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le funzioni S sono: le funzioni D sono:
Verbali: uso di parole per descrivere e definire.
Analitiche: soluzione dei problemi per gradi,
affrontando un aspetto per volta.
Simboliche: uso di simboli per la
rappresentazione di oggetti.
Astratte: estrapolazione di un dato parziale
utilizzandolo per rappresentare l’oggetto
intero.
Temporali: scansione del tempo; applicazione
di un ordine successivo agli oggetti, alle azioni,
ecc.(cose da fare prima, cose da fare dopo).
Razionali: formulazione di conclusioni in base a
premesse e fatti.
Computistiche: uso dei numeri come nella
computazione.
Logiche: formulazione di conclusioni in base
alla logica; elaborazione di ordini successivi di
tipo logico (es.: teoremi matematici,
ragionamenti impostati correttamente).
Lineari: pensiero basato su idee collegate (un
pensiero segue direttamente un altro e spesso
entrambi portano in convergenza alla
medesima conclusione).
Non-verbali: consapevolezza delle cose senza
minimo ricorso alle parole.
Sintetiche: unione degli elementi di una
situazione a formare il tutto.
Concrete: considerazione delle cose così
come sono a l momento presente.
Analogiche: percezione delle somiglianze tra
oggetti; comprensione dei rapporti basati sulla
metafora
Atemporali: mancanza del senso del tempo.
Non razionali: mancanza della necessità di
premesse e fatti; disponibilità a sospendere il
giudizio.
Spaziali: osservazione della collocazione degli
oggetti rispetto ad altri oggetti, e delle parti
rispetto all’intero.
Intuitive: momenti illuminanti, di improvvisa
compresa delle cose, spesso in base a schemi
incompleti, impressioni, sensazioni o immagini
visive.
Globali: visione contemporanea di tutti gli
aspetti di un oggetto o fatto, percezione di
schemi o strutture al completo, spesso
orientate verso visioni divergenti.
Tabella 2. caratteristiche attribuite all’ emisfero sinistro e all’emisfero destro del cervello.
LE FUNZIONI DEL GIOCO
a) funzione socializzante
Si tratta probabilmente della funzione più universalmente attribuita al gioco. Tutti i giochi, ad eccezione di quelli
individuali, pongono il bambino in interazione con altri e lo costringono ad attenuare il proprio egocentrismo e a tener conto
delle aspettative e dei punti di vista altrui.
b) funzione diagnostica
Dall’osservazione della condotta ludica del bambino si possono ricavare informazioni molto significative sulla personalità
del bambino, sul suo livello di maturazione globale e cognitiva, sugli aspetti emotivo-affettivi e, addirittura, sulle sue
componenti inconsce e/o patologiche. Già la scelta abituale di un determinato gioco piuttosto che un altro non è casuale, ma
è generalmente motivata da bisogni interiori. La superficialità (che si traduce in eccessiva e frequente variabilità) o la
stereotipia (che si traduce in scarsa e lenta variabilità) negli interessi ludici sono altri indicatori significativi della personalità
del bambino.
Alcuni comportamenti anomali del bambino nel gioco, quali il costante rifiuto di giocare, la sistematica azione di disturbo
nei confronti di altri bambini impegnati nel gioco, sono spesso segnali di problemi, conflitti che turbano il bambino e non
gli consentono di integrarsi nel corso dell’attività ludica.
In alcuni casi il gioco (soprattutto il gioco simbolico e drammatico o il gioco di gruppo) viene utilizzato in ambito
psicoanalitico con funzione diagnostica analoga a quella svolta dai test proiettivi, in quanto consente l’emergere di
situazioni conflittuali inconsce.
c) funzione terapeutica
Il gioco svolge una funzione terapeutica non solo per quanto attiene il suo impiego clinico in psicologia (la terapia del
gioco), ma anche per la possibilità che offre più in generale di attenuare o compensare tensioni o disagi interiori del
bambino. Ciò avviene soprattutto nel gioco simbolico, attraverso l’assunzione dei ruoli.
Una funzione terapeutica in tal senso viene riconosciuta anche al gioco competitivo, in quanto esso consente al bambino di
vivere l’esperienza della sconfitta in una forma accettabile e non emotivamente destabilizzante (come potrebbe invece
accadere più facilmente per l’insuccesso sperimentato nella vita reale), anche perché il gioco offre sempre, a differenza della
realtà, la possibilità della rivincita e del riscatto.
d) funzione cognitiva
Il gioco si presenta come mezzo di costruzione e consolidamento delle strutture cognitive. Molti giochi attivano, anche se in
misura diversa, alcune capacità di tipo intellettivo, quali l’attenzione, la riflessione, la memoria, l’osservazione, il
ragionamento, la fluidità verbale, la comprensione, l’abilità spaziale, la logica.... Il gioco, quindi, è di per sé fonte
d’apprendimento. Per questa sua caratteristica esso viene spesso utilizzato come strumento d’apprendimento. Ecco allora
l’impiego del gioco nella scuola e il diffondersi dei cosiddetti giochi educativi e didattici, che vengono costruiti proprio con
l’intento di promuovere nel bambino determinate abilità e conoscenze.
