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“Medicamina pauca tibi tenenda sunt,
quorum Iuvamento, saepius experto,
considere possis: totius enim
moltitudinis notitia incomprensibilis
est.”
(dagli Aforismi di Giovanni
Damasceno)
Vetro
L’invenzione del vetro soffiato risale al I secolo a.C. in aree
siro-palestinese e alessandrina. Da tempo immemorabile gli
artigiani egizi e mediorientali si servivano di canne da soffio per
alimentare il fuoco delle fornaci metallurgiche, ma fu necessario
arrivare alle costruzioni di forni capaci di raggiungere delle
temperature sufficienti a rendere fluide le sabbie vetrificanti per
comprendere le potenzialità dell’uso della canna anche nell’arte
vetraria.
Se il vetro non raggiunge lo stato di fusione, infatti, non è
possibile soffiarlo ma solo, come facevano gli Egizi, lavorarlo
al tornio o in uno stampo.
In un primo tempo le canne erano piccoli tubi di vetro che,
chiusi ancora caldi a un’estremità, venivano soffiati per
produrre oggetti e contenitori di piccole dimensioni. E.
Marianne Stern ha recentemente ipotizzato che questa tecnica
rudimentale venisse sostituita da quella che prevedeva l’uso di
canne in argilla piuttosto corte (circa 80 cm) ma con
un’imboccatura di larghezza sufficiente
per permettere la lavorazione di oggetti relativamente
grandi. Questo tipo di attrezzo, fragile e piuttosto sensibile agli
sbalzi di temperatura, fu presto sostituito dalla canna di ferro,
lo strumento che più di ogni altro segna l’avvento di una
rivoluzione tecnologica che nell’antichità classica è rimasta
senza eguali.
Nel giro di pochi decenni, tra il 50 e il 79
d.C., le canne da soffio inferro erano presenti
in tutte le officine dell’impero Romano.
Grazie a questa semplice invenzione la
lavorazione del vetro subì un cambiamento
pressoché totale: oggetti di dimensioni prima
impensabili potevano essere soffiati e rifiniti
con grande rapidità.
La possibilità di trasformare il bolo attaccato
alla canna imprimendogli le forme più
svariate, le sfumature cromatiche più ardite o
una trasparenza uguale al cristallo permise agli
abili artigiani romani di esplorare tutte le
potenzialità di questa tecnica dando luogo a
una produzione qualitativamente ancor oggi
insuperata.
Nel I secolo d.C. fu formulata da Bolos di
Mendes una ricca serie di ricette a base di
vetro per l’imitazione delle pietre preziose che
ebbe un’immensa fortuna per tutta l’Antichità
e il Medioevo.
Un’altra alchimista contemporanea di Bolos, Maria l’Ebrea, apprezzò la neutralità chimica dei
recipienti di vetro che nemmeno sostanze corrosive come il mercurio o gli acidi potevano
intaccare. Inoltre, il fatto che il vetro soffiato diventasse una sostanza brillante e trasparente a
partire da ingredienti apparentemente volgari come la sabbia e la soda costituiva una
dimostrazione che, grazie all’abilità dell’alchimista, gli elementi vili potevano trasformarsi in una
forma più elevata di materia.
Numerosi autori del I secolo d.C. rilevarono la differenza di gusto tra le vivan
de conservate in contenitori di vetro e quelle riposte nel tradizionale vasel
lame di bronzo e d’argento. Per le stesse ragioni per la con
servazione dei preparati farmaceutici venivano utilizza-
te piccole ampolle di vetro che, a partire dal I secolo d. C.,
si diffusero rapidamente tra tutti i ceti della popolazione.
I medici non usarono il vetro solo
come modello di ridefinizione con-
cettuale della tradizionale fisiologia
della visione, ma anche come un uti-
le materiale per la produzione e il
perfezionamento di apparati.
Le ventose, strumenti attraverso i
quali i medici antichi aspiravano gli
umori e il sangue dal corpo, vennero
realizzate anche di vetro con l’espli-
cito fine di permettere la visione del-
l’operazione.
