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THIS is #4THEPLAYERS
psicosogiologia dei consumi culturali 2_paper#2 | @gattigiada_2g1
Io gioco, quindi sono
OVVERO: I SIMULACRI
ovvero: i simulacri
Si parta dal principio che Playstation è una videogame console, quindi un computer le cui capacità sono “limi-
tate” alla sola esecuzione di codici, le cui risposte (variabili) dipendono dalle interazioni con i giocatori, ed i cui
risultati sono stampati a video secondo codici grafici solitamente tridimensionali. Ciò significa che la sua prin-
cipale (ed in molti casi unica) funzionalità è quella di eseguire videogiochi. Questo comporta che gli acquirenti
di PS siano, per la maggior parte, videogiocatori. Ma dal momento che PS ha una sola utilità (ed una sola ca-
tegoria di acquirenti), il suo principale interesse – al fine di risultare competitiva e, quindi, produrre guadagno
per gli stakeholders – sarà quello di migliorare le sue prestazioni in quanto “macchina che esegue videogiochi”.
In termini tecnologici questo comporta, ad esempio, la necessità di aumentare la potenza del processore grafi-
co che stampa a video i codici di un videogame, permettendo agli sviluppatori di questi di creare storie sempre
più realistiche, ed ai giocatori di vivere esperienze sempre più coinvolgenti e verosimili. Significa che Playsta-
tion incrementa le possibilità per i giocatori di immergersi nei giochi come se questi fossero realtà. Ma queste
“realtà” videoludiche – per quanto concrete e dettagliate esse siano – non sono altro che simulacri di mondi
che non esistono e, anzi, imitano realtà che con essi hanno in comune poco o nulla. Tuttavia la realisticità di
un gioco dipende poco o in parte dal sistema su cui questo viene eseguito (la console) – infatti non è PS che
limita la qualità grafica di un game, ma sono i framework utilizzati, la fluidità dei movimenti di un personaggio,
il numero dei dettagli scelti per descrivere una scena, la quantità di texture scelte o il fps selezionato dagli
sviluppatori che rendono un gioco più o meno vicino alla realtà. Sarebbe, perciò, più corretto affermare che PS
concorre alla creazione di AR1
dai tratti cinematografici, nonché di simulacri stessi della realtà.
Quello che, in termini di prodotti PS, potremmo definire più propriamente «simulacro» è, forse, da individuare
nei sempre maggiori elementi “social” introdotti dalla penultima console.
LUDO, ERGO SUM
(GIOCO, QUINDI SONO)
OK, MA CHE TIPO DI SIMULACRI “CREA” PS?
ovvero: i simulacri
Difatti anche se la funzione principale di PS è quella di eseguire videogames, sarebbe impossibile per essa
risultare competitiva fossilizzandosi sul solo miglioramento fisico della console; per questo motivo sono stati
introdotti i già citati servizi quali PS network, PS share etc. Il principio con cui questi servizi funzionano si basa
sull’identità di videogiocatore e sullo sfoggio delle proprie competenze (rappresentate dai trofei ottenuti in
“battaglia”) all’interno comunità; la loro logica è simile a quella dei vari social network presenti in rete, per il
quale il vero valore di un utente (non di una persona – in rete non esistono persone, ma users) è rappresentato
dalla comunità che si viene a creare all’interno dell’ambiente informatico. Tuttavia è proprio questo valore “vir-
tuale” a rendere tali servizi veri e propri simulacri: ciò che è informatico è, infatti, pura illusione – ogni identità,
ogni pixel, ogni trofeo non è altro che una lista di 0 e 1, di atomi incisi su un dischi magnetici.
Pertanto, anche se le funzioni social del tasto share introdotto da PS4 permettono ai videogiocatori di aumen-
tare le possibilità di gioco ed il confronto tra gamers, il vincolo “sociale” legato alla presenza fisica di due gio-
catori presenti nello stesso luogo nel medesimo momento od, anche, la creazione di piccole comunità fisiche
di confronto, viene a perdersi per lasciare spazio a simulacri di relazioni personali.
