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Mauro Bonazzi
La provocazione di Socrate
Monza, Liceo Zucchi, 15 dicembre 2016
T1: Plat. Ap. 18b-d; trad. A. Taglia.
Molti infatti sono stati i miei accusatori presso di voi già da molti anni senza dire nulla di vero, e sono
loro che temo più di Anito e della sua cerchia, sebbene siano terribili pure loro. Ma più terribili,
uomini di Atene, sono quelli che, prendendo la maggior parte di voi quando eravate ancora bambini,
vi persuadevano muovendo contro di me accuse prive di verità, che cioè esiste un Socrate sapiente,
che indaga sulle cose celesti e compie ricerche su tutte quelle sotterranee e rende più forte il discorso
più debole. […] Ma la cosa più assurda è che non è possibile sapere né dire i loro nomi, ad eccezione
di chi fosse un commediografo.
T2: Plat. Leg. X 889b-890a; trad. F. Ferrari.
Dicono che il fuoco, l’acqua, la terra e l’aria siano tutti per natura e per sorte, ma nessuno di essi per
arte, e i corpi che vengono dopo di questi, cioè quelli della terra, del sole, della luna e degli astri, sono
nati attraverso questi che sono del tutto inanimati; ciascuno di essi, mosso a caso dalle proprie forze
specifiche, laddove si incontrano adattandosi in un certo modo conveniente, il caldo con il freddo, o
l’asciutto con l’uomido e il tenero con il duro, e tutte quante le cose che per la casuale mescolanza dei
contrari necessariamente furono mescolate insieme, in questo modo e per questo motivo così hanno
generato il cielo intero e tutti quanti gli esseri in cielo, e tutti gli animali e le piante […] non per
mezzo della ragion, dicono, né grazie a un qualche dio né a un’arte, ma, come stiamo dicendo, per
natura e per caso. […] E anche la politica dicono che partecipi della natura in piccola parte, ma che
soprattutto partecipi dell’arte, e così anche tutta la legislazione non è per natura ma per arte, e le sue
disposizioni non sono vere. […] E il giusto non è affatto per natura, ma gli uomini discutono
continuamente tra di loro e cambiano sempre il giusto, e quel giusto che mutino e quando lo mutino,
allora ciascuna di queste forme di giusto ha potere sovrano, esistendo per arte e in base alle leggi ma
non per qualche natura. Tutto questo, amici, è opera di uomini sapienti presso uomini giovani, di
prosatori e di poeti, che affermano che la massima giustizia sia ciò in cui uno prevalga con la violenza
[…] e per questo motivo sorgono rivolte di coloro che trascinano la vita verso la giusta vita conforme
a natura, che in verità consiste nel vivere avendo il potere sugli altri e non essendo schiavi degli altri
secondo la legge.
T3: Thuc. V 105, 1-2; trad. L. Canfora.
ATENIESI: Quanto al favore degli dèi, neanche noi saremo da meno: ne siamo persuasi. Giacché,
quello che facciamo, quello che riteniamo giusto, non si pone affatto fuori della concezione che gli
uomini hanno del mondo divino né della reciproca loro disposizione. Non solo fra gli uomini, come è
ben noto, ma, per quanto se ne sa, anche tra gli dèi, un necessario e naturale impulso spinge a
dominare su colui che puoi sopraffare. Questa legge non l’abbiamo stabilita noi né siamo stati noi i
primi a valercene; L’abbiamo ricevuta che già c’era e a nostra volta la consegneremo a chi verrà
dopo, ed avrà valore eterno.
T4: Plat. Men. 79e-80b; trad. M. Bonazzi.
MENONE: Socrate, anche prima di 80[a] incontrarti avevo sentito che non fai altro che dubitare tu
stesso e far dubitare gli altri. Anche ora, almeno questo mi pare, mi fai la magia, mi streghi –
insomma m’incanti, così che io sono pieno di dubbi. Mi sembri davvero simile, se è anche lecito
scherzare un po’, nell’aspetto e in tutto il resto, alla piatta torpedine marina: perché anch’essa fa
intorpidire chiunque le si avvicini e la tocchi; tu, mi sembra, mi hai fatto ora qualcosa di simile:
davvero, sono intorpidito [b] nell’anima e nella bocca, e non so che cosa risponderti. E sì che sulla
virtù ho tenuto innumerevoli volte tantissimi discorsi al cospetto di molte persone, e molto bene –
almeno mi pareva. Ma ora non so affatto dire neppure che cosa sia. Davvero, è una decisione
accorta, direi, quella di non andartene di qui né per mare né per terra: se infatti te ne uscissi con cose
del genere in un’altra città, da straniero, saresti subito arrestato con l’accusa di magia.
