In Milan the small public drinking fountains called Draghi Verdi - a "team" consisting of 585 "pieces" - represent the common element and service present for all and throughout the city: in parks as in the streets, in the historic center as in the suburbs . Green dragons that distribute a public element par excellence: water. An aesthetic, civic, ethical, historical horizon.
In questa nostra Milano dalle due velocità, delle case popolari che arrancano e dei grattacieli che svettano, i Draghi Verdi – una “squadra” cittadina di grandi proporzioni, costituita da 585 “pezzi” – rappresentano l’elemento comune e di servizio presente per tutti ed in tutta la città: nei parchi come nelle strade, nel centro storico come nelle periferie. Draghi Verdi dal manto vandalizzato, che distribuiscono un elemento pubblico per eccellenza: l’acqua. Un orizzonte estetico, civico, etico, storico.
2. Prefazione diWalter Cherubini
Cenni Storici di Elisabetta Zanarotti
1. Lo specchio del Drago di Maurizio De Filippis
2. Quattro chiacchiere con Caterina di Rino Morales
3. Sinfonia n. 3 in Mi bemolle di Giovanni Francavilla
4. Piscio di Drago di Giovanna Castellina
5. Gli ingranaggi di Giuanìn di Ermanno Accardi
6. Pesci, bimbi e draghi di Nicola Chinellato
7. La regina de l’acqua de Milan di Giovanni Francavilla
8. La cüa de l’asin di Gian LucaTavecchia
9. La danza della fontanella di Raffaele Maddalena
10. La vedovella della Guastalla di Domenico Megali
Sommario
Milano
Giardino Carmelo Bene
3. Prefazione
«Tutti a bere al Drago Verde … pago io!»
Quante cose potrebbe raccontare un Drago Verde, importanti avvenimenti come aspetti di vita quotidiana.
«Tutti a bere al Drago Verde … pago io!». Era l’invito “presa in giro” che, di volta in volta, veniva gridato da qualcuno dei ragazzini che, in
gruppetti, scorazzavano per le vie dei quartieri, soprattutto nei periodi estivi.
Il “mio” Drago Verde era in Via beato Michele da Carcano all’angolo con Via Bartolomeo Cabella, in quel di Baggio. Quell’angolo di marciapiede
era lo snodo tra la Scuola elementare, l’Oratorio San Luigi ed il capolinea del Tram 18.
E lì, in coda, aspettavamo il nostro turno per abbeverarci. Con qualcuno che, di tanto in tanto, chiudeva con la mano la bocca del Drago
Verde, facendogli schizzare l’acqua dalla testa, bagnando così chi in quel momento stava bevendo o qualche malcapitato che magari passava in
bicicletta, perché lo schizzo d’acqua poteva arrivare anche a due o tre metri di distanza. Ma, d’inverno, occhio a non scivolare sul ghiaccio intorno.
Dopo mezzo secolo, le cose sono un po’ cambiate.
Il capolinea del Tram 18 non c’è più e con esso sono spariti anche i binari. Della Scuola elementare è rimasta la struttura ormai da tempo
senza vita, protetta da un paio di giri di filo spinato dopo aver subito numerose intrusioni e vari vandalismi.Anche l’Oratorio San Luigi è cambiato:
è diventato più grande e con un aspetto esteriore più curato, mentre il muro di cinta che scavalcavamo per andare a prendere il pallone calciato
malamente non è più grigio, ma colorato.
E il “mio” Drago Verde? Eh, è ancora lì, in attività.
Però, qualche cambiamento l’ha avuto anche lui: non guarda più la strada, ma l’interno del marciapiede (per evitare che i ciclisti vengano
schizzati?). Poi, è stato realizzato anche un alloggiamento, con un rettangolo di acciottolato. Una specie di area di rispetto che, però, non ha
evitato che qualcuno ne deturpasse il manto verde, imbrattandolo con sfregi biancastri.
