Ricaricate le batterie con la pausa estiva e ripresi i vecchi e cari orari, più equilibrati e legati alla quotidianità lavorativa, si riparte con l'edizione settembrina del magazine. Una bella aggiustatina alle varie rubriche della rivista e la creazione di un nuovo template, alleggerito e organizzato, facilitano enormemente il lavoro di impaginazione che ora è più intuitivo. La parte più pesante resta sicuramente il corredo di immagini per ogni articolo: creazione e/o ricerca, collocazione, didascalie fanno perdere moltissimo tempo; a questo aggiungete vari piccoli accidenti come Youblisher che fa i capricci e impiega anche 24 ore per rilasciare il link di condivisione! Per la Rubrica "Intervista" in questo numero facciamo quattro chiacchiere con due vecchi amici della Community CAD: Antonio Martini, un simpaticissimo geometra padovano e progettista appassionato amante delle innovazioni tecnologiche; Gabriele Asero il primo iscritto alla Comm. e abilissimo modellista 3D che si è cimentato con software come 3D Studio Max, Rhinoceros, ecc.
1. 11
Il magazine della Community “AutoCAD, Rhino e SketchUp designers” su Google PlusIl magazine della Community “AutoCAD, Rhino e SketchUp designers” su Google Plus
DAL 2014
DAL 2014
SETTEMBRE 2014 Anno I Numero 4 edizione gratuita
/11 Arduino
Come rendere STAND-ALONE un
progetto di Arduino è l’obiettivo di
ogni maker che si rispetti. In
questo servizio vedremo come si fa
/19 Arte
A Milano una mostra sui fratelli
Pollaiolo, artisti minori rinasci-
mentali ricchi di talento e fantasia
/23 Automotive
Lorenzo Caddeo presenta la sua
ultima creatura: la Enteles
Nodachi 2014, rivoluzionaria per
motorizzazioni e prestazioni
2. 22
La Comm. per progettisti, disegnatori tecnici ed appassionati
La prima Community italiana, della piattaforma Google Plus sul CAD e le sue applicazioni, per
data di fondazione e numero di iscritti
BIM
CAD
CAD MEP
FEM
Linguaggi CAD
Modellatori 3D
Modellatori organici
Post produzione
Prog. edile
Altro software
Progettazione
Portfolios
A.N.T. Automotive
Stampa 3D
Concorsi
Curiosità
3. 33
NULLA SI OTTIENE SENZA SA-
CRIFICIO E SENZA CORAGGIO.
SE SI FA UNA COSA APERTA-
MENTE, SI PUÒ ANCHE SOFFRI-
RE DI PIÙ MA, INFINE, L'AZIONE
SARÀ PIÙ EFFICACE. CHI HA
RAGIONE ED È CAPACE DI SOF-
FRIRE ALLA FINE VINCE.
GANDHI
www: aforismi.meglio.it
LA METTO IN CORNICE
4. 44
speciali
HOME
Direttore responsabile:
Salvio Giglio
Redazione:
Nicola Amalfitano, Antonello Buccella, Marco Garava-
glia, Nunzia Nullo
Segretaria di redazione:
Nunzia Nullo
Redazione bozze:
Nicola Amalfitano, Nunzia Nullo
Ricaricate le batterie con la
pausa estiva e ripresi i vecchi
e cari orari, più equilibrati e
legati alla quotidianità lavo-
rativa, si riparte con l'edizio-
ne settembrina del magazine.
Una bella aggiustatina alle
varie rubriche della rivista e
la creazione di un nuovo tem-
plate, alleggerito e organizza-
to, facilitano enormemente il
lavoro di impaginazione che
ora è più intuitivo. La parte
più pesante resta sicuramen-
te il corredo di immagini per
ogni articolo: creazione e/o
ricerca, collocazione, dida-
scalie fanno perdere un sacco
di tempo e poi ci si mettono
vari piccoli accidenti di cui
non vi parlo e che fanno da
preludio al mese di otto-
bre! Ciliegina sulla torta è
Youblisher che fa i capricci e
ci mette anche 24 ore per
rilasciare il link di condivi-
sione! Nonostante tutto non
mi lascio scoraggiare, anzi
questi piccoli grattacapi ser-
vono da stimolo a cercare
delle soluzioni alternative! :)
Diario di bordo
paesaggista
[pa·e·ṣag·gì·sta] sostantivo maschile e femminile Professionista specializza
rubrichePAG. 07 NEWS
PAG. 09 EDITORIALE di Salvio Giglio “E la
chiamano estate...”
PAG. 11 ARDUINO di Salvio Giglio “Come
rendere STAND - ALONE un progetto di Ar-
duino”. I PUNTATA
PAG. 19 ARTE di Salvio Giglio “Le quattro
dame dei fratelli Pollaiolo”
PAG. 23 AUTOMOTIVE di Lorenzo Caddeo
“Enteles Nodachi 2014”
PAG. 29 BASI PER IL DISEGNO E LA PROGETTA-
ZIONE di Salvio Giglio “La cogenerazione
con i gruppi turbogas”. IV PUNTATA
PAG. 35 CINEMA di Nunzia Nullo
“Tartarughe Ninja”
PAG. 38 DESIGNER’S STORY di Salvio Giglio
“Pier Luigi Nervi”
PAG. 43 INTERVISTA di Salvio Giglio
“Antonio Martini”;
PAG. 53 INTERVISTA di Salvio Giglio
“Gabriele Asero”
PAG. 57 LIBRI di Corrado Motta “Corrado
Motta presenta: «Perché SketchUp?»”
PAG. 61 MUSICA di Nicola Amalfitano “La
variazione ”
PAG. 65 NEW HARDWARE FOR CAD di Salvio
Giglio “Il piatto termico di una stampante
3D ”. V PUNTATA
PAG. 71 COMPUTO METRICO di Giuseppe
Vizziello “LeenO 3.10.1 Cosa c’è di nuovo?”
PAG. 73 FEM di Marco Garavaglia
“Un’intervista sull'analisi funzionale”
PAG. 77 PRODUCT DESIGN di Everton Mar-
tins “Dalle calzature alla gioielleria”
5. 55
E PAGE
Cos’è CADZINE
è una rivista gratuita nata in
seno alla Community di
“AutoCAD, Rhino & Sket-
chUp designer” per informare &
formare disegnatori tecnici e
appassionati sul CAD ed i suoi
“derivati”.
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senti sono gratuite e sono create
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Access ;-)
Pensandoci bene
Neolaureati: la necessità di mantenersi sempre aggiornati
Al di la di quel che si è studiato all’università, un giovane professionista dovrebbe
sempre sentir viva la necessità di imparare nuove metodologie legate al proprio lavo-
ro. È molto brutto vedere dei neo-laureati in discipline ingegneristiche timorosi, e spes-
so rinunciatari, rispetto a software innovativi come ad esempio quelli legati alla BIM,
alla FEA, al GIS e alla modellazione 3D che, invece, potrebbero assicurare loro quella
marcia in più per inserirsi lavorativamente, se non in Italia, almeno in un altro Paese.
Non è tutta loro la colpa, e di questo me ne rendo conto da solo, visto che spesso l’Uni-
versità e la Scuola non riescono ad insegnare approcci reali col mondo del lavoro…
Un motivo in più per rimboccarsi le maniche e non sminuire un titolo accademico al
rango di “inutile pezzo di carta” e dare una seria svolta al proprio futuro!
ato nella progettazione, o sistemazione, di parchi e giardini.
corsi & tutorialsPAG. 81 CORSO DI ORIENTAMENTO ALLA BIM
di Salvio Giglio
“I punti chiave della procedura di esecu-
zione per la pianificazione della BIM”.
II PUNTATA
PAG. 85 CORSO DI BASE PER SKETCHUP
di Salvio Giglio “Stabilire le unità di misu-
ra in SketchUp”. IV PUNTATA
PAG. 86 CORSO DI MODELLAZIONE GEOLOCA-
LIZZATA PER SKETCHUP
di Antonello Buccella
“Applicazione delle textures di rivesti-
mento sul modello georeferenziato”.
II PUNTATA
eventuali & variePAG. 90 UMORISMO
PAG. 91 GIOCHI
7. 77
NEWS gli ultimi post prima di andare in stampa
Così recita il sottotitolo della
pagina da cui è possibile scari-
care il file zippato, per chiavetta
USB, da cui estrarre il contenuto
in una cartella: LibreOffice e
LeenO già pronti da utilizzare
su qualsiasi postazione Win-
dows. Per agevolarne l’uso, è
stata già impostata la Sicurezza
delle macro su Medio, in modo
tale che non se ne debba preoc-
cupare l’utente. Que-
sta pacchettizzazione è stata
realizzata utilizzando l’ultima
versione stabile di LibreOffice
tratta da winPenPack.
S.G
Quando ho appreso la notizia
dell’addio alla Ferrari di Luca Corde-
ro di Montezemolo, ho avuto prima
unastrettaalcuoreepoiunsensodi
sgomentopensandoallafuturasorte
del prestigiosissimo marchio che è
tra quelli che meglio ci rappresenta
nelmondo.Iltimoreèquellodiveder
banalizzare la produzione di questa
storica casa automobilistica che
attualmente realizza solo 7000
esemplari all’anno. Inutile dire che
si tratta di veri pezzi unici, curatissi-
miinognidettaglioeprodottiinuno
stabilimentoamisurad’uomoove si
fondono artigianato e tecnologia in
modo superlativo. Cosa sarebbe del
mondo Ferrari se il nuovo presiden-
te pretendesse anche solo il doppio
dell’attualeproduzione? S.G.
E’ nato il progetto CTS
(Comitati Tecnico Scienti-
fici), voluto fortemente
dalla sede di Confindu-
stria di Gorizia e dall’Uffi-
cio Scolastico Regionale
(U.S.R.) del Friuli Venezia-
Giulia. All’iniziativa han-
no aderito anche molte
importanti realtà indu-
striali della Provincia di
Gorizia e cinque istituti di
istruzione secondaria su-
periore tecnico professio-
nali dell’Isontino. S.G
La Ribbonsoft ha rilasciato la nuova
versione 3.6.4 di QCAD. Questo CAD
2D multi piattaforma include ora
nuove ed utili features per la creazio-
ne e modifica di disegni tecnici pro-
fessionali come, ad esempio, design
d'interni, disegno meccanico, dia-
grammi ecc. QCAD può importare ed
esportare file DWG e DXF ed ha nume-
rosi strumenti per creare eclissi, pun-
ti, linee, snapping agli oggetti ecc. Al
programma è possibile aggiungere
anche funzionalità e personalizzazio-
ni tramite degli add-on di terze parti.
Lo sviluppo di QCAD sta crescendo
moltissimo e ha reso più completo e
funzionale il software. Infatti questa
nuova versione offre diverse correzio-
ni di bug rendendolo molto più stabile
e ben integrato nelle principali distri-
buzioni Linux. La nuova distro inclu-
de inoltre:
il supporto per importare file
Design Web Format (DWF) da
AutoCAD ancora, però, in fase di
sviluppo;
il supporto per le spline di grado 1;
la nuova opzione per mantenere
le specifiche di base di un dise-
gno anche se questo viene modi-
ficato;
l'introduzione del supporto per
Teigha 4.0, la famosa piattaforma
di sviluppo della Open Design
Alliance;
i nuovi comandi da terminale.
QCAD è disponibile in due versioni:
COMMUNITY e PROFESSIONAL che, ovvia-
mente, includono maggiori funzionali-
tà. Il software Pro lo possiamo anche
provare per 15 giorni dopo di che
passerà automaticamente alla versio-
ne freeware. S.G.
Montezemolo ADDIO… e la Ferrari?
LeenO è anche portabile RILASCIATO
QCAD 3.6.4
La prima foglia artificiale che produce ossi-
geno consentirà lunghi viaggi nello spazio
Nasce il CTP per la
Navalmeccanica in
Friuli.
Julian Melchiorri, laureato
alla Royal College of Art, rac-
conta la sua invenzione: una
foglia biologica sintetica con
le stesse funzionalità di una
vera. Questo permetterebbe
viaggi di lunga durata nello
spazio. Melchiorri spiega che
"le piante non crescono in
assenza di gravità. Al momen-
to la NASA sta conducendo
ricerche sui diversi modi di
produrre ossigeno utili per
lunghi viaggi nello spazio.
Questo materiale potrebbe
consentirci di esplorare lo
spazio molto più di quanto
possiamo fare ora". Il progetto
è stato chiamato foglia di seta
ed è stato sviluppato, nell’am-
bito del corso di Innovation
Design Engineering, dal Royal
College of Art e dalla Tufts
University che hanno messo a
disposizione il laboratorio
della seta. Questo materiale,
che vive e respira proprio
come una vera pianta, è for-
mato da cloroplasti fissati su
di una matrice fatta di protei-
ne della seta. Così, come in
una vera pianta, tutto ciò di
cui la foglia ha bisogno per
produrre ossigeno è la luce e
una minima quantità d’acqua.
"La mia idea era quella di usa-
re l’efficienza della natura in
un ambiente antropizzato”
spiega lo studente la cui am-
bizione non si è esaurita qui.
