Scuola e tempo determinato trib mantova 14.12.2011FocusLegale
Lavoro - Comparto Scuola: contratti a tempo determinato ed illegittimo rinnovo oltre il termine di 36 mesi. La reiterazione dei contratti a tempo determinato del personale docente oltre il termine massimo previsto dalla legge, pur non comportando la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato (esclusa dall'art. 36, d. l.vo n. 165/01), determina il diritto al risarcimento del danno (soggetto a prescrizione quinquennale). Tale risarcimento va liquidato in riferimento all'indennità prevista dall'art. 32, co. 5, lg. 183/10 (Trib. Mantova, sent. n. 268 del 14.12.2011 - fonte: ilcaso.it)
Scuola e tempo determinato trib mantova 14.12.2011FocusLegale
Lavoro - Comparto Scuola: contratti a tempo determinato ed illegittimo rinnovo oltre il termine di 36 mesi. La reiterazione dei contratti a tempo determinato del personale docente oltre il termine massimo previsto dalla legge, pur non comportando la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato (esclusa dall'art. 36, d. l.vo n. 165/01), determina il diritto al risarcimento del danno (soggetto a prescrizione quinquennale). Tale risarcimento va liquidato in riferimento all'indennità prevista dall'art. 32, co. 5, lg. 183/10 (Trib. Mantova, sent. n. 268 del 14.12.2011 - fonte: ilcaso.it)
Cass. civ., sez. lav., sent. n. 2789 del 17.02.2009FocusLegale
Lavoro - "Per <<mobbing>> [...] si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili, che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono pertanto rilevanti i seguenti elementi: a) la molteplicità dei comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche liciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio."
Lavoro - Mobbing e onere della prova: è da escludersi la condotta "mobbizzante" del superiore gerarchico a danno del sottoposto quando la valutazione COMPLESSIVA delle circostanze addotte e accertate sul luogo di lavoro non consenta di individuare il carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo lavoratore. Il Tar Puglia, sede di Bari, (sent. n. 528 del 23.02.2011) ha rigettato la richiesta di un pubblico dipendente, tesa all'accertamento di condotte di mobbing in proprio danno, sull'assunto che il lavoratore non ha adempiuto all'onere probatorio a proprio carico. Inoltre è emerso dagli atti giudiziari chea giustificazione degli addebiti mossi nei confronti della P.A., vi era una ragionevole ed alternativa spiegazione.
59 prevenzione violenza sul personale settore istruzione
01 sentenza urto-di_cavi_2010
1. REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MORGIGNI Antonio – Presidente
Dott. FOTI Giacomo – Consigliere Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere
Dott. MAISANO Giulio - rel. Consigliere Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) M.V., N. ***;
2) R.A., N. ***;
avverso la sentenza n. 926/2006 CORTE APPELLO di LECCE, del 03/10/2008;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/09/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dr. GIULIO
MAISANO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Mazzotta Gabriele, che ha concluso per
il rigetto dei ricorsi con condanna alle spese;
Udito il difensore avv. A R., del Foro di Rieti, che ha concluso per l'accoglimento del
ricorso.
Fatto
Con sentenza del 3 ottobre 2008 la Corte d'Appello di Lecce, per quanto rileva in questa
sede, ha confermato la sentenza del Tribunale di Lecce sezione distaccata di Nardo, in
data 12 dicembre 2005 che, fra l'altro, ha dichiarato R.A. e M.V. colpevoli del reato di cui
agli artt. 41 e 589 c.p., perchè, in concorso di cause indipendenti, cagionavano la morte
del lavoratore Ro.Sa., che rimaneva folgorato a seguito dell'urto di cavi elettrici di media
tensione mentre, manovrando il braccio di una gru tipo Effer, montata su autocarro Fiat
690 scaricava a terra grossi tubi, per colpa e per violazione delle norme sulla prevenzione
da infortuni sul lavoro, e, in particolare del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 2, lett. b)
e D.P.R. n. 164 del 1956, art. 11, il M. in qualità di ingegnere direttore tecnico della
sicurezza e di redattore del Piano Operativo di Sicurezza (POS) non riportando nel
suddetto piano modalità operative e dettagliate misure di prevenzione e protezione a tutela
dei lavoratori in relazione alla presenza nell'area di cantiere di una linea elettrica aerea
interferente con i lavori di scavo, di movimentazione e scarico dei tubi lungo il tracciato del
cantiere, fase di lavoro questa, occasione dell'infortunio mortale, non prevista nel piano
ma necessaria per la realizzazione dell'opera e non vigilando sulle norme di sicurezza
previste dal D.P.R. n. 164 del 1956, art. 11 che vieta l'esecuzione di lavori in prossimità di
linee elettriche aeree a distanza minore di 5 metri a meno che non sia stata realizzata una
adeguata protezione o la linea elettrica sia stata disattivata; il R. in qualità geometra
assistente di cantiere, presente sul cantiere il giorno dell'infortunio, non vigilando
sull'applicazione delle norme previste dall'art. 11 citato e non provvedendo a disporre una
adeguata protezione atta ad evitare accidentali contatti o pericolosi avvicinamenti con il
braccio della gru o comunque a segnalare preventivamente all'ENEL la necessità di
disattivare la linea elettrica.