In cosa consiste il simulacro di relazione creato da PS all’interno di PS network? Di base esso corrisponde alla
community creata in tale ambiente (la sua massima espressione sarebbe l’ormai defunto servizio “PS Home”),
ai legami d’amicizia nati dal confronto tra giocatori i quali, in molte occasioni, non si conoscono fisicamente
né sono mai entrati in contatto in modo reale. La stessa identità di giocatore (giustificata primariamente dal
nickname che si sceglie e, secondariamente, dai trofei ottenuti) è, in qualche modo, il simulacro dell’io ideale
che i gamer creano nel network: non esistono prove concrete e tangibili che accertino tale identità. Per dirla in
breve, come sosterrebbe Focault, la comunità, i legami tra i giocatori, i giocatori stessi «non sono mai esistiti
se non in quanto simulacri».
IO GIOCO = IO ESISTO (IN QUANTO IDENTITÀ VIRTUALE)
CIÒ CHE È VIRTUALE IN REALTÀ NON ESISTE (SONO SOLO CODICI)
LA MIA IDENTITÀ VIRTUALE NON ESISTE
PARTY (multiplaying) vs IDENDITÀ PERSONALE
OVVERO: LIBERTÀ E MONDO LIQUIDO
ovvero: libertà e mondo liquido
murales realizzato come esempio di ambient marketing in occasione del lancio della campagna #theGreatnessAwaits
ovvero: libertà e mondo liquido
Il mondo di PS è quello del gioco: all’interno di un contesto costruito ad hoc per sembrare “reale” il giocatore
può essere chiunque egli desideri; non vi sono obblighi di sorta (se non quelli imposti dalle leggi del game) né
responsabilità nei confronti di altri players, i quali rappresentano mezzi sacrificabili per un fine più alto – la
realizzazione della migliore identità possibile (il sé).
Grazie al multiplayer il giocatore può valutare, a propria discrezione, le qualità degli altri gamers e decidere se
questi gli possano essere utili o meno: costruire una “relazione” risulterebbe più conveniente al fine di comple-
tare una partita, oppure risulterebbe solo d’impiccio? Tornerebbe più utile giocare il ruolo “dell’invasore”, del
“cattivo” ed eliminare gli altri gamers, oppure salvaguardare l’interesse comune e fare squadra? In gioco tutto
e lecito, ed i gamers non hanno valori etici da seguire: anche un amico, in battaglia, diventa sacrificabile.
Guarda lo spot “Perfect Day” https://www.youtube.com/watch?v=VK03aVJekGg
Guarda lo spot “Friendly Competition” https://www.youtube.com/watch?v=sWsftNQvzsM
WHO DO YOU WANT TO BE?
Queste dinamiche di pensiero non sono conseguenza diretta dell’influenza del brand Playstation, che ha sem-
pre cercato di far leva sui valori positivi di cameratismo e confronto che, da sempre, coinvolgono i gamers
acquirenti Sony. Tuttavia persino PS non esita a sfruttare la vena combattiva e narcisistica dei propri giocatori
per aumentare le vendite e competere sul mercato: la già nominata campagna “the greatness awaits” ed, in
particolare, il video “perfect day” sono esemplari di questa mentalità di “combattimento amichevole”.
Ed è proprio in questo che si manifesta la liquidità promossa dal brand: totale libertà d’azione al fine ultimo di
raggiungere la grandezza.
Guarda lo spot PS2 https://www.youtube.com/watch?v=TfEZpU3S_zc
ovvero: libertà e mondo liquido
Se una volta i giocatori erano i “nerd”, reietti della società, derisi ed ostracizzati, oggi l’essere player diventa
quasi motivo di vanto, nonché un modo per sfuggire alla dura monotonia della vita quotidiana a favore di mon-
di in cui si può diventare il vero protagonista, l’eroe, oppure il cattivo – ma in ogni caso “colui che le regole le
detta” e non le subisce.