Una pratica,quella dello sfregio,che concorre ad intaccare decoro e dignità della nostra città.Una pratica di più o meno consapevole distruzione.
Allora, in questa nostra Milano dalle due velocità, delle case popolari che arrancano e dei grattacieli che svettano, proprio i Draghi Verdi – una
“squadra” cittadina di grandi proporzioni, costituita da 585 “pezzi” – rappresentano l’elemento comune e di servizio presente per tutti ed in tutta
la città: nei parchi come nelle strade, nel centro storico come nelle periferie.
Quindi, avere rispetto ma anche cura dei nostri Draghi Verdi, magari adottati dalle Scuole, può essere il tramite per allargare uno sguardo
corale a tutti i quartieri della nostra città.
Walter Cherubini
Milano
Via Beato Michele da Carcano
5. Cenni storici
La metropoli milanese è da sempre una città in rapida evoluzione, un luogo fisico concreto e tangibile che proietta nell’immaginario collettivo
un’idea di modernità “digitale” e d’integrazione nelle reti globali che attraversa lo spazio e il tempo. Ciò che emerge è però solo la punta dell’ice-
berg. Esiste anche una Milano diversa e alternativa. Sviluppo e tradizione, memoria storica e globalizzazione culturale non sono sempre andate di
pari passo e le sfide del futuro spesso non hanno tenuto conto delle eredità del passato. Per non disperdere del tutto questo patrimonio, occorre
sforzarsi di guardare Milano con altri occhi, individuando tra le pieghe avvolgenti della modernità dei particolari inediti e degli itinerari insoliti.
“Ti offro da bere al Drago Verde”. No, il Drago Verde non è un locale di tendenza della movida milanese: è semplicemente uno dei nomi con
cui a Milano sono note le fontanelle pubbliche che ci regalano l’acqua potabile. I numerosi (585) Draghi Verdi o Vedovelle presenti nelle piazze
e negli angoli nascosti della città consentono di richiamare alla memoria le vie d’acqua, le chiuse e i navigli che attraversavano Milano. Una
ricchezza sotterranea in grado di rifornire case, lavatoi e fontane considerata vitale dai milanesi. Le Vedovelle, chiamate così perché l’acqua che
scorre in modo continuo può ricordare una vedova che piange la scomparsa del marito, rappresentano una testimonianza visibile di quei tempi e
permettono di ricostruire storie e credenze popolari ormai dimenticate.
Le Vedovelle, presenti a Milano dal 1931, sono conosciute anche con il nome di Draghi Verdi per via del rubinetto in ottone a forma di testa di
drago e del color verde ramarro che ricopre la struttura in ghisa alta circa 1,50 cm (il pilastrino è sormontato da un cappellino a pigna ed è munito
di una bacinella semi-circolare alla base).
La più antica Vedovella milanese, disegnata dall’architetto Luca Beltrami (1854-1933), si trova in Piazza della Scala e, rispetto alle altre, è
impreziosita dalla presenza di una greca decorativa che la circonda ed è totalmente in bronzo e ottone dorato.
La manutenzione delle fontanelle con lo stemma crociato bianco e rosso, fornite dalle Fonderie Lamperti di Castellanza (VA), è garantita da
Metropolitana Milanese SpA che dal 2003 gestisce il Servizio Idrico Integrato della metropoli lombarda. A tale proposito, va ricordato che la
quantità d’acqua erogata dai Draghi Verdi rappresenta solo una minima parte (0,02%) dell’acqua distribuita dall’acquedotto.
Elisabetta Zanarotti
Milano
Via Pagano
6.
