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L’Istituto per il Credito Sportivo (ICS), la banca pubblica dello sport, dopo quattro anni ripropone questo progetto editoria-
le “Stadi d’Italia” del giornalista Sandro Solinas, nella sua qualità di “azionista di riferimento” del patrimonio impiantistico
sportivo del Paese.
Grazieinfattiaiinanziamentidell’IstitutosonostatirealizzatioristrutturatidaiComuniproprietario,inpochicasi,daiClub
calcistici, la maggior parte degli stadi italiani.
Rispetto alla prima edizione, questo volume ha raggiunto una copertura praticamente integrale del network nazionale
degli stadi e, inoltre, è stato arricchito con numerosi dettagli tecnici sui singoli impianti che lo rendono anche un utile stru-
mento di consultazione, comparazione e lavoro per tutti gli operatori dell’industria del calcio tricolore.
La caratteristica di questa pregevole opera è quella di “animare” gli stadi che diventano essi stessi i protagonisti di tante
pagine di storia dello sport dei “Mille campanili del nostro Paese” completate da originali aneddoti e particolari tecnici.
La lettura di questo libro, inoltre, suscita intense emozioni perché riporta alla memoria le esperienze di passione calcistica
vissute da ciascuno nel passato sugli spalti gremiti.
E intanto il tempo è trascorso anche per le nostre arene, gli stadi sono inesorabilmente invecchiati, gli spalti sono divenuti
poco ospitali e gli spettatori continuano sempre di più ad allontanarsi dallo spettacolo calcistico dal vivo.
Il mondo e l’Europa sono progrediti, mentre il nostro Paese è ancora fermo a pochi esempi virtuosi come lo Juventus Sta-
dium di Torino, il Dacia Arena di Udine e, dalla stagione calcistica 2017/2018, anche il Benito Stirpe di Frosinone.
Lo stadio moderno, oggi, per avere appeal per gli appassionati e per le loro famiglie deve possedere una serie di requisiti:
ottima visibilità dello spettacolo, confort, sicurezza, dotazioni tecnologiche, ristoranti, bar, musei dei club, fan shop e altre
caratteristiche invitanti legate ai singoli territori di riferimento.
Per realizzare una nuova generazione di stadi sono necessari investimenti importanti e formule inanziarie anche innovati-
ve, ma soprattutto ci vuole un ottimo gioco di squadra fra i Comuni proprietari, i Club calcistici e le istituzioni.
Èquestounmomentostoricoincuioccorrefaresistemaperridarecompetitivitàall’industriadelcalcioattraversolarealiz-
zazione di un network di stadi moderni.
L’ICS, attraverso questo libro, intende quindi proiettarsi nel futuro, pienamente consapevole che, quale banca pubblica al
serviziodellosport,haanchelaresponsabilitàfondamentaledifarcolmare,quantoprima,ilgapinfrastrutturaledelnostro
Paeseedifartornareglistadiprotagonistidinuove,avvincentiedemozionantistoriedi“sport”edi“vita”conglispaltiaffol-
lati non solo da appassionati di calcio, ma anche dalle loro famiglie.
DALPASSATO
ALPRESENTE,
PERCOSTRUIRE
ILFUTURO
di Paolo D’Alessio
Paolo D’Alessio
Ilviaggiotraglistadid’Italiaèunpercorsoaffascinantenellastorianonsolospor-
tivadelnostroPaese.Unviaggioattraversoiluoghisimbolodiunodeglisportpiù
popolarieamati:ilcalcio.Investirenelleinfrastrutturesportivenonèsoloun’ope-
razioneeconomicamaèancheun’opportunitàculturaleesociale.Dotarsidistadi
funzionali, accoglienti e senza barriere vuol dire conferire un valore aggiunto al
nostrocampionato.PensoadesempioaquellodiSerieAchedevediventaresem-
pre più competitivo, a livello tecnico e di immagine. Tra i punti principali del mio
mandato come ministro c’è quello di rendere più snelli e eficaci i processi che
possono favorire la ristrutturazione o la costruzione, ove necessario, di impianti
sportivi. Lo stadio, in questo modo, può tornare ad essere il “tempio dello sport”
e può diventare non solo un polo di attrazione turistica ma anche un volano per
l’economia della città che lo ospita. Non possiamo più permetterci passi falsi, lo
dobbiamo alla nostra storia e alla nostra tradizione calcistica. E’ fondamentale
che gli stadi tornino a essere un luogo dove le famiglie possono vivere la magia
delcalcio.Nonpotròmaidimenticarelaprimavoltachesonoentratoall’Artemio
Franchi di Firenze. Ricordo tutto: gli spalti, le bandiere, quel luogo che ai miei
occhidibambinoapparivaimmenso,cosìcomel’atmosferadifestael’adrenalina
prima del ischio d’inizio. Uno dei compiti come ministro per lo Sport, ai quali
tengo particolarmente, è far sì che lo sport possa continuare a far sognare i più
piccoli. Deve riempire d’orgoglio ogni volta che uno di loro inizia a tirare qualche
calcioalpalloneinuncampettovicinocasa:vuoldirecheleistituzionieilsistema
sport hanno centrato un obiettivo. In questo quadro si inserisce un’altra priorità
che ho assunto, ovvero l’impegno verso la progressiva eliminazione dell’errato
concetto di “sport minori”. Per riuscire a cancellare questa ingiusta gerarchia è
indispensabile poter offrire infrastrutture adeguate e sicure, dove poter praticare
tuttiglisport.Eccoperchéoltreaglistadil’attenzionecomeministroèaltaanche
nei confronti delle periferie dove spesso nasce la passione per lo sport. Proprio
come successe a me tanti anni fa a Samminiatello dove ho imparato il valore del
gioco di squadra e dove ho assimilato il valore positivo della lealtà.
Viaggioneglistadi:
ilnostrofuturotra
storiaetradizione
calcistica
di Luca Lotti
Luca Lotti
Gli stadi sono le case dello sport. Dove sport non vuol dire solo mera competizio-
ne inalizzata al raggiungimento della vittoria ma anche condivisione capace di
far vincere l’aggregazione e l’inclusione sociale. Stadio signiica sviluppo, para-
metro di civiltà, occasione di confronto e di occupazione. Parto dalla doverosa
premessaperapplaudirel’iniziativalegataaquestapubblicazione,cheripercorre
la storia di oltre 150 impianti che sono stati teatro di side epiche, capaci ancora
oggi di accendere gli entusiasmi attraverso aneddoti affascinanti, che sanno di
inebriante amarcord. Perché l’abbinamento con il calcio abbraccia una delle più
diffuse passioni popolari e sintetizza l’argomento principe di discussione tra gli
amici.Viaggiareneltempo,sfogliandolepaginedistoriachehannocaratterizza-
to la vita di ogni appassionato, aiuta a proiettarci ino alle radici del movimento.
Gli impianti di calcio raccontano una storia speciale e custodiscono un patrimonio
indelebilediemozioniericordi.E’unmodoperriavvolgereilnastroeperripercor-
rereletappepiùavvincentiattraversoun’espressionevividadellanostracomunità.
Ogniimpiantohailsuoparticolarebackground,èuntesorodascoprireedavalo-
rizzarenell’otticadellacrescitadelmovimento.Diventaimportanteconoscerele
modalitàdirealizzazione,letecnicheutilizzate,indagaresullasceltadelleforme
e scoprire l’identità originaria delle opere che ora fanno parte dell’antologia del
settore. Forme e materiali di un’epoca al capolinea, che deve dare spazio al futu-
ro, lasciando in dote esperienze che nessuno potrà mai cancellare dall’immagi-
nario collettivo. Da lì dobbiamo ripartire per evitare errori che non si possono più
commettere. Perché il calcio, come tutto lo sport, ha bisogno di strutture che non
siano obsolete, ma di impianti accoglienti, in linea con i tempi e con le esigenze
dipatrimonializzazionedellesocietà,chiamatiancheaincoraggiareunasocialità
più vicina all’autenticità del messaggio che il nostro mondo intende veicolare e
lontana – il più possibile – da malcostumi dilaganti e pericolose degenerazioni.
Sarebbe bello dimenticare i fossati, le reti protettive, esaltando strutture prive di
barriere architettoniche. E sarebbe bello tornare a vedere le famiglie al posto di
spazi desolatamente vuoti. L’augurio, a nome dello sport italiano, è che il viaggio
nel tempo compiuto da questo libro faccia da preludio all’avvento di un’epoca
indimenticabile per il nostro movimento, perché gli stadi di nuova generazione
possonoessereunasolareoccasionepercontribuirealrilanciodell’immaginedel
calcio e dell’intero Paese.
Inostristadi:
untesorodascopriree
davalorizzare
di Giovanni Malagò
Carlo Tavecchio
Lo stadio è il palcoscenico privilegiato per uno degli spettacoli più belli al
mondo: la partita di calcio. In qualsiasi categoria si giochi, l’impianto sportivo
rappresenta qualcosa in più di un luogo isico perché riesce ad essere, nella
mente dei protagonisti e degli appassionati, un ambiente familiare dove
vivere emozioni intense, degne di essere ricordate, indipendentemente dal
risultato agonistico. Ogni sportivo ha un vivido ricordo legato alla presenza
in uno stadio, magari la partita più importante mai giocata o la prima gara
della squadra del cuore vista dal vivo. Nella maggioranza dei casi, lo stadio
in Italia rispecchia il vissuto storico-sociale della Comunità di riferimento, con
il suo patrimonio umano prima ancora che sportivo. Un valore che emerge in
maniera chiara leggendo questo libro, la cui visione però supera il passato per
portarci al presente e alle dificoltà che il sistema oggi attraversa in questo
settore.
Nonostante una volta fossimo all’avanguardia nell’edilizia legata
all’impiantistica sportiva, nel nostro Paese gli stadi tardano ad essere
ammodernati. Fatta eccezione per qualche lungimirante progetto già portato
a compimento, siamo terribilmente in ritardo nel processo di riconversione
degli impianti, sia per quelli d’elite che per quelli territoriali. È necessario
un nuovo patto tra club, enti locali e istituzioni, tra le quali gioca un ruolo
fondamentale proprio l’Istituto per il Credito Sportivo, al ine di colmare il
gap esistente con il resto d’Europa. Anche sfogliando queste pagine intrise
di storia, però, sono sempre più convinto che la progettazione del nostro
futuro debba obbligatoriamente tenere conto del patrimonio culturale ed
emozionale che le infrastrutture descritte in questo volume ci trasmettono.
Il signiicato che ha illuminato il nostro passato deve essere la base con cui
proiettarci il più velocemente possibile in una nuova era.
Saluto
delPresidente
dellaFIGC
Carlo Tavecchio
Sandro Solinas
Arenedicuoio
di Sandro Solinas
Una storia italiana, questo sono i nostri stadi. Un lungo racconto, un viaggio della memoria attraverso mille ricordi di uomini e donne del
nostro bellissimo Paese. Una storia forse segnata da errori, sprechi, degrado, eccessi ed approssimazione, ma anche ricca di gloria, suc-
cesso e talento. È questo, e nient’altro, che mi ha spinto a raccontare alla tribù del calcio le vicende passate dei nostri stadi. Il desiderio
dì vincere il silenzio e l’oblio calati sui nostri campi, dimenticati senza un vero perché pur essendo lo scrigno dei ricordi e delle emozioni
per intere generazioni di italiani. La loro storia, la nostra storia.
A farmi compagnia nel raccontare un secolo di gioie e dolori vissuti sugli spalti sono ancora loro, gli amici del Credito Sportivo, che
hanno saputo cogliere appieno lo spirito di questa ricerca, più emozionale che tecnica; quasi un romanzo collettivo, una cronaca ininita
narrata da tutti noi, perché nessun luogo è più trasversale di uno stadio, luogo magico dove puoi piangere e gioire abbracciato ad uno
sconosciuto.
Stadi d’Italia nasce così, un lungo viaggio attraverso gli impianti del nostro calcio, alcuni celebri alcuni poco conosciuti, alcuni nuovi al-
cuni scomparsi, per riscoprire il fascino e la storia delle nuove arene che, come i circhi e gli aniteatri nell’antichità classica, sono ancora
oggi i luoghi urbani deputati ad ospitare gli spettacoli sportivi e le manifestazioni di massa. Ieri il Circo Massimo, oggi l’Olimpico, doma-
ni chissà. Arriveranno nuovi stadi, si giocherà altrove, forse in un contesto sociale ed urbano del tutto inedito, all’interno di moderne e
ardite strutture dove - tra invadenti telecamere e connessioni ultraveloci, confortevoli seggiolini e terreni sintetici di ultima generazione
- troveranno spazio le future ambizioni sportive degli atleti italiani e, con esse, nuove emozioni di polvere e sudore destinate per sempre
a convivere con i nostri sogni di ieri.
Voltarsi un’ultima volta per guardare con iducia al domani, gettando lo sguardo oltre i tanti problemi che da tempo travagliano i nostri
stadi, tra i più vuoti e obsoleti del Continente, eppure affascinanti come pochi altri, forti della storia, della tradizione e dei ricordi che
accompagnano. Un irresistibile charme fuori dal tempo, l’acre odore inebriante delle mille side infernali che ogni campo polveroso por-
ta con sé, trascinandolo tra gli spalti al centro del cuore di ogni tifoso. L’unica vera arena che conta.
INTRODUZIONE
di Michele Uva
Direttore Generale FIGC
INTRODUZIONE
di Michele Uva
Direttore Generale FIGC
Stadi d’Italia come indice e palcoscenico unico della storia del calcio italiano.
Giusto. È un diritto di ogni cittadino poter vivere lo sport. Praticarlo, studiarlo,
respirarlo, sentirlo, vederlo in tv o sul web, ma soprattutto viverlo dal vivo. Lo
spettacolo calcistico trasmette emozioni e passioni uniche. Lo sanno bene
le quasi cento milioni di persone che hanno assistito alle oltre undicimila
partite dei campionati di calcio di prima divisione che si disputano in tutta
Europa. Volendo sommare le partite di tutte le categorie in tutto il mondo
il numero straordinariamente cresce per avvicinarsi al miliardo di spettatori
live. Un movimento straordinario.
L’impiantistica sportiva si conferma, inoltre, un asset strategico nello sport
business: secondo le ultime stime, i ricavi ticketing nel mondo ammontano
a 40 miliardi di euro; al momento a livello globale si contano oltre 50 nuovi
progetti di costruzione o ristrutturazione di impianti sportivi di livello profes-
sionistico, per un investimento complessivo pari a 10,2 miliardi di euro e una
capienza complessiva di 1,7 milioni di nuovi seggiolini.
In Europa e nel calcio negli ultimi anni le presenze negli stadi risultano a livel-
lo generale in decremento; nell’ultimo anno è stato toccato il dato più basso
dell’ultimo decennio (96,7 milioni di spettatori). Tra i 10 principali campionati,
inoltre, in ben 7 casi si registra un’afluenza in diminuzione. Aumentano di
conseguenza le distanze con le best practice estere, e in particolare con lo
sport professionistico del Nord America; nell’ultimo anno l’afluenza comples-
siva allo stadio nelle 4 principali leghe americane (NFL, MLB, NBA e NHL) sio-
ra i 135 milioni di spettatori (con ricavi da ticketing pari a 5,4 miliardi di euro),
mentre il dato relativo alle 5 top league calcistiche europee (Premier League,
Bundesliga, Liga, Serie A e Ligue 1) non supera i 54 milioni di spettatori; i ricavi
da gare complessivi sono pari a meno di 2 miliardi di euro. Differenze abissali.
La chiave, ovviamente, c’è. Sono gli investimenti. Le sole franchigie di football
americano hanno investito negli ultimi 20 anni quasi 14 miliardi di dollari per
la realizzazione di 22 nuovi stadi, e l’incidenza degli investimenti privati (ri-
spetto a quelli pubblici) è salita dal 36% del periodo 1997-2002 al 73% tra il
2003 e il 2017. La NFL fattura oggi in termini di ricavi da gare oltre 1,7 miliardi
di euro, rispetto ai 685 milioni della Premier League, best practice nel settore
calcistico.
I trend di crescita, come pure la capacità di mantenere più o meno lo
stesso numero di spettatori in un periodo di così acuta crisi economi-
ca generale, sono direttamente proporzionali alla costruzione di impianti
nuovi o alla loro ristrutturazione. Dipendono molto più da questo che dalle
campagne acquisti e cessioni di giocatori. Un concetto ancora poco condiviso
in Italia, molto più nelle best practice estere. Nel calcio inglese tra il 1992 e
il 2015 sono stati investiti più di 4 miliardi di sterline, con la costruzione negli
ultimi 30 anni di 29 nuovi stadi. In Germania e in Francia, rispettivamente per i
Mondiali del 2006 e i Campionati Europei del 2016, sono stati investiti oltre 1,5
miliardi di euro. In Spagna, inine, i tre top club hanno varato un programma
da quasi 1,3 miliardi di euro, per la realizzazione del nuovo stadio dell’Atletico
Madrid, nonché la ristrutturazione del Camp Nou di Barcellona e del Santiago
Bernabeu di Madrid.
Ma, per evitare banalizzazioni, diciamo che non vi è un legame diretto fra
capacità di attirare spettatori e proprietà privata degli stadi. Soltanto
in Inghilterra essi appartengono al 100% ai club calcistici che li utilizzano.
In Germania e in Francia vi sono forme di partecipazione mista, alcuni
stadi privati ed altri pubblici. In Italia sono al 99% pubblici. Non esiste però
il modello perfetto. Ogni area di un Paese deve trovare la propria formula
vincente sulla base delle situazioni storiche, sociali, culturali, inanziarie
ed economiche, anche contingenti, che lo caratterizzano.
In Italia, considerato lo stato delle inanze delle amministrazioni locali, la
strada maestra è quella degli investimenti privati. Una svolta rispetto al
percorso individuato nel passato (molto remoto). La svolta è comunque ur-
gente e necessaria. Perchè? Presto detto. La Serie A è l’unico fra i campionati
più importanti d’Europa ad avere un trend negativo negli ultimi venti anni; il
dato peggiora se andiamo ancora indietro nel tempo. Una continua fuga dagli
stadi che per ora non si riesce ad arginare.
I due grandi alibi sono l’invasività della televisione e l’esoso prezzo del bigliet-
to. Errati entrambi i concetti. Partendo dal primo degli alibi, sappiamo che in
Germania, Inghilterra, Francia, Spagna, Russia, Olanda e altri, hanno tutti i pa-
rametri in costante ascesa: audience, spettatori dal vivo e valore economico.
In Italia i primi due in discesa, il terzo stabile. Secondo alibi. Il presunto costo
elevato del biglietto. Di certo non inluisce più di tanto sull’afluenza. Anni fa
ho creato un indice (Indexuva©) che confronta l’incidenza media del prezzo
del titolo di accesso sullo stipendio medio giornaliero di un individuo nelle
diverse realtà nazionali. Ebbene, l’Inghilterra è il Paese in cui l’incidenza è
superiore (61,5%), eppure il tasso di riempimento medio degli impianti di Pre-
mier League è del 92% In Italia l’indice è signiicativamente inferiore a quello
della stessa Inghilterra, nonché di Spagna e Germania.
Ritornando al concetto da cui sono partito, penso che sia diritto di un cittadino
poter assistere agli spettacoli sportivi in ambienti moderni, fruibili, comodi e
soprattutto sicuri. Così come avviene in tutta l’Europa. È indubbio, senza sco-
modare gli impianti americani, che Germania e Inghilterra, con Spagna, Fran-
cia e Polonia a ruota, abbiano già compreso l’importanza di doversi dotare
di strutture sportive moderne. Hanno trasformato progressivamente lo stadio
nella “casa del tifoso” con una forte attenzione ai servizi a lui dedicati.
L’equazione è presto fatta: più servizi, più sicurezza, più ricavi per i club. L’e-
voluzione del ricavo unitario per spettatore, è anche una conseguenza di
queste politiche, chehannoconsentitoallaBundesligadiraddoppiare(+99%)
i ricavi da gare negli ultimi dodici anni.
I differenti approcci alla questione stadi da parte delle principali società
europee nel corso degli ultimi dieci anni hanno naturalmente provocato
conseguenze importanti nei ricavi deitopclub.Unesempioèlacomparazio-
ne fra il Barcellona e la Roma. Nella stagione 2002-03 i due club avevano
in pratica le stesse entrate da gara: 41,8 milioni il club catalano, 41,2
quello giallorosso. Nel 2014-15 il Barcellonaèsalitoa116,9milioni(+180%),
mentre la Roma è scivolata a 30,4 milioni (-26%).
Stadio moderno vuol dire crescita del business, anche e soprattutto per le
squadre italiane se sapranno cambiare marcia rispetto all’ indietro tutta
delle ultime stagioni. Pensiamo alla percentuale di riempimento degli stadi.
Impressionano il 100% del Bayern Monaco e il 99% del Borussia Dortmund.
Juventus a parte, l’entità dei posti che negli stadi italiani rimangono vuoti la-
scia pensare che in Italia, al di là della possibilità di progettare nuovi impianti
e dei loro tempi di realizzazione, vi sarebbe comunque subito la necessità-
opportunità di sfruttare meglio gli stadi esistenti. Partendo dal concetto
che la partita è un momento esperienziale fortemente legato alla passione.
La strada è implementare le strategie di CRM, aumentare i servizi e applica-
re il marketing al ticketing. You feel at home, è il motto degli inglesi e strate-
gie già percorse in tutto il mondo e in tutti gli sport. Ne è un esempio l’espe-
rienza che ha avuto successo nella Nba agli inizi degli anni novanta, quando i
palasport non erano gremiti. Vennero calcolate le percentuali d’invenduto
e studiate nuove politiche di idelizzazione e vendita che hanno portato
al continuo sold out (e aumento del valore del biglietto) odierno.
Il margine di crescita è importante. In Italia il potenziale, per gli oltre 8,4 mi-
lioni di biglietti invenduti (dato riferito soltanto alle squadre di Serie A),
si aggira sui 230 milioni. In Serie B e in Lega Pro il potenziale inespresso è
altrettanto signiicativo (quasi 100 milioni di euro di ricavi da gare “mancati”).
Detto che non esiste un unico modello vincente di stadio applicabile indif-
ferentemente in tutti i Paesi, in linea generale si possono invece individuare
due macro-modelli che identiicano nella situazione attuale l’esempio ne-
gativo e l’esempio positivo del business stadio nel calcio europeo.
Il primo modello è lo “stadio costo”, quello italiano per intenderci. Si carat-
terizza per la sua proprietà pubblica con conseguente costo di locazione a
carico della società calcistica e costo della manutenzione che preme sui conti
pubblici. Per la sua struttura quasi mai è economicamente sostenibile, ha un
basso livello di comfort, sicurezza e appeal; è quasi sempre una “cattedrale
nel deserto” con particolare assenza di servizi necessari a renderlo accessibi-
le e fruibile; utilizzato quasi esclusivamente nel matchday.
La maggior parte di essi non è stata costruita per il calcio, se è vero
com’è vero che il 31% degli stadi di Serie A e il 41% della Serie B han-
no la pista d’ atletica che riduce, e di molto, la visibilità. Hanno livelli di
comfort molto bassi, considerato fra l’altro che il 23% dei posti in Serie A è
scoperto, percentuale che sale al 67% in Serie B. Sono spesso insicuri, perché
fatiscenti, e le misure di sicurezza introdotte hanno ridotto ulteriormente la
visibilità e il fascino dello spettacolo (oltre il 90% degli stadi di Serie A e
Serie B presenta barriere fra campo e tribune).
Siamo quasi al di sotto della soglia di civiltà per quanto riguarda i servizi
igienici.Circaunostadiosu5hapiùdellametàdelletoilettechenonfunziona.
Opposte le caratteristiche del modello “stadio ricavo”. Moderno, funzionale e
ricco di servizi; viene utilizzato a 360 gradi, non soltanto per le partite; è aperto
sette giorni alla settimana; genera ricavi che non sono garantiti soltanto dagli
ingressi nei giorni delle partite e dalle performance sportive della squadra.
La gestione dello “stadio ricavo” è quasi sempre afidata direttamente ai
club calcistici, che ne sono spesso proprietari o che partecipano a socie-
tà miste pubblico-privato. È in genere un impianto nuovo o profondamente
rinnovato e quindi moderno, confortevole, sicuro, ma soprattutto inanziaria-
mente sostenibile. Offre ogni genere di servizio, naturalmente a pagamento,
perciò utile a rendere redditizia la gestione. Viene utilizzato per attività quasi
quotidiane (concerti, spettacoli, mostre, visite guidate, convegni, corporate
events). È il modello che sostanzialmente viene adottato in Germania e in
Inghilterra e offre prospettive economiche tanto allettanti da attrarre
inanziatori pubblici e privati. Il recente boom del calcio tedesco nasce
proprio dalla capacità di sfruttamento degli impianti e dalle attività
commerciali connesse alla valorizzazione del brand e del gradimento
complessivo del pubblico. Che in uno “stadio ricavo” prova più piacere a
soffermarsi. Tanto che è stato calcolato un tempo di permanenza medio
di 230 minuti. Rispetto al tempo di permanenza medio di 120 minuti in uno
“stadio costo”. Un ulteriore dato che aiuta a capire come uno stadio nuovo e
pienamente utilizzato sia un asset altamente produttivo, con grandi margina-
lità. Purché si sappia programmare l’impianto adatto alle proprie esigenze,
afidandosi a soggetti esperti prima e ad architetti competenti poi. Le più
interessanti esperienze internazionali dimostrano che si tratta di investimenti
validi sotto il proilo economico: i principali nuovi stadi costruiti in Europa
negli ultimi 10 anni hanno generato nel primo anno di inaugurazione un incre-
mento medio di oltre il 41% dell’afluenza e di quasi il 74% sotto il proilo dei
ricavi da gare. La Juventus è stata la prima in Italia, visione mista a capacità
imprenditoriale. Un esempio da seguire. Far crescere il calcio italiano è dare
impulso allo sviluppo di una nuova generazione di impianti e strategie di
Crm a supporto.