La risposta è: #theGreatnessAwaits. La campagna è sicuramente l’esemplificazione del principio secondo il
quale non è necessario vergognarsi del proprio essere giocatori, ma anzi: condividendo le proprie performan-
ce è possibile avere accesso alla grandezza – cosa dovuta ad ogni giocatore e auspicata dal brand stesso. E
proprio perché la “grandezza” è un diritto inalienabile di ogni gamer che si rispetti, il senso di colpa relativo
all’idea di “sfruttare” altri giocatori al fine di diventare grandi non dovrebbe esistere. E non esiste – ma questo
non dipende da PS bensì dalla mentalità di distacco derivata dall’idea di gioco, nonché l’insensibilità legata a
certi tipi di violenza videoludica.
Il modello di società PS è quello di una comunità in cui i giocatori possono costruirsi con le proprie mani, am-
monticchiando trofei su trofei (ciò che fa parte di PS e che definisce l’identità di un giocatore), e come statue
d’argilla possono cambiare forma a seconda dall’identità che scelgono, con fine ultimo la grandezza.
Guarda lo spot “COD surprise” https://www.youtube.com/watch?v=4wIZp_E2CxQ
Guarda lo spot “the Greatness awaits ” https://www.youtube.com/watch?v=QOdW1OuZ1U0
Guarda lo spot “Infamous Second Son” https://www.youtube.com/watch?v=jHzh96ehv4A
COME SI COLLOCA PS NELLA DIFFUSIONE DI QUESTA MENTALITÀ?
ovvero: libertà e mondo liquido
È una società per il quale non esiste “buono” o “cattivo”, “bene” o “male”, ma “molto abile” o “poco abile” a
seconda della quantità di trofei che si posseggono; questo influisce sugli obblighi che hanno i giocatori nei
confronti gli uni degli altri.
In questo contesto per il quale ogni legame [virtuale] è pura convenienza e, quindi, simulacro di relazione, ogni
giocatore ha le stesse qualità di una merce, le cui caratteristiche dipendono dal numero di trofei che possiede
ed alla loro qualità. La comunità PS è, quindi, una società di giocatori “imprenditori” di sé stessi. I legami che
si creano sono deboli, e si spezzano al termine di una partita o, addirittura, nel momento stesso in cui la colla-
borazione smette di essere conveniente.
Se prima i giocatori erano compagni d’armi per il quale la collaborazione rappresentava un gradino verso la
vittoria (in cui tutti avevano merito), ora è solo uno strumento che porta verso la grandezza personale – “l’io”
è l’unico protagonista. Non esiste più il party, non esiste più responsabilità: il giocatore ha obblighi solo nei
confronti di sé stesso.
Questa totale libertà d’espressione e definizione elimina ogni necessità di ribellione: perché dedicare le pro-
prie frustrazioni verso il mondo reale quando è possibile farlo all’interno di un gioco in cui le conseguenze non
esistono?
Guarda lo spot “AC Unity” https://www.youtube.com/watch?v=uEVD31y8cME
Guarda lo spot “AC 3” https://www.youtube.com/watch?v=wmZ9GnY_Ekg
Guarda lo spot “Watch Dogs” https://www.youtube.com/watch?v=DqoQG_XYF-8
WHO ARE YOU NOT TO BE GREAT?
OVVERO: RESPONSABILITÀ
ovvero: responsabilità
Guarda lo spot “COD epic night” https://www.youtube.com/watch?v=MNxh7umVOZ0
Guarda lo spot “welcome to the future of play” http://vimeo.com/111546278
I giocatori hanno, quindi, un solo obbligo verso sé stessi e verso il mondo: ottenere e dare prova delle proprie ca-
pacità. Tutto il resto si annulla davanti a questo imperativo, voluto dalla stessa PS e sottolineato da una campagna
dai tratti epici: “Chi sei tu per non essere grande? […] Chi sei tu per essere anonimo? […] Chi sei tu per negare la
grandezza? Negandola a te stesso, la negheresti all’intero mondo. E noi [giocatori] non vogliamo che ci sia negata”.
