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LE BIOTECNOLOGIE
IN CAMPO MEDICO
• Martina Oro, Gaia De Santis, Lisa Giansante, Francesca Caruso 5°D 03/2020
Farmaci biotecnologici
Un po’ di storia
 Nel 1919, l’ingegnere agronomo Karl Ereky predisse
un’era in cui la biologia sarebbe stata utilizzata per
trasformare le materie prime in prodotti utili
(farmaci) e coniò il termine biotecnologie per
descrivere la fusione tra la biologia e la tecnologia.
 La rivoluzione biotech in medicina è iniziata negli
anni ottanta.
 Nel 1982, tramite l’introduzione del gene codificante
l’insulina in Escherichia coli, si cominciarono a
produrre i primi farmaci biotecnologici, che hanno
rivoluzionato la cura di milioni di diabetici.
 I farmaci biotecnologici, oltre a rappresentare il
futuro delle terapie, rappresentano ad oggi il 20% di
quelli in commercio e il 50% di quelli in sviluppo,
costituendo in molti casi l’unica possibilità di cura per
patologie rilevanti e diffuse.
Cos’è un farmaco?
Prima di entrare nel vivo dell’argomento bisogna comprendere cos’è
un farmaco.
Un farmaco (o medicinale) è, una sostanza o un’associazione di
sostanze impiegata per curare o prevenire le malattie.
E’ composto da un elemento, il principio attivo, da cui dipende l’azione
curativa vera e propria, e da uno o più “materiali” privi di ogni
capacità terapeutica chiamati eccipienti che possono avere la funzione
di proteggere il principio attivo da altre sostanze chimiche, facilitarne
l’assorbimento da parte dell’organismo, oppure mascherare eventuali
odori o sapori sgradevoli del farmaco stesso.
Farmaci tradizionali e farmaci
biotecnologici
Un farmaco è biotecnologico quando contiene un principio attivo
costituito/derivato da un organismo vivente o da sue parti. Appartengono alla
categoria dei farmaci biologici ormoni, enzimi, emoderivati, sieri e vaccini,
immunoglobuline, allergeni, anticorpi monoclonali. Tra i medicinali biologici sono
definiti biotecnologici quei farmaci i cui principi attivi sono prodotti tramite le
tecnologie del DNA ricombinante, l’espressione controllata di geni codificanti
per proteine biologicamente attive nei procarioti e negli eucarioti, le tecniche
utilizzate nella produzione di ibridomi e di anticorpi monoclonali.
I farmaci tradizionali (non biotecnologici) sono ottenuti da molecole
chimiche “standard” e cioè da materiale non vivente tramite reazioni
chimiche standardizzate e riproducibili in modo preciso grazie alle
metodiche attuali.
Differenze fra farmaci tradizionali e farmaci
biotecnologici
La biofarmaceutica è oggi il principale settore di sviluppo di farmaci innovativi. I prodotti
biofarmaceutici sono “farmaci intrinsecamente biologici in natura e realizzati usando la
biotecnologia”. Tale definizione distingue i farmaci biotecnologici dai cosiddetti “farmaci a
piccola molecola” sintetizzati chimicamente ed esclude i prodotti realizzati senza l’uso di
metodi tecnologici.
I principi attivi dei medicinali biologici differiscono da quelli dei prodotti di sintesi
chimica per molti aspetti:
• essi consistono infatti di molecole di maggiori dimensioni,
presentano elevata complessità strutturale;
• una diversa stabilità del prodotto finale e profilo delle impurezze;
• diversamente dai prodotti di sintesi chimica, inoltre, i processi di produzione dei farmaci
biologici sono spesso caratterizzati dall’uso di sistemi viventi con la possibilità di
variazioni strutturali rilevanti nel prodotto finale che possono dar luogo a differenze
importanti a livello immunogenico;
• la caratterizzazione dei farmaci biologici, è particolarmente difficile e non può
prescindere dal processo di produzione.
Farmaci di sintesi chimica Farmaci biotecnologici
Sono realizzati mescolando composti chimici
Molto più complessi, mimano le sostanze prodotte dal corpo umano
come enzimi, insulina e anticorpi
Nella maggior parte dei casi si tratta di molecole relativamente
semplici e piccole, che possono essere veicolate sotto forma, ad
esempio, di compresse
Sono prodotti da cellule vive in coltura all’interno di bioreattori. Una
volta purificati, sono quasi sempre somministrati tramite iniezione o
per via endovenosa
È possibile fare una copia identica del loro principio attivo
Il materiale di partenza e il complesso processo produttivo
comportano una maggiore difficoltà nella riproduzione esatta di una
molecola biologica
I farmaci biologici hanno una struttura molecolare
molto più grande e complessa dei farmaci chimici
Principali medicinali biotecnologici
I principali
medicinali
biotech oggi
usati sono:
Proteine ricombinanti;
Somatotropina;
Eritropoietina;
Citochine;
Interleukina-2;
Interferoni;
Fattori di coagulazione;
Anticorpi monoclinali;
Coniugati ad un farmaco;
Vaccini ricombinanti.
Farmaci di origine biotecnologica utilizzati
in terapia
Le proteine ricombinanti, sono proteine ottenute da
trascrizione e traduzione di un frammento di DNA, codificante
la proteina di interesse, clonato in vettori di espressione
(elementi di DNA circolare) e inseriti (trasformazione o
transfezione) all’interno di un organismo ospite.
I principali ospiti sono: E. coli (un batterio presente anche nel
tratto intestinale dell’uomo), Saccharomyces cerevisiae (un
lievito simile a quelli usati per fare il pane) o ancora cellule di
Drosophila (moscerino della frutta) e di Chinese hamster
ovary (cellule di criceto cinese).
L’esempio più rappresentativo di questo tipo di farmaci è
l’insulina. Una volta veniva estratta dal pancreas dei maiali con
costi molto elevati, oggi, invece, l’insulina che viene usata è
quella umana.
Produrre una proteina di un mammifero in un organismo
batterico non può, però, essere sempre fattibile. Può funzionare
con una piccola proteina come l’insulina, ma molte altre proteine
umane necessitano, per essere attive, di alcune modifiche dette
post-traduzionali, che un batterio non è in grado di mimare. Per
questo motivo, molto spesso, vengono utilizzate cellule molto
più complesse, come cellule di mammifero, perché essendo
intimamente simili alle cellule umane possono produrre proteine
di elevata complessità.
L’inconveniente delle cellule di mammifero, rispetto ad un
batterio, è la minore produzione di proteina e la maggiore
complessità nelle tecniche di coltivazione e di purificazione.
La somatotropina, nota anche come ormone della crescita, è un ormone
peptidico dell’adenoipofisi. La sua funzione principale è di stimolare lo
sviluppo dell’organismo umano promuovendo l’accrescimento e la
divisione mitotica delle cellule di quasi tutti i tessuti.
È impiegato clinicamente per il trattamento della patologie caratterizzate
da deficit di ormone della crescita nei bambini e negli adulti. Più
precisamente, nei bambini è utilizzato nel nanismo ipofisario. Negli adulti,
invece, è impiegato nella terapia sostitutiva in pazienti con deficit di
ormone della crescita congenito o secondario a patologie ipotalamiche o
ipofisarie.
L’eritropoietina è probabilmente il fattore di crescita più conosciuto, essa è un ormone glicoproteico
prodotto negli esseri umani dai reni, che ha come funzione principale la regolazione dell’eritropoiesi
(produzione di glubuli rossi). E’ prevalentemente utilizzata nei casi di anemia con insufficienza renale
cronica e con anemia causata dalla chemioterapia in certi malati di cancro.
Le citochine, sono molecole che attivano il sistema immunitario, regolano la differenziazione delle cellule
immunitarie, sono importanti messaggeri coinvolti nella riparazione tissutale e influenzano la risposta
infiammatoria.
L’interleukina-2, prodotta in E. coli, è un farmaco utilizzato contro il cancro renale e il melanoma. Non è
ancora chiaro quale sia il meccanismo di azione dell’IL-2; tuttavia è certo che stimola i globuli bianchi a
riconoscere e a combattere alcuni tipi di cellule neoplastiche.
Gli interferoni sono una potente classe di citochine che agiscono contro i virus e contro la proliferazione
incontrollata delle cellule. Ne esistono di 3 tipi: alfa, beta e gamma.
L’interferone alfa ricombinante è utilizzato in pazienti con epatite da virus B,C cronica, leucemia mieloide
cronica e linfoma follicolare. L’interferone beta, invece, è utilizzato in pazienti affetti da sclerosi multipla.
I fattori di coagulazione, sono prodotti prevalentemente per la cura dell’emofilia. L’emofilia è una
malattia di origine genetica, dovuta ad un difetto della coagulazione del sangue. La patologia, nella sua
forma congenita, colpisce quasi totalmente individui maschi e normalmente viene trasmessa dalla madre
al figlio maschio. Questa patologia si caratterizza per l’assenza nel sangue di una proteina prodotta dal
fegato. Nell’emofilia A, è presente una forte carenza del fattore VIII della coagulazione. Nell’emofilia B,
invece, manca invece il fattore IX della coagulazione. Questi deficit possono causare emorragie di gravità
variabile, a seconda della carenza di attività del fattore coagulante. Il trattamento per l’emofilia consiste
nella somministrazione del fattore mancante (fattore VIII nell’emofilia A, fattore IX nella B). Negli anni 90,
sono stati resi disponibili i fattori VIII e IX della coagulazione ottenuti per mezzo dell’ingegneria genetica
(ricombinanti), che costituiscono ad oggi la migliore possibilità terapeutica per il trattamento dell’emofilia.
Gli anticorpi monoclonali (mAb): sono delle immunoglobuline, o meglio, delle proteine prodotte dai
linfociti B in seguito ad uno stimolo antigenico, cioè in seguito al riconoscimento di un elemento
estraneo all’organismo. Nella terapia antitumorale, il compito principale degli mAb è quello di coadiuvare
l’azione chemioterapica. Attraverso diversi meccanismi, sono in grado di rallentare la crescita tumorale e
colpire in modo vario le cellule malate.
In terapia, sono al momento presenti due tipologie di mAb.
Anticorpi monoclonali cosiddetti “nudi”, ovvero, senza altre molecole
collegate. Possono agire legandosi a specifici antigeni dalle cellule
tumorali ed attivare il sistema immunitario, richiamando cellule killer
contro il tumore. Oppure, possono legarsi a specifici recettori delle
cellule malate e bloccarne così alcune attività impedendo la
trasmissione di alcuni segnali di crescita.
I coniugati ad un farmaco, possono direzionare e liberare il farmaco selettivamente nella cellula
cancerosa. Gli anticorpi monoclonali vengono utilizzati anche nei trattamenti di patologie autoimmuni. I
migliori risultati clinici sono stati ottenuti individuando come bersaglio il fattore di necrosi tumorale o TNF.
Questa è una citochina che possiede un ampio spettro di attività biologica, tra le quali la regolazione di
alcune importanti mediatori dell’infiammazione, in particolare, nelle patologie come l’artrite reumatoide e
il morbo di Crohn. Infliximab, ad esempio, è un anticorpo chimerico con elevata affinità di legame nei
confronti della forma solubile e transmembrana del recettore per il TNFalfa. Nel trattamento dell’ artrite
reumatoide, Infliximab permette la riduzione dell’infiltrazione delle cellule infiammatorie nelle
articolazioni. Allo stesso modo nei pazienti con morbo di Crohn trattati con Infliximab è possibile osservare
diminuzione della concentrazione sierica di marcatori dell’infiammazione e una riduzione dell’infiltrazione
di cellule dell’infiammazione nelle aree dell’intestino coinvolte.
I vaccini ricombinanti, da poco in Italia si propone il vaccino anti HPV (virus del papilloma umano). Il
vaccino viene somministrato prima dell’esposizione al virus, prevenendo le lesioni genitali precancerose
(del collo dell’utero, della vulva e della vagina), riducendo così la possibilità di sviluppo di una neoplasia
maligna. Il vaccino anti HPV è composto dalle cosiddette proteine L1, cioè particelle simil-virali, associate a
sostanze adiuvanti, purificate e prodotte con le tecniche del DNA ricombinante. Non utilizzando il genoma
(DNA) del virus, infatti, non vi è alcuna possibilità che il vaccino provochi l’infezione da HPV. Dopo la
somministrazione del vaccino, il sistema immunitario del soggetto inizia a produrre anticorpi contro queste
proteine e quindi nel caso di un eventuale attacco da Papilloma virus, l’organismo riconosce
immediatamente le cellule patogene impedendo al virus di arrecare danno. Il numero di vaccini sul
mercato è ancora ridotto, a causa di difficoltà di carattere tecnico (l’antigene da produrre per via
ricombinante deve essere esattamente identico a quello presente nel virus reale senza risultare patogeno).
Il processo di sviluppo di un farmaco biologico
è altamente elaborato e sofisticato
La produzione di un farmaco biologico richiede una serie di fasi di processo biologiche e biochimiche, seguite da
riempimento e confezionamento del prodotto sterile. Mentre queste ultime due fasi sono simili a quelle
necessarie per la produzione di un farmaco iniettabile sterile, le fasi di sintesi biologica e purificazione di un
farmaco biologico sono alquanto differenti.
La qualità di un farmaco biologico è fortemente influenzata dalle condizioni produttive, tuttavia anche le fasi di
riempimento e confezionamento di un farmaco biologico pongono maggiori rischi a causa della sua maggiore
sensibilità alla temperatura, all’attrito e alla luce. La produzione di piccole molecole da materie prime ben definite
e la loro purificazione da una serie di sotto-prodotti di reazione sono ben definite dai principi primari della chimica
e della fisica.
Tuttavia, la sintesi e la purificazione dei biologici sono contraddistinte dall’uso di materie prime complesse e da
diversi passaggi di processo biologici e biochimici che non possono essere completamente caratterizzati dai
principi primari della chimica e della fisica. Pertanto, non è facile capire come le condizioni di produzione possano
influire sulla qualità del biologico.
La qualità delle materie prime, la temperatura o il pH possono modificare in modo imprevedibile la qualità o la
potenza del prodotto. Ne consegue che ogni passaggio produttivo debba essere sottoposto a controlli analitici
per valutare la presenza di eventuali proteine contaminanti causa di immunogenicità e garantire l’eventuale
rimozione.
Un’ulteriore differenza tra i biologici e le piccole molecole è la diversa capacità dei test di controllo qualità di
determinarne identità, qualità e purezza. Per i principi attivi sintetizzati chimicamente, tali attributi possono essere
controllati con un numero limitato di test analitici. Viceversa, a causa della complessità strutturale dei biologici,
molti dei loro attributi non possono essere verificati con i test di routine, che non sono in grado di rilevare varianti
atipiche o impurità che possono comparire inaspettatamente.
La qualità del prodotto non può essere confermata da test di routine, ma deve essere invece dedotta dalla
totalità dei dati di produzione.
I processi produttivi dei biologici comprendono tipicamente diverse fasi critiche:
 Espansione cellulare da un’unica banca cellulare di produzione;
 Produzione biologica utilizzando cellule vive;
 Recupero del prodotto e purificazione per la produzione del principio attivo (sostanza
medicinale);
 Il prodotto finale è formulato e immesso nel contenitore primario in un impianto per iniettabili
sterili.
