e le ‘pischelle’ giocare a palla. Ma non quella da calcio, bensì quella a spicchi da basket. Le origini. Questa storia bizzarra che unisce i figli del mondo iniziò nel 1998, quando Claudio Silvestri fondò la società sportiva che poi prese il nome e lo storico stemma dell’Esquilino. Il radicamento che ne conseguì fu inimmaginabi- le. Già all’alba del duemila la canotta giallo-blu era diventata un simbolo del nostro rione. La scuola Federico Di Donato rafforzò anco- ra di più la sua natura di luogo di incontro. Lì nacquero e si strinsero amicizie strettissime. Si cullarono i primi sogni. Trovarono un nuovo senso i pomeriggi post scuola e i sabati mat- tina, che prima erano un continuo rifugiarsi a casa di quello o quell’altro amichetto che ‘ave- va la playstation’. Oggi i ragazzi si possono tro- vare tutti nel cortile della ‘Dido’, soprannome della scuola di via Bixio, che è divenuta la casa dell’amico più ‘figo’! Una scommessa coraggiosa. Fu quasi per gioco che si formarono i primi gruppi di mini- basket, quelli storici del ’93, ’94 e ’95. E sin dagli albori, il presidente Claudio Silvestri e il dirigente Sergio Nisticò puntarono molto su quella che per qualcuno era una scommessa azzardata, ovvero sul settore femminile. In breve tempo, riuscirono a formare una squa- dra per ogni categoria, dal mini al basket, ren- dendo il settore femminile gialloblu uno dei più importanti di tutto il Lazio. Quei gruppi, quelle bambine e quei bambini, sono oggi degli adulti. Ma lo sport unisce il passato con il futuro, in un presente eterno. E sembra essere un pre- sente eterno quello di cinque ragazze cresciu- te all’ombra dei tabelloni della ‘Dido’ e della Bonghi. Emilia Nisticò (Emi), Camilla Tennenini (Cami), Cecilia Scaricamazza (Cek), Elettra To- massoni (Ele) e Giulia Gabrielli (Giuppi), oltre che amiche, sono compagne di squadra da una vita. Furono lo scheletro di una formazione che sotto la gestione Russo giocava un basket ve- loce e divertente. Ad infoltire la rosa giunsero, negli anni, Ilaria Munnia, Elena Di Pietro, Chia- ra Baldan, Elena Zelli e Laura Zullo. Fu così che tre anni fa, nel 2016, l’Esquilino iscriveva per la prima volta una squadra senior alla Se- rie C femminile. Quella che per alcuni era una scommessa, si dimostrò essere una lungimi- rante scelta sportiva. Questa prima assoluta venne gestita dal coach Massimo Baralla, che nel 2012 aveva preso le redini della gestione tecnica, avviando un processo di crescita che non si è ancora concluso. L’anno seguente – nella stagione sportiva 2017-2018 – il cambio in panchina, con l’ar- rivo del coach Alessandro Ceravolo e del se- condo Cristiano Tesei, ha portato nuova linfa al gruppo. Dopo un campionato disputato ad ottimi livelli, la squadra giunse ai quarti di fi- nale contro Albano. Il regalo più bello. L’Esquilino Basket comin- cia allora ad attrarre nuove giovani giocatrici e giocatori da tutta Roma, ed è così che nasce la neo formata Promozione maschile (che ad oggi lotta per la Serie D), e la nuova Under 18, sia maschile che femminile. Nello stesso periodo, si inizia a giocare e ad allenarsi al Santa Maria. La palestra è bellissima, il plesso comodo. Ma il regalo più grande lo fanno gli abitanti del rione, che vengono assiduamente a sostenere le loro amiche, figlie, nipoti, cugine, o sempli- cemente a tifare per chi sta portando lustro ai colori dell’Esquilino. Così, anche gli spalti del Santa Maria diventano luogo di unione e di ri- trovo. Dove i veterani che hanno smesso, o quasi, di giocare si ritrovano fianco a fianco ai bimbi di 6-7 anni che hanno appena iniziato ad innamorarsi di questo sport. Promosse in Serie B! Il lavoro continua, le squadre crescono. E quest’anno si è rivelato quello giusto per la promozione delle nostre ragazze in Serie B. Alla squadra si uniscono- Sara Favilla e Sara Ricercato, che aggiungo- no centimetri e tecnica, e Nicole Piacente, che aumenta la quantità di estro a disposizione del tecnico Ceravolo. La solidità è garanti- ta da Giuliana Bellomia. Dal settore giovanile arrivano poi Francesca Cabiddu, Chiara Marti- no, Margherita D’Avella, Laura Giachini, Anita Cenci, che donano freschezza e profondità alla rosa. Se prima le ragazze dell’Esquilino gioca- vano un basket divertente e veloce, oggi san- no stupire con un basket maturo e di un livello superiore. Grazie al lavoro di tutto il gruppo, dalla dirigenza a chi gioca meno fino al pubbli- co, le ragazze, dopo solo 22 partite disputate, accedono alle final four e conquistano la pro- mozione in Serie B. Non si finisce mai di sognare. C’erano delle ragazze, erano amiche ed avevano un sogno forse troppo grande per essere confessato ad alta voce. Queste ragazze sono diventate un punto di riferimento per le più giovani. Ed è così che, dai cortili delle scuole del rione, è sbocciata Emma Arcà, simbolo del vivaio fem- minile dell’Esquilino, convocata in nazionale Under 15, trascinatrice della nostra squadra Under 14, prima in classifica, a punteggio pie- no, nel girone di ammissione alla finale regio- nale di categoria. All’ Esquilino mancano i luoghi di aggregazione. Oltre alla squadra e alle scuole, c’è poco. Da anni vorremmo un palazzetto dello sport, ma forse ci basta la nostra palla che rimbalza per terra, come il cuore nel petto e i nostri sogni che vola- no liberi. Forse ci basta il cielo sopra l’Esquilino. Lorenzo Fabi Francesca Valenza
  • 5. 5Il rione mormoraIl rione mormora Prezioso: 149 anni di coltelliDal Molise all’Esquilino. Lo storico negozio delle lame di qualità, giunto alla quinta generazione Sono ben cinque le generazio- ni della famiglia Prezioso che si sono succedute alla guida delle Coltellerie omonime, in via Car- lo Alberto a Roma. E visitando lo storico negozio ristrutturato da Daniela, viene immediato parago- narne la struttura alla famiglia. Per traghettare storia e tradizione nel nuovo millennio, gli storici scaffali, presenti dietro al classico banco- ne frontale dedicato alla clientela, sono stati ricoperti da tre strati di pannelli scorrevoli che espongono le centinaia di posate e coltelli del negozio. Come per i tronchi degli alberi, potremmo immaginare di contare quattro ‘cerchi’ genera- zionali. Nicola I. Le coltellerie Prezioso nascono nel 1872 ad opera di Ni- cola Prezioso I, nato in provincia di Isernia, in quello che un tem- po era chiamato Cameli (paese su due colli simili a gobbe) e poi Sant'Elena Sannita, commercian- te di coltelli per l'agricoltura e la pastorizia prodotti nell'alto Molise, a Frosolone, ma anche di rasoi di Sheffield, in Inghilterra, e di So- lingen, in Germania. Le condizioni, a quei tempi di estrema povertà della regione, costringono l'im- prenditore molisano a rivolgersi soprattutto al mercato campano, dove riesce a cogliere e a sfruttare al meglio le opportunità di svilup- po offerte dalla riunificazione del