T5: Plat. Ap. 22e-23c; trad. A. Taglia.
Da questa indagine appunto, Ateniesi, si sono originati nei miei confronti molti odi, asperrimi e
profondissimi, sì che da essi sono sorte molte calunnie e ho ricevuto questo nome di sapiente. Infatti
in ogni occasione i presenti credono che io sia sapiente nelle cose su cui confuto un altro. Ma forse,
uomini di Atene, è il dio a essere realmente sapiente e con questo oracolo vuole dire che la sapienza
umana vale poco o nulla. […] Perciò ancora adesso andando in giro ricerco e indsgo, secondo il
volere del dio, se mai qualcuno dei cittadini o degli stranieri mi appaia sapiente. E qualora mi paia di
no, prestando aiuto al dio dimostro che non è sapiente. E per via di questa occupazione non mi è
rimasto il tempo di fare qualcosa di significativo né per la città né per la mia casa, ma causa del
servizio al dio vivo nella massima povertà.
T6: Plat. Ap. 28b-29a; trad. A. Taglia.
Forse allora uno potrebbe dire: “Ma non ti vergogni, Socrate, di esserti dedicato a un’attività per cui
ora rischi di morire?” In risposta potrei fargli un giusto discorso: “Non dici bene, amico mio, se pensi
che un uomo di qualche utilità, anche se modesta, debba considerare il pericolo di vivere o morire,
anziché esaminare soltanto, nel suo agire se compie azioni giuste o ingiuste, proprie di un uomo
buono o malvagio. Secondo il tuo discorso, infatti, sarebbero stolti quanti tra i semidei morirono a
Troia, oltre agli altri anche il figlio di Teti, il quale, pur di non sottostare a vergogna, disprezzo a tal
punto il pericolo che, quando la madre, che era una dea, a lui, bramoso di uccidere Ettore, parlò più
o meno così, credo: ‘Figlio, se vendicherai l’uccione del tuo amico Patroclo e ucciderai Ettore,
morirai anche te – perché subito dopo Ettore ti attende il tuo destino (Il. XVIII 96) –, sentito ciò egli
non si curò minimamente della morte e del pericolo, ma temendo molto di più di vivere come un vile
e di non vendicare gli amici, risposte che io possa morire subito, dopo aver imposto la sua pena a chi
ha commesso ingiustizia, piuttosto che restare qui ridicolo presso le navi ricurve, inutile peso della
terra (Il. XVIII 98 e 104) Ti pare che egli si preoccupasse della morte e del pericolo?”
In verità, le cose stanno così, Ateniesi. Dove uno si è collocato nella convinzione che fosse il meglio, o
è stato collocato da chi comanda, lì deve restare, mi pare, e affrontare il pericolo, senza considerare
nulla, né la morte né altro, più del disonore. Io quindi, Ateniesi, avrei agito in modo terribile se,
quando i comandanti, che voi avete eletto perché mi comandassero a Potidea, ad Amfipoli e a Delio
mi attribuirono un posto, allora fossi rimasto là dove mi avevano collocato come chiunque altro e
avessi corso il rischio di morire, e invece quando il dio ha disposto, come io ho pensato e inteso, che
dovessi vivere filosofando ed esaminando me stesso e gli altri, in questo caso avessi lasciato il mio
posto per timore della morte o di qualsiasi altra cosa.
T7: Plat. Ap. 29c-e; trad. A. Taglia.
[…] se in considerazione di ciò mi diceste: “Socrate, ora non daremo retta ad Anito, ma ti
assolveremo, a questa condizione, però, che non passi più il tempo in questa ricerca e non filosofi più;
ma qualora tu sia trovato a farlo ancora morirai” – se dunque, come dicevo, mi assolveste a queste
condizioni, vi direi: “Ateniesi, voi mi siete cari e vi voglio bene, ma obbedirò al dio piuttosto che a
voi, e finché respirerò e ne avrò la possibilità, non smetterò di filosofare e di rivolgere
raccomandazioni e consigli a chiunque di voi incontri, dicendo le solite cose: ‘Uomo eccellente, tu
che sei ateniese, della città più grande e più stimata per la sua sapienza e la sua potenza, non ti
vergogni di prenderti cura delle ricchezze allo scopo di possederne quante quante più è possibile, e
così della fama e degli onori, mentre non ti curi né ti dai pensiero dell’intelligenza e della verità e
dell’anima, affiché sia la migliore possibile?”.

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  • 1. Mauro Bonazzi La provocazione di Socrate Monza, Liceo Zucchi, 15 dicembre 2016 T1: Plat. Ap. 18b-d; trad. A. Taglia. Molti infatti sono stati i miei accusatori presso di voi già da molti anni senza dire nulla di vero, e sono loro che temo più di Anito e della sua cerchia, sebbene siano terribili pure loro. Ma più terribili, uomini di Atene, sono quelli che, prendendo la maggior parte di voi quando eravate ancora bambini, vi persuadevano muovendo contro di me accuse prive di verità, che cioè esiste un Socrate sapiente, che indaga sulle cose celesti e compie ricerche su tutte quelle sotterranee e rende più forte il discorso più debole. […] Ma la cosa più assurda è che non è possibile sapere né dire i loro nomi, ad eccezione di chi fosse un commediografo. T2: Plat. Leg. X 889b-890a; trad. F. Ferrari. Dicono che il fuoco, l’acqua, la terra e l’aria siano tutti per natura e per sorte, ma nessuno di essi per arte, e i corpi che vengono dopo di questi, cioè quelli della terra, del sole, della luna e degli astri, sono nati attraverso questi che sono del tutto inanimati; ciascuno di essi, mosso a caso dalle proprie forze specifiche, laddove si incontrano adattandosi in un certo modo conveniente, il caldo con il freddo, o l’asciutto con l’uomido e il tenero con il duro, e tutte quante le cose che per la casuale mescolanza dei contrari necessariamente furono mescolate insieme, in questo modo e per questo motivo così hanno generato il cielo intero e tutti quanti gli esseri in cielo, e tutti gli animali e le piante […] non per mezzo della ragion, dicono, né grazie a un qualche dio né a un’arte, ma, come stiamo dicendo, per natura e per caso. […] E anche la politica dicono che partecipi della natura in piccola parte, ma che soprattutto partecipi dell’arte, e così anche tutta la legislazione non è per natura ma per arte, e le sue disposizioni non sono vere. […] E il giusto non è affatto per natura, ma gli uomini discutono continuamente tra di loro e cambiano sempre il giusto, e quel giusto che mutino e quando lo mutino, allora ciascuna di queste forme di giusto ha potere sovrano, esistendo per arte e in base alle leggi ma non per qualche natura. Tutto questo, amici, è opera di uomini sapienti presso uomini giovani, di prosatori e di poeti, che affermano che la massima giustizia sia ciò in cui uno prevalga con la violenza […] e per questo motivo sorgono rivolte di coloro che trascinano la vita verso la giusta vita conforme a natura, che in verità consiste nel vivere avendo il potere sugli altri e non essendo schiavi degli altri secondo la legge. T3: Thuc. V 105, 1-2; trad. L. Canfora. ATENIESI: Quanto al favore degli dèi, neanche noi saremo da meno: ne siamo persuasi. Giacché, quello che facciamo, quello che riteniamo giusto, non si pone affatto fuori della concezione che gli uomini hanno del mondo divino né della reciproca loro disposizione. Non solo fra gli uomini, come è ben noto, ma, per quanto se ne sa, anche tra gli dèi, un necessario e naturale impulso spinge a dominare su colui che puoi sopraffare. Questa legge non l’abbiamo stabilita noi né siamo stati noi i primi a valercene; L’abbiamo ricevuta che già c’era e a nostra volta la consegneremo a chi verrà dopo, ed avrà valore eterno. T4: Plat. Men. 79e-80b; trad. M. Bonazzi. MENONE: Socrate, anche prima di 80[a] incontrarti avevo sentito che non fai altro che dubitare tu stesso e far dubitare gli altri. Anche ora, almeno questo mi pare, mi fai la magia, mi streghi – insomma m’incanti, così che io sono pieno di dubbi. Mi sembri davvero simile, se è anche lecito scherzare un po’, nell’aspetto e in tutto il resto, alla piatta torpedine marina: perché anch’essa fa intorpidire chiunque le si avvicini e la tocchi; tu, mi sembra, mi hai fatto ora qualcosa di simile: davvero, sono intorpidito [b] nell’anima e nella bocca, e non so che cosa risponderti. E sì che sulla virtù ho tenuto innumerevoli volte tantissimi discorsi al cospetto di molte persone, e molto bene – almeno mi pareva. Ma ora non so affatto dire neppure che cosa sia. Davvero, è una decisione accorta, direi, quella di non andartene di qui né per mare né per terra: se infatti te ne uscissi con cose del genere in un’altra città, da straniero, saresti subito arrestato con l’accusa di magia.
