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L’eredità di don Mario

     Il 27 luglio e il 20 settembre del lontano
     1970, a Castellana Grotte, nello studio
     notarile di Corrado Magarelli, il nojano
     Domenico Mario Logroscino, meglio noto
     come “ don Mario”, decideva di trasferire i
     propri beni, per un valore di 15 miliardi di
     lire, alla costituenda fondazione “ Leopardi
     nella sua luce” di Putignano, con lo scopo
     di promuovere in ogni campo la ricerca e il
     progresso delle scienze.
     Don       Mario     Domenico       Logroscino
     apparteneva a una delle famiglie più illustri Don Mario Logroscino (1903-1970).
     della borghesia agraria nojana, con forte
     radicamento nella cultura religiosa e laica del tempo. Lui stesso nutriva
     un interesse spiccato per l’opera poetica di Giacomo Leopardi.
     Tra i beni trasferiti alla fondazione figurava anche la storica Masseria
     Gallinaro e le terre circostanti, per un’estensione di circa 80 ettari.




                       “Informatissimo”, settimanale che si pubblica in Putignano.

20
Non entriamo nel merito della decisione presa da don Mario, ma pare
che il soggiorno presso l’ospedale di Putignano “S. Maria degli Angeli”
per malattie respiratorie, una certa idiosincrasia per i nojani e l’assenza
di diretti eredi, siano stati i motivi prevalenti della donazione.
Molti nel paese capirono subito che a Putignano avevano preparato una
colossale truffa a carico del povero don Mario, definito “bislacco” per le
sue fisime per il poeta Leopardi dalla stampa locale.
 Pochi giorni dopo l’atto di donazione, il 19 ottobre del 1970, don Mario
muore: ricordo ancora i commenti di incredulità e sorpresa dei nojani.
La fondazione entrata in possesso dei beni, iniziò ad alienare buona parte
degli appartamenti, lasciando in abbandono gli 80 ettari di terra della
masseria Gallinaro.
Erano gli anni settanta, si viveva in Italia il clima di continue crisi
politiche della prima repubblica, occupazioni delle università, forte
coscienza sindacale e politica dei giovani.
A Noicàttaro sorse un movimento, radicato nel sindacato e nelle
organizzazioni politiche della sinistra giovanile, proteso alla
occupazione della masseria e delle sue terre per renderle produttive..
Non dimentichiamo che nel nostro paese erano i tempi delle prime
amministrazioni di sinistra del sindaco Donato Saponaro e presidente
della Repubblica era il mitico Sandro Pertini.
Il 10 aprile del 1980, era un giovedì, un gruppo di giovani e di braccianti,
attuando l’esproprio proletario, occupa l’azienda con l’intenzione di




                      Cappella rurale della Masseria del Gallinaro.
                                                                               21
mettere in coltivazione le terre e di restaurare i
     locali della masseria.
     Dopo anni di conflittualità giudiziaria, la
     cooperativa “Nuova Agricoltura”, nel frattempo
     costituitasi a Noicàttaro, grazie a cospicui
     finanziamenti regionali, entra nel possesso legale
     dell’intera tenuta, pagando alla fondazione
     “Leopardi” di Putignano la somma di un miliardo
     e 261 milioni di lire.
     In pochi anni la cooperativa fa miracoli,
     rendendo produttive le terre con tendoni e
     carciofeti, iniziando anche il recupero edilizio
     della masseria per realizzare un agriturismo di
     un certo rilievo.
                                                             Interni della cappella.
     Ma è noto come da noi, nel sud, è difficile portare
     avanti un discorso cooperativistico per la forte mentalità individualistica.
     E così, dopo un po’ di anni, agli inizi del 2000 circa, all’interno della
     cooperativa “Nuova Agricoltura” nascono dei contrasti personali, e anche
     a causa di un disavanzo finanziario, la masseria e 35 ettari vengono
     messi in vendita e acquistati dall’ imprenditore molese Sante Radogna
     per la somma di tre miliardi e 200 milioni di lire, circa. Finisce così il
     sogno della coop. Nuova Agricoltura, modello per iniziative del genere
     in Italia.