Melchiorri ha infatti realizza-
to alcuni sistemi di illumina-
zione basati su questo mate-
riale, impiegando la luce sia
per illuminare la casa sia per
produrre ossigeno. Questo
innovativo materiale potrebbe
trovare ambiti interessanti
anche per applicazioni archi-
tettoniche esterne, co-
me facciate e sistemi di venti-
lazione. Il fogliame sintetico
diventerebbe, così, un vero
filtro vivente che assorbe e
filtra l’aria sporca dall’esterno
restituendola pulita nelle abi-
tazioni. S.G
“Porta LibreOffice e LeenO insieme
su pen drive sempre con te!”
9. 99
EDITORIALE
U
no strano mese di ago-
sto quello appena tra-
scorso. Un agosto che
si farà ricordare per la
pioggia e per il fatto che un italia-
no su due è rimasto a casa! Ci era-
vamo abituati al caldo torrido e
afoso degli ultimi due decenni e al
“consuma consuma” di condizio-
natori e climatizzatori. Quest’anno
quasi ci sono mancati quei bei
blackout elettrici dovuti alla vetu-
stà delle nostre linee elettriche, in
alcuni casi più “anziane” dello
scrivente, e quei meravigliosi ro-
ghi creati dai soliti mafiosi e spe-
culatori edili. Che dire, poi, del
classico Eurostar bloccato in aper-
ta campagna per almeno un giorno
con i passeggeri intrappolati nelle
lamiere roventi senza acqua ne
viveri? O di quelle spettacolari co-
de da esodo estivo sulla Salerno-
Reggio Calabria? Vero vanto della
nostra rete autostradale… Questa
maledetta estate spartana, senza
sole e scandali, cambi di governo e
arresti di celebrità, sembra quasi
che ci abbia voluto sbattere in fac-
cia che l’epoca della “finanza crea-
tiva”, del “bunga bunga”, delle
“olgettine”, dei “furbetti del quar-
tierino” sia finita! Non per una
scelta politica, per un reale, sano e
consapevole moto di rinnovamen-
to delle coscienze di governanti e
di governati ma perché siamo in
qualche modo “intrappolati” in un
nuovo conflitto mondiale 2.0 che
si propaga a macchia di leopardo,
lentamente e inesorabilmente. Un
dramma che ha portato sulle coste
meridionali del nostro Paese un
qualcosa come un milione di per-
sone e che ha falciato, nel periodo
della tragica traversata della
“speranza”, circa duemila disperati
di ogni età! Ah quelle belle estati
passate tutte coca, scandali e di-
scoteca, che fine avranno fatto! Vi
ricordate quando un noto rampollo
di una arcinota famiglia, oggi
“emigrante” anch’essa all’estero,
collassò dopo un coca party? Che
tempi! Facevano notizia i bandana
di certi personaggi politici che, tra
una peripezia giuridica e l’altra, tra
una cenetta “piccante” e un impe-
gno di Stato, trovavano persino il
tempo per rifarsi il look con un bel
trapianto di capelli e una stiratina
alle rughe! In una di quelle infuo-
catissime estati, dall’altra parte
dell’oceano, un gruppo di econo-
misti “creativi” dava libero sfogo
alle proprie visioni di un mondo
nuovo e globalizzato con un’unica
moneta e la flotta stellare… mentre
un sinistro scricchiolio, prove-
niente dai caveau delle loro ban-
che, cominciava a farsi sentire con
una certa forza! Sempre in quelle
estati lontane, con l’abbronzatura
a palla e il tatuaggione in bella
mostra, come novelli divi del cal-
cio, tutti muscoli e tette rifatte, al
suono martellante dell’ultimo bra-
no techno sparato dallo stabili-
mento, comodamente debosciati
sui nostri immacolati lettini sulle
spiagge assolate, leggevamo spe-
ranzosi, tra uno scandaletto di Co-
rona e un topless della Rodriguez,
che in Medio Oriente si combatte-
va e si moriva in nome della
“democrazia e della libertà” senza
capire che invece tutto ciò avveni-
va per tutelare i nostri interessi e
quelli delle multinazionali del pe-
trolio e del gas destabilizzando
così un’intera regione! L’Occidente
somiglia sempre di più ad un tos-
sico dipendente, impazzito per la
crisi di astinenza, che si aggira
nervosamente con una pistola in
mano tra la folla in cerca di soldi
per farsi. Non siamo forse così
quando ci creiamo alibi e motiva-
zioni, a dir poco infondate e biz-
zarre, per assecondare la nostra
inesauribile sete di risorse energe-
tiche, la nostra brama di vendere
armi, di seminare guerre a destra e
manca, di cavalcare nel modo più
bieco possibile l’indigenza e l’arre-
tratezza di certi Paesi? In quelle
torride estati passate ci sentivamo
californiani felici e consumavamo
più di quel che avremo potuto fare,
orgogliosi del nostro italian life
style, in cui consumare e indebi-
tarsi era cool. Era talmente forte
questo sentimento che, pensate,
un tabaccaio di una località dell’I-
talia centrale, per pagarsi il Ferrari
e mantenere un certo stile di vita,
“arrotondava” rapinando farmacie
e benzinai! Come nel “Canto di Na-
tale” di C. Dickens sembra che il
fantasma delle estati passate ci
ammonisca e ci inviti a guardare
con maggiore attenzione ai proble-
mi concreti che minano la stabili-
tà della nostra struttura sociale; a
dare un calcio, definitivamente, ad
un modo di vivere che, spesso e
volentieri, è un vero schiaffo alla
miseria; ad essere più vigili, critici
e partecipi alle vicende politiche
locali, nazionali e continentali; ad
essere più solidali e presenti con
quegli Stati poveri, magari cancel-
lando definitivamente il loro debi-
to. Come sarà la prossima estate
dipende, tutto sommato, da ciascu-
no di noi, dall’impegno che ci met-
teremo non solo nel conservare i
soldi per le vacanze ma dalla som-
matoria di tutti quei piccoli grandi
gesti individuali e sociali che do-
vremmo fare per migliorare le co-
se… a partire da “come” e “dove”
parcheggiamo, per passare a “chi”
daremo fiducia e voti e terminare
con la nostra presenza e parteci-
pazione verso gli ultimi, senza
guardare il colore della pelle ma
quello, comune a tutti, del sangue.
di Salvio Giglio
E la chiamano estate...
11. 1111
ARDUINO
Q
ualche tempo fa leggevo
in un post su G+ la do-
manda di un caro amico
che si chiedeva come
rendere in qualche modo
“definitivo” un suo progetto, svi-
luppato sperimentalmente con il
kit Arduino ONE, riproducendo su
di un circuito stampato tutti i col-
legamenti volanti che erano tem-
poraneamente ospitati sulla tavo-
letta mille fori breadboard del kit.
Il post mi portò subito indietro ne-
gli anni e mi fece ripensare a
quando ero meno di un adolescen-
te e alle tante ore passate letteral-
mente a contemplare, in una oscu-
ra cantinola condominiale, Sergio
il fratello maggiore di un mio ami-
co d’infanzia. Questo ragazzo,
grande appassionato di elettroni-
ca, si era iscritto all’Augusto Righi,
un ITIS per periti elettronici, e nei
fine settimana dava libero sfogo
alla sua creatività. Uno dei proget-
ti più riusciti di Sergio fu un am-
plificatore audio per il suo impian-
to stereo domestico che realizzò
pezzo per pezzo: dal mobile in le-
gno esterno sino all’ultimo circuito
dell’apparecchio. Quando Sergio
scendeva in cantinola per lavora-
re, noi ragazzetti ci mettevamo, in
religioso silenzio,
in un angolino e lo
guardavamo, sen-
za capirci molto,
mentre lui traffi-
cava con piastre ramate, acido,
lucidi, decalcomanie, saldatore e i
componenti elettronici di allora: i
transistor! Alla fine, dopo una de-
cina di weekend di lavoro, l’ampli-
ficatore fu completato e non solo
funzionava benissimo ma era an-
che molto bello e potente! Ai nostri
occhi Sergio, all’epoca diciasetten-
ne, diventò un guru tecnologico,
una sorta di dottor Procton di Go-
drake! La sua parola per noi era
definitiva su qualunque problema
tecnico: dalla catena allentata del-
la bici al giocatolo che non funzio-
nava più! Chiudo il libro dei ricordi
con un sorriso e sono convinto più
che mai che Arduino stia riportan-
do nelle nostre case un qualcosa di
molto bello ed utile, che sembrava
sparito con l’avvento dei videoga-
mes e dei computer, specialmente
per i ragazzi, dal momento che li
impegna per giorni in cose intelli-
genti che richiedono studio e tanta
passione. Il post in questione mi
ha anche ricordato la meravigliosa
puntata di Report, in parte dedica-
ta ad Arduino, della scorsa prima-
vera e ho considerato che, proprio
questo importante passaggio in
stand alone di un progetto funzio-
nante su Arduino, poteva anche
essere occasione di guadagno. In-
I puntata
di Salvio Giglio
Come rendere STAND-ALONE un progetto di Arduino
Il piacere di realizzare soli soletti un progetto svilup-
pato con Arduino e poi trasportarlo definitivamente
su un circuito stampato che abbiamo realizzato noi!
12. 1212
ARDU
fatti, se pensate che il vostro pro-
getto rappresenti una significativa
innovazione tecnologica e ritenete
che possa interessare a qualche
azienda o voi stessi volete tentare
la sua commercializzazione, dove-
te inevitabilmente realizzare un
circuito stampato e poi dotarlo
della componentistica elettronica
indispensabile al suo funziona-
mento. Il prototipo vi servirà sia
per il brevetto sia per le presenta-
zioni presso le aziende a cui in-
tendete venderlo. Molte Start-Up
sono nate proprio così!
Il rilievo del nostro progetto e lo
sviluppo di un cliché per la sua
stampa
Il nostro primo obiettivo è la rea-
lizzazione di un cliché cioè di una
matrice da cui ricaveremo poi la
nostra scheda stampata. Per fare
questo dobbiamo renderci conto di
come tradurre in piste di rame
quei collegamenti volanti che ab-
biamo realizzato sulla breadboard
di Arduino, cosa che avverrà tra-
mite un piccolo rilievo grafico del
nostro progetto. Procuriamoci a tal
proposito un blocco notes A4 qua-
drettato, matite, gomma, due pen-
ne biro con inchiostri diversi per
distinguere le polarità del circuito
e che ci serviranno per ricalcare in
bella copia lo schema finale, un
righello, un metro flessibile da sar-
ta e passiamo a disegnare su carta
il circuito del nostro esperimento
in due stesure diverse: con e senza
componenti montati. Il primo ela-
borato ci servirà per studiare la
posizione dei componenti elettro-
nici mentre il secondo ci farà capi-
re in che modo dobbiamo realizza-
re il circuito stampato per poterli
collegare. Dai due bozzetti ricavia-
mone un terzo, questa volta utiliz-
zando il righello e la quadrettatura
del foglio, ragionando in scala 1:1
e realizzando una bozza quotata
della nostra scheda elettronica
prima a matita e poi ricalcata con
le penne di cui vi accennavo pri-
ma. Finito di ricalcare, cancellate i
tratti a matita. Dopo questa stesu-
ra sarebbe opportuno riprodurre il
tutto in un elaborato CAD molto
preciso affinché la scheda defini-
tiva sia affidabile e abbia un aspet-
to professionale. Quale CAD sce-
gliere? Una domanda che mi sono
fatto anche io e le strade da segui-
re sono veramente tantissime e
dipendono dalle vostre doti grafi-
che al PC. Teoricamente va bene
qualunque tipo di software vetto-
riale per ottenere il cliché neces-
sario alla stampa del circuito, per-
sino il modulo di disegno contenu-
to in Word! Se avete familiarità
con AutoCAD o con qualunque al-
tro programma di CAD tradiziona-
le tanto di guadagnato… altrimenti,
se avete un minimo di tempo da
impiegare per imparare un buon
software CAD dedicato proprio
all’elettronica, vi consiglio KiCad
che è una suite gratuita open sour-
ce di software per il disegno di
schemi elettrici e circuiti stampati
della famiglia CAD EDA (Electronic
Design Automation) sviluppato dal
programmatore francese Jean-
Pierre Charras. È un software con
delle belle funzionalità, come l’edi-
tor di schemi elettrici, il generato-
re della distinta base per i compo-
nenti nonché lo sbroglio circuitale
del PCB. Quest’ultima funzione
mira ad ottimizzare il vostro cir-
cuito stampato, cercando di conte-
nere il più possibile i suoi ingom-
bri, tramite un attento posiziona-
mento dei diversi componenti e
curando il passaggio delle varie
piste (anche di quelle che passano
sotto i componenti) di cui è com-
posto il vostro progetto. KiCad ha,
tra l’altro, anche un buon visualiz-
zatore di file Gerber che è il forma-
to standard utilizzato per la produ-
13. 1313
UINO
zione dei circuiti stampati. Un file
Gerber contiene informazioni per
tracciare le connessioni elettriche,
piste, fori vias1
, la foratura e la fre-
satura del circuito stampato. Ri-
cordate in ogni caso una cosa mol-
to importante e che vale sempre in
campo elettrico ed elettronico: i
componenti caldi del circuito non
vanno mai addossati uno sull’altro
per evitare surriscaldamenti ec-
cessivi della scheda con conse-
guenze dannose per il suo corretto
funzionamento. Prevedete sempre
una protezione a fusibili (per en-
trambi i poli) per l’ingresso di ali-
mentazione del vostro circuito: la
spesa di pochi centesimi per un
portafusibili e del relativo fusibile,
non valgono il costo degli altri
componenti e il tempo speso per
realizzare il vostro progetto! Nella
lista componenti prevedete anche
un regolatore lineare di tensione a
5V.