Chiarimenti sulla produzione
Date queste premesse ne consegue che la
produzione di farmaci biologici necessita di
un processo solido, di una progettazione della
struttura, di una rigorosa conformità alle
normative e di una forza lavoro altamente
qualificata. A causa delle complesse
caratteristiche dei biologici e della loro
sensibilità alle condizioni di produzione e
gestione, la produzione di questi farmaci
richiede anche un’organizzazione produttiva
di alta affidabilità. Tale organizzazione deve
monitorare lo stato di controllo del processo
produttivo. Il personale tecnico deve essere
costituito da esperti altamente impegnati con
una cultura di gestione che promuova l’analisi
approfondita dei risultati inaspettati, l’attenta
valutazione dei rischi e l’attuazione
tempestiva ed efficace di misure di
limitazione.
http://www.infomedics.it
ANTICORPI
MONOCLONALI
Le biotecnologie moderne hanno avuto un notevole
sviluppo nell’ultimo trentennio e uno dei maggiori campi di
intervento è stato nel settore medico e nello sviluppo dei
farmaci. Tra questi, si può considerare una pietra miliare la
descrizione,da parte di Köhler e Milstein (1975) del metodo
per l’ottenimento di anticorpi monoclonali.
PRODUZIONE DI ANTICORPI
MONOCLONALI TRAMITE IBRIDOMA.
 Cosa sono gli anticorpi?
Gli anticorpi (o immunoglobuline) sono glicoproteine prodotte dai linfociti B del sistema immunitario
umorale. Tali proteine sono in grado di riconoscere e legarsi in maniera specifica ad altri tipi di
proteine definite “antigeni". La funzione degli anticorpi è quella di riconoscere e neutralizzare gli
agenti estranei e/o patogeni, come, ad esempio, virus, batteri o tossine. Ciò è possibile grazie alla
particolare struttura di queste molecole.
Gli anticorpi, infatti, sono proteine globulari dotate di una particolare conformazione a "Y”.
All'interno di questa struttura proteica vi sono una regione cosiddetta costante e delle regioni
variabili, corrispondenti alle braccia della "Y". È proprio a livello delle regioni variabili che si trovano
i siti di legame specifici per l'antigene. Ogni linfocita B è in grado di produrre milioni di anticorpi, a
loro volta in grado di riconoscere diversi tipi di antigeni (anticorpi policlonali). Una volta che
l'anticorpo si lega all'antigene per cui è specifico, l'anticorpo stesso si attiva e dà origine alla
risposta immunitaria che porterà all'eliminazione dell'agente estraneo.
 Cosa sono gli anticorpi monoclonali?
Gli anticorpi monoclonali sono particolari tipi di anticorpi, più correttamente, gli anticorpi monoclonali
possono essere definiti come proteine omogenee ibride, ottenute da un singolo clone di linfocita:le
cellule figlie derivate da uno specifico linfocita B per divisione cellulare costituiscono dei cloni e
producono lo stesso anticorpo, detto appunto anticorpo monoclonale.
 Come ottenere un anticorpo specifico per un
certo antigene?
Si inietta i un topo l’antigene purificato, Tale procedura è simile
alla vaccinazione:il sistema immunitario del topo è
stimolato a produrre diversi cloni di linfociti B,ciascuno
secernente un diverso anticorpo .Per selezionare uno
specifico clone, si isolano i linfociti B dalla milza del topo,
che vengono posti in coltura assieme a specifiche cellule
tumorali( di mieloma):in condizioni opportune, le
plasmacellule (linfociti) del topo si fondono con le cellule
tumorali per generare un tipo di cellule ibride detto
ibridoma. Queste vengono poi selezionate sfruttando 2
caratteristiche:
• le cellule tumorali muoiono se poste in terreni di coltura
selettivi;
• le plasmacellule derivate dalla milza sopravvivono solo per
poche generazioni al di fuori dell’organismo.
Quindi,in presenza del terreno di coltura selettivo, solo le cellule
ibride sopravvivono: esse infatti hanno acquisito la capacità
di moltiplicarsi indefinitamente tipica delle cellule tumorali
e allo stesso tempo possiedono un metabolismo normale
grazie alle plasmacellule.
A questo punto le cellule dell’ibridoma vengono diluite in
speciali camere di coltura, in modo che rimanga una sola
cellula per camera . Queste dividendosi producono dei
cloni, ciascuno dei quali secerne un diverso anticorpo
monoclonale.
Dal clone di cellule che producono lo specifico anticorpo è poi
possibile clonare il gene corrispondente per inserirlo in
altri organismi per la produzione su larga scala( es. le piante
di tabacco)
 Quale è il loro meccanismo d'azione?
Gli anticorpi monoclonali agiscono con il medesimo meccanismo d'azione appena descritto per
gli anticorpi policlonali. Gli anticorpi monoclonali, infatti, possiedono un'affinità altamente
specifica per un determinato tipo di antigene e si legano ad esso, consentendo in questo
modo di ottenere una marcata risposta immunitaria nei confronti di quella tossina, proteina,
cellula maligna o agente patogeno.
 Come possiamo classificarli?
Una prima suddivisione:
• Anticorpi monoclonali nudi (ossia non coniugati ad altre molecole);
• Anticorpi monoclonali coniugati a farmaci o a isotopi radioattivi.
Con la coniugazione di uno o più farmaci
agli anticorpi monoclonali è possibile
direzionare con estrema precisione
quello stesso principio attivo verso il
target di interesse, evitando di
coinvolgere altri distretti dell’organismo;
in questo modo si possono ridurre gli
effetti indesiderati e aumentare le
probabilità di efficacia terapeutica.
La coniugazione di isotopi radioattivi
agli anticorpi monoclonali, invece, è
una tecnica che viene sfruttata
sopratutto nella terapia antitumorale ,
più precisamente si parla di
radioimmunoterapia.
ANTICORPI MONOCLONALI PER LA
RICERCA, LA TERAPIA E LA DIAGNOSTICA.
 Anticorpi monoclonali impiegati in ambito
diagnostico:
Gli anticorpi monoclonali sono utilizzati nel campo
della ricerca biomedica. Questa tipologia di
anticorpi monoclonali viene utilizzata per
diagnosticare la presenza di un determinato
antigene e, se necessario, perfino per
misurarne la quantità.
Gli anticorpi monoclonali, pertanto, possono
essere impiegati per individuare agenti batterici
o virali, particolari tipi di proteine o cellule e
marker tumorali. Appare quindi chiaro come
questi possano essere sfruttati in laboratori
clinici per la diagnosi di patologie ma non solo.
Infatti, gli anticorpi monoclonali impiegati in
quest'ambito vengono ampiamente utilizzati
anche nei cosiddetti kit diagnostici d'uso
domestico, quali, ad esempio, i test di
gravidanza e i test dell'ovulazione.
Sempre facendo riferimento alle
applicazioni nella diagnostica
possiamo citare la
immunoscintigrafia, con la quale
è possibile utilizzare anticorpi
marcati con isotopi radioattivi
per evidenziare la presenza di
cellule tumorali nell’organismo:
gli anticorpi si legano alle
proteine di superficie presenti
sulle cellule tumorali e la
radiazione emessa viene
registrata da un’apparecchiatura,
che fornisce una mappatura
dettagliata delle zone in cui è
presente il tumore. Questa
tecnica è in grado di rilevare
tumori quali il tumore al seno o il
linfoma in stadi molto precoci.
 Anticorpi monoclonali impiegati in ambito terapeutico:
Sono diversi i tipi di anticorpi monoclonali ad essere impiegati per fini
terapeutici; possiamo suddividerli in funzione dell'attività da essi
esercitata:
-Anticorpi monoclonali ad azione antinfiammatoria: appartengono a questo
gruppo farmaci quali l‘ “infliximab”. Questi anticorpi monoclonali sono
maggiormente coinvolti nella sintomatologia di patologie infiammatorie su
base autoimmune, come, ad esempio, l'artrite reumatoide e l'artrite
psoriasica.
-Anticorpi monoclonali ad azione immunosoppressiva:
Appartengono a questo gruppo di anticorpi monoclonali i farmaci impiegati
nel trattamento di patologie autoimmuni e nella prevenzione del rigetto
nei trapianti d'organo, fra cui ricordiamo il “rituximab”, il “basiliximab”e
l‘”omalizumab”, impiegato nel trattamento dell'asma allergica.
-Anticorpi monoclonali ad azione antitumorale:
Il target di questi anticorpi monoclonali è costituito perlopiù da fattori
fondamentali per lo sviluppo delle cellule maligne, oppure da proteine che
vengono sovraespresse quando sono presenti determinati tipi di tumori,
come avviene, ad esempio, nel caso dei tumori della mammella. In questo
caso, per il trattamento di questa forma tumorale, si utilizza l'anticorpo
monoclonale “trastuzumab”.
 Immunoprofilassi in
gravidanza(ambito terapeutico):
La somministrazione di anticorpi
monoclonali è impiegata anche per
l’immunoprofilassi contro le
complicazioni durante la
gravidanza per le donne Rh
negative, cioè che non possiedono
il fattore Rh sui loro globuli rossi.
Se il nascituro presenta questo
antigene, ma la madre ne è priva,
si può sviluppare una grave
reazione contro il feto. La
somministrazione di anticorpi
diretti contro il fattore Rh evita che
questo accada, in quanto protegge
la madre dall’antigene del figlio nel
caso che il sangue materno e
quello fetale vengano a contatto
durante il parto.
 Limiti ed Effetti collaterali:
Gli effetti collaterali che possono manifestarsi durante la terapia a base di anticorpi monoclonali
dipendono da molte variabili, quali il tipo di principio attivo scelto, la patologia che s'intende
trattare, la coniugazione o meno dell'anticorpo con altri farmaci o isotopi radioattivi, le
condizioni generali e la sensibilità dei pazienti nei confronti dello stesso farmaco.
Tuttavia, vi sono dei limiti che accomunano tutti i tipi di terapia a base di anticorpi
monoclonali, indifferentemente dal tipo di principio attivo scelto.
Più precisamente, stiamo parlando dell'elevato costo di produzione e dell'immunogenicità di
questi farmaci. In altre parole, può accadere che l'organismo dei pazienti sviluppi egli stesso
degli anticorpi atti a contrastare gli anticorpi monoclonali introdotti con la terapia, poiché li
riconosce come agenti estranei, portando così all'inefficacia del trattamento.
Ad ogni modo, vista l'elevata potenzialità della terapia a base di anticorpi monoclonali, la
ricerca in quest'ambito è tuttora in costante sviluppo, nel tentativo di individuare molecole
sempre più efficaci e con meno effetti collaterali possibili.
LA TERAPIA
GENICA
Cos’è la terapia genica?
Molte malattie sono causate dalla mancanza o dal malfunzionamento di una
proteina: nel primo caso, i problema dipende dall’inattivazione del gene che
codifica per quella proteina, mentre nel secondo caso è dovuto alla presenza
di mutazioni che alterano la sequenza nucleotidica e di conseguenza la catena
polipeptidica.
Lo scopo della terapia genica è correggere i difetti del
genoma che sono alla base delle malattie geniche.
I primi successi e le prime delusioni…
1990  French Anderson e Michael Blaise curarono una bambina malata di Ada-Scid. La
procedura consisteva nel correggere il Dna dei linfociti T della bambina, «ma funzionò
parzialmente» racconta Bordignon, «perché quando le cellule corrette esaurirono il loro ciclo
vitale sparì anche l’effetto terapeutico». Per rendere permanente il beneficio, il ricercatore pensò
quindi di modificare cellule destinate a durare per sempre, di mirare, cioè, la terapia genica sulle
staminali del midollo osseo. «Riuscimmo così a guarire i primi due pazienti dall’Ada-Scid e
pubblicammo il risultato su Science» ricorda Bordignon.
1999  Il giovane Jessie Gelsinger morì nel corso di una sperimentazione all’Università
della Pennsylvania, per una violentissima reazione immunitaria nei confronti del vettore che
avrebbe dovuto curarlo. «La morte di Gelsinger destò scalpore perché la sperimentazione non era
stata condotta in modo corretto» ricorda Bordignon. «Quel rischio infatti era già emerso negli
studi sugli animali, ma era stato ignorato».
2002  A Parigi, alcuni bambini si ammalarono di leucemia in seguito a una terapia genica.
Per alcuni anni le ricerche rimasero ferme visto che nessuna azienda era più disposta ad investire
nel settore, ed i pochi ricercatori che proseguirono si resero conto che era necessario fare un
passo indietro e abbandonare per un po’ i test sui pazienti, per mettere a punto metodi più sicuri.
«Servivano nuove verifiche sulla sicurezza. Inoltre, negli Usa non c’era più nessuno disposto a
finanziarci. Tornai in Italia, e ho potuto proseguire le ricerche grazie ai fondi Telethon », ricorda
Naldini.
2009  Video in cui un bambino cammina sicuro seguendo un percorso tracciato sul
pavimento. Quel bambino però era quasi cieco fino a poche settimane prima ma grazie alla
terapia genica riuscì a sconfiggere l’amaurosi di Leber (una rara malattia genetica che provoca la
degenerazione della retina), essa si era basata sui virus adenoassociati, che non si integrano nel
Dna delle cellule bersaglio. «Sono vettori sicuri, ma non vanno sempre bene» spiega Alberto
Auricchio. «Per esempio, non funzionano su cellule che si dividono, come le staminali, e possono
trasportare solo geni piccoli. Lo studio, pubblicato su Lancet, aveva coinvolto 12 pazienti fra gli 8 e
i 44 anni, dando buoni risultati soprattutto sui più giovani ».
2013 Naldini e altri ricercatori riuscirono a curare tre bambini che nell’arco di breve
tempo avrebbero altrimenti sviluppato la leucodistrofia metacromatica (una rara malattia
genetica neurodegenerativa) e altri tre affetti dalla sindrome di Wiskott-Aldrich, che colpisce le
cellule del sangue. In entrambi i casi, i lentivirus con i geni terapeutici sono stati introdotti nelle
staminali del midollo osseo.
Metodi
I due principali metodi utilizzati per il trasferimento
di geni sono: ex vivo e in vivo:
 Nel trasferimento ex vivo si trasferiscono geni
clonati in cellule dello stesso individuo, per
evitare che esse vengano rigettate dal sistema
immunitario del paziente trattato. Questo
metodo è applicabile ai soli tessuti che possono
essere prelevati dal corpo, modificati
geneticamente e reintrodotti nel paziente, dove
sopravvivono per un lungo periodo di tempo,
come ad esempio le cellule del sistema
ematopoietico e della pelle.
 La terapia in vivo viene attuata in tutti quei casi
in cui le cellule non possono essere messe in
coltura o prelevate e reimpiantate, come quelle
del cervello o del cuore e della maggior parte
degli organi interni. Inoltre, rappresenta un
modello terapeutico di più difficile applicazione,
visto che in questo caso il gene d'interesse
viene inserito nell'organismo, tramite un
opportuno vettore, direttamente per via locale
o sistemica.
I vettori virali
Essi si basano sull’utilizzo di virus opportunamente modificati in modo tale da poter
veicolare il loro genoma all’interno delle cellule bersaglio, senza dare malattia.
Vettori virali
Retrovirus Lentivirus Adenovirus
Virus
adenoassociati
Herpes simplex
virus
 RETROVIRUS, sono stati i primi virus ad essere studiati nella terapia genica, il loro genoma è costituito da un
singolo filamento di RNA. Una volta infettata la cellula, attraverso un processo di trascrizione inversa si forma il
doppio filamento di DNA che si integra nel genoma della cellula ospite esprimendo così le proteine virali.
 LENTIVIRUS, appartengono alla famiglia dei retrovirus di cui condividono la morfologia ed il ciclo replicativo
ma, a differenza dei precedenti, possono infettare anche cellule non replicanti come quelle del cuore o del
sistema nervoso centrale.
 ADENOVIRUS, Una volta all'interno della cellula, non si integra nel genoma ma si replica nel nucleo come un
episoma (può replicarsi autonomamente nel citoplasma o inserirsi nel cromosoma batterico e replicarsi con
esso).
VANTAGGI:
• I transgeni possono essere espressi per tutta la vita dell’ospite;
• Capacità di infettare efficientemente una vasta gamma di tipi cellulari;
• Inducono scarsa risposta immunitaria nell'ospite.
SVANTAGGI:
• Sono difficili da coltivare;
• Infettano solo cellule in attiva divisione;
• Si integrano nel genoma dell’ospite in molteplici siti.
VANTAGGI:
• Infettano sia cellule in divisione che quiescenti;
• I transgeni possono essere espressi per tutta la vita dell’ospite.
SVANTAGGI:
• Sono difficili da coltivare;
• Possono provocare malattia nell'uomo;
• Si integrano nel genoma dell’ospite in molteplici siti.
VANTAGGI:
• Facilmente manipolabili;
• Possono veicolare inserti di grosse dimensioni.
SVANTAGGI:
• Alta risposta immunitaria.
 VIRUS ADENOASSOCIATI, sono piccoli virus non patogeni per l'uomo, hanno un genoma formato da una
molecola di DNA a singolo filamento. Per replicarsi autonomamente necessitano però di un altro virus che in
genere è un adenovirus o un herpesvirus.
• HERPES SIMPLEX VIRUS, è costituito da un doppio filamento di DNA e contiene più di 80 geni, la metà dei
quali non risulta essenziale per la crescita in cellule di coltura. Una volta eliminati tali geni è possibile inserire
un transgene di grosse dimensioni.
VANTAGGI:
• Alta efficienza di trasferimento genico;
• Non sono patogeni per l’uomo;
• Infettano sia cellule in divisione che non.
SVANTAGGI:
• Dimensioni ridotte del transgene . Recentemente la capacità di questi vettori è stata aumentata
utilizzando due vettori, ciascuno codificante metà della proteina di interesse;
Grazie alla loro naturale capacità di stabilire infezioni latenti nei neuroni, vengono utilizzati per il trasporto
di geni nel sistema nervoso centrale.
I vettori non virali
Essi si basano sull’uso di DNA, da solo o complessato a molecole che ne facilitino
l’ingresso nella cellula.
 DNA NUDO, è la procedura più
lineare. Consiste nell'iniettare il gene
terapeutico, legato ad un plasmide,
direttamente nella cellula;
 LIPOSOMI, è possibile far
complessare ad essi il DNA, Il
complesso DNA-liposoma può fondersi
con la membrana cellulare .
Successivamente il DNA viene liberato
nel citoplasma, entra nel nucleo e
viene espresso;
 POLIMERI CATIONICI, i complessi
DNA-policatione vengono inglobati dalla
cellula per endocitosi, e possono essere
attivamente indirizzati verso specifiche
linee cellulari o tessuti utilizzando
anticorpi o altre molecole direzionanti.
Ultime notizie…
 Una nuova terapia genica multipla, permette con una sola somministrazione di contrastare ben quattro
malattie legate all'avanzare dell'età (scompenso cardiaco, insufficienza renale, obesità e diabete),
migliorando la salute generale e allungando la vita. I ricercatori lo hanno verificato iniettando tre geni
legati alla longevità (FGF21, sTGF beta R2 e alfa-Klotho), usati singolarmente o in combinazione fra loro, in
topi obesi, diabetici, con scompenso cardiaco o insufficienza renale. I risultati indicano che FGF21 da solo
combatte obesità e diabete, mentre la sua combinazione con sTGF beta R2 riduce del 75% l'atrofia
renale. L'insufficienza cardiaca è migliorata del 58% con sTGF beta R2 da solo e in combinazione con uno
degli altri due geni: insieme a FGF21 in particolare, ha portato benefici contro tutte e quattro le malattie,
migliorando la salute e la sopravvivenza dei topi.Uno degli aspetti più interessanti della ricerca, spiegano
gli autori, è che i geni iniettati (veicolati nell'organismo da un virus reso innocuo) non si integrano nel Dna
originale delle cellule dell'organismo, non lo alterano in alcun modo, e di conseguenza non rischiano di
essere trasmessi ad altri individui o alle generazioni successive;
 Oggi la leucemia è la forma di tumore infantile più diffusa e ogni anno il 20% dei bambini colpiti non
riesce a vincerla. La onlus ha deciso di donare oltre 630mila euro alla ricerca inoltre finanzia il
Laboratorio Interdipartimentale di Terapia Cellulare e Genica «Stefano Verri» e il suo intero staff di
ricercatori all’interno del San Gerardo di Monza, polo di eccellenza in Italia per la cura delle leucemie
infantili.
LE CELLULE STAMINALI
 DEFINIZIONE:
Le cellule staminali sono cellule primitive non ancora dotate di specializzazione,
ma capaci di trasformarsi in diversi tipi di cellule del corpo, con funzioni speciali;
sono cellule «madri» che rimangono immature, finché non interviene uno stimolo
che le induce a differenziarsi in cellule specializzate per adempiere ad una
specifica funzione (diventare organi o tessuti).
 CARATTERISTICHE FONDAMENTALI DI UNA
CELLULA STAMINALE:
Le cellule staminali possiedono 2 fondamentali proprietà:
1. la capacità di autorinnovarsi, ovvero rinnovare se stesse
attraverso la divisione cellulare, a volte dopo lunghi periodi di
inattività detti di latenza o dormienza. La capacità di auto-
rinnovamento implica il fatto che almeno una delle due cellule che
si originano in seguito alla divisione cellulare, debba restare
staminale per cui c’è sempre una riserva di staminali a
disposizione.
2. la capacità di specializzarsi, di diventare cioè cellule di tessuti o
di organi specifici con funzioni particolari.
 COME POSSONO ESSERE
CLASSIFICATE LE CELLULE
STAMINALI?
Le cellule staminali si possono
suddividere, in base alla loro capacità di
differenziazione, in quattro tipi:
1. totipotenti in grado di sviluppare un
intero organismo ed anche dei
tessuti extra- embrionali come lo
zigote.
2. Pluripotenti in grado di differenziarsi
in tutti i tipi di cellule di un individuo
adulto tranne che nelle cellule extra-
embrionali.
3. Multipotenti in grado di
differenziarsi solamente in alcuni tipi
di cellule come quelle del sangue.
4. Unipotenti in grado di specializzarsi
in un solo tipo di cellula.
 PARTIAMO DALL’EMBRIONE:
Occorre partire dall’origine della vita, cioè dal momento in cui due cellule sessuali, la
cellula uovo e lo spermatozoo, si incontrano e si fondono in un’unica cellula detta zigote.
La cellula staminale per eccellenza, quella totipotente, è proprio lo zigote in quanto è in
grado di dare origine ad un organismo completo.
Nella specie umana la prima divisione cellulare dello zigote avviene dopo circa 24 ore dalla
fecondazione e porta alla formazione di 2, 4, 8 cellule, dette blastomeri.
Fu il biologo tedesco Hans Driesch (1867-1941) il primo ad introdurre il concetto di
potenza alla fine dell’800, grazie alle sue ricerche sull’uovo di riccio di mare: egli notò che
separando un embrione composto da due sole cellule, ciascuna di esse poteva dare vita
ad un animale completo. Queste cellule sono appunto totipotenti.
 QUANTO DURA LA TOTIPOTENZA?
La totipotenza non dura a lungo in seguito alle divisioni dello zigote, ma viene persa dopo
lo stadio a otto cellule. In altre parole, se si separassero gli otto blastomeri che formano
l’embrione in questa fase dello sviluppo potrebbero generarsi potenzialmente otto
individui identici o gemelli monozigoti.
Superato questo momento, alla successiva divisione cellulare, si assiste alla formazione di
un abbozzo sferico di 16 cellule, somigliante al frutto della mora (da cui il nome morula,
piccola mora, che viene dato all’embrione a questo stadio). Le cellule della morula non
possono più dare origine ad un individuo completo se separate dal resto in quanto
posseggono già destini in qualche modo segnati. Siamo intorno al 4° giorno dalla
fecondazione.
 DOVE SI TROVANO LE CELLULE STAMINALI PLURIPOTENTI?