C’è chi ritiene che in realtà sia più importante educare a giocare piuttosto che educare attraverso il gioco; si valorizza cioè il
gioco non tanto o non solo come strategia didattica, bensì come esperienza vitale per il bambino, esperienza che, comunque,
ha di per sé una forte valenza educativa.
e) funzione etica
Questa funzione viene attribuita soprattutto al gioco di squadra e al gioco con regole.
Il gioco di squadra favorisce lo spirito di solidarietà del gruppo, porta il bambino a responsabilizzarsi nei confronti dei
compagni di squadra e ad armonizzare i propri comportamenti con quelli altrui, superando atteggiamenti individualistici.
Attraverso i giochi con regole il bambino impara il rispetto delle regole e sviluppa concetti di equità, di turnazione, di
reciprocità e può essere guidato a rifiutare quegli atteggiamenti di prevaricazione, di scorrettezza, di ingiustizia, che non
consentono il regolare svolgimento del gioco.
Il gioco, quando richiede l’utilizzo di oggetti o strumenti particolari, abitua il bambino al rispetto e alla cura di tali oggetti e
strumenti, necessari per poter giocare in successive occasioni.
f) funzione linguistica
Questa funzione si manifesta in varie modalità. In primo luogo, tutti i giochi non individuali portano all’interazione e allo
scambio linguistico con i coetanei. Inoltre, nel corso del gioco i bambini apprendono termini nuovi e si abituano ad
utilizzarli. Spesso per imparare a svolgere il gioco è necessario seguire istruzioni verbali. Vi sono poi i giochi linguistici, più
specificatamente mirati allo sviluppo del linguaggio.
g) funzione motoria
Questa funzione è propria dei giochi di movimento, che comportano il correre, il saltare, lo strisciare, l’arrampicarsi...
Questi giochi favoriscono la coordinazione dinamica generale, il controllo posturale, la conoscenza del proprio corpo.
La funzione motoria è attribuita anche ai giochi di manipolazione, che favoriscono la motricità fine.
h) funzione creativa
Anche la funzione di stimolazione della creatività viene unanimamente attribuita al gioco, sia nel senso di arricchimento
della fantasia (soprattutto nei giochi di imitazione fantastica e drammatizzazione, cioè i giochi spontanei e non strutturati
che attivano le capacità simbolico-rappresentative), sia nel senso di ricerca di soluzioni nuove e originali (dimensione che
per certi aspetti potrebbe anche rientrare nella funzione cognitiva).
GLI SCACCHI
Ogni gioco può presentare una o più delle funzioni che sono state descritte; le altre possono non essere presenti o avere un
ruolo solo marginale.
Si tratta allora di vedere quali delle funzioni indicate si presentano come maggiormente caratterizzanti il gioco degli scacchi
e attraverso quale approccio al gioco tali funzioni possono essere meglio valorizzate in prospettiva educativa.
La funzione socializzante, la funzione cognitiva e la funzione etica sono probabilmente le più evidenti nel gioco degli
scacchi.
In relazione alla funzione socializzante, va innanzitutto sottolineato che gli scacchi favoriscono l’interazione con altri
bambini e, soprattutto, pongono il bambino di fronte alla necessità di tener conto del punto di vista altrui. Il bambino è
tendenzialmente portato a considerare la propria visione delle cose come l’unica possibile. Nel corso di una partita a
scacchi, però, il bambino impara poco per volta a tener conto della presenza dell’avversario e delle mosse che l’avversario
oppone alle sue. Questa graduale presa di coscienza aiuta il bambino a superare il suo naturale egocentrismo.
Vi è poi un altro aspetto del gioco degli scacchi connesso alla funzione socializzante, ed anche a quella etica. Gli scacchi
sono un gioco competitivo. In relazione al gioco competitivo vengono espresse opinioni diverse. C’è chi ritiene che i giochi
competitivi non favoriscano la socializzazione nei bambini in quanto portano i bambini a voler vincere a tutti i costi e con
ogni mezzo, a sviluppare il senso di superiorità nei confronti dell’avversario; meglio sarebbero, per costoro, i giochi
cooperativi, nei quali i bambini devono collaborare per raggiungere una meta comune.