Dopo la stampa e la prova del cir-
cuito
Immaginiamo per un attimo che
abbiamo già realizzato la nostra
sospirata scheda elettronica. La
proviamo col beeper del nostro
tester per verificare la continuità
delle piste e dei fori vias e… FUN-
ZIONA! Evviva, ma non è mica fini-
ta qui! Come la mettiamo con i
componenti? Scommetto che li
volete prelevare direttamente dal-
la breadboard di Arduino! No, per
carità! Specialmente se siete alle
prime armi vi consiglio di lasciarli
lì fino al completamento e al col-
laudo del circuito così potrete
sempre confrontare il funziona-
mento di quanto avete prodotto
con quanto avete progettato. Vi
suggerisco, invece, di compilare
una bella lista, ordinata per cate-
gorie (resistenze, condensatori,
diodi, LED, connettori, morsetti,
portafusibili, ecc.), di tutto il mate-
riale necessario e, solo dopo che
ve lo siete procurato e provato
TUTTO, passerete alla saldatura.
Per quanto riguarda il processore, i
chip di eventuali driver e circuiti
stampati più piccoli (come gli
shield Arduino) ricorreremo ai
socket (zoccoli). Questi utilissimi
componenti sono degli speciali
tipi di connettore elettrico, con
molti piedini e di varie forme, che
vengono fissati sul circuito stam-
pato e che ci permettono di instal-
lare e disinstallare velocemente e
manualmente, senza saldature, un
circuito integrato, un circuito
stampato più piccolo, ecc. realiz-
zando così anche il collegamento
elettrico tra i due componenti.
Quando maneggiamo componenti
elettronici è buona norma stare
attenti alla presenza di eventuali
cariche elettrostatiche che possia-
mo produrre col nostro abbiglia-
mento, specie se è sintetico, o in-
dossando calzature con la suola
isolante. Diventiamo dei veri e
propri condensatori elettrici e la
prova di ciò e quel sinistro crepitio
Tre schermate di KiCad: in alto la vista schema elettrico, al centro il visualizzatore di file Gerber e in basso il visualizzatore 3D
_______________________________________
1.Sono dei fori che si praticano nella scheda elettronica non per il collegamento dei componenti ma al solo scopo di mettere in comunicazione le piste di
rame della faccia superiore del circuito con quelle della parte opposta. Dopo la loro realizzazione, questi fori saranno rivestiti galvanicamente dal rame che
farà appunto da conduttore tra le piste presenti sulle due facce della scheda.
14. 1414
ARDU
Lo spazio di lavoro deve essere ben illuminato, pulito, ventilato e privo di materiali infiammabili. Un braccialetto antistatico
evita di far bruciare i componenti più sensibili con l’elettricità statica prodotta dal nostro abbigliamento
che possiamo ascoltare quando la
sera ci svestiamo, togliendoci un
capo in pile o in fibra sintetica; se
siamo al buio addirittura possiamo
intravedere quelle piccole scintille
elettriche che scorrono lungo i no-
stri vestiti quando li togliamo! Ec-
co perché è sempre buona norma
indossare capi non sintetici e pro-
teggersi in queste occasioni con
opportuni braccialetti antistatici
che vanno collegati ad una buona
massa metallica (MAI sul polo del-
la terra dell’impianto elettrico do-
mestico o ad elettrodomestici per-
ché è molto rischioso), come ad
esempio un termosifone, un rubi-
netto, dei tubi idraulici a vista, ecc.
Lo spazio destinato alla saldatura
deve essere pulito e privo di mate-
riali infiammabili. Proteggete con
un foglio di multistrato o compen-
sato il tavolo su cui lavorate, evite-
rete liti in famiglia! Il locale deve
essere sufficientemente ventilato
durante la saldatura. Dopo aver
saldato ordinatamente prima i vari
socket (partendo sempre da quello
più grande) passeremo alla salda-
tura di tutti i componenti, verifi-
cando attentamente la loro polari-
tà. Ricordate che al socket del pro-
cessore è associato un clock, e cioè
un quarzo da 16MHz, che colleghe-
remo quanto più vicino possibile
ai pin 9 e 10 del socket del proces-
sore. Tra i piedini del quarzo e la
massa del nostro circuito, deve
essere prevista anche l’installazio-
ne di una coppia di condensatori
da 22pF facendo in modo che an-
che il loro collegamento sia il più
corto possibile! Ricordate che il
numero del pin sul processore
NON corrisponde MAI al numero
del pin sulla scheda Arduino UNO,
(ad es. il pin 13 di Arduino corri-
sponde al pin 19 del processore). Al
pin 7 collegherete l’alimentazione
elettrica a 5V in CC proveniente
dal regolatore lineare di tensione
opportunamente protetto. Finita
questa fase, verificheremo che sul-
la scheda non ci siano impronte,
pulviscolo, scorie di saldatura, pa-
sta fissante, ecc. e passeremo al
posizionamento prima dei chip più
piccoli e, solo alla fine, installere-
mo il processore Atmel ATMega-
XXX (la sigla del processore che
abbiamo utilizzato sperimental-
mente, solitamente 328) già pro-
grammato. Per quest’ultimo avrete
due possibilità di scelta:
- estrarre il processore dal socket
di Arduino UNO e montarlo su
quello del circuito definitivo anche
se poi sarete comunque costretti
ad acquistare un secondo ATMega
munito di bootloader2
;
- acquistare un processore vergine
senza bootloader, inserirlo nel soc-
ket di Arduino UNO e program-
marlo usando un compilatore USB
da collegare alla scheda stessa.
Finalmente passiamo al PCB
PCB è l’acronimo inglese di prin-
ted circuit board che, in italiano,
significa circuito stampato: il suo
acronimo CS è molto utilizzato nei
nostri ambiti industriali. La princi-
pale funzione di un CS è il collega-
mento elettrico e meccanico dei
componenti e degli accessori in
modo da costituire un sistema nel
quale ogni componente trova una
precisa posizione geometrica.
Semplificando al massimo, si può
dunque affermare che un CS è un
_____________________________________
2. Nei processori ATMega esiste un settore riservato ai software “residenti” tra cui Bootloader. Quest’ultimo ha il compito di caricare all’avvio di Arduino un
programma scritto da noi per un progetto nella giusta area del processore o di lanciarlo sempre nella giusta collocazione tramite sketch.
15. 1515
UINO
insieme di piste in rame
"disegnate" su un supporto isolan-
te i cui collegamenti stampati ser-
vono per connettere tra loro i com-
ponenti che costituiscono il cir-
cuito elettronico stesso. Ci sono
due tipologie di base di CS: a sin-
gola e a doppia faccia; le facce so-
no anche dette layer. Questa sud-
divisione stabilisce se le piste di
rame si trovano su una o su en-
trambe le facce della scheda. Esi-
stono tantissime tecniche per rea-
lizzare circuiti stampati; in questi
articoli però seguiremo quella tra-
dizionale basata su metodi sempli-
ci e ampiamente collaudati da in-
tere generazioni di hobbisti: piste
realizzate con la tecnica sottratti-
va e ancoraggio componenti con
foro passante e brasatura. Questi
metodi sono a basso costo e facil-
mente realizzabili a casa nostra.
Prima di imparare a costruire un
circuito stampato dobbiamo anzi-
tutto conoscere da quali parti esso
è composto nonché la loro funzio-
ne.
Materiali per le schede
Le schede ramate sono ricavate da
grossi fogli di materiale isolante di
circa 1,6 mm di spessore su cui è
depositato, galvanicamente, uno o
due strati da 35 micron di rame3
a
seconda se si necessiti di una
scheda a singola o a doppia faccia.
I materiali isolanti principalmente
impiegati sono due:
resina fenolica (bachelite o
SRBP) che è un polimero ottenu-
to per reazione tra fenolo e for-
maldeide, più economico ma
facilmente alterabile alle alte
temperature;
vetronite (FR4 o vetro epossidi-
co) che è un isolante composito,
di colore verde traslucido, a base
di fibre di vetro, disposte ortogo-
nalmente fra loro e impregnate
di resina epossidica, organizza-
te in una apposita matrice di
fabbricazione. Più costosa ma
ottima per ogni applicazione.
Nei negozi di componenti elettronici
troveremo basette vergini nel classico
formato Eurocard da 100 x160 mm con
unooduestratidirame.Leschedevergi-
ni hanno diversi nomi: schede ramate,
coopercladboard,basette.
Schede a singola faccia
Quando si devono realizzare CS con po-
chicomponentisiricorreadellebasettea
singola faccia. In queste esecuzioni, la
faccia destinataai componenti è definita
lato componenti o top mentre quella de-
stinata alle saldature è denominata lato
rame o bottom. La componentistica elet-
tronica, in questi casi, è vincolata alla
scheda attraverso dei fori passanti la
scheda da parte a parte, di adeguato dia-
metro, che ospitano permanentemente i
piedini dei varielementi opportunamen-
te saldati. Per designare questo metodo
di applicazione dei componenti elettro-
nicialleschede,gliinglesihannoconiato
l’acronimo THT da Through Hole Tech-
nology cioètecnologiaaforopassante.In
caso di circuiti abbastanza complessi,
ma non al punto tale da richiedere l’ado-
zione di una scheda a doppia faccia, si
puòricorrereall’espedientedeijumperdi
rame(ponticelli) per scavalcarele piste e
congiungere così elettricamente tutti i
componenti.
Schede a doppia faccia
Quando un circuito stampato ospita nu-
merosi componenti può essere vantag-
gioso ricorrere ad una scheda ramata a
due facce o dual layer. Lo sbroglio del CS
Da sinistra, una scheda in resina fenolica e con la superficie ramata; a destra, una scheda millefori in vetronite
3. Sul mercato, per applicazioni solitamente industriali, è possibile reperire anche schede con uno spessore di rame minore o maggiore ai 35 micron. Ad
esempio, per circuiti con correnti molto elevate si ricorre a schede con rivestimenti di rame da 70 micron di spessore.
17. 1717
con queste schede risulta molto più semplice
poiché ci permette di stabilire il lato su cui è più
convenientefarpassareivarisegnaligeneratidai
componenti. In queste realizzazioni, la foratura
della scheda è una fase molto importante della
progettazione del circuito poiché bisogna assolu-
tamente evitare sia pericolose interferenze tra i
circuiti presenti sulle due facce, sia corto circuiti
con forature errate. Oltre ai fori di fissaggio, su
queste schede è possibile riscontrare dei fori di
vias: simili ad un rivetto metallico, con rivesti-
mento ottenuto per deposito galvanico di rame,
essi servono per la connessione elettrica delle
pistepresentitra le due facce. Non sono difacile
realizzazione a livello hobbistico e, per questo,
vengono sostituiti da un semplice foro passante
tra le due piste che si intende collegare. In esso
verràincastratoqualchemillimetrodiconduttore
unipolarediramerigido(comeadesempioquello
chefadaanima neicaviperantenneTV)succes-
sivamente saldato sulle relative piazzole. Vedi
TAV. 1. In commercio esistono anche opportuni
microrivetti per realizzare questo tipo di connes-
sione. Nelle prossime puntate spiegheremo an-
cora più dettagliatamente la realizzazione delle
schede, nel frattempo esercitatevi con Arduino e
KiCad!
ARDUINO
TAV. 1 - Elementi essenziali di un CS ad UNA e DUE facce
1 e 2 Un CS ad una faccia ed i relativi particolari della sche-
da.
3. Un CS a doppia faccia
4. Dettaglio di foro VIAS sezionato con rivestimento in rame.
5. Un foro VIAS realizzato con un apposito rivetto metallico.
6. Foro VIAS vuoto e assemblato con uno spezzone di ca-
vetto unipolare rigido di rame
1
2
3
4
5
6
Continua
19. 1919
ARTE
S
pesso dimentichiamo di
vivere nel più grande mu-
seo a cielo aperto del
Mondo. Noi italiani cono-
sciamo solo il nome di qualche
grande maestro del passato e
spesso sono i turisti a sorprender-
ci: mi è personalmente accaduto
che amici tedeschi conoscevano
opere, musei e monumenti di Na-
poli di cui noi ignoravamo l’esi-
stenza! Eppure anche la storia
dell’arte italiana è avvincente e
ricca di personaggi che definire
eclettici è poco e, tra i tanti famosi,
ancor meno conosciamo i minori!