Perché la storia racconta i suoi luoghi, i suoi templi, le sue passioni, il suo
sport. Ma il futuro si costruisce con le competenze, con le idee e con i fatti. Per
questo “le case per lo sport” devono essere sempre il punto di partenza della
storia del domani che tutti noi vogliamo costruire.
Michele Uva
indice generale
Acireale (CT)
Stadio Tupparello
vol.
2
p.
228
Agrigento (AG)
Stadio Esseneto
vol.
2
p.
230
Alessandria (AL)
Stadio Giuseppe Moccagatta
vol.
1
p.
20
Alghero (SS)
Stadio Mariotti
vol.
2
p.
262
Ancona (AN)
Stadio del Conero
vol.
2
p.
58
Andria (BT)
Stadio degli Ulivi
vol.
2
p.
178
Aosta (AO)
Stadio Mario Puchoz
vol.
1
p.
16
Arezzo (AR)
Stadio Città di Arezzo
vol.
2
p. 4
Ascoli (AP)
Stadio Cino e Lillo Del Duca
vol.
2
p.
61
Avellino (AV)
Stadio Partenio Adriano Lombardi
vol.
2
p.
144
Aversa (CE)
Stadio Augusto Bisceglia
vol.
2
p.
147
Avezzano (AQ)
Stadio dei Marsi
vol.
2
p.
116
Barcellona Pozzo di Gotto (ME)
Stadio D'Alcontres
vol.
2
p.
232
Bari (BA)
Stadio San Nicola
vol.
2
p.
180
Barletta (BT)
Stadio Cosimo Puttilli
vol.
2
p.
184
Bassano del Grappa (VI)
Stadio Rino Mercante
vol.
1
p.
120
Belluno (BL)
Stadio Polisportivo Comunale
vol.
1
p.
122
Benevento (BN)
Stadio Ciro Vigorito
vol.
2
p.
148
Bergamo (BG)
Stadio Atleti Azzurri
vol.
1
p.
50
Biella (BI)
CampoPol.AlessandroLamarmoraStadio Vittorio Pozzo
vol.
1
p.
22
Bologna (BO)
Stadio Renato dall'Ara
vol.
1
p.
164
Bolzano (BZ)
Stadio Marco Druso
vol.
1
p.
100
Brescia (BS)
Stadio Mario Rigamonti
vol.
1
p.
53
Brindisi (BR)
Stadio Franco Fanuzzi
vol.
2
p.
186
Busto Arsizio (VA)
Stadio Carlo Speroni
vol.
1
p.
55
Cagliari (CA)
Stadio Sant'Elia
vol.
2
p.
264
Caltanissetta (CL)
Stadio Marco Tomaselli
vol.
2
p.
234
Campobasso (CB)
Stadio Selva Piana
vol.
2
p.
138
Carpi (MO)
Stadio Sandro Cabassi
vol.
1
p.
169
Carrara (MS)
StadiodeiMarmiL.Marchini,A.Piccini,P.Vannucci,B.Venturini
vol.
2
p. 7
Casale Monferrato (AL)
Stadio Natale Palli
vol.
1
p.
24
Caserta (CE)
Stadio Alberto Pinto
vol.
2
p.
150
Cassino (FR)
Stadio Gino Salveti
vol.
2
p.
90
Castel di Sangro (AQ)
Stadio Teoilo Patini
vol.
2
p.
118
Castel San Pietro Terme (BO)
Stadio Comunale
vol.
1
p.
171
Castellammare di Stabia (NA)
Stadio Romeo Menti
vol.
2
p.
152
Castelnuovo di Garfagnana (LU)
Stadio Alessio Nardini
vol.
2
p. 9
Catania (CT)
Stadio Angelo Massimino
vol.
2
p.
236
Catanzaro (CZ)
Stadio Nicola Ceravolo
vol.
2
p.
210
Cava de' Tirreni (SA)
Stadio Simonetta Lamberti
vol.
2
p.
154
Celano (AQ)
Stadio Fabio Piccone
vol.
2
p.
120
Cesena (FC)
Stadio Dino Manuzzi
vol.
1
p.
172
Chiavari (GE)
Stadio Comunale
vol.
1
p.
148
Chieti (CH)
Stadio Guido Angelini
vol.
2
p.
122
Chioggia (VE)
Stadio Aldo e Dino Ballarin
vol.
1
p.
124
Cittadella (PD)
Stadio Pier Cesare Tombolato
vol.
1
p.
126
Civitavecchia (RM)
Stadio San Giovanni Maria Fattori
vol.
2
p.
92
Como (CO)
Stadio Giuseppe Sinigallia
vol.
1
p.
57
Cosenza (CS)
StadioSanVito-Gigi Marulla
vol.
2
p.
212
Crema (CR)
Stadio Giuseppe Voltini
vol.
1
p.
59
Cremona (CR)
Stadio Giovanni Zini
vol.
1
p.
61
Crotone (KR)
Stadio Ezio Scida
vol.
2
p.
216
Cuneo (CU)
Stadio Fratelli Paschiero
vol.
1
p.
26
Empoli (FI)
Stadio Carlo Castellani
vol.
2
p.
10
Enna (EN)
Stadio Generale Gaeta
vol.
2
p.
239
Fano (PU)
Stadio Raffaele Mancini
vol.
2
p.
64
Fermo (AP)
Stadio Bruno Recchioni
vol.
2
p.
66
Ferrara (FE)
Stadio Paolo Mazza
vol.
1
p.
175
Firenze (FI)
Stadio Artemio Franchi
vol.
2
p.
12
Fiume (Rijeka - Croazia)
Stadio Municipale Kantrida
vol.
1
p.
108
Foggia (FG)
Stadio Pino Zaccheria
vol.
2
p.
187
Foligno (PG)
Stadio Enzo Blasone
vol.
2
p.
78
Fondi (LT)
Stadio Domenico Puriicato
vol.
2
p.
93
Forlì (FC)
Stadio Tullo Morgagni
vol.
1
p.
177
Francavilla Fontana (BR)
Stadio Giovanni Paolo II
vol.
2
p.
189
Frascati (RM)
Stadio VIII Settembre
vol.
2
p.
94
Frosinone (FR)
Stadio Comunale
vol.
2
p.
96
Gallipoli (LE)
Stadio Antonio Bianco
vol.
2
p.
190
Gavorrano (GR)
Stadio Romeo Malservisi-Mario Matteini
vol.
2
p.
17
Gela (CL)
Stadio Vincenzo Presti
vol.
2
p.
240
Genova (GE)
Stadio Ferraris
vol.
1
p.
150
Giarre (CT)
Stadio Regionale
vol.
2
p.
242
Giugliano (NA)
Stadio Alberto De Cristofaro
vol.
2
p.
156
Giulianova (TE)
Stadio Rubens Fadini
vol.
2
p.
124
Gorgonzola (MI)
Stadio Comunale
vol.
1
p.
63
Grosseto (GR)
Stadio Comunale Olimpico Carlo Zecchini
vol.
2
p.
19
Gualdo Tadino (PG)
Stadio Carlo Angelo Luzi
vol.
2
p.
80
Gubbio (PG)
Stadio Pietro Barbetti
vol.
2
p.
82
Imola (BO)
Stadio Romeo Galli
vol.
1
p.
179
Imperia (IM)
Stadio Nino Ciccione
vol.
1
p.
155
Ischia (NA)
Stadio Enzo Mazzella
vol.
2
p.
158
Isernia (IS)
Stadio Mario Lancellotta
vol.
2
p.
140
Ivrea (TO)
Stadio Gino Pistoni
vol.
1
p.
27
La Spezia (SP)
Stadio Alberto Picco
vol.
1
p.
157
Lamezia Terme (CZ)
Stadio Guido D'Ippolito
vol.
2
p.
218
Lanciano (CH)
Stadio Guido Biondi
vol.
2
p.
126
L'Aquila (AQ)
Stadio Gran Sasso d’Italia Italo Acconcia
vol.
2
p.
128
Latina (LT)
Stadio Domenico Francioni
vol.
2
p.
99
Lecce (LE)
Stadio Via del Mare
vol.
2
p.
191
Lecco (LC)
Stadio Rigamonti Ceppi
vol.
1
p.
65
Leffe (BG)
Stadio Carlo Martinelli
vol.
1
p.
67
Legnano (MI)
Stadio Giovanni Mari
vol.
1
p.
69
Licata (AG)
Stadio Dino Liotta
vol.
2
p.
244
Livorno (LI)
Stadio Armando Picchi
vol.
2
p.
21
Lodi (LO)
Stadio Dossenina
vol.
1
p.
71
Lucca (Lu)
Stadio Porta Elisa
vol.
2
p.
24
Lumezzane (BS)
Stadio Tullio Saleri
vol.
1
p.
72
Macerata (MC)
Stadio Helvia Recina
vol.
2
p.
68
Manfredonia (FG)
Stadio Miramare
vol.
2
p.
193
Mantova (MN)
Stadio Danilo Martelli
vol.
1
p.
73
Marsala (TP)
Stadio Antonino Lombardo Angotta
vol.
2
p.
246
Martina Franca (TA)
Stadio Gian Domenico Tursi
vol.
2
p.
195
Massa (MS)
Stadio degli Oliveti
vol.
2
p.
26
Matera (MT)
Stadio XXI Settembre Franco Salerno
vol.
2
p.
202
Meda (MB)
Stadio Città di Meda
vol.
1
p.
75
Meli (PZ)
Stadio Arturo Valerio
vol.
2
p.
205
Messina (ME)
Stadio San Filippo Franco Scoglio
vol.
2
p.
248
Milano (MI )
Stadio Giuseppe Meazza
vol.
1
p.
77
Modena (MO)
Stadio Alberto Braglia
vol.
1
p.
181
Monopoli (BA)
Stadio Vito Simone Veneziani
vol.
2
p.
197
Monte San Savino (AR)
Stadio Le Fonti
vol.
2
p.
28
Montevarchi (AR)
Stadio Gastone Brilli Peri
vol.
2
p.
30
Monza (MB)
Stadio Brianteo
vol.
1
p.
84
Napoli (NA)
Stadio San Paolo
vol.
2
p.
159
Nocera Inferiore (SA)
Stadio San Francesco d'Assisi
vol.
2
p.
164
Novara (NO)
Stadio Silvio Piola
vol.
1
p.
29
Nuoro (NU)
Stadio Franco Frogheri
vol.
2
p.
268
Olbia (OT)
Stadio Bruno Nespoli
vol.
2
p.
270
Orbetello (GR)
Stadio Ottorino Vezzosi
vol.
2
p.
32
Padova (PD)
Stadio Euganeo
vol.
1
p.
128
Pagani (SA)
Stadio Marcello Torre
vol.
2
p.
167
Palermo (PA)
Stadio Renzo Barbera
vol.
2
p.
251
Parma (PR)
Stadio Ennio Tardini
vol.
1
p.
184
Pavia (PV)
Stadio Pietro Fortunati
vol.
1
p.
87
Perugia (PG)
Stadio Renato Curi
vol.
2
p.
84
Pesaro (PU)
Stadio Tonino Benelli
vol.
2
p.
69
Pescara (PE)
Stadio Adriatico Giovanni Cornacchia
vol.
2
p.
131
Piacenza (PC)
Stadio Leonardo Garilli
vol.
1
p.
187
Pisa (PI)
Arena Garibaldi Stadio Romeo Anconetani
vol.
2
p.
34
Pistoia (PT)
Stadio Marcello Melani
vol.
2
p.
38
Poggibonsi (SI)
Stadio Stefano Lotti
vol.
2
p.
40
Ponte a Egola (PI)
Stadio Leporaia
vol.
2
p.
42
Pontedera (PI)
Stadio Ettore Mannucci
vol.
2
p.
44
Pordenone (PN)
Stadio Ottavio Bottecchia
vol.
1
p.
111
Porto Tolle (RO)
Stadio Umberto Cavallari
vol.
1
p.
131
Portogruaro (VE)
Stadio Pier Giovanni Mecchia
vol.
1
p.
132
Potenza (PZ)
Stadio Alfredo Viviani
vol.
2
p.
207
Prato (FI)
StadioLungobisenzio-StadioComunalediViaFirenze
vol.
2
p.
46
Ragusa (RG)
Stadio Aldo Campo
vol.
2
p.
254
Ravenna (RA)
Stadio Bruno Benelli
vol.
1
p.
190
Reggio Calabria (RC)
stadio Oreste Granillo
vol.
2
p.
220
Reggio Emilia (RE)
Mapei Stadium Città del Tricolore
vol.
1
p.
192
Renate (MB)
Stadio Mario Riboldi
vol.
1
p.
88
Rende (CS)
Stadio Marco Lorenzon
vol.
2
p.
222
Rieti (RI)
Stadio Centro d'Italia Manlio Scopigno
vol.
2
p.
101
Rimini (RN)
Stadio Romeo Neri
vol.
1
p.
194
Roma (RM)
Stadio Olimpico
vol.
2
p.
102
Rovereto (TN)
Stadio Quercia
vol.
1
p.
102
Rovigo (RO)
Stadio Francesco Gabrielli
vol.
1
p.
133
Salerno (SA)
Stadio Arechi
vol.
2
p.
169
Salo' (BS)
Stadio Lino Turina
vol.
1
p.
89
San Benedetto del Tronto (AP)
Stadio Riviera delle Palme
vol.
2
p.
71
San Giovanni Valdarno (AR)
Stadio Virgilio Fedini
vol.
2
p.
48
San Marino (RSM)
San Marino Stadium
vol.
1
p.
200
Sanremo (IM)
Stadio Comunale
vol.
1
p.
159
Santa Croce sull'Arno (PI)
Stadio Libero Masini
vol.
2
p.
49
Santarcangelo di Romagna (RN)
Stadio Valentino Mazzola
vol.
1
p.
196
Sassari (SS)
Stadio Vanni Sanna
vol.
2
p.
272
Sassuolo (MO)
Stadio Enzo Ricci
vol.
1
p.
197
Savona (SV)
Stadio Valerio Bacigalupo
vol.
1
p.
161
Seregno (MB)
Stadio Ferruccio
vol.
1
p.
91
Sesto San Giovanni (MI)
Stadio Breda
vol.
1
p.
93
Siena (SI)
Stadio Artemio Franchi
vol.
2
p.
51
Siracusa (SR)
Stadio Nicola De Simone
vol.
2
p.
255
Sora (FR)
Stadio Claudio Tomei
vol.
2
p.
112
Sorrento (NA)
Stadio Italia
vol.
2
p.
172
Taranto (TA)
Stadio Erasmo Iacovone
vol.
2
p.
199
Teramo (TE)
Stadio Gaetano Bonolis
vol.
2
p.
133
Terni (TR)
Stadio Libero Liberati
vol.
2
p.
87
Tolentino (MC)
Stadio della Vittoria
vol.
2
p.
74
Torino (TO)
Juventus Stadium
vol.
1
p.
33
Torino (TO)
Stadio Olimpico Grande Torino
vol.
1
p.
32
Torre Annunziata (NA)
Stadio Alfredo Giraud
vol.
2
p.
174
Trapani (TP)
Stadio Polisportivo Provinciale
vol.
2
p.
257
Trento (TN)
Stadio Briamasco
vol.
1
p.
104
Treviso (TV)
Stadio Omobono Tenni
vol.
1
p.
135
Trezzo d'Adda (MI)
Stadio La Rocca
vol.
1
p.
95
Trieste (TS)
Stadio Nereo Rocco
vol.
1
p.
113
Udine (UD)
Stadio Friuli Dacia Arena
vol.
1
p.
116
Valenza (AL)
Stadio Comunale
vol.
1
p.
42
Varese (VA)
Stadio Franco Ossola
vol.
1
p.
97
Vasto (CH)
Stadio Aragona
vol.
2
p.
135
Venezia (VE)
Stadio Luigi Penzo
vol.
1
p.
137
Verbania (VCO)
Stadio Carlo Pedroli
vol.
1
p.
44
Vercelli (VC)
Stadio Silvio Piola
vol.
1
p.
46
Verona (VR)
Stadio Marcantonio Bentegodi
vol.
1
p.
139
Viareggio (LU)
Stadio dei Pini Torquato Bresciani
vol.
2
p.
53
Vibo Valentia (VV)
Stadio Luigi Razza
vol.
2
p.
224
Vicenza (VI)
Stadio Romeo Menti
vol.
1
p.
143
Viterbo (VT)
Stadio Enrico Rocchi
vol.
2
p.
114
Vittoria (RG)
Stadio Giambattista Cosimo
vol.
2
p.
259
Il calcio a Bologna arrivò nel lontano 1909, quando i pionieri del
football felsineo riunitisi alla Birreria Ronzani di Via Spaderie
cominciarono ad organizzarsi dandosi appuntamento sui Prati di
Caprara, un campo privo di porte stabili situato nella Piazza d’Armi,
poco fuori Porta San Felice (adesso Porta Saffi) nell’area dove oggi
sorge l’Ospedale Maggiore. Dopo non molto la squadra si trasferì al
Campo della Cesoia, un vecchio appezzamento di terreno situato fuori
Porta San Donato, nel quartiere San Vitale, ricavato in una zona priva di
costruzioni raggiunta dalla linea tranviaria a vapore per Imola; si
trovava lungo Via Massarenti, allora chiamata proprio strada San
Vitale, nel tratto compreso tra le attuali Via della Cesoia e Via Paolo
Fabbri. Il campo, più sassi che erba, fu inaugurato nel febbraio del 1911
con una sonante vittoria per tre a zero contro il Venezia ed ospitò il
Bologna soltanto un paio d’anni perché la struttura si rivelò ben presto
assai modesta ed inadeguata alle esigenze della squadra e del pubblico
che rapidamente andava crescendo di numero. L’impianto, del resto,
era rappresentato soltanto da una piccola tribuna di legno e per
raggiungere il campo era necessario scendere una lunga e scomoda
scala. Ancora oggi, al numero 90 di via Massarenti, si trova il ristorante
Cesoia che un tempo, al primo piano, ospitava gli spogliatoi per gli
atleti. L’irregolarità del terreno e la poco dignitosa tela di juta che lo
cingeva non facevano che sottolineare la precarietà del campo della
Cesoia, peraltro minacciato dal nuovo piano regolatore del quartiere.
Non sorprende, pertanto, che nell’estate del 1913, vennero avviati i
lavori del nuovo Campo dello Sterlino, realizzati sotto la direzione del
Colonnello Cavara, comandante dei Vigili del Fuoco, e dell’ingegner
Amadei. Il nuovo campo, così chiamato dal nome in dialetto bolognese
(Starlén) della zona pedecollinare in cui sorgeva, l’antica località
Ragno appena fuori Porta Santo Stefano, fu inaugurato il 30 novembre
1913, con una gara contro il Brescia, terminata 1 a 1. La cerimonia di
inaugurazione poté contare sull’abilità oratoria del prof. Giuseppe
Lipparini, poeta, letterato ed appassionato tifoso rossoblù, e sulla
presenza della signora Sbarberi che, chiamata a fare da madrina,
infranse la rituale bottiglia di spumante contro un palo della porta sul
lato nord. Si era alla sesta giornata del campionato di Prima Categoria
e, in verità, il campo era stato utilizzato già sette giorni prima in
occasione del derby con il Modena, anch’esso terminato 1 a 1. Era un
vero e proprio impianto, dotato di recinzione in legno e di una tribuna
provvista di una copertura di lamiera, sostenuta da grossi pali di legno,
con uno zoccolo in cemento armato, primo caso in Italia tra gli impianti
BOLOGNA
StadioRenatoDall’Ara
105X68metri
ViaA.Costa,174
40134Bologna
1927
36.532posti
Ilvecchiocampo
delloSterlino,poi
dedicatoadAngelo
Badini,
pocoprimadi
esseredemolito
EMILIAROMAGNA
dedicati al calcio. Venne inoltre realizzata una gradinata in terra
battuta per i posti popolari - sull’altro lato lungo del campo - mentre
gli spogliatoi furono ricavati sotto la tribuna. All’ingresso del parterre
vi era poi una graziosa casetta in legno che ospitava un buffet in legno,
mentre un’altra piccola costruzione ospitava sul retro il custode del
campo, il signor Romolo Cocchi. L’area di gioco, posta sul declivio di
Villa Hercolani tra la Via Toscana (l’attuale Via Augusto Murri) ed il
canale di Savena, era tuttavia pendente di oltre due metri da una porta
all’altra, salendo dolcemente sul lato sud verso Monte Donato,
Barbiano e San Michele in Bosco. Il Campo dello Sterlino, pesantemente
danneggiato durante la guerra, fu completamente ricostruito nel 1919.
La nuova tribuna, molto più ampia della precedente, fu realizzata
interamente in cemento armato su progetto dell’ingegner Baulina;
possedeva un elegante colonnato e una terrazza pensile, la prima
assoluta in Italia, che consentiva a una parte di pubblico di godersi la
partita da una postazione privilegiata ed eventualmente ripararsi dal
sole attraverso un velarium. Due anni dopo, nel 1921, sul lato opposto
fu aggiunta una gradinata popolare anch’essa in cemento armato, in
grado di accogliere diverse migliaia di spettatori. L’impianto dello
Sterlino, uno dei più sfarzosi dell’epoca, poteva inoltre contare su un
maestoso ingresso al campo di gioco, realizzato con due enormi
colonne bianche poste a sostegno di dieci grandi lettere rossoblù che
componevano la scritta Bologna F.B.C. Il conflitto bellico, purtroppo,
oltre alla tribuna ed alla recinzione si era portato via ben sette
giocatori ed alcuni soci della squadra emiliana, il cui sacrificio fu
ricordato il 19 settembre 1920, con una lapide posta a perenne ricordo
sotto la nuova tribuna. Oratore fu l’avvocato Angelo Manaresi;
l’epigrafe, dettata ancora dal poeta Giuseppe Lipparini, così recitava:
“Animatore delle più fiere energie -- il nobile gioco -- li temprò
all’entusiasmo e all’azione -- così in faccia al nemico -- donarono
generosi le giovani vite -- perché fosse salva e grande la patria -- il
STADI D’ITALIA 165
IlComunale,
ilPorticoedil
Santuariodella
Madonna
diSanLucasul
ColledellaGuardia
(FotoArchivio
Edizioni
Pendragon)
L’imponenteLittorialenel1935
(FotoR.B.Bologna)
Bologna F.B.C. volle qui incisi i nomi dei caduti gloriosi -- a render sacra
la memoria -- del dovere compiuto e del sacrificio”. Poco tempo dopo,
una nuova tragedia segnò il destino dello Sterlino, passato nel 1921 a
ricordare il centromediano rossoblù Angelo Badini, scomparso di
setticemia a soli ventisei anni (suo fratello Emidio, detto Fanfarillo, fu
autore della prima rete nello stadio durante la gara inaugurale). Lo
Sterlino portò indubbiamente fortuna al Bologna che in 14 anni
soltanto cinque volte uscì sconfitto dal proprio terreno in incontri di
campionato. Il campo ospitò anche diversi prestigiosi incontri
internazionali, organizzati tradizionalmente nel giorno di Santo
Stefano, compresa una visita del Real Madrid di Santiago Bernabeu,
seppellito sotto tre reti nel 1920. Allo Sterlino si giocò anche la finale
scudetto del 1920 tra l’Internazionale Milano e l’Unione Sportiva
Livorno (3-2) ed un insolito derby tra i labronici e gli acerrimi rivali del
Pisa Sporting Club, al termine vittoriosi per 1-0 con rete di Tornabuoni
nella finale del torneo Peninsulare. Il Bologna giocò allo Sterlino fino
all’8 maggio 1927, l’ultima partita fu un perentorio tre a zero all’Inter,
quasi un doveroso omaggio ad uno stadio che aveva vissuto mille
battaglie sportive ed era entrato nel cuore degli sportivi petroniani. Poi
cominciò l’era del Littoriale, l’imponente nuovo stadio, il primo
impianto sportivo italiano sorto per iniziativa pubblica, la cui
costruzione era ormai resa urgente dall’insufficiente capienza del
vecchio campo, manifestatasi in particolare nelle ultime gare della
stagione 1924-25 decisive per l’assegnazione del primo scudetto
felsineo. Molta gente era rimasta fuori e il gestore del vecchio Cinema
Savoia aveva deciso di proiettare ogni lunedì la pellicola delle partite
del Bologna. Lo Sterlino, in realtà, tornò ad ospitare partite ufficiali del
Bologna nel 1944, durante il Campionato Alta Italia vinto dal 42º Corpo
dei Vigili del Fuoco della Spezia, mentre lo stadio principale risultava
indisponibile, danneggiato dai bombardamenti. L’impianto fu
definitivamente demolito soltanto nel 1969 per far spazio, tre anni più
tardi, alla piscina e alle altre strutture dell’omonimo centro sportivo,
ufficialmente intitolato a Giulio Onesti. Prima di procedere alla
costruzione del nuovo stadio, si valutò anche la possibilità di recuperare
altre strutture sportive già esistenti in città, in particolare il Campo del
Ravone, di proprietà della società ginnica Virtus, edificato vicino
all’omonimo torrente nei pressi dell’area poi destinata al Littoriale.
Riservato esclusivamente ai membri della società, fu costruito
nell’autunno 1920 per volontà del presidente del sodalizio, Alberto
Buriani, e possedeva - oltre al campo e alla pista per l’atletica - due
ampie tribune coperte, una vasta gradinata popolare scoperta e un
edificio per gli spogliatoi. Nei primi anni Venti era stato costruito anche
il nuovo velodromo fuori Porta Saffi, realizzato su progetto dell’ing.
