Da un'indagine emerge un dato in controtendenza: la violenza giovanile -per i giovani- è più che altro una questione di violenza assistita e, al più, subita.
Poco produttivo dunque –sul piano formativo- proporre training sulla violenza agita (per quanto sia di quest’ultima che le cronache e le statistiche parlino come fenomeno in crescendo).
Molto più urgente (ma anche efficace) lavorare sull’ esperienza di violenza assistita e/o subita.
XI Lezione - Arabo LAR Giath Rammo @ Libera Accademia Romana
Relazione sulla violenza giovanile
1. La violenza
Se la conosci la eviti
Da un’indagine condotta nelle
classi del biennio
dell’ITTS Fermi di Francavilla Fontana
Psicologo raffaelefarina@alice.it
2. Premessa
• Focus tematico: violenza giovanile
• Obiettivi:
– coinvolgere gli studenti del biennio in una riflessione attiva
sul tema, partendo dall’esperienza personale di violenza
(agita, subita o assistita)
– conoscere la violenza attraverso i suoi effetti
• Metodologia: lavoro personale scritto di tipo narrativo con
restituzione e commento dei risultati.
• Risorse: docenti per la somministrazione e guida alla
riflessione nella fase di restituzione.
Psicologo raffaelefarina@alice.it
3. La traccia
Quella volta che…
ho assistito ad una violenza, oppure…
ho subito una violenza, oppure…
sono stato violento/a.
Ci sono tanti modi e tipi di violenza (in tv, per strada o fra le mura domestiche, sulle
donne, sui bambini, tra amici, tra fidanzati, verso un alunno, fisica o psicologica, su
internet, da protagonisti o anche solo da spettatori), a volte apparentemente innocui, a
volte inaspettati, non voluti…a volte desiderati e progettati…, a volte ignorati, taciuti…ma
comunque sempre difficili da cancellare dalla mente.
Racconta un’ esperienza di violenza (assistita, subita o agita che sia). Se vuoi puoi
utilizzare le domande guida qui sotto…non importa se la storia sia tua personale o
inventata, quello che conta è che il racconto sia scritto in prima persona. Ah,
naturalmente è anonimo e… inoltre non ti ho detto che potrà essere selezionato per
essere letto ed interpretato nel corso di un evento.
Psicologo raffaelefarina@alice.it
4. Domande guida
1. Descrizione degli eventi
Dov’ero? Chi altri era con me? Perché ero lì? Cosa stavo facendo? Cosa stavano facendo le altre persone? Qual era il
contesto dell’evento? Cos'è successo? Che parte ho avuto in ciò che è successo? Che parte hanno avuto gli altri? Qual è
stato il risultato?
2. Sensazioni ed emozioni
Che sensazioni ho provato immediatamente prima che l’evento iniziasse? Come mi sono sentito quando è iniziato? Come mi
hanno fatto sentire le parole/azioni degli altri? Come mi sono sentito a proposito dell’esito dell’evento?
Fai una lista di tutte le emozioni provate in relazione all’evento dal suo inizio alla fine. Quale di queste emozioni ha per te
maggior significato?
3. Pensieri
Cosa stavo pensando immediatamente prima che l’evento iniziasse? Cosa ho pensato dell’evento quando è iniziato? Cosa mi
hanno fatto pensare le parole/azioni degli altri?
4. Analisi
Perché è successo? Quanto e in che modo ho contribuito io e quanto gli altri? E cosa penso ora dell’esito dell’evento? Cosa
c'è stato di positivo nell’esperienza? Cosa di negativo? Cosa è andato bene? Cosa ho fatto bene? Cosa hanno fatto bene gli
altri? Cosa è “andato storto” o non bene come avevo pensato? Cos’altro avrei potuto fare?
6. Piano d’azione
Cosa farei di diverso se la situazione si ripresentasse?
Psicologo raffaelefarina@alice.it
5. Perchè conoscere la violenza
• Per riconoscerla
• Per non accettarla
• Per segnalarla
• Per denunciarla
• Per non agirla
• Per riconoscerne gli effetti (su di sé/sugli altri) e
imparare a gestirli meglio (obiettivo oggetto del progetto)
Psicologo raffaelefarina@alice.it
6. La psicologia sociale in realtà ci dice che i processi di schieramento (in-group vs out-
group) sono normali perché noi umani siamo una specie gregaria (cioè abbiamo un forte
bisogno di sentirci parte di un gruppo…e l’identità del gruppo è da noi maggiormente
percepita quanto più si differenzia da quella degli altri gruppi). Quindi «schierarsi» (nel
senso di «appartenere a» e/o «sentirsi differenti da») è un bisogno legittimo…
…è chiaro quindi che la violenza è un modo sbagliato di esprimerlo.
Saperlo può aiutarci a scegliere…
…perché la violenza è una scelta.
Effetti sullo spettatore (violenza assistita)
La violenza sembra generare e/o rinforzare uno
schieramento, una presa di posizione, un noi
contro loro, un io contro te.