territorio e dalla costituzione dello Stato italiano. Da Napoli a Roma. L'azienda così avviata passa al figlio Michelange- lo, associato ai fratelli Domenico e Angelo, nella ditta ‘N. Prezioso & figli’. Michelangelo provvede ad ampliare la gamma di prodotti distribuiti, aprendo alla clientela del Centro Italia, del Sud e delle Isole. Il risultato è la crescita si- gnificativa dell'azienda fino agli anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale. Pur- troppo, l'evento bellico avrà con- seguenze disastrose, e l’azienda ne uscirà gravemente ridimensio- nata da saccheggi, crisi economi- ca, iperinflazione. Da qui l'idea di portare l'attività a Roma, per ri- partire con vecchi e nuovi fornitori e una rinnovata clientela. Scelsero l’Esquilino per i collegamenti con il Molise e il resto d'Italia – un tem- po principalmente carretti e spedi- zioni postali – in un quartiere che già allora, osserva Daniela, «ospi- tava grossisti di cappelli, abiti da sposa e che oggi ospita operatori di nazionalità straniera». Le attività, cominciate in principio in via Turati e vicine tra loro, per efficientamento logistico si sono poi dovute separare, portando la distribuzione in via Appia Nuova e il negozio in via Carlo Alberto, «Quelli che un tempo erano am- bulanti e professionisti, oggi sono diventati grossisti e clientela al dettaglio» ci racconta Daniela, all’interno del negozio. Nel 1985, Nicola II consegna defi- nitivamente le chiavi delle ‘Coltel- lerie Prezioso Srl’ ai figli Domenico ed Angelo per la parte distributiva, e a Daniela per quella al dettaglio. Si aggiunge alla famiglia l'infatica- bile amico Peppe, «praticamente un altro figlio» per papà Nicola, per il tempo e la dedizione ancora oggi investiti nel negozio. Coltelli e cultura, l’accoppiata vincente. «Lo studio viene prima degli affari di famiglia» racconta Daniela, come se a parlare in quel momento ci fosse suo padre, che continua a frequentare il negozio e la distribuzione. Il bisnonno inve- stì in coltelli e libri e quell’insegna- mento resterà il baluardo di tutta la famiglia per generazioni. Quei libri che hanno consentito a tut- ti i figli di laurearsi e che il padre dovette abbandonare suo malgra- do, lasciando il corso di laurea in giurisprudenza per poter seguire l'attività. Daniela, architetto, ha invece messo a frutto gli studi anche sul negozio dell’Esquilino, che appare come una sterminata esposizio- ne di posate e coltelli, fissati alle pareti con il sistema calamitato o con il più comune elastico, na- scondendo gli scaffali di 50 anni fa, ma tutt’ora utilizzati. Lei si è occupata dal 1997 del negozio, inizialmente quasi per caso, co- minciando proprio con una ristrut- turazione conservativa. Il ban- cone, in noce nostrano, è quello originale degli anni 50 e l'insegna, un tempo accantonata in magaz- zino, è anch’essa originale del Mo- lise. Un’impronta nuova al negozio è stata data con l'allargamento a casalinghi e ad articoli di design, sempre all'insegna della qualità, «unico modo per resistere a pro- dotti dozzinali e a buon mercato venduti da altri». Nel segno del cammello. Col- telli sportivi, da collezione, pro- fessionali, per le case e posateria, venduti nell'arco di questi 149 anni a hotel di lusso, ambasciate e scuole di chef, «manteniamo il riserbo sui nomi dei clienti», oltre che a moltissima clientela italiana e straniera. Un’attività che non si esaurisce con la distribuzione di marchi altrui, ma che offre anche un prestigioso brand proprietario che ha come logo proprio quel cammello di Cameli/Sant'Elena Sannita, dove tutto iniziò. E con i coltelli Camel si taglia an- che il nastro della 5ª generazione, grazie all'inventiva del più giovane nipote Nicola (III), che ha creato e realizzato un coltello sportivo innovativo ed emozionale chiama- to… ‘Prezioso’. Silvio Nobili Foto: www.lucaferrantefotografo.it
  • 6. Con Roma capitale d’Italia, dopo il 20 set- tembre 1870, l’espansione edilizia del- la città divenne l’affare del secolo. Abbagliati dalla prospettiva di facili guadagni, tutti volle- ro diventare costruttori: i proprietari terrieri, l’aristocrazia romana, le grandi imprese set- tentrionali, le banche ed i piccoli imprendito- ri, ma anche persone senza arte né parte. Si mise così in moto un meccanismo perverso che risultò come drogato, perché si procede- va soprattutto a cambiali per pagare terreni e materiali. La crisi economica comportò presto il venir meno dei capitali investiti nella spe- culazione edilizia e quindi un forte dissesto bancario. Nel marasma conseguente le banche diradarono i crediti, i cantieri chiusero ed i la- voratori, disoccupati, scesero in piazza. Il comizio del 1° maggio 1891. Sono giorni di manifestazioni, quelli della primavera 1891. Il 17 aprile ce ne è stata una in piazza di Ter- mini, il 19 un’altra a piazza Dante. Il 23 la città è stata avvolta da una nube di fumo densissi- mo per lo scoppio della polveriera di Monte- verde, con 230 feriti e alcuni morti. Si pensa ad un attentato e corre voce di un complotto anarchico. Il ministro dirama una circolare per proibire il comizio del 1° maggio, ma è tar- di per impedire la manifestazione. Il comitato organizzatore, comunque, ha modo di concor- darne le modalità: i lavoratori devono giunge- re in piazza in ordine sparso, evitando le vie del centro, e sciogliersi alla fine della manife- stazione, senza cortei organizzati. La manifestazione è convocata in piazza Santa Croce in Gerusalemme per il pomeriggio, ma la vigilia si presenta già carica di tensione: l’e- sercito consegnato in caserma, carabinieri e guardie a perlustrare la città, minacce di gravi sanzioni per impiegati ed operai in caso di ade- sione alla manifestazione sindacale. Un’atmosfera carica di tensione. Il 1° maggio, non una bottega aperta, circolano pochissime persone e tutta la città è avvolta “in un silenzio di tomba”. Solo “nell’estremo lembo del quartiere Esquilino” si trovano in at- tesa i “soldati e la folla irrequieta". La piazza, estesissima, che dalla basilica di Santa Croce in Gerusalemme si spinge lungo il viale, sino a Porta San Giovanni, circondata sin dal matti- no da “carabinieri, fanteria e bersaglieri”, nel primo pomeriggio è già piena. Oltre duemila i lavoratori presenti e, sotto la bandiera nera orlata di rosso, anche un nutrito gruppo di anarchici. I lavoratori edili gridano “viva l’e- sercito italiano, viva i nostri fratelli armati”, inneggiando ai soldati presenti in servizio di ordine pubblico. I primi interventi dal palco sono retorici e vaghi e vengono fischiati. Un gruppo di manifestanti sotto al palco accompa- gna con urla di giubilo gli incitamenti alla rivo- luzione pronunciati da alcuni oratori. Dal palco si chiede di non applaudire chi invita “a spar- gere sangue”. La tensione in piazza aumenta. A gran voce, si chiede l’intervento del leader