Giuseppe Lambertini al posto dell’ex Zappoli e dotato internamente di
un terreno di gioco per il calcio. Tuttavia, per le ambizioni della città e
della squadra del capoluogo emiliano, il podestà Leandro Arpinati,
potente gerarca fascista in seguito anche presidente della FIGC e del
CONI, aveva in mente ben altro, una vera cittadella dello sport in cui
concentrare l’attività di numerose discipline popolari. Il Littoriale fu
costruito un paio di chilometri a sud est della cinta muraria della città,
ai piedi del Colle della Guardia, in un’area allora immersa nel verde, tra
il Reno ed il “Meloncello” che costituisce l’inizio della salita al
Santuario della Madonna di San Luca. Il terreno era quello dell’ex
struttura del tiro a segno situata a ridosso del porticato, vicino all’arco
Guidi. Realizzato su progetto dell’ingegnere Umberto Costanzini, capo
dell’Ufficio Tecnico della Casa del Fascio dalle larghe vedute e
precursore di impianti innovativi, il Littoriale era a tutti gli effetti una
struttura polifunzionale, secondo l’indirizzo dettato dal regime fascista
di cui rappresentava la prima grande opera. Gli spalti si sviluppavano
per 12.100 metri e potevano accogliere poco meno di 50.000 spettatori,
di cui 10.000 in piedi nel parterre e 20.000 nell’ampia Tribuna
caratterizzata dalla copertura in cemento armato che sporgeva a
sbalzo per quasi 8 metri. All’interno delle tribune furono ricavati degli
ampi saloni adibiti a ristorante, sale di esposizione, alloggi per atleti ed
altri locali di servizio. Lo stadio fu infatti utilizzato anche per numerose
Fiere, in particolare le Esposizioni Riunite al Littoriale in precedenza
ospitate alla Montagnola o a Palazzo Fantuzzi, in Via San Vitale. Come
ricordano le cronache del tempo, lo stadio fu donato alla cittadinanza
felsinea dal partito che intese così sottolineare significativamente
l’estraneità nell’operazione del Comune che si limitò a versare all’Ente
proprietario del Littoriale un contributo annuo di L. 150.000 per quindici
anni, a condizione che fosse concesso per altrettanti anni l’uso gratuito
del campo sportivo per tutti gli alunni delle scuole elementari. Al
finanziamento del Littoriale contribuì notevolmente anche la raccolta
di fondi derivante dalle sottoscrizioni dei cittadini bolognesi. Il 12
giugno del 1925 fu il Re Vittorio Emanuele III in persona a presiedere
alla posa della prima pietra, in occasione delle commemorazioni per i
venticinque anni della sua ascesa al trono. Il rettangolo di gioco del
Littoriale fu attorniato da una pista podistica a sei corsie lunga 440
metri e da numerose pedane e fosse destinate all’attività di lanciatori e
saltatori; poco fuori dello stadio vennero invece costruite due piscine,
di cui una coperta dotata di un’innovativa camera termica e l’altra
provvista di un anello di ampi spalti. Quest’ultima, poi intitolata alla
nuotatrice Carmen Longo scomparsa nel disastro aereo di Brema nel
1966, misurava m. 50 x 30 e al momento della sua costruzione risultava
essere la più grande d’Europa. Il centro sportivo era completato dalle
altre numerose strutture che sorgevano esternamente, quattro campi
da tennis, una grande palestra, il campo sportivo usato dagli alunni
delle scuole elementari e un campo sussidiario per l’allenamento degli
atleti: una sorta di cittadella sportiva ante litteram, proprio come
desiderava Arpinati, estesa su circa 125.000 metri quadrati ed
impreziosita dal vicino Istituto di Educazione Fisica. Rammentando il
Nel 2016 è stata avviata una ristrutturazione di parte del
“Renato Dall’Ara” con un inanziamento del Credito Sportivo.
In particolare, l’intervento prevede: il rinnovamento dello
spogliatoio completo di area medica e con adiacenti palestra
e infermeria, l’ampliamento della sala stampa con l’aggiunta
di nuove aree per giornalisti e fotograi compresa una nuova
“Mixed Zone” e inine ampliamenti, manutenzioni e variazioni in
varie aree dello stadio.
STADI D’ITALIA
166
dislivello e i frequenti acquitrini al vecchio Sterlino, grande attenzione
fu posta alla realizzazione del campo, inizialmente pendente di circa
quattro metri in direzione di Via Saragozza. Per ottenere un perfetto
drenaggio furono utilizzate tonnellate di ghiaia estratte dal fiume Reno
e alcuni canali di scorrimento per le acque filtranti vennero ricavati
sotto la pista. I lavori vennero peraltro rallentati dal rinvenimento di
alcuni reperti archeologici di probabile origine etrusca e dalle gelide
temperature del terribile inverno del 1926, uno dei più freddi del secolo
passato. L’impronta politica dell’impianto traspariva dalle 159 sculture
di aquile e fasci littori e soprattutto dalla statua del Duce a cavallo che
campeggiò fino al 1947 nell’abside che sovrasta i Distinti, realizzata
dallo scultore modenese Giuseppe Graziosi a ricordo della visita di
Mussolini nella giornata inaugurale del 31 ottobre 1926. Il suo trasporto
dalla fonderia di Firenze a Bologna non fu per nulla semplice, ostacolato
dal peso ingombrante del manufatto, dalle strade dissestate e strette,
soprattutto nel centro di Loiano, e dalla fitta nebbia incontrata sul
Passo della Futa. L’origine fascista dello stadio era resa peraltro
evidente dall’immagine di Roma imperiale cui l’impianto era
visibilmente ispirato. In particolare il Littoriale riproponeva in chiave
architettonica più moderna il profilo delle terme romane di Caracalla,
visitate poco prima dallo stesso Arpinati. I muri esterni realizzati con il
tipico mattone rosso bolognese (simile a quello utilizzato all’Ibrox Park
di Glasgow e al Villa Park di Birmingham), gli inserti decorativi in pietra
e la caratteristica facciata con la doppia serie di aperture ad arco
conferirono al Littoriale un indubbio fascino architettonico, sottolineato
ancor più dal sapiente collegamento al portico di San Luca, il più lungo
del mondo con i suoi 3,7 km fino al Santuario, spesso in passato percorsi
dalla squadra rossoblù come allenamento. Ad impreziosire
ulteriormente il Littoriale fu costruita la suggestiva Torre di Maratona
che domina ancor oggi il settore dei Distinti, realizzata dall’architetto
piacentino Giulio Ulisse Arata nel 1928 ed ispirata assai probabilmente
alla torre dello stadio di Stoccolma. Alta 42 metri, la torre dello stadio
bolognese era caratterizzata da un arco a tutto sesto rivolto verso il
campo e sormontato da un alto pennone sulla cui cima nel 1936 fu
posta la Vittoria Alata, realizzata anch’essa dallo scultore Giuseppe
Graziosi a ricordo della campagna d’Albania e sopravvissuta nel
Dopoguerra alla furia iconoclasta degli antifascisti e delle truppe
alleate che la colpirono con diverse raffiche di mitra senza riuscire
peraltro ad abbatterla. L’ampio balcone frontale, contraddistinto dai
numerosi sostegni portabandiera (in particolare quella di 100 mq,
regalata dalla Regia Marina ad Arpinati), aveva evidenti funzioni di
propaganda politica in occasione delle numerose manifestazioni e
parate militari. Con il suo basamento di quattro blocchi rettangolari
sormontati da altrettanti archi, la torre concentrava buona parte dei
riferimenti al mito della romanità che permeò il Littoriale sin dalla sua
ideazione. In prossimità della base è il luogo in cui l’8 agosto 1849
vennero fucilati dagli austriaci i martiri risorgimentali padre Ugo Bassi
e Giovanni Livraghi. Lo stadio bolognese, come detto, aveva una
capienza di circa 50.000 posti, un’enormità per quei tempi, tutti riempiti
il 29 maggio 1927 in occasione della gara inaugurale dello stadio,
sebbene l’impianto non fosse ancora ultimato. Dinanzi al Re d’Italia,
l’Infante di Spagna Don Alfonso, il cardinale Nasalli Rocca, ministri e
autorità, l’Italia si impose allora contro la Spagna di Zamora per due a
zero con una delle reti segnata da Giuseppe Della Valle, uno dei quattro
rossoblù in campo quel giorno (gli altri tre erano Gianni, Genovesi e
Giordani). L’incontro fu preceduto da numerose gare di atletica leggera
che videro la partecipazione dei migliori e più celebrati atleti del
momento. La partita, cui assistettero in realtà oltre cinquantacinquemila
spettatori – record assoluto per gli anni Venti – si trascinò dietro una
città in pieno fermento: come la sede di una grande fiera nazionale,
Bologna vide macchine con ogni sorta di targa, treni che scaricavano
gente vociante proveniente da tutta Italia, alberghi, ristoranti e locali
stracolmi. Un successo che avrebbe contribuito alla scelta di questo
stadio come uno degli impianti in cui ospitare il Mondiale del 1934,
vinto poi dalla Nazionale azzurra. Il nome originario dell’impianto,
Littoriale, fu scelto dal professor Baldoni, noto latinista del tempo,
vincendo la concorrenza di altre denominazioni proposte: Eugenéo –
dal greco eu (bene) e genes (stirpe, razza) – Agopadio e Poliludo, Campo
Massimo, Campo Arpinati. L’impianto di illuminazione artificiale dello
stadio bolognese fu il primo realizzato in Italia, ispirato dalle gare in
notturna durante una lunga tournée in Sud America effettuata assieme
al Torino nel 1929 e spinto dalla possibilità di estendere l’orario di
apertura degli stand durante le esposizioni. La prima partita serale al
Littoriale fu la gara amichevole tra gli austriaci del First Vienna ed una
formazione composta di giocatori veneto-emiliani, disputata sotto un
forte temporale il 20 maggio 1930. Alla caduta del Fascismo, lo stadio
felsineo rimase conosciuto semplicemente come Comunale per poi
essere intitolato nel 1983 alla memoria di Renato Dall’Ara, il mitico
presidente del Bologna per 30 anni, dal 1934 fino alla sua scomparsa
avvenuta nel 1964, alla vigilia del vittorioso spareggio contro l’Inter che
la Torre di Maratona progettata da Giulio Ulisse Arata.
Completata nel 1929 e situata nella porzione intermedia
della tribuna orientale dello stadio, la torre simboleggia la
competizione e la resistenza degli atleti. Alta 42 metri e larga
42 metri, si articola su sei livelli, presentando sul suo pennone
una statua rappresentante la Vittoria alata con fascio littorio ed
una imponente bandiera della Regia Marina dalla supericie di
100 mq.
STADI D’ITALIA 167
valse la conquista del settimo ed ultimo scudetto della storia rossoblu.
Nel dopoguerra l’impianto perse poco alla volta le sue caratteristiche
di luogo di aggregazione e fu utilizzato quasi esclusivamente per il
calcio, lasciando spazio ad altre discipline soltanto in rare occasione.
Alcune, però, furono memorabili, come l’incontro di boxe del 21 luglio
1956 con cui Franco Cavicchi, di Pieve di Cento, conquistò il titolo di
campione europeo dei Pesi Massimi contro il tedesco Heinz Neuhaus
davanti a 60.000 persone; o la visita della nazionale sovietica di basket,
ospitata sul finire degli anni Settanta nel campo allestito nella vicina
piscina, e quella dei mitici All Blacks neozelandesi che nel 1995
seppellirono la nazionale azzurra di rugby sotto un pesante 76 a 0. E si
ricordano anche eventi di altro genere, soprattutto manifestazioni
politiche, religiose e musicali (su tutti, il concerto di Patti Smith, nel
1979). La curva che ospita la tifoseria bolognese, quella sul lato nord,
dal 10 maggio 2009 porta il nome dell’indimenticabile Giacomo
Bulgarelli (scomparso tre mesi prima), a lungo capitano della squadra
- con il record di 486 presenze - e campione europeo con la Nazionale
italiana nel 1968; in precedenza il settore era chiamato come la
trafficata via che passa poco distante, intestata alla memoria di Andrea
Costa, uomo politico imolese, mazziniano e primo deputato socialista
al Parlamento nel 1882, oltre che vicepresidente della Camera tra il
1908 ed il 1910. La curva opposta è denominata invece San Luca,
essendo posta sul lato verso l’omonimo santuario, e accoglie la tifoseria
ospite nella parte situata a ridosso della tribuna coperta. Lo stadio di
Bologna sorse originariamente in una zona periferica della città che
tuttavia andò rapidamente popolandosi fino ad avvolgere strettamente
l’impianto che oggi si trova dunque al centro di un’area residenziale
affollata e trafficata. Ciò portò più volte le autorità comunali a
considerare l’ipotesi di costruzione di un nuovo impianto posizionato in
maniera più felice, tanto che verso la fine degli anni Sessanta le sorti
dell’antico Littoriale sembravano ormai segnate dall’arrivo di una
struttura polifunzionale (con ippodromo e velodromo) in località Borgo
Panigale. Le cose andarono diversamente e, anzi, il vecchio stadio
bolognese fu completamente ristrutturato alla fine degli anni Ottanta,
quando fu scelto come sede delle gare del mondiale italiano, del quale
ospitò quattro incontri. Ciò comportò evidentemente un profondo
rinnovamento della struttura a livello architettonico, i cui lavori furono
affidati per la parte strutturale agli ingegneri Piero Pozzati e Franco
Zarridell’Universitàcittadinae,perlapartearchitettonica,all’architetto
Enzo Zacchiroli. In maniera simile a quanto previsto per lo stadio di
Palermo, fu deciso di ampliare la struttura esternamente con dodici
nuovi gradoni prefabbricati aggiunti al di sopra di quelli esistenti, con
altri tre aggiunti in basso. Così, grazie alle nuove gradinate sostenute
da 120 colonne metalliche attorno al perimetro della struttura, la
capienza dello stadio Dall’Ara fu portata a 38.279 posti numerati a
sedere, dei quali circa 14.000 al coperto nella tribuna principale al cui
interno furono ricavati diversi locali di rappresentanza, uffici, palestre e
i nuovi spogliatoi. L’inevitabile impatto architettonico sulla preesistente
struttura in mattone fu limitato da un intelligente uso cromatico delle
strutture metalliche, gialle e blu. I telai esterni furono fissati al terreno
con una serie di appoggi costituiti da basi sagomate a sezione tronco-
piramidale che ricordano il motivo architettonico dei porticati
bolognesi di alcune case del centro storico di Bologna tra i secoli XIII e
XIV. Come ben sottolinea Matteo Vercelloni nell’eccellente “1990 Stadi
in Italia” (Edizioni L’Archivolto) “la struttura metallica esterna,
completamente staccata dalla costruzione originaria, cerca
apertamente di non entrare in concorrenza con l’architettura del
progetto Costanzini-Arata, ma di costruire piuttosto una leggera
addizione capace di proporsi più come macchina funzionale e
architettonica che come forte nuovo volume sovrapposto all’esistente.
Si tende cioè giustamente a preservare la lettura autonoma del vecchio
stadio, sia della notevole facciata perimetrale, sia della monumentale
Torre. La struttura metallica si sviluppa verso l’esterno e organizza
nella parte alta una sorta di camminamento continuo, un anello di
coronamento praticabile a quota di circa 18 metri che si propone anche
come una sorta di belvedere sulla città”. Furono inoltre create nuove
uscite di sicurezza, venne rimosso il settore di parterre, consentendo la
realizzazione di un fossato protettivo profondo circa due metri e mezzo
e fu infine potenziato il sistema di illuminazione con nuove torri faro,
disposte adeguatamente distanti dalla Torre di Maratona per non
turbarne l’immagine. La pensilina della tribuna principale fu sostituita
da una nuova copertura a sbalzo, realizzata con manto esterno in
lamiera di rame e retta alle spalle da travi in ferro. L’aggetto di circa
venticinque metri ha permesso da un lato di rimuovere i fastidiosi
montanti verticali della struttura originaria e, dall’altro, di installare le
cabine per le postazioni radio-tv. Durante i lavori, nelle gare vennero
utilizzati gli spogliatoi dell’antistadio, distanti oltre 200 metri. Per
raggiungerli attraverso il sottopassaggio, le squadre utilizzavano buona
parte dei canonici quindici minuti d’intervallo concessi. In sostanza, la
ristrutturazione della stadio, che interessò anche l’impianto di
illuminazione, il tabellone elettronico e le piscine adiacenti, risultò in
un audace accostamento di antico e moderno, da alcuni poco
apprezzato. I campi da tennis furono coperti da una struttura metallica
ed utilizzati come area destinata alla stampa, mentre la pista di atletica
venne portata da sei a otto corsie, rimarcando l’originario carattere
polivalente dell’impianto. Con il nuovo millennio furono realizzati una
serie di lavori e interventi fortemente voluti dalla società felsinea per
valorizzare l’impianto, in particolare nella Tribuna Centrale che fu
dotata di nuovi settori, eleganti salotti panoramici, e della cosiddetta
“Terrazza”, un’area hospitality di circa 900 mq con pareti a vetrata, che
il Dott. Gazzoni Frascara volle intitolare a Fulvio Bernardini, lo storico
allenatore della squadra che conquistò l’ultimo scudetto rossoblù nel
1964. Altro fiore all’occhiello dell’impianto petroniano è il manto
erboso, cui una particolare tecnica di drenaggio, assieme ad altri
accorgimenti, ha da sempre conferito una qualità ed una compattezza
senza paragoni a livello nazionale, tanto che mai – in tanti decenni di
onorata carriera – si è resa necessaria la rizollatura del terreno, se non
in percentuali minime.
STADI D’ITALIA
168
Ogni discorso relativo allo sviluppo del football a Firenze non può
prescindere dall’antico gioco del calcio fiorentino e la nostra storia
dovrebbe probabilmente cominciare dalla Piazza di Santa Croce, meno
avara di gioie sportive di quanto non lo siano state le squadre del
capoluogo toscano nella loro storia. Il calcio in livrea del resto viene
ancora oggi disputato ogni anno nelle rievocazioni di giugno che vedono
di fronte i quattro quartieri cittadini di Firenze (Santa Maria Novella, San
Giovanni, Santa Croce e Santo Spirito). Volendo limitare il discorso nel
tempo, va detto che il calcio moderno a Firenze si è sviluppato
stabilmente sul terreno del Campo di Marte, luogo extra civico di antica
memoria romana da destinarsi alle esercitazioni militari, che nel
capoluogo toscano fu individuato sulla riva destra dell’Affrico, nella
periferia est, separato dal resto della città dalle barriere della cinta
daziaria, dalla ferrovia e dal viale che ne delimita l’area. L’intera zona
fino ad allora risultava ben poco utilizzata se non per usi militari, in
particolare le celebrazioni del regime fascista ed altri avvenimenti
episodici come le evoluzioni aviatorie di piloti locali e quelle di circhi e
spettacoli itineranti (storico lo show di Buffalo Bill verso la fine del
Secolo). Qui, nel 1930 venne eretto il nuovo tempio del calcio fiorentino,
realizzato per volontà del marchese Luigi Ridolfi da Verrazzano,
segretario provinciale del PNF, deputato e massimo dirigente sportivo
viola, erede di una delle famiglie nobili più antiche e gloriose della città.
Nato all’Impruneta, sulle colline a sud di Firenze, Ridolfi fu grande
mecenate ed ammiratore attento degl’ideali sportivi (fu anche
presidente della FIDAL); sua fu la successiva idea di predisporre il Centro
Tecnico di Coverciano, luogo di studio, di riflessione e di allenamento
invidiato da tutta Italia, sede tra l’altro dei ritiri delle rappresentative
nazionali e del celebre Museo del Calcio. Il nuovo stadio voluto da
Ridolfi andava in verità a sostituire l’ormai vetusta struttura di Via
Bellini di proprietà della Palestra Ginnastica Libertas, la società che il 28
agosto 1926 fondendosi assieme al Club Sportivo Firenze diede origine
all’attuale A.C. Fiorentina. Costruito nel 1922 (come il campo di calcio di
Via Michelangelo utilizzato dalla società A.S.S.I.) su progetto del socio
architetto Giuseppe Baldacci, il campo di Via Bellini venne realizzato in
legno e mattoni privo di curve e con posti a sedere soltanto su un lato.
Le tribune, costruite dalla Ditta Callisto Pontello, erano composte da
due blocchi di gradinate in cemento armato, potevano ospitare 3.000
spettatori e all’interno accoglievano i locali di servizio, gli spogliatoi ed
una sala adibita sia a palestra sia a luogo di ritrovo per i soci. Oltre al
campo di calcio l’impianto comprendeva una pista podistica ed una per
FIRENZE
StadioArtemioFranchi
Lostadioiorentino
nel1960(Foto
Giusti-Becocci).
105X68metri
VialeManfredoFanti,14
50137Firenze
1930
47.282 posti
TOSCANA
il ciclismo, inizialmente eseguita in pirite e poi sostituita con un fondo in
cemento. L’area di Via Bellini, zona allora periferica della città
caratterizzata dalla presenza di una vecchia fornace di mattoni, era
stata scelta perché la vicina Piazza San Jacopino risultava facilmente
raggiungibile da via della Scala, dove si trovava la vecchia sede della
squadra, nell’antico refettorio del convento della Basilica di Santa Maria
Novella. Il campo fu inaugurato il 2 aprile 1922 alla presenza delle
massime autorità dell’epoca, mentre la prima gara di calcio fu disputata
sedici giorni più tardi contro la Valenzana. Il 16 luglio il campo ospitò il
play out di ritorno, perso contro l’Inter, per la permanenza nei gironi
della massima categoria nazionale. Prima di cominciare ad ospitare le
partite della neonata Fiorentina (le cui casacche viola furono indossate
per la prima volta il 22 settembre 1929 in una gara amichevole contro la
Roma) l’impianto era conosciuto principalmente come velodromo; la
pista era stata inaugurato il 16 luglio 1922 con l’arrivo della terza tappa
del Giro d’Italia, vinta da Costante Girardengo in volata su Pietro Linari.
La pista del Bellini successivamente ospitò anche l’insolita sfida tra
Girardengo e Alfonsina Strada, ciclista pioniera della parificazione
sportiva tra uomo e donna. Con l’avvento della Fiorentina furono
eliminati sia l’anello del velodromo, sia la pista di atletica. Lo stadio di
Via Bellini ospitò i viola per cinque stagioni fino al settembre 1931 prima
di venir abbandonato; durante il Ventennio, tuttavia, il vecchio stadio
della Libertas continuò ad essere utilizzato dai giovani del circolo
fascista Montemaggi per le loro attività premilitari, oltre che dalle
squadre giovanili viola. Durante la Seconda Guerra Mondiale, i locali
delle tribune in cemento armato furono adibiti a rifugio antiaereo. Lo
stadio venne infine demolito negli anni Cinquanta, ormai dimenticato da
tifosi ed appassionati, per lasciare spazio allo sviluppo edilizio in corso
nel quartiere. Nel punto in cui sorgeva lo stadio sorsero un caseggiato e
Via Claudio Monteverdi. Prima di trasferirsi al “Bellini”, la Libertas aveva
giocato anche al campo situato tra Via Pasiello e il Fosso Macinante (da
cui il nomignolo di “ghiozzi rossi” affibbiato ai giocatori) nei pressi della
lineala Ferrovia Livornese, a Villa Demidoff in località Pratolino, tra
querce, farnie, cedri e ippocastani, e prima ancora al Prato del Quercione
alle Cascine (e a quello di San Donato), come un po’ tutti a Firenze. Il
parco delle Cascine era infatti fin dai primi anni del Novecento il centro
dello sport fiorentino, dove si praticavano il tiro a segno, il gioco della
palla a bracciale, il tennis, il ciclismo, le corse al galoppo ed al trotto, e
dove erano presenti campi di calcio contigui e separati da una semplice
corda tirata tra due pali. Proprio l’area verde adiacente al tiro a segno
delle Cascine era stato proposta dal Collegio Toscano degli Architetti e
degli Ingegneri per ospitare lo stadio monumentale che ormai tutti
attendevano in città. Altre ipotesi di ubicazione erano la zona delle
Cure, sul terreno posto tra la Via Faentina ed il Viuzzo della Palancola,
come richiesto dal circolo rionale G. Berta, e la zona fra Via Aretina ed il
nuovo lungarno a monte di Bellariva, proposta dall’ufficio tecnico
comunale come variante al Piano Regolatore fiorentino del 1924 che
prevedeva originariamente il parco dell’Isolotto. La scelta finale cadde
tuttavia sulla zona del Campo di Marte, sicuramente più adatta rispetto
alle altre aree proposte, resa disponibile dopo che il podestà del
capoluogo toscano Giuseppe Della Gherardesca era riuscito a trovare
un accordo con le autorità militari per l’utilizzo del terreno. Il nuovo
IlComunaledelle
DueStrade,l’altra
facciadelcalcio
aFirenze(Foto
MicrosoftBing)
STADI D’ITALIA 13
stadio fu costruito su un’area di circa 50.000 mq. contenuta in un più
vasto spazio aperto all’interno della ordinata maglia di costruzioni
residenziali realizzate negli anni tra le due guerre che assieme alle
piscine, al Palazzetto dello Sport ed al vecchio Campo Polisportivo
Militare costituisce ancora oggi il polo sportivo di Firenze. La rivoluzione
portata dalla costruzione dello stadio, segnò indubbiamente il definitivo
ingresso del rione nell’ambito cittadino, grazie al concomitante
potenziamento delle opere pubbliche necessarie per l’edificazione del
monumentale impianto sportivo, tra cui in particolare i binari del tram
che avvicinarono sensibilmente il centro di Firenze. Lo stadio, destinato
con la sua ardita e decisamente insolita struttura a forma di D a
rivoluzionare schemi e tendenze del tempo, fu progettato nel 1929
dall’architetto valtellinese Pier Luigi Nervi, allora non ancora celebre
ma già conosciuto a Firenze per aver realizzato le tribune in cemento
armato al Campo Sportivo “Giglio Rosso”. I lavori, cominciati alla fine di
luglio del 1930, vennero eseguiti dalle imprese Nervi & Nebbiosi e Nervi
& Bartoli. Con la sua forma asimmetrica, le scale elicoidali, l’audace
pensilina per la tribuna e la Torre di Maratona alta più di 50 metri,
l’impianto segnò effettivamente un inequivocabile punto di svolta
nell’impiantistica moderna, dimostrando la possibilità di eludere gli
schemi esistenti legati alle forme classiche ed ai materiali tradizionali.