Psicologo raffaelefarina@alice.it
7. La violenza resta incomprensibile e per questo turba. (http://dippsi.psi.uniroma1.it/users/cestari-
vincenzo)
Il «dar-senso» è un processo cognitivo di fondo (cioè tanto latente e automatico quanto fondante),
tanto che quando «salta» completamente viviamo un’esperienza cosiddetta traumatica (per es. un
incidente, un lutto improvviso, una catastrofe).
Inoltre questo processo va avanti in modo circolare (loop) finchè non risolve l’incompresibilità (per
questo ti ritornano continuamente le immagini, ti capita di sognarle, continui a sentirti turbato a
distanza di tempo). Il loop può anche cronicizzarsi.
Chi assiste alla violenza dunque tenta di darle un senso…ma non ce la fa, non trova ragioni....
Ogni volta che assisti a episodi di violenza è bene che ne parli.
È il modo migliore per interrompere il loop.
Effetti sullo spettatore (violenza assistita)
Psicologo raffaelefarina@alice.it
8. La violenza ci addolora.
Il dolore spesso passa in secondo piano perché
subentrano altri vissuti più intensi (la rabbia, il senso d’impotenza, il senso di colpa).
E’ giusto tuttavia provare dolore…
…e accettare di provarlo significa anche accettare la propria impotenza di fronte ad
un evento rispetto al quale non sempre possiamo fare qualcosa.
Trova qualcuno con cui parlare del tuo dolore. Starai meglio.
Ero appena arrivato sotto casa e ho visto due anziani che trascinavano violentemente un cane in macchina, il cane
si ribellava, cercava di divincolarsi, ringhiava, aveva le lacrime agli occhi. Lo guardavo e mi faceva pena, tanta
pena. No mi sono intromesso perché avevo paura che potevano farmi del male anche a me. Così sono salito a
casa, con quella scena che ancora non riesco a dimenticare, mi è rimasta impressa.
Il mio cuore si ruppe in due quando vidi mio padre tirando un pugno con molta crudeltà alla mamma, lei povera,
indifesa, con le lacrime agli occhi…
Effetti sullo spettatore (violenza assistita)
Psicologo raffaelefarina@alice.it
9. La violenza ci paralizza……tra il bisogno di intervenire/reagire e la paura di farlo.
La reazione di paralisi è normale e corrisponde ad un meccanismo fisiologico innato
che si attiva automaticamente in situazioni di pericolo (p.e. il topo quando è sotto le
grinfie del gatto).
Effetti sullo spettatore (violenza assistita)
La Psicologia Sociale inoltre dà anche altre spiegazioni circa il basso «interventismo» degli
spettatori di violenza (vd https://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_spettatore).
In sostanza ci sono buone e scientificamente spiegabili ragioni del nostro non intervenire.
Quindi non ha alcun senso sentirsi in colpa o darsi del codardo.
Serve solo ad alimentare il loop.
Psicologo raffaelefarina@alice.it
10. La violenza genera tanta rabbia in chi assiste.
Il problema è che è una rabbia passivizzata, cioè non è riconosciuta
(né da chi la prova né dagli altri) e quindi non è possibile esprimerla.
La rabbia non espressa fa molto male:
a sé stessi (ci deprime e intossica) e agli altri (ci fa diventare aggressivi e scostanti).
Modi sani di esprimerla: parlarne (con il diretto interessato, con amici, con chiunque sia disposto ad
ascoltarti). Es.: «sono molto arrabbiato con te perché…», «mi è successo che…, provo tanta
rabbia…, puoi ascoltarmi?»
Modi insani: qualsiasi modo che faccia del male (a sé e agli altri)
Effetti sullo spettatore (violenza assistita)
Psicologo raffaelefarina@alice.it
11. Giustificazione dell’aggressione e «rito sacrificale»
Anche qui scattano condotte istintive, automatiche (cioè codificate in millenni di storia evolutiva della specie umana e
per ragioni di sopravvivenza) e spiegabili con il paradigma psico-sociale del «dar senso»:
1.lo spettatore -dopo una prima istintiva ma dolorosa fase di empatia con la vittima- transita in una fase di giustificazione
(«la vittima deve aver commesso qualcosa di molto grave. Non si può spiegare diversamente questa insopportabile
violenza!»).
2.Il gruppo partecipa attivamente mettendo in atto una sorta di rito sacrificale. In questo modo «il senso obbligato» dato (la
colpa della vittima) viene condiviso e distribuito con gli altri (cosiddetta diffusione di responsabilità. Vd
https://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_spettatore)
Ci piace pensarci come esseri etici, dotati di valori, di cosiddetta umanità, solidali, difensori dei deboli…
…quindi abbiamo difficoltà ad accettare questa lettura della condotta gruppale così poco solidale…
…ci consola tuttavia sapere che queste condotte sono spiegabili e non sono segno di depravazione.
Cosa fare?
•Primo, smettere di pensare che questa è una generazione di depravati!