socialista Amilcare Cipriani che, salutato con “clamorose ovazioni”, dal palco, tra gli applau- si, esorta alla prudenza. La folla è sempre più infervorata; molti vorrebbero lo scontro subi- to, altri chiedono moderazione e prudenza. Sul palco, Cipriani e gli altri leader sono preoccu- pati, temendo disordini di piazza. Poi la situazione sfugge di mano ed un giovane anarchico si lancia dal palco tra la folla esal- tata. Un ispettore di pubblica sicurezza ordi- na gli squilli di tromba e qualcuno comincia a sparare. È l’inizio della rivolta. Un giovane ca- labrese, da poco in servizio presso la questu- ra di Roma, cade colpito a morte, mentre un maresciallo dei carabinieri viene disarmato. I rivoltosi, “armati alla meno peggio”, attaccano le forze dell’ordine che arrestano i più facino- rosi. I tafferugli, iniziati nei pressi del palco, si propagano in poco tempo al resto della piazza. La protesta dilaga. Le forze dell’ordine, dopo l’iniziale sorpresa, riportano la situazione sotto controllo. La cavalleria accerchia i dimostranti mentre agenti e militari presidiano il vastis- simo piazzale, dalla basilica sino a Porta San Giovanni, accolti da un fitto lancio di pietre da parte dei manifestanti e degli inquilini dei pa- lazzi lungo il viale, che dalle loro finestre get- tano di tutto. All’inizio di via Emanuele Filiber- to si fanno barricate disponendo i carretti di traverso. Più giù, in viale Manzoni, si assaltano le carceri femminili di Villa Altieri, provocando la reazione dei militari che feriscono alla mano un artigiano e colpiscono a morte un giovane carrettiere. Poi i tumulti si estendono sino a piazza San Giovanni in Laterano dove la ca- valleria respinge la folla che lancia sassi. L’uso delle armi sblocca poi la situazione che lenta- mente ritorna alla normalità. Anche il tentativo di estendere la rivolta in città viene sventato grazie al presidio armato posto tra via Meru- lana e via dello Statuto. La manifestazione del 1° maggio si conclude con l’arresto di oltre duecento tra lavoratori, esponenti socialisti e anarchici e dure condanne ai processi dei mesi successivi. Di chi fu la responsabilità? Ancora oggi non è chiaro cosa abbia trasformato il 1°maggio in una giornata di violenze. Sicuramente la cat- tiva organizzazione dell’ordine pubblico – ed il ministro Nicotera sarà duramente criticato – ma forse anche una precisa provocazione, come fa supporre la presenza di un gruppo di facinorosi nei pressi del palco. Gli avveni- menti del 1° maggio 1891 si dimostreranno infatti politicamente utili per gli ambienti più reazionari del governo e degli industriali per terrorizzare la borghesia contro i “perfidi rossi” e ridimensionare così il nascente movimento operaio italiano. Carmelo G. Severino 6 La memoriaLa memoria 1891. Primo maggio a Santa Croce in GerusalemmeAncora oggi non è chiaro chi furono i responsabili dei disordini che scoppiarono durante la manifesta- zione. Organizzata dal nascente movimento operaio italiano, fu repressa con arresti e dure condanne
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  • 8. 8 Il rione mormoraIl rione mormora Federico e le ‘creature’ del rione AdottArt Lo scorso 13 aprile si è svolta la terza edizione di AdottArt. Nove artisti di Esquilino, appar- tenenti o invitati dall’Associazio- ne Arco di Gallieno, hanno espo- sto le loro opere in otto botteghe del rione. Nell’evento inaugurale del progetto, curato da Michela Becchis e Roberta Melasecca, ci si è mossi passeggiando tra le varie botteghe, dove si è potuto assistere, in presenza degli arti- sti, alla descrizione delle opere esposte, e nello stesso tempo ascoltare dai gestori dei luoghi ospitanti, la spiegazione della loro attività. Nelle due librerie coinvolte, le persone intervenu- te hanno potuto inoltre ascoltare alcune letture. Ne è nato quindi un percorso dove ognuno ha po- tuto guardare, ascoltare, parla- re, conoscere e scambiarsi emo- zioni. Le opere saranno ospitate per- manentemente nei luoghi pre- scelti. Infatti, AdottArt intende nel tempo creare un museo dif- fuso del rione, stabilendo una relazione continua con il suo tes- suto commerciale. Questi gli artisti e i luoghi coin- volti nella terza edizione di Adot- tArt: - Fabio Maria Alecci, alla Lavan- deria Luca di Ye Shiliang, - Navid Azimi Sajadi, nella Far- macia Longo, - Primarosa Cesarini Sforza e Lea Contestabile, alla Libreria Pagina 2, - Gianluca Esposito, alla Libreria per Bambini The Little Reader, - Elizabeth Frolet, alla Boutique Sitenne, - Sabina D’Angelosante, da Ar- redamenti Fratelli Grilli, - Amedeo Longo, nel Labora- torio orafo “Plurale”, - Patrizia Molinari, nello Spa- zio Apollo11. Le disavventuree gli straordinari incontri mattutini di uno studente del liceo Pilo Albertelli Federico è un ragazzo che os- serva molto; fin da piccolo, due occhioni grandi e profondi gli albergavano sopra il naso. Sem- pre a caccia di particolari, il suo sguardo saltellava su ogni per- sona, spesso fantasticando e in- ventando per ognuna una storia diversa: d’altronde, proprio a lui piaceva parlare di sé in terza per- sona, e trasportarsi ora di qua, ora di là ora… a scuola! Lì, infatti, il nostro Federico è diretto. Con il consueto ritardo di cinque minu- ti, la Metro A è riuscita a portarlo fino alla fermata Manzoni, dove ora comincia la rocambolesca av- ventura per raggiungere in tempo il Liceo Classico Pilo Albertelli, a piazza dell’Esquilino, da cinque anni sede dei suoi studi. Federico pensa, uscito dalla me- tro, di incamminarsi spedito verso la vicina fermata del tram, che lo potrebbe portare fino a via Napo- leone III: così fa. La creatura delle 07,50. Ed ecco che, dopo i primi cento me- tri, incontra la prima delle tante creature del rione, la vera pa- drona dell’Esquilino alle 07,50 del mattino: lo studente dell’al- tra scuola. È incredibile, pensa, quanto questa zona pulluli di isti- tuti, licei, scuole medie e scuole private: c’è l’Istituto Tecnico per il Turismo Cristoforo Colombo, il Li- ceo Classico Tasso, il Liceo Scien- tifico Plinio Il Vecchio, l’Istituto Tecnico Industriale Galileo Galilei e addirittura due sedi per il Liceo Scientifico Newton! Migliaia di ra- gazzi e ragazze usano percorrere quelle vie, chi di corsa, chi sapen- do di entrare in seconda ora. Uno stato particolare, quello degli studenti dell’Esquilino alle 07,50: la maggior parte di loro a quell’o- ra è in metamorfosi, abbandona il suo vero sé, seminandone pezzi e brandelli per tutta via Principe Amedeo, per lasciare il posto ad un avatar scolastico, che spesso ben poco ha a che fare con l’esse- re che un’ora prima si è svegliato per andare a prendere la metro. Incolonnati su sei file, seduti per sei ore a pensare chissà a quale filosofo etico: li riconosceresti, quegli studenti, mentre manda- no a quel paese un autista che ha chiuso loro le porte in faccia, o mentre cedono il posto ad una anziana signora? Un Cicerone maldestro. Ma non è il momento di porsi domande. Raggiunta la fermata Manzoni, trafelato e quasi assassinato dal solito mattutino pirata della stra- da, il nostro liceale sale sul tram, il 5, diretto a… Piazza dei Gerani!? Ma da quella parte non va a Ter- mini? Confuso, scarica i suoi dub- bi sul conducente della vettura, che con eleganza aristocratica gli risponde: “Ao, e me so’ sbajjato. Va a Termini, do’ voi che va, a Fra- scati?”