7. Lo specchio del Drago
Ciò che vediamo e percepiamo del mondo visibile non costituisce l’unica realtà possibile. Gli studi di fisica quantistica hanno dimostrato che
facciamo tutti parte dello stesso sterminato campo quantico. Se si osserva in modo superficiale la disposizione sul territorio dei “Draghi verdi”
di Milano, essi ci appaiono come entità materiali isolate geograficamente. In verità non è così. La distanza che li separa non esiste, è solo un’il-
lusione. Siamo noi che abbiamo scelto di percepirli in quel modo. Ciò che ci sfugge è che sono parte di una realtà più complessa.
Nessuna “vedovella” è separata dalle altre ma tutte sono alimentate dall’energia universale che vibra a differenti frequenze e conferisce la
forma a tutte le cose. Quando cerchiamo di placare la sete bevendo dal rubinetto in ottone dorato del “Drago verde”, non ci rendiamo conto
che l’acqua è soltanto un mezzo di trasporto. In realtà noi facciamo un “pieno gratuito” di quell’energia naturale che permea ed illumina tutta la
materia dell’universo. La forza vitale che scaturisce dalla fonte ci invita a specchiarci nel bacino acqueo che rimanda, frammentata
e sfuggente, la nostra immagine. Se però ci si sofferma a guardare con gli occhi del cuore il turbinio delle acque, si vedrà affiorare in
superficie lo “specchio del drago” che, solo per un breve attimo infinito, rifletterà la nostra anima autentica e il nostro puro IO consentendoci di
comprendere chi siamo veramente
Maurizio De Filippis
Milano
Via ConcilioVaticano
8. Quattro chiacchiere con Caterina
“Francesco, amore mio, cosa stai facendo? Sei tornato qui, dove ci siamo conosciuti, ma stanotte fa freddo, non senti come è umida l’aria?”
“Caterina, ma perché ti vedo, tu mi hai lasciato da solo, tanti anni or sono ormai, come faccio a vederti?”
“Ti ricordi come ci divertivamo in questo parco, quando eravamo studenti? Tu venivi qui a giocare a pallone con i tuoi compagni di classe, dopo
la scuola, ed io mi tenevo in disparte, vicino alla fontana, per poterti prendere in giro quando venivi a bere o a lavarti via il sudore, ti ricordi?”
“Si mi ricordo, quanto è stata bella la nostra vita, almeno fino a quando quello stupido camionista non ti ha uccisa, investendoti sulle strisce
pedonali. Stupido ubriaco!”
“Eh si, poi tu hai cominciato a bere, a giocare d’azzardo, hai perso il lavoro. Ma vuoi dirmi come fai a vivere per strada, al freddo, in questo
parco che era il nostro paradiso e che adesso è diventato il tuo inferno?”
“Ce la faccio, il nostro drago mi permette di bere, di lavarmi, ma solo di sera, quando non c’è in giro nessuno, poi qualcosa da mangiare la
rimedio sempre, ce la faccio, dai, ma tu mi manchi tanto, tanto! Perché ti vedo? Perché ti sento parlare? I morti non parlano e non si possono
vedere”.
“Si questo è vero, ma c’è un particolare momento della vita nel quale l’amore permette questa cosa e tu, amor mio, mi hai amato tanto. Ora
io sono venuta a prenderti amor mio, perché anch’io ti ho amato e ti amo tanto!”
“Come sei venuta a prendermi?”
“Si, sono venuta a prenderti, non voglio che tu faccia il passaggio da solo, come è capitato a me.”
Lo trovò un operatore ecologico, appoggiato al drago verde di Viale Ibsen, all’interno del Parco Sempione, la mattina dopo.
Rino Morales
Milano
Foro Bonaparte
9.
10.