Personalmente ritengo che la competitività non vada demonizzata in questo modo, ma vada canalizzata e, ovviamente, non
esasperata. Anche nel caso in cui la competitività generi un rapporto conflittuale, la dimensione socializzante va recuperata,
cogliendo l’occasione per aiutare il bambino a gestire il conflitto, attraverso la riflessione e il dialogo, consapevoli del fatto
che il conflitto è una componente della relazione, che non va drammatizzata, ma controllata e superata.
Può risultare utile, per canalizzare in una giusta direzione il fattore agonistico, organizzare, oltre che tornei individuali,
anche tornei a squadre, dove la prestazione individuale è in funzione di un obiettivo comune; ciò può contribuire a
sviluppare lo spirito di solidarietà e collaborazione con gli altri, nonché la comunicazione in un senso più generale.
Siamo a questo punto già sfociati nella dimensione etica. In che senso gli scacchi possono avere una funzione etica? Si tratta
di un gioco con regole, regole che sono numerose e complesse, e il rispetto di tali regole si presenta come condizione
imprescindibile per lo svolgimento del gioco stesso. Si tratta di un gioco competitivo, dove il rispetto per l’avversario e
l’accettazione del risultato della partita diventano atteggiamenti ai quali è importante educare i bambini. Ancora, si tratta di
un gioco individuale che però può diventare, in alcune occasioni, anche di squadra, favorendo così lo spirito di solidarietà e
di collaborazione.
Veniamo, infine, alla funzione cognitiva, quella che forse è stata sempre maggiormente evidenziata e valorizzata nel gioco
degli scacchi. In più occasioni è stato sottolineato che gli scacchi favoriscono lo sviluppo di abilità di tipo cognitivo, quali la
memoria, la concentrazione, l’attenzione, la capacità di previsione, l’abilità spaziale... e ciò è senza dubbio vero. In ogni
caso, è importante tener sempre presente l’età dei bambini a cui si propone il gioco degli scacchi, nonché il loro livello di
sviluppo cognitivo, dal quale non si può prescindere.
A tale riguardo, un primo interrogativo che può essere posto è quello relativo all’età migliore per iniziare a giocare a
scacchi. Per poter rispondere, è indispensabile precisare che cosa si intende per «età migliore». Forse quella in cui
l’assimilazione dei concetti complessi può essere ottimale e il rendimento nel gioco più elevato? O quella in cui il bambino
è semplicemente in grado di apprendere le regole fondamentali, applicarle e divertirsi giocando? Probabilmente, nella
maggior parte dei casi la domanda viene posta, più o meno consapevolmente, con il primo significato; ma se, per una volta,
proviamo a porla in questa seconda accezione, allora si può rispondere che l’età migliore per imparare il gioco degli scacchi
può essere anche molto precoce. Lo psicopedagogista americano Jerome S. Bruner ha affermato che «di ogni capacità o
conoscenza esiste una adeguata versione che può venire impartita a qualsiasi età si desideri cominciare l’insegnamento, per
quanto iniziale e preparatoria tale versione possa essere». Se è motivato (condizione indispensabile), un bambino di 4-5 anni
non è troppo piccolo per giocare a scacchi, anche se magari il suo modo di giocare può far inorridire uno scacchista esperto;
un bambino di così tenera età può senza dubbio imparare a muovere i pezzi, comprendere che cosa è lo scacco matto, capire
come si svolge una partita, ma non pretendiamo da lui che predisponga un piano strategico, che capisca l’utilità di
sacrificare un pezzo, che si renda conto dell’opportunità di non catturare un pezzo avversario minacciato perché ci può
essere qiualcosa di meglio. Tutto ciò è al di fuori della sua portata, eppure egli è in grado di giocare e provarne piacere;
questo ci basta.
Per ribadire l’importanza dell’età dei bambini ai quali ci rivolgiamo e la necessità di adeguare ad essa l’approccio al gioco,
ricordiamo ad esempio (riprendendo le fasi dello sviluppo cognitivo individuate da Jean Piaget) che il bambino fino all’età
di 10-11 anni si trova nella fase del pensiero operatorio concreto e che quindi apprende attraverso l’azione diretta sulle cose.
Il bambino di questa età ha bisogno prima di agire e poi di essere stimolato a riflettere sulle azioni che ha compiuto. Anche
negli scacchi, quindi, il bambino deve innanzitutto giocare e poi deve essere aiutato a riflettere sul suo gioco. Ciò significa
che è importante mettere il bambino in grado di poter giocare il più presto possibile, insegnando inizialmente solo le regole
veramente indispensabili per poter svolgere una partita (movimento dei pezzi, scacco, scacco matto) e questo per una serie
di motivi:
- per soddisfare l’aspettativa ludica dei bambini, che vogliono fondamentalmente giocare;
- perché i bambini hanno una capacità di attenzione limitata a brevi periodi, sicuramente non sufficiente per ascoltare tutte
insieme le regole del gioco, che sono numerose e complesse;
- perché dalla pratica del gioco si possono trarre spunti per introdurre l’insegnamento di nuove regole e principi (ad esempio
lo stallo, l’arrocco...).