. Cortese, pensa Federico. Eppure, che diamine ci vorrebbe a scrivere il capolinea corretto? Possibile che l’ATAC sia così tra- scurata? La società del trasporto pubblico romano che, soprattutto nel rione Esquilino – ad un pas- so da Santa Maria Maggiore, tre dal Colosseo e due dalle Terme di Diocleziano – dovrebbe essere il Cicerone su gomma di migliaia di turisti ogni anno, è così mal gestita che non riesce neanche a correg- gere la destinazione di un tram? Una nuova insidia. Fammi guar- dare l’ora, pensa Federico: l’en- trata all’Albertelli è alle 08,00. L’orologio segna le 08,10… Come al suo solito beffardo, al pari della natura leopardiana, il quartiere Esquilino ha però pronta un’altra insidia: la manifestazione dei sindacati. Loro sì che sono l’a- nima del quartiere. Ogni venerdì, la solita storia. Diritti, lavoratori, sfruttamento, pensioni, vogliamo cose… ogni volta, le stesse grida al megafono. Ma possibile che sempre qui debbano rivendicare i propri diritti? Che poi, pensa, ‘di- ritti’… per ogni sindacalista della CGIL che protesta c’è un minatore cileno che ride a crepapelle, per poi ricordarsi che deve lavorare altre sedici ore. Federico, nella sua ignoranza, forza dei presun- tuosi, sa solo che il tram ora è fer- mo e che lui anche oggi arriverà in ritardo a scuola. La sua attenzione viene ora cat- turata da un ragazzo di colore, più precisamente dalle sue urla: a quanto pare, anche lui sta facen- do tardi. Povero, pensa Federico: che ne può sapere un ragazzo, diventato uomo troppo presto, venuto su un barcone dalla Libia, che ora vive in chissà quale pa- lazzone abusivo a Piazza Dante, magari mantenuto dalla mafia, dei problemi dei proletari italiani? Mentre è perso in questi pensie- ri, lo sguardo del nostro liceale si posa sulla gelateria Fassi, astro alimentare dell’Esquilino; da un paio d’anni, un imprenditore co- reano l’ha acquistata dal vecchio proprietario italiano, come ulte- riore dimostrazione della bravura degli orientali in affari. L’Esquilino è un rione fluido, quasi camaleon- tico. Pochi sono i punti fissi: i bar dove prendi sempre il caffè, la ge- lateria che monta bene la panna, il fast-food quasi commestibile. Qualcosa in più. Prima di rag- giungere il portone amorevolmen- te ammuffito dell’Albertelli, Fede- rico incontra l’ultima creatura della sua avventura: lungo via dell’E- squilino, i suoi occhioni si posano su una mendicante di mezz’età, coperta alla bell’e meglio da pile scadenti. Gli chiede un euro, per un panino. In quel momento, Fe- derico pensa a come l’Esquilino possa farti divertire un mondo o farti sentire terribilmente solo; ora è tutto tranne che ilare, e de- cide di non far sentire sola, per una mattina, quella mendicante. Dandole un euro le confida, a bas- sa voce affinché non lo sentano i pessimisti: “Buona giornata”. Ed entra a scuola, con quindici minu- ti di ritardo, un euro in meno ma, forse, qualcosa in più. Federico Moretti Vicedirettore del giornale Ondanomala Liceo Pilo Albertelli di Roma
  • 9. 9In itinereIn itinere Giacomo Leopardi: «Don’t let me be misunderstood!» Una semplicistica chiave di lettura condiziona da tempo il giudizio complessivo sulla poetica leopardiana Anche oggi arriverò in ritardo. Pare sia un brutto vizio degli inguaribili ottimisti, ma in questo caso il 714 proprio non si decide a passare. Sarà una buona mezz’ora ormai che lo aspetto su via Meru- lana, altezza Largo Leopardi. …Si comincia a sentire un gran vociare. Forse sarò suggestionato, ma mi pare di sentire dei lamen- ti che abbiano poco a che vedere con i disservizi del trasporto pub- blico locale. Non si dovrebbe fic- care il naso negli affari altrui, ma quel signore un po’ ingobbito mi dà proprio la sensazione d’avere qualcosa da raccontare. Ho gli oc- chi gonfi di stupore: lui è Giaco- mo, conte di nobil prosapia, ed ha i suoi natali in Recanati, oggi Mar- che, fu Stato Pontificio. È risentito, indispettito da quel dire comune che lo vorrebbe cupo, pessimista ed afflitto. Ascoltandolo bene, in effetti, parrebbe tutt’altro. Un doloroso equivoco. È vittima d’un fraintendimento Giacomo Le- opardi (1798-1837), d’un equivo- co che incide troppo radicalmente sul giudizio complessivo circa la sua poetica e la sua opera. Quella chiave di lettura oltremodo sem- plicistica e disinvolta, che vuole ascrivere all’infermità ed alla ma- lattia il suo approdo doloroso ma consapevole al Pessimismo, non può e non deve essere l’unica del- la quale valersi per avvicinarsi alla magnifica produzione leopardiana. Per la letteratura, del suo secolo e di quelli successivi, Giacomo Leo- pardi è stato ed è molto altro. I fervori giovanili. Cresciuto tra i volumi della biblioteca del padre Monaldo, Leopardi trascorse i pri- mi anni donandosi a quello che egli medesimo definì “studio matto e disperatissimo”. Non passò troppo tempo prima che il prodigio fosse notato dai più fervidi intellettuali della sua epoca. Questi sono gli anni dei fervori giovanili. Ardente nel desiderio di misurarsi con ambienti cultura- li più vasti, Leopardi pianifica la fuga da Recanati ma fallisce, sco- perto dal padre che solo in seguito gli concederà l’agognata libertà, riconoscendogli anche una mode- sta rendita. Comincia così la pe- regrinazione che lo porterà prima a Roma, che lo delude profonda- mente, per poi approdare a Milano e Bologna, abbandonate per i ri- gori delle stagioni, che ne mina- vano ulteriormente la salute. Leo- pardi giunge infine a Firenze, dove è eletto socio dell’Accademia della Crusca e può finalmente confron- tarsi coi suoi più illustri contempo- ranei. Ed è proprio a Firenze che conosce l’amico di una vita, l’esule napoletano Antonio Ranieri. Siamo ormai oltre il 1830 e la parte più vasta della produzione Leopardiana ha già avuto compi- mento. Lo Zibaldone, il persona- lissimo diario del poeta, comin- ciato nel 1817, ha già raccontato il principio dell’Illusione, quella tensione dell’individuo all’infinito ed all’indefinito che, a dispetto della condizione finita della natura umana, riesce a procurare piace- re mediante l’immaginazione. Da qui ha origine proprio la poetica del Vago e dell’Indefinito, che ha il suo culmine nella lirica apparte- nente ai Canti, L’Infinito (1819). Successive sono le celebri A Sil- via, Il Sabato del Villaggio, Il Pas- sero Solitario, Canto Notturno di un Pastore