Assunta a modello della nuova architettura, quest’opera in cui gli
elementi strutturali venivano lasciati polemicamente in vista, offrì senza
dubbio un importante contributo alla demistificazione del trionfalismo
romano che aveva fino ad allora ispirato buona parte degli impianti
sportivi nazionali. Sebbene Nervi abbia deciso di cimentarsi nuovamente
nella costruzione di uno stadio solamente venticinque anni dopo, al
Flaminio di Roma, il suo stile – e in particolare l’innovativo uso del
cemento armato – ha a lungo influenzato, se non indirizzato, la struttura
di numerosissimi impianti europei e sudamericani. Costruito per dotare
la neonata A.C. Fiorentina di un impianto all’altezza del prestigio della
città e, soprattutto, per ospitare degnamente le gare dell’ormai prossima
manifestazione dei Mondiali del 1934, lo stadio fiorentino venne
edificato in due fasi successive tra il 1930 e il 1932. Quando il Comune
operò il primo stanziamento nel 1929 la struttura ipotizzata era assai
più ridotta di quella successivamente realizzata, allorché venne
acquistata una porzione della Piazza d’Armi dal Comando della
Divisione Militare Territoriale di Firenze. La costruzione di una tribuna
scoperta e della Torre di Maratona, inizialmente non previste, fu infatti
deliberata dal podestà fiorentino soltanto il 9 luglio 1931 accogliendo
le richieste di Ridolfi. I costi di costruzione dell’impianto furono
sorprendentemente contenuti, soltanto L. 6.800.000 contro l’equivalente
di L. 70.800.000 necessarie per edificare l’arena londinese di Wembley o
i 16.600.000 di Lire spese per il Littoriale bolognese nel 1925. Inaugurato
con una gara vinta per 1 a 0 contro gli austriaci dell’Admira Vienna il 13
settembre 1931 (le cronache dell’epoca ricordano che il pallone
dell’incontro venne lanciato da un aeroplano guidato dal celebre pilota
fiorentino Vasco Magrini, noto per le sue evoluzioni temerarie), lo stadio
fu intitolato alla memoria di Giovanni Francesco Berta, giovane ex-
combattente fascista delle squadre d’azione fiorentine barbaramente
assassinato il 28 febbraio 1921 da un gruppo di militanti comunisti
durante lo sciopero culminato negli scontri del Pignone. Circondato dal
vile branco, Berta fu pugnalato e gettato nelle gonfie acque dell’Arno
dove annegò dopo aver vanamente tentato di aggrapparsi al parapetto
del ponte. La Fiorentina ottenne subito l’utilizzo del campo ma dovette
condividerlo con i circoli rionali fascisti e con le organizzazioni locali
dell’ONB e dell’OND. Assai spesso venivano infatti organizzati allo
stadio saggi ginnici dei dopolavoristi e dei giovani fascisti di sovente
accompagnati da discorsi politici di gerarchi locali o del Duce stesso.
Pur fortemente voluto dal regime di Mussolini come la stazione di Santa
Maria Novella, l’impianto - più che ad un tributo politico alla figura del
Duce - deve la sua insolita forma a D alla presenza della pista di atletica,
composta dal consueto anello di circa 500 metri e da un rettilineo posto
di fronte alla tribuna principale, lungo 220 metri ed esteso alle estremità
fino ai due ingressi laterali concepiti per l’arrivo delle gare di maratona.
Di conseguenza, la visuale del rettangolo di gioco dalle estremità
laterali della tribuna ne risultava, evidentemente, assai svantaggiata.
Del resto le curve furono realizzate in un secondo momento, nel 1932,
anche per ovviare al problema del vento che veniva e canalizzarsi lungo
l’asse longitudinale del campo, disturbando non poco le azioni di gioco.
Sul lato opposto alla tribuna coperta tre rampe di accesso spiraliformi
(a cui furono più recentemente aggiunti due corpi scala in metallo, per
una maggiore razionalizzazione degli accessi) garantivano l’ingresso -
dall’alto e non dal basso, come di consueto - alla Tribuna Maratona, la
cui omonima torre, con i suoi 55 metri (cui vanno aggiunti i 15 del
pennone sovrastante), si contrapponeva efficacemente all’orizzontalità
delle gradinate. La torre era formata da un esile corpo rettangolare al
cui interno scorreva un ascensore, mentre esternamente una vetrata
continua a cristalli curvati si alzava dalla terrazza ellittica posta sopra
gli spalti e poteva essere illuminata fungendo da elemento decorativo
durante le gare notturne. Inoltre, secondo i sostenitori del regime, le luci
della torre rappresentavano il fuoco del Fascismo che ardeva divenendo
così il punto di riferimento per ogni cittadino in qualunque punto della
città. Le cinque scale elicoidali poste in prossimità degli ingressi erano
per molti versi il punto culminante di tutto lo stadio e mostravano lo
straordinario equilibrio delle forze strutturate nel cemento armato in
vista: le rampe d’accesso alle tribune erano sostenute da una trave
elicoidale rinforzata da un’altra trave ruotante in senso inverso così da
annullare reciprocamente gli sforzi e creare una dinamica spaziale di
straordinario interesse formale. Ciò che davvero rendeva unico lo Stadio
Berta era tuttavia la struttura del tetto della tribuna principale, la sola
invero dotata di copertura, inclinata in maniera tanto magnifica quanto
ardita e destinata ad essere regolarmente imitata altrove in Europa e in
Sud America. La nuova soluzione apparve talmente azzardata che gli
operai in principio si rifiutarono di rimuovere i sostegni dell’armatura
per timore del crollo. Del resto tutti i maggiori impianti di allora avevano
adottato soluzioni più rassicuranti con un doppio ordine di appoggi
intermedi a sostenere la copertura, a semplice o doppia inclinazione, cui
venivano eventualmente aggiunte successivamente parti in aggetto di
ridotte dimensioni. Così fu per la tettoia in legno dello stadio che ospitò
nel 1912 i giochi olimpici di Stoccolma, per quella a capanna di Wembley
a Londra (1924) retta da pilastri in ferro, per quella in cemento armato
del Littoriale bolognese (1927) e per quella a traliccio dello stadio di
Amsterdam (1928). Nel 1934, in verità, durante alcune gare d’atletica,
STADI D’ITALIA
14
dalla tettoia della tribuna coperta si staccarono degli strati di intonaco
che fortunatamente provocarono soltanto un grosso spavento al
pubblico sottostante, quel giorno assai poco numeroso. La pensilina di
copertura dello stadio di Firenze si proietta nello spazio per 22 metri,
appoggiandosi sulle sole elastiche travi curvate (il cui spessore
diminuisce elegantemente in avanti proporzionatamente alla
diminuzione del peso portato) e scaricando successivamente i pesi sui
pilastri verticali sottostanti le tribune. Come sottolinea Cinzia Renata
Guidotti “Il baricentro del sistema formato dalla pensilina e dalla
struttura verticale di sostegno cui si ancora cade entro la base della
stessa struttura verticale, in posizione tale da non indurre azioni
negative di sollevamento che richiederebbero ancoraggi al terreno”. Il
progetto delle tribune, già approvato, venne modificato nel 1932
estendendo la copertura della tribuna fino a 110 metri, mentre il ripiano
del parterre – previsto inizialmente ad un’altezza di m. 8,60 – fu portato
a m. 2,65 per permettere la circolazione e l’accesso del pubblico sotto le
gradinate. Fu inoltre progettata la costruzione della tribuna reale, cui si
accedeva tramite una scala elicoidale collegata con l’atrio d’onore, e la
pista attorno al campo fu omologata alle norme stabilite dalla
FederazioneItalianaAtleticaLeggera.Sorprendonodavverol’originalità,
il carattere innovativo e la pregevolezza dell’opera per il suo coniugare
la raffinatezza estetica ed il rigore strutturale con le eleganti e ardite
strutture in cemento armato. Nella premessa introduttiva all’Anno
Accademico 1931-32, il Direttore della Scuola Superiore di Architettura
di Firenze Raffaello Brizzi lodava la “nuova fabbrica dello stadio che,
intesa nel suo carattere, ha pregi notevoli di volumi ritmicamente
disposti e composti in un ardito e solenne organismo costruttivo” mentre
dalle pagine di “Architettura” Giovanni Michelucci esaltava lo “schietto
carattere moderno” dello stadio fiorentino. Indubbiamente il profilo
innovativo dello Stadio Berta ben si sposava con le linee moderne della
nuova stazione ferroviaria fiorentina disegnate da un gruppo toscano di
giovani progettisti ispirati all’architettura razionale (Michelucci, Baroni,
Berardi, Gamberini, Guarnieri, Lusanna). Come ben rileva Francesco
Maria Varrasi nel suo eccellente saggio Economia, politica e sport in
Italia (1925-1935) “Accanto allo stadio, teatro di eventi sportivi che
esprimevano dinamismo e decisione, la Firenze fascista vedeva come
altro punto di riferimento la stazione, simbolo del progresso tecnologico
e del trasporto veloce attraverso la nazione unita. Velocità,
tecnologia,dinamismo, tutti temi graditi al fascismo e propri della
corrente futurista che quindi trovava a Firenze un’estrinsecazione ideale
nelle forme e nei contenuti”. Sfortunatamente la struttura della Tribuna
è stata pesantemente mortificata negli anni a seguire dalle inopportune
quanto inutili estensioni laterali della copertura che hanno garantito
ulteriore riparo a non più di 600 persone. L’ingresso monumentale dello
stadio è costituito da un corpo di fabbrica allungato sviluppato per
l’intera lunghezza della tribuna coperta rivolta all’interno. In verità, con
il suo aspetto classicheggiante a motivi figurativi, la facciata
dell’ingresso principale realizzata dall’ingegner Alessandro Giuntoli
penalizza in parte la dinamicità e la leggerezza del complesso. Il settore
centrale della facciata è ripartito da quattro setti murari in cinque
settori all’interno dei quali si aprono le alte cancellate, attualmente non
più utilizzate come accessi. Le ali sono scandite da nove finestre
ciascuna, separate da paraste lisce impostate al di sopra di una
zoccolatura in pietra forte. Il fabbricato è stato di recente collegato,
tramite passaggi aerei metallici a sezione circolare, a due nuovi
fabbricati laterali a struttura prefabbricata destinati a servizi vari e a
spogliatoi. Attorno alla pista di atletica un tempo si estendeva un
insolito anello di parterre che, unito mediante scale agli spalti delle due
tribune laterali, rimaneva invece separato dalle due curve formando un
vasto e bizzarro spazio erboso tra il pubblico. Ciò risultava anche dalla
riduzione dell’anello della pista podistica come richiesto dalle nuove
norme della FIDAL che portarono pure ad una riduzione delle dimensioni
del campo di calcio da metri 110 x 70 a metri 106,50 x 69,10. Nel
frattempo, terminata la guerra, all’impianto fiorentino fu data la
generica denominazione di Stadio Comunale, rimuovendo il nome e la
memoria di Giovanni Berta come avvenuto per molte opere pubbliche e
strade anche nel resto d’Italia. Dopo un progetto di ampliamento mai
Dici Artemio Franchi e dici calcio italiano, europeo, mondiale.
ArtemioFranchi(1922–1983)èstatoundirigentesportivoitaliano
chehadirettoaimassimilivelliilcalcionazionaleeinternazionale.
Iniziò la sua carriera come arbitro, ino a dirigere le partite
di serie C. Divenne dirigente sportivo della Fiorentina e poi
ricoprì una prima volta l’incarico di Presidente della Figc dal
1966 al 1976. Sotto la sua gestione per la prima volta l’Italia
conquistò l’Europeo del 1968 e arrivò seconda al Mondiale in
Messico 1970. Il 15 marzo 1973 Artemio Franchi fu eletto con
votazione plebiscitaria presidente dell’UEFA. Un anno dopo,
diventò vicepresidente della FIFA. Nel 1958 fu inaugurato il
Centro Tecnico di Coverciano, voluto dal marchese Luigi Ridoli
che Franchi considerava il suo autentico maestro. Coverciano
si trasformò in una seconda casa per il dirigente iorentino, che
contribuì alla crescita degli impianti e alla valorizzazione delle
iniziative: fu anche merito di Franchi se Coverciano divenne, col
tempo, oltre che la sede naturale dei raduni azzurri, una vera e
propria università del calcio.
A questo grande personaggio del calcio sono intitolati sia lo
stadio di Firenze che lo stadio di Siena.
ARTEMIO FRANCHI
STADI D’ITALIA 15
attuato, presentato dallo stesso architetto Nervi nel 1950 e appoggiato
ancora una volta dal marchese Ridolfi, e dopo alcuni scriteriati interventi
dettati da esigenze funzionali, lo stadio Comunale ha subito importanti
interventi strutturali (che non hanno mancato di suscitare a loro volta
critiche e malumori) nel 1989 in vista delle gare dei campionati mondiali
di calcio dell’anno successivo. I lavori, affidati all’architetto Italo
Gamberini (che propose quattro diverse soluzioni con la collaborazione
degli arch. Loris Macci, Enrico Novelli e Giovanna Slocovich) furono
indirizzati verso il cambio di destinazione d’uso della struttura, ora
riservata solamente al calcio, l’aumento della capienza e della sicurezza,
la razionalizzazione dei servizi generali di funzionamento, in particolare
degli accessi e delle vie di deflusso degli spettatori. Essendo poste sotto
la tutela delle Belle Arti come Monumento Nazionale non fu possibile
sopraelevare le tribune esistenti, come avvenuto invece a Palermo,
Verona e Bologna. Lo stesso Nervi aveva previsto di dotare
successivamente l’impianto di un eventuale secondo anello che avrebbe
tuttavia mortificato l’armonia di molti elementi della struttura. Per
ampliare la struttura si decise allora di abbassare il terreno di gioco di
2,60 metri ed eliminare la gloriosa pista di atletica leggera dove in
passato, tra l’altro, era stato stabilito anche il record mondiale degli 800
metri dal mezzofondista inglese Sebastian Coe. Dietro le porte l’anello
di parterre fu eliminato e sostituito da un settore dotato di posti a sedere
che di fatto avvicinò gli spalti delle due estremità al terreno di gioco. Ne
risultò una capienza complessiva di 47.782 spettatori (poi ridotti agli
attuali 47.282), lontana comunque dalla precedente effettiva capacità
ricettiva dello stadio testimoniata dai 58.271 spettatori che seguirono la
gara con l’Inter del 25 novembre 1984. Inoltre, un anello di
trecentosessanta vetrate protettive sostituì la recinzione interna degli
spalti, una passerella di collegamento fu realizzata tra la tribuna stampa
ed il centro stampa e una palestra venne ricavata all’interno della
Tribuna Maratona. Attraverso la realizzazione di alcune scale integrative
esterne ed interne e la realizzazione delle nuove pensiline a sbalzo in
metallo che dipartono dalle estremità di quella originale in cemento
furono compiute ulteriori integrazioni funzionali e tecnologiche ritenute
necessarie, sebbene forse poco eleganti. Lo stadio fu dotato di un nuovo
impianto di illuminazione, di un impianto tv a circuito chiuso e di un
tabellone elettronico con display a colori. Per ultimo fu eliminato il
muro di cinta che chiudeva la vista delle strutture, sostituito con una
recinzione metallica, e venne altresì compiuta una generale
risistemazione della zona circostante, con nuovi parcheggi, riordino
della viabilità e incremento del verde. In tempi più recenti, nell’autunno
2014, il parterre della Tribuna Maratona fu infine dotato di un’assai
sgraziata pensilina inclinata. In oltre ottant’anni di storia, lo stadio di
Firenze ha ospitato diversi incontri dell’Italia a partire dal 7 maggio
1933 quando gli azzurri si imposero per 2 a 0 (con reti di Giovanni Ferrari
e Schiavio) sulla Cecoslovacchia in un incontro valido per la Coppa
Internazionale. A Firenze è stata inoltre assegnata la prima Coppa delle
Coppe, vinta dai viola nel doppio confronto con gli scozzesi dei Rangers
Glasgow, superati per 2 a 1 nella finale di ritorno il 27 maggio 1961,
davanti a 50.000 spettatori. In tempi recenti, nel 2010 e 2012, lo stadio
fiorentino ha ospitato anche due prestigiosi incontri della nazionale
italiana di rugby, disputati entrambi contro i forti Wallabies australiani.
Dal novembre 1991 il Comunale di Firenze è intitolato ad Artemio
Franchi, lo scomparso presidente della Federazione Italiana Giuoco
Calcio (la stessa che nel 2003 decretò per la società fiorentina – allora
chiamata Florentia Viola – una poco dignitosa promozione automatica
in Serie B), già segretario della Fiorentina e in seguito vicepresidente
della Uefa. Completano in un certo senso la struttura le magnifiche
colline fiesolane che appaiono dietro la Curva Nord - quella occupata
dalla tifoseria viola - e che, come la alture di Monte Mario nella Capitale,
arricchiscono ed esaltano lo stadio facendone dimenticare le non
indifferenti carenze, in particolare quelle legate alla scarsa copertura
ed ai problemi di visibilità, che altrimenti avrebbero da tempo rivelato
l’obsolescenza e l’inadeguatezza dell’impianto, ultimamente minacciato
dalle voci di un nuovo stadio ipotizzato nella zona a nord del capoluogo,
a Castello o a Osmannoro. Poco lontano dallo Stadio Artemio Franchi,
sempre sul Campo di Marte, sorge il nuovo Stadio Comunale di Atletica,
nato nel 2003 sulle “ceneri” dello stadio Militare, che l’Amministrazione
Comunale ha deciso di intitolare “all’indimenticabile grandissimo
dirigente sportivo fiorentino Marchese Luigi Ridolfi”. L’impianto,
costituito da varie strutture con edifici aventi diverse conformazioni per
rispondere a destinazioni d’uso differenti, è sviluppato su un anello di
spalti interrotto in prossimità della gradinata sul lato est, costruita in
forma più ridotta e priva di copertura per consentire l’apprezzamento di
particolari visuali interne al complesso. Il nuovo stadio per l’atletica
leggera, progettato dall’ingegnere Dario Bugli, è in grado di ospitare
circa 7.000 spettatori seduti al coperto, a cui si aggiungono circa 1.100
spettatori seduti nella Gradinata scoperta. Negli spazi ricavati
internamente alle tribune e nelle sporgenze lungo i lati ovest e sud sono
stati realizzati diversi locali, tra cui uffici, spogliatoi, palestre, aree di
ristoro, attività commerciali e numerosi servizi per il pubblico, gli atleti,
le autorità e la stampa. La copertura dello stadio è stata realizzata con
un sistema a doppia trave in legno lamellare binata, dall’altezza
estremamente contenuta rispetto agli abituali rapporti presenti nelle
strutture sportive. Per ultimo, senza alcuna pretesa di poter competere
con la magnificenza del Franchi, merita di essere ricordato anche il
vecchio Stadio del Littorio di Via Accursio, nel dopoguerra conosciuto
semplicemente come Stadio Comunale delle Due Strade sebbene sia
stata in seguito imposta l’intitolazione politica al partigiano fiorentino
Gino Bozzi. Dalla stagione 1978-79 la struttura ospita le gare della
Rondinella (e, più recentemente, del C.S. Porta Romana), la squadra nata
nel luglio del 1946 grazie ad un gruppo di sportivi riunitisi in un bar del
rione fiorentino di San Frediano. Il campo si trova infatti nel vicino
quartiere di San Gaggio, in direzione di Galluzzo, dove sorge la celebre
Certosa edificata da Niccolò Acciaiuoli nel 1341. Il nuovo campo,
capiente oggi 3.800 posti e composto essenzialmente da una tribuna
parzialmente coperta ed un settore di curva, portò subito fortuna alla
società biancorossa che centrò due promozioni consecutive, ritrovandosi
in Serie C1. Prima di allora la Rondinella aveva utilizzato il Campo Mario
Pucci, in via Antonio del Pollaiolo, sulla riva sinistra dell’Arno, e poi il
terreno di gioco allestito di fianco alla sede sociale (inaugurata
ufficialmente nel 1957 dal Presidente della Repubblica Giovanni
Gronchi) al Torrino di Santa Rosa, storica costruzione medioevale in
pietra situata in riva dell’Arno, dove oggi sorgono gli edifici della Asl.
STADI D’ITALIA
16
Nella Roma Imperiale erano assai numerosi i luoghi dedicati alle attività
ludico-sportive e se il Colosseo ne rappresenta tuttora l’esempio più diretto
e conosciuto, non possono non essere menzionati i magniici stadi dalla
classica forma a U allungata di derivazione ellenica che per secoli
accolsero le competizioni agonistiche dell’Urbe. Ai piedi del Palatino è
ancora possibile ammirare il Circo Massimo, posto non lontano
dall’Ippodromo della Domus Augustiana (o Stadio degli Imperatori);
sull’Appia sorgeva il Circo di Massenzio mentre nell’attuale Piazza Navona
un tempo trovava spazio lo Stadio di Domiziano. E poi il repubblicano Circo
Flaminio, quello di Variano vicino a Porta Maggiore e quello privato di
Caligola dove Nerone si esercitava prima delle esibizioni e dove furono
martirizzati molti cristiani, accusati dall’imperatore di essere gli autori
dell’incendio del 64. Qui è morto anche San Pietro, seppellito poi in una
zona a ianco del circo stesso. La storia degli stadi romani dedicati al gioco
del calcio nell’era moderna non ha invece goduto di cotanta magniicenza
ed in verità è stata piuttosto travagliata, rimanendo in buona parte legata
alle vicende delle società sportive che rappresentavano la Capitale. A
portare il calcio a Roma fu la Lazio, nata come Società Podistica all’inizio
del secolo passato per volontà di nove giovani sportivi capeggiati dal
sottouficiale dei Bersaglieri Luigi Bigiarelli, riunitisi – così riportano le
cronache del tempo – su una panchina del Lungotevere di fronte alla
Piazza d’Armi, oggi Piazza della Libertà. Era il 9 gennaio 1900, una sorta di
Anno Santo per i calcioili della Capitale dove, tra le antiche carrozze e il
primo tram elettrico, ancora non esisteva lo Stadio Nazionale del quartiere
Flaminio, sorto nel 1911 ma mai utilizzato per gare internazionali e presto
abbandonato durante la Grande Guerra. Nei primi anni di attività la Lazio
utilizzò diversi campi cittadini a partire proprio dal terreno della Piazza
d’Armi del quartiere Prati, non lontano dall’Olimpico, dove il 16 maggio
1902 fu giocata la prima sida stracittadina in assoluto, vinta dai
biancocelesti per tre a zero contro la Virtus. L’ampio spiazzo erboso era
utilizzato per le manovre militari delle vicine caserme e si trovava nell’area
formata dal Lungotevere delle Armi – un tempo non asfaltato – con
l’attuale Viale Carso, Viale Angelico e Viale delle Milizie, il cui tratto inale
veniva utilizzato anche per i campionati studenteschi. L’area,
approssimativamente un chilometro quadrato circondato da un doppio
ilare alberato, era un tempo chiamata Campo di Marte e rappresentava
allora il margine occidentale della periferia romana. Il campo di gioco dei
pionieri laziali misurava inizialmente metri 100 x 50, era situato sul lato
compreso tra il Lungotevere e Viale delle Milizie e disponeva di porte in
legno costruite dal falegname Alberto Canalini. In previsione delle
manifestazioni organizzate dall’imminente Esposizione per il
cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, l’allora presidente laziale
Fortunato Ballerini si attivò per assicurare alla squadra un nuovo terreno di
gioco. Dall’Assessore ai Beni Patrimoniali, Leopoldo Torlonia, Ballerini
ottenne i due campi incolti del Parco dei Daini situati ai margini di Villa
Umberto, l’attuale Villa Borghese (dove la Lazio aveva già fatto qualche
fugace apparizione a Piazza di Siena). In meno di due anni, grazie all’aiuto
del Genio Militare che concorse a spianare il terreno, furono creati due
campi di gioco impreziositi dagli spogliatoi e dagli ufici societari ricavati
– non senza fatica – all’interno del padiglione dell’uccelliera, la casina di
mezzo delle tre che costeggiavano l’attuale Via dei Daini. Il campo fu
utilizzato dai biancocelesti nel periodo tra il 1906 ed il 1913 ma venne
ROMA
StadioOlimpico
105X68metri
ForoItalico
00194Roma
1953
73.000posti
LAZIO
frettolosamente abbandonato, pare, in seguito ad una pallonata di
Saraceni terminata sulla vettura della moglie del prefetto. Così la squadra
dovette spostarsi momentaneamente al campo della Farnesina, situato
assai lontano in prossimità del Poligono di Tiro oltre Ponte Milvio, più o
meno nell’area occupata vent’anni dopo dallo Stadio dei Marmi. Il campo
fu inaugurato con un secco 5-0 all’Audace e venne utilizzato per poco più
di un anno, il tempo necessario per ultimare i lavori al campo della
Rondinella, costruito sempre da Ballerini nel 1914 sulle colline dei Parioli
ed inaugurato contro i medesimi avversari, battuti nuovamente per 3 a 2 il
1° novembre 1914. Il campo della Rondinella, utilizzato per le gare della
squadra ino al 1931 e per gli allenamenti sino al 1957, riprendeva il nome
da un’antica strada a sua volta così chiamata dall’insegna a forma di
rondine di un’osteria che lì sorgeva. L’8 dicembre 1929 il campo fu teatro
del primo derby capitolino con i rivali della AS Roma che nell’occasione si
imposero al termine della gara per 1 a 0 con rete di Wolk. Qui furono
inoltre disputate la inale nazionale persa il 22 luglio 1923 contro il Genoa
e il primo incontro del campionato a girone unico, una sonante vittoria per
tre a zero ottenuta il 6 ottobre 1929 contro il Bologna fresco campione
d’Italia. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, in considerazione delle
privazioni della popolazione civile, lo stesso Ballerini permise di
trasformare il terreno del campo in “orto di guerra”. Il nobile gesto non
venne dimenticato e anni dopo, il 2 giugno 1921, la Lazio con regio decreto
venne dichiarata “Ente Morale” per meriti sociali, culturali e sportivi, unica
società allora nel panorama sportivo nazionale. Nella ristrutturazione
post-bellica dell’impianto vennero impiegati anche i tre vagoni carichi di
materiale donati dalla Croce Rossa Americana ai giovani esploratori per
erigere baracche prefabbricate. L’impianto della Rondinella assunse il suo
aspetto deinitivo nel 1924, allorché fu ruotato il campo di 180 gradi e
venne realizzata la tribuna coperta in legno. Questa riprendeva in parte i
colori della squadra, aveva un vasto tetto a falde inclinate e poggiava su
una base di mattoni dove vennero altresì ricavati quattro spogliatoi con
docce, la casa del custode ed un magazzino. Gli spalti, costituiti da ripiani
lignei a tavolato, si sviluppavano anche sui restanti tre lati del terreno di
gioco portando la capienza complessiva dell’impianto oltre i 15.000 posti.