Parlo per me e faccio riferimento
ai due fratelli Antonio e Piero del
Pollaiolo il cui vero cognome è
Benci. Romani, vissuti nel 1400,
sono stati artisti a tutto tondo e al
maggiore dei due sono attribuite
tante opere pittoriche, sculture e
anche pregiatissimi pezzi di fine
oreficeria. In realtà su questi due
personaggi la confusione è tanta e
le differenze veramente poche: sin
dai tempi del Vasari, il primo a
creare confusione come giusta-
mente afferma il noto storico con-
temporaneo dell’arte Aldo Galli, le
attribuzioni errate hanno padro-
neggiato su manuali ed enciclope-
die. Una bella occasione, per am-
mirare quattro capolavori pittorici
dei due fratelli romani, la offre il
Museo Poldi Pezzoli a Milano dal 7
novembre 2014 al 16 febbraio 2015
con l’esposizione di quattro ritratti
di dame. Un modo per confrontare
l’operato artistico dei Pollaiolo
nell’ambito della loro bottega fio-
rentina della seconda metà del
Quattrocento italiano. Uno sforzo
enorme per questo museo che,
grazie anche al sostegno della
Fondazione Bracco, propone tutti e
quattro gli straordinari Ritratti
femminili annoverati tra i capola-
vori della ritrattistica fiorentina
dell’epoca. Essi sono conservati
alla Gemäldegalerie di Berlino, al
Metropolitan Museum di New
York, a Firenze nella Galleria degli
Uffizi, oltre che presso questo mu-
seo milanese dove la Dama costi-
tuisce una delle opere-simbolo più
celebrate. Il maggiore dei due fra-
telli, Antonio, era anche il più ta-
lentuoso e, infatti, il museo pre-
senterà anche una serie di dipinti,
sculture, disegni, incisioni, orefi-
cerie e ricami. Essi daranno piena-
mente conto del talento multiforme
dell’artista esteso all’attività della sua
bottega, simbolo di una delle tan-
tissime paroles appartenenti a
quelle Corporazioni di Arti e Me-
stieri italiane che si perdono in
tempi remoti e che sono una
straordinaria espressione della
capacità tecnica e dell’inventiva
raggiunte dall’alto artigianato fio-
rentino nel pieno Rinascimento.
Le attività artistiche di Antonio e
Piero palesano la sostanziale in-
differenza dell'ambiente artistico
fiorentino verso le influenze pro-
venienti dall'esterno. I Pollaiolo,
infatti, rielaborano, secondo i pro-
pri gusti personali e i loro ideali il
linguaggio del Masaccio e del Bru-
nelleschi. C’è qualcosa, se si sa
leggere tra le righe delle loro ope-
re, che caratterizza maggiormente
le opere di Antonio mettendole in
perfetto contrasto con lo stile del
fratello minore Piero. Quest’ultimo
tendeva ad una sua ricostruzione
assolutistica e simbolica del mon-
do, quasi nell’intento di offrire cer-
tezze su solidi valori immutabili,
celando quanto di mutevole possa
esistere nella natura. Viceversa
Antonio tese sempre ad esaltare
questa mutevolezza, il divenire
incessante di ogni cosa rappresen-
Le quattro dame dei fratelli Pollaiolo
1. Piero del Pollaiolo (?), Ritratto femminile, tavola 45,5x32,7 cm, Milano, Museo Poldi Pezzoli; 2. Piero del Pollaiolo
(?), Ritratto femminile, tavola 45,5x32,7 cm, Berlino, Gemäldegalerie; 3. Antonio del Pollaiolo, Ritratto femminile, tempera
su tavola 48,9x35,2 cm, New York, The Metropolitan Museum of Art; 4. Antonio del Pollaiolo, Ritratto femminile, tavola
55x34 cm Firenze, Galleria degli Uffizi
1 2 3 4
di Salvio Giglio
20. 2020
AR
Per impreziosire quattro vesti liturgiche con ricami di trenta storie della vita di San Giovanni Battista, una squadra internazio-
nale di ricamatori lavorò per oltre vent’anni. In questa pagina uno dei ricami realizzati su di un disegno di Antonio Pollaiolo.
21. 2121
RTE
tato attraverso la riscoperta del
dinamismo dell'arte classica. Egli
comprese, infatti, che gli antichi
non si erano semplicemente limi-
tati a raffigurare corpi ben propor-
zionati, solidi e plastici, ma anche
a rendere il senso di movimento
delle loro azioni. All’iniziativa ar-
tistica del Poldi Pezzoli partecipe-
rà anche il Comune di Milano e
altre istituzioni cittadine realiz-
zando dei percorsi tematici comu-
ni. Si sono resi partners del museo
per questo progetto, istituzioni
prestigiose come l’Opificio delle
Pietre Dure di Firenze, il Museo del
Louvre di Parigi, la National Galle-
ry di Londra e il Museo Nazionale
del Bargello di Firenze.
Antonio del Pollaiolo, Progetto per un monumento equestre a Francesco Sforza, 1484 (o 1474 - 1476), gesso nero, penna e
inchiostro bruno, mm 224×216. Monaco di Baviera, Staatliche Graphische Sammlung
23. 2323
AUTOMOTIVE
S
alve a tutti! Voglio pre-
sentarvi l'ultimo modello
che ho realizzato per il
mio brand: la Enteles No-
dachi 2014.
CATEGORIA
Studiata nei minimi detta-
gli per quanto riguarda la
disposizione di spazi in-
terni ed esterni, la Nodachi
si propone con 4,83 metri
di lunghezza, meno lunga
rispetto alla CL, ma capace
di mantenere comunque uno spa-
zio rispettabilissimo all'interno.
Con l'impostazione tre porte e una
coda leggermente prolungata, po-
trebbe essere definita una fast-
back ma l'impostazione che la car-
rozzeria assume la lascia rientrare
nella categoria delle grandi coupé,
note per le alte prestazioni.
UNA NODACHI PER TUTTI
La Nodachi, diversamente dalle
avversarie, cerca di proporsi in
maniera più completa possibile,
offrendo anche allestimenti a bas-
so costo, per andare incontro al
grande pubblico, e puntando so-
prattutto sui primati che quest'au-
tovettura può conquistare grazie
alle accurate scelte svolte in ambi-
to tecnico. Non tradisce gli appas-
sionati grazie ad allestimenti mol-
to particolari che richiedono gran-
de manutenzione, a fronte però di
prestazioni superbe. Un'auto quin-
di per tutti.
PERCHÉ 2014?
Perché si chiama 2014? Che biso-
gno c'è di scriverlo? Perché la No-
dachi in questione è una versione
moderna di una gran coupé realiz-
zata negli anni Novanta, la Shogun
Nodachi, presente sulla Warehou-
se con il superbo allestimento Ri-
sing Sun. La Nodachi ha immedia-
tamente riscosso successo tra gli
appassionati: qualcuno addirittura
si è divertito a farne versioni da
Touring; altri, invece, privatamen-
te mi hanno chiesto di rifare il mo-
dello. Come si fa a contraddire un
fan della propria auto?
ESTETICA
L'estetica è il segreto del successo
della Nodachi. Ecco perché.
FASCIA FRONTALE
Del modello degli anni Novanta, la
Nodachi 2014 ha mantenuto il
frontale inclinato, mentre i fanali
sono stati allargati per do-
minare, con uno sguardo
imponente e aggressivo, la
scena della strada. Il pa-
raurti utilizza rifiniture
metallizzate e possiede
una fascia inferiore larga-
mente ribassata.
DETTAGLI ANTERIORI
Il marchio Nodachi e lo stemma
della Enteles, incastrati tra i fanali,
spiccano molto, quasi a indicare la
firma di quest'autovettura. Sul co-
fano vi sono dei pannelli traspa-
renti che, similmente al Theatre
View di altre autovetture, respin-
gono i raggi solari impedendo il
surriscaldamento delle parti illuminate.
di Lorenzo Caddeo
Enteles Nodachi 2014
La Nodachi si propone come un coupé di grandi
dimensioni, rivaleggiando la BMW Serie 6 e la
Mercedes CL, ma adottando delle soluzioni ben
lontane dall'ostentato lusso delle avversarie tede-
sche.
24. 2424
AUTOM
FIANCATA
La Nodachi, come la sua antenata,
porta sul fianco tagli e rifiniture
che le conferiscono un senso di
velocità anche da ferma. Le portie-
re sono un mix di elementi perfet-
tamente coniugati tra loro e l'inte-
ra solidità della carrozzeria viene
messa bene in risalto dalle notevo-
li bombature del posteriore e della
fascia inferiore.
POSTERIORE
La soluzione proposta dalla Ente-
les, per quanto riguarda il poste-
riore, è quella di riunire tutti i det-
tagli in un unico scomparto. I fa-
nali, le luci di posizione integrate
sulla fascia nera (la cui valenza è
solo estetica), la targa, le varie si-
gle sono tutte riunite in uno spazio
ricavato dal posteriore che appare
così quasi "scavato". Il paraurti
posteriore ha altre luci di posizio-
ne, che ne accentuano la sportività
e che risultano utili in strada so-
prattutto in orari notturni, e una
placca nera opaca (diffusore
dell’auto) contenente l'uscita delle
marmitte. Quest’ultima, mediante
delle barre, ottimizza al meglio il
deflusso dell'aria, sfruttando l'ef-
fetto Venturi.
INTERNO
Nonostante la struttura apparente-
mente elegante, la Nodachi è stata
pensata con uno stile minimalista,
volto ad aumentare la semplicità
d'utilizzo riunendo varie funzioni
nel minor numero possibile di
componenti . Il cruscotto è total-
mente elettronico, equipaggiato di
tachimetro capace di indicare la
marcia inserita e di suggerire il
momento ottimale per il cambio a
seconda delle impostazioni scelte
dal computer (risparmio benzina,
guida sportiva o guida pulita). Il
contagiri, infatti, oscilla dal verde
al rosso, per indicare il momento
in cui è consigliato cambiare mar-
cia. Il numero di giri appare sulla
fascia verde del contagiri stesso,
in modo che il movimento degli
occhi si riduca il più possibile, evi-
tando così cali di concentrazione
durante la guida.
DAI DUE POSTI IN POI
Nonostante l’impostazione sobria,
con solo due posti, il tetto della
Nodachi, anche se abbastanza
basso, può prevedere l’inserimento
di un divanetto posteriore ribalta-
bile che sacrifica solo una minima
porzione di spazio della grande
vettura.
INSOLITA E COMUNE
La forma della Nodachi è piuttosto
comune a livello mondiale, con un
assetto abbastanza sportivo e un
corpo vettura grande che esprime
velocità e robustezza allo stesso
tempo. Allo stesso tempo, però,
risulta insolita per le soluzioni
estetiche previste, come la bomba-
tura posteriore, notevole e tipica
degli anni Novanta ma comunque
ancora in voga, e lo sguardo magne-
tico che il frontale riesce a trasmettere.
DISTRIBUZIONE PESI
Su quest'autovettura è stata rivolta
particolare attenzione nella distri-
buzione dello spazio e dei pesi . Il
motore montato in posizione FM
(Front-Mid), ossia tra l'asse delle
ruote e l'autista, centra il peso
dell'autovettura sull'interasse, mi-
gliorando le prestazioni e il con-
trollo della macchina stessa. Il
rapporto di pesi è portato quindi a
55%-45%.
Il coloratissimo cruscotto della Nodachi 2014 dalle forme essenziali e minimalistiche
25. 2525
MOTIVE
SPAZIO INTERNO
L'abitacolo è confortevole, comodo
e quindi dello spazio interno è dif-
ficile lamentarsene. Il bagagliaio
posteriore ha a disposizione il
maggiore spazio possibile, grazie
alla soluzione del paraurti ribassa-
to. Il portellone, col vetro incluso,
garantisce all'autista di poter tra-
sportare con sé, con estrema co-
modità, qualsiasi oggetto si voglia.
CONSUMI E PESO
Il 70% dei consumi di un'auto è
dato dalla sua massa e dal bilan-
ciamento dei pesi. L’assetto di
questi ultimi permette, unitamen-
te al tetto costruito in lega, un peso
complessivo dell'autovettura di
soli 1400kg. La versione Rising Sun
dispone per il tetto di parti costruite in
fibradicarbonio,cosìcomeanchealcuni
pannelli della carrozzeria, determinando
un peso complessivo di 1340kg.
MOTORI E PRESTAZIONI
Una delle motorizzazioni importa-
te dalla precedente versione è il
2.2L L4 DOHC. Quattro cilindri, se-
dici valvole, montato longitudinal-
mente, doppio albero a camme con
una cilindrata di tutto rispetto, col-
locato sempre prima dell'asse del-
le ruote.
PIACERE, SONO DOC!
No, non è un errore: non ho dimen-
ticato la H! IL DOHC deriva da
quello usato nella Nodachi, con
delle modifiche, anche molto con-
sistenti, che l'hanno cambiato
senza, tuttavia, stravolgere il pro-
getto originale! Quest’ultimo era
infatti aspirato, come tutti i motori
dell'epoca. Il DOHC in questione,
invece, utilizza un intercooler e un
turbo con filtro dell'aria apposita-
mente costruito su misura e con
materiali scelti apposta per otti-
mizzare la fase di aspirazione.
LA TRAZIONE VALE PER TUTTI!
Come la legge, anche la trazione è
uguale per tutti... i motori scelti. Il
motore è montato frontalmente,
mentre la trazione è posteriore
sfruttando quindi un albero di tra-
smissione che trasferisce la tra-
zione e la potenza erogata dal mo-
tore alle ruote posteriori.