Benché l’idea di affermazione personale (l’utilizzo risonante della seconda persona singolare, quel “tu” che il testi-
monial di “the greatness awaits” continua a pronunciare rivolto allo schermo) sia fortemente egoistica, il messaggio
che viene condiviso sembra quasi rimandare all’idea che condividendo le proprie “grandiose” gesta videoludiche si
consegni al mondo qualcosa di fondamentale. Eppure la campagna, così come l’idea dalla quale essa è nata (lo share
dei gameplay a fini celebrativi) è fortemente personale ed ha poco a che fare con l’altruismo, tanto più che nei video
successivi
WHO ARE YOU NOT TO BE GREAT?
Playstation sembra affermare che non è importante tanto colui con il quale si condivide lo schermo, quando le po-
tenzialità che questo ci offre1
. Ecco, questa è la conseguenza diretta alla libertà fornita prima dal multiplaying e,
poi, dal tasto share; l’idea che tutto quanto è solo un gioco, e quindi ogni morte non è altro che virtuale. Ma non do-
vrebbe essere, proprio per questo motivo, drammatica in egual misura? I giocatori non costruiscono accuratamente
le proprie identità virtuali considerandole, in alcuni casi, al pari di quelle reali? Essi non dovrebbero avere, quindi,
obblighi morali nei confronti gli uni degli altri? La risposta è no.
Laddove una volta, per giocare in multiplaying, due gamers dovevano incontrarsi concretamente su un divano e
condividere il pad, oggi è sufficiente che schiaccino il tasto share, oppure che si connettano ad internet per trovare
qualcuno disposto a giocare in cambio di un avanzamento di grado. Questo spostamento della relazione umana
dal “diretto” al “mediato” ha eliminato qualsiasi tipo di emozione, che i giocatori cercano, egoisticamente, nella
realizzazione del sé. Più che parlare di responsabilità verso gli altri, quindi, è più corretto parlare di “mancanza di
responsabilità” nei confronti di altri giocatori, sacrificata ad una maggiore possibilità d’affermazione personale – la
grandezza.
ovvero: note
1
Augmented reality o realtà aumentata
2
infatti quando il “Dave” di turno viene sconfitto, i due amici, pur di non soccombere nel gioco, iniziano a vagliare altri potenziali colla-
boratori/vittime sacrificali che li salvino dalla situazione in cui si trovano

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  • 1. THIS is #4THEPLAYERS psicosogiologia dei consumi culturali 2_paper#2 | @gattigiada_2g1
  • 2. Io gioco, quindi sono OVVERO: I SIMULACRI
  • 3. ovvero: i simulacri Si parta dal principio che Playstation è una videogame console, quindi un computer le cui capacità sono “limi- tate” alla sola esecuzione di codici, le cui risposte (variabili) dipendono dalle interazioni con i giocatori, ed i cui risultati sono stampati a video secondo codici grafici solitamente tridimensionali. Ciò significa che la sua prin- cipale (ed in molti casi unica) funzionalità è quella di eseguire videogiochi. Questo comporta che gli acquirenti di PS siano, per la maggior parte, videogiocatori. Ma dal momento che PS ha una sola utilità (ed una sola ca- tegoria di acquirenti), il suo principale interesse – al fine di risultare competitiva e, quindi, produrre guadagno per gli stakeholders – sarà quello di migliorare le sue prestazioni in quanto “macchina che esegue videogiochi”. In termini tecnologici questo comporta, ad esempio, la necessità di aumentare la potenza del processore grafi- co che stampa a video i codici di un videogame, permettendo agli sviluppatori di questi di creare storie sempre più realistiche, ed ai giocatori di vivere esperienze sempre più coinvolgenti e verosimili. Significa che Playsta- tion incrementa le possibilità per i giocatori di immergersi nei giochi come se questi fossero realtà. Ma queste “realtà” videoludiche – per quanto concrete e dettagliate esse siano – non sono altro che simulacri di mondi che non esistono e, anzi, imitano realtà che con essi hanno in comune poco o nulla. Tuttavia la realisticità di un gioco dipende poco o in parte dal sistema su cui questo viene eseguito (la console) – infatti non è PS che limita la qualità grafica di un game, ma sono i framework utilizzati, la fluidità dei movimenti di un personaggio, il numero dei dettagli scelti per descrivere una scena, la quantità di texture scelte o il fps selezionato dagli sviluppatori che rendono un gioco più o meno vicino alla realtà. Sarebbe, perciò, più corretto affermare che PS concorre alla creazione di AR1 dai tratti cinematografici, nonché di simulacri stessi della realtà. Quello che, in termini di prodotti PS, potremmo definire più propriamente «simulacro» è, forse, da individuare nei sempre maggiori elementi “social” introdotti dalla penultima console. LUDO, ERGO SUM (GIOCO, QUINDI SONO) OK, MA CHE TIPO DI SIMULACRI “CREA” PS?
