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Carbonizzato il Canale Lummo in una notte di silenzi
L’ennesimo rifugio ecologico distrutto dall’incuranza umana
Poche notti fa, nel silenzio infranto solo dal
gracido canto delle cicale, l’ennesima perla
ambientale del territorio delle Murge di sud-
est è andata distrutta a causa di un incendio
appiccato dalla mano incurante di chi ancora si
illude di poter addomesticare la natura e i suoi
elementi. Il Canale Lummo, che convoglia le
acque meteoriche raccolte dalle gravine del
Porto, San Benedetto e Santa Croce (che
solcano il territorio di Gioia del Colle)
all’interno della più vasta Gravina di
Castellaneta, è ora una lunga lingua nera di
carbone e cenere. Laddove, sino a pochi giorni
fa, nidificavano i piccoli uccelli di canneto come i canneraccioni, volavano i falchi grillaio alla ricerca
di ortotteri e le poiane nidificavano dopo un’anomala e piovosissima primavera, ora un odore
aspro di bruciato avvolge la zona. Qualche anno fa, mentre realizzavo con i ricercatori e gli attivisti
del WWF il monitoraggio del patrimonio naturalistico delle provincie di Bari e Taranto,
accertammo proprio in quel canale l’inattesa presenza di alcuni granchi di fiume della specie
Potamon fluviatile, il quale corre un serio rischio di estinzione (come il suo partente stretto
gambero di fiume, Austropotamobius pallipes) in tutt’Italia, a causa dell’inquinamento dei corsi
d’acqua e delle canalizzazioni che modificano i bacini idrici. La scoperta era interessante non solo
dal punto di vista zoologico, ecologico e conservazionistico, ma anche per il “marchio di qualità”
che assegnava al sito quale zona dalla notevole integrità bio-chimica. Tutto questo, documentato
all’interno del libro Ambienti, flora e fauna delle Murge di sud-est (Adda Editore, 2010), aveva il
potenziale di donare alle attività agricole della zona un ulteriore riconoscimento di qualità dei
prodotti. Ma si sa, ormai, come funziona da queste parti. Non interessa la qualità. Non interessa
l’integrità. Interessa solo il guadagno facile, la frutta e la verdura grande, bella e colorata che si
vende facilmente al mercato, pur se il sapore è un concentrato d’acqua contaminata da pesticidi e
diserbanti.
Così, in una sola notte, un capitolo di quella guida naturalistica è stato cancellato dalla leggerezza,
dall’indifferenza e dalla noncuranza di chi proprio in quella zona ci vive e ci lavora. Il sospetto che
l’incendio che ha raso al suolo centinaia di metri di canneto, dove cresceva anche la Stipa
austroitalica, sia stato causato dalla solita (e vietata) pratica di dar fuoco alle sterpaglia una volta
raccolto il grano di maggio, è giustificato da molti elementi.
Innanzitutto, come mostrano le immagini allegate, la lingua di fuoco ha seguito con precisione da
geometra la linea che costeggia due grandi terreni agricoli, seminati solitamente a cereali, senza
minimamente bruciare i fusti tagliati delle graminacee ed eliminando solo i “rovi” (che ben lungi
dall’essere erbacce, sono una nicchia ecologica fondamentale per moltissime specie animali e
vegetali). Evidentemente, il fuoco è sfuggito di mano a chi voleva gestirlo, con presunzione divina,
e si è propagato lungo i circa 500 metri del Canale Iummo che dalla SP29 si insinua tra le Murge
Marzagaglia e San Benedetto. Nessuno è intervenuto, né i Vigili del Fuoco che solitamente
demandano al Corpo Forestale dello Stato, né le squadre speciali del CFS che in questi giorni sono
impegnate nella prevenzione e spegnimento degli incendi boschivi. Probabilmente nessuno ha
segnalato, eppure molte abitazioni sono presenti in zona, tra cui una grande casa rurale posta sulla
collina proprio al di sopra del canale. Che nessuno abbia visto nulla è poco probabile, dal momento
che anche grossi alberi di salice, ontano e salicornia sono andati a fuoco e le fiamme avranno
superato i 10 metri di altezza. Inoltre, la strada che costeggia il canale e collega Gioia del Colle con
Castellaneta è molto trafficata, anche di notte, dai pendolari delle località marine.
La perdita in poche ore di uno straordinario patrimonio ecologico e paesaggistico, avvenuta nel
silenzio più totale, merita ora delle risposte.
Perché nessuno dei residenti in zona o degli automobilisti di passaggio ha segnalato l’incendio in
corso? Se qualcuno ha contattato il 1515 della Forestale perché nessuno è intervenuto (l’incendio
si è arrestato all’altezza di un ponte in cemento che sbarra il canale ed è presumibile che si sia
spento spontaneamente)? Perché qualcuno ha deciso di bruciare le stoppie proprio durante giorni
ventosi e con l’ovvio rischio di eliminare un’intera fascia di vegetazione che segue il canale?
Sopra ogni interrogativo al quale il Corpo Forestale per primo deve rispondere, però, sarebbe
opportuno chiedersi perché proprio il terreno dal quale l’incendio è divampato e si è propagato è
l’unico della zona a non avere i solchi taglia-fuoco, obbligatori per legge e che, probabilmente,
avrebbero risparmiato buona parte della vegetazione del canale?
Sarà, infine, un caso che proprio quest’area negli ultimi due anni ha visto una proliferazione
incontrollata di dannosissimi pannelli fotovoltaici posti al suolo ed enormi pale eoliche che si
stagliano come spilli su un’arancia, dove la concentrazione di rapaci era straordinaria (volavano
nibbi, albanelle, poiane, gheppi, grillai, gufi, allocchi e barbagianni) e ora han dovuto tutti spostarsi
in territori migliori, semmai ne siano rimasti ancora? L’interrogativo è d’obbligo poichè tutti i
terreni agricoli nei dintorni degli impianti fotovoltaici sono stati “ripuliti” con lo stesso pericoloso
sistema del “brucia i rovi a volontà”.
Insomma, c’è un nesso tra pannelli, pale, agricoltori disattenti e un incendio che ha distrutto un
bene naturale fondamentale per un’area dove l’acqua è scarsa e indispensabile per la fauna e la
flora ripariale?
Urgono chiarimenti, perché tutti noi paghiamo tasse e contributi (e buona parte finiscono agli F35
e non ai Canadair) affinché chi dovrebbe controllare che il territorio non vada devastato da
scellerati atti lo faccia davvero e un’intera distesa di pale e pannelli (è stata mai realizzata una
valutazione d’incidenza, essendo l’area protetta da ben tre regimi di tutela: SIC, ZPS e Parco delle
Gravine?) e un vasto incendio lungo un canale non possono passare inosservati.
Ciò che resta adesso è qualche chela bruciacchiata del raro granchio, una poiana che non sa cosa
cacciare perché vede il suo riflesso negli specchi al suolo e un grillaio che vola basso per timore di
finire tritato dalle pale. Per il resto, solo cenere che sta confluendo nella splendida gravina di
Castellaneta per contaminare anche questa.
Come diceva il famoso politologo ed ecologista Carl Amery sarebbe opportuno “smetterla di
correre per spegnere gli incendi [anche perché spesso neanche questo viene fatto, ndr] e iniziare
ad arrestare i piromani”.
Gentile CFS di Castellaneta, restiamo in attesa di risposte e soprattutto di azioni concrete!
Roberto Cazzolla Gatti
Biologo ambientale ed evolutivo

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  • 1. Carbonizzato il Canale Lummo in una notte di silenzi L’ennesimo rifugio ecologico distrutto dall’incuranza umana Poche notti fa, nel silenzio infranto solo dal gracido canto delle cicale, l’ennesima perla ambientale del territorio delle Murge di sud- est è andata distrutta a causa di un incendio appiccato dalla mano incurante di chi ancora si illude di poter addomesticare la natura e i suoi elementi. Il Canale Lummo, che convoglia le acque meteoriche raccolte dalle gravine del Porto, San Benedetto e Santa Croce (che solcano il territorio di Gioia del Colle) all’interno della più vasta Gravina di Castellaneta, è ora una lunga lingua nera di carbone e cenere. Laddove, sino a pochi giorni fa, nidificavano i piccoli uccelli di canneto come i canneraccioni, volavano i falchi grillaio alla ricerca di ortotteri e le poiane nidificavano dopo un’anomala e piovosissima primavera, ora un odore aspro di bruciato avvolge la zona. Qualche anno fa, mentre realizzavo con i ricercatori e gli attivisti del WWF il monitoraggio del patrimonio naturalistico delle provincie di Bari e Taranto, accertammo proprio in quel canale l’inattesa presenza di alcuni granchi di fiume della specie Potamon fluviatile, il quale corre un serio rischio di estinzione (come il suo partente stretto gambero di fiume, Austropotamobius pallipes) in tutt’Italia, a causa dell’inquinamento dei corsi d’acqua e delle canalizzazioni che modificano i bacini idrici. La scoperta era interessante non solo dal punto di vista zoologico, ecologico e conservazionistico, ma anche per il “marchio di qualità” che assegnava al sito quale zona dalla notevole integrità bio-chimica. Tutto questo, documentato all’interno del libro Ambienti, flora e fauna delle Murge di sud-est (Adda Editore, 2010), aveva il potenziale di donare alle attività agricole della zona un ulteriore riconoscimento di qualità dei prodotti. Ma si sa, ormai, come funziona da queste parti. Non interessa la qualità. Non interessa l’integrità. Interessa solo il guadagno facile, la frutta e la verdura grande, bella e colorata che si vende facilmente al mercato, pur se il sapore è un concentrato d’acqua contaminata da pesticidi e diserbanti. Così, in una sola notte, un capitolo di quella guida naturalistica è stato cancellato dalla leggerezza, dall’indifferenza