I NUMERI DEL DOHC
Il DOHC utilizzato ha quattro cilin-
dri, sedici valvole anche se dispo-
nibile con diverse cilindrate: si
parte dal 1.2L che eroga 90cv, per
passare poi al 1.6L con 145 cv e
l'appetitoso 2.2L Turbo, disponibi-
le benzina o diesel, cambio auto-
matico o manuale, con un numero
Tre snapshot, tratti dal modello di Lorenzo Caddeo, della Enteles Nodachi 2014 non renderizzata; le immagini restituiscono
subito la pulizia del disegno piacevolmente retrò
26. 2626
AUTOM
Hydrogen propelled double Wankel engine
Ecco come Daniele S., autore di questo modello, descrive la sua creazione:
“In un futuro prossimo, quando i combustibili fossili non saranno più disponibili ma la propulsione dei
veicoli sarà ancora legata ai motori a combustione interna, questo propulsione ad idrogeno basato sul mo-
tore Wankel potrebbe rappresentare una valida soluzione. Questo progetto prevede due motori ciascuno
dei quali è a doppio rotore che adoperano come combustibile l’idrogeno più efficiente ed ecologico. Gli
iniettori sono stati ubicati in modo da mantenere l’idrogeno ad alta pressione ed evitare che potesse bru-
ciare prima di raggiungere la camera di combustione. L'olio lubrificante è, invece, iniettato direttamente
nel collettore di aspirazione e il suoi effetto inquinante può essere eliminato tramite un convertitore cata-
litico. I collettori di aspirazione e scarico sono stati pensati per essere seguiti da due turbocompressori in
modo da migliorare l'efficienza del motore.”. (Traduzione ed adattamento dal testo originale in inglese).
Per visualizzare in anteprima 3D dinamica il modello e fare il download utilizzate questo indirizzo:
https://3dwarehouse.sketchup.com/model.html?id=b54a18883bd8134ad66d6c39dbee7fc9
27. 2727
MOTIVE
di cavalli che resta lo stesso:
220CV a 6000 giri al minuto (rpm).
IL NUOVO MOTORE DELLA ENTELES
La Nodachi è una vettura rivolu-
zionaria in quanto non si ferma a
queste motorizzazioni interessanti
ma comunque classiche. Infatti è il
primissimo modello a montare il
rivoluzionario OHV (valvole in te-
sta) V6 Tsubasa, progettato diret-
tamente da me e che, rispetto al
V8 usato nella Nodachi nordame-
ricana degli anni Novanta, è più
grande (3.2L).
I NUMERI DEL V6 TSUBASA
Il nome Tsubasa, in giapponese,
significa ali e il V6 vuole esprime-
re proprio questo senso di libertà.
Per migliorare il regime, è stato
adottato un doppio albero a cam-
me che viene integrato, negli alle-
stimenti più onerosi, da un doppio
turbo. Il V6 Tsubasa è superiore al
DOHC, dal momento che richiede
una manutenzione minima nono-
stante l’elevata potenza erogata, a
fronte solo di una cilindrata mag-
giore.
SPIEGARE LE ALI
Il 3.2L V6, disponibile anche con
cilindrata ridotta (2.4L), ha una
buona risposta e da all’utente la
sensazione di essere costante-
mente in movimento anche da fer-
mo, col motore al minimo. Il 3.2L
V6 è consacrato alla guida sporti-
va, con 345 cavalli erogati a
7600rpm. Il 2.4L, fratello minore,
eroga "solo", si fa per dire, 280 ca-
valli a 5500 rpm.
PER I VERI SPORTIVI PERÒ…
Siamo arrivati al motore che farà
discutere i lettori... una scelta par-
ticolare che mette a confronto tan-
ti pro e contro.
WANKEL KINESIS
Per l’appunto il motore più appeti-
toso in assoluto della Nodachi è un
quattro rotori Wankel Kinesis, mi-
gliorato nella lega con cui è co-
struito il rotore e nell'efficienza
dello statore stesso. La dimensio-
ne del motore è di appena 3.1L, una
cilindrata contenuta. Grazie ai di-
versi accorgimenti adottati nella
scelta delle leghe per i vari compo-
nenti del Wankel, la Nodachi inau-
gura così uno dei motori più bilan-
ciati e potenti. I cavalli erogati sal-
gono così a 500 a 9000rpm, un nu-
mero di giri alto per essere un
Wankel: per questo dobbiamo però rin-
graziare l'adozione di quattro rotori.
CONSUMI LIMITATI
Il peso della Nodachi con il
Wankel si riduce e le vibrazioni
inoltre vengono pressoché annul-
late, dal momento che le parti in
movimento sono poche. L'adozio-
ne di un sistema refrigerante inol-
tre fa sì che le escursioni termiche
subite dai componenti del motore
(il rotore in primis) siano più mor-
bide possibili.
SVANTAGGI RIDOTTI
L'unico svantaggio del Wankel re-
sta l'emissione di CO2, mentre l'e-
missione di ossidi di azoto è molto
limitata. Nonostante ciò, è stato
dimostrato che è inutile utilizzare
carburante con additivi su un
Wankel, visto che è refrattario alla
detonazione. Al giorno d'oggi, le
benzine usano additivi per aumen-
tare il N.O. ma è stato dimostrato
che un Wankel con additivi che
vanno da 50 a 100 eroga sempre la
stessa potenza.
ACCORGIMENTI
Affermare che il Wankel è più in-
quinante di altri motori è una frase
fatta. Il Wankel della NSU Ro80 lo
era sicuramente. Il Wankel Kinesis
della Nodachi sicuramente molto
meno. La marmitta catalitica adot-
tata, infatti, brucia gli idrocarburi
incombusti e, grazie alle tempera-
ture di combustione più basse, ri-
duce l'emissione di ossidi di azoto,
estremamente inquinanti.
SORPRESA IDROGENATA
Sulla Warehouse, ho scovato il
progetto di un ragazzo (Daniele S.
N.d.R.) che ha creato un propulso-
re Wankel quadri rotore a idroge-
no. Cosìhodecisodi sponsorizzarlo sul-
la Nodachi che sarà presto disponibile
con la versione Tipo Idrogeno.
CONCLUSIONI
La Nodachi è frutto di un progetto
su cui ho speso molto tempo e che
ha richiesto un enorme impegno.
Anche l’allestimento motoristico è
stato minuziosamente curato, caso
per caso. Analogamente è stata
considerata e trattata la distribu-
zione dello spazio. Spero che il
progetto vi sia piaciuto! Fatemi
sapere cosa ne pensate!
La Nodachi non è un'auto che
guarda al passato. Come il dio ro-
mano Giano guarda al passato e al
futuro, cercando di accontentare
entrambe le parti.
29. 2929
BASI PER IL DISEGNO E LA PROGETTAZIONE
D
opo aver parlato di coge-
nerazione, sembra dove-
roso rivolgere lo sguar-
do ai generatori elettrici
azionati dalle turbine a gas, pro-
prio come quelli installati nella
nuova centrale elettrica imolese
della Hera. Questa centrale appar-
tiene, per definizione, alla catego-
ria delle centrali termoelettriche a
ciclo combinato grazie alla presen-
za dei due gruppi turbogas della
Turbomach, che ha allestito le uni-
tà di generazione elettrica con tur-
bine Rolls-Royce (mod. RB 211-T)
opportunamente collegate a degli
alternatori da 15kV, 30MWe pro-
dotti dalla Brush. Questi gruppi
turbogas sono dei propulsori ascri-
vibili alla famiglia dei motori a
combustione interna. Essi sono
impiegati per trasformare l'ener-
gia chimica del metano in energia
meccanica che si rende disponibi-
le, sotto forma di potenza, al suo
albero motore e può essere impie-
gata in svariati campi come la lo-
comozione e l’azionamento di: ae-
rei, treni, navi, ge-
neratori elettrici,
veicoli industriali
di grandi dimen-
sioni, veicoli mili-
tari, autoveicoli, ecc. Passiamo
adesso a distinguere gli elementi
basilari costituenti un gruppo tur-
bogas:
il compressore radiale, calettato
sullo stesso albero della turbi-
na;
la camera di combustione si-
tuata tra il compressore radiale
e la turbina;
la turbina.
Ogni insieme formato da compres-
sore, turbina e albero costituisce
uno spool. Un gruppo turbogas, per
sommi capi, funziona in questo
modo: il compressore aspira l'aria
esterna, la comprime e la immette
nella camera di combustione ove
viene miscelata col combustibile.
L’ossidazione di quest’ultimo de-
termina un aumento dell'entalpia,
ossia della corrente gassosa, che
continua la sua corsa passando
attraverso gli stadi della turbina
cedendogli quell’energia generata
dalla sua espansione. Il ciclo di
Brayton descrive il funzionamento
ideale delle turbine a gas in cui
l’aria è compressa isoentropica-
mente; la combustione avviene a
pressione costante e l’espansione
nella turbina, generata anch’essa
IV ed ultima puntata
di Salvio Giglio
La cogenerazione con i gruppi turbogas
Non a caso gli impianti che, ottimizzandolo, sfruttano
il recupero di calore sono definiti impianti combinati,
dal momento che abbinano il ciclo Brayton-Joule del
turbogas con quello Rankine della turbina a vapore.
Fig. 1, spaccato di un tipico gruppo turbogas aeronautico (General Electric J85). 1) stadi del compressore; 2) camere di
combustione e albero motore; 3) i due stadi di turbina. (Foto Wikipedia)
30. 3030
BASI PER IL DISEGNO
Diagramma 1,confronto sul piano T-S tra un ciclo Brayton ideale (linea conti-
nua) e reale (linea tratteggiata). C: Compressore - T: Turbina - B: Camera di
combustione.
Diagramma 2,rappresentazione sul piano T-S tra un ciclo Rankine ad alta e bassa
pressione (compressioni ed espansioni non isoentropiche).
31. 3131
isoentropicamente, giunge fino
alla pressione di aspirazione. Nel
ciclo reale accade invece che:
la compressione non è isoentro-
pica, poiché è necessario un
maggiore lavoro di compressio-
ne per ottenere la stessa pres-
sione di uscita;
la stessa espansione non è
isoentropica dal momento che
c’è minore lavoro di espansione
disponibile a parità di pressio-
ne di uscita;
le perdite di carico in camera di
combustione riducono notevol-
mente il salto di pressione di-
sponibile per l’espansione e
quindi anche il lavoro utile.
In ogni caso, valgono le considera-
zioni fatte per qualsiasi altra mac-
china termica, in cui un'alta tem-
peratura di combustione produce
un alto rendimento, come dimo-
strato dal ciclo ideale di Carnot.
Ricorderete, infatti, che esso dimo-
stra che il rendimento sarà elevato
quanto maggiore sarà la differenza
tra le temperature massima e mi-
nima del ciclo stesso. Il limite è
legato alla tecnologia dei materiali
che costituiscono la macchina
cioè alla loro capacità di resistere
sia al creep, lo scorrimento viscoso
della corrente gassosa ad alta tem-
peratura, sia alle elevatissime sol-
lecitazioni meccaniche a cui sono
sottoposte. Oggi, di conseguenza,
la ricerca è tutta concentrata verso
lo sviluppo di nuove tecniche per
migliorare il raffreddamento dei
componenti dei gruppi turbogas,
come ad esempio le palette della
turbina che sono tra quelli più sol-
lecitati, per consentire loro di resi-
stere in regime continuo a tempe-
rature superiori ai 1300 °C. Nel ca-
so delle nostre turbine di Imola,
viene anche recuperato il calore
allo scarico, altrimenti disperso
inutilmente nell’ambiente, attra-
verso dei rigeneratori (scambiatori
di calore in grado di trasferire il
calore dei gas di scarico all’aria
compressa) prima della combu-
stione. Nella configurazione del
ciclo combinato della centrale, la
caldaia a recupero trasferisce il
calore ad un sistema che alimenta
poi una turbina a vapore. Inoltre,
trattandosi di un sistema di coge-
nerazione, il calore recuperato ser-
ve per produrre anche l’acqua cal-
da. Non a caso gli impianti che,
ottimizzandolo, sfruttano questo
recupero di calore sono definiti
impianti combinati, dal momento
che abbinano il ciclo Brayton-
Joule del turbogas con quello Ran-
kine della turbina a vapore.
Nascita delle applicazioni indu-
striali dei gruppi turbogas
L’idea di un progetto per uso indu-
striale di una turbina a gas comin-
ciò a crescere subito dopo la se-
conda guerra mondiale e coinvolse
numerose case costruttrici, euro-
pee, statunitensi ed asiatiche, già
produttrici di turbine a vapore per
applicazioni industriali: Brown
Boveri, Sulzer, General Electric,
Westinghouse, Mitsubishi, IHI,
ecc… I progettisti dell’epoca, che
avevano lavorato negli ultimi anni
prevalentemente per l’industria
bellica, si resero subito conto che
la turbina a gas per uso industria-
le, collocata ora in impianti fissi,
doveva avere requisiti molto diver-
si da quelli per le applicazioni per
uso militare. Anzitutto, dato l’as-
setto economico dell’immediato
dopoguerra, rispetto ad un’applica-
zione militare una macchina indu-
striale doveva costare di meno e
durare molto molto di più! Il primo
problema fu risolto riducendo le
dimensioni frontali della macchi-
na, anche se questo avrebbe com-
portato, tuttavia, una riduzione
della portata di fluido evolvente.