errante dell’Asia e Le Operette Morali. Queste ultime, ventiquattro tra novelle e dialoghi, possono intendersi quale sintesi del pensiero maturato nel corso di tutta la stesura dello Zibaldone. Nell’opera, Leopardi seppe valersi magnificamente del metasemema e dell’allegoria, declinando con una satira alacre le critiche che rivolgeva all’uomo ed alla sua na- tura, o, più prosaicamente, ai fer- venti progressisti del suo “secolo decimonono”. Un fiore nel deserto. Ormai consunto dalla malattia, Leopardi segue Ranieri a Napoli, dove da Ranieri medesimo e dalla sorel- la di questi, Paolina, riceve cure amorevolissime. È proprio qui che Leopardi assiste all’eruzione effu- siva del Vesuvio. Anacronistica- mente, ciò che osservano gli oc- chi di Giacomo, lo racconta Plinio il Giovane, nel 79 d.C.: “Interim a Vesuvio monte pluribus locis latissimae flammae, altaque in- cendia relucebant, quorum fulgor et claritas tenebris noctis excita- batur” (i.e.: Frattanto, dal monte Vesuvio, in più luoghi rilucevano vastissime fiamme ed alti incen- di, ed il bagliore divampava nel- le tenebre della notte). Proprio dalla contemplazione del Vesevo, formidabile sterminator, Leopardi prende le mosse per la compo- sizione de La Ginestra, ovvero Il Fiore del Deserto, sublime poe- ma lirico, che possiamo intende- re certamente quale testamento ideologico e spirituale del poeta. La Ginestra infatti, è la perfetta allegoria del pensiero ultimo leo- pardiano. Questa fiorisce in terre desertiche e desolate, sfidando la Natura “di voler matrigna” e pre- sto o tardi soccomberà al “sotter- raneo foco”. Cionondimeno, nella sua ostinazione, diviene prototipo del velato ma dirompente concet- to di eroismo leopardiano. Le ginestre dell’Esquilino. Ed ecco che d’improvviso riecheggia- no soavi le Illusioni e gli ardori del giovane Giacomo, che per un mo- mento si lascia alle spalle la sua dolorosa presa di coscienza. È proprio innanzi all’ineluttabilità del suo destino che nella Ginestra si sublimano il coraggio, la resi- stenza ma soprattutto la solidarie- tà tra gli uomini “negli alterni pe- rigli e nelle angosce della guerra comune” stretti “in social catena”. Allora pare davvero cammini an- cora tra di noi Leopardi, e tra le pagine delle Operette ritrovo l’e- co dei nostri lamenti per i picco- li e grandi fastidi di tutti i giorni, assieme a quella vaga autoironia che abbiamo imparato ad eserci- tare quando parliamo del nostro Esquilino. Poi, passeggiando per le nostre strade, magari comprando il pane a via Buonarroti oppure un gelato al caffè in via Principe Eu- genio, mi accorgo che le ginestre qui fioriscono tutti i giorni e sono tenacissime, soprattutto adesso che la primavera dilaga tra i viali di Roma. Ed anche se non potre- mo mai annoverare Leopardi nella categoria dei ritardatari, inguari- bili ottimisti, illudiamoci e immagi- niamocelo anche noi, per un mo- mento, il profumo della Ginestra… Ed è bellissimo perdersi in questo incantesimo! Francesco Ciamei
  • 10. Ditelo al cieloDitelo al cielo10 La bellezza di George “They call me George”: quando qualcuno risponde così, in genere, se non è un attore, è perché ha imparato sulla propria pelle a non fidarsi, a non offrire il proprio nome a uno sconosciuto che glielo chiede. Se poi la sua pelle è nera, quel sospetto ce l’ha scolpito nel corpo. Dai primi giorni di gennaio George si prende cura dei giardini di piazza Vittorio. Come tanti altri migranti che hanno trovato nell’incuria delle strade di Roma uno spunto per inventarsi un lavoretto, è armato di rastrello, ramazza e tanti sacchi neri in cui imbusta la sporcizia che trova. Solo che, a differenza di altri, non sparge ciotole o cappelli con la speranza di raccogliere un piccolo contri- buto da parte di qualche riconoscente cittadino. Lui lo fa “on a voluntary basis” spiega. Poi non rifiuta una mancia, irresistibile quando si ammira la sua cura. La particolarità del suo lavoro infatti è che George è un fanatico della bellezza: non si limita a togliere erbacce, foglie secche e spazzatura, ma ogni mattina all’alba crea e ricostruisce piccoli mosaici, talvolta quasi dei mandala, con i sassolini e i pezzi di selciato rotto che trova sui bor- di delle aiuole. Non si demoralizza quando il giorno suc- cessivo trova una nuova devastazione: con ritmo lento e pazienza ricomincia, anche quando piove. Questo ‘lavoro’ lo aiuta a non perdere fiducia, in se stesso innanzitutto, perché in concreto la speranza che questa attività possa aiutarlo con le sue pratiche di rinnovo del permesso di soggiorno è assai vaga. È arrivato in Italia nel 2012 dalla Liberia, paese prima teatro di guerre civili e ora governato da George Weah, ex calciatore (in Italia ha giocato nel Milan e ha anche conquistato, primo afri- cano, il pallone d’oro), presidente più democratico ma che ha non poche difficoltà a rimettere in sesto il paese. Non so se si possa fare qualcosa perché la bellezza che sta a cuore a George possa essere valorizzata e il suo la- voro riconosciuto. Però incontrarlo la mattina, dopo aver oltrepassato cassonetti traboccanti di spazzatura e altri resti urbani, è un piacere che illumina la giornata. Passa- te a trovarlo e diffondete… credo valga la pena. Alessandra Orsi Gentile lettrice, la ringraziamo di questo suo bel contributo. L’abbiamo ricevuto qualche tempo fa e, data la nostra cadenza bi- mestrale, non ci è stato possibile pubblicarlo prima. Nel momento in cui scriviamo, i giardini di Piazza Vittorio sono chiusi per i lavori di riqualificazione di cui vi abbia- mo raccontato a pag. 3 di questo giornale. Non sappia- mo se George sia ancora in zona o se magari ha trovato un altro giardino a cui dedicare i propri atti di amorevole cura, ma il messaggio che ci trasmette rimane sempre valido. La redazione Dov’è il lampione n. 16? LUX FUIT! In via Luigi Luzzati è sparita da più di 5 anni la parte terminale del lampione n. 16 (circa 2,5 metri di ghisa pesante!) compreso naturalmente il portalampada. Più volte è stata fatta segnalazione alla ACEA, ma ab- biamo ricevuto solo cortesi parole di impegno. Il mezzo lampione scomparso va ad aggiungersi ai disagi... illu- minatori che vedono la sostituzione di lampade defunte solo dopo diverse settimane dalla loro dipartita! Dateci la luce visto che per averla paghiamo tutti qualcosa. O no? Cordiali saluti e buon lavoro alla Redazione. Lucio Lo Grande Street art per via Statilia Buongiorno amici, molto spesso passo per via del Porto fluviale e dintorni e non posso fare a meno di ammirare la vera street art che decora e abbellisce molti palazzi della zona. Poiché abito in via Principe Aimone, piccola strada compresa tra via Statilia e via San Quintino, ho da tempo un sogno. Il lungo muro che delimita Villa Wolkonski su via Statilia è purtroppo deturpato da ignobili graffiti senza significato alcuno, se non quello