e dalla noncuranza di chi proprio in quella zona ci vive e ci lavora. Il sospetto che l’incendio che ha raso al suolo centinaia di metri di canneto, dove cresceva anche la Stipa austroitalica, sia stato causato dalla solita (e vietata) pratica di dar fuoco alle sterpaglia una volta raccolto il grano di maggio, è giustificato da molti elementi. Innanzitutto, come mostrano le immagini allegate, la lingua di fuoco ha seguito con precisione da geometra la linea che costeggia due grandi terreni agricoli, seminati solitamente a cereali, senza minimamente bruciare i fusti tagliati delle graminacee ed eliminando solo i “rovi” (che ben lungi dall’essere erbacce, sono una nicchia ecologica fondamentale per moltissime specie animali e vegetali). Evidentemente, il fuoco è sfuggito di mano a chi voleva gestirlo, con presunzione divina, e si è propagato lungo i circa 500 metri del Canale Iummo che dalla SP29 si insinua tra le Murge Marzagaglia e San Benedetto. Nessuno è intervenuto, né i Vigili del Fuoco che solitamente demandano al Corpo Forestale dello Stato, né le squadre speciali del CFS che in questi giorni sono
  • 2. impegnate nella prevenzione e spegnimento degli incendi boschivi. Probabilmente nessuno ha segnalato, eppure molte abitazioni sono presenti in zona, tra cui una grande casa rurale posta sulla collina proprio al di sopra del canale. Che nessuno abbia visto nulla è poco probabile, dal momento che anche grossi alberi di salice, ontano e salicornia sono andati a fuoco e le fiamme avranno superato i 10 metri di altezza. Inoltre, la strada che costeggia il canale e collega Gioia del Colle con Castellaneta è molto trafficata, anche di notte, dai pendolari delle località marine. La perdita in poche ore di uno straordinario patrimonio ecologico e paesaggistico, avvenuta nel silenzio più totale, merita ora delle risposte. Perché nessuno dei residenti in zona o degli automobilisti di passaggio ha segnalato l’incendio in corso? Se qualcuno ha contattato il 1515 della Forestale perché nessuno è intervenuto (l’incendio si è arrestato all’altezza di un ponte in cemento che sbarra il canale ed è presumibile che si sia spento spontaneamente)? Perché qualcuno ha deciso di bruciare le stoppie proprio durante giorni ventosi e con l’ovvio rischio di eliminare un’intera fascia di vegetazione che segue il canale? Sopra ogni interrogativo al quale il Corpo Forestale per primo deve rispondere, però, sarebbe opportuno chiedersi perché proprio il terreno dal quale l’incendio è divampato e si è propagato è l’unico della zona a non avere i solchi taglia-fuoco, obbligatori per legge e che, probabilmente, avrebbero risparmiato buona parte della vegetazione del canale? Sarà, infine, un caso che proprio quest’area negli ultimi due anni ha visto una proliferazione incontrollata di dannosissimi pannelli fotovoltaici posti al suolo ed enormi pale eoliche che si stagliano come spilli su un’arancia, dove la concentrazione di rapaci era straordinaria (volavano nibbi, albanelle, poiane, gheppi, grillai, gufi, allocchi e barbagianni) e ora han dovuto tutti spostarsi in territori migliori, semmai ne siano rimasti ancora? L’interrogativo è d’obbligo poichè tutti i terreni agricoli nei dintorni degli impianti fotovoltaici sono stati “ripuliti” con lo stesso pericoloso sistema del “brucia i rovi a volontà”. Insomma, c’è un nesso tra pannelli, pale, agricoltori disattenti e un incendio che ha distrutto un bene naturale fondamentale per un’area dove l’acqua è scarsa e indispensabile per la fauna e la flora ripariale? Urgono chiarimenti, perché tutti noi paghiamo tasse e contributi (e buona parte finiscono agli F35 e non ai Canadair) affinché chi dovrebbe controllare che il territorio non vada devastato da scellerati atti lo faccia davvero e un’intera distesa di pale e pannelli (è stata mai realizzata una valutazione d’incidenza, essendo l’area protetta da ben tre regimi di tutela: SIC, ZPS e Parco delle Gravine?) e un vasto incendio lungo un canale non possono passare inosservati. Ciò che resta adesso è qualche chela bruciacchiata del raro granchio, una poiana che non sa cosa cacciare perché vede il suo riflesso negli specchi al suolo e un grillaio che vola basso per timore di finire tritato dalle pale. Per il resto, solo cenere che sta confluendo nella splendida gravina di Castellaneta per contaminare anche questa. Come diceva il famoso politologo ed ecologista Carl Amery sarebbe opportuno “smetterla di correre per spegnere gli incendi [anche perché spesso neanche questo viene fatto, ndr] e iniziare ad arrestare i piromani”. Gentile CFS di Castellaneta, restiamo in attesa di risposte e soprattutto di azioni concrete! Roberto Cazzolla Gatti Biologo ambientale ed evolutivo