2. La Corte territoriale ha motivato tale decisione considerando che, dall'istruttoria svolta, è
emerso che il R. ha di fatto svolto le funzioni di preposto al cantiere, per cui incombevano
su di lui gli obblighi derivanti dal D.P.R. n. 164 del 1956, art. 11 e D.Lgs. n. 494 del 1996,
art. 22, mentre aveva dimostrato trascuratezza in riferimento alle specifiche esigenze
antinfortunistiche direttamente rilevanti nell'evento per cui è causa.
Quanto al M. la Corte d'Appello ha considerato che egli, quale direttore tecnico e
responsabile della sicurezza, rivestiva il ruolo di dirigente della azienda specificamente
preposto alla sicurezza dei lavoratori ed era, pertanto, destinatario dei relativi obblighi
antinfortunistici; in particolare, con riferimento al POS, la Corte d'Appello ne ha rilevato
l'assoluta inadeguatezza rispetto alle esigenze di sicurezza che era chiamato a soddisfare;
inoltre è stato escluso che il comportamento della vittima sia stata causa dell'incidente
come preteso dagli imputati.
Avverso tale sentenza propongono ricorso il R. e il M. chiedendone l'annullamento.
Il R. deduce la nullità della sentenza per inosservanza o erronea applicazione della legge
penale ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) con riferimento all'art. 589 c.p. ed al D.P.R. n.
547 del 1955, artt. 4 e D.P.R. n. 164 del 1956, art. 11.
In particolare il ricorrente deduce di non essere stato assistente di cantiere, figura
ricoperta da altro dipendente, e di non avere neanche conosciuto il POS e di non avere
mai ricevuto deleghe o assunto responsabilità in merito alla sicurezza del lavoro, e di
avere raccomandato agli operai di prestare attenzione alla linea elettrica sulla base della
sua esperienza; inoltre il R. ribadisce l'esclusiva responsabilità della vittima nella
determinazione dell'evento, avendo questi posizionato la gru in posto certamente
pericoloso e non idoneo alla completa sicurezza proprio sotto la linea elettrica.
Il M. lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p.,
comma 1, lett. b) con riferimento all'art. 589 c.p. ed al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4,
comma 2 e D.P.R. n. 164 del 1956, art. 11, e difetto di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett.
e).
In particolare il ricorrente deduce che oltre al POS esisteva un Piano di Sicurezza e
Coordinamento (PSC) che integrava il primo costituendo, nell'insieme, un idoneo
strumento di sicurezza essendo specificato il rischio del lavoro ed erano state fornite tutte
le indicazioni necessarie per evitarli, con particolare riferimento al contatto accidentale con
linee elettriche aeree.
Con secondo motivo si lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale
ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) con riferimento all'art. 41, comma secondo c.p. in
relazione all'art. 589 c.p., e difetto di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e).
In particolare si deduce che il nesso di causalità sarebbe stato interrotto dal
comportamento anomalo del lavoratore avventato, disattento e imprudente, soprattutto nel
posizionamento della gru sotto la linea elettrica aerea.
3. Diritto
I ricorsi sono infondati e vanno conseguentemente rigettati.
Quanto alla doglianza del R. va osservato che la Corte territoriale ha congruamente
motivato riguardo alla sua posizione di fatto quale preposto di cantiere, facendo chiaro ed
esauriente richiamo alla oggettività dei fatti, al giornale dei lavori, alle deposizioni dei testi,
ed alle stesse dichiarazioni dell'imputato che ha ammesso di avere avuto ampia delega in
ordine ai lavori di cantiere direttamente dal datore di lavoro.