Il perimetro del campo e il coronamento sommitale erano recintati da
parapetti a crociata romana. I lavori furono eseguiti dalla ditta Di Zitto & C.
per conto della Società Anonima Campo Rondinella con un capitale in
parte inanziato da sottoscrizioni pubbliche poi convertite in tessere di
socio vitalizio. Il 13 ottobre 1928 venne inaugurato l’anello del cinodromo,
inserito poco prima su iniziativa di due nobili romani, il conte Carlo Dentice
di Frasso e il conte Romeo Gallenga Stuart. La storia del Campo Rondinella
si interruppe improvvisamente una notte estiva del 1957, quando il
cinodromo e la tribuna andarono a fuoco anticipando di qualche anno la
ine dell’impianto comunque minacciato dal nuovo piano regolatore. Il
STADI D’ITALIA 103
LoStadio
Nazionale,
antenato
dell’attuale
Flaminio.
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Stadi d'italia 2018 estratto
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Stadi d'Italia ICS Estratto.pdf

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  • 3. L’Istituto per il Credito Sportivo (ICS), la banca pubblica dello sport, dopo quattro anni ripropone questo progetto editoria- le “Stadi d’Italia” del giornalista Sandro Solinas, nella sua qualità di “azionista di riferimento” del patrimonio impiantistico sportivo del Paese. Grazieinfattiaiinanziamentidell’IstitutosonostatirealizzatioristrutturatidaiComuniproprietario,inpochicasi,daiClub calcistici, la maggior parte degli stadi italiani. Rispetto alla prima edizione, questo volume ha raggiunto una copertura praticamente integrale del network nazionale degli stadi e, inoltre, è stato arricchito con numerosi dettagli tecnici sui singoli impianti che lo rendono anche un utile stru- mento di consultazione, comparazione e lavoro per tutti gli operatori dell’industria del calcio tricolore. La caratteristica di questa pregevole opera è quella di “animare” gli stadi che diventano essi stessi i protagonisti di tante pagine di storia dello sport dei “Mille campanili del nostro Paese” completate da originali aneddoti e particolari tecnici. La lettura di questo libro, inoltre, suscita intense emozioni perché riporta alla memoria le esperienze di passione calcistica vissute da ciascuno nel passato sugli spalti gremiti. E intanto il tempo è trascorso anche per le nostre arene, gli stadi sono inesorabilmente invecchiati, gli spalti sono divenuti poco ospitali e gli spettatori continuano sempre di più ad allontanarsi dallo spettacolo calcistico dal vivo. Il mondo e l’Europa sono progrediti, mentre il nostro Paese è ancora fermo a pochi esempi virtuosi come lo Juventus Sta- dium di Torino, il Dacia Arena di Udine e, dalla stagione calcistica 2017/2018, anche il Benito Stirpe di Frosinone. Lo stadio moderno, oggi, per avere appeal per gli appassionati e per le loro famiglie deve possedere una serie di requisiti: ottima visibilità dello spettacolo, confort, sicurezza, dotazioni tecnologiche, ristoranti, bar, musei dei club, fan shop e altre caratteristiche invitanti legate ai singoli territori di riferimento. Per realizzare una nuova generazione di stadi sono necessari investimenti importanti e formule inanziarie anche innovati- ve, ma soprattutto ci vuole un ottimo gioco di squadra fra i Comuni proprietari, i Club calcistici e le istituzioni. Èquestounmomentostoricoincuioccorrefaresistemaperridarecompetitivitàall’industriadelcalcioattraversolarealiz- zazione di un network di stadi moderni. L’ICS, attraverso questo libro, intende quindi proiettarsi nel futuro, pienamente consapevole che, quale banca pubblica al serviziodellosport,haanchelaresponsabilitàfondamentaledifarcolmare,quantoprima,ilgapinfrastrutturaledelnostro Paeseedifartornareglistadiprotagonistidinuove,avvincentiedemozionantistoriedi“sport”edi“vita”conglispaltiaffol- lati non solo da appassionati di calcio, ma anche dalle loro famiglie. DALPASSATO ALPRESENTE, PERCOSTRUIRE ILFUTURO di Paolo D’Alessio Paolo D’Alessio
  • 4. Ilviaggiotraglistadid’Italiaèunpercorsoaffascinantenellastorianonsolospor- tivadelnostroPaese.Unviaggioattraversoiluoghisimbolodiunodeglisportpiù popolarieamati:ilcalcio.Investirenelleinfrastrutturesportivenonèsoloun’ope- razioneeconomicamaèancheun’opportunitàculturaleesociale.Dotarsidistadi funzionali, accoglienti e senza barriere vuol dire conferire un valore aggiunto al nostrocampionato.PensoadesempioaquellodiSerieAchedevediventaresem- pre più competitivo, a livello tecnico e di immagine. Tra i punti principali del mio mandato come ministro c’è quello di rendere più snelli e eficaci i processi che possono favorire la ristrutturazione o la costruzione, ove necessario, di impianti sportivi. Lo stadio, in questo modo, può tornare ad essere il “tempio dello sport” e può diventare non solo un polo di attrazione turistica ma anche un volano per l’economia della città che lo ospita. Non possiamo più permetterci passi falsi, lo dobbiamo alla nostra storia e alla nostra tradizione calcistica. E’ fondamentale che gli stadi tornino a essere un luogo dove le famiglie possono vivere la magia delcalcio.Nonpotròmaidimenticarelaprimavoltachesonoentratoall’Artemio Franchi di Firenze. Ricordo tutto: gli spalti, le bandiere, quel luogo che ai miei occhidibambinoapparivaimmenso,cosìcomel’atmosferadifestael’adrenalina prima del ischio d’inizio. Uno dei compiti come ministro per lo Sport, ai quali tengo particolarmente, è far sì che lo sport possa continuare a far sognare i più piccoli. Deve riempire d’orgoglio ogni volta che uno di loro inizia a tirare qualche calcioalpalloneinuncampettovicinocasa:vuoldirecheleistituzionieilsistema sport hanno centrato un obiettivo. In questo quadro si inserisce un’altra priorità che ho assunto, ovvero l’impegno verso la progressiva eliminazione dell’errato concetto di “sport minori”. Per riuscire a cancellare questa ingiusta gerarchia è indispensabile poter offrire infrastrutture adeguate e sicure, dove poter praticare tuttiglisport.Eccoperchéoltreaglistadil’attenzionecomeministroèaltaanche nei confronti delle periferie dove spesso nasce la passione per lo sport. Proprio come successe a me tanti anni fa a Samminiatello dove ho imparato il valore del gioco di squadra e dove ho assimilato il valore positivo della lealtà. Viaggioneglistadi: ilnostrofuturotra storiaetradizione calcistica di Luca Lotti Luca Lotti
  • 5. Gli stadi sono le case dello sport. Dove sport non vuol dire solo mera competizio- ne inalizzata al raggiungimento della vittoria ma anche condivisione capace di far vincere l’aggregazione e l’inclusione sociale. Stadio signiica sviluppo, para- metro di civiltà, occasione di confronto e di occupazione. Parto dalla doverosa premessaperapplaudirel’iniziativalegataaquestapubblicazione,cheripercorre la storia di oltre 150 impianti che sono stati teatro di side epiche, capaci ancora oggi di accendere gli entusiasmi attraverso aneddoti affascinanti, che sanno di inebriante amarcord. Perché l’abbinamento con il calcio abbraccia una delle più diffuse passioni popolari e sintetizza l’argomento principe di discussione tra gli amici.Viaggiareneltempo,sfogliandolepaginedistoriachehannocaratterizza- to la vita di ogni appassionato, aiuta a proiettarci ino alle radici del movimento. Gli impianti di calcio raccontano una storia speciale e custodiscono un patrimonio indelebilediemozioniericordi.E’unmodoperriavvolgereilnastroeperripercor- rereletappepiùavvincentiattraversoun’espressionevividadellanostracomunità. Ogniimpiantohailsuoparticolarebackground,èuntesorodascoprireedavalo- rizzarenell’otticadellacrescitadelmovimento.Diventaimportanteconoscerele modalitàdirealizzazione,letecnicheutilizzate,indagaresullasceltadelleforme e scoprire l’identità originaria delle opere che ora fanno parte dell’antologia del settore. Forme e materiali di un’epoca al capolinea, che deve dare spazio al futu- ro, lasciando in dote esperienze che nessuno potrà mai cancellare dall’immagi- nario collettivo. Da lì dobbiamo ripartire per evitare errori che non si possono più commettere. Perché il calcio, come tutto lo sport, ha bisogno di strutture che non siano obsolete, ma di impianti accoglienti, in linea con i tempi e con le esigenze dipatrimonializzazionedellesocietà,chiamatiancheaincoraggiareunasocialità più vicina all’autenticità del messaggio che il nostro mondo intende veicolare e lontana – il più possibile – da malcostumi dilaganti e pericolose degenerazioni. Sarebbe bello dimenticare i fossati, le reti protettive, esaltando strutture prive di barriere architettoniche. E sarebbe bello tornare a vedere le famiglie al posto di spazi desolatamente vuoti. L’augurio, a nome dello sport italiano, è che il viaggio nel tempo compiuto da questo libro faccia da preludio all’avvento di un’epoca indimenticabile per il nostro movimento, perché gli stadi di nuova generazione possonoessereunasolareoccasionepercontribuirealrilanciodell’immaginedel calcio e dell’intero Paese. Inostristadi: untesorodascopriree davalorizzare di Giovanni Malagò
  • 6. Carlo Tavecchio Lo stadio è il palcoscenico privilegiato per uno degli spettacoli più belli al mondo: la partita di calcio. In qualsiasi categoria si giochi, l’impianto sportivo rappresenta qualcosa in più di un luogo isico perché riesce ad essere, nella mente dei protagonisti e degli appassionati, un ambiente familiare dove vivere emozioni intense, degne di essere ricordate, indipendentemente dal risultato agonistico. Ogni sportivo ha un vivido ricordo legato alla presenza in uno stadio, magari la partita più importante mai giocata o la prima gara della squadra del cuore vista dal vivo. Nella maggioranza dei casi, lo stadio in Italia rispecchia il vissuto storico-sociale della Comunità di riferimento, con il suo patrimonio umano prima ancora che sportivo. Un valore che emerge in maniera chiara leggendo questo libro, la cui visione però supera il passato per portarci al presente e alle dificoltà che il sistema oggi attraversa in questo settore. Nonostante una volta fossimo all’avanguardia nell’edilizia legata all’impiantistica sportiva, nel nostro Paese gli stadi tardano ad essere ammodernati. Fatta eccezione per qualche lungimirante progetto già portato a compimento, siamo terribilmente in ritardo nel processo di riconversione degli impianti, sia per quelli d’elite che per quelli territoriali. È necessario un nuovo patto tra club, enti locali e istituzioni, tra le quali gioca un ruolo fondamentale proprio l’Istituto per il Credito Sportivo, al ine di colmare il gap esistente con il resto d’Europa. Anche sfogliando queste pagine intrise di storia, però, sono sempre più convinto che la progettazione del nostro futuro debba obbligatoriamente tenere conto del patrimonio culturale ed emozionale che le infrastrutture descritte in questo volume ci trasmettono. Il signiicato che ha illuminato il nostro passato deve essere la base con cui proiettarci il più velocemente possibile in una nuova era. Saluto delPresidente dellaFIGC Carlo Tavecchio
  • 7. Sandro Solinas Arenedicuoio di Sandro Solinas Una storia italiana, questo sono i nostri stadi. Un lungo racconto, un viaggio della memoria attraverso mille ricordi di uomini e donne del nostro bellissimo Paese. Una storia forse segnata da errori, sprechi, degrado, eccessi ed approssimazione, ma anche ricca di gloria, suc- cesso e talento. È questo, e nient’altro, che mi ha spinto a raccontare alla tribù del calcio le vicende passate dei nostri stadi. Il desiderio dì vincere il silenzio e l’oblio calati sui nostri campi, dimenticati senza un vero perché pur essendo lo scrigno dei ricordi e delle emozioni per intere generazioni di italiani. La loro storia, la nostra storia. A farmi compagnia nel raccontare un secolo di gioie e dolori vissuti sugli spalti sono ancora loro, gli amici del Credito Sportivo, che hanno saputo cogliere appieno lo spirito di questa ricerca, più emozionale che tecnica; quasi un romanzo collettivo, una cronaca ininita narrata da tutti noi, perché nessun luogo è più trasversale di uno stadio, luogo magico dove puoi piangere e gioire abbracciato ad uno sconosciuto. Stadi d’Italia nasce così, un lungo viaggio attraverso gli impianti del nostro calcio, alcuni celebri alcuni poco conosciuti, alcuni nuovi al- cuni scomparsi, per riscoprire il fascino e la storia delle nuove arene che, come i circhi e gli aniteatri nell’antichità classica, sono ancora oggi i luoghi urbani deputati ad ospitare gli spettacoli sportivi e le manifestazioni di massa. Ieri il Circo Massimo, oggi l’Olimpico, doma- ni chissà. Arriveranno nuovi stadi, si giocherà altrove, forse in un contesto sociale ed urbano del tutto inedito, all’interno di moderne e ardite strutture dove - tra invadenti telecamere e connessioni ultraveloci, confortevoli seggiolini e terreni sintetici di ultima generazione - troveranno spazio le future ambizioni sportive degli atleti italiani e, con esse, nuove emozioni di polvere e sudore destinate per sempre a convivere con i nostri sogni di ieri. Voltarsi un’ultima volta per guardare con iducia al domani, gettando lo sguardo oltre i tanti problemi che da tempo travagliano i nostri stadi, tra i più vuoti e obsoleti del Continente, eppure affascinanti come pochi altri, forti della storia, della tradizione e dei ricordi che accompagnano. Un irresistibile charme fuori dal tempo, l’acre odore inebriante delle mille side infernali che ogni campo polveroso por- ta con sé, trascinandolo tra gli spalti al centro del cuore di ogni tifoso. L’unica vera arena che conta.
  • 9. INTRODUZIONE di Michele Uva Direttore Generale FIGC Stadi d’Italia come indice e palcoscenico unico della storia del calcio italiano. Giusto. È un diritto di ogni cittadino poter vivere lo sport. Praticarlo, studiarlo, respirarlo, sentirlo, vederlo in tv o sul web, ma soprattutto viverlo dal vivo. Lo spettacolo calcistico trasmette emozioni e passioni uniche. Lo sanno bene le quasi cento milioni di persone che hanno assistito alle oltre undicimila partite dei campionati di calcio di prima divisione che si disputano in tutta Europa. Volendo sommare le partite di tutte le categorie in tutto il mondo il numero straordinariamente cresce per avvicinarsi al miliardo di spettatori live. Un movimento straordinario. L’impiantistica sportiva si conferma, inoltre, un asset strategico nello sport business: secondo le ultime stime, i ricavi ticketing nel mondo ammontano a 40 miliardi di euro; al momento a livello globale si contano oltre 50 nuovi progetti di costruzione o ristrutturazione di impianti sportivi di livello profes- sionistico, per un investimento complessivo pari a 10,2 miliardi di euro e una capienza complessiva di 1,7 milioni di nuovi seggiolini. In Europa e nel calcio negli ultimi anni le presenze negli stadi risultano a livel- lo generale in decremento; nell’ultimo anno è stato toccato il dato più basso dell’ultimo decennio (96,7 milioni di spettatori). Tra i 10 principali campionati, inoltre, in ben 7 casi si registra un’afluenza in diminuzione. Aumentano di conseguenza le distanze con le best practice estere, e in particolare con lo sport professionistico del Nord America; nell’ultimo anno l’afluenza comples- siva allo stadio nelle 4 principali leghe americane (NFL, MLB, NBA e NHL) sio- ra i 135 milioni di spettatori (con ricavi da ticketing pari a 5,4 miliardi di euro), mentre il dato relativo alle 5 top league calcistiche europee (Premier League, Bundesliga, Liga, Serie A e Ligue 1) non supera i 54 milioni di spettatori; i ricavi da gare complessivi sono pari a meno di 2 miliardi di euro. Differenze abissali. La chiave, ovviamente, c’è. Sono gli investimenti. Le sole franchigie di football americano hanno investito negli ultimi 20 anni quasi 14 miliardi di dollari per la realizzazione di 22 nuovi stadi, e l’incidenza degli investimenti privati (ri- spetto a quelli pubblici) è salita dal 36% del periodo 1997-2002 al 73% tra il 2003 e il 2017. La NFL fattura oggi in termini di ricavi da gare oltre 1,7 miliardi di euro, rispetto ai 685 milioni della Premier League, best practice nel settore calcistico.
  • 10. I trend di crescita, come pure la capacità di mantenere più o meno lo stesso numero di spettatori in un periodo di così acuta crisi economi- ca generale, sono direttamente proporzionali alla costruzione di impianti nuovi o alla loro ristrutturazione. Dipendono molto più da questo che dalle campagne acquisti e cessioni di giocatori. Un concetto ancora poco condiviso in Italia, molto più nelle best practice estere. Nel calcio inglese tra il 1992 e il 2015 sono stati investiti più di 4 miliardi di sterline, con la costruzione negli ultimi 30 anni di 29 nuovi stadi. In Germania e in Francia, rispettivamente per i Mondiali del 2006 e i Campionati Europei del 2016, sono stati investiti oltre 1,5 miliardi di euro. In Spagna, inine, i tre top club hanno varato un programma da quasi 1,3 miliardi di euro, per la realizzazione del nuovo stadio dell’Atletico Madrid, nonché la ristrutturazione del Camp Nou di Barcellona e del Santiago Bernabeu di Madrid. Ma, per evitare banalizzazioni, diciamo che non vi è un legame diretto fra capacità di attirare spettatori e proprietà privata degli stadi. Soltanto in Inghilterra essi appartengono al 100% ai club calcistici che li utilizzano. In Germania e in Francia vi sono forme di partecipazione mista, alcuni stadi privati ed altri pubblici. In Italia sono al 99% pubblici. Non esiste però il modello perfetto. Ogni area di un Paese deve trovare la propria formula vincente sulla base delle situazioni storiche, sociali, culturali, inanziarie ed economiche, anche contingenti, che lo caratterizzano. In Italia, considerato lo stato delle inanze delle amministrazioni locali, la strada maestra è quella degli investimenti privati. Una svolta rispetto al percorso individuato nel passato (molto remoto). La svolta è comunque ur- gente e necessaria. Perchè? Presto detto. La Serie A è l’unico fra i campionati più importanti d’Europa ad avere un trend negativo negli ultimi venti anni; il dato peggiora se andiamo ancora indietro nel tempo. Una continua fuga dagli stadi che per ora non si riesce ad arginare. I due grandi alibi sono l’invasività della televisione e l’esoso prezzo del bigliet- to. Errati entrambi i concetti. Partendo dal primo degli alibi, sappiamo che in Germania, Inghilterra, Francia, Spagna, Russia, Olanda e altri, hanno tutti i pa- rametri in costante ascesa: audience, spettatori dal vivo e valore economico. In Italia i primi due in discesa, il terzo stabile. Secondo alibi. Il presunto costo elevato del biglietto. Di certo non inluisce più di tanto sull’afluenza. Anni fa ho creato un indice (Indexuva©) che confronta l’incidenza media del prezzo del titolo di accesso sullo stipendio medio giornaliero di un individuo nelle diverse realtà nazionali. Ebbene, l’Inghilterra è il Paese in cui l’incidenza è superiore (61,5%), eppure il tasso di riempimento medio degli impianti di Pre- mier League è del 92% In Italia l’indice è signiicativamente inferiore a quello della stessa Inghilterra, nonché di Spagna e Germania. Ritornando al concetto da cui sono partito, penso che sia diritto di un cittadino poter assistere agli spettacoli sportivi in ambienti moderni, fruibili, comodi e soprattutto sicuri. Così come avviene in tutta l’Europa. È indubbio, senza sco- modare gli impianti americani, che Germania e Inghilterra, con Spagna, Fran- cia e Polonia a ruota, abbiano già compreso l’importanza di doversi dotare di strutture sportive moderne. Hanno trasformato progressivamente lo stadio nella “casa del tifoso” con una forte attenzione ai servizi a lui dedicati. L’equazione è presto fatta: più servizi, più sicurezza, più ricavi per i club. L’e- voluzione del ricavo unitario per spettatore, è anche una conseguenza di queste politiche, chehannoconsentitoallaBundesligadiraddoppiare(+99%) i ricavi da gare negli ultimi dodici anni. I differenti approcci alla questione stadi da parte delle principali società europee nel corso degli ultimi dieci anni hanno naturalmente provocato conseguenze importanti nei ricavi deitopclub.Unesempioèlacomparazio- ne fra il Barcellona e la Roma. Nella stagione 2002-03 i due club avevano in pratica le stesse entrate da gara: 41,8 milioni il club catalano, 41,2 quello giallorosso. Nel 2014-15 il Barcellonaèsalitoa116,9milioni(+180%), mentre la Roma è scivolata a 30,4 milioni (-26%). Stadio moderno vuol dire crescita del business, anche e soprattutto per le squadre italiane se sapranno cambiare marcia rispetto all’ indietro tutta delle ultime stagioni. Pensiamo alla percentuale di riempimento degli stadi. Impressionano il 100% del Bayern Monaco e il 99% del Borussia Dortmund. Juventus a parte, l’entità dei posti che negli stadi italiani rimangono vuoti la- scia pensare che in Italia, al di là della possibilità di progettare nuovi impianti e dei loro tempi di realizzazione, vi sarebbe comunque subito la necessità- opportunità di sfruttare meglio gli stadi esistenti. Partendo dal concetto che la partita è un momento esperienziale fortemente legato alla passione. La strada è implementare le strategie di CRM, aumentare i servizi e applica- re il marketing al ticketing. You feel at home, è il motto degli inglesi e strate- gie già percorse in tutto il mondo e in tutti gli sport. Ne è un esempio l’espe- rienza che ha avuto successo nella Nba agli inizi degli anni novanta, quando i palasport non erano gremiti. Vennero calcolate le percentuali d’invenduto e studiate nuove politiche di idelizzazione e vendita che hanno portato al continuo sold out (e aumento del valore del biglietto) odierno. Il margine di crescita è importante. In Italia il potenziale, per gli oltre 8,4 mi- lioni di biglietti invenduti (dato riferito soltanto alle squadre di Serie A), si aggira sui 230 milioni. In Serie B e in Lega Pro il potenziale inespresso è altrettanto signiicativo (quasi 100 milioni di euro di ricavi da gare “mancati”). Detto che non esiste un unico modello vincente di stadio applicabile indif- ferentemente in tutti i Paesi, in linea generale si possono invece individuare due macro-modelli che identiicano nella situazione attuale l’esempio ne- gativo e l’esempio positivo del business stadio nel calcio europeo. Il primo modello è lo “stadio costo”, quello italiano per intenderci. Si carat- terizza per la sua proprietà pubblica con conseguente costo di locazione a carico della società calcistica e costo della manutenzione che preme sui conti pubblici. Per la sua struttura quasi mai è economicamente sostenibile, ha un basso livello di comfort, sicurezza e appeal; è quasi sempre una “cattedrale nel deserto” con particolare assenza di servizi necessari a renderlo accessibi- le e fruibile; utilizzato quasi esclusivamente nel matchday. La maggior parte di essi non è stata costruita per il calcio, se è vero com’è vero che il 31% degli stadi di Serie A e il 41% della Serie B han- no la pista d’ atletica che riduce, e di molto, la visibilità. Hanno livelli di comfort molto bassi, considerato fra l’altro che il 23% dei posti in Serie A è