L’uroscopia, il principale mezzo diagnostico dell’antichità,
fu un altro settore in cui il vetro gioco un ruolo
determinante: Ippocrate fu il primo a individuare
nell’esame del colore delle urine un efficace strumento non
invasivo per classificare le principali malattie conosciute. A
diverse colorazioni Ippocrate faceva corrispondere, infatti,
patologie più o meno gravi.
Solo la perfetta trasparenza rifletteva lo stato di salute
ideale. Ma allo scopo di determinare con la massima
precisione il colore delle urine è probabile che già i medici
greci usassero recipienti in vetro trasparente, anche se tale
uso è attestato da ritrovamenti archeologici solo a partire
dal III secolo d.C.
Plinio il Vecchio attesta che alcuni medici del suo tempo
utilizzavano delle piccole sfere ustorie per cauterizzare le
ferite (numerosi ritrovamenti archeologici sembrano
confermare questo curioso strumento terapeutico).
Il vetro da farmacia
É noto che le spezie entravano in Occidente in particolari involucri ricavati dalle canne di
bambù, chiamati albarelli. Se, in un primo momento, questi involucri vennero conservati o
rivenduti insieme al contenuto, in seguito, per opportunità di durata o per migliorare la
conservazione del prodotto, si provvide a sostituirli con altri che, simili per forma, erano eseguiti
in ceramica. Svariate sorte di vetri della spagirica, come ricorda il Bocchi
Cinelli nel 1677, sono la testimonianza di un’attività che doveva abbinare
alla pratica alchemica le prime ricerche sui rimedi di natura inorganica e
mineralogica.
La boccia è forse 1’oggetto più antico in
uso nelle spezierie. Essa è caratterizzata
da un corpo ovoidale, da un collo cilin-
drico con bocca rotonda rinforzata e da un
fondo convesso anziché concavo come nel
caso della vera e propria bottiglia e, soprat-
tutto, dall’assenza del piede. Essa era utiliz-
zata sia per conservare le sostanze medica-
mentose di consistenza liquida (per con-
sentirne l’appoggio e im-pedirle di cade-
re aveva il corpo rivestito di paglia) che
nelle operazioni della distillazione (nuda
ed eventualmente sorretta da sostegni di ferro o fatti con la stessa
paglia ma lavorata in modo da costituire un supporto circolare).
La boccia vestita di paglia dal collo corto e rinforzato si può
identificare con il fiasco o la fiasca la cui funzione ornamentale è
documentata anche in contesto strettamente officinale almeno per il
XVIII secolo e per i primissimi anni del successivo.
Il gruppo più cospicuo di vetri da farmacia pervenuti sino ai nostri
giorni e appartenenti a classi di esemplari legati alla funzione del
contenere è da collocare tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo.
Sulla scia di questi avvenimenti il corredo vetrario delle farmacie
assume una nuova consistenza: si vengono a delineare forme che
dureranno nel tempo convivendo con il fiasco o la boccia che sono da
considerare gli oggetti più antichi in assoluto fra quelli in uso nella
spezieria.
Dopo la boccia e il fiasco, l’albarello è sicuramente la tipologia più
usata. Esso compare in numerose varianti e sembra durare con la
medesima funzione di contenere sostanze medicamentose di
consistenza pastosa fino almeno alla prima metà del XVIII secolo. La
forma più antica si può identificare con gli esemplari caratterizzati da
un lieve rigonfiamento in prossimità della base e con una più
accentuata espansione nella parte superiore.
Nel XVII secolo compaiono gli esemplari di vaso denominato
albarello “a rocchetto” (riconoscibile per l’andamento cilindrico del
corpo e per la presenza di due rigonfiamenti ben definiti a cipolla) che
potrebbe aver desunto la sua struttura dall’analogo e
contemporaneo albarello ceramico. Un altro contenitore da
farmacia ab antiquo delle spezierie e che sembra essere
largamente diffuso in area italiana dalla fine del XVI a tutto il
XVIII secolo, è il vasetto, contenitore cilindrico di piccole
dimensioni e di forma assai semplice usato probabilmente per
la conservazione delle materie prime necessarie alla
preparazione di medicamenti.
Nelle spezierie fra Cinque e Settecento sono molto diffuse
anche le bottigliette e le ampolline, forme destinate a
rimanere nel tempo con un carattere decisamente più grazioso
sottolineato sia dalle piccole proporzioni che dall’attenzione
alla forma e alle decorazioni, utilizzate per contenere sostanze
liquide per la preparazione dei medicamenti o sostanze già
confezionate ma di consistenza liquida.
Vi è, poi, la nassa, particolare tipo di ampolla chiusa adatta a
contenere liquidi o sostanze tendenti ad evaporare, come gli
elisir, e che era stata concepita con un coperchio chiuso ed un
beccuccio.
Gli inventari di alcune spezierie documentano la presenza
della nassa a partire dal XVI secolo o dai primi anni di quello
successivo. Una tipologia antica, quindi, che sembra
permanere per tutto il corso della prima metà del XVIII
secolo e che aveva dato vita ad una serie di varianti legate,
probabilmente, ad epoche di produzione o ad
officine vetrarie diverse.
A questi motivi non molto frequenti se ne
potevano aggiungere altri che, al contrario,
appaiono largamente diffusi come, ad esempio,
la particolare decorazione ottenuta stendendo il
lattimo a fili fino a ricoprire l’intera superficie
dell’oggetto: il modo di stendere i fili dava vita
a numerose varianti.
Per barattolo si definisce un contenitore
cilindrico dalla forma regolare piuttosto
allungata, caratterizzato dall’assenza di piede e
dalla presenza di un fondo rientrante, che
poteva presentarsi nella forma cilindrica molto
slanciata o avere una morfologia più tozza.
Negli esemplari più antichi, ascrivibili con
probabilità alla prima metà del XVIII secolo,
alla forma cilindrica molto allungata si abbina
di frequente una base piana che può essere
anche leggermente rastremata; alla forma più
tozza si abbina, invece, una base con orlo
ribattuto.
In tutti e due i casi il barattolo è dotato di un coperchio a forma cupoliforme o schiacciata che
inserisce nel corpo cilindrico dell’oggetto grazie al bordo rovesciato e rientrante costruito alla
sommità. Nel corso del XVIII secolo il barattolo si ripropone anche in varianti più eleganti
diffuse soprattutto in area veneta. Si tratta in questi casi di barattoli dalla forma slanciata con
fondi spesso molto rientranti e dotati generalmente anche di un breve collo cilindrico più stretto
rispetto al corpo onde permettere al coperchio di inserirsi ad incasso.
Alla tipologia del barattolo appartiene anche la cista, diffusa nel XIX secolo e caratterizzata per il
corpo cilindrico dal profilo regolare con fondo piano dotato di orlo ribattuto e con breve collo
coperto da un coperchio ad incasso che termina con presa tonda.
La novità della vetreria da farmacia
del XVIII secolo è che vasi o vasetti si
caratterizzano per la presenza di un
piede. Esso si abbina di rado alla
morfologia a corpo cilindrico, più
spesso sceglie quella forma piriforme
rastremata verso il fondo nata
dall’evoluzione dell’albarello. Rastre-
mandosi nel tempo sempre più nella
parte inferiore e mantenendo il rigon-
fiamento in quella superiore, la forma
evolve in quella del vasetto, conteni-
tore da farmacia ab antiquo delle
spezierie e che sembra essere lar-
gamente diffuso in area italiana dalla
fine del XVI a tutto il XVIII secolo, cilindrico di
piccole dimensioni e di forma assai semplice usato
probabilmente per la conservazione delle materie
prime necessarie alla preparazione di medicamenti.
Potrebbe aver desunto la forma dalla morfologia
del vaso ceramico “impero” diffuso nel XVIII
secolo il vaso con piede che, usato per conservare
i prodotti solidi dell’aromateria (confetti,
caramelle, pasticche), ha grande fortuna nel XIX
secolo dimostrando di essere il contenitore
preferito nel corredo delle farmacie anche del XX
secolo.
La bottiglia quale oggetto usato prevalentemente
per la mensa appare già nel secolo XIII e sembra
avere fortuna durante i secoli XIV e XV
continuando a dar vita a contenitori che rimarranno
in uso nei secoli XVI e XVII e fino all’età
contemporanea.
Nelle antiche spezierie essa, almeno fino al secolo
XVIII, appare diffusa esclusivamente nella
variante apoda che è preferita a quella con piede
diffusa nei secoli XVI e XVII.
Nella spezieria settecentesca la bottiglia
globulare appare maggiormente diffusa
nella versione con il corpo dalla
globularità più accentuata con collo
cilindrico diritto che poteva essere anche
leggermente estroflesso e ribattuto e anche
nella variante con bordo ad imbuto.
Una variante globulare è costituita
dall’esemplare definito bottiglia a
lenticchia con collo lungo e stretto.
La bottiglia come oggetto usato
indifferentemente per contenere bevande o
sostanze medicamentose continua la sua
fortuna anche nei secoli XVIII e XIX.
E già in questo arco di tempo appare
sostanzialmente riconducibile a due
tipologie: quella a base quadrata o
rettangolare e quella a corpo cilindrico.
Numerose varianti poteva presentare
anche la bottiglia a corpo cilindrico.
Si tratta di una forma caratterizzata dalla presenza di un corpo globulare più o meno schiacciato e
con spalla più o meno arrotondata che si differenzia da quella del fiasco o della boccia per la
presenza di un fondo concavo rientrante, anziché convesso, e per il collo che è più
lungo e cilindrico.
La più usata in contesti officinali del secolo XVII e XVIII
sembra essere la bottiglia a corpo cilindrico con collo tronco
conico svasato. Essa era adottata per le misure di capacità.
La bottiglia a corpo cilindrico poteva presentarsi nella variante
con collo corto e stretto. Si tratta di una delle tipologie più
comuni fra i vetri da farmacia che sconfina anche nel campo
domestico.
L’esemplare officinale a volte sembra coincidere con la
medesima morfologia della bottiglia da liquore. In entrambi i
casi la forma e la decorazione dipendevano dal prestigio della
farmacia o dalle possibilità economiche dei proprietari; in base a
ciò, infatti, per i corredi venivano scelte bottiglie appartenenti a
produzioni di pregio o a manifatture d’uso più corrente.
La bottiglia per contenere liquidi medicamentosi solo in qualche
caso nel corso del secolo XIX coincide con la bottiglia utilizzata
per contenere liquori o vino; la forma scelta per questa funzione
è legata in prevalenza ad una morfologia essenzialmente
cilindrica con collo corto e orlo lievemente svasato che già la
bottiglia settecentesca aveva largamente impiegato.
Più auliche e di pregio, poi, sono le bottiglie alla boema presenti
nella farmacia di fine Ottocento e dei primi del Novecento, prima
produzione del vetro prevalentemente industriale che a partire
dalla metà dell’Ottocento si sostituisce all’attività artigianale
portando come conseguenza alla perdita dell’oggetto unico a
favore di per una scelta più economica dell’oggetto in serie ottenuto tramite l’uso di stampi.
Al concetto di serie sembrano legati quasi tutti i contentenitori della farmacia tra fine Ottocento e
primi del Novecento: oggetti che mostrano pur sempre una continuità con la produzione
precedente, evidenziata soprattutto dalla scelta di una morfologia legata alla struttura a corpo
cilindrico.
Si tratta del flacone, bottiglia a corpo cilindrico realizzata in vetro acromo che trova larga
applicazione anche nell’uso del vetro marrone scuro, e della bottiglietta di piccole dimensioni con
la medesima morfologia e in vetro
acromo o in vetro scuro.
Anche il barattolo, il barattolino e
il vasetto si presentano ora con la
struttura a corpo cilindrico. Essi,
che nella versione più corrente
erano realizzati in vetro acromo
con tappo ad incastro e presa
tonda schiacciata e smerigliata,
nella versione più elegante davano
vita a contenitori in vetro colorato
con tappo piatto e schiacciato,
arricchiti da decori sagomati o
incisi che sostituivano 1’etichetta
dove veniva scritto il nome del
prodotto.

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  • 1. “Medicamina pauca tibi tenenda sunt, quorum Iuvamento, saepius experto, considere possis: totius enim moltitudinis notitia incomprensibilis est.” (dagli Aforismi di Giovanni Damasceno) Vetro
  • 2. L’invenzione del vetro soffiato risale al I secolo a.C. in aree siro-palestinese e alessandrina. Da tempo immemorabile gli artigiani egizi e mediorientali si servivano di canne da soffio per alimentare il fuoco delle fornaci metallurgiche, ma fu necessario arrivare alle costruzioni di forni capaci di raggiungere delle temperature sufficienti a rendere fluide le sabbie vetrificanti per comprendere le potenzialità dell’uso della canna anche nell’arte vetraria. Se il vetro non raggiunge lo stato di fusione, infatti, non è possibile soffiarlo ma solo, come facevano gli Egizi, lavorarlo al tornio o in uno stampo. In un primo tempo le canne erano piccoli tubi di vetro che, chiusi ancora caldi a un’estremità, venivano soffiati per produrre oggetti e contenitori di piccole dimensioni. E. Marianne Stern ha recentemente ipotizzato che questa tecnica rudimentale venisse sostituita da quella che prevedeva l’uso di canne in argilla piuttosto corte (circa 80 cm) ma con un’imboccatura di larghezza sufficiente per permettere la lavorazione di oggetti relativamente grandi. Questo tipo di attrezzo, fragile e piuttosto sensibile agli sbalzi di temperatura, fu presto sostituito dalla canna di ferro, lo strumento che più di ogni altro segna l’avvento di una rivoluzione tecnologica che nell’antichità classica è rimasta senza eguali.
  • 3. Nel giro di pochi decenni, tra il 50 e il 79 d.C., le canne da soffio inferro erano presenti in tutte le officine dell’impero Romano. Grazie a questa semplice invenzione la lavorazione del vetro subì un cambiamento pressoché totale: oggetti di dimensioni prima impensabili potevano essere soffiati e rifiniti con grande rapidità. La possibilità di trasformare il bolo attaccato alla canna imprimendogli le forme più svariate, le sfumature cromatiche più ardite o una trasparenza uguale al cristallo permise agli abili artigiani romani di esplorare tutte le potenzialità di questa tecnica dando luogo a una produzione qualitativamente ancor oggi insuperata. Nel I secolo d.C. fu formulata da Bolos di Mendes una ricca serie di ricette a base di vetro per l’imitazione delle pietre preziose che ebbe un’immensa fortuna per tutta l’Antichità e il Medioevo.
  • 4. Un’altra alchimista contemporanea di Bolos, Maria l’Ebrea, apprezzò la neutralità chimica dei recipienti di vetro che nemmeno sostanze corrosive come il mercurio o gli acidi potevano intaccare. Inoltre, il fatto che il vetro soffiato diventasse una sostanza brillante e trasparente a partire da ingredienti apparentemente volgari come la sabbia e la soda costituiva una dimostrazione che, grazie all’abilità dell’alchimista, gli elementi vili potevano trasformarsi in una forma più elevata di materia. Numerosi autori del I secolo d.C. rilevarono la differenza di gusto tra le vivan de conservate in contenitori di vetro e quelle riposte nel tradizionale vasel lame di bronzo e d’argento. Per le stesse ragioni per la con servazione dei preparati farmaceutici venivano utilizza- te piccole ampolle di vetro che, a partire dal I secolo d. C., si diffusero rapidamente tra tutti i ceti della popolazione. I medici non usarono il vetro solo come modello di ridefinizione con- cettuale della tradizionale fisiologia della visione, ma anche come un uti- le materiale per la produzione e il perfezionamento di apparati. Le ventose, strumenti attraverso i quali i medici antichi aspiravano gli umori e il sangue dal corpo, vennero realizzate anche di vetro con l’espli- cito fine di permettere la visione del- l’operazione.
  • 5. L’uroscopia, il principale mezzo diagnostico dell’antichità, fu un altro settore in cui il vetro gioco un ruolo determinante: Ippocrate fu il primo a individuare nell’esame del colore delle urine un efficace strumento non invasivo per classificare le principali malattie conosciute. A diverse colorazioni Ippocrate faceva corrispondere, infatti, patologie più o meno gravi. Solo la perfetta trasparenza rifletteva lo stato di salute ideale. Ma allo scopo di determinare con la massima precisione il colore delle urine è probabile che già i medici greci usassero recipienti in vetro trasparente, anche se tale uso è attestato da ritrovamenti archeologici solo a partire dal III secolo d.C. Plinio il Vecchio attesta che alcuni medici del suo tempo utilizzavano delle piccole sfere ustorie per cauterizzare le ferite (numerosi ritrovamenti archeologici sembrano confermare questo curioso strumento terapeutico).
  • 6. Il vetro da farmacia É noto che le spezie entravano in Occidente in particolari involucri ricavati dalle canne di bambù, chiamati albarelli. Se, in un primo momento, questi involucri vennero conservati o rivenduti insieme al contenuto, in seguito, per opportunità di durata o per migliorare la conservazione del prodotto, si provvide a sostituirli con altri che, simili per forma, erano eseguiti in ceramica. Svariate sorte di vetri della spagirica, come ricorda il Bocchi Cinelli nel 1677, sono la testimonianza di un’attività che doveva abbinare alla pratica alchemica le prime ricerche sui rimedi di natura inorganica e mineralogica. La boccia è forse 1’oggetto più antico in uso nelle spezierie. Essa è caratterizzata da un corpo ovoidale, da un collo cilin- drico con bocca rotonda rinforzata e da un fondo convesso anziché concavo come nel caso della vera e propria bottiglia e, soprat- tutto, dall’assenza del piede. Essa era utiliz- zata sia per conservare le sostanze medica- mentose di consistenza liquida (per con- sentirne l’appoggio e im-pedirle di cade- re aveva il corpo rivestito di paglia) che nelle operazioni della distillazione (nuda
  • 7. ed eventualmente sorretta da sostegni di ferro o fatti con la stessa paglia ma lavorata in modo da costituire un supporto circolare). La boccia vestita di paglia dal collo corto e rinforzato si può identificare con il fiasco o la fiasca la cui funzione ornamentale è documentata anche in contesto strettamente officinale almeno per il XVIII secolo e per i primissimi anni del successivo. Il gruppo più cospicuo di vetri da farmacia pervenuti sino ai nostri giorni e appartenenti a classi di esemplari legati alla funzione del contenere è da collocare tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo. Sulla scia di questi avvenimenti il corredo vetrario delle farmacie assume una nuova consistenza: si vengono a delineare forme che dureranno nel tempo convivendo con il fiasco o la boccia che sono da considerare gli oggetti più antichi in assoluto fra quelli in uso nella spezieria. Dopo la boccia e il fiasco, l’albarello è sicuramente la tipologia più usata. Esso compare in numerose varianti e sembra durare con la medesima funzione di contenere sostanze medicamentose di consistenza pastosa fino almeno alla prima metà del XVIII secolo. La forma più antica si può identificare con gli esemplari caratterizzati da un lieve rigonfiamento in prossimità della base e con una più accentuata espansione nella parte superiore. Nel XVII secolo compaiono gli esemplari di vaso denominato albarello “a rocchetto” (riconoscibile per l’andamento cilindrico del corpo e per la presenza di due rigonfiamenti ben definiti a cipolla) che
  • 8. potrebbe aver desunto la sua struttura dall’analogo e contemporaneo albarello ceramico. Un altro contenitore da farmacia ab antiquo delle spezierie e che sembra essere largamente diffuso in area italiana dalla fine del XVI a tutto il XVIII secolo, è il vasetto, contenitore cilindrico di piccole dimensioni e di forma assai semplice usato probabilmente per la conservazione delle materie prime necessarie alla preparazione di medicamenti. Nelle spezierie fra Cinque e Settecento sono molto diffuse anche le bottigliette e le ampolline, forme destinate a rimanere nel tempo con un carattere decisamente più grazioso sottolineato sia dalle piccole proporzioni che dall’attenzione alla forma e alle decorazioni, utilizzate per contenere sostanze liquide per la preparazione dei medicamenti o sostanze già confezionate ma di consistenza liquida. Vi è, poi, la nassa, particolare tipo di ampolla chiusa adatta a contenere liquidi o sostanze tendenti ad evaporare, come gli elisir, e che era stata concepita con un coperchio chiuso ed un beccuccio. Gli inventari di alcune spezierie documentano la presenza della nassa a partire dal XVI secolo o dai primi anni di quello successivo. Una tipologia antica, quindi, che sembra permanere per tutto il corso della prima metà del XVIII secolo e che aveva dato vita ad una serie di varianti legate,
  • 9. probabilmente, ad epoche di produzione o ad officine vetrarie diverse. A questi motivi non molto frequenti se ne potevano aggiungere altri che, al contrario, appaiono largamente diffusi come, ad esempio, la particolare decorazione ottenuta stendendo il lattimo a fili fino a ricoprire l’intera superficie dell’oggetto: il modo di stendere i fili dava vita a numerose varianti. Per barattolo si definisce un contenitore cilindrico dalla forma regolare piuttosto allungata, caratterizzato dall’assenza di piede e dalla presenza di un fondo rientrante, che poteva presentarsi nella forma cilindrica molto slanciata o avere una morfologia più tozza. Negli esemplari più antichi, ascrivibili con probabilità alla prima metà del XVIII secolo, alla forma cilindrica molto allungata si abbina di frequente una base piana che può essere anche leggermente rastremata; alla forma più tozza si abbina, invece, una base con orlo ribattuto.
  • 10. In tutti e due i casi il barattolo è dotato di un coperchio a forma cupoliforme o schiacciata che inserisce nel corpo cilindrico dell’oggetto grazie al bordo rovesciato e rientrante costruito alla sommità. Nel corso del XVIII secolo il barattolo si ripropone anche in varianti più eleganti diffuse soprattutto in area veneta. Si tratta in questi casi di barattoli dalla forma slanciata con fondi spesso molto rientranti e dotati generalmente anche di un breve collo cilindrico più stretto rispetto al corpo onde permettere al coperchio di inserirsi ad incasso. Alla tipologia del barattolo appartiene anche la cista, diffusa nel XIX secolo e caratterizzata per il corpo cilindrico dal profilo regolare con fondo piano dotato di orlo ribattuto e con breve collo coperto da un coperchio ad incasso che termina con presa tonda. La novità della vetreria da farmacia del XVIII secolo è che vasi o vasetti si caratterizzano per la presenza di un piede. Esso si abbina di rado alla morfologia a corpo cilindrico, più spesso sceglie quella forma piriforme rastremata verso il fondo nata dall’evoluzione dell’albarello. Rastre- mandosi nel tempo sempre più nella parte inferiore e mantenendo il rigon- fiamento in quella superiore, la forma evolve in quella del vasetto, conteni- tore da farmacia ab antiquo delle spezierie e che sembra essere lar- gamente diffuso in area italiana dalla
  • 11. fine del XVI a tutto il XVIII secolo, cilindrico di piccole dimensioni e di forma assai semplice usato probabilmente per la conservazione delle materie prime necessarie alla preparazione di medicamenti. Potrebbe aver desunto la forma dalla morfologia del vaso ceramico “impero” diffuso nel XVIII secolo il vaso con piede che, usato per conservare i prodotti solidi dell’aromateria (confetti, caramelle, pasticche), ha grande fortuna nel XIX secolo dimostrando di essere il contenitore preferito nel corredo delle farmacie anche del XX secolo. La bottiglia quale oggetto usato prevalentemente per la mensa appare già nel secolo XIII e sembra avere fortuna durante i secoli XIV e XV continuando a dar vita a contenitori che rimarranno in uso nei secoli XVI e XVII e fino all’età contemporanea. Nelle antiche spezierie essa, almeno fino al secolo XVIII, appare diffusa esclusivamente nella variante apoda che è preferita a quella con piede diffusa nei secoli XVI e XVII.