In realtà molti manuali o programmi per l’insegnamento degli scacchi si aprono facendo ricorso alla terminologia
scacchistica e alla notazione algebrica e proponendo fin dall’inizio tutte le regole del gioco, prima di consentire
l’effettuazione di una partita. Questo approccio, più tecnico e sistematico, tende però ad allontanare il momento della prima
esperienza diretta del gioco, con il rischio, soprattutto se si ha a che fare con bambini piccoli, di trasmettere l’impressione
che gli scacchi non siano molti divertenti e stimolanti. Forse tutto si gioca nell’abilità dell’insegnante che,
indipendentemente dagli strumenti di supporto di cui dispone, deve saper dosare e organizzare in modo adeguato i contenuti
d’insegnamento che sta trasmettendo.
Sempre in relazione al livello cognitivo dei bambini, occorre tenere in considerazione il fatto che la fase delle operazioni
formali, vale a dire della capacità di ragionare in forma ipotetico-deduttiva in base ad assunzioni che non fanno
necessariamente riferimento alla realtà, inizia verso i 10-11 anni. E’ a questa età, quindi, che i bambini cominciano ad essere
in grado di acquisire e sviluppare concetti strategici più complessi, perché riescono a rappresentarsi mentalmente situazioni
ipotetiche e a dedurne le conseguenze. I bambini più piccoli, invece, possono comprendere, e quindi utilizzare, mosse
tattiche, brevi e semplici combinazioni che portano ad un risultato subito visibile (cattura di un pezzo, scacco matto...),
ovvero ad una conseguenza immediata e non a lungo termine.
Anche i cosiddetti principi strategici elementari (per esempio lo sviluppo dei pezzi in apertura) non verranno capiti e
applicati dal bambino più piccolo in maniera corretta. Egli, infatti, tende a dare un valore assoluto a ciò che gli viene
insegnato e non è in grado di cogliere la relatività di questi concetti, che rischiano così di limitare il suo gioco, anziché
facilitarlo. Per esempio, se insistiamo sul fatto che in apertura i pedoni devono occupare il centro della scacchiera, il
bambino non prenderà neppure in considerazione le mosse dei pedoni laterali, anche quando queste mosse dovessero essere
le uniche buone. Ancor più deluso e confuso sarà poi l’allievo che verrà sconfitto da una di queste mosse non previste.
Un’ultima considerazione. Il bambino ha una notevole capacità mnemonica, che gli consente di memorizzare con relativa
facilità una serie di mosse. La memorizzazione, però, non va confusa con la reale comprensione della concatenazione logica
che lega le mosse. E’ preferibile insistere, negli scacchi come in ogni altra attività, su un apprendimento ragionato e non
puramente mnemonico, sfruttando le opportunità che gli scacchi offrono in tal senso. E’ importante che il bambino affini
progressivamente il suo gioco sulla base delle esperienze dirette, dei tentativi pratici, aiutato, ovviamente, a fermare
l’attenzione sui momenti più positivi e significativi dei suoi esperimenti, in vista di una progressiva concettualizzazione e
sintesi delle considerazioni tattiche e strategiche che via via emergono. Oltre tutto, gli apprendimenti basati sulla reale
comprensione e non sulla semplice memorizzazione possono essere ricordati con maggiore facilità, possono essere
ricostruiti nel caso siano stati dimenticati, possono essere applicati a situazioni diverse.
CONCLUSIONE
Il gioco infantile subisce una serie di profondi cambiamenti nel corso dell’età evolutiva: è molto diverso, e sotto vari aspetti,
il modo di giocare di un bambino di pochi mesi rispetto a quello di un bambino di dieci anni. Questa evoluzione del gioco è
stata descritta attraverso una serie di indicatori a duplice polarità, dove il primo polo indica lo stato iniziale e il secondo polo
lo stato finale (Angelo Nobile «Gioco e infanzia», La Scuola, 1994). Nel gioco, cioè, si assiste al passaggio:
- dal semplice al complesso,
- dal facile al difficile,
- dal gioco sensomotorio a quello simbolico,
- dal gioco anomico a quello con regole,
- dal gioco egocentrico e parallelo a quello sociale.
Emerge un’idea di attività ludica come fattore di perfezionamento dell’individuo.
Se osserviamo con attenzione questi indicatori, possiamo notare come gli scacchi si collochino verso la seconda polarità di
ciascuno di essi, che è quella verso cui si tende, non solo per naturale tendenza evolutiva, ma anche a seguito degli
interventi educativi attuati in vari contesti.