11. Sinfonia n. 3 in Mi bemolle
All’improvviso il cielo si è fatto cupo e una bava di vento muove appena le foglie della quercia rossa che troneggia nel centro della piazzetta,
vicino alla fontanella. Piccole gocce leggere, come una pioggerellina di primavera, agitano i cuori delle mamme che abbandonano le panchine
verdi e corrono a ripararsi sotto le tende dei bar e dei negozi che incoronano quell’oasi di svago impreziosita dai fumetti colorati sui murales. I
bambini no. Sulle loro biciclette sguazzano nelle pozzanghere, si arrampicano sulle altalene o corrono dietro a un pallone che, sotto la pioggia,
diventa sempre più pesante. È tutto un vociare di nomi e di malanni che cadranno sulle loro teste, ma quelli sono sordi alle ansie materne;
anzi sembrano sempre più fradici di gioia. E vanno avanti tutti insieme seguendo le traiettorie del pallone, come un’armata di legionari sotto la
tempesta.
Un lampo squarcia il cielo e l’aria si fa elettrica. Una manciata di secondi e il fragore di un tuono, troppo vicino, scuote gli alberi, le vetrine dei
negozi e i palazzi intorno alla piazzetta. Dallo spavento, la palla s’infila tra le gambe del portiere, che fugge via prima di tutti. Adesso tutti
scappano e il pallone ruzzola lentamente fino alla fontanella. Qualcuno verrà a riprenderlo, prima o poi. Il baccano dei bambini si va dissolvendo
negli scrosci della pioggia che ora cade più intensa, rimbalza sulle foglie degli alberi e rimbomba nelle pozzanghere delle aiuole e sul
campetto di cemento. Non c’è più nessuno in giro.
La vedovella gorgheggia nella sua elegante solitudine, indifferente agli affanni della città che gli corre intorno. E si gode beata i goccioloni che
scivolano giù dalla pigna e inzuppano la testa d’ottone del drago che continua a buttare acqua nel suo catino di ghisa.E in quel rumoreggiare eterno
si alza una sinfonia potente e romantica. rotonda dei timpani, frangendosi in mille goccioline che ricordano la leggerezza vaporosa di uno xilofono.
Il vento scompiglia la cascata festante della vedovella, come un quartetto d’archi che introduce il movimento allegro di un’opera lirica. E quando le
nuvole basse e gonfie rovesciano sulla piazzetta tutta la pioggia che hanno in corpo, tra i tasti bianchi e i tasti neri dalla fontanella sale una melodia
imponente che copre l’intera città. Ma nessuno riesce più a sentirla.
Giovanni Francavilla
Milano
Via Ardissone
12. Piscio di Drago
L’hanno messa a primavera, sul lato della piazza dove giocavamo a calcio, proprio in mezzo a una delle porte.All’inizio la odiavamo.Verde che
non c’entrava niente, col suo stemma fiero in mezzo al petto. Poi però col tempo ci siamo abituati che fosse lì, è diventata una di casa, come
il muretto, i cespugli con le bacche rosse e lo scivolo a forma di razzo spaziale. Mi ricordo il giorno in cui guardandola bene ci abbiamo visto
il drago. Aveva una faccia feroce e la cresta di scaglie. Una sorta di becco ma non sputava fuoco. Ci gocciolava fuori l’acqua così piano che a
riempirti la bocca ci mettevi cinque minuti. “State attenti che è piscio di Drago”, dicevano quelli più grandi per prenderci in giro.
Passavamo i pomeriggi a giocare col drago verde, noi della piazzetta quando faceva caldo. Dovevi riempirti la bocca di acqua e correre finché
potevi, fino a quando non ce la facevi più e la spruzzavi tutta che ti passava anche dal naso e ti sembrava di affogare. Poi si vedeva chi aveva
fatto più strada e si formavano le coppie. Il più bravo si prendeva il più scarso sulle spalle, lui si riempiva di nuovo la bocca e quello bravo
correva e correva. Se arrivavi in fondo al muretto ce l’avevi fatta, ma capitava che ti beccassi lo spruzzo degli altri addosso e che ti mettessi a
ridere così tanto da aver paura di morire dal male alla pancia, dall’acqua di traverso e dal dubbio che quello fosse veramente “piscio di Drago”.