22
Nel frattempo a Putignano le cose non vanno meglio: il patrimonio della
Fondazione voluta da don Mario si assottiglia sempre di più a causa
di cattivi investimenti nell’edilizia. Si parla anche di abusi e di illeciti
immobiliari, tanto da costringere gli amministratori putignanesi a vendere
ancora case e box per ripianare un debito di 500mila euro.
Ma il lettore pazientoso, a questo punto, potrebbe chiedersi: cosa ci azzecca
tutta questa storia con il tema religioso della presente pubblicazione?
Bene, allora torniamo indietro di un po’ di anni, nel 1600 circa, quando
il conte Tiberi di Bitetto inizia la costruzione della masseria: faceva
parte integrante della tenuta anche una chiesetta dedicata a S. Michele,
secondo le testimonianze dei contadini del posto, tuttora esistente. Alcuni
attribuiscono a s. Nicola la dedicazione della chiesetta, associandola al
nome della contrada, S. Nikilo.
Attualmente la chiesetta restaurata, catastalmente, è scorporata dalla
masseria e si trova nel territorio di Mola. Mentre la masseria, due anni
fa, è stata interessata da un intenso e prezioso lavoro di restyling per
adeguarla ad accogliere eventi, ricevimenti e congressi, diventando un
punto di riferimento del sudest barese nel settore resort, assumendo la
nuova denominazione Sanra’, dalle iniziali dell’attuale proprietario.
Nella ristrutturazione, il dottor Sante Radogna ha recuperato e valorizzato
l’iscrizione     lapidea
che sovrasta l’ingresso
della vecchia stalla dei
bovini, che ricorda la
“recrudescente lue”,
la peste che colpì
Noja nel 1815. E tutto
questo non è da poco,
dal momento che a
Noicattaro si continua
a strappare le lapidi
o     quantomeno       a
ignorarle.                Masseria del Gallinaro. Questa parte del complesso, costruita nel 1816,
                               era in origine una stalla per buoi. Sull’arco d’ingresso è collocato il
                               famoso “colofone” del Barone Sante Noya, signore di Bitetto e padrone
                               della masseria.

                                                                                                         23
Il Colofone del Gallinaro




                      Sanctes de Noya ex Baronibus Bitecti
                Francisci Guglielmi Hyerosolomitani equitis filius
                    huic villae rusticae urbanaeque dominus
                        anno reparatae salutis MVIIIXVI
                          Noja immiti lue recrudescente
                              depopulata atque perusta
                                stabulum hoc bovile
                           ridenti xysto Musis delicium
                         ac Apollini in amore coronatum
                            apricandi grazia fieri curavit
                      a.c. lydeneo mense anni subsequentis
                                colophonem addidit.

     Traduzione:
     Sante de Noya, figlio di Francesco Guglielmo, cavaliere di Gerusalemme
     del Baronato di Bitetto, padrone di questa villa rustica e urbana, nell’anno
     della riconquistata salute, il 1816, essendo stata Noja spopolata e bruciata
     per la recrudescenza della terribile peste che perdurava, fece costruire
     questa stalla per i buoi, con una piacevole terrazza, delizia per le Muse e
     per l’inghirlandato Apollo, adatta per prendere il sole d’estate.
     Nel mese di gennaio dell’anno successivo applicò questa iscrizione in
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Capitolo don mario