In quest’ottica gli scacchi si presentano sicuramente come un gioco con forti potenzialità educative ma per far sì che queste
potenzialità emergano e vengano realmente sfruttate è indispensabile un adeguato approccio al gioco, che tenga conto prima
di tutto del bambino, delle sue capacità, dei suoi bisogni, delle sue aspettative.

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Le funzioni s

  • 1. le funzioni S sono: le funzioni D sono: Verbali: uso di parole per descrivere e definire. Analitiche: soluzione dei problemi per gradi, affrontando un aspetto per volta. Simboliche: uso di simboli per la rappresentazione di oggetti. Astratte: estrapolazione di un dato parziale utilizzandolo per rappresentare l’oggetto intero. Temporali: scansione del tempo; applicazione di un ordine successivo agli oggetti, alle azioni, ecc.(cose da fare prima, cose da fare dopo). Razionali: formulazione di conclusioni in base a premesse e fatti. Computistiche: uso dei numeri come nella computazione. Logiche: formulazione di conclusioni in base alla logica; elaborazione di ordini successivi di tipo logico (es.: teoremi matematici, ragionamenti impostati correttamente). Lineari: pensiero basato su idee collegate (un pensiero segue direttamente un altro e spesso entrambi portano in convergenza alla medesima conclusione). Non-verbali: consapevolezza delle cose senza minimo ricorso alle parole. Sintetiche: unione degli elementi di una situazione a formare il tutto. Concrete: considerazione delle cose così come sono a l momento presente. Analogiche: percezione delle somiglianze tra oggetti; comprensione dei rapporti basati sulla metafora Atemporali: mancanza del senso del tempo. Non razionali: mancanza della necessità di premesse e fatti; disponibilità a sospendere il giudizio. Spaziali: osservazione della collocazione degli oggetti rispetto ad altri oggetti, e delle parti rispetto all’intero. Intuitive: momenti illuminanti, di improvvisa compresa delle cose, spesso in base a schemi incompleti, impressioni, sensazioni o immagini visive. Globali: visione contemporanea di tutti gli aspetti di un oggetto o fatto, percezione di schemi o strutture al completo, spesso orientate verso visioni divergenti. Tabella 2. caratteristiche attribuite all’ emisfero sinistro e all’emisfero destro del cervello. LE FUNZIONI DEL GIOCO a) funzione socializzante Si tratta probabilmente della funzione più universalmente attribuita al gioco. Tutti i giochi, ad eccezione di quelli individuali, pongono il bambino in interazione con altri e lo costringono ad attenuare il proprio egocentrismo e a tener conto delle aspettative e dei punti di vista altrui.
  • 2. b) funzione diagnostica Dall’osservazione della condotta ludica del bambino si possono ricavare informazioni molto significative sulla personalità del bambino, sul suo livello di maturazione globale e cognitiva, sugli aspetti emotivo-affettivi e, addirittura, sulle sue componenti inconsce e/o patologiche. Già la scelta abituale di un determinato gioco piuttosto che un altro non è casuale, ma è generalmente motivata da bisogni interiori. La superficialità (che si traduce in eccessiva e frequente variabilità) o la stereotipia (che si traduce in scarsa e lenta variabilità) negli interessi ludici sono altri indicatori significativi della personalità del bambino. Alcuni comportamenti anomali del bambino nel gioco, quali il costante rifiuto di giocare, la sistematica azione di disturbo nei confronti di altri bambini impegnati nel gioco, sono spesso segnali di problemi, conflitti che turbano il bambino e non gli consentono di integrarsi nel corso dell’attività ludica. In alcuni casi il gioco (soprattutto il gioco simbolico e drammatico o il gioco di gruppo) viene utilizzato in ambito psicoanalitico con funzione diagnostica analoga a quella svolta dai test proiettivi, in quanto consente l’emergere di situazioni conflittuali inconsce. c) funzione terapeutica Il gioco svolge una funzione terapeutica non solo per quanto attiene il suo impiego clinico in psicologia (la terapia del gioco), ma anche per la possibilità che offre più in generale di attenuare o compensare tensioni o disagi interiori del bambino. Ciò avviene soprattutto nel gioco simbolico, attraverso l’assunzione dei ruoli. Una funzione terapeutica in tal senso viene riconosciuta anche al gioco competitivo, in quanto esso consente al bambino di vivere l’esperienza della sconfitta in una forma accettabile e non emotivamente destabilizzante (come potrebbe invece accadere più facilmente per l’insuccesso sperimentato nella vita reale), anche perché il gioco offre sempre, a differenza della realtà, la possibilità della rivincita e del riscatto. d) funzione cognitiva Il gioco si presenta come mezzo di costruzione e consolidamento delle strutture cognitive. Molti giochi attivano, anche se in misura