Al riguardo va sottolineato che, ai fini della prova del ruolo di preposto, o comunque di
supremazia rispetto al lavoratore, non è richiesto un elemento probatorio documentale o
formale, potendo il giudice del merito fondare il proprio convincimento, così come è
avvenuto nella concreta fattispecie, anche su un compendio probatorio costituito da
testimonianze e/o accertamenti fattuali, così come precisato nella giurisprudenza di questa
Corte.
Ed è stato altresì affermato, dalla Suprema Corte, che la qualifica di preposto deve essere
riconosciuta con riferimento alle mansioni effettivamente svolte nell'impresa, a prescindere
da formali qualificazioni giuridiche: "in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il
conferimento della qualifica di preposto deve essere attribuita, più che in base a formali
qualificazioni giuridiche, con riferimento alle mansioni effettivamente svolte nell'impresa;
pertanto, chiunque abbia assunto, in qualsiasi modo, posizione di preminenza rispetto agli
altri lavoratori, così da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da
eseguire, deve essere considerato, per ciò stesso, tenuto a norma del D.P.R. 27 aprile
1955, n. 547, art. 4, all'osservanza ed all'attuazione delle prescritte misure di sicurezza ed
al controllo del loro rispetto da parte dei singoli lavoratori" (per tutte Cass. 19 giugno 2007
n. 35666 Sez. 3A, 7 ottobre 1999, n. 11406); "in tema di prevenzione degli infortuni sul
lavoro chiunque, in qualsiasi modo, abbia assunto posizione di preminenza rispetto ad altri
lavoratori, così da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire,
deve essere considerato automaticamente tenuto, ai sensi del D.P.R. n. 547 del 1955, art.
4 ad attuare le prescritte misure di sicurezza e a disporre e ad esigere che esse siano
rispettate, a nulla rilevando che vi siano altri soggetti contemporaneamente gravati dallo
stesso obbligo per un diverso e autonomo titolo (Sez. 4A, 19 febbraio 1998, n. 3948 e 19
giugno 2007 n. 35666).
Pertanto la lamentela del ricorrente in ordine alla mancanza di una delega formale
riguardo alla sicurezza non è fondata.
Parimente infondato è il richiamo relativo al comportamento del lavoratore che avrebbe
interrotto il nesso causale con l'evento.
Tale motivo di censura, comune al ricorso del M., è infondato in quanto, come affermato
dalla Corte di Cassazione (per tutte Cass. 3 giugno 1999 n. 12115) il comportamento pur
sempre avventato del lavoratore posto in essere mentre è dedito al lavoro affidatogli e
pertanto non esorbitante, può essere invocato come imprevedibile o abnorme solo se il
datore di lavoro ha adempiuto tutti gli obblighi che gli sono imposti in materia di sicurezza
sul lavoro, obblighi che mirano appunto ad evitare l'abnorme, l'imprevedibile e pertanto
che il lavoratore per eseguire il proprio lavoro si avvalga di accorgimenti diversi da quelli
imposti dalla legge o suggeriti dalla migliore ricerca. Nel caso in esame non sussistono
4. dubbi che l'incidente mortale è occorso alla vittima mentre era impegnato nelle mansioni
lavorative affidategli.
Quanto al ricorso del M., detto del secondo motivo relativo al nesso di causalità, con
riferimento al primo motivo va considerato che la sentenza impugnata ha espressamente e
logicamente motivato in relazione all'inidoneità o comunque insufficienza del Piano
Operativo della Sicurezza elencando tutti gli elementi che il piano stresso deve contenere
per svolgere la sua funzione di individuazione e valutazione di tutti gli elementi che
possono influire sulla salute e sicurezza dei lavoratori, anche con riferimento al Piano di
Sicurezza e Coordinamento di cui vengono chiarite le differenze e le funzioni.
In particolare la Corte territoriale ha sottolineato la carenza del POS che non indicava
neppure la linea elettrica aerea che interferiva con la zona di scavo, e la materiale
assenza nel cantiere di qualsiasi indicazione tanto che lo stesso preposto di fatto R. non
conosceva il POS e si era limitato a generiche raccomandazioni ai lavoratori di prestare
attenzione. La completa motivazione sul punto rende del tutto infondata la lamentela del
ricorrente riguardo alla asserita idoneità del POS di competenza del M..
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Quarta Penale, rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali.