1. Li chiamiamo eccedenze, surplus, invenduti, scarti ma, qualunque sia il
nome che scegliamo per parlare degli alimenti che finiscono tra i rifiuti, hanno
una cosa in comune: hanno richiesto energia, acqua, terra, tempo, carburanti,
risorse naturali e una serie di inquinanti per essere prodotti, trasportati,
trasformati, confezionati. Hanno prodotto emissioni che hanno contribuito a
cambiare il clima. Hanno richiesto denaro per essere acquistati e, ancora,
energia per essere conservati. Poi sono finiti, in qualche modo, tra i rifiuti: e lì
hanno consumato altre risorse. Quindi, comunque li vogliamo chiamare, non
sono che sprechi. Sprechi di cibo. Lo spreco alimentare è il segnale più
evidente di un sistema alimentare industriale che ‘funziona’ per distribuire cibo
e creare profitto. Questo sistema trasforma il cibo in merce e gli dà valore
attraverso il prezzo, senza considerare che il cibo ha costi sociali e ambientali
elevatissimi.
Slow Food ha inserito negli ultimi due documenti congressuali (quello
italiano e quello internazionale) la lotta allo spreco alimentare come una delle
azioni da perseguire nei prossimi anni. Nel 2011 Slow Food, in varie parti
d’Italia (Piemonte, Val d’Aosta, Campania, Basilicata), ha siglato accordi con
Last Minute Market per diffondere la buona pratica del recupero degli sprechi.
Per costruire un progetto articolato e forte con visione sullo spreco, si parte
dall’educazione, dalla creazione di cultura diffusa, elementi fondamentali e
fondanti di un sistema alimentare diverso. Sul lungo periodo è lo stile di vita e
di consumo che deve cambiare in settori sempre più ampi della popolazione dei
Paesi ricchi. Questo è dunque l’approccio di Slow Food anche al tema degli
sprechi: per sperare di modificare in modo strutturale e radicale la situazione
attuale bisogna partire dall’idea che gli sprechi si possono combattere prima
ancora che il cibo venga prodotto, acquistato e consumato. Non solo:
l’educazione acquisisce un ruolo fondamentale.
Slow Food promuove un sistema alimentare alternativo a quello caratterizzato
dal produttivismo e dallo spreco, forma il personale dei luoghi dove si verifica
lo spreco a un nuovo approccio verso il cibo; entra nelle mense scolastiche per
2. promuovere l’agricoltura ecologica e la prevenzione dello spreco; suggerisce
soluzioni che consentano di vendere prodotti in scadenza a un prezzo più basso;
sostiene e valorizza la cucina degli avanzi e in questa direzione costruisce
progetti di formazione al largata. La definizione ‘quantitativa’ (attuale) del food
waste In sintesi, oggi si distingue tra: - food losses, perdite che si determinano
nella parte alta della filiera agroalimentare: semina, coltivazione, raccolta,
trattamento, conservazione, prima trasformazione agricola; - food waste,
sprechi prodotti nella seconda parte della filiera, ovvero durante la
trasformazione industriale, la distribuzione e il consumo finale. Verso una
definizione ‘qualitativa’ del food waste.
Principi fondanti spreco: la produzione di cibo e il cibo stesso non possono
essere assimilati al concetto di merce. In altre parole, lo spreco alimentare non
potrà essere combattuto in modo strutturale e radicale fino a quando al cibo e
alla sua produzione non verrà riconosciuto il valore di bene comune. Infatti
analizzando le cause dello spreco nelle varie fasi del processo di produzione si
possono fare tre considerazioni:
1. nella filiera agroalimentare lo spreco inizia prima della semina e finisce dopo
l’ultimo piatto cucinato;
2. lo spreco evidenzia, in tutti i passaggi della filiera, la mercificazione del cibo
e la perdita del suo VALORE;
3. non riconoscere il ruolo di questo passaggio significa non comprendere fino
in fondo il meccanismo dello spreco, limitandosi ad analizzare degli effetti
invece di affrontare la causa che li origina.
Si potrebbe quindi immaginare una nuova definizione di spreco alimentare: il
food waste è il risultato della mancanza di valore attribuita alla produzione di
cibo e al cibo stesso durante tutte le varie fasi della filiera agroalimentare.
Considerare lo spreco come l’effetto di una mancanza di valore attribuita al
cibo può guidare nella costruzione di politiche che abbiano come obiettivo
quello di ridurre il fenomeno del food waste perché propone una visione
‘valoriale’ del sistema agroalimentare.