di rendere sporco il muro come la mentalità di chi li compie. Sarebbe bellissimo, maga- ri con il permesso dell’Ambasciata Inglese, far decora- re detto muro da veri artisti, come nel caso citato so- pra, magari con scene raffiguranti giardini, bambini che giocano e simili. Ricordo con piacere quanto fui colpito entrando in auto a San Francisco, nel vedere un lungo muro dipinto con vari personaggi e situazioni veramen- te piacevoli. Forse qualcuno più avanti negli anni, come me, ricorderà che lo si vedeva nella sigla di un gialletto televisivo di qualche decennio fa. C’è qualcuno che crede che questo sogno sia realizza- bile? Grazie e complimenti ancora per il vostro impegno nel migliorare il rione. Cari saluti, Oronzo Tampone L’Esquilino un tempo… Carissimi! Grazie per la bella pubblicazione, con cui ci aggiornate circa il ‘nuovo’ e ci ricordate circa il ‘vecchio’ da non di- menticare! Chissà che cos'era e com'era la nostra Piazza Vittorio Emanuele II quando venne inaugurata negli anni Ottanta del 1800, abitata dai funzionari della capitale di uno Stato europeo tutto nuovo: il Regno d'Italia! Quel- la città un po' bruttina e caciarona, tutta arroccata sul Tevere, chiusa dentro le Mura Aureliane, doveva invece diventare la capitale di un Regno! E concorrere con Pari- gi, in primo luogo! Se non erro, l'unica grande e lunga via della Roma pa- palina era la via Merulana, che collegava le due grandi Basiliche, Santa Maria Maggiore e San Giovanni in Late- rano, incrociata a valle dalla via Labicana. Questa partiva dal Colosseo e saliva su, verso i Castelli. Qualche anno prima della Breccia di Porta Pia moriva il Belli, che con i suoi sonetti ci ha lasciato l'immagine forse più fedele di quella Roma papalina che oggi non esiste più! La Città del Vaticano è tutt'un'altra cosa! Buon, lavoro! Maurizio Tiriticco Esquilino Poesia Prosegue la rasse- gna ‘Esquilino poe- sia’. Ogni lunedì alle ore 19.00, letture e discus- sione nel teatro della scuola Federico Di Dona- to, in via Bixio 83. Questi i prossimi appun- tamenti: 13 maggio. Francesco D’Alessandro, Emanuele Franceschetti 20 maggio. La Poesia per la Fratellanza dei Popoli: Ndjock Ngana, Odeh Amarneh, Roberto Piperno 27 maggio. Tomaso Binga, Lidia Riviello 3 giugno. Silvia Bre, So- nia Gentili. Un laboratorio teatrale per insegnare l’italiano ai migranti ‘FOCUS - Casa dei diritti sociali’ organizza da di- versi anni un laboratorio teatrale interculturale, pensato come suppor- to per l’insegnamento ai migranti, allievi del- la scuola di italiano per stranieri di via Giolitti. Ogni anno, un cast di attori, ‘ingaggiati’ tra gli allievi della scuola, si cimentano in prove stancanti e divertenti, e quindi in una rappresen- tazione finale sotto la di- rezione di Magda Merca- tali, volontaria della Casa dei diritti Sociali. Lo spettacolo finale quest’anno si terrà il 31 maggio e l’1-2 giugno, presso il Teatro Belli a Trastevere.
  • 11. A pranzo A cena 16.90 € 21.90 € PRENOTAZIONI TAKE AWAY TEL. 06 77076392 PRANZO 11:00-15:00 BAR 7:00-18.00 CENA 18:00-23:00 I NOSTRI ORARI Piazza Dante 6 Tel. 06.70453481 info@rocografica.it seguici su
  • 12.
  • 13. Numero 25 anno V Maggio/Giugno 2019 Bimestrale gratuito a cura dell’associazione “Il Cielo sopra Esquilino” Registrato presso il Tribunale di Roma N° 62/2015 28-04-2015 da Associazione “Il Cielo sopra Esquilino” Codice fiscale 97141220588 Direttrice Responsabile Paola Mauti Redazione Chiara Armezzani, Carlo Di Carlo, Francesco Ciamei, Andrea Fassi, Luca Ferrante, M. Elisabetta Gramolini, Riccardo Iacobucci, Salvatore Mortelliti, Antonia Niro, Silvio Nobili, Patrizia Pellegrini, Maria Grazia Sentinelli, Carmelo G. Severino Hanno collaborato a questo numero Claudia Bellia, Lorenzo Fabi, Antonio Finelli, Federico Moretti, Francesca Valenza Per informazioni, lettere, sostegno, proposte e collaborazioni redazione@cielosopraesquilino.it Potete trovare Il cielo sopra Esquilino anche online: www.cielosopraesquilino.it www.facebook.com/IlcielosopraEsquilino Chiuso in redazione il 10/05/2019 Tiratura copie 7.000 La redazione e la distribuzione del giornale sono curate da volontari. La stampa è finan- ziata esclusivamente grazie al contributo di al- cuni commercianti di zona e non riceve nessun finanziamento né pubblico né per l’editoria. Stampato presso Tipografia Rocografica S.r.l. Piazza Dante 6, 00185 Roma Stampa, inchiostro e carta a basso impatto ambientale, certificati FSC®, di pura cellulosa ecologica E.C.F. Avete qualche argomento, tema o problema che desiderate mettere in evidenza? DITELO AL CIELO! Scrivete a: redazione@cielosopraesquilino.it Ditelo al cieloDitelo al cielo 13 Franco, Ciccio e ‘Bella ciao’ La domenica, a volte, ci riversavamo nel cine- ma parrocchiale, la cosiddetta ‘Sala Sessoria- na’ che per me aveva un nome pieno di mistero. Mi chiedevo come una sala parrocchiale potesse avere un nome che iniziasse con ‘sesso’. Senza lontanamente immaginare che qui esistesse il Sessorio dell’Imperatore Settimio Severo. Ricordo alla fine della proiezione cinematografi- ca di ‘Sandokan’ i bambini seguire in coro la sigla iniziando con un ‘Sandokaaan’ che si traduceva in un urlo prorompente. E quell’urlo mi trasmet- teva un’emozione incontenibile, mi faceva sen- tire parte di un tutto. Questo non si verificava per i film di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, oppure la serie di ‘Attenti a quei due’, con Tony Curtis e Roger Moore, e ancora: ‘Un maggiolino tutto matto’. Più che i film mi interessavano i comportamenti dei coetanei che tifavano per il ‘maggiolino’ e per le avventure di Tony Curtis e Roger Moore che compivano imprese impossibili sfidando la forza di gravità. Il tutto era accom- pagnato da un consumo rumoroso di patatine, gelati, pop-corn. Adesso il cinema parrocchiale non esiste più, cancellato con un colpo di spugna. Così anche il presepe che nel periodo natalizio veniva allestito nel giardino di fronte alla Chiesa di Santa Croce, con statue a grandezza naturale. Intorno ai quattro anni di età, durante le nume- rose manifestazioni a San Giovanni in Laterano, ero affascinata dalla distesa di bandiere rosse e dagli slogan come: ‘Nixon boia è ora che tu muoia’ e dalle canzoni: ‘Bella ciao’, ‘El pueblo unido jamas serà vencido’, che mi esercitavo a ripetere davanti allo specchio. Sono cambiati gli eventi della storica piazza, come è mutato il luogo degli appuntamenti. Pri- ma che la Coin, costruita sul finire degli anni settanta, divenisse il luogo eletto per gli appun- tamenti in piazza San Giovanni, la statua di San Francesco costituiva il più celebre punto di ri- trovo. Adesso la statua di San Francesco, sop- piantata dalla Coin e dalla metropolitana, rima- ne un luogo di bivacco per i turisti stanchi, per i barboni. In occasione poi del concertone del 1° maggio viene utilizzata come una