Per compensare questa perdita, si
decise così di ottimizzare il lavoro
utile per unità di massa di fluido
(Lur = Δhur) diminuendo i valori
del rapporto di compressione. Do-
po le primissime esperienze, la
nuova tecnologia cominciò a cre-
scere e, nel corso degli anni, i pro-
gettisti si resero conto che, anche
se si operava con rapporti di com-
pressione non molto elevati, si
realizzavano comunque delle tem-
perature allo scarico più alte. Da
qui il passo verso la nascita degli
impianti combinati fu davvero
molto breve! Infatti, l’elevata tem-
peratura dei gas di scarico, aspetto
inizialmente deleterio dei gruppi
turbogas industriali, diventava ora
per loro un vero e proprio punto di
forza, poiché garantiva ottime pre-
stazioni in combinazione con tur-
bine a vapore. La durata e l’affida-
bilità delle turbine industriali furo-
no risolte semplicemente aumen-
tando il dimensionamento degli
apparati rispetto alle applicazioni
militari ed aeronautiche. In defini-
tiva, una macchina industriale è
molto meno sollecitata termica-
mente e meccanicamente perché
deve ruotare molto di meno e, inol-
tre, ha maggiore spazio a disposi-
zione rispetto a quelle di altri cam-
pi di applicazione. Oggi come allo-
ra, i progettisti che si occupano di
questo tipo di generatori hanno
una maggiore libertà d’azione per
quanto riguarda alcuni parametri
progettuali correlati al posiziona-
mento e alla dimensione della ca-
mera di combustione. Questo com-
ponente dell’impianto, infatti,
spesso è unico per ogni applica-
zione e può essere disposto anche
verticalmente. In virtù delle loro
particolari caratteristiche, le ca-
mere di combustione per apparati
industriali possono impiegare an-
che combustibili di minor pregio
rispetto a quelli utilizzati nei tur-
bogas aeronautici. Per migliorare
poi, sensibilmente, il livello del
rendimento dell’apparato, conside-
rando i valori di temperatura che
lo caratterizzano, si ricorse alla
tecnica della rigenerazione dei gas
di scarico, oggi connotazione fon-
damentale di questi gruppi. Da po-
chi anni, vista la grande affidabili-
tà raggiunta dalle turbine a gas
E LA PROGETTAZIONE
32. 3232
BASI PER IL DISEGNO
TAV. 1. Tipologie principali di impianti turbogas a ciclo combinato
33. 3333
E LA PROGETTAZIONE
aeronautiche, alcuni costruttori
hanno allestito speciali gruppi tur-
bogas industriali modificando im-
pianti aeronautici in cui l’ugello di
scarico non è presente ed è sosti-
tuito da un’ulteriore turbina di po-
tenza che ha lo scopo di azionare
l’utilizzatore: questo è proprio il
caso dei gruppi Turbomach instal-
lati dalla HERA ad Imola. Questi
apparati innovativi trovano impie-
go in tutti quei casi in cui il valore
del rendimento dell’impianto as-
sume un peso rilevante. Le dimen-
sioni delle turbine industriali par-
tono da impianti mobili trasporta-
bili su camion sino ad apparati di
elevata complessità, del peso di
oltre 400 tonnellate, installati in
ambito navale ed industriale. Le
turbine di potenza di queste gran-
di machine ruotano tra i 3000 ed i
3600 giri/min., a seconda della fre-
quenza elettrica della rete da ali-
mentare ed evitando così la neces-
sità di adottare un riduttore. I fat-
tori che incidono notevolmente
sulla scelta di una turbina a gas a
ciclo semplice rispetto ad un grup-
po turbogas combinato sono:
il costo di investimento inizia-
le molto più contenuto;
il minor tempo di costruzione
degli impianti che va da poche
settimane ad alcuni mesi per il
ciclo semplice, contro gli anni
di quello combinato;
la maggiore velocità nell’ac-
censione e spegnimento, che
richiede solo pochi minuti e
che consente, quindi, di far
fronte a picchi di richiesta re-
pentini.
Tipologie impiantistiche delle cen-
trali turbogas combinate
Per capire meglio il funzionamen-
to di una centrale a ciclo combina-
to, proviamo a scomporla nei suoi
elementi più semplici: una centra-
le a gas e una centrale termoelet-
trica tradizionale. Delle centrali a
gas a ciclo semplice già sappiamo
che, nella sezione di "scarico" del
calore verso l'esterno, i prodotti
della combustione emessi hanno
ancora un’elevata aliquota termica
e sono, quindi, potenzialmente e
ulteriormente sfruttabili. Delle
centrali convenzionali termoelet-
triche ricorderemo, sicuramente,
che esse sfruttano una sorgente di
calore sufficientemente elevata
per creare del vapore ad alta pres-
sione per azionare una turbina.
Nella nostra centrale a ciclo com-
binato, avremo che i gas di scarico,
emessi dal ciclo Joule dopo essere
passati nella turbina a gas ed aver
prodotto la quantità di lavoro mec-
canico richiesto, finiscono all'in-
terno di uno scambiatore di calore
per essere riutilizzati nella fase di
riscaldamento, evaporazione dell'acqua
edespansionedelvaporeall'internodella
turbinadelcicloRankine. La principa-
le connotazione del ciclo combi-
nato sta proprio in questa differen-
za di temperature caratteristiche
tra i due cicli termodinamici. Que-
sti impianti vengono anche defini-
ti unfired, per la presenza di una
caldaia a recupero senza bruciato-
ri ausiliari. Quando invece i gas di
scarico della turbina sono usati
come comburente nei bruciatori
della caldaia, gli impianti vengono
definiti fired. Anche gli impianti
turbogas combinati hanno delle
tipologie costruttive che possono
essere così riassunti:
A. impianto combinato a recupero
semplice, in cui tutta la potenza
elettrica è generata dal lato gas, la
quantità di vapore prodotto è de-
terminata direttamente dall’uten-
za e la combustione avviene in
eccesso d’aria. La potenza termica
disponibile è totalmente legata
alla potenza elettrica; parzializ-
zando il motore, si riducono en-
trambi i flussi di energia in uscita.
B. Impianto combinato con turbina
a vapore a contropressione, in cui
la generazione elettrica avviene
sia sul lato gas che quello vapore
con pressioni comprese tra i 40 e i
70 bar e temperature oscillanti tra
i 450 e i 500 °C.
C. Impianto combinato con turbina
a vapore a condensazione: in que-
sto impianto avviene una produ-
zione in eccesso di vapore che vie-
ne parzialmente utilizzato per ali-
mentare una seconda turbina a
bassa pressione; a valle delle due
turbine, un condensatore recupera
il vapore e lo immette in una torre
di raffreddamento.
D. Impianto combinato con turbina
a vapore e iniezione di vapore: in
questo caso il vapore in uscita dal-
la turbina prosegue verso la came-
ra di combustione per fornire un
ulteriore apporto calorico.
Tra i tanti vantaggi di questo tipo
di tecnologia prevale il minor con-
sumo di combustibile fossile a pa-
rità di energia prodotta: questo
perché solo nella fase di riscalda-
mento del ciclo a gas avviene una
combustione di gas naturale (o
altri combustibili); la fase di eva-
porazione nel ciclo Rankine è ori-
ginata dal recupero del calore di-
sponibile nei gas di scarico della
centrale a gas. In questo modo, con
una minor quantità di combustibi-
le, il rendimento dell'impianto au-
menta se consideriamo il rapporto
tra lavoro ottenuto e energia con-
sumata (sotto forma di combusti-
bile). Per una centrale termoelet-
trica tradizionale, infatti, il rendi-
mento oscilla intorno a valori del
40% mentre in una moderna a ci-
clo combinato il rendimento supe-
ra sempre il 50%, con punte del
60%.
35. 3535
CINEMA E ANIMAZIONE
Tartarughe Ninja
I
l prossimo 18 settembre arriva
nei cinema italiani, dopo il
debutto USA dell'8 agosto, il
reboot live-action Tartarughe
Ninja, ispirato ai personaggi delle
Tartarughe Ninja creati da Peter
Laird e Kevin Eastman, che riporta
i quattro eroi mutanti sul grande
schermo a 30 anni di distanza dal-
la pubblicazione del primo fumet-
to. Si tratta del quarto film live-
action, dopo la trilogia anni '90 e
il film d'animazione in CG TMNT
diretto nel 2007 da Kevin Munroe,
dedicato alle celebri tartarughe.
Esso si pone come una sorta di re-
make del primo film, Tartarughe
Ninja alla riscossa del 1990, mante-
nendo, tra l'altro, lo stesso piacevo-
le look dark. Il film, girato tra New
York e la California, mescola sa-
pientemente riprese live e CGI 3D
ed è stato diretto da Jonathan Lie-
besman, già regista de "La Furia
dei Titani", che, con l'aiuto di An-
dré Nemec, ha curato anche la sce-
neggiatura. Il film viene ripreso
con la tecnica della motion captu-
re, mentre gli effetti speciali del
film sono curati dalla Industrial
Light & Magic; è il primo film sulle
Tartarughe Ninja ad uscire in 3D.
Le "turtles" realizzate, come abbia-
mo detto, in CG e motion-capture
sono interpretate da Alan Ritchson
(Raffaello), Pete Ploszek (Leonardo), Jere-
my Howard (Donatello) e Noel Fisher
(Michelangelo) mentre il veterano Wil-
liam Fichtner è la nemesi Shred-
der. Il cast include anche Megan
Fox nei panni della giornalista
April O'Neil, Will Arnett in quelli
del cameraman Vernon Fenwick e
Whoopi Goldberg che, invece, sarà
Bernadette Thompson, personag-
gio che, già dal nome, ricorda una
versione al femminile di Burne
Thompson, il boss del canale tele-
visivo per cui lavorava April nella
serie tv d'animazione anni '80.
Questo film è stato concepito per
accontentare una platea trasversa-
le, per età e gusti, e il lavoro in CG e
motion-capture sembra abbia dato
i suoi buoni frutti nel rendere più
"muscoloso" il look delle Tartaru-
ghe che appaiono così “massicce”
e meno cartoonizzate rispetto ai
live-action precedenti. La buona
notizia per i fan italiani delle tarta-
rughe è che non dovranno aspetta-
re l'uscita a settembre per scoprire
i segreti della realizzazione dei
loro eroi: la Paramount, infatti, do-
po anche il grandissimo successo
negli States, ha reso disponibile
una nuova featurette, sottotitolata
in italiano, dal titolo Sul set con le
tartarughe. Qui sia il regista che il
cast ci spiegano come sia stata
utilizzata la motion capture, una
tecnica usata negli effetti speciali
di molti film per riprodurre movi-
menti realistici: in questo caso i
quattro protagonisti indossavano
delle tute, comprensive di gusci,
ricoperte da alcuni marcatori. In
questo modo i computer possono
creare un'immagine stilizzata
dell'attore riproducendo digital-
mente i suoi movimenti che ven-
gono "catturati" attraverso qualche
decina di telecamere attorno a lui.
Queste ultime mandano le coordi-
nate dei marcatori ai computer
creando così un'immagine virtuale
che riproduce i movimenti dell'at-
tore. L'illustratore Kelton Cram ha
reso disponibili anche alcuni dei
suoi primi lavori per il film e, in
un'intervista al sito CBM, ha spie-
gato: "Il processo è stato molto
pensato e ci sono voluti circa 6
mesi. Ho avuto la fortuna di lavora-
re con Liebesman molto presto e di
aiutare a progettare le Tartarughe
in 2D. Una volta che sono state ap-
provate le sagome di base e le idee,
le abbiamo rapidamente trasferite
in 3D, dove abbiamo scolpito e ri-
scolpito le diverse tartarughe più
volte. A Liebesman è piaciuto mol-
to lavorare sul software ZBrush
con gli artisti e modificare a piaci-
mento l'anatomia. Alla fine attra-
verso questo processo è riuscito a
realizzare esattamente quello che
voleva". Non a caso ZBrush è un
programma di grafica computeriz-
zata che combina modellazione,
texturizzazione e painting in 3D e
2.5D ed è usato come strumento di
scultura digitale per creare modelli
ad alta risoluzione (fino a milioni
di poligoni e più, teoricamente illi-
mitati) da usare in film, giochi e
animazioni. È usato da varie com-
pagnie, tra cui proprio la Industrial
Light & Magic che ha curato gli
effetti speciali del film. ZBrush usa
livelli dinamici di altissima risolu-
zione per permettere agli scultori
cambiamenti globali o locali ai
di Nunzia Nullo
L'oscurità si è stabilita a New York con l'arrivo di Shredder e il suo
malvagio Foot Clan. Il male vuole avere il potere su tutto, dai poli-
tici ai poliziotti. Il futuro si prospetta davvero brutto fino a quando
non arrivano quattro fratelli emarginati, Donatello, Raffaello, Leo-
nardo e Michelangelo, che abitano nelle fogne e scoprono il loro
destino come Ninja Turtles. Le tartarughe dovranno lavorare con
la giornalista April e il suo fantastico cameraman Vern Fenwick per
salvare la città dal piano diabolico di Shredder.