Giovanna Castellina
Milano
Piazza Resistenza
13.
14.
15. Gli ingranaggi di Giuanìn
Giovanni Arrighi ha una fabbrichetta di ingranaggi nel Pavese, ma vive a Milano, in Piazza Lega Lombarda. Va tutti i giorni a bere al Drago
Verde davanti all’Arena perché dice che quell’acqua è curativa, miracolosa. Lo incontro lì, sulla panchina davanti alla fontanella, dopo aver preso
appuntamento fingendomi un possibile cliente. “Così Lei è interessato ai miei ingranaggi…”
“Veramente io sono un giornalista che sta facendo un’indagine sulla piccola industria”.
Lui (deluso e anche un po’ incazzato):“Vabbè, ma Lei mi citerà nell’articolo?” Io:“Certamente. La metterò anche in un libro che sto scrivendo,
intitolato Come buttare i soldi nel cesso e vivere felici”. Lui (freddino):“Scusi, Lei vorrebbe dire che io…” Io:“Senta, sono anni che batto in auto
le strade statali della Lombardia e incontro i suoi cartelloni stradali con su disegnati due ruote dentate, il suo cognome e la parola ingranaggi. Si
può sapere che cazzo d’ingranaggi sono, a cosa cazzo servono, dove ha sede Lei e che numero di telefono ha?” Lui:“Ah, se è per questo, glielo
dico subito”. Io: “Così Lei crede che i suoi ingranaggi siano come il tonno in scatola o i biscotti. Perché non fa un po’ di pubblicità anche sui
giornali?” Lui:“Lei vuol dire che non serve a niente? Ma se tutti mi dicono che…” Io:“Tutti chi? I suoi amici al Bar dello Sport? Ma Lei lo sa cos’è
il costo contatto? Quanti crede che siano quelli che vedono i suoi cartelloni che ci sono sulla Milano-Pavia? Vedono, non guardano, se Lei sa la
differenza tra vedere e guardare. Mille, diecimila? E quanti, vedendo i cartelloni mentre passano in macchina, si danno una manata sulla fronte
e si ricordano che devono comprare un po’ di ingranaggi, se no stasera cosa mangiano per cena o domattina come si lavano i denti?” Lui:“Beh,
è vero, quelli della zona, quando hanno bisogno di ingranaggi, sanno dove trovarmi. Ma gli altri, effettivamente, se non lo sanno, come fanno?”
Ma stasera, al night “Paradise Now” di Vigevano, un conoscente, dopo tre whisky e con un travestito fra le mani, gli dirà: “Giuanìn, te ga el
cartelùn sulla Statale. Bràu, Giuanìn!”
E bravo, Giuanìn! Ingrana, ingrana...
Ermanno Accardi
Milano
Piazzale Lavater
16. Pesci, bimbi e draghi
Gli ultimi raggi di sole si disperdevano tra l’intreccio delicato delle betulle.Alzai lo sguardo verso il cielo e fui colto da una leggera brezza, un refolo
aspro che evocava sentori di primavera e di giovinezza. Se c’era bel tempo, dopo il lavoro, mi fermavo spesso in quel parchetto sotto casa. Era un
modo per rifiatare, riappropriarmi dei miei pensieri, magari illanguidirmi, perdendomi in qualche ricordo lontano. Dieci minuti di pace: una sigaretta
fumata in grazia di Dio, la cravatta finalmente allentata, come la tensione di una giornata lavorativa, caotica e improduttiva.
Ricordo che quella sera d’aprile, dopo un pomeriggio passato in riunione, ero divorato dalla stessa sete che spesso accompagna l’inquietudine
notturna. Non riuscivo a rilassarmi e avevo bisogno di bere. Mi tornò in mente la fontanella posta all’inizio del parco; così mi alzai dalla panchina
dove sedevo di solito, e tornai sui miei passi, con l’intento di dissetarmi. Fu allora che lo vidi, proprio a fianco del drago verde, anche se faticai a
riconoscerlo: ne era passato di tempo dai giorni del liceo, e quel tempo, notai tristemente, con lui non era stato benevolo.