  • 4. ovvero: i simulacri Difatti anche se la funzione principale di PS è quella di eseguire videogames, sarebbe impossibile per essa risultare competitiva fossilizzandosi sul solo miglioramento fisico della console; per questo motivo sono stati introdotti i già citati servizi quali PS network, PS share etc. Il principio con cui questi servizi funzionano si basa sull’identità di videogiocatore e sullo sfoggio delle proprie competenze (rappresentate dai trofei ottenuti in “battaglia”) all’interno comunità; la loro logica è simile a quella dei vari social network presenti in rete, per il quale il vero valore di un utente (non di una persona – in rete non esistono persone, ma users) è rappresentato dalla comunità che si viene a creare all’interno dell’ambiente informatico. Tuttavia è proprio questo valore “vir- tuale” a rendere tali servizi veri e propri simulacri: ciò che è informatico è, infatti, pura illusione – ogni identità, ogni pixel, ogni trofeo non è altro che una lista di 0 e 1, di atomi incisi su un dischi magnetici. Pertanto, anche se le funzioni social del tasto share introdotto da PS4 permettono ai videogiocatori di aumen- tare le possibilità di gioco ed il confronto tra gamers, il vincolo “sociale” legato alla presenza fisica di due gio- catori presenti nello stesso luogo nel medesimo momento od, anche, la creazione di piccole comunità fisiche di confronto, viene a perdersi per lasciare spazio a simulacri di relazioni personali. In cosa consiste il simulacro di relazione creato da PS all’interno di PS network? Di base esso corrisponde alla community creata in tale ambiente (la sua massima espressione sarebbe l’ormai defunto servizio “PS Home”), ai legami d’amicizia nati dal confronto tra giocatori i quali, in molte occasioni, non si conoscono fisicamente né sono mai entrati in contatto in modo reale. La stessa identità di giocatore (giustificata primariamente dal nickname che si sceglie e, secondariamente, dai trofei ottenuti) è, in qualche modo, il simulacro dell’io ideale che i gamer creano nel network: non esistono prove concrete e tangibili che accertino tale identità. Per dirla in breve, come sosterrebbe Focault, la comunità, i legami tra i giocatori, i giocatori stessi «non sono mai esistiti se non in quanto simulacri». IO GIOCO = IO ESISTO (IN QUANTO IDENTITÀ VIRTUALE) CIÒ CHE È VIRTUALE IN REALTÀ NON ESISTE (SONO SOLO CODICI) LA MIA IDENTITÀ VIRTUALE NON ESISTE
  • 5. PARTY (multiplaying) vs IDENDITÀ PERSONALE OVVERO: LIBERTÀ E MONDO LIQUIDO
  • 6. ovvero: libertà e mondo liquido murales realizzato come esempio di ambient marketing in occasione del lancio della campagna #theGreatnessAwaits
  • 7. ovvero: libertà e mondo liquido Il mondo di PS è quello del gioco: all’interno di un contesto costruito ad hoc per sembrare “reale” il giocatore può essere chiunque egli desideri; non vi sono obblighi di sorta (se non quelli imposti dalle leggi del game) né responsabilità nei confronti di altri players, i quali rappresentano mezzi sacrificabili per un fine più alto – la realizzazione della migliore identità possibile (il sé). Grazie al multiplayer il giocatore può valutare, a propria