Solo le cellule staminali dell’embrione hanno la possibilità di trasformarsi in tutti i tipi di cellule
che si trovano in un organismo adulto. A circa una settimana dalla fecondazione, l’embrione si
trova allo stadio di blastocisti. Le cellule del nodo embrionale sono staminali pluripotenti, poi-
ché possono originare tutti i vari tipi di cellule specializzate, ma non sono più capaci di formare
un organismo intero se prese singolarmente.
 CHI HA SCOPERTO LE CELLULE STAMINALI EMBRIONALI?
•Era il 1981 quando due genetisti dell’Università di Cardiff in
Inghilterra riuscirono per la prima volta ad isolare queste cellule
da embrioni di topo e a farle crescere in laboratorio fino ad
ottenere le cosiddette cellule staminali embrionali.
•Nel 1998, presso l’Università del Wisconsin (Stati Uniti), James Thomson isolò per la
prima volta delle cellule staminali embrionali umane, riuscendo a generare delle linee
cellulari stabili nel tempo. Nello stesso anno la rivista scientifica Science pubblicò questa
ricerca con un articolo intitolato “Linee di cellule staminali embrionali derivate da
blastocisti umane”. La notizia ebbe un eco grandissimo sui media, anche perché generò
enormi polemiche in quanto la ricerca aveva comportato la distruzione di embrioni
umani.
• Nel 2007 il gruppo di Thomson ha riportato un metodo per convertire le
cellule della pelle in cellule che somigliano molto alle cellule staminali
embrionali. Anche questi risultati hanno attirano molta attenzione perché
rappresentano una speranza per porre fine alla controversia sul piano etico
sulla ricerca sulle staminali embrionali.
 COME SI OTTENGONO CELLULE SPECIALIZZATE DALLE STAMINALI EMBRIONALI?
Grazie all’elevata capacità delle cellule pluripotenti di trasformarsi in ogni tipo cellulare, i ricercatori sono
riusciti a ottenere in laboratorio, a partire dalle staminali embrionali, cellule di diversi tipi come cellule
epiteliali, muscolari, nervose e così via.
Naturalmente per ottenere in laboratorio un tipo di cellula piuttosto che un altro i ricercatori devono
dosare in maniera opportuna le condizioni con cui vengono coltivate le cellule, come la quantità di
ossigeno o il tipo di materiale con cui vengono a contatto.
 I TRE FOGLIETTI EMBRIONALI:
Il periodo di tempo durante il quale una cellula staminale embrionale è pluripotente, in grado cioè di
trasformarsi in ogni tipo di cellula dell’organismo, è breve. Al termine della seconda settimana dalla
fecondazione inizia infatti un processo per cui l’embrione acquista la forma di un sacco a doppia parete, al
quale viene dato il nome di gastrula, e cominciano a delinearsi tre strati di cellule distinti detti foglietti
embrionali:
• il foglietto esterno è detto ectoderma che da origine alla pelle, agli occhi e al sistema nervoso;
• Il foglietto interno è detto endoderma che da origine al rivestimento interno del tubo digerente e a
molti organi, come i polmoni, il fegato e il pancreas;
• Tra i due strati cellulari rimane una cavità (blastocele) nella quale si trovano le cellule da cui origina il
terzo foglietto embrionale, detto mesoderma che da origine ai muscoli, alle ossa, al tessuto
connettivo, al sangue, agli organi dell’apparato riproduttivo e dell’apparato escretore.
Pertanto, le cellule staminali che costituiscono l’embrione hanno acquisito dei tratti specifici che ne
limitano la capacità di specializzazione.
Man mano che lo sviluppo embrionale procede, le cellule staminali embrionali perdono progressivamente
la loro potenza. Si parla in questo caso di multipotenza.
 QUANDO LE STAMINALI POSSONO SPECIALIZZARSI IN UN SOLO TIPO
DI CELLULA
Ci sono infine cellule staminali che non hanno la minima possibilità
di scelta: sono le cellule staminali unipotenti.
Si tratta di cellule staminali che possono trasformarsi unicamente
in solo tipo di cellula specializzata. Queste si trovano solo
nell’organismo adulto e costituiscono un serbatoio per i tessuti ad
elevato ricambio come la pelle e l’intestino.
Un esempio classico di cellule staminali unipotenti è fornito
proprio dalle cellule staminali che formano lo strato più profondo
dell’epidermide, detto strato basale o germinativo. Le cellule di
questo strato si dividono continuamente, dando origine ad una
cellula staminale unipotente.
UN’ALTRA CLASSIFICAZIONE…
Un’altra classificazione comune delle cellule staminali si basa
sulla loro sede di origine. Esistono infatti:
 cellule staminali embrionali: sono staminali pluripotenti
che si trovano nell"embrione; possono essere raccolte e
dunque impiegate solo a costo della distruzione o forte
manipolazione dell"embrione stesso; per questo motivo il
loro uso rappresenta un tema controverso sul piano
bioetico.
 cellule staminali del cordone ombelicale: si tratta di
staminali contenute nel sangue cordonale. Vengono
raccolte subito dopo il parto, senza alcuna conseguenza
negativa per il neonato, né per la madre. Per questa
ragione, l’uso di cellule staminali del cordone ombelicale
non solleva alcuna problematica di tipo morale.
 cellule staminali adulte: tali cellule sono contenute
verosimilmente in tutti i tessuti e gli organi dell’individuo
adulto. Le cellule staminali adulte più utilizzate per
applicazioni cliniche sono quelle ematopoietiche, che
generano ogni cellula del sangue esistente e quelle
mesenchimali, che invece danno origine a più tipi cellulari
(come, per esempio, cellule cartilaginee e adipose).
RECENTI SCOPERTE…
Recentemente sono state scoperte le cellule staminali del liquido amniotico e, grazie al
lavoro del ricercatore e premio Nobel Shinya Yamanaka, sono state create in laboratorio
delle staminali “artificiali”, le cosiddette staminali pluripotenti indotte (Ipsc, Induced
Pluripotent Stem Cells).
 COME SI OTTENGONO?
Le cellule iPS sono ottenute introducendo 4 particolari geni (Oct3/4, Sox2, Klf4, e c-
Myc) nelle cellule somatiche tramite retrovirus che trasportano il DNA. Dopo qualche
settimana in coltura, si è osservato che potevano essere riprogrammate fino a tornare
pluripotenti in uno stato simile a quello delle cellule staminali embrionali. Infine
potevano essere differenziate in cellule nervose, del cuore, del fegato (epatociti) e del
pancreas (β-cellule pancreatiche).
Si è scoperto che è possibile creare iPS anche con combinazioni di geni diversi (Oct3/4,
Sox2, Nanog and Lin28) e usando plasmidi o molecole di RNA sintetico al posto dei
retrovirus.
NOBEL 2012, PER LA MEDICINA
ASSEGNATI A SHINYA YAMANAKA E
JOHN GURDON
• I due specialisti sono stati premiati per le ricerche che hanno consentito di scoprire che "le cellule mature
possono essere riprogrammate per diventare pluripotenti" ovvero non più differenziate per un particolare
tipo di tessuto.
• Con la riprogrammazione delle cellule umane gli scienziati hanno creato nuove opportunità di studio delle
malattie e di sviluppo dei metodi per la diagnosi e la terapia. Il Nobel per la Medicina dato a John Gurdon e a
Yamanaka premia le 'staminali etiche'.
• Il lavoro dei due ricercatori ha infatti permesso di scoprire che è possibile 'riprogrammare' le cellule adulte
fino ad uno stato 'pluripotente' (da cui la sigla Ips, Induced Pluripotent Stem Cells), in cui sono in grado di
dar vita a diversi tipi di tessuto. Primo di questa loro scoperta queste cellule staminali potevano essere
ottenute solo attraverso la distruzione degli embrioni.
• Nel 1962 il ricercatore britannico ha scoperto studiando una rana che il DNA delle cellule adulte contiene
tutte le informazioni necessarie per trasformarle in qualunque altro tipo di cellula, contraddicendo tutte le
teorie precedenti che invece affermavano che la trasformazione in adulta fosse irreversibile. La ricerca,
inizialmente contestata, è poi stata largamente confermata, e ha portato ad esempio allo sviluppo di metodi
per la clonazione degli animali.