“Marco! Marco Cosmi, sezione C! Quanti anni! Come stai?”
Alzò il volto verso di me, con un’espressione stropicciata come l’impermeabile che indossava. Gli occhi acquosi e vuoti, il volto non rasato, quasi
itterico. Mi sorrise a malapena, dando per inteso d’avermi riconosciuto.“Ciao Luca”, sospirò.Teneva sotto l’ascella una boccia che conteneva due
pesci rossi. Poco discosti da lui, un bambino e un cane guardavano in silenzio, sconsolati.
“Aiutami”, mi disse, porgendomi un sacchetto di plastica, che, seguendo le sue indicazioni, tenni aperto, mentre vi svuotava dentro il contenuto
della boccia.
“Come stai?” gli domandai nuovamente. “Una merda, grazie. Ho perso il lavoro e mia moglie mi ha lasciato. Tra l’altro, non ricordo più in che
ordine.”
Mi sentii morire.
“Mi spiace”, risposi imbarazzato. Cercai di svicolare dall’argomento:“Che fai da queste parti?”
“Cambio l’acqua ai pesci rossi, non vedi?” Lo guardai attonito, come il bue guarda il treno passare.
“Il giudice”, mi spiegò,“ha stabilito che quando tengo mio figlio, devo curare anche il cane e i pesci. Una piccola vendetta di mia moglie.”
Guardai di nuovo il bambino che teneva al guinzaglio il pastore tedesco. Entrambi apparivano più lugubri di un funerale a bara aperta.
“Scusa, ma non puoi farlo a casa?”
Gli tremò la voce di pianto, quando sussurrò:“Non ho più una casa, vivo in macchina.”
Dopo di che, prese con delicatezza i pesci dal sacchetto di plastica e li rimise nella boccia, riempita con acqua pulita.
“E il tuo avvocato?”, gli domandai.
Non rispose. Si limitò a guardarmi in tralice, e si allontanò senza nemmeno salutarmi, la boccia del pesce sotto l’ascella, il bambino e il cane poco
dietro di lui.
Frastornato, bevvi rapidamente un sorso d’acqua, e mi dileguai, come un ladro nella notte.
A casa, mi attendeva la cena.
Nicola Chinellato
Milano
PiazzaTreTorri
17.
18.
19. La regina de l’acqua de Milan
L’è la pusèe bela e la pusèe vegia de Milan
E la po fa quel che la vör
Tutt i dì e tutt i nott
La sta lì a pisà danans al purtun del sindic
Ma cul timur de vultà rispetusa i spall al Leunard e a la Scala
I sciuruni e i donn perben
Pasen, guarden e tiren driss.
E quei pusèe smurfius gnanca un’ugiada
I vegett inveci se fermen e sbasen el cò cun una riverensa
Danans a tanta nobil maestusità.
Meten la buca a l’acqua fresca
Cume bagajtt stremì de tentà inscì tant
Anca i sciurett vann avanti e indrè
E sensa dà tropp in de l’occ
Cascien la man sota l’acqua
De la padrona per rinfrescas el coll e i tett.
Lè l’è la regina de l’acqua de Milan.
Gh’è minga discussiun, cun quel fiur pedigree che la se porta drè
Minga quei sciacquett di sò surei tutt vert
Che pasculen in di parc e se fan bei in di viai
Lè l’è ‘na dama seria, discreta, desiderabil
Tirada a luster tutt i matin
Da l’aministrasiun cumunal
Per regalà a le sciure de tutt i cuntinent
Bianc, negher e giald
El piasè de pugià i so laber in su la frunt del bisun de utun
E sganascià cume tanti verginei apena vegnì fora de la messa.