  • 12. Nella spezieria settecentesca la bottiglia globulare appare maggiormente diffusa nella versione con il corpo dalla globularità più accentuata con collo cilindrico diritto che poteva essere anche leggermente estroflesso e ribattuto e anche nella variante con bordo ad imbuto. Una variante globulare è costituita dall’esemplare definito bottiglia a lenticchia con collo lungo e stretto. La bottiglia come oggetto usato indifferentemente per contenere bevande o sostanze medicamentose continua la sua fortuna anche nei secoli XVIII e XIX. E già in questo arco di tempo appare sostanzialmente riconducibile a due tipologie: quella a base quadrata o rettangolare e quella a corpo cilindrico. Numerose varianti poteva presentare anche la bottiglia a corpo cilindrico. Si tratta di una forma caratterizzata dalla presenza di un corpo globulare più o meno schiacciato e con spalla più o meno arrotondata che si differenzia da quella del fiasco o della boccia per la presenza di un fondo concavo rientrante, anziché convesso, e per il collo che è più lungo e cilindrico.
  • 13. La più usata in contesti officinali del secolo XVII e XVIII sembra essere la bottiglia a corpo cilindrico con collo tronco conico svasato. Essa era adottata per le misure di capacità. La bottiglia a corpo cilindrico poteva presentarsi nella variante con collo corto e stretto. Si tratta di una delle tipologie più comuni fra i vetri da farmacia che sconfina anche nel campo domestico. L’esemplare officinale a volte sembra coincidere con la medesima morfologia della bottiglia da liquore. In entrambi i casi la forma e la decorazione dipendevano dal prestigio della farmacia o dalle possibilità economiche dei proprietari; in base a ciò, infatti, per i corredi venivano scelte bottiglie appartenenti a produzioni di pregio o a manifatture d’uso più corrente. La bottiglia per contenere liquidi medicamentosi solo in qualche caso nel corso del secolo XIX coincide con la bottiglia utilizzata per contenere liquori o vino; la forma scelta per questa funzione è legata in prevalenza ad una morfologia essenzialmente cilindrica con collo corto e orlo lievemente svasato che già la bottiglia settecentesca aveva largamente impiegato. Più auliche e di pregio, poi, sono le bottiglie alla boema presenti nella farmacia di fine Ottocento e dei primi del Novecento, prima produzione del vetro prevalentemente industriale che a partire dalla metà dell’Ottocento si sostituisce all’attività artigianale portando come conseguenza alla perdita dell’oggetto unico a
  • 14. favore di per una scelta più economica dell’oggetto in serie ottenuto tramite l’uso di stampi. Al concetto di serie sembrano legati quasi tutti i contentenitori della farmacia tra fine Ottocento e primi del Novecento: oggetti che mostrano pur sempre una continuità con la produzione precedente, evidenziata soprattutto dalla scelta di una morfologia legata alla struttura a corpo cilindrico. Si tratta del flacone, bottiglia a corpo cilindrico realizzata in vetro acromo che trova larga applicazione anche nell’uso del vetro marrone scuro, e della bottiglietta di piccole dimensioni con la medesima morfologia e in vetro acromo o in vetro scuro. Anche il barattolo, il barattolino e il vasetto si presentano ora con la struttura a corpo cilindrico. Essi, che nella versione più corrente erano realizzati in vetro acromo con tappo ad incastro e presa tonda schiacciata e smerigliata, nella versione più elegante davano vita a contenitori in vetro colorato con tappo piatto e schiacciato, arricchiti da decori sagomati o incisi che sostituivano 1’etichetta dove veniva scritto il nome del prodotto.