  • 11. scoperto, percentuale che sale al 67% in Serie B. Sono spesso insicuri, perché fatiscenti, e le misure di sicurezza introdotte hanno ridotto ulteriormente la visibilità e il fascino dello spettacolo (oltre il 90% degli stadi di Serie A e Serie B presenta barriere fra campo e tribune). Siamo quasi al di sotto della soglia di civiltà per quanto riguarda i servizi igienici.Circaunostadiosu5hapiùdellametàdelletoilettechenonfunziona. Opposte le caratteristiche del modello “stadio ricavo”. Moderno, funzionale e ricco di servizi; viene utilizzato a 360 gradi, non soltanto per le partite; è aperto sette giorni alla settimana; genera ricavi che non sono garantiti soltanto dagli ingressi nei giorni delle partite e dalle performance sportive della squadra. La gestione dello “stadio ricavo” è quasi sempre afidata direttamente ai club calcistici, che ne sono spesso proprietari o che partecipano a socie- tà miste pubblico-privato. È in genere un impianto nuovo o profondamente rinnovato e quindi moderno, confortevole, sicuro, ma soprattutto inanziaria- mente sostenibile. Offre ogni genere di servizio, naturalmente a pagamento, perciò utile a rendere redditizia la gestione. Viene utilizzato per attività quasi quotidiane (concerti, spettacoli, mostre, visite guidate, convegni, corporate events). È il modello che sostanzialmente viene adottato in Germania e in Inghilterra e offre prospettive economiche tanto allettanti da attrarre inanziatori pubblici e privati. Il recente boom del calcio tedesco nasce proprio dalla capacità di sfruttamento degli impianti e dalle attività commerciali connesse alla valorizzazione del brand e del gradimento complessivo del pubblico. Che in uno “stadio ricavo” prova più piacere a soffermarsi. Tanto che è stato calcolato un tempo di permanenza medio di 230 minuti. Rispetto al tempo di permanenza medio di 120 minuti in uno “stadio costo”. Un ulteriore dato che aiuta a capire come uno stadio nuovo e pienamente utilizzato sia un asset altamente produttivo, con grandi margina- lità. Purché si sappia programmare l’impianto adatto alle proprie esigenze, afidandosi a soggetti esperti prima e ad architetti competenti poi. Le più interessanti esperienze internazionali dimostrano che si tratta di investimenti validi sotto il proilo economico: i principali nuovi stadi costruiti in Europa negli ultimi 10 anni hanno generato nel primo anno di inaugurazione un incre- mento medio di oltre il 41% dell’afluenza e di quasi il 74% sotto il proilo dei ricavi da gare. La Juventus è stata la prima in Italia, visione mista a capacità imprenditoriale. Un esempio da seguire. Far crescere il calcio italiano è dare impulso allo sviluppo di una nuova generazione di impianti e strategie di Crm a supporto. Perché la storia racconta i suoi luoghi, i suoi templi, le sue passioni, il suo sport. Ma il futuro si costruisce con le competenze, con le idee e con i fatti. Per questo “le case per lo sport” devono essere sempre il punto di partenza della storia del domani che tutti noi vogliamo costruire. Michele Uva
  • 12. indice generale Acireale (CT) Stadio Tupparello vol. 2 p. 228 Agrigento (AG) Stadio Esseneto vol. 2 p. 230 Alessandria (AL) Stadio Giuseppe Moccagatta vol. 1 p. 20 Alghero (SS) Stadio Mariotti vol. 2 p. 262 Ancona (AN) Stadio del Conero vol. 2 p. 58 Andria (BT) Stadio degli Ulivi vol. 2 p. 178 Aosta (AO) Stadio Mario Puchoz vol. 1 p. 16 Arezzo (AR) Stadio Città di Arezzo vol. 2 p. 4 Ascoli (AP) Stadio Cino e Lillo Del Duca vol. 2 p. 61 Avellino (AV) Stadio Partenio Adriano Lombardi vol. 2 p. 144 Aversa (CE) Stadio Augusto Bisceglia vol. 2 p. 147 Avezzano (AQ) Stadio dei Marsi vol. 2 p. 116 Barcellona Pozzo di Gotto (ME) Stadio D'Alcontres vol. 2 p. 232 Bari (BA) Stadio San Nicola vol. 2 p. 180 Barletta (BT) Stadio Cosimo Puttilli vol. 2 p. 184 Bassano del Grappa (VI) Stadio Rino Mercante vol. 1 p. 120 Belluno (BL) Stadio Polisportivo Comunale vol. 1 p. 122 Benevento (BN) Stadio Ciro Vigorito vol. 2 p. 148 Bergamo (BG) Stadio Atleti Azzurri vol. 1 p. 50 Biella (BI) CampoPol.AlessandroLamarmoraStadio Vittorio Pozzo vol. 1 p. 22 Bologna (BO) Stadio Renato dall'Ara vol. 1 p. 164 Bolzano (BZ) Stadio Marco Druso vol. 1 p. 100 Brescia (BS) Stadio Mario Rigamonti vol. 1 p. 53 Brindisi (BR) Stadio Franco Fanuzzi vol. 2 p. 186 Busto Arsizio (VA) Stadio Carlo Speroni vol. 1 p. 55 Cagliari (CA) Stadio Sant'Elia vol. 2 p. 264 Caltanissetta (CL) Stadio Marco Tomaselli vol. 2 p. 234 Campobasso (CB) Stadio Selva Piana vol. 2 p. 138 Carpi (MO) Stadio Sandro Cabassi vol. 1 p. 169 Carrara (MS) StadiodeiMarmiL.Marchini,A.Piccini,P.Vannucci,B.Venturini vol. 2 p. 7 Casale Monferrato (AL) Stadio Natale Palli vol. 1 p. 24 Caserta (CE) Stadio Alberto Pinto vol. 2 p. 150
  • 13. Cassino (FR) Stadio Gino Salveti vol. 2 p. 90 Castel di Sangro (AQ) Stadio Teoilo Patini vol. 2 p. 118 Castel San Pietro Terme (BO) Stadio Comunale vol. 1 p. 171 Castellammare di Stabia (NA) Stadio Romeo Menti vol. 2 p. 152 Castelnuovo di Garfagnana (LU) Stadio Alessio Nardini vol. 2 p. 9 Catania (CT) Stadio Angelo Massimino vol. 2 p. 236 Catanzaro (CZ) Stadio Nicola Ceravolo vol. 2 p. 210 Cava de' Tirreni (SA) Stadio Simonetta Lamberti vol. 2 p. 154 Celano (AQ) Stadio Fabio Piccone vol. 2 p. 120 Cesena (FC) Stadio Dino Manuzzi vol. 1 p. 172 Chiavari (GE) Stadio Comunale vol. 1 p. 148 Chieti (CH) Stadio Guido Angelini vol. 2 p. 122 Chioggia (VE) Stadio Aldo e Dino Ballarin vol. 1 p. 124 Cittadella (PD) Stadio Pier Cesare Tombolato vol. 1 p. 126 Civitavecchia (RM) Stadio San Giovanni Maria Fattori vol. 2 p. 92 Como (CO) Stadio Giuseppe Sinigallia vol. 1 p. 57 Cosenza (CS) StadioSanVito-Gigi Marulla vol. 2 p. 212 Crema (CR) Stadio Giuseppe Voltini vol. 1 p. 59 Cremona (CR) Stadio Giovanni Zini vol. 1 p. 61 Crotone (KR) Stadio Ezio Scida vol. 2 p. 216 Cuneo (CU) Stadio Fratelli Paschiero vol. 1 p. 26 Empoli (FI) Stadio Carlo Castellani vol. 2 p. 10 Enna (EN) Stadio Generale Gaeta vol. 2 p. 239 Fano (PU) Stadio Raffaele Mancini vol. 2 p. 64 Fermo (AP) Stadio Bruno Recchioni vol. 2 p. 66 Ferrara (FE) Stadio Paolo Mazza vol. 1 p. 175 Firenze (FI) Stadio Artemio Franchi vol. 2 p. 12 Fiume (Rijeka - Croazia) Stadio Municipale Kantrida vol. 1 p. 108 Foggia (FG) Stadio Pino Zaccheria vol. 2 p. 187 Foligno (PG) Stadio Enzo Blasone vol. 2 p. 78 Fondi (LT) Stadio Domenico Puriicato vol. 2 p. 93 Forlì (FC) Stadio Tullo Morgagni vol. 1 p. 177 Francavilla Fontana (BR) Stadio Giovanni Paolo II vol. 2 p. 189 Frascati (RM) Stadio VIII Settembre vol. 2 p. 94 Frosinone (FR) Stadio Comunale vol. 2 p. 96 Gallipoli (LE) Stadio Antonio Bianco vol. 2 p. 190 Gavorrano (GR) Stadio Romeo Malservisi-Mario Matteini vol. 2 p. 17 Gela (CL) Stadio Vincenzo Presti vol. 2 p. 240 Genova (GE) Stadio Ferraris vol. 1 p. 150 Giarre (CT) Stadio Regionale vol. 2 p. 242
  • 14. Giugliano (NA) Stadio Alberto De Cristofaro vol. 2 p. 156 Giulianova (TE) Stadio Rubens Fadini vol. 2 p. 124 Gorgonzola (MI) Stadio Comunale vol. 1 p. 63 Grosseto (GR) Stadio Comunale Olimpico Carlo Zecchini vol. 2 p. 19 Gualdo Tadino (PG) Stadio Carlo Angelo Luzi vol. 2 p. 80 Gubbio (PG) Stadio Pietro Barbetti vol. 2 p. 82 Imola (BO) Stadio Romeo Galli vol. 1 p. 179 Imperia (IM) Stadio Nino Ciccione vol. 1 p. 155 Ischia (NA) Stadio Enzo Mazzella vol. 2 p. 158 Isernia (IS) Stadio Mario Lancellotta vol. 2 p. 140 Ivrea (TO) Stadio Gino Pistoni vol. 1 p. 27 La Spezia (SP) Stadio Alberto Picco vol. 1 p. 157 Lamezia Terme (CZ) Stadio Guido D'Ippolito vol. 2 p. 218 Lanciano (CH) Stadio Guido Biondi vol. 2 p. 126 L'Aquila (AQ) Stadio Gran Sasso d’Italia Italo Acconcia vol. 2 p. 128 Latina (LT) Stadio Domenico Francioni vol. 2 p. 99 Lecce (LE) Stadio Via del Mare vol. 2 p. 191 Lecco (LC) Stadio Rigamonti Ceppi vol. 1 p. 65 Leffe (BG) Stadio Carlo Martinelli vol. 1 p. 67 Legnano (MI) Stadio Giovanni Mari vol. 1 p. 69 Licata (AG) Stadio Dino Liotta vol. 2 p. 244 Livorno (LI) Stadio Armando Picchi vol. 2 p. 21 Lodi (LO) Stadio Dossenina vol. 1 p. 71 Lucca (Lu) Stadio Porta Elisa vol. 2 p. 24 Lumezzane (BS) Stadio Tullio Saleri vol. 1 p. 72 Macerata (MC) Stadio Helvia Recina vol. 2 p. 68 Manfredonia (FG) Stadio Miramare vol. 2 p. 193 Mantova (MN) Stadio Danilo Martelli vol. 1 p. 73 Marsala (TP) Stadio Antonino Lombardo Angotta vol. 2 p. 246 Martina Franca (TA) Stadio Gian Domenico Tursi vol. 2 p. 195 Massa (MS) Stadio degli Oliveti vol. 2 p. 26 Matera (MT) Stadio XXI Settembre Franco Salerno vol. 2 p. 202 Meda (MB) Stadio Città di Meda vol. 1 p. 75 Meli (PZ) Stadio Arturo Valerio vol. 2 p. 205 Messina (ME) Stadio San Filippo Franco Scoglio vol. 2 p. 248 Milano (MI ) Stadio Giuseppe Meazza vol. 1 p. 77 Modena (MO) Stadio Alberto Braglia vol. 1 p. 181 Monopoli (BA) Stadio Vito Simone Veneziani vol. 2 p. 197 Monte San Savino (AR) Stadio Le Fonti vol. 2 p. 28 Montevarchi (AR) Stadio Gastone Brilli Peri vol. 2 p. 30
  • 15. Monza (MB) Stadio Brianteo vol. 1 p. 84 Napoli (NA) Stadio San Paolo vol. 2 p. 159 Nocera Inferiore (SA) Stadio San Francesco d'Assisi vol. 2 p. 164 Novara (NO) Stadio Silvio Piola vol. 1 p. 29 Nuoro (NU) Stadio Franco Frogheri vol. 2 p. 268 Olbia (OT) Stadio Bruno Nespoli vol. 2 p. 270 Orbetello (GR) Stadio Ottorino Vezzosi vol. 2 p. 32 Padova (PD) Stadio Euganeo vol. 1 p. 128 Pagani (SA) Stadio Marcello Torre vol. 2 p. 167 Palermo (PA) Stadio Renzo Barbera vol. 2 p. 251 Parma (PR) Stadio Ennio Tardini vol. 1 p. 184 Pavia (PV) Stadio Pietro Fortunati vol. 1 p. 87 Perugia (PG) Stadio Renato Curi vol. 2 p. 84 Pesaro (PU) Stadio Tonino Benelli vol. 2 p. 69 Pescara (PE) Stadio Adriatico Giovanni Cornacchia vol. 2 p. 131 Piacenza (PC) Stadio Leonardo Garilli vol. 1 p. 187 Pisa (PI) Arena Garibaldi Stadio Romeo Anconetani vol. 2 p. 34 Pistoia (PT) Stadio Marcello Melani vol. 2 p. 38 Poggibonsi (SI) Stadio Stefano Lotti vol. 2 p. 40 Ponte a Egola (PI) Stadio Leporaia vol. 2 p. 42 Pontedera (PI) Stadio Ettore Mannucci vol. 2 p. 44 Pordenone (PN) Stadio Ottavio Bottecchia vol. 1 p. 111 Porto Tolle (RO) Stadio Umberto Cavallari vol. 1 p. 131 Portogruaro (VE) Stadio Pier Giovanni Mecchia vol. 1 p. 132 Potenza (PZ) Stadio Alfredo Viviani vol. 2 p. 207 Prato (FI) StadioLungobisenzio-StadioComunalediViaFirenze vol. 2 p. 46 Ragusa (RG) Stadio Aldo Campo vol. 2 p. 254 Ravenna (RA) Stadio Bruno Benelli vol. 1 p. 190 Reggio Calabria (RC) stadio Oreste Granillo vol. 2 p. 220 Reggio Emilia (RE) Mapei Stadium Città del Tricolore vol. 1 p. 192 Renate (MB) Stadio Mario Riboldi vol. 1 p. 88 Rende (CS) Stadio Marco Lorenzon vol. 2 p. 222 Rieti (RI) Stadio Centro d'Italia Manlio Scopigno vol. 2 p. 101 Rimini (RN) Stadio Romeo Neri vol. 1 p. 194 Roma (RM) Stadio Olimpico vol. 2 p. 102 Rovereto (TN) Stadio Quercia vol. 1 p. 102 Rovigo (RO) Stadio Francesco Gabrielli vol. 1 p. 133 Salerno (SA) Stadio Arechi vol. 2 p. 169 Salo' (BS) Stadio Lino Turina vol. 1 p. 89 San Benedetto del Tronto (AP) Stadio Riviera delle Palme vol. 2 p. 71
  • 16. San Giovanni Valdarno (AR) Stadio Virgilio Fedini vol. 2 p. 48 San Marino (RSM) San Marino Stadium vol. 1 p. 200 Sanremo (IM) Stadio Comunale vol. 1 p. 159 Santa Croce sull'Arno (PI) Stadio Libero Masini vol. 2 p. 49 Santarcangelo di Romagna (RN) Stadio Valentino Mazzola vol. 1 p. 196 Sassari (SS) Stadio Vanni Sanna vol. 2 p. 272 Sassuolo (MO) Stadio Enzo Ricci vol. 1 p. 197 Savona (SV) Stadio Valerio Bacigalupo vol. 1 p. 161 Seregno (MB) Stadio Ferruccio vol. 1 p. 91 Sesto San Giovanni (MI) Stadio Breda vol. 1 p. 93 Siena (SI) Stadio Artemio Franchi vol. 2 p. 51 Siracusa (SR) Stadio Nicola De Simone vol. 2 p. 255 Sora (FR) Stadio Claudio Tomei vol. 2 p. 112 Sorrento (NA) Stadio Italia vol. 2 p. 172 Taranto (TA) Stadio Erasmo Iacovone vol. 2 p. 199 Teramo (TE) Stadio Gaetano Bonolis vol. 2 p. 133 Terni (TR) Stadio Libero Liberati vol. 2 p. 87 Tolentino (MC) Stadio della Vittoria vol. 2 p. 74 Torino (TO) Juventus Stadium vol. 1 p. 33 Torino (TO) Stadio Olimpico Grande Torino vol. 1 p. 32 Torre Annunziata (NA) Stadio Alfredo Giraud vol. 2 p. 174 Trapani (TP) Stadio Polisportivo Provinciale vol. 2 p. 257 Trento (TN) Stadio Briamasco vol. 1 p. 104 Treviso (TV) Stadio Omobono Tenni vol. 1 p. 135 Trezzo d'Adda (MI) Stadio La Rocca vol. 1 p. 95 Trieste (TS) Stadio Nereo Rocco vol. 1 p. 113 Udine (UD) Stadio Friuli Dacia Arena vol. 1 p. 116 Valenza (AL) Stadio Comunale vol. 1 p. 42 Varese (VA) Stadio Franco Ossola vol. 1 p. 97 Vasto (CH) Stadio Aragona vol. 2 p. 135 Venezia (VE) Stadio Luigi Penzo vol. 1 p. 137 Verbania (VCO) Stadio Carlo Pedroli vol. 1 p. 44 Vercelli (VC) Stadio Silvio Piola vol. 1 p. 46 Verona (VR) Stadio Marcantonio Bentegodi vol. 1 p. 139 Viareggio (LU) Stadio dei Pini Torquato Bresciani vol. 2 p. 53 Vibo Valentia (VV) Stadio Luigi Razza vol. 2 p. 224 Vicenza (VI) Stadio Romeo Menti vol. 1 p. 143 Viterbo (VT) Stadio Enrico Rocchi vol. 2 p. 114 Vittoria (RG) Stadio Giambattista Cosimo vol. 2 p. 259
  • 17. Il calcio a Bologna arrivò nel lontano 1909, quando i pionieri del football felsineo riunitisi alla Birreria Ronzani di Via Spaderie cominciarono ad organizzarsi dandosi appuntamento sui Prati di Caprara, un campo privo di porte stabili situato nella Piazza d’Armi, poco fuori Porta San Felice (adesso Porta Saffi) nell’area dove oggi sorge l’Ospedale Maggiore. Dopo non molto la squadra si trasferì al Campo della Cesoia, un vecchio appezzamento di terreno situato fuori Porta San Donato, nel quartiere San Vitale, ricavato in una zona priva di costruzioni raggiunta dalla linea tranviaria a vapore per Imola; si trovava lungo Via Massarenti, allora chiamata proprio strada San Vitale, nel tratto compreso tra le attuali Via della Cesoia e Via Paolo Fabbri. Il campo, più sassi che erba, fu inaugurato nel febbraio del 1911 con una sonante vittoria per tre a zero contro il Venezia ed ospitò il Bologna soltanto un paio d’anni perché la struttura si rivelò ben presto assai modesta ed inadeguata alle esigenze della squadra e del pubblico che rapidamente andava crescendo di numero. L’impianto, del resto, era rappresentato soltanto da una piccola tribuna di legno e per raggiungere il campo era necessario scendere una lunga e scomoda scala. Ancora oggi, al numero 90 di via Massarenti, si trova il ristorante Cesoia che un tempo, al primo piano, ospitava gli spogliatoi per gli atleti. L’irregolarità del terreno e la poco dignitosa tela di juta che lo cingeva non facevano che sottolineare la precarietà del campo della Cesoia, peraltro minacciato dal nuovo piano regolatore del quartiere. Non sorprende, pertanto, che nell’estate del 1913, vennero avviati i lavori del nuovo Campo dello Sterlino, realizzati sotto la direzione del Colonnello Cavara, comandante dei Vigili del Fuoco, e dell’ingegner Amadei. Il nuovo campo, così chiamato dal nome in dialetto bolognese (Starlén) della zona pedecollinare in cui sorgeva, l’antica località Ragno appena fuori Porta Santo Stefano, fu inaugurato il 30 novembre 1913, con una gara contro il Brescia, terminata 1 a 1. La cerimonia di inaugurazione poté contare sull’abilità oratoria del prof. Giuseppe Lipparini, poeta, letterato ed appassionato tifoso rossoblù, e sulla presenza della signora Sbarberi che, chiamata a fare da madrina, infranse la rituale bottiglia di spumante contro un palo della porta sul lato nord. Si era alla sesta giornata del campionato di Prima Categoria e, in verità, il campo era stato utilizzato già sette giorni prima in occasione del derby con il Modena, anch’esso terminato 1 a 1. Era un vero e proprio impianto, dotato di recinzione in legno e di una tribuna provvista di una copertura di lamiera, sostenuta da grossi pali di legno, con uno zoccolo in cemento armato, primo caso in Italia tra gli impianti BOLOGNA StadioRenatoDall’Ara 105X68metri ViaA.Costa,174 40134Bologna 1927 36.532posti Ilvecchiocampo delloSterlino,poi dedicatoadAngelo Badini, pocoprimadi esseredemolito EMILIAROMAGNA
  • 18. dedicati al calcio. Venne inoltre realizzata una gradinata in terra battuta per i posti popolari - sull’altro lato lungo del campo - mentre gli spogliatoi furono ricavati sotto la tribuna. All’ingresso del parterre vi era poi una graziosa casetta in legno che ospitava un buffet in legno, mentre un’altra piccola costruzione ospitava sul retro il custode del campo, il signor Romolo Cocchi. L’area di gioco, posta sul declivio di Villa Hercolani tra la Via Toscana (l’attuale Via Augusto Murri) ed il canale di Savena, era tuttavia pendente di oltre due metri da una porta all’altra, salendo dolcemente sul lato sud verso Monte Donato, Barbiano e San Michele in Bosco. Il Campo dello Sterlino, pesantemente danneggiato durante la guerra, fu completamente ricostruito nel 1919. La nuova tribuna, molto più ampia della precedente, fu realizzata interamente in cemento armato su progetto dell’ingegner Baulina; possedeva un elegante colonnato e una terrazza pensile, la prima assoluta in Italia, che consentiva a una parte di pubblico di godersi la partita da una postazione privilegiata ed eventualmente ripararsi dal sole attraverso un velarium. Due anni dopo, nel 1921, sul lato opposto fu aggiunta una gradinata popolare anch’essa in cemento armato, in grado di accogliere diverse migliaia di spettatori. L’impianto dello Sterlino, uno dei più sfarzosi dell’epoca, poteva inoltre contare su un maestoso ingresso al campo di gioco, realizzato con due enormi colonne bianche poste a sostegno di dieci grandi lettere rossoblù che componevano la scritta Bologna F.B.C. Il conflitto bellico, purtroppo, oltre alla tribuna ed alla recinzione si era portato via ben sette giocatori ed alcuni soci della squadra emiliana, il cui sacrificio fu ricordato il 19 settembre 1920, con una lapide posta a perenne ricordo sotto la nuova tribuna. Oratore fu l’avvocato Angelo Manaresi; l’epigrafe, dettata ancora dal poeta Giuseppe Lipparini, così recitava: “Animatore delle più fiere energie -- il nobile gioco -- li temprò all’entusiasmo e all’azione -- così in faccia al nemico -- donarono generosi le giovani vite -- perché fosse salva e grande la patria -- il STADI D’ITALIA 165 IlComunale, ilPorticoedil Santuariodella Madonna diSanLucasul ColledellaGuardia (FotoArchivio Edizioni Pendragon) L’imponenteLittorialenel1935 (FotoR.B.Bologna)
  • 19. Bologna F.B.C. volle qui incisi i nomi dei caduti gloriosi -- a render sacra la memoria -- del dovere compiuto e del sacrificio”. Poco tempo dopo, una nuova tragedia segnò il destino dello Sterlino, passato nel 1921 a ricordare il centromediano rossoblù Angelo Badini, scomparso di setticemia a soli ventisei anni (suo fratello Emidio, detto Fanfarillo, fu autore della prima rete nello stadio durante la gara inaugurale). Lo Sterlino portò indubbiamente fortuna al Bologna che in 14 anni soltanto cinque volte uscì sconfitto dal proprio terreno in incontri di campionato. Il campo ospitò anche diversi prestigiosi incontri internazionali, organizzati tradizionalmente nel giorno di Santo Stefano, compresa una visita del Real Madrid di Santiago Bernabeu, seppellito sotto tre reti nel 1920. Allo Sterlino si giocò anche la finale scudetto del 1920 tra l’Internazionale Milano e l’Unione Sportiva Livorno (3-2) ed un insolito derby tra i labronici e gli acerrimi rivali del Pisa Sporting Club, al termine vittoriosi per 1-0 con rete di Tornabuoni nella finale del torneo Peninsulare. Il Bologna giocò allo Sterlino fino all’8 maggio 1927, l’ultima partita fu un perentorio tre a zero all’Inter, quasi un doveroso omaggio ad uno stadio che aveva vissuto mille battaglie sportive ed era entrato nel cuore degli sportivi petroniani. Poi cominciò l’era del Littoriale, l’imponente nuovo stadio, il primo impianto sportivo italiano sorto per iniziativa pubblica, la cui costruzione era ormai resa urgente dall’insufficiente capienza del vecchio campo, manifestatasi in particolare nelle ultime gare della stagione 1924-25 decisive per l’assegnazione del primo scudetto felsineo. Molta gente era rimasta fuori e il gestore del vecchio Cinema Savoia aveva deciso di proiettare ogni lunedì la pellicola delle partite del Bologna. Lo Sterlino, in realtà, tornò ad ospitare partite ufficiali del Bologna nel 1944, durante il Campionato Alta Italia vinto dal 42º Corpo dei Vigili del Fuoco della Spezia, mentre lo stadio principale risultava indisponibile, danneggiato dai bombardamenti. L’impianto fu definitivamente demolito soltanto nel 1969 per far spazio, tre anni più tardi, alla piscina e alle altre strutture dell’omonimo centro sportivo, ufficialmente intitolato a Giulio Onesti. Prima di procedere alla costruzione del nuovo stadio, si valutò anche la possibilità di recuperare altre strutture sportive già esistenti in città, in particolare il Campo del Ravone, di proprietà della società ginnica Virtus, edificato vicino all’omonimo torrente nei pressi dell’area poi destinata al Littoriale. Riservato esclusivamente ai membri della società, fu costruito nell’autunno 1920 per volontà del presidente del sodalizio, Alberto Buriani, e possedeva - oltre al campo e alla pista per l’atletica - due ampie tribune coperte, una vasta gradinata popolare scoperta e un edificio per gli spogliatoi. Nei primi anni Venti era stato costruito anche il nuovo velodromo fuori Porta Saffi, realizzato su progetto dell’ing. Giuseppe Lambertini al posto dell’ex Zappoli e dotato internamente di un terreno di gioco per il calcio. Tuttavia, per le ambizioni della città e della squadra del capoluogo emiliano, il podestà Leandro Arpinati, potente gerarca fascista in seguito anche presidente della FIGC e del CONI, aveva in mente ben altro, una vera cittadella dello sport in cui concentrare l’attività di numerose discipline popolari. Il Littoriale fu costruito un paio di chilometri a sud est della cinta muraria della città, ai piedi del Colle della Guardia, in un’area allora immersa nel verde, tra il Reno ed il “Meloncello” che costituisce l’inizio della salita al Santuario della Madonna di San Luca. Il terreno era quello dell’ex struttura del tiro a segno situata a ridosso del porticato, vicino all’arco Guidi. Realizzato su progetto dell’ingegnere Umberto Costanzini, capo dell’Ufficio Tecnico della Casa del Fascio dalle larghe vedute e precursore di impianti innovativi, il Littoriale era a tutti gli effetti una struttura polifunzionale, secondo l’indirizzo dettato dal regime fascista di cui rappresentava la prima grande opera. Gli spalti si sviluppavano per 12.100 metri e potevano accogliere poco meno di 50.000 spettatori, di cui 10.000 in piedi nel parterre e 20.000 nell’ampia Tribuna caratterizzata dalla copertura in cemento armato che sporgeva a sbalzo per quasi 8 metri. All’interno delle tribune furono ricavati degli ampi saloni adibiti a ristorante, sale di esposizione, alloggi per atleti ed altri locali di servizio. Lo stadio fu infatti utilizzato anche per numerose Fiere, in particolare le Esposizioni Riunite al Littoriale in precedenza ospitate alla Montagnola o a Palazzo Fantuzzi, in Via San Vitale. Come ricordano le cronache del tempo, lo stadio fu donato alla cittadinanza felsinea dal partito che intese così sottolineare significativamente l’estraneità nell’operazione del Comune che si limitò a versare all’Ente proprietario del Littoriale un contributo annuo di L. 150.000 per quindici anni, a condizione che fosse concesso per altrettanti anni l’uso gratuito del campo sportivo per tutti gli alunni delle scuole elementari. Al finanziamento del Littoriale contribuì notevolmente anche la raccolta di fondi derivante dalle sottoscrizioni dei cittadini bolognesi. Il 12 giugno del 1925 fu il Re Vittorio Emanuele III in persona a presiedere alla posa della prima pietra, in occasione delle commemorazioni per i venticinque anni della sua ascesa al trono. Il rettangolo di gioco del Littoriale fu attorniato da una pista podistica a sei corsie lunga 440 metri e da numerose pedane e fosse destinate all’attività di lanciatori e saltatori; poco fuori dello stadio vennero invece costruite due piscine, di cui una coperta dotata di un’innovativa camera termica e l’altra provvista di un anello di ampi spalti. Quest’ultima, poi intitolata alla nuotatrice Carmen Longo scomparsa nel disastro aereo di Brema nel 1966, misurava m. 50 x 30 e al momento della sua costruzione risultava essere la più grande d’Europa. Il centro sportivo era completato dalle altre numerose strutture che sorgevano esternamente, quattro campi da tennis, una grande palestra, il campo sportivo usato dagli alunni delle scuole elementari e un campo sussidiario per l’allenamento degli atleti: una sorta di cittadella sportiva ante litteram, proprio come desiderava Arpinati, estesa su circa 125.000 metri quadrati ed impreziosita dal vicino Istituto di Educazione Fisica. Rammentando il Nel 2016 è stata avviata una ristrutturazione di parte del “Renato Dall’Ara” con un inanziamento del Credito Sportivo. In particolare, l’intervento prevede: il rinnovamento dello spogliatoio completo di area medica e con adiacenti palestra e infermeria, l’ampliamento della sala stampa con l’aggiunta di nuove aree per giornalisti e fotograi compresa una nuova “Mixed Zone” e inine ampliamenti, manutenzioni e variazioni in varie aree dello stadio. STADI D’ITALIA 166