discrezione, le qualità degli altri gamers e decidere se questi gli possano essere utili o meno: costruire una “relazione” risulterebbe più conveniente al fine di comple- tare una partita, oppure risulterebbe solo d’impiccio? Tornerebbe più utile giocare il ruolo “dell’invasore”, del “cattivo” ed eliminare gli altri gamers, oppure salvaguardare l’interesse comune e fare squadra? In gioco tutto e lecito, ed i gamers non hanno valori etici da seguire: anche un amico, in battaglia, diventa sacrificabile. Guarda lo spot “Perfect Day” https://www.youtube.com/watch?v=VK03aVJekGg Guarda lo spot “Friendly Competition” https://www.youtube.com/watch?v=sWsftNQvzsM WHO DO YOU WANT TO BE? Queste dinamiche di pensiero non sono conseguenza diretta dell’influenza del brand Playstation, che ha sem- pre cercato di far leva sui valori positivi di cameratismo e confronto che, da sempre, coinvolgono i gamers acquirenti Sony. Tuttavia persino PS non esita a sfruttare la vena combattiva e narcisistica dei propri giocatori per aumentare le vendite e competere sul mercato: la già nominata campagna “the greatness awaits” ed, in particolare, il video “perfect day” sono esemplari di questa mentalità di “combattimento amichevole”. Ed è proprio in questo che si manifesta la liquidità promossa dal brand: totale libertà d’azione al fine ultimo di raggiungere la grandezza. Guarda lo spot PS2 https://www.youtube.com/watch?v=TfEZpU3S_zc
  • 8. ovvero: libertà e mondo liquido Se una volta i giocatori erano i “nerd”, reietti della società, derisi ed ostracizzati, oggi l’essere player diventa quasi motivo di vanto, nonché un modo per sfuggire alla dura monotonia della vita quotidiana a favore di mon- di in cui si può diventare il vero protagonista, l’eroe, oppure il cattivo – ma in ogni caso “colui che le regole le detta” e non le subisce. La risposta è: #theGreatnessAwaits. La campagna è sicuramente l’esemplificazione del principio secondo il quale non è necessario vergognarsi del proprio essere giocatori, ma anzi: condividendo le proprie performan- ce è possibile avere accesso alla grandezza – cosa dovuta ad ogni giocatore e auspicata dal brand stesso. E proprio perché la “grandezza” è un diritto inalienabile di ogni gamer che si rispetti, il senso di colpa relativo all’idea di “sfruttare” altri giocatori al fine di diventare grandi non dovrebbe esistere. E non esiste – ma questo non dipende da PS bensì dalla mentalità di distacco derivata dall’idea di gioco, nonché l’insensibilità legata a certi tipi di violenza videoludica. Il modello di società PS è quello di una comunità in cui i giocatori possono costruirsi con le proprie mani, am- monticchiando trofei su trofei (ciò che fa parte di PS e che definisce l’identità di un giocatore), e come statue d’argilla possono cambiare forma a seconda dall’identità che scelgono, con fine ultimo la grandezza. Guarda lo spot “COD surprise” https://www.youtube.com/watch?v=4wIZp_E2CxQ Guarda lo spot “the Greatness awaits ” https://www.youtube.com/watch?v=QOdW1OuZ1U0 Guarda lo spot “Infamous Second Son” https://www.youtube.com/watch?v=jHzh96ehv4A COME SI COLLOCA PS NELLA DIFFUSIONE DI QUESTA MENTALITÀ?