diversa, alcune capacità di tipo intellettivo, quali l’attenzione, la riflessione, la memoria, l’osservazione, il ragionamento, la fluidità verbale, la comprensione, l’abilità spaziale, la logica.... Il gioco, quindi, è di per sé fonte d’apprendimento. Per questa sua caratteristica esso viene spesso utilizzato come strumento d’apprendimento. Ecco allora l’impiego del gioco nella scuola e il diffondersi dei cosiddetti giochi educativi e didattici, che vengono costruiti proprio con l’intento di promuovere nel bambino determinate abilità e conoscenze. C’è chi ritiene che in realtà sia più importante educare a giocare piuttosto che educare attraverso il gioco; si valorizza cioè il gioco non tanto o non solo come strategia didattica, bensì come esperienza vitale per il bambino, esperienza che, comunque, ha di per sé una forte valenza educativa. e) funzione etica Questa funzione viene attribuita soprattutto al gioco di squadra e al gioco con regole. Il gioco di squadra favorisce lo spirito di solidarietà del gruppo, porta il bambino a responsabilizzarsi nei confronti dei compagni di squadra e ad armonizzare i propri comportamenti con quelli altrui, superando atteggiamenti individualistici. Attraverso i giochi con regole il bambino impara il rispetto delle regole e sviluppa concetti di equità, di turnazione, di reciprocità e può essere guidato a rifiutare quegli atteggiamenti di prevaricazione, di scorrettezza, di ingiustizia, che non consentono il regolare svolgimento del gioco. Il gioco, quando richiede l’utilizzo di oggetti o strumenti particolari, abitua il bambino al rispetto e alla cura di tali oggetti e strumenti, necessari per poter giocare in successive occasioni. f) funzione linguistica Questa funzione si manifesta in varie modalità. In primo luogo, tutti i giochi non individuali portano all’interazione e allo scambio linguistico con i coetanei. Inoltre, nel corso del gioco i bambini apprendono termini nuovi e si abituano ad utilizzarli. Spesso per imparare a svolgere il gioco è necessario seguire istruzioni verbali. Vi sono poi i giochi linguistici, più specificatamente mirati allo sviluppo del linguaggio. g) funzione motoria Questa funzione è propria dei giochi di movimento, che comportano il correre, il saltare, lo strisciare, l’arrampicarsi... Questi giochi favoriscono la coordinazione dinamica generale, il controllo posturale, la conoscenza del proprio corpo. La funzione motoria è attribuita anche ai giochi di manipolazione, che favoriscono la motricità fine. h) funzione creativa Anche la funzione di stimolazione della creatività viene unanimamente attribuita al gioco, sia nel senso di arricchimento della fantasia (soprattutto nei giochi di imitazione fantastica e drammatizzazione, cioè i giochi spontanei e non strutturati che attivano le capacità simbolico-rappresentative), sia nel senso di ricerca di soluzioni nuove e originali (dimensione che per certi aspetti potrebbe anche rientrare nella funzione cognitiva). GLI SCACCHI Ogni gioco può presentare una o più delle funzioni che sono state descritte; le altre possono non essere presenti o avere un ruolo solo marginale.
  • 3. Si tratta allora di vedere quali delle funzioni indicate si presentano come maggiormente caratterizzanti il gioco degli scacchi e attraverso quale approccio al gioco tali funzioni possono essere meglio valorizzate in prospettiva educativa. La funzione socializzante, la funzione cognitiva e la funzione etica sono probabilmente le più evidenti nel gioco degli scacchi. In relazione alla funzione socializzante, va innanzitutto sottolineato che gli scacchi favoriscono l’interazione con altri bambini e, soprattutto, pongono il bambino di fronte alla necessità di tener conto del punto di vista altrui. Il bambino è tendenzialmente portato a considerare la propria visione delle cose come l’unica possibile. Nel corso di una partita a scacchi, però, il bambino impara poco per volta a tener conto della presenza dell’avversario e delle mosse che l’avversario oppone alle sue. Questa graduale presa di coscienza aiuta il bambino a superare il suo naturale egocentrismo. Vi è poi un altro aspetto del gioco degli scacchi connesso alla funzione socializzante, ed anche a quella etica. Gli scacchi sono un gioco competitivo. In relazione al gioco competitivo vengono espresse opinioni diverse. C’è chi ritiene che i giochi competitivi non favoriscano la socializzazione nei bambini in quanto portano i bambini a voler vincere a tutti i costi e con ogni mezzo, a sviluppare il senso di superiorità nei confronti dell’avversario; meglio sarebbero, per costoro, i giochi cooperativi, nei quali i bambini devono collaborare per raggiungere una meta comune. Personalmente ritengo che la competitività non vada demonizzata in questo modo, ma vada canalizzata e, ovviamente, non esasperata. Anche nel caso in cui la