  • 20. dislivello e i frequenti acquitrini al vecchio Sterlino, grande attenzione fu posta alla realizzazione del campo, inizialmente pendente di circa quattro metri in direzione di Via Saragozza. Per ottenere un perfetto drenaggio furono utilizzate tonnellate di ghiaia estratte dal fiume Reno e alcuni canali di scorrimento per le acque filtranti vennero ricavati sotto la pista. I lavori vennero peraltro rallentati dal rinvenimento di alcuni reperti archeologici di probabile origine etrusca e dalle gelide temperature del terribile inverno del 1926, uno dei più freddi del secolo passato. L’impronta politica dell’impianto traspariva dalle 159 sculture di aquile e fasci littori e soprattutto dalla statua del Duce a cavallo che campeggiò fino al 1947 nell’abside che sovrasta i Distinti, realizzata dallo scultore modenese Giuseppe Graziosi a ricordo della visita di Mussolini nella giornata inaugurale del 31 ottobre 1926. Il suo trasporto dalla fonderia di Firenze a Bologna non fu per nulla semplice, ostacolato dal peso ingombrante del manufatto, dalle strade dissestate e strette, soprattutto nel centro di Loiano, e dalla fitta nebbia incontrata sul Passo della Futa. L’origine fascista dello stadio era resa peraltro evidente dall’immagine di Roma imperiale cui l’impianto era visibilmente ispirato. In particolare il Littoriale riproponeva in chiave architettonica più moderna il profilo delle terme romane di Caracalla, visitate poco prima dallo stesso Arpinati. I muri esterni realizzati con il tipico mattone rosso bolognese (simile a quello utilizzato all’Ibrox Park di Glasgow e al Villa Park di Birmingham), gli inserti decorativi in pietra e la caratteristica facciata con la doppia serie di aperture ad arco conferirono al Littoriale un indubbio fascino architettonico, sottolineato ancor più dal sapiente collegamento al portico di San Luca, il più lungo del mondo con i suoi 3,7 km fino al Santuario, spesso in passato percorsi dalla squadra rossoblù come allenamento. Ad impreziosire ulteriormente il Littoriale fu costruita la suggestiva Torre di Maratona che domina ancor oggi il settore dei Distinti, realizzata dall’architetto piacentino Giulio Ulisse Arata nel 1928 ed ispirata assai probabilmente alla torre dello stadio di Stoccolma. Alta 42 metri, la torre dello stadio bolognese era caratterizzata da un arco a tutto sesto rivolto verso il campo e sormontato da un alto pennone sulla cui cima nel 1936 fu posta la Vittoria Alata, realizzata anch’essa dallo scultore Giuseppe Graziosi a ricordo della campagna d’Albania e sopravvissuta nel Dopoguerra alla furia iconoclasta degli antifascisti e delle truppe alleate che la colpirono con diverse raffiche di mitra senza riuscire peraltro ad abbatterla. L’ampio balcone frontale, contraddistinto dai numerosi sostegni portabandiera (in particolare quella di 100 mq, regalata dalla Regia Marina ad Arpinati), aveva evidenti funzioni di propaganda politica in occasione delle numerose manifestazioni e parate militari. Con il suo basamento di quattro blocchi rettangolari sormontati da altrettanti archi, la torre concentrava buona parte dei riferimenti al mito della romanità che permeò il Littoriale sin dalla sua ideazione. In prossimità della base è il luogo in cui l’8 agosto 1849 vennero fucilati dagli austriaci i martiri risorgimentali padre Ugo Bassi e Giovanni Livraghi. Lo stadio bolognese, come detto, aveva una capienza di circa 50.000 posti, un’enormità per quei tempi, tutti riempiti il 29 maggio 1927 in occasione della gara inaugurale dello stadio, sebbene l’impianto non fosse ancora ultimato. Dinanzi al Re d’Italia, l’Infante di Spagna Don Alfonso, il cardinale Nasalli Rocca, ministri e autorità, l’Italia si impose allora contro la Spagna di Zamora per due a zero con una delle reti segnata da Giuseppe Della Valle, uno dei quattro rossoblù in campo quel giorno (gli altri tre erano Gianni, Genovesi e Giordani). L’incontro fu preceduto da numerose gare di atletica leggera che videro la partecipazione dei migliori e più celebrati atleti del momento. La partita, cui assistettero in realtà oltre cinquantacinquemila spettatori – record assoluto per gli anni Venti – si trascinò dietro una città in pieno fermento: come la sede di una grande fiera nazionale, Bologna vide macchine con ogni sorta di targa, treni che scaricavano gente vociante proveniente da tutta Italia, alberghi, ristoranti e locali stracolmi. Un successo che avrebbe contribuito alla scelta di questo stadio come uno degli impianti in cui ospitare il Mondiale del 1934, vinto poi dalla Nazionale azzurra. Il nome originario dell’impianto, Littoriale, fu scelto dal professor Baldoni, noto latinista del tempo, vincendo la concorrenza di altre denominazioni proposte: Eugenéo – dal greco eu (bene) e genes (stirpe, razza) – Agopadio e Poliludo, Campo Massimo, Campo Arpinati. L’impianto di illuminazione artificiale dello stadio bolognese fu il primo realizzato in Italia, ispirato dalle gare in notturna durante una lunga tournée in Sud America effettuata assieme al Torino nel 1929 e spinto dalla possibilità di estendere l’orario di apertura degli stand durante le esposizioni. La prima partita serale al Littoriale fu la gara amichevole tra gli austriaci del First Vienna ed una formazione composta di giocatori veneto-emiliani, disputata sotto un forte temporale il 20 maggio 1930. Alla caduta del Fascismo, lo stadio felsineo rimase conosciuto semplicemente come Comunale per poi essere intitolato nel 1983 alla memoria di Renato Dall’Ara, il mitico presidente del Bologna per 30 anni, dal 1934 fino alla sua scomparsa avvenuta nel 1964, alla vigilia del vittorioso spareggio contro l’Inter che la Torre di Maratona progettata da Giulio Ulisse Arata. Completata nel 1929 e situata nella porzione intermedia della tribuna orientale dello stadio, la torre simboleggia la competizione e la resistenza degli atleti. Alta 42 metri e larga 42 metri, si articola su sei livelli, presentando sul suo pennone una statua rappresentante la Vittoria alata con fascio littorio ed una imponente bandiera della Regia Marina dalla supericie di 100 mq. STADI D’ITALIA 167
  • 21. valse la conquista del settimo ed ultimo scudetto della storia rossoblu. Nel dopoguerra l’impianto perse poco alla volta le sue caratteristiche di luogo di aggregazione e fu utilizzato quasi esclusivamente per il calcio, lasciando spazio ad altre discipline soltanto in rare occasione. Alcune, però, furono memorabili, come l’incontro di boxe del 21 luglio 1956 con cui Franco Cavicchi, di Pieve di Cento, conquistò il titolo di campione europeo dei Pesi Massimi contro il tedesco Heinz Neuhaus davanti a 60.000 persone; o la visita della nazionale sovietica di basket, ospitata sul finire degli anni Settanta nel campo allestito nella vicina piscina, e quella dei mitici All Blacks neozelandesi che nel 1995 seppellirono la nazionale azzurra di rugby sotto un pesante 76 a 0. E si ricordano anche eventi di altro genere, soprattutto manifestazioni politiche, religiose e musicali (su tutti, il concerto di Patti Smith, nel 1979). La curva che ospita la tifoseria bolognese, quella sul lato nord, dal 10 maggio 2009 porta il nome dell’indimenticabile Giacomo Bulgarelli (scomparso tre mesi prima), a lungo capitano della squadra - con il record di 486 presenze - e campione europeo con la Nazionale italiana nel 1968; in precedenza il settore era chiamato come la trafficata via che passa poco distante, intestata alla memoria di Andrea Costa, uomo politico imolese, mazziniano e primo deputato socialista al Parlamento nel 1882, oltre che vicepresidente della Camera tra il 1908 ed il 1910. La curva opposta è denominata invece San Luca, essendo posta sul lato verso l’omonimo santuario, e accoglie la tifoseria ospite nella parte situata a ridosso della tribuna coperta. Lo stadio di Bologna sorse originariamente in una zona periferica della città che tuttavia andò rapidamente popolandosi fino ad avvolgere strettamente l’impianto che oggi si trova dunque al centro di un’area residenziale affollata e trafficata. Ciò portò più volte le autorità comunali a considerare l’ipotesi di costruzione di un nuovo impianto posizionato in maniera più felice, tanto che verso la fine degli anni Sessanta le sorti dell’antico Littoriale sembravano ormai segnate dall’arrivo di una struttura polifunzionale (con ippodromo e velodromo) in località Borgo Panigale. Le cose andarono diversamente e, anzi, il vecchio stadio bolognese fu completamente ristrutturato alla fine degli anni Ottanta, quando fu scelto come sede delle gare del mondiale italiano, del quale ospitò quattro incontri. Ciò comportò evidentemente un profondo rinnovamento della struttura a livello architettonico, i cui lavori furono affidati per la parte strutturale agli ingegneri Piero Pozzati e Franco Zarridell’Universitàcittadinae,perlapartearchitettonica,all’architetto Enzo Zacchiroli. In maniera simile a quanto previsto per lo stadio di Palermo, fu deciso di ampliare la struttura esternamente con dodici nuovi gradoni prefabbricati aggiunti al di sopra di quelli esistenti, con altri tre aggiunti in basso. Così, grazie alle nuove gradinate sostenute da 120 colonne metalliche attorno al perimetro della struttura, la capienza dello stadio Dall’Ara fu portata a 38.279 posti numerati a sedere, dei quali circa 14.000 al coperto nella tribuna principale al cui interno furono ricavati diversi locali di rappresentanza, uffici, palestre e i nuovi spogliatoi. L’inevitabile impatto architettonico sulla preesistente struttura in mattone fu limitato da un intelligente uso cromatico delle strutture metalliche, gialle e blu. I telai esterni furono fissati al terreno con una serie di appoggi costituiti da basi sagomate a sezione tronco- piramidale che ricordano il motivo architettonico dei porticati bolognesi di alcune case del centro storico di Bologna tra i secoli XIII e XIV. Come ben sottolinea Matteo Vercelloni nell’eccellente “1990 Stadi in Italia” (Edizioni L’Archivolto) “la struttura metallica esterna, completamente staccata dalla costruzione originaria, cerca apertamente di non entrare in concorrenza con l’architettura del progetto Costanzini-Arata, ma di costruire piuttosto una leggera addizione capace di proporsi più come macchina funzionale e architettonica che come forte nuovo volume sovrapposto all’esistente. Si tende cioè giustamente a preservare la lettura autonoma del vecchio stadio, sia della notevole facciata perimetrale, sia della monumentale Torre. La struttura metallica si sviluppa verso l’esterno e organizza nella parte alta una sorta di camminamento continuo, un anello di coronamento praticabile a quota di circa 18 metri che si propone anche come una sorta di belvedere sulla città”. Furono inoltre create nuove uscite di sicurezza, venne rimosso il settore di parterre, consentendo la realizzazione di un fossato protettivo profondo circa due metri e mezzo e fu infine potenziato il sistema di illuminazione con nuove torri faro, disposte adeguatamente distanti dalla Torre di Maratona per non turbarne l’immagine. La pensilina della tribuna principale fu sostituita da una nuova copertura a sbalzo, realizzata con manto esterno in lamiera di rame e retta alle spalle da travi in ferro. L’aggetto di circa venticinque metri ha permesso da un lato di rimuovere i fastidiosi montanti verticali della struttura originaria e, dall’altro, di installare le cabine per le postazioni radio-tv. Durante i lavori, nelle gare vennero utilizzati gli spogliatoi dell’antistadio, distanti oltre 200 metri. Per raggiungerli attraverso il sottopassaggio, le squadre utilizzavano buona parte dei canonici quindici minuti d’intervallo concessi. In sostanza, la ristrutturazione della stadio, che interessò anche l’impianto di illuminazione, il tabellone elettronico e le piscine adiacenti, risultò in un audace accostamento di antico e moderno, da alcuni poco apprezzato. I campi da tennis furono coperti da una struttura metallica ed utilizzati come area destinata alla stampa, mentre la pista di atletica venne portata da sei a otto corsie, rimarcando l’originario carattere polivalente dell’impianto. Con il nuovo millennio furono realizzati una serie di lavori e interventi fortemente voluti dalla società felsinea per valorizzare l’impianto, in particolare nella Tribuna Centrale che fu dotata di nuovi settori, eleganti salotti panoramici, e della cosiddetta “Terrazza”, un’area hospitality di circa 900 mq con pareti a vetrata, che il Dott. Gazzoni Frascara volle intitolare a Fulvio Bernardini, lo storico allenatore della squadra che conquistò l’ultimo scudetto rossoblù nel 1964. Altro fiore all’occhiello dell’impianto petroniano è il manto erboso, cui una particolare tecnica di drenaggio, assieme ad altri accorgimenti, ha da sempre conferito una qualità ed una compattezza senza paragoni a livello nazionale, tanto che mai – in tanti decenni di onorata carriera – si è resa necessaria la rizollatura del terreno, se non in percentuali minime. STADI D’ITALIA 168
  • 22. Ogni discorso relativo allo sviluppo del football a Firenze non può prescindere dall’antico gioco del calcio fiorentino e la nostra storia dovrebbe probabilmente cominciare dalla Piazza di Santa Croce, meno avara di gioie sportive di quanto non lo siano state le squadre del capoluogo toscano nella loro storia. Il calcio in livrea del resto viene ancora oggi disputato ogni anno nelle rievocazioni di giugno che vedono di fronte i quattro quartieri cittadini di Firenze (Santa Maria Novella, San Giovanni, Santa Croce e Santo Spirito). Volendo limitare il discorso nel tempo, va detto che il calcio moderno a Firenze si è sviluppato stabilmente sul terreno del Campo di Marte, luogo extra civico di antica memoria romana da destinarsi alle esercitazioni militari, che nel capoluogo toscano fu individuato sulla riva destra dell’Affrico, nella periferia est, separato dal resto della città dalle barriere della cinta daziaria, dalla ferrovia e dal viale che ne delimita l’area. L’intera zona fino ad allora risultava ben poco utilizzata se non per usi militari, in particolare le celebrazioni del regime fascista ed altri avvenimenti episodici come le evoluzioni aviatorie di piloti locali e quelle di circhi e spettacoli itineranti (storico lo show di Buffalo Bill verso la fine del Secolo). Qui, nel 1930 venne eretto il nuovo tempio del calcio fiorentino, realizzato per volontà del marchese Luigi Ridolfi da Verrazzano, segretario provinciale del PNF, deputato e massimo dirigente sportivo viola, erede di una delle famiglie nobili più antiche e gloriose della città. Nato all’Impruneta, sulle colline a sud di Firenze, Ridolfi fu grande mecenate ed ammiratore attento degl’ideali sportivi (fu anche presidente della FIDAL); sua fu la successiva idea di predisporre il Centro Tecnico di Coverciano, luogo di studio, di riflessione e di allenamento invidiato da tutta Italia, sede tra l’altro dei ritiri delle rappresentative nazionali e del celebre Museo del Calcio. Il nuovo stadio voluto da Ridolfi andava in verità a sostituire l’ormai vetusta struttura di Via Bellini di proprietà della Palestra Ginnastica Libertas, la società che il 28 agosto 1926 fondendosi assieme al Club Sportivo Firenze diede origine all’attuale A.C. Fiorentina. Costruito nel 1922 (come il campo di calcio di Via Michelangelo utilizzato dalla società A.S.S.I.) su progetto del socio architetto Giuseppe Baldacci, il campo di Via Bellini venne realizzato in legno e mattoni privo di curve e con posti a sedere soltanto su un lato. Le tribune, costruite dalla Ditta Callisto Pontello, erano composte da due blocchi di gradinate in cemento armato, potevano ospitare 3.000 spettatori e all’interno accoglievano i locali di servizio, gli spogliatoi ed una sala adibita sia a palestra sia a luogo di ritrovo per i soci. Oltre al campo di calcio l’impianto comprendeva una pista podistica ed una per FIRENZE StadioArtemioFranchi Lostadioiorentino nel1960(Foto Giusti-Becocci). 105X68metri VialeManfredoFanti,14 50137Firenze 1930 47.282 posti TOSCANA
  • 23. il ciclismo, inizialmente eseguita in pirite e poi sostituita con un fondo in cemento. L’area di Via Bellini, zona allora periferica della città caratterizzata dalla presenza di una vecchia fornace di mattoni, era stata scelta perché la vicina Piazza San Jacopino risultava facilmente raggiungibile da via della Scala, dove si trovava la vecchia sede della squadra, nell’antico refettorio del convento della Basilica di Santa Maria Novella. Il campo fu inaugurato il 2 aprile 1922 alla presenza delle massime autorità dell’epoca, mentre la prima gara di calcio fu disputata sedici giorni più tardi contro la Valenzana. Il 16 luglio il campo ospitò il play out di ritorno, perso contro l’Inter, per la permanenza nei gironi della massima categoria nazionale. Prima di cominciare ad ospitare le partite della neonata Fiorentina (le cui casacche viola furono indossate per la prima volta il 22 settembre 1929 in una gara amichevole contro la Roma) l’impianto era conosciuto principalmente come velodromo; la pista era stata inaugurato il 16 luglio 1922 con l’arrivo della terza tappa del Giro d’Italia, vinta da Costante Girardengo in volata su Pietro Linari. La pista del Bellini successivamente ospitò anche l’insolita sfida tra Girardengo e Alfonsina Strada, ciclista pioniera della parificazione sportiva tra uomo e donna. Con l’avvento della Fiorentina furono eliminati sia l’anello del velodromo, sia la pista di atletica. Lo stadio di Via Bellini ospitò i viola per cinque stagioni fino al settembre 1931 prima di venir abbandonato; durante il Ventennio, tuttavia, il vecchio stadio della Libertas continuò ad essere utilizzato dai giovani del circolo fascista Montemaggi per le loro attività premilitari, oltre che dalle squadre giovanili viola. Durante la Seconda Guerra Mondiale, i locali delle tribune in cemento armato furono adibiti a rifugio antiaereo. Lo stadio venne infine demolito negli anni Cinquanta, ormai dimenticato da tifosi ed appassionati, per lasciare spazio allo sviluppo edilizio in corso nel quartiere. Nel punto in cui sorgeva lo stadio sorsero un caseggiato e Via Claudio Monteverdi. Prima di trasferirsi al “Bellini”, la Libertas aveva giocato anche al campo situato tra Via Pasiello e il Fosso Macinante (da cui il nomignolo di “ghiozzi rossi” affibbiato ai giocatori) nei pressi della lineala Ferrovia Livornese, a Villa Demidoff in località Pratolino, tra querce, farnie, cedri e ippocastani, e prima ancora al Prato del Quercione alle Cascine (e a quello di San Donato), come un po’ tutti a Firenze. Il parco delle Cascine era infatti fin dai primi anni del Novecento il centro dello sport fiorentino, dove si praticavano il tiro a segno, il gioco della palla a bracciale, il tennis, il ciclismo, le corse al galoppo ed al trotto, e dove erano presenti campi di calcio contigui e separati da una semplice corda tirata tra due pali. Proprio l’area verde adiacente al tiro a segno delle Cascine era stato proposta dal Collegio Toscano degli Architetti e degli Ingegneri per ospitare lo stadio monumentale che ormai tutti attendevano in città. Altre ipotesi di ubicazione erano la zona delle Cure, sul terreno posto tra la Via Faentina ed il Viuzzo della Palancola, come richiesto dal circolo rionale G. Berta, e la zona fra Via Aretina ed il nuovo lungarno a monte di Bellariva, proposta dall’ufficio tecnico comunale come variante al Piano Regolatore fiorentino del 1924 che prevedeva originariamente il parco dell’Isolotto. La scelta finale cadde tuttavia sulla zona del Campo di Marte, sicuramente più adatta rispetto alle altre aree proposte, resa disponibile dopo che il podestà del capoluogo toscano Giuseppe Della Gherardesca era riuscito a trovare un accordo con le autorità militari per l’utilizzo del terreno. Il nuovo IlComunaledelle DueStrade,l’altra facciadelcalcio aFirenze(Foto MicrosoftBing) STADI D’ITALIA 13
  • 24. stadio fu costruito su un’area di circa 50.000 mq. contenuta in un più vasto spazio aperto all’interno della ordinata maglia di costruzioni residenziali realizzate negli anni tra le due guerre che assieme alle piscine, al Palazzetto dello Sport ed al vecchio Campo Polisportivo Militare costituisce ancora oggi il polo sportivo di Firenze. La rivoluzione portata dalla costruzione dello stadio, segnò indubbiamente il definitivo ingresso del rione nell’ambito cittadino, grazie al concomitante potenziamento delle opere pubbliche necessarie per l’edificazione del monumentale impianto sportivo, tra cui in particolare i binari del tram che avvicinarono sensibilmente il centro di Firenze. Lo stadio, destinato con la sua ardita e decisamente insolita struttura a forma di D a rivoluzionare schemi e tendenze del tempo, fu progettato nel 1929 dall’architetto valtellinese Pier Luigi Nervi, allora non ancora celebre ma già conosciuto a Firenze per aver realizzato le tribune in cemento armato al Campo Sportivo “Giglio Rosso”. I lavori, cominciati alla fine di luglio del 1930, vennero eseguiti dalle imprese Nervi & Nebbiosi e Nervi & Bartoli. Con la sua forma asimmetrica, le scale elicoidali, l’audace pensilina per la tribuna e la Torre di Maratona alta più di 50 metri, l’impianto segnò effettivamente un inequivocabile punto di svolta nell’impiantistica moderna, dimostrando la possibilità di eludere gli schemi esistenti legati alle forme classiche ed ai materiali tradizionali. Assunta a modello della nuova architettura, quest’opera in cui gli elementi strutturali venivano lasciati polemicamente in vista, offrì senza dubbio un importante contributo alla demistificazione del trionfalismo romano che aveva fino ad allora ispirato buona parte degli impianti sportivi nazionali. Sebbene Nervi abbia deciso di cimentarsi nuovamente nella costruzione di uno stadio solamente venticinque anni dopo, al Flaminio di Roma, il suo stile – e in particolare l’innovativo uso del cemento armato – ha a lungo influenzato, se non indirizzato, la struttura di numerosissimi impianti europei e sudamericani. Costruito per dotare la neonata A.C. Fiorentina di un impianto all’altezza del prestigio della città e, soprattutto, per ospitare degnamente le gare dell’ormai prossima manifestazione dei Mondiali del 1934, lo stadio fiorentino venne edificato in due fasi successive tra il 1930 e il 1932. Quando il Comune operò il primo stanziamento nel 1929 la struttura ipotizzata era assai più ridotta di quella successivamente realizzata, allorché venne acquistata una porzione della Piazza d’Armi dal Comando della Divisione Militare Territoriale di Firenze. La costruzione di una tribuna scoperta e della Torre di Maratona, inizialmente non previste, fu infatti deliberata dal podestà fiorentino soltanto il 9 luglio 1931 accogliendo le richieste di Ridolfi. I costi di costruzione dell’impianto furono sorprendentemente contenuti, soltanto L. 6.800.000 contro l’equivalente di L. 70.800.000 necessarie per edificare l’arena londinese di Wembley o i 16.600.000 di Lire spese per il Littoriale bolognese nel 1925. Inaugurato con una gara vinta per 1 a 0 contro gli austriaci dell’Admira Vienna il 13 settembre 1931 (le cronache dell’epoca ricordano che il pallone dell’incontro venne lanciato da un aeroplano guidato dal celebre pilota fiorentino Vasco Magrini, noto per le sue evoluzioni temerarie), lo stadio fu intitolato alla memoria di Giovanni Francesco Berta, giovane ex- combattente fascista delle squadre d’azione fiorentine barbaramente assassinato il 28 febbraio 1921 da un gruppo di militanti comunisti durante lo sciopero culminato negli scontri del Pignone. Circondato dal vile branco, Berta fu pugnalato e gettato nelle gonfie acque dell’Arno dove annegò dopo aver vanamente tentato di aggrapparsi al parapetto del ponte. La Fiorentina ottenne subito l’utilizzo del campo ma dovette condividerlo con i circoli rionali fascisti e con le organizzazioni locali dell’ONB e dell’OND. Assai spesso venivano infatti organizzati allo stadio saggi ginnici dei dopolavoristi e dei giovani fascisti di sovente accompagnati da discorsi politici di gerarchi locali o del Duce stesso. Pur fortemente voluto dal regime di Mussolini come la stazione di Santa Maria Novella, l’impianto - più che ad un tributo politico alla figura del Duce - deve la sua insolita forma a D alla presenza della pista di atletica, composta dal consueto anello di circa 500 metri e da un rettilineo posto di fronte alla tribuna principale, lungo 220 metri ed esteso alle estremità fino ai due ingressi laterali concepiti per l’arrivo delle gare di maratona. Di conseguenza, la visuale del rettangolo di gioco dalle estremità laterali della tribuna ne risultava, evidentemente, assai svantaggiata. Del resto le curve furono realizzate in un secondo momento, nel 1932, anche per ovviare al problema del vento che veniva e canalizzarsi lungo l’asse longitudinale del campo, disturbando non poco le azioni di gioco. Sul lato opposto alla tribuna coperta tre rampe di accesso spiraliformi (a cui furono più recentemente aggiunti due corpi scala in metallo, per una maggiore razionalizzazione degli accessi) garantivano l’ingresso - dall’alto e non dal basso, come di consueto - alla Tribuna Maratona, la cui omonima torre, con i suoi 55 metri (cui vanno aggiunti i 15 del pennone sovrastante), si contrapponeva efficacemente all’orizzontalità delle gradinate. La torre era formata da un esile corpo rettangolare al cui interno scorreva un ascensore, mentre esternamente una vetrata continua a cristalli curvati si alzava dalla terrazza ellittica posta sopra gli spalti e poteva essere illuminata fungendo da elemento decorativo durante le gare notturne. Inoltre, secondo i sostenitori del regime, le luci della torre rappresentavano il fuoco del Fascismo che ardeva divenendo così il punto di riferimento per ogni cittadino in qualunque punto della città. Le cinque scale elicoidali poste in prossimità degli ingressi erano per molti versi il punto culminante di tutto lo stadio e mostravano lo straordinario equilibrio delle forze strutturate nel cemento armato in vista: le rampe d’accesso alle tribune erano sostenute da una trave elicoidale rinforzata da un’altra trave ruotante in senso inverso così da annullare reciprocamente gli sforzi e creare una dinamica spaziale di straordinario interesse formale. Ciò che davvero rendeva unico lo Stadio Berta era tuttavia la struttura del tetto della tribuna principale, la sola invero dotata di copertura, inclinata in maniera tanto magnifica quanto ardita e destinata ad essere regolarmente imitata altrove in Europa e in Sud America. La nuova soluzione apparve talmente azzardata che gli operai in principio si rifiutarono di rimuovere i sostegni dell’armatura per timore del crollo. Del resto tutti i maggiori impianti di allora avevano adottato soluzioni più rassicuranti con un doppio ordine di appoggi intermedi a sostenere la copertura, a semplice o doppia inclinazione, cui venivano eventualmente aggiunte successivamente parti in aggetto di ridotte dimensioni. Così fu per la tettoia in legno dello stadio che ospitò nel 1912 i giochi olimpici di Stoccolma, per quella a capanna di Wembley a Londra (1924) retta da pilastri in ferro, per quella in cemento armato del Littoriale bolognese (1927) e per quella a traliccio dello stadio di Amsterdam (1928). Nel 1934, in verità, durante alcune gare d’atletica, STADI D’ITALIA 14