37. 3737
propri modelli. E' molto conosciuto
per la facilità nella resa di dettagli
a livello medio/alto, che vengono
tradizionalmente resi con le bump
map. La mesh dettagliata che ne
risulta può essere esportata come
displacement o normal map da
usare nella versione low poly dello
stesso modello. Una volta comple-
tato, però, il modello può essere
anche convertito in background,
diventando così un’immagine 2.5D.
Questo termine, utilizzato nel ger-
go degli sviluppatori di videoga-
mes, fa riferimento a quelle tecni-
che di rappresentazione degli
sfondi realizzati in 2D ma che sul-
la scena appaiono tridimensionali.
Con questa caratteristica gli utenti
possono creare scene estrema-
mente complicate senza appesan-
tire la resa globale del proprio pro-
cessore.
CINEMA E ANIMAZIONE
Negli ultimi due anni, all'interno del santuario ad alta tecnologia della Industrial Light and Magic, Pablo Helman, l'uomo che ha
costruito una foresta vergine virtuale per l'ultimo film di "Indiana Jones" ed ha realizzato alieni alti 50 metri per "La guerra dei
mondi", ha affrontato un nuovo compito ancora più difficile: la creazione di una versione digitale delle amate Tartarughe Ninja
che interagiscono con realismo estremo con Megan Fox sullo schermo. In queste immagini due momenti di una sessione di
motion capture per Ninja Turtles
38. 3838
L
a capacità di esprimere
un’estetica propria, ves-
sillo di un originale modo
di gestire forme, strutture
e volumi, fondato su di un perso-
nale pensiero della città e dell’abi-
tare, non è una prerogativa degli
architetti. Pensate a quanta anar-
chia c’è nella figura di Pier Luigi
Nervi, ingegnere e strutturista… Un
esponente, insomma, di quella ca-
tegoria di progettisti che operano
sulle strutture di edifici immagi-
nati da “altri”, gli eterni rivali: gli
architetti! Al di là della battuta, in
questa puntata mi sono sentito in
dovere di parlare di un ingegnere,
dal momento che a questa figura
professionale non viene quasi mai
riconosciuto un senso estetico,
come se quei durissimi studi uni-
versitari che affrontano per la loro
formazione dovessero cancellare
qualunque anelito estetico e for-
male. Nervi dimostra quanto siano
errate queste considerazioni con le
sue straordinarie trame strutturali
che diventano architetture affasci-
nanti ed ardite. Se osservate qual-
che particolare strutturale di un’o-
pera di Nervi, vi trovate per un
istante innanzi alla stessa conce-
zione progettuale di certi edifici
gotici in cui forma e struttura di-
ventano un tutt’uno: travi e pilastri
si combinano con elementi agget-
tanti e superfici rientranti in un
gioco continuo di sbalzi e chiaro-
scuri. Grande architettura quella di
Nervi che apriva la strada alle
nuove tecnologie edili dell’epoca
in cui il cemento armato veniva
utilizzato non più solo come mate-
riale strutturale ma era chiamato a
partecipare all’armonia della com-
posizione architettonica. Pier Lui-
gi Nervi nasce a Sondrio, il 21 giu-
gno 1891 da genitori liguri. Il padre
era un direttore postale e questa
attività costringe la famiglia Nervi
a cambiare più volte residenza.
Luigi si iscrive alla facoltà di Inge-
gneria dell'Università di Bologna,
ove si laurea nel 1913. Appena ven-
tiduenne, comincia la sua forma-
zione professionale presso l'ufficio
tecnico della Società per Costru-
zioni Cementizie a Bo-
logna ove apprenderà
la risoluzione delle
principali problemati-
che strutturali. La pri-
ma guerra mondiale lo
vede in servizio nel
Genio militare. Nel
1923, in società con
Nebbiosi, fonda a Ro-
ma la sua prima im-
presa, la “Società per
costruzioni Ing. Nervi
e Nebbiosi” che, però,
nel 1932 divenne Nervi
e Bartoli. Nel 1924, spo-
sa Irene Calosi, da cui
avrà quattro figli: tre lo
affiancheranno nel lavoro,
mentre il quarto, Carlo Ner-
vi, sarà oncologo in Roma.
Nel 1920, vede la luce
la prima struttura rea-
lizzata da lui: il Ponte
sul fiume Cecina nel comune di
Pomarance (PI). Quattro anni dopo,
a Napoli, realizza insieme all'inge-
gner cav. Gioacchino Luigi Melluc-
ci, nella centralissima Via Toledo,
di fianco all’edificio della stazione
di valle della Funicolare Centrale,
il Teatro Augusteo inaugurato nel
1929. Nel 1930, vince il concorso
per il progetto di un nuovo stadio
municipale per Firenze Campo di
Marte (attualmente Stadio Artemio
Franchi): per la prima volta un suo
lavoro attira l’attenzione della cri-
tica a livello internazionale. Que-
sto grazie alla raffinatezza struttu-
rale delle particolari scale elicoi-
dali e la famosa Torre Maratona,
senza contare l'impatto innovativo
e coraggioso di mettere le strutture
totalmente a vista. Fu particolar-
mente lodata anche l'attenzione
prestata per il contenimento dei
costi di costruzione. Nervi si dedi-
ca proficuamente anche alla ricer-
ca di nuove tipologie costruttive.
Frutto di questi studi e il progetto
per un albergo galleggiante, realiz-
zato a quattro mani con l'architet-
to Rubens Magnani ed esposto a
Firenze nel 1932. In questo proget-
to (non realizzato), Nervi e Magna-
ni pensano ad una soluzione origi-
nale che possa portare le vacanze,
a prezzo contenuto in città marine
o lacustri, a quelle persone che
non hanno grandi risorse econo-
miche. L’edificio galleggiante, da
ancorare opportunamente al largo,
DESIGNER
Pier Luigi Nervi
di Salvio Giglio
39. 3939
R’s STORY
Esecutivo della pensilina per lo Stadio comunale "Artemio Franchi" di Firenze Campo di Marte , 1930
P. L. Nervi, G. L. Mellucci Cinema-Teatro Augusteo durante i lavori di costruzione, Napoli, 1924-1929.
40. 4040
DESIGNER
P. L. Nervi ed associati, Grattacielo Pirelli, Milano, 1962Bus-terminal al George Washington Bridge (New York,
1962)
Olimpiadi di Roma 1960, Palazzo dello Sport
Hangar subterraneo di Pantelleria, 1935
Palazzo del Lavoro, Torino 1958 -’61
P. L. Nervi, R. Magnani Progetto di albergo galleggiante
1932
P. L. Nervi, E. Sottsass senior, Salone Torino Esposizioni,
1948
41. 4141
R’s STORY
dispone di 16 camere e relativi ser-
vizi per la ristorazione e la balnea-
zione. Nervi si occupa anche di
aviorimesse per conto della Regia
Aeronautica italiana e lo fa por-
tando il cemento armato come
materiale di costruzione in sosti-
tuzione del legno (costoso e facil-
mente infiammabile) e del metallo
(costoso ed impiegato per l’indu-
stria bellica). Ancora oggi è possi-
bile ammirare, a Pantelleria, i fa-
mosi hangar in galleria. La proget-
tazione, tra il 1935 e il 1943, di due
dei quattro hangar dell'Idroscalo
di Orbetello, dei due dell'Idroscalo
di Marsala e dei quattro dell'Aero-
porto di Castel Viscardo ad Orvie-
to, rivelerà pienamente il suo
enorme talento e il suo finissimo
intuito nell’applicare soluzioni
innovative, come l’adozione di am-
pie volte di copertura, innervate
da archi incrociati di cemento,
costituenti l'avveniristica ed ele-
gante struttura geodetica. Questa
strategia consentiva di ridurre il
numero dei punti di appoggio ver-
ticali e aumentava notevolmente
le luci interne delle rimesse: ciò
permetteva di ospitare grandi ae-
rei o più aerei di piccole dimensio-
ni, lasciando ampi spazi per la loro
movimentazione e manutenzione.
La rappresaglia nazifascista du-
rante la ritirata distrusse le co-
struzioni di Orvieto ed Orbetello!
In queste realizzazioni seguì in un
primo momento la tecnica tradi-
zionale con getto di calcestruzzo
su centine; successivamente fece
realizzare dei conci prefabbricati,
collegati fra loro con getti di ce-
mento nel corso della messa in
opera, riducendo ancor di più i co-
sti di costruzione. In buono stato
di conservazione sono le aviori-
messe siciliane presso l'idroscalo
di Marsala e sull'aeroporto di Pan-
telleria. Queste opere, grazie alla
loro chiarezza compositiva, fanno
di Nervi il simbolo dell'evoluzioni-
smo architettonico italiano in
quanto diventano elemento di
continuità tra il grande passato
artistico del nostro Paese ed il pre-
sente. Questo aspetto dell’architet-
tura di Nervi fu opportunistica-
mente utilizzato dal regime fasci-
sta per propagandare futuristica-
mente il "progresso”. Nonostante i
legami e la formazione orientata
in parte al Razionalismo Italiano,
Nervi, nell’immediato dopoguerra,
decide di fondare a Roma, nel 1945,
assieme a Bruno Zevi, Luigi Picci-
nato, Mario Ridolfi ed altri grandi
nomi, l'Associazione per l'Archi-
tettura Organica. In questo parti-
colare momento storico, in cui il
Paese sentiva forte la voglia di
rialzarsi, Nervi realizza un’opera
molto significativa: il Salone per
Torino Esposizioni, un luogo in cui
la grande industria italiana espo-
neva la sua ultima produzione. in
questo progetto, Nervi impiega e
sperimenta la nuova tecnologia
del ferro-cemento per realizzare la
grande volta a botte trasparente.
Dal 1946 al 1961, è professore inca-
ricato di Tecnica delle costruzioni
e Tecnologie dei materiali della
facoltà di Architettura dell'Univer-
sità La Sapienza di Roma. Tra il
1953 e il 1958, sovraintende alla
realizzazione della sede dell'UNE-
SCO a Parigi e ormai la sua figura
è conosciuta a livello internazio-
nale. Nel 1950, riceve una laurea
Honoris Causa in Architettura a
Buenos Aires; a questa seguiranno
quelle di Edimburgo e Monaco
(1960), Varsavia (1961), Harvard e
Dartmouth College (1962), Praga
(1966), Londra (1969). Nel periodo
compreso tra 1956 e il 1961, è uno
dei progettisti del Grattacielo Pi-
relli a Milano e del complesso di
opere per le Olimpiadi di Roma del
1960. Ancora del 1961 sono il Pa-
lazzo del Lavoro per l'esposizione
Italia 61 a Torino e la progettazio-
ne delle Cartiere Burgo a Mantova.
In ogni caso la sua opera più gran-
de gli viene commissionata da pa-
pa Paolo VI nel 1964: la costruzio-
ne della nuova Aula delle Udienze
Pontificie in Vaticano, tuttora nota
come Aula Nervi. Muore nel 1979 a
Roma all'età di 87 anni.
Aula delle Udienze Pontificie Roma, 1964
43. 4343
INTERVISTA
Antonio Martini
C
hi è Antonio Martini?
Antonio è un sognatore,
al quale il commerciali-
sta continua a ripetere:
“Paghi le imposte come geome-
tra!”. Da bambino volevo fare la
guardia forestale. Da ragazzino,
volevo girare l'Italia in bicicletta,
da solo. Inutile dire che non ho
fatto nessuna delle due cose. Da
grande, desideravo diventare un
buon progettista edile, diverso dai
“risolutori di problemi” amici dei
tecnici comunali, come per tanti
anni è stato in Italia. Mi auguro
che questa “crisi” risolva in parte
questa spregevole usanza. Diven-
tato grande (almeno all'anagrafe) è
caduto sulla mia testa, come su
quella di tutti, il cambiamento
epocale, di portata globale. Qual-
cosa che molti continuano a chia-
mare crisi. Io lo chiamo Cambia-
mento. In questo colossale proces-
so, in ultima analisi, ci si deve
reinventare. Quasi totalmente. So-
no cambiati i lavori, gli strumenti
con i quali eseguirli e le esigenze
della collettività, che comprende
anche noi stessi. In definitiva:
nuove opportunità. Domani? Ve-
dremo.
Quando hai cominciato a progetta-
re? E' passione o lavoro?