competitività generi un rapporto conflittuale, la dimensione socializzante va recuperata, cogliendo l’occasione per aiutare il bambino a gestire il conflitto, attraverso la riflessione e il dialogo, consapevoli del fatto che il conflitto è una componente della relazione, che non va drammatizzata, ma controllata e superata. Può risultare utile, per canalizzare in una giusta direzione il fattore agonistico, organizzare, oltre che tornei individuali, anche tornei a squadre, dove la prestazione individuale è in funzione di un obiettivo comune; ciò può contribuire a sviluppare lo spirito di solidarietà e collaborazione con gli altri, nonché la comunicazione in un senso più generale. Siamo a questo punto già sfociati nella dimensione etica. In che senso gli scacchi possono avere una funzione etica? Si tratta di un gioco con regole, regole che sono numerose e complesse, e il rispetto di tali regole si presenta come condizione imprescindibile per lo svolgimento del gioco stesso. Si tratta di un gioco competitivo, dove il rispetto per l’avversario e l’accettazione del risultato della partita diventano atteggiamenti ai quali è importante educare i bambini. Ancora, si tratta di un gioco individuale che però può diventare, in alcune occasioni, anche di squadra, favorendo così lo spirito di solidarietà e di collaborazione. Veniamo, infine, alla funzione cognitiva, quella che forse è stata sempre maggiormente evidenziata e valorizzata nel gioco degli scacchi. In più occasioni è stato sottolineato che gli scacchi favoriscono lo sviluppo di abilità di tipo cognitivo, quali la memoria, la concentrazione, l’attenzione, la capacità di previsione, l’abilità spaziale... e ciò è senza dubbio vero. In ogni caso, è importante tener sempre presente l’età dei bambini a cui si propone il gioco degli scacchi, nonché il loro livello di sviluppo cognitivo, dal quale non si può prescindere. A tale riguardo, un primo interrogativo che può essere posto è quello relativo all’età migliore per iniziare a giocare a scacchi. Per poter rispondere, è indispensabile precisare che cosa si intende per «età migliore». Forse quella in cui l’assimilazione dei concetti complessi può essere ottimale e il rendimento nel gioco più elevato? O quella in cui il bambino è semplicemente in grado di apprendere le regole fondamentali, applicarle e divertirsi giocando? Probabilmente, nella maggior parte dei casi la domanda viene posta, più o meno consapevolmente, con il primo significato; ma se, per una volta, proviamo a porla in questa seconda accezione, allora si può rispondere che l’età migliore per imparare il gioco degli scacchi può essere anche molto precoce. Lo psicopedagogista americano Jerome S. Bruner ha affermato che «di ogni capacità o conoscenza esiste una adeguata versione che può venire impartita a qualsiasi età si desideri cominciare l’insegnamento, per quanto iniziale e preparatoria tale versione possa essere». Se è motivato (condizione indispensabile), un bambino di 4-5 anni non è troppo piccolo per giocare a scacchi, anche se magari il suo modo di giocare può far inorridire uno scacchista esperto; un bambino di così tenera età può senza dubbio imparare a muovere i pezzi, comprendere che cosa è lo scacco matto, capire come si svolge una partita, ma non pretendiamo da lui che predisponga un piano strategico, che capisca l’utilità di sacrificare un pezzo, che si renda conto dell’opportunità di non catturare un pezzo avversario minacciato perché ci può essere qiualcosa di meglio. Tutto ciò è al di fuori della sua portata, eppure egli è in grado di giocare e provarne piacere; questo ci basta. Per ribadire l’importanza dell’età dei bambini ai quali ci rivolgiamo e la necessità di adeguare ad essa l’approccio al gioco, ricordiamo ad esempio (riprendendo le fasi dello sviluppo cognitivo individuate da Jean Piaget) che il bambino fino all’età di 10-11 anni si trova nella fase del pensiero operatorio concreto e che quindi apprende attraverso l’azione diretta sulle cose. Il bambino di questa età ha bisogno prima di agire e poi di essere stimolato a riflettere sulle azioni che ha compiuto. Anche negli scacchi, quindi, il bambino deve innanzitutto giocare e poi deve essere aiutato a riflettere sul suo gioco. Ciò significa che è importante mettere il bambino in grado di poter giocare il più presto possibile, insegnando inizialmente solo le regole veramente indispensabili per poter svolgere una partita (movimento dei pezzi, scacco, scacco matto) e questo per una serie di motivi: - per soddisfare l’aspettativa ludica dei bambini, che vogliono fondamentalmente giocare; - perché i bambini hanno una capacità di attenzione limitata a brevi periodi, sicuramente non sufficiente per ascoltare tutte