E i narigiatt salten su i banchett de travertin
Tra i piant e i giardinett in fiur
Scapen tra i gamb de i ghisa
Che munten la guardia danans al Palass Marin
In da la sua bela livrea tuta nera
E cun el canun de la stua in su la crapa
Quei malnat adess se fermen pù
E fan girà el cò a tuta la piassa
El Piermarin, el Beltram e il Mengun
Fan el girotund in gir in gir a quel monument de bruns e de acqua
Piantà lì, in mess al cour de Milan
Ma quand i fiulet se fermen, se ferma tutt.
E quei curen svelt da la sua veduvela
Semper generusa, che cun i sò lacrim la ghe fa pasà la set
Cume se fudesen i so fioeui.
Giovanni Francavilla
(Traduzione di Gian LucaTavecchia)
Milano
Piazza della Scala
20. La cüa de l’asin
Uì! Tì! Bef no quel’acqua lì!
La te fa sta mal! ‘Na stria l’ha maledida!
Per i can l’è miraculusa ma per i omen l’è disastrosa!
El me siu Gingin el me vusava semper a drè quand vurevi bef l’acqua del bisun vert!
E mi…me stremivi e la bevevi no!
Adess però che g’avevi quasi sesant’ann vurevi fa de crapa mia e ghe lo dada da bef al me can,
un bastardun vecc e malandà che el buiava gnanca pù…
Miracolo a Milano!
Dopu tri dì l’era diventà un giuinott: el cureva, el saltava, el faseva el malnat.
L’era propri un alter can!
Alura l’ho sagiada anca mi!
Avevi mangià tri piatt de buseca e me brusava el stomic. L’è andada giò bela fresca, cume un surbett,
e alura me sun dì: el me siu Gingin l’era propri un casciaball!
De nott me svegli de culp! Me senti un tarluc! Me grata in funt al cu! Me guardi al specc!
Me sbioti! Me giri e salti per aria! M’era spuntà una cüa, cume quela d’un asnin!
Adess capivi perché la mia mama la diseva semper che el me siu Gingin l’era un asnun!
Gian LucaTavecchia
Milano
Largo Callas
23. La danza della fontanella
Dal finestrino della macchina le vedevo ad ogni angolo di quartiere, apparentemente uguali a tante altre, anche se la differenza la facevano, come
sempre, le persone che se ne stavano tutte lì, in fila indiana, senza mostrare alcun segno di stanchezza o di rabbia; tutte davanti a quella fontana
verde che torreggiava al centro di quel piccolo spiazzo, a quel drago che sapevano sputare acqua solo a quell’ora, solo in quel giorno. Ma come
in guerra, erano solo gruppi di donne e bambini, che tra una chiacchiera e un gioco innocente, ognuno con un mastello o un bidone, aspettavano
serenamente il proprio turno, quasi fosse un rituale sociale. I miei occhi di bambino del nord non capivano appieno, mi sembrava fosse solo una
strana abitudine, quella che invece era una necessità per loro: ma capii di colpo il motivo del profondo rispetto per l’acqua che mio padre aveva
serenamente inculcato a me e ai miei fratelli, rispetto da parte di chi sapeva che quell’acqua non era un bene sempre disponibile, bensì un diritto
fondamentale ma solo a giorni alterni, manco fosse superfluo averne sempre. E mi spiegai solo più tardi anche il perché di quella specie di rito, ogni
volta che, terminato il nostro infinito viaggio, mettevamo piede nella sua città; lui si fermava davanti ad uno di quei draghi verdi e lasciava danzare
l’acqua sul suo viso prima di bere avidamente, come quando era bambino. Ed ora, quello, è un rito fatto mio.