  • 25. dalla tettoia della tribuna coperta si staccarono degli strati di intonaco che fortunatamente provocarono soltanto un grosso spavento al pubblico sottostante, quel giorno assai poco numeroso. La pensilina di copertura dello stadio di Firenze si proietta nello spazio per 22 metri, appoggiandosi sulle sole elastiche travi curvate (il cui spessore diminuisce elegantemente in avanti proporzionatamente alla diminuzione del peso portato) e scaricando successivamente i pesi sui pilastri verticali sottostanti le tribune. Come sottolinea Cinzia Renata Guidotti “Il baricentro del sistema formato dalla pensilina e dalla struttura verticale di sostegno cui si ancora cade entro la base della stessa struttura verticale, in posizione tale da non indurre azioni negative di sollevamento che richiederebbero ancoraggi al terreno”. Il progetto delle tribune, già approvato, venne modificato nel 1932 estendendo la copertura della tribuna fino a 110 metri, mentre il ripiano del parterre – previsto inizialmente ad un’altezza di m. 8,60 – fu portato a m. 2,65 per permettere la circolazione e l’accesso del pubblico sotto le gradinate. Fu inoltre progettata la costruzione della tribuna reale, cui si accedeva tramite una scala elicoidale collegata con l’atrio d’onore, e la pista attorno al campo fu omologata alle norme stabilite dalla FederazioneItalianaAtleticaLeggera.Sorprendonodavverol’originalità, il carattere innovativo e la pregevolezza dell’opera per il suo coniugare la raffinatezza estetica ed il rigore strutturale con le eleganti e ardite strutture in cemento armato. Nella premessa introduttiva all’Anno Accademico 1931-32, il Direttore della Scuola Superiore di Architettura di Firenze Raffaello Brizzi lodava la “nuova fabbrica dello stadio che, intesa nel suo carattere, ha pregi notevoli di volumi ritmicamente disposti e composti in un ardito e solenne organismo costruttivo” mentre dalle pagine di “Architettura” Giovanni Michelucci esaltava lo “schietto carattere moderno” dello stadio fiorentino. Indubbiamente il profilo innovativo dello Stadio Berta ben si sposava con le linee moderne della nuova stazione ferroviaria fiorentina disegnate da un gruppo toscano di giovani progettisti ispirati all’architettura razionale (Michelucci, Baroni, Berardi, Gamberini, Guarnieri, Lusanna). Come ben rileva Francesco Maria Varrasi nel suo eccellente saggio Economia, politica e sport in Italia (1925-1935) “Accanto allo stadio, teatro di eventi sportivi che esprimevano dinamismo e decisione, la Firenze fascista vedeva come altro punto di riferimento la stazione, simbolo del progresso tecnologico e del trasporto veloce attraverso la nazione unita. Velocità, tecnologia,dinamismo, tutti temi graditi al fascismo e propri della corrente futurista che quindi trovava a Firenze un’estrinsecazione ideale nelle forme e nei contenuti”. Sfortunatamente la struttura della Tribuna è stata pesantemente mortificata negli anni a seguire dalle inopportune quanto inutili estensioni laterali della copertura che hanno garantito ulteriore riparo a non più di 600 persone. L’ingresso monumentale dello stadio è costituito da un corpo di fabbrica allungato sviluppato per l’intera lunghezza della tribuna coperta rivolta all’interno. In verità, con il suo aspetto classicheggiante a motivi figurativi, la facciata dell’ingresso principale realizzata dall’ingegner Alessandro Giuntoli penalizza in parte la dinamicità e la leggerezza del complesso. Il settore centrale della facciata è ripartito da quattro setti murari in cinque settori all’interno dei quali si aprono le alte cancellate, attualmente non più utilizzate come accessi. Le ali sono scandite da nove finestre ciascuna, separate da paraste lisce impostate al di sopra di una zoccolatura in pietra forte. Il fabbricato è stato di recente collegato, tramite passaggi aerei metallici a sezione circolare, a due nuovi fabbricati laterali a struttura prefabbricata destinati a servizi vari e a spogliatoi. Attorno alla pista di atletica un tempo si estendeva un insolito anello di parterre che, unito mediante scale agli spalti delle due tribune laterali, rimaneva invece separato dalle due curve formando un vasto e bizzarro spazio erboso tra il pubblico. Ciò risultava anche dalla riduzione dell’anello della pista podistica come richiesto dalle nuove norme della FIDAL che portarono pure ad una riduzione delle dimensioni del campo di calcio da metri 110 x 70 a metri 106,50 x 69,10. Nel frattempo, terminata la guerra, all’impianto fiorentino fu data la generica denominazione di Stadio Comunale, rimuovendo il nome e la memoria di Giovanni Berta come avvenuto per molte opere pubbliche e strade anche nel resto d’Italia. Dopo un progetto di ampliamento mai Dici Artemio Franchi e dici calcio italiano, europeo, mondiale. ArtemioFranchi(1922–1983)èstatoundirigentesportivoitaliano chehadirettoaimassimilivelliilcalcionazionaleeinternazionale. Iniziò la sua carriera come arbitro, ino a dirigere le partite di serie C. Divenne dirigente sportivo della Fiorentina e poi ricoprì una prima volta l’incarico di Presidente della Figc dal 1966 al 1976. Sotto la sua gestione per la prima volta l’Italia conquistò l’Europeo del 1968 e arrivò seconda al Mondiale in Messico 1970. Il 15 marzo 1973 Artemio Franchi fu eletto con votazione plebiscitaria presidente dell’UEFA. Un anno dopo, diventò vicepresidente della FIFA. Nel 1958 fu inaugurato il Centro Tecnico di Coverciano, voluto dal marchese Luigi Ridoli che Franchi considerava il suo autentico maestro. Coverciano si trasformò in una seconda casa per il dirigente iorentino, che contribuì alla crescita degli impianti e alla valorizzazione delle iniziative: fu anche merito di Franchi se Coverciano divenne, col tempo, oltre che la sede naturale dei raduni azzurri, una vera e propria università del calcio. A questo grande personaggio del calcio sono intitolati sia lo stadio di Firenze che lo stadio di Siena. ARTEMIO FRANCHI STADI D’ITALIA 15
  • 26. attuato, presentato dallo stesso architetto Nervi nel 1950 e appoggiato ancora una volta dal marchese Ridolfi, e dopo alcuni scriteriati interventi dettati da esigenze funzionali, lo stadio Comunale ha subito importanti interventi strutturali (che non hanno mancato di suscitare a loro volta critiche e malumori) nel 1989 in vista delle gare dei campionati mondiali di calcio dell’anno successivo. I lavori, affidati all’architetto Italo Gamberini (che propose quattro diverse soluzioni con la collaborazione degli arch. Loris Macci, Enrico Novelli e Giovanna Slocovich) furono indirizzati verso il cambio di destinazione d’uso della struttura, ora riservata solamente al calcio, l’aumento della capienza e della sicurezza, la razionalizzazione dei servizi generali di funzionamento, in particolare degli accessi e delle vie di deflusso degli spettatori. Essendo poste sotto la tutela delle Belle Arti come Monumento Nazionale non fu possibile sopraelevare le tribune esistenti, come avvenuto invece a Palermo, Verona e Bologna. Lo stesso Nervi aveva previsto di dotare successivamente l’impianto di un eventuale secondo anello che avrebbe tuttavia mortificato l’armonia di molti elementi della struttura. Per ampliare la struttura si decise allora di abbassare il terreno di gioco di 2,60 metri ed eliminare la gloriosa pista di atletica leggera dove in passato, tra l’altro, era stato stabilito anche il record mondiale degli 800 metri dal mezzofondista inglese Sebastian Coe. Dietro le porte l’anello di parterre fu eliminato e sostituito da un settore dotato di posti a sedere che di fatto avvicinò gli spalti delle due estremità al terreno di gioco. Ne risultò una capienza complessiva di 47.782 spettatori (poi ridotti agli attuali 47.282), lontana comunque dalla precedente effettiva capacità ricettiva dello stadio testimoniata dai 58.271 spettatori che seguirono la gara con l’Inter del 25 novembre 1984. Inoltre, un anello di trecentosessanta vetrate protettive sostituì la recinzione interna degli spalti, una passerella di collegamento fu realizzata tra la tribuna stampa ed il centro stampa e una palestra venne ricavata all’interno della Tribuna Maratona. Attraverso la realizzazione di alcune scale integrative esterne ed interne e la realizzazione delle nuove pensiline a sbalzo in metallo che dipartono dalle estremità di quella originale in cemento furono compiute ulteriori integrazioni funzionali e tecnologiche ritenute necessarie, sebbene forse poco eleganti. Lo stadio fu dotato di un nuovo impianto di illuminazione, di un impianto tv a circuito chiuso e di un tabellone elettronico con display a colori. Per ultimo fu eliminato il muro di cinta che chiudeva la vista delle strutture, sostituito con una recinzione metallica, e venne altresì compiuta una generale risistemazione della zona circostante, con nuovi parcheggi, riordino della viabilità e incremento del verde. In tempi più recenti, nell’autunno 2014, il parterre della Tribuna Maratona fu infine dotato di un’assai sgraziata pensilina inclinata. In oltre ottant’anni di storia, lo stadio di Firenze ha ospitato diversi incontri dell’Italia a partire dal 7 maggio 1933 quando gli azzurri si imposero per 2 a 0 (con reti di Giovanni Ferrari e Schiavio) sulla Cecoslovacchia in un incontro valido per la Coppa Internazionale. A Firenze è stata inoltre assegnata la prima Coppa delle Coppe, vinta dai viola nel doppio confronto con gli scozzesi dei Rangers Glasgow, superati per 2 a 1 nella finale di ritorno il 27 maggio 1961, davanti a 50.000 spettatori. In tempi recenti, nel 2010 e 2012, lo stadio fiorentino ha ospitato anche due prestigiosi incontri della nazionale italiana di rugby, disputati entrambi contro i forti Wallabies australiani. Dal novembre 1991 il Comunale di Firenze è intitolato ad Artemio Franchi, lo scomparso presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio (la stessa che nel 2003 decretò per la società fiorentina – allora chiamata Florentia Viola – una poco dignitosa promozione automatica in Serie B), già segretario della Fiorentina e in seguito vicepresidente della Uefa. Completano in un certo senso la struttura le magnifiche colline fiesolane che appaiono dietro la Curva Nord - quella occupata dalla tifoseria viola - e che, come la alture di Monte Mario nella Capitale, arricchiscono ed esaltano lo stadio facendone dimenticare le non indifferenti carenze, in particolare quelle legate alla scarsa copertura ed ai problemi di visibilità, che altrimenti avrebbero da tempo rivelato l’obsolescenza e l’inadeguatezza dell’impianto, ultimamente minacciato dalle voci di un nuovo stadio ipotizzato nella zona a nord del capoluogo, a Castello o a Osmannoro. Poco lontano dallo Stadio Artemio Franchi, sempre sul Campo di Marte, sorge il nuovo Stadio Comunale di Atletica, nato nel 2003 sulle “ceneri” dello stadio Militare, che l’Amministrazione Comunale ha deciso di intitolare “all’indimenticabile grandissimo dirigente sportivo fiorentino Marchese Luigi Ridolfi”. L’impianto, costituito da varie strutture con edifici aventi diverse conformazioni per rispondere a destinazioni d’uso differenti, è sviluppato su un anello di spalti interrotto in prossimità della gradinata sul lato est, costruita in forma più ridotta e priva di copertura per consentire l’apprezzamento di particolari visuali interne al complesso. Il nuovo stadio per l’atletica leggera, progettato dall’ingegnere Dario Bugli, è in grado di ospitare circa 7.000 spettatori seduti al coperto, a cui si aggiungono circa 1.100 spettatori seduti nella Gradinata scoperta. Negli spazi ricavati internamente alle tribune e nelle sporgenze lungo i lati ovest e sud sono stati realizzati diversi locali, tra cui uffici, spogliatoi, palestre, aree di ristoro, attività commerciali e numerosi servizi per il pubblico, gli atleti, le autorità e la stampa. La copertura dello stadio è stata realizzata con un sistema a doppia trave in legno lamellare binata, dall’altezza estremamente contenuta rispetto agli abituali rapporti presenti nelle strutture sportive. Per ultimo, senza alcuna pretesa di poter competere con la magnificenza del Franchi, merita di essere ricordato anche il vecchio Stadio del Littorio di Via Accursio, nel dopoguerra conosciuto semplicemente come Stadio Comunale delle Due Strade sebbene sia stata in seguito imposta l’intitolazione politica al partigiano fiorentino Gino Bozzi. Dalla stagione 1978-79 la struttura ospita le gare della Rondinella (e, più recentemente, del C.S. Porta Romana), la squadra nata nel luglio del 1946 grazie ad un gruppo di sportivi riunitisi in un bar del rione fiorentino di San Frediano. Il campo si trova infatti nel vicino quartiere di San Gaggio, in direzione di Galluzzo, dove sorge la celebre Certosa edificata da Niccolò Acciaiuoli nel 1341. Il nuovo campo, capiente oggi 3.800 posti e composto essenzialmente da una tribuna parzialmente coperta ed un settore di curva, portò subito fortuna alla società biancorossa che centrò due promozioni consecutive, ritrovandosi in Serie C1. Prima di allora la Rondinella aveva utilizzato il Campo Mario Pucci, in via Antonio del Pollaiolo, sulla riva sinistra dell’Arno, e poi il terreno di gioco allestito di fianco alla sede sociale (inaugurata ufficialmente nel 1957 dal Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi) al Torrino di Santa Rosa, storica costruzione medioevale in pietra situata in riva dell’Arno, dove oggi sorgono gli edifici della Asl. STADI D’ITALIA 16
  • 27. Nella Roma Imperiale erano assai numerosi i luoghi dedicati alle attività ludico-sportive e se il Colosseo ne rappresenta tuttora l’esempio più diretto e conosciuto, non possono non essere menzionati i magniici stadi dalla classica forma a U allungata di derivazione ellenica che per secoli accolsero le competizioni agonistiche dell’Urbe. Ai piedi del Palatino è ancora possibile ammirare il Circo Massimo, posto non lontano dall’Ippodromo della Domus Augustiana (o Stadio degli Imperatori); sull’Appia sorgeva il Circo di Massenzio mentre nell’attuale Piazza Navona un tempo trovava spazio lo Stadio di Domiziano. E poi il repubblicano Circo Flaminio, quello di Variano vicino a Porta Maggiore e quello privato di Caligola dove Nerone si esercitava prima delle esibizioni e dove furono martirizzati molti cristiani, accusati dall’imperatore di essere gli autori dell’incendio del 64. Qui è morto anche San Pietro, seppellito poi in una zona a ianco del circo stesso. La storia degli stadi romani dedicati al gioco del calcio nell’era moderna non ha invece goduto di cotanta magniicenza ed in verità è stata piuttosto travagliata, rimanendo in buona parte legata alle vicende delle società sportive che rappresentavano la Capitale. A portare il calcio a Roma fu la Lazio, nata come Società Podistica all’inizio del secolo passato per volontà di nove giovani sportivi capeggiati dal sottouficiale dei Bersaglieri Luigi Bigiarelli, riunitisi – così riportano le cronache del tempo – su una panchina del Lungotevere di fronte alla Piazza d’Armi, oggi Piazza della Libertà. Era il 9 gennaio 1900, una sorta di Anno Santo per i calcioili della Capitale dove, tra le antiche carrozze e il primo tram elettrico, ancora non esisteva lo Stadio Nazionale del quartiere Flaminio, sorto nel 1911 ma mai utilizzato per gare internazionali e presto abbandonato durante la Grande Guerra. Nei primi anni di attività la Lazio utilizzò diversi campi cittadini a partire proprio dal terreno della Piazza d’Armi del quartiere Prati, non lontano dall’Olimpico, dove il 16 maggio 1902 fu giocata la prima sida stracittadina in assoluto, vinta dai biancocelesti per tre a zero contro la Virtus. L’ampio spiazzo erboso era utilizzato per le manovre militari delle vicine caserme e si trovava nell’area formata dal Lungotevere delle Armi – un tempo non asfaltato – con l’attuale Viale Carso, Viale Angelico e Viale delle Milizie, il cui tratto inale veniva utilizzato anche per i campionati studenteschi. L’area, approssimativamente un chilometro quadrato circondato da un doppio ilare alberato, era un tempo chiamata Campo di Marte e rappresentava allora il margine occidentale della periferia romana. Il campo di gioco dei pionieri laziali misurava inizialmente metri 100 x 50, era situato sul lato compreso tra il Lungotevere e Viale delle Milizie e disponeva di porte in legno costruite dal falegname Alberto Canalini. In previsione delle manifestazioni organizzate dall’imminente Esposizione per il cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, l’allora presidente laziale Fortunato Ballerini si attivò per assicurare alla squadra un nuovo terreno di gioco. Dall’Assessore ai Beni Patrimoniali, Leopoldo Torlonia, Ballerini ottenne i due campi incolti del Parco dei Daini situati ai margini di Villa Umberto, l’attuale Villa Borghese (dove la Lazio aveva già fatto qualche fugace apparizione a Piazza di Siena). In meno di due anni, grazie all’aiuto del Genio Militare che concorse a spianare il terreno, furono creati due campi di gioco impreziositi dagli spogliatoi e dagli ufici societari ricavati – non senza fatica – all’interno del padiglione dell’uccelliera, la casina di mezzo delle tre che costeggiavano l’attuale Via dei Daini. Il campo fu utilizzato dai biancocelesti nel periodo tra il 1906 ed il 1913 ma venne ROMA StadioOlimpico 105X68metri ForoItalico 00194Roma 1953 73.000posti LAZIO
  • 28. frettolosamente abbandonato, pare, in seguito ad una pallonata di Saraceni terminata sulla vettura della moglie del prefetto. Così la squadra dovette spostarsi momentaneamente al campo della Farnesina, situato assai lontano in prossimità del Poligono di Tiro oltre Ponte Milvio, più o meno nell’area occupata vent’anni dopo dallo Stadio dei Marmi. Il campo fu inaugurato con un secco 5-0 all’Audace e venne utilizzato per poco più di un anno, il tempo necessario per ultimare i lavori al campo della Rondinella, costruito sempre da Ballerini nel 1914 sulle colline dei Parioli ed inaugurato contro i medesimi avversari, battuti nuovamente per 3 a 2 il 1° novembre 1914. Il campo della Rondinella, utilizzato per le gare della squadra ino al 1931 e per gli allenamenti sino al 1957, riprendeva il nome da un’antica strada a sua volta così chiamata dall’insegna a forma di rondine di un’osteria che lì sorgeva. L’8 dicembre 1929 il campo fu teatro del primo derby capitolino con i rivali della AS Roma che nell’occasione si imposero al termine della gara per 1 a 0 con rete di Wolk. Qui furono inoltre disputate la inale nazionale persa il 22 luglio 1923 contro il Genoa e il primo incontro del campionato a girone unico, una sonante vittoria per tre a zero ottenuta il 6 ottobre 1929 contro il Bologna fresco campione d’Italia. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, in considerazione delle privazioni della popolazione civile, lo stesso Ballerini permise di trasformare il terreno del campo in “orto di guerra”. Il nobile gesto non venne dimenticato e anni dopo, il 2 giugno 1921, la Lazio con regio decreto venne dichiarata “Ente Morale” per meriti sociali, culturali e sportivi, unica società allora nel panorama sportivo nazionale. Nella ristrutturazione post-bellica dell’impianto vennero impiegati anche i tre vagoni carichi di materiale donati dalla Croce Rossa Americana ai giovani esploratori per erigere baracche prefabbricate. L’impianto della Rondinella assunse il suo aspetto deinitivo nel 1924, allorché fu ruotato il campo di 180 gradi e venne realizzata la tribuna coperta in legno. Questa riprendeva in parte i colori della squadra, aveva un vasto tetto a falde inclinate e poggiava su una base di mattoni dove vennero altresì ricavati quattro spogliatoi con docce, la casa del custode ed un magazzino. Gli spalti, costituiti da ripiani lignei a tavolato, si sviluppavano anche sui restanti tre lati del terreno di gioco portando la capienza complessiva dell’impianto oltre i 15.000 posti. Il perimetro del campo e il coronamento sommitale erano recintati da parapetti a crociata romana. I lavori furono eseguiti dalla ditta Di Zitto & C. per conto della Società Anonima Campo Rondinella con un capitale in parte inanziato da sottoscrizioni pubbliche poi convertite in tessere di socio vitalizio. Il 13 ottobre 1928 venne inaugurato l’anello del cinodromo, inserito poco prima su iniziativa di due nobili romani, il conte Carlo Dentice di Frasso e il conte Romeo Gallenga Stuart. La storia del Campo Rondinella si interruppe improvvisamente una notte estiva del 1957, quando il cinodromo e la tribuna andarono a fuoco anticipando di qualche anno la ine dell’impianto comunque minacciato dal nuovo piano regolatore. Il STADI D’ITALIA 103 LoStadio Nazionale, antenato dell’attuale Flaminio.