• Nel 2006 invece Yamanaka, che ha 50 anni, è riuscito a sfruttare l'informazione raccolta da Gurdon
dimostrando che delle cellule della pelle di topi possono essere riprogrammate e diventare immature. Il
lavoro del ricercatore giapponese è partito dalla ricerca dei geni che mantengono le cellule pluripotenti
ottenute dalle staminali embrionali immature. Dopo averne trovati quattro li ha inseriti, in differenti
combinazioni, nei fibroblasti, le cellule del tessuto connettivo, scoprendo che 'basta' inserirli tutti e quattro
per farle regredire.
POTENZIALITA’:
• Le cellule iPS sono una grande promessa per la cura di numerose
patologie ad oggi incurabili. Esse infatti costituiscono una fonte di cellule
per la sostituzione e la rigenerazione di tessuti danneggiati a causa di
malattie, lesioni, difetti congeniti o invecchiamento. Si pensa che potranno
anche essere usate per la creazione di farmaci.
RISCHI:
• Nonostante ciò, ci sono ancora molti problemi da risolvere. Uno dei geni
usati (c-Myc) per ottenere le iPS è un noto oncogene che promuove la
formazione di tumori come è stato riscontrato nei primi topi in cui sono
state trapiantate. In seguito, il team di Yamanaka è riuscito nella creazione
delle iPS senza utilizzare il c-Myc e, nonostante il processo sia più lungo e
dia origine a meno cellule, nessuno dei 26 topi in cui sono state trasferite
ha evidenziato la formazione di tumori. Lo stesso può essere fatto con
cellule iPS ottenute da fibroblasti umani.
• Altri studi hanno rivelato che le cellule derivate dalle iPS hanno un tasso di
morte cellulare (apoptosi) più elevato di quelle derivate da cellule
staminali embrionali. Inoltre, la loro capacità di proliferazione è molto
minore. Le anomalie delle cellule iPS potrebbero essere dovute all'utilizzo
dei virus nella loro formazione.
• Infine, è stato recentemente dimostrato che il processo di
riprogrammazione è responsabile di anomalie genetiche e danni sul DNA
sotto forma di cancellazione o ingrandimento di regioni di genoma su
alcuni cromosomi. Queste mutazioni alterano le proprietà delle cellule
staminali impedendone l'utilizzo nella cura di malattie o nella creazione di
farmaci.
https://www.youtube.com/
watch?v=tXmmLGplyNc
LE STAMINALI SONO ALLA BASE DELLA
MEDICINA RIGENERATIVA
La medicina rigenerativa a base di cellule staminali segue due filoni principali:
1. la terapia cellulare, che utilizza le cellule staminali così come sono;
2. la terapia genica, che modifica il corredo genetico delle cellule così che vengano corretti i
difetti genetici che altrimenti continuerebbero a trasmettere la malattia nell’organismo.
Il punto di forza delle cellule staminali è la loro capacità di trasformarsi in diversi tipi di cellule e i ricercatori nel mondo
stanno studiando i processi di differenziazione cellulare. Così come tutto l’organismo umano, le staminali rispondono
all’ambiente circostante e, se si riuscissero a capire i metodi per influenzarle in modo appropriato, si potrebbero
migliorare le tecniche di ricostruzione dei tessuti danneggiati. Fino ad oggi, la maggior parte delle ricerche sono state
fatte su supporto statico su cui vengono poi messe le cellule ma un team multidisciplinare, composto da ricercatori di
diverse università e istituti tedeschi, ha utilizzato un'impalcatura dinamica.
Gli scienziati si sono serviti di un foglio di polimero (SMPA) che si comporta come un muscolo artificiale e che risponde
in modo reversibile ai cambiamenti di temperatura. L’idea è di far allungare il foglio man mano che la temperatura
passa da quella corporea (37°C) a 10°C e, viceversa, di farlo contrarre quando viene riscaldato, in un ciclo di 60 minuti.
Gli SMPA sono unici in questo senso, dato che hanno una buona resistenza (circa 500 cicli di cambio di temperatura).
Una volta pronta e testata la base, sono state aggiunte le cellule staminali. Grazie allo stimolo termico e meccanico,
le cellule staminali sono state indotte a trasformarsi in cellule ossee. Sfruttando le variazioni di temperatura e il
ripetuto movimento del foglio polimerico, le cellule vengono in qualche modo istruite a fare quello che i ricercatori
vogliono.
L’importanza della scoperta di materiali programmabili che permettono il controllo sulle colture cellulari è
fondamentale per aumentare il numero di sperimentazioni nell’ambito dell’ingegneria tissutale, abbassare i costi
legati ai dispositivi di controllo utilizzati finora e replicare l’ambiente complesso in cui le cellule vivono.
In questo caso sono state utilizzate le cellule staminali mesenchimali: un tipo di cellule multipotenti, note per la loro
capacità di dare origine a diversi tipi di cellule del tessuto scheletrico (come ad esempio la cartilagine, le ossa ed il
grasso), e particolarmente sensibili alle caratteristiche fisiche dell’ambiente circostante.
Le applicazioni di questa tecnologia sono molteplici, ad esempio essere utilizzati per curare le fratture ossee più gravi
e difficili da trattare, che il corpo non riesce a riparare in autonomia. Infatti, dopo un prelievo di cellule staminali del
midollo osseo del paziente, queste ultime potrebbero essere coltivate sul foglio polimerico e applicate in seguito
sull’osso rotto. Questo impiego delle staminali dovrebbe rafforzare l’osso in modo diretto e potrebbero diventare
parte della tecnologia a disposizione dei chirurghi ortopedici per gestire le fratture complesse. È però fondamentale
approfondire gli studi per comprendere quali combinazioni di stimoli siano le più efficaci per produrre tessuti utili alla
rigenerazione del corpo umano.
UNO STUDIO TEDESCO HA DIMOSTRATO COME DETERMINATI STIMOLI POSSANO INDURRE LE CELLULE STAMINALI A
DIFFERENZIARSI IN TESSUTO OSSEO, IPOTIZZANDO APPLICAZIONI NELL’AMBITO DELLE FRATTURE GRAVI.
Un cuore che non riceva il corretto apporto di ossigeno è destinato a morire. I tessuti si atrofizzano e non
riescono più svolgere la loro funzione mandando il paziente incontro al rischio di infarto del miocardio (si
parla allora di cardiopatia ischemica). Infatti, la causa di questa situazione è l’aterosclerosi che concorre
all’ostruzione delle coronarie e aumenta il rischio di infarto. Per contrastare questa realtà i ricercatori
hanno puntato all’utilizzo di cellule staminali e un team di ricerca guidato dal prof. Yoshiki Sawa, del
Dipartimento di Chirurgia Cardiovascolare dell’Università di Osaka, è così riuscito a eseguire il primo
trapianto di cellule muscolari cardiache al mondo.
Tali cellule sono state ottenute da cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) del paziente stesso, sono
state coltivate in laboratorio e, per la prima volta, sono state trapiantate, al posto di un nuovo organo, sul
paziente. Si perché quando l’angioplastica o il bypass non siano più sufficienti, gli individui affetti da
cardiopatia ischemica sono costretti a sottoporsi a un trapianto di cuore. Il prof. Sawa, che ha alle spalle
una lunga esperienza in fatto di trapianti cardiaci e ha una grossa esperienza nel settore della terapia
genica e della medicina rigenerativa, ha studiato la possibilità di prelevare cellule della pelle e del sangue
per riportale ad uno stato embrionale pluripotente. È così che ha ottenuto le iPSC del paziente stesso. Tali
cellule sono state poi indotte a differenziarsi in cellule cardiache da somministrare al cuore malato,
sperando di vederle crescere e rimpiazzare quelle non più funzionanti per risparmiare così al paziente un
intervento invasivo come il trapianto che non è privo di rischi.