Raffaele Maddalena
Milano
Piazza San Pietro in Gessate
24. La vedovella della Guastalla
Questa storia non è ancora accaduta. Mentre il sole sorgeva alla sue spalle Stella si stiracchiava sprizzando acqua un po’ ovunque. Era una ve-
dovella in ghisa dei Giardini della Guastalla, con oltre cento anni di vita, qualche macchia di ruggine ma un becco ancora brillante e integro.“Buon
giorno Stella”, disse il suo amico fulvo mentre allungava la lingua rasposa sotto il suo mento a caccia di acqua fresca.“Giorno Rufus”, rispose Stella
soddisfatta di dare da bere a quell setter dal pelo lungo che le stave leccando il mento.“Giro lungo oggi?!”Rufus,che con la coda dell’occhio teneva
sotto tiro la sua giovane padroncina, alzò il folto sopracciglio in senso di resa. L’aria era appiccicoso già a quell’ora del mattino. Stella sapeva che
quel giorno di metà Agosto l’acqua sarebbe evaporata ancora prima di gocciolare nella vaschetta. Pochi gli avventori previsti. Ma qualche minuto
dopo Rufus, si palesò un nuovo arrivato che Stella fissò con sospetto e diffidenza mentre si chinava su di lei. Lui mise le mani aperte sotto lo zam-
pillio per prendere tutta l’acqua che potessero contenere, la fece ricadere sul suo viso barbuto,poi mise il suo collo sotto il getto quasi prosciugato e
iniziò a slacciare le stringhe di un paio di improbabili scarpe fuori stagione, fuori moda, fuori dal mondo. Il piede destro entro nella vaschetta mentre
una saponetta lo strofinava tra unghie e caviglia. Poi fu la volta del piede sinistro.A quel punto Stella non ce la fece più.“Buon giorno amico, come
va?” Lui non fece in tempo a capire cosa gli stava accadendo, la testa andò a sbattere violentemente contro il collo di Stella creando un piccolo
buco da cui iniziò a sgorgare un buon vino bianco frizzante.
Domenico Megali
Milano
Piazza Santa Eufemia
25.
26.
27. La metropoli milanese è da sempre una città in rapida evoluzione, un luogo fisico concreto e tangibile che proietta nell’immaginario collettivo
un’idea di modernità “digitale” e d’integrazione nelle reti globali che attraversa lo spazio e il tempo. Ciò che emerge è però solo la punta dell’i-
ceberg. Sviluppo e tradizione, memoria storica e globalizzazione culturale non sono sempre andate di pari passo e le sfide del futuro spesso non
hanno tenuto conto delle eredità del passato. Per non disperdere del tutto questo patrimonio, occorre sforzarsi di guardare Milano con altri occhi,
individuando tra le pieghe avvolgenti della modernità dei particolari inediti e degli itinerari insoliti.
“Il Drago Verde racconta”consiste in una serie di micro-racconti ambientati a Milano e dedicati alle storiche fontanelle che erogano l’acqua
potabile pubblica. Le numerose Vedovelle presenti nelle piazze e negli angoli nascosti della città consentono di richiamare alla memoria le vie d’ac-
qua, le chiuse e i navigli che attraversavano Milano. Quando un milanese vi invita al Drago Verde non potete declinare l’invito. Potreste pentirvene.
“Allora Blu”è il nome del nostro gruppo sparso di“liberi pensatori”che,dopo la pubblicazione dei volumi “La testa nel pallone”,“Tra mezzanotte
e l’alba” e “Nell’omonima via. I racconti del Drago Verde” si è cimentato in una nuova “impresa” intitolata “Il Drago verde racconta” ideata nei
locali de “L’OraBlu Bar” di Bollate (MI) dove ha sede l’associazione culturale.
Si ringraziano per la collaborazione, l’Associazione ChiAmaMilano www.chiamamilano.it, Consulta Periferie MIlano www.periferiemilano.com che
hanno reso possibile la realizzazione di questo progetto. Un grazie di cuore va rivolto all’Art director Giuseppe Abrescia.
Il “DragoVerde” racconta
Milano
PonteVetero
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