•Poi, cominciare a pensare seriamente che la violenza non ha senso e che l’unica strada è quella di
evitarla, condannarla, denunciarla. (cultura della non-violenza)
Effetti sullo spettatore (violenza assistita)
Psicologo raffaelefarina@alice.it
12. Abbiamo visto fin qui che il vissuto dello spettatore di violenza non è poca cosa…e in effetti ci aiuta a
capire un po’ quello della vittima che è sicuramente più complesso ma molto simile: dolore,
impotenza, paura, rabbia, incredulità e quindi anche ipotesi giustificative, sensi di colpa.
Soluzioni?
Parlarne
(con persone che ti ascoltino e ti capiscano, naturalmente)
Effetti su chi la subisce
Ciò che ricordo di un episodio di violenza verbale è quando da piccolo non ero bravo con lo studio, facevo giusto il poco per
essere promosso, ma i miei cercavano sempre il meglio di me e mi dicevano «tu da grande non sarai nessuno, Se mai solo
un fannullone. Guarda tuo fratello invece, porta sempre buoni voti, in confronto ai tuoi» oppure «sei la pecora nera della
famiglia, fai solo danni». Trovavo violenza in ciò che mi dicevano, e ciò mi ha ferito, specialmente dai miei.
Facevo la quarta elementare, c’era un gruppo di bambini che mi insultavano…dicevano brutte cose, … una delle cose che
mi faceva arrabbiare è che le Maestre quando le sentivano non dicevano niente. E quando c’erano progetti e altre
attività, per colpa di quei bambini, non venivo accettato anche dagli altri…e da allora anch’io odio me stesso.
Francesco è bellissimo, alto,biondo e due occhi celesti che sono la fine del mondo. E’ un cliente assiduo del negozio in cui
lavoro. L’altro giorno mi ha chiesto di uscire…sono al settimo cielo, mi ha detto che mi porterà al ristorante, sono
emozionata. E’ sabato, mi preparo…usciamo..in macchina lo guardo e penso che sia bellissimo..ristorante..poi passeggiata
in macchina sulla panoramica…poi si ferma…e…si avvicina…cerca di baciarmi…non capisco subito le sue intenzioni…gli
dico di smetterla ma lui continua, mi bacia, mi tocca…io grido, piango, cerco di svincolarmi ma lui sembra non
sentirmi…non pensavo sarebbe arrivato a tanto…resto lì sola, svestita, anche della mia dignità.
Ma non finisce qui, ogni giorno lui viene e aspetta che io finisca, per portarmi con lui, e ogni volta ricomincia a violentarmi e
arriva anche a picchiarmi.
Vigilia di Natale, due poliziotti suonano al campanello di casa mia…i miei aprono…raccontano che non ce l’ho fatta..mi
hanno trovata in una pozza di sange. Sembrava un angelo…non sapevo che era un diavolo.
Psicologo raffaelefarina@alice.it
13. Cosa farò la prossima volta?
Psicologo raffaelefarina@alice.it
14. Cosa farò la prossima volta?
• Programmare un’azione futura è molto importante!
• Corrisponde in parte a quello che la tua mente cerca di fare
riproponendoti continuamente il ricordo di quelle scene, anche senza il
tuo volere.
• Ti aiuta a sentirti capace e quindi a risolvere il tuo vissuto di impotenza
• Ti evita di improvvisare con azioni impulsive e pericolose e quindi…
• …ti aiuta a scegliere strategie adeguate.
Psicologo raffaelefarina@alice.it
15. «Un’azione riuscita…»
…e senza ricorso ad altra violenza.
Esercitazione. Nell’episodio narrato provate a capire cosa ha funzionato, perché, quali
sono stati i passaggi e/o le azioni e/o gli atteggiamenti che hanno permesso ai ragazzi
sopraggiunti di favorire una soluzione buona per tutti (per la vittima, per i bulli e per gli
spettatori).
Psicologo raffaelefarina@alice.it
16. Vademecum
per chi assiste alla violenza
• Scrivete e appendete in classe un vademecum utile a chi assiste o ha
assistito ad episodi di violenza
• Tenete conto di quello che avete capito sugli effetti che tali episodi hanno
sugli spettatori (dolore, rabbia, impotenza, senso di colpa, incredulità,
bisogno di schierarsi, ecc…)
• Tenete conto inoltre di quello che avete capito nell’esercitazione «Un’azione
riuscita»
• Un vademecum in genere contiene:
– Cose da fare
– Con quale sequenza
– Come farle (da soli, in gruppo, dividendosi i compiti, ecc…)
– Cose da non fare
BUON LAVORO
Psicologo raffaelefarina@alice.it
17. Conclusioni
• Dall’indagine è emerso che la violenza giovanile -per i giovani- è più
che altro una questione di violenza assistita e, al più, subita.
• In ragione di ciò si è ritenuto poco produttivo –sul piano formativo-
proporre un training sulla violenza agita (per quanto sia di
quest’ultima che le cronache e le statistiche parlino come fenomeno
in crescendo).
• In realtà lavorare sull’ esperienza di violenza assistita e/o subita è
comunque un lavoro di prevenzione della violenza agita perché va
comunque nella direzione della diffusione di cultura della non
violenza.
• Ulteriori sviluppi si possono produrre a partire dai Vademecum che
si andranno a realizzare nelle classi.
Psicologo raffaelefarina@alice.it