gremitissima pedana. I ragazzi che vi assistono si abbarbica- no, nella migliore delle ipotesi, alle statue del monumento quando addirittura non vi si arram- picano sopra. Le trattorie di zona, che in occasione della fe- sta di San Giovanni servivano zuppe di lumache, sono scomparse. Si trattava di trattorie tipiche romane, che la sera di San Giovanni allestivano dei tavoli all’esterno dove i passanti potevano vedere i clienti mangiare lumache. Anche Piazza Vittorio fa parte del mio rione, e dagli anni dell’infanzia ad oggi è cambiata mol- tissimo. Lungo i portici della grande piazza in stile ottocentesco si susseguivano negozi di commercianti italiani prima di cadere uno ad uno nelle mani dei cinesi. Quello che ha resi- stito più a lungo è stata la rosticceria, il primo negozio all’angolo della piazza. La rosticceria ne segnava per me il traguardo immaginario. Ap- pena scorgevo dalla vetrina i polli che cuoce- vano sul girarrosto, realizzavo di essere giun- ta alla meta. Mi chiedevo se quei polli fossero sempre gli stessi o se ogni tanto li cambiassero. Non sono mai entrata in quel negozio respinta dall’odore di frittura scadente che emanava. Al- cuni negozi, che vendevano stoffe a metraggio e abbigliamento, riportavano sull’insegna i tipi- ci cognomi ebraici come Pontecorvo, Di Segni, Sermoneta. Sotto i portici si trovavano anche di- verse oreficerie, ricordo Rutili. Quando doveva- mo acquistare un abito elegante ci recavamo da Fusodoro dei Marzotto, un bellissimo magazzino che trattava esclusivamente il settore dell’abbi- gliamento. Ma Fusodoro è legato agli anni della prima infanzia perché ha chiuso molto presto. I Magazzini allo Statuto, cosiddetti perché si tro- vavano in via dello Statuto, rappresentavano un punto di riferimento. Successivamente il nome è stato abbreviato in MAS. Come ricorda mia non- na, anche questi vendevano stoffe a metraggio e, fino al 1955, al piano superiore erano dotati di una sartoria. Ma vi si trovava anche oggettisti- ca per la casa e attrezzature per la cucina. Poi, sul finire degli anni settanta è iniziata la deriva. Sono diventati di fatto il primo outlet esistente a Roma. Vi si vendevano stock di abbigliamen- to rimasto invenduto altrove. Appena entrati si passava tra i banchi dove erano disposte monta- gne di magliette dai colori sgargianti, pantaloni, jeans, scarpe, mutande per un’intera città, calze dai colori improponibili, dal rosa fucsia al giallo evidenziatore. Da Mas si poteva trovare anche l’abbigliamento di stile militare, sportivo, scarpe da montagna, doposcì, e nel piano sotterraneo un reparto casalinghi. Ogni volta che vi entra- vo venivo dotata dal personale del magazzino di un’enorme busta di plastica, e percepivo un leg- gero odore di muffa a testimonianza che quella merce era costituita da fondi di magazzino. Claudia Bellia Un nuovo breve racconto della nostra lettrice Claudia Bellia, con il rione com’era: il cinema parrocchiale, il presepe di Santa Croce, i negozi di piazza Vittorio e i luoghi d’incontro di una volta
  • 14. Giovedì 21 marzo siamo scesi giù a teatro per festeggiare la Giornata Mondiale della Poe- sia. Alcune classi hanno “decla- mato” per ricordare L’infinito di Giacomo Leopardi. Un bambino della V-C ha scritto dei versi in dialetto marchigiano, usando infatti lo stesso dialetto di Leopardi. Mentre la interpre- tava, un suo compagno di classe, il fratello di un nostro amico, la traduceva. Un bambino della III-D ha reci- tato una poesia, mentre gli altri la rappresentavano attraverso i gesti, e la poesia era proprio L’in- finito. Le seconde hanno inventato delle poesie. La II-D è salita sul pal- coscenico utilizzando degli stru- menti e alla fine un bambino ha detto “con i miei amici mi sento una poesia” e tutti l’hanno ab- bracciato. La II-B invece ha letto una frase per uno; un bambino non riusciva a leggere ed un suo amico lo ha incoraggiato. La poesia parlava dell’amicizia infinita. Ci siamo divertiti tanto per que- sto specialissimo 21 marzo. Abbiamo capito che fare poesia non è difficile, basta aprire la mente e il cuore e con un pizzi- co di fantasia la poesia diventa melodia. Possiamo pensare che il prossimo anno saliremo sul palco anche noi. Classe III-B Achiunque stia leggendo vogliamo consigliare la lettura dell’Iliade, dell’Eneide e dell’Odissea. Incontrerete nel cuore tre eroi che vi aiuteranno a crescere: Achille, con il suo desiderio di gloria ci spiega che è meglio vivere dieci anni da lupo che cento da pecora e che la guerra porta la morte, anche se fatta in nome di un ideale o di un sentimento. Il permaloso, prepotente, spietato Achille impersonifica e spiega il com- portamento dell’ira e che a volte un po’ di cattiveria serve. Enea, con il suo amore verso il padre e la famiglia, con il rispetto verso il volere degli dei, rappresenta la pietas. Enea, il pio, dice anche di non stare soli, di essere se stessi, di pensare agli altri. Ci piace Enea perché con il coraggio, la forza di volontà e la sua generosità ha ottenuto la vittoria nel suo cuore, perché la perseveranza va premiata e la pietà ci può salvare Ulisse, con il lungo viaggio verso la sua terra ci insegna che non importa la meta ma il viaggio, ci fa capire com’è avere una famiglia, che non bisogna farsi ingannare dalle apparenze e che bisogna credere in se stessi. Con la sua curiosità e la sua saggezza riesce a superare tutti gli ostacoli. Ci è pia- ciuto perché fa le cose con decisione. A noi hanno cambiato il modo di ve- dere le cose e ci hanno fatto capire l’importanza del lavoro di squadra per raggiungere i propri obiettivi, metten- do a rischio la propria vita. E dire che noi faremmo qualsiasi cosa pur di non morire perché non siamo dotati di quei sentimenti. Li abbiamo persi quando abbiamo spezzato la fi- ducia, il legame fra noi, e tutti sappia- mo come, quando e dove. Abbiamo tutti errori e torti piccoli e grandi da rimediare, e per tutti c’è un modo di farlo. Ecco perché ve li consigliamo. Classe V-C “Il mondo a Scuola” a cura dell’Istituto Comprensivo “Daniele Manin” - www. danielemanin.gov.it 14 Giornata della poesia Era da un po’ che non salivamo su un palco, davanti a noi c’era un pubbli- co gigantesco di bambini e maestre, che sorridevano e applaudivano. Che emozione... e che felicità e orgoglio abbiamo provato nel partecipare alla Giornata Mondiale della Poesia! Abbiamo recitato, e interpretato con la Mimesis, la poesia del poeta Giaco- mo Leopardi che si intitola “L’Infinito”. Poi abbiamo dedicato alla nostra scuo- la un componimento realizzato da noi in classe con il brainstorming: La mia Scuola La mia Scuola è come una madre che ci tiene tutti insieme, come una famiglia. La mia Scuola è un dono prezioso, è come una casa, e ci insegna la vita. Lei è una stella che brilla nella notte e ci orienta nel sapere. Nella mia scuola c’è tanto Amore. Mentre