  • 1. L’eredità di don Mario Il 27 luglio e il 20 settembre del lontano 1970, a Castellana Grotte, nello studio notarile di Corrado Magarelli, il nojano Domenico Mario Logroscino, meglio noto come “ don Mario”, decideva di trasferire i propri beni, per un valore di 15 miliardi di lire, alla costituenda fondazione “ Leopardi nella sua luce” di Putignano, con lo scopo di promuovere in ogni campo la ricerca e il progresso delle scienze. Don Mario Domenico Logroscino apparteneva a una delle famiglie più illustri Don Mario Logroscino (1903-1970). della borghesia agraria nojana, con forte radicamento nella cultura religiosa e laica del tempo. Lui stesso nutriva un interesse spiccato per l’opera poetica di Giacomo Leopardi. Tra i beni trasferiti alla fondazione figurava anche la storica Masseria Gallinaro e le terre circostanti, per un’estensione di circa 80 ettari. “Informatissimo”, settimanale che si pubblica in Putignano. 20
  • 2. Non entriamo nel merito della decisione presa da don Mario, ma pare che il soggiorno presso l’ospedale di Putignano “S. Maria degli Angeli” per malattie respiratorie, una certa idiosincrasia per i nojani e l’assenza di diretti eredi, siano stati i motivi prevalenti della donazione. Molti nel paese capirono subito che a Putignano avevano preparato una colossale truffa a carico del povero don Mario, definito “bislacco” per le sue fisime per il poeta Leopardi dalla stampa locale. Pochi giorni dopo l’atto di donazione, il 19 ottobre del 1970, don Mario muore: ricordo ancora i commenti di incredulità e sorpresa dei nojani. La fondazione entrata in possesso dei beni, iniziò ad alienare buona parte degli appartamenti, lasciando in abbandono gli 80 ettari di terra della masseria Gallinaro. Erano gli anni settanta, si viveva in Italia il clima di continue crisi politiche della prima repubblica, occupazioni delle università, forte coscienza sindacale e politica dei giovani. A Noicàttaro sorse un movimento, radicato nel sindacato e nelle organizzazioni politiche della sinistra giovanile, proteso alla occupazione della masseria e delle sue terre per renderle produttive.. Non dimentichiamo che nel nostro paese erano i tempi delle prime amministrazioni di sinistra del sindaco Donato Saponaro e presidente della Repubblica era il mitico Sandro Pertini. Il 10 aprile del 1980, era un giovedì, un gruppo di giovani e di braccianti, attuando l’esproprio proletario, occupa l’azienda con l’intenzione di Cappella rurale della Masseria del Gallinaro. 21
  • 3. mettere in coltivazione le terre e di restaurare i locali della masseria. Dopo anni di conflittualità giudiziaria, la cooperativa “Nuova Agricoltura”, nel frattempo costituitasi a Noicàttaro, grazie a cospicui finanziamenti regionali, entra nel possesso legale dell’intera tenuta, pagando alla fondazione “Leopardi” di Putignano la somma di un miliardo e 261 milioni di lire. In pochi anni la cooperativa fa miracoli, rendendo produttive le terre con tendoni e carciofeti, iniziando anche il recupero edilizio della masseria per realizzare un agriturismo di un certo rilievo. Interni della cappella. Ma è noto come da noi, nel sud, è difficile portare avanti un discorso cooperativistico per la forte mentalità individualistica. E così, dopo un po’ di anni, agli inizi del 2000 circa, all’interno della cooperativa “Nuova Agricoltura” nascono dei contrasti personali, e anche a causa di un disavanzo finanziario, la masseria e 35 ettari vengono messi in vendita e acquistati dall’ imprenditore molese Sante Radogna per la somma di tre miliardi e 200 milioni di lire, circa. Finisce così il sogno della coop. Nuova Agricoltura, modello per iniziative del genere in Italia. 22
  • 4. Nel frattempo a Putignano le cose non vanno meglio: il patrimonio della Fondazione voluta da don Mario si assottiglia sempre di più a causa di cattivi investimenti nell’edilizia. Si parla anche di abusi e di illeciti immobiliari, tanto da costringere gli amministratori putignanesi a vendere ancora case e box per ripianare un debito di 500mila euro. Ma il lettore pazientoso, a questo punto, potrebbe chiedersi: cosa ci azzecca tutta questa storia con il tema religioso della presente pubblicazione? Bene, allora torniamo indietro di un po’ di anni, nel 1600 circa, quando il conte Tiberi di Bitetto inizia la costruzione della masseria: faceva parte integrante della tenuta anche una chiesetta dedicata a S. Michele, secondo le testimonianze dei contadini del posto, tuttora esistente. Alcuni attribuiscono a s. Nicola la dedicazione della chiesetta, associandola al nome della contrada, S. Nikilo. Attualmente la chiesetta restaurata, catastalmente, è scorporata dalla masseria e si trova nel territorio di Mola. Mentre la masseria, due anni fa, è stata interessata da un intenso e prezioso lavoro di restyling per adeguarla ad accogliere eventi, ricevimenti e congressi, diventando un punto di riferimento del sudest barese nel settore resort, assumendo la nuova denominazione Sanra’, dalle iniziali dell’attuale proprietario. Nella ristrutturazione, il dottor Sante Radogna ha recuperato e valorizzato l’iscrizione lapidea che sovrasta l’ingresso della vecchia stalla dei bovini, che ricorda la “recrudescente lue”, la peste che colpì Noja nel 1815. E tutto questo non è da poco, dal momento che a Noicattaro si continua a strappare le lapidi o quantomeno a ignorarle. Masseria del Gallinaro. Questa parte del complesso, costruita nel 1816, era in origine una stalla per buoi. Sull’arco d’ingresso è collocato il famoso “colofone” del Barone Sante Noya, signore di Bitetto e padrone della masseria. 23
  • 5. Il Colofone del Gallinaro Sanctes de Noya ex Baronibus Bitecti Francisci Guglielmi Hyerosolomitani equitis filius huic villae rusticae urbanaeque dominus anno reparatae salutis MVIIIXVI Noja immiti lue recrudescente depopulata atque perusta stabulum hoc bovile ridenti xysto Musis delicium ac Apollini in amore coronatum apricandi grazia fieri curavit a.c. lydeneo mense anni subsequentis colophonem addidit. Traduzione: Sante de Noya, figlio di Francesco Guglielmo, cavaliere di Gerusalemme del Baronato di Bitetto, padrone di questa villa rustica e urbana, nell’anno della riconquistata salute, il 1816, essendo stata Noja spopolata e bruciata per la recrudescenza della terribile peste che perdurava, fece costruire questa stalla per i buoi, con una piacevole terrazza, delizia per le Muse e per l’inghirlandato Apollo, adatta per prendere il sole d’estate. Nel mese di gennaio dell’anno successivo applicò questa iscrizione in pietra. 24