  • 4. insieme le regole del gioco, che sono numerose e complesse; - perché dalla pratica del gioco si possono trarre spunti per introdurre l’insegnamento di nuove regole e principi (ad esempio lo stallo, l’arrocco...). In realtà molti manuali o programmi per l’insegnamento degli scacchi si aprono facendo ricorso alla terminologia scacchistica e alla notazione algebrica e proponendo fin dall’inizio tutte le regole del gioco, prima di consentire l’effettuazione di una partita. Questo approccio, più tecnico e sistematico, tende però ad allontanare il momento della prima esperienza diretta del gioco, con il rischio, soprattutto se si ha a che fare con bambini piccoli, di trasmettere l’impressione che gli scacchi non siano molti divertenti e stimolanti. Forse tutto si gioca nell’abilità dell’insegnante che, indipendentemente dagli strumenti di supporto di cui dispone, deve saper dosare e organizzare in modo adeguato i contenuti d’insegnamento che sta trasmettendo. Sempre in relazione al livello cognitivo dei bambini, occorre tenere in considerazione il fatto che la fase delle operazioni formali, vale a dire della capacità di ragionare in forma ipotetico-deduttiva in base ad assunzioni che non fanno necessariamente riferimento alla realtà, inizia verso i 10-11 anni. E’ a questa età, quindi, che i bambini cominciano ad essere in grado di acquisire e sviluppare concetti strategici più complessi, perché riescono a rappresentarsi mentalmente situazioni ipotetiche e a dedurne le conseguenze. I bambini più piccoli, invece, possono comprendere, e quindi utilizzare, mosse tattiche, brevi e semplici combinazioni che portano ad un risultato subito visibile (cattura di un pezzo, scacco matto...), ovvero ad una conseguenza immediata e non a lungo termine. Anche i cosiddetti principi strategici elementari (per esempio lo sviluppo dei pezzi in apertura) non verranno capiti e applicati dal bambino più piccolo in maniera corretta. Egli, infatti, tende a dare un valore assoluto a ciò che gli viene insegnato e non è in grado di cogliere la relatività di questi concetti, che rischiano così di limitare il suo gioco, anziché facilitarlo. Per esempio, se insistiamo sul fatto che in apertura i pedoni devono occupare il centro della scacchiera, il bambino non prenderà neppure in considerazione le mosse dei pedoni laterali, anche quando queste mosse dovessero essere le uniche buone. Ancor più deluso e confuso sarà poi l’allievo che verrà sconfitto da una di queste mosse non previste. Un’ultima considerazione. Il bambino ha una notevole capacità mnemonica, che gli consente di memorizzare con relativa facilità una serie di mosse. La memorizzazione, però, non va confusa con la reale comprensione della concatenazione logica che lega le mosse. E’ preferibile insistere, negli scacchi come in ogni altra attività, su un apprendimento ragionato e non puramente mnemonico, sfruttando le opportunità che gli scacchi offrono in tal senso. E’ importante che il bambino affini progressivamente il suo gioco sulla base delle esperienze dirette, dei tentativi pratici, aiutato, ovviamente, a fermare l’attenzione sui momenti più positivi e significativi dei suoi esperimenti, in vista di una progressiva concettualizzazione e sintesi delle considerazioni tattiche e strategiche che via via emergono. Oltre tutto, gli apprendimenti basati sulla reale comprensione e non sulla semplice memorizzazione possono essere ricordati con maggiore facilità, possono essere ricostruiti nel caso siano stati dimenticati, possono essere applicati a situazioni diverse. CONCLUSIONE Il gioco infantile subisce una serie di profondi cambiamenti nel corso dell’età evolutiva: è molto diverso, e sotto vari aspetti, il modo di giocare di un bambino di pochi mesi rispetto a quello di un bambino di dieci anni. Questa evoluzione del gioco è stata descritta attraverso una serie di indicatori a duplice polarità, dove il primo polo indica lo stato iniziale e il secondo polo lo stato finale (Angelo Nobile «Gioco e infanzia», La Scuola, 1994). Nel gioco, cioè, si assiste al passaggio: - dal semplice al complesso, - dal facile al difficile, - dal gioco sensomotorio a quello simbolico, - dal gioco anomico a quello con regole, - dal gioco egocentrico e parallelo a quello sociale. Emerge un’idea di attività ludica come fattore di perfezionamento dell’individuo. Se osserviamo con attenzione questi indicatori, possiamo notare come gli scacchi si collochino verso la seconda polarità di ciascuno di essi, che è quella verso cui si tende, non solo per naturale tendenza evolutiva, ma anche a seguito degli interventi educativi attuati in vari contesti. In quest’ottica gli scacchi si presentano sicuramente come un gioco con forti potenzialità educative ma per far sì che queste potenzialità emergano e vengano realmente sfruttate è indispensabile un adeguato approccio al gioco, che tenga conto prima di tutto del bambino, delle sue capacità, dei suoi bisogni, delle sue aspettative.