  • 2. T5: Plat. Ap. 22e-23c; trad. A. Taglia. Da questa indagine appunto, Ateniesi, si sono originati nei miei confronti molti odi, asperrimi e profondissimi, sì che da essi sono sorte molte calunnie e ho ricevuto questo nome di sapiente. Infatti in ogni occasione i presenti credono che io sia sapiente nelle cose su cui confuto un altro. Ma forse, uomini di Atene, è il dio a essere realmente sapiente e con questo oracolo vuole dire che la sapienza umana vale poco o nulla. […] Perciò ancora adesso andando in giro ricerco e indsgo, secondo il volere del dio, se mai qualcuno dei cittadini o degli stranieri mi appaia sapiente. E qualora mi paia di no, prestando aiuto al dio dimostro che non è sapiente. E per via di questa occupazione non mi è rimasto il tempo di fare qualcosa di significativo né per la città né per la mia casa, ma causa del servizio al dio vivo nella massima povertà. T6: Plat. Ap. 28b-29a; trad. A. Taglia. Forse allora uno potrebbe dire: “Ma non ti vergogni, Socrate, di esserti dedicato a un’attività per cui ora rischi di morire?” In risposta potrei fargli un giusto discorso: “Non dici bene, amico mio, se pensi che un uomo di qualche utilità, anche se modesta, debba considerare il pericolo di vivere o morire, anziché esaminare soltanto, nel suo agire se compie azioni giuste o ingiuste, proprie di un uomo buono o malvagio. Secondo il tuo discorso, infatti, sarebbero stolti quanti tra i semidei morirono a Troia, oltre agli altri anche il figlio di Teti, il quale, pur di non sottostare a vergogna, disprezzo a tal punto il pericolo che, quando la madre, che era una dea, a lui, bramoso di uccidere Ettore, parlò più o meno così, credo: ‘Figlio, se vendicherai l’uccione del tuo amico Patroclo e ucciderai Ettore, morirai anche te – perché subito dopo Ettore ti attende il tuo destino (Il. XVIII 96) –, sentito ciò egli non si curò minimamente della morte e del pericolo, ma temendo molto di più di vivere come un vile e di non vendicare gli amici, risposte che io possa morire subito, dopo aver imposto la sua pena a chi ha commesso ingiustizia, piuttosto che restare qui ridicolo presso le navi ricurve, inutile peso della terra (Il. XVIII 98 e 104) Ti pare che egli si preoccupasse della morte e del pericolo?” In verità, le cose stanno così, Ateniesi. Dove uno si è collocato nella convinzione che fosse il meglio, o è stato collocato da chi comanda, lì deve restare, mi pare, e affrontare il pericolo, senza considerare nulla, né la morte né altro, più del disonore. Io quindi, Ateniesi, avrei agito in modo terribile se, quando i comandanti, che voi avete eletto perché mi comandassero a Potidea, ad Amfipoli e a Delio mi attribuirono un posto, allora fossi rimasto là dove mi avevano collocato come chiunque altro e avessi corso il rischio di morire, e invece quando il dio ha disposto, come io ho pensato e inteso, che dovessi vivere filosofando ed esaminando me stesso e gli altri, in questo caso avessi lasciato il mio posto per timore della morte o di qualsiasi altra cosa. T7: Plat. Ap. 29c-e; trad. A. Taglia. […] se in considerazione di ciò mi diceste: “Socrate, ora non daremo retta ad Anito, ma ti assolveremo, a questa condizione, però, che non passi più il tempo in questa ricerca e non filosofi più; ma qualora tu sia trovato a farlo ancora morirai” – se dunque, come dicevo, mi assolveste a queste condizioni, vi direi: “Ateniesi, voi mi siete cari e vi voglio bene, ma obbedirò al dio piuttosto che a voi, e finché respirerò e ne avrò la possibilità, non smetterò di filosofare e di rivolgere raccomandazioni e consigli a chiunque di voi incontri, dicendo le solite cose: ‘Uomo eccellente, tu che sei ateniese, della città più grande e più stimata per la sua sapienza e la sua potenza, non ti vergogni di prenderti cura delle ricchezze allo scopo di possederne quante quante più è possibile, e così della fama e degli onori, mentre non ti curi né ti dai pensiero dell’intelligenza e della verità e dell’anima, affiché sia la migliore possibile?”.