  • 9. ovvero: libertà e mondo liquido È una società per il quale non esiste “buono” o “cattivo”, “bene” o “male”, ma “molto abile” o “poco abile” a seconda della quantità di trofei che si posseggono; questo influisce sugli obblighi che hanno i giocatori nei confronti gli uni degli altri. In questo contesto per il quale ogni legame [virtuale] è pura convenienza e, quindi, simulacro di relazione, ogni giocatore ha le stesse qualità di una merce, le cui caratteristiche dipendono dal numero di trofei che possiede ed alla loro qualità. La comunità PS è, quindi, una società di giocatori “imprenditori” di sé stessi. I legami che si creano sono deboli, e si spezzano al termine di una partita o, addirittura, nel momento stesso in cui la colla- borazione smette di essere conveniente. Se prima i giocatori erano compagni d’armi per il quale la collaborazione rappresentava un gradino verso la vittoria (in cui tutti avevano merito), ora è solo uno strumento che porta verso la grandezza personale – “l’io” è l’unico protagonista. Non esiste più il party, non esiste più responsabilità: il giocatore ha obblighi solo nei confronti di sé stesso. Questa totale libertà d’espressione e definizione elimina ogni necessità di ribellione: perché dedicare le pro- prie frustrazioni verso il mondo reale quando è possibile farlo all’interno di un gioco in cui le conseguenze non esistono? Guarda lo spot “AC Unity” https://www.youtube.com/watch?v=uEVD31y8cME Guarda lo spot “AC 3” https://www.youtube.com/watch?v=wmZ9GnY_Ekg Guarda lo spot “Watch Dogs” https://www.youtube.com/watch?v=DqoQG_XYF-8
  • 10. WHO ARE YOU NOT TO BE GREAT? OVVERO: RESPONSABILITÀ
  • 11. ovvero: responsabilità Guarda lo spot “COD epic night” https://www.youtube.com/watch?v=MNxh7umVOZ0 Guarda lo spot “welcome to the future of play” http://vimeo.com/111546278 I giocatori hanno, quindi, un solo obbligo verso sé stessi e verso il mondo: ottenere e dare prova delle proprie ca- pacità. Tutto il resto si annulla davanti a questo imperativo, voluto dalla stessa PS e sottolineato da una campagna dai tratti epici: “Chi sei tu per non essere grande? […] Chi sei tu per essere anonimo? […] Chi sei tu per negare la grandezza? Negandola a te stesso, la negheresti all’intero mondo. E noi [giocatori] non vogliamo che ci sia negata”. Benché l’idea di affermazione personale (l’utilizzo risonante della seconda persona singolare, quel “tu” che il testi- monial di “the greatness awaits” continua a pronunciare rivolto allo schermo) sia fortemente egoistica, il messaggio che viene condiviso sembra quasi rimandare all’idea che condividendo le proprie “grandiose” gesta videoludiche si consegni al mondo qualcosa di fondamentale. Eppure la campagna, così come l’idea dalla quale essa è nata (lo share dei gameplay a fini celebrativi) è fortemente personale ed ha poco a che fare con l’altruismo, tanto più che nei video successivi WHO ARE YOU NOT TO BE GREAT? Playstation sembra affermare che non è importante tanto colui con il quale si condivide lo schermo, quando le po- tenzialità che questo ci offre1 . Ecco, questa è la conseguenza diretta alla libertà fornita prima dal multiplaying e, poi, dal tasto share; l’idea che tutto quanto è solo un gioco, e quindi ogni morte non è altro che virtuale. Ma non do- vrebbe essere, proprio per questo motivo, drammatica in egual misura? I giocatori non costruiscono accuratamente le proprie identità virtuali considerandole, in alcuni casi, al pari di quelle reali? Essi non dovrebbero avere, quindi, obblighi morali nei confronti gli uni degli altri? La risposta è no. Laddove una volta, per giocare in multiplaying, due gamers dovevano incontrarsi concretamente su un divano e condividere il pad, oggi è sufficiente che schiaccino il tasto share, oppure che si connettano ad internet per trovare qualcuno disposto a giocare in cambio di un avanzamento di grado. Questo spostamento della relazione umana dal “diretto” al “mediato” ha eliminato qualsiasi tipo di emozione, che i giocatori cercano, egoisticamente, nella realizzazione del sé. Più che parlare di responsabilità verso gli altri, quindi, è più corretto parlare di “mancanza di responsabilità” nei confronti di altri giocatori, sacrificata ad una maggiore possibilità d’affermazione personale – la grandezza.
  • 12. ovvero: note 1 Augmented reality o realtà aumentata 2 infatti quando il “Dave” di turno viene sconfitto, i due amici, pur di non soccombere nel gioco, iniziano a vagliare altri potenziali colla- boratori/vittime sacrificali che li salvino dalla situazione in cui si trovano