Ho iniziato a “progettare” quando
avevo forse 10 anni, vedendo i can-
tieri del papà, muratore, e volendo
emulare quella realtà. Disegnavo
abitazioni con corridoi lunghissi-
mi, dove i bambini avrebbero po-
tuto divertirsi, giocando. Ora è solo
un ingrato lavoro dall'aspetto me-
ramente burocratico. E' invece
passione quando c'è l'occasione di
creare, progettare nel vero senso
della parola. Verbo e creazione. Il
lavoro dei cosiddetti “tecnici”, nel
settore edilizio progettuale, è di-
ventato ormai al 90%, quello di bu-
rocrati che stampano inutili scar-
toffie, senza aver creato assolutamente
nulla. Personalmente, quando mi ca-
pita di dover chiedere una parcella
per aver “prodotto” un documento
di per sé totalmente inutile, ma
reso obbligatorio dalla stoltezza
della politica italiana, mi sento un
parassita, non un tecnico e, certa-
mente, non un progettista. Per
progettare, bisogna prima poter
fare. E l'amministrazione pubblica
italiana vieta la fattibilità di qual-
siasi cosa. Se si prova a chiedere:
Fin dal nostro primo contatto in Community ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte ad una
persona vulcanica di cui non è facile elencare interessi, passioni, idee e con un enorme baga-
glio culturale. Antonio Martini è figlio del Veneto, una stupenda Regione che, animata da tante
virtù morali e bellezze naturali, riesce a forgiare in meglio il carattere delle sue popolazioni. In
questa simpaticissima e piacevolmente lunga chiacchierata, Antonio si racconta e ci affida il
suo accorato sfogo circa le sorti del nostro meraviglioso e trascurato Paese.
di Salvio Giglio
45. 4545
RVISTA
«posso fare questa cosa?». La pri-
ma risposta, automatica, è «no!».
Poi, si inizia a discutere. Difficile
conservare la passione in un simi-
le regime. Ma ci proviamo. Quando
invece c'è la possibilità di proget-
tare un luogo, un edificio, allora c'è
qualcosa di magico. Creare la for-
ma nella propria mente, tradurla
su carta, a beneficio degli altri che
non possono leggerci il pensiero, e
vederla poi iniziare, crescere, ulti-
mare, così come l'avevi solo im-
maginata, divenuta realtà... si, è
qualcosa di magico.
Vivi in una regione meravigliosa-
mente, bella e ricca di architetture
mozzafiato. Quanto ha inciso sulla
tua formazione tutto ciò?
Mi rendo conto di rovinare la poe-
sia che irradia dalla domanda, e
me ne scuso, ma mentirei se millan-
tassi influenze ancestrali dall'ambiente
in cui vivo. La realtà è che, fin dai
tempi della scuola, l'ambiente so-
ciale veneto imponeva “testa bas-
sa e galoppare!”. Tale forma men-
tis non doveva nemmeno essere
esplicata. Si respirava! Quindi, ri-
succhiati dal vortice in continuo
movimento, ognuno seguiva quella
che apparentemente sembrava la
sua strada. Nel mio caso, edilizia,
progettazione, immobiliare. Coniu-
go al passato perché il mondo è
cambiato, sotto gli occhi increduli
di tutti. Ciò non toglie che, fin da
ragazzi, ognuno di noi conoscesse
almeno i beni architettonici prin-
cipali, nel raggio di alcuni chilo-
metri. Mete di gite domenicali, in
pullman prima, in bicicletta poi,
motorino e auto ancora dopo. Que-
sto significa che padovani, e vene-
ti in generale, ciclicamente torna-
no a “fare un salto” in quei luoghi:
con occhi e interessi diversi, a
ogni età. Tali mete erano e sono: le
principali Ville Venete, con i loro
spettacolari giardini visitabili, co-
me Villa Pisani a Strà e Villa Ca-
merini a Piazzola sul Brenta, con il
simbolico labirinto in siepe di bos-
so; la Rotonda del Palladio, e tutte
le altre, disseminate nel territorio.
Cittadine medievali, come Bassa-
no del Grappa, Asolo, Arquà Pe-
trarca. Ambienti naturali come i
Colli Euganei, il Cansiglio e la co-
sta adriatica. Se il contesto ha in
qualche modo influenzato il mio
modo di “vedere” l'ambiente co-
struito, probabilmente lo ha fatto a
livello sottile.
Sul tuo sito sono pubblicate cose
veramente belle ed utili per utenti
ed operatori del settore. Quanto
tempo ci hai messo per allestirlo?
L’ho costruito su WordPress, tecni-
camente sarebbe in effetti un blog.
Credo però che un Blog degno di
tale nome debba comprendere al-
tre cose, che io non ho, almeno per
il momento. Una su tutte: la possi-
bilità per i visitatori di lasciare
commenti. Alcuni mesi fa, provai
ad attivare la funzione ma fui su-
bito bersagliato dallo spam, male
endemico della rete. Accadeva
malgrado le contromisure prese.
Poi, considerando la natura del
sito e l'oggettiva scarsa probabilità
di utenti che lasciassero commen-
ti, ho disattivato l’opzione. Se ser-
vono informazioni sui nostri servi-
zi, prodotti e attività, l'email rima-
ne ad oggi il canale preferenziale.
L'allestimento non è mai finito. La
stesura iniziale ha richiesto un
anno, solo per poter dire «ok, è im-
postato». Da quel momento è di-
ventato un lavoro di aggiornamen-
to praticamente quotidiano. Conti-
nua evoluzione del mondo inter-
net, sotto l'aspetto della grafica,
della tecnica e dei linguaggi, sono
a mio avviso i principali motivi
che richiedono un lavoro quotidia-
no, o settimanale al massimo. La
grafica segue le tendenze, come la
moda nell'abbigliamento. La tecni-
ca evolve per progresso naturale. I
linguaggi riguardano sia l'aspetto
“antropologico” che quello della
scrittura tecnica, come HTML, CSS,
ecc.. Poi, senza ipocrisia, è oppor-
tuno dire che lo scopo ultimo di
ogni sito web è quello di compari-
re tra i primi risultati nei motori di
ricerca, Google prima di tutto. Per
ottenere questo, la prima regola è
che il sito sia sempre messo a
punto, sotto al cofano. Se i “robots”
di Google non vedono attività in
un sito, lo considerano statico,
inerme, morto e, in quanto tale,
probabilmente poco utile come
risposta alle ricerche effettuate
nel motore dagli utenti. Se proprio
non si ha tempo e voglia di creare
un nuovo post, o una nuova pagi-
na, è consigliabile fare almeno
qualche aggiornamento delle pagi-
ne esistenti. Ha quasi lo stesso
valore, perché viene riconosciuta
come “attività” sul sito che, quindi,
è presumibilmente seguìto e, vero-
similmente, contiene informazioni
aggiornate e utili. Ricordiamo che
obiettivo di Google è dare risposte
rapide, precise e coerenti, alle ri-
cerche degli utenti.
Il tuo primo contatto col CAD è
stato in 2 o in 3D?
Il mio primo approccio con il CAD,
è stato senz'altro in 2D: AutoCAD
di Autodesk. Credo fosse la versio-
ne 10 o 11, non ricordo bene. Corre-
va l'anno 1992. Acquistai il mio
primo PC, con tavoletta, per l'uso
del CAD. Per l'apprendimento, de-
vo eterno riconoscimento al mio
caro amico Marco Bragotto (non è
in G+, inutile linkarlo, purtroppo).
Mio compagno di classe all'Istituto
per Geometri e, soprattutto, nelle
infinite partite di ping-pong, con
25-30 partite a sessione, entrò in
uno studio di ingegneria subito
dopo il diploma. Qui, dopo una bre-
ve gavetta al tecnigrafo, fu messo
davanti allo schermo di un PC, a
disegnare in AutoCAD. Entrambi
eravamo appassionati di compu-
ter, già dal Commodore 64. Quindi,
per lui, fu questione di poco tempo
e divenne capo sala disegnatori.
Per darvi un'idea di cosa stiamo
parlando, quello studio di ingegne-
47. 4747
RVISTA
ria ha progettato tutte le nuove
tangenziali di Padova, caselli auto-
stradali, il passante di Mestre, ulti-
mato pochissimi anni fa e di fatto
progettato da questa persona, che
posso annoverare come amico.
Oltre a innumerevoli appalti pro-
gettuali all'estero. Arrivò quindi il
giorno in cui gli chiesi il favore di
insegnarmi i primi rudimenti di
AutoCAD. Lui era già stato segna-
lato e preso, come docente CAD, a
corsi serali finanziati dall'Europa.
Non vi stupirà quindi sapere come
si svolse il mio “corso”, che non
dimenticherò mai. Una sera, dopo
cena, vado a casa sua e mi mette
di fronte al suo pc. Lui, se ne sta
steso a letto, guardando il soffitto
distrattamente, con le mani incro-
ciate sotto la nuca. In quella posi-
zione, inizia: «In alto a sinistra ve-
di scritto DRAW, clicca, compare un
menù, con scritto nell'ordine,
dall'alto...» e mi elenca l'intero me-
nù. Poi continua: «Seleziona LINE.
In basso, sotto l'area del disegno,
c'è il prompt, vedi scritto... e indi-
ca...» e via discorrendo, senza
guardare mai lo schermo. Una se-
ra. Una sola sera e mi aveva inse-
gnato a disegnare in CAD! I rudi-
menti, certo. Da li in poi, è stato un
continuo affinamento. Mi sono
fermato prima dei lisp, che lui pro-
grammava a occhi chiusi. Per me,
era ben oltre il mio interesse. La
parte più difficile è stato compren-
dere il processo di stampa. Asso-
ciare unità, millimetri e dimensio-
ni della stampa effettiva. Come
poteva un ammasso di plastica e
aghi che punzecchiavano... saper
sputare fuori una linea lunga 10
centimetri esatti? Per il 3D, invece,
è stato un apprendimento diretto.
Passione pura. O malattia. Dipen-
de dalla prospettiva. 1993. In Auto-
CAD, licenza LT, realizzo il 3D di
una trifamiliare. I più attenti obiet-
teranno: «ma LT non esegue il 3D».
Non è del tutto corretto. LT non
esegue i solidi e le operazioni boo-
leane ma riconosce lo spazio in 3
dimensioni, con la Z. Così, spo-
stando continuamente l'UCS, ho
fatto il modello tridimensionale
con lo strumento... SHADE... Si, lo
so, è da pazzi. Un triangolo alla
volta, con i punti digitati in senso
orario (o si inverte la normale del-
la faccia) ho fatto quel lavoro che
ora non rifarei nemmeno se paga-
to in gettoni d'oro. 1995. Nella mia
vita entra 3DStudio. Una decina di
tomi, fagocitati d'un fiato, e ho as-
similato i concetti di modelli, ma-
teriali, scena, luci, ombre, anima-
zione, key frame e post produzio-
ne.
Quali programmi di CAD utilizzi
per le progettazioni?
Non mi piace avere software crac-
cati. Quindi, per il disegno 2D e 3D,
uso ancora l'ultima versione ac-
quistata, AutoCAD 2007. Adattata e
personalizzata. Ho creato centi-
naia di blocchi dinamici, raccolti
nelle tavolozze strumenti, accele-
rando di molto il processo grafico.
Quando devo fare 3D, realizzo il
modello in AutoCAD, per la veloci-
tà e la precisione. Poi esporto il
modello in altri software come
SketchUp o Blender. SketchUp è
molto versatile ma non mi piace
particolarmente. Blender consente
di ottenere risultati di ottimo livel-
lo ma lo sto ancora studiando.
Quale software ti piacerebbe ap-
profondire?
Dovrò necessariamente approfon-
dire almeno due software: Blender,
per i render e le animazioni, e un
altro software, ancora da indivi-
duare, per sostituire AutoCAD. Non
voglio più saperne di Autodesk e
della sua politica di vendita e ge-
stione delle licenze, che trovo
spregevole. Liberi di adottare la
politica che preferiscono ma io
prenderò un altro software, quan-
do il mio 2007 diverrà totalmente
incompatibile con la generalità del
mondo CAD.
Qualche aneddoto divertente lega-
to alla tua attività di geometra...
Passiamo alla domanda successi-
va? L'attività professionale di geo-
metra offre ben poche situazioni
divertenti, purtroppo. O forse sono
io, troppo musone. Se me ne sov-
venisse una, prima dell'avvio delle
rotative, te la mando! Come vedi
l'attuale situazione economica ita-
liana? Di cosa ha bisogno il Paese
per risollevarsi realmente? Ma
quando arriva la domanda sui dro-
ni? Mi trascini nel girone della po-
litica. Rispondo come probabil-
mente farebbe qualsiasi italiano.
L'attuale situazione economica dell'Italia
èlastessadelresto d'Europa.I paesi così
detti “emergenti” erano auto che partiva-
noda 0 km/h. Si portano a 60 km/h
e si parla di boom. Facile. Europa e
U.S.A. erano auto a 100 km/h già
da tempo . Cosa mai si può fare,
per andare più veloci, in una scala
da 0 a 100, in termini di velocità? E
del resto, non è nemmeno possibi-
le pensare, di poter andare a 100,
in eterno, senza correzioni. Pre-
messo ciò, cosa serve per ripren-
dere a crescere? Fermo restando
che il mio è il parere del signor
Mario Rossi, rispondo: coraggio e
buon senso. Due cose che manca-
no totalmente alla spregevole
classe politica italiana. Solo loro
possono cambiare le Leggi. Il po-
polo può solo stancarsi, e agire
brevi manu, il giorno in cui non ne
potrà più. A dire il vero, non so se
la politica italiana sia più sprege-
vole o ignominiosamente stupida.
Prima di tutto dovrebbe esserci
totale, e sottolineo TOTALE, tra-
sparenza di come, dove e perché
vengono spesi i denari che i politi-
ci (lo Stato è un'altra cosa) drena-
no dalle tasche degli italiani. Pub-
blicare on-line TUTTI i rivoli. Sono
tanti? Ok, un po’ alla volta si arriva
a pubblicarli tutti. Basta volere. A