recitavamo una nostra compa- gna improvvisava una danza espressiva con un vestito coloratissimo del suo paese di origine. Ci è sembrato di vivere un sogno. Questa bellissima esperienza ci ha insegnato ad esprimerci con tutto noi stessi, superando ogni timore. Classe III-D Il ritorno delle leggende L’amicizia è per tutti Vi vogliamo presentare la II-B. Abbiamo tante lingue nella nostra classe, bambini che ven- gono da tanti paesi del mondo ma per parlare insieme abbiamo l’i- taliano. Siamo amici e ci vogliamo bene. Giochiamo insieme, litighiamo qualche volta, ma facciamo prima o poi pace, perché per noi l’amici- zia è la cosa più importante. Se un bambino è triste o arrab- biato lo aiutiamo e lo consoliamo: gli facciamo tornare il sorriso! Noi insieme lavoriamo con il gio- co di squadra: lavoriamo mentre giochiamo e giochiamo mentre lavoriamo. Aspettiamo con gioia chi rimane indietro e ci aiutiamo a vicenda; se sbagliamo non ci arrendiamo. Siamo sicuri che la nostra amici- zia non si spezzerà mai. Avete capito com’è la nostra classe? Ci ha fatto piacere conoscervi, alla prossima. Ciao, adios, bye, salam, ni hao. Classe II-B La bellezza della Poesia
  • 15. Sono Papille, sono tornato, e ringrazio di nuovo Andrea Fassi per avermi lasciato con disponibili- tà e generosità questa pagina dove il mio stanco spirito può raccon- tarvi sfumature e glorie del cibo. Di rientro dagli Stati Uniti per l’in- tervento alla lingua cui mi sono sottoposto, porto con me un’espe- rienza edificante. Il giorno prece- dente all’intervento, ho visitato la Starbuck’s Roastery Reserve a New York. Sapere che aprirà an- che a Roma mi ha elettrizzato. Da Seattle a Roma. Starbuck’s, quello che tutti conoscono, nasce da un’intuizione imprenditoriale di tre universitari negli anni ’70, fi- glia di una curiosità nata dallo stu- dio dei bar italiani. Prese il nome da un personaggio del romanzo di Moby Dick e per questa ragione è già meritevole di successo, al- meno questo passatemelo. Dopo l’apertura del primo negozio a Seattle, nel 1971, e la conquista di quasi tutto il globo nei decen- ni successivi, credo che le odierne aperture a Milano e Roma chiuda- no il cerchio. Come spesso capita in questi casi, la capitale è ancora indecisa se accogliere o disdegna- re il colosso del caffè. A Roma alloggio a pochi metri dal- la stazione San Pietro, quindi pas- so spesso per Borgo Pio e per la zona limitrofa ai Musei Vaticani. Sembra sia lì che aprirà la prima Roastery Reserve romana, ed è lì che oggi il caffè è di media qualità se non bassa. L’obiettivo di Star- buck’s è, oggi come agli albori, of- frire un’esperienza totale al clien- te. Così è stato per me allo store di New York. Ma andiamo con ordine. L’estetica del caffè. La Roastery Reserve di New York, uguale con- cetto degli store di Seattle, Tokyo e ora Milano, aperto in collabora- zione con Princi – marchio italiano dei prodotti da forno – è un’espe- rienza mistica. L’enorme entrata in rame è il varco per la galassia del caffè. L’aroma del chicco più consumato al mondo mi accoglie appena tostato solleticandomi le narici. Inspiro a pieni polmoni e procedo nell’enorme locale dai colori ramati. Il vibrare di una grande tostatrice che intravedo in lontananza si ripete incessante; mi ricorda quando, una sessanti- na d’anni fa, in campagna dai miei nonni, sentivo il rumore delle pale del mulino girare lente. Una ragazza scivola via da un ta- volo su cui ampolle e alambicchi sono adagiati con sapienza, mi chiede sorridendo cosa ne penso del nuovo negozio, mentre mi of- fre un assaggio di uno specialty coffee. Per chi non lo sapesse, lo specialty coffee è un’alternativa al caffè classico, in parole povere è un diverso metodo di estrazione e tostatura di un caffè mono origine. La bocca si scalda, l’aroma del caffè mi ricorda bacche di vaniglia e cioccolato. La decisione della be- vanda mi permette di dimenticare che, da quando ustionai la lingua, parte del gusto non riesco più a percepirlo. Per fortuna il resto del sapore sopravvive denso nel re- tro del mio palato, sprigionando potente il suo aroma. Chiudo gli occhi: la prima immagine è una distesa di caffè in sud America, subito però l’immagine è rettifica- ta dal pensiero del gioviale barista Sergio, proprietario del bar sotto casa mia a Roma. La mia mente lo dipinge scocciato, perché spesso non ho monete ma solo bancono- te da venti euro. Riapro gli occhi, sono ancora qui in paradiso, la ra- gazza mi sorride. Il caffè è ottimo, procedo e un ra- gazzo mi ferma. Cortese mi chie- de se fossi interessato a conosce- re le fasi della tostatura del caffè e le miscele presenti in negozio. Sebbene le conosca già tutte e non abbia molto tempo, dopo po- chi minuti mi trovo a tastare chic- chi abbrustoliti, odorandoli come un segugio. Il rame intorno a me brilla, il caffè profuma e il locale è pieno. È un bar americano nato da una sfumatura italiana. È l’idea del bar secondo il fondatore Ho- ward Schultz. Un’esperienza per- sino per un ex critico gastronomi- co come me. Di nuovo Sergio si affaccia nei miei pensieri. Lo immagino nervo- so che mi chiede informazioni sul- le mie necessità,“Ce voi n’goccio de latte?”, mentre con un panno annerito spolvera l’unto bancone rovesciandomi delle briciole sui pantaloni. Da Sergio il caffè cam- bia ogni giorno, pur rimanendo nei canoni dell’accettabile. È il più buono della zona San Pietro, e an- che da lui, come in tutti i bar limi- trofi, non è permesso conoscere la miscela o la tostatura del prodot- to. Forse sono io a essere preten- zioso, ma ho la sensazione che da Sergio qualcosa non funzioni e che ormai siamo tutti così abituati da non cogliere il problema. Nostalgia canaglia. Procedo verso la pasticceria firmata Prin- ci, mi limito a un Muffin forse un po’ troppo saporito e sorseggio un cappuccino, molto buono. Una ra- gazza mi consegna un foglio su cui leggo le provenienze dei caffè con cui preparano gli espressi, la to- statrice prosegue il suo lento lavo- ro, diversi cappuccini sono deco- rati da due ragazzi esperti in latte art. Può un prodotto avere tutte le sue più belle sfumature espresse in un locale? Sì, può. Mi alzo, una ragazza mi saluta con un sorriso ringraziandomi. Sto di- ventando vecchio, per un istante questa perfezione che ha nutrito la mia ricerca per il bello e il profes- sionale si diluisce nel pensiero di Sergio, che ora mi manca. Sergio mi sorride senza che me lo aspetto, mi racconta della moglie che non sta bene e di quanto sia stanco. Non dobbiamo temere Starbuck’s. Starbuck’s deve insegnarci molto, ma non potrà mai insegnare la profondità di un caffè espresso al bar sotto casa. Andrea Fassi 15EsquisitoEsquisito Il cibo, il caffè e il cambiamentoUn’esperienza mistica nella Roastery Reserve di New York, il fidato barista Sergio e l’eterno ritorno Illustrazione di Chiara Armezzani