LO STUDIO CLINICO, CONDOTTO IN GIAPPONE, È IL PRIMO AL MONDO AD AVER UTILIZZATO CELLULE STAMINALI PLURIPOTENTI
INDOTTE OTTENUTE IN LABORATORIO PER IL TRAPIANTO SUL CUORE DEL PAZIENTE.
Un piccolo paziente colpito da una devastante malattia genetica che provoca lesioni sulla pelle è guarito grazie al trapianto
di una nuova pelle generata a partire dalle sue cellule staminali, modificate con terapia genica. Il risultato è stato raggiunto
con il lavoro fondamentale di un gruppo di ricercatori italiani.
Li chiamano "bambini farfalla" perché hanno la pelle fragile come le ali di questi insetti. Sono i bambini che soffrono di
epidermolisi bollosa, devastante malattia genetica che colpisce la pelle provocando la formazione di bolle, ulcere e lesioni in
seguito al minimo trauma.
La storia di questo doppio successo comincia nel giugno 2015, quando all'ospedale pediatrico di Bochum, in Germania,
arriva Hassan, un bambino di sette anni affetto da epidermolisi bollosa giunzionale, una delle forme più gravi della malattia.
A causarla, nel suo caso, è una mutazione del gene LAMB3, codificante per una componente di una proteina chiamata
laminina-332, coinvolta nell'ancoraggio dell'epidermide. Se la laminina manca o è difettosa l'ancoraggio non funziona,
provocando un'estrema fragilità della pelle. Le condizioni di Hassan sono sempre state piuttosto complicate; i medici non
possono fare molto, salvo indurre un coma farmacologico per risparmiare dolore al bambino e spiegare ai genitori che
l'unica possibilità per cercare di salvarlo è un approccio sperimentale che combina terapia con cellule staminali e terapia
genica, messo a punto da un gruppo di ricerca italiano. I genitori acconsentono.
Quella realizzata è una terapia genica classica: le cellule staminali recuperate da una biopsia cutanea del bambino sono
state trattate con un vettore virale contenente la versione corretta del gene LAMB3, cioè una sequenza di materiale
genetico virale opportunamente modificato per accogliere e veicolare il gene di interesse, in modo che possa integrarsi nel
genoma dell'ospite e fare le veci di quello difettoso. A questo punto, le cellule corrette sono state coltivate fino a ottenere
tanti fazzoletti di pelle transgenica (quadrati dal lato compreso tra i 7 e i 12 centimetri), pronti per essere trapiantati.
Tutto lavoro fatto a Modena che ha raggiunto poi la Germania in meno di 48 ore perché i tessuti, una volta pronti, non
possono aspettare. Per non correre rischi, la prima volta la pelle transgenica ha viaggiato su un jet privato, fino alla sala
operatoria di Bochum. La conferma che ne era assolutamente valsa la pena è arrivata dieci giorni dopo il primo intervento,
quando la rimozione delle garze ha rivelato una pelle rosea e sana.
UNA NUOVA PELLE TRANSGENICA PER IL BAMBINO
FARFALLA

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Le biotecnologie in campo medico

  • 1. LE BIOTECNOLOGIE IN CAMPO MEDICO • Martina Oro, Gaia De Santis, Lisa Giansante, Francesca Caruso 5°D 03/2020
  • 3. Un po’ di storia  Nel 1919, l’ingegnere agronomo Karl Ereky predisse un’era in cui la biologia sarebbe stata utilizzata per trasformare le materie prime in prodotti utili (farmaci) e coniò il termine biotecnologie per descrivere la fusione tra la biologia e la tecnologia.  La rivoluzione biotech in medicina è iniziata negli anni ottanta.  Nel 1982, tramite l’introduzione del gene codificante l’insulina in Escherichia coli, si cominciarono a produrre i primi farmaci biotecnologici, che hanno rivoluzionato la cura di milioni di diabetici.  I farmaci biotecnologici, oltre a rappresentare il futuro delle terapie, rappresentano ad oggi il 20% di quelli in commercio e il 50% di quelli in sviluppo, costituendo in molti casi l’unica possibilità di cura per patologie rilevanti e diffuse.
  • 4. Cos’è un farmaco? Prima di entrare nel vivo dell’argomento bisogna comprendere cos’è un farmaco. Un farmaco (o medicinale) è, una sostanza o un’associazione di sostanze impiegata per curare o prevenire le malattie. E’ composto da un elemento, il principio attivo, da cui dipende l’azione curativa vera e propria, e da uno o più “materiali” privi di ogni capacità terapeutica chiamati eccipienti che possono avere la funzione di proteggere il principio attivo da altre sostanze chimiche, facilitarne l’assorbimento da parte dell’organismo, oppure mascherare eventuali odori o sapori sgradevoli del farmaco stesso.
  • 5. Farmaci tradizionali e farmaci biotecnologici Un farmaco è biotecnologico quando contiene un principio attivo costituito/derivato da un organismo vivente o da sue parti. Appartengono alla categoria dei farmaci biologici ormoni, enzimi, emoderivati, sieri e vaccini, immunoglobuline, allergeni, anticorpi monoclonali. Tra i medicinali biologici sono definiti biotecnologici quei farmaci i cui principi attivi sono prodotti tramite le tecnologie del DNA ricombinante, l’espressione controllata di geni codificanti per proteine biologicamente attive nei procarioti e negli eucarioti, le tecniche utilizzate nella produzione di ibridomi e di anticorpi monoclonali. I farmaci tradizionali (non biotecnologici) sono ottenuti da molecole chimiche “standard” e cioè da materiale non vivente tramite reazioni chimiche standardizzate e riproducibili in modo preciso grazie alle metodiche attuali.
  • 6. Differenze fra farmaci tradizionali e farmaci biotecnologici La biofarmaceutica è oggi il principale settore di sviluppo di farmaci innovativi. I prodotti biofarmaceutici sono “farmaci intrinsecamente biologici in natura e realizzati usando la biotecnologia”. Tale definizione distingue i farmaci biotecnologici dai cosiddetti “farmaci a piccola molecola” sintetizzati chimicamente ed esclude i prodotti realizzati senza l’uso di metodi tecnologici. I principi attivi dei medicinali biologici differiscono da quelli dei prodotti di sintesi chimica per molti aspetti: • essi consistono infatti di molecole di maggiori dimensioni, presentano elevata complessità strutturale; • una diversa stabilità del prodotto finale e profilo delle impurezze; • diversamente dai prodotti di sintesi chimica, inoltre, i processi di produzione dei farmaci biologici sono spesso caratterizzati dall’uso di sistemi viventi con la possibilità di variazioni strutturali rilevanti nel prodotto finale che possono dar luogo a differenze importanti a livello immunogenico; • la caratterizzazione dei farmaci biologici, è particolarmente difficile e non può prescindere dal processo di produzione.
  • 7. Farmaci di sintesi chimica Farmaci biotecnologici Sono realizzati mescolando composti chimici Molto più complessi, mimano le sostanze prodotte dal corpo umano come enzimi, insulina e anticorpi Nella maggior parte dei casi si tratta di molecole relativamente semplici e piccole, che possono essere veicolate sotto forma, ad esempio, di compresse Sono prodotti da cellule vive in coltura all’interno di bioreattori. Una volta purificati, sono quasi sempre somministrati tramite iniezione o per via endovenosa È possibile fare una copia identica del loro principio attivo Il materiale di partenza e il complesso processo produttivo comportano una maggiore difficoltà nella riproduzione esatta di una molecola biologica
  • 8. I farmaci biologici hanno una struttura molecolare molto più grande e complessa dei farmaci chimici
  • 9. Principali medicinali biotecnologici I principali medicinali biotech oggi usati sono: Proteine ricombinanti; Somatotropina; Eritropoietina; Citochine; Interleukina-2; Interferoni; Fattori di coagulazione; Anticorpi monoclinali; Coniugati ad un farmaco; Vaccini ricombinanti.
  • 10. Farmaci di origine biotecnologica utilizzati in terapia Le proteine ricombinanti, sono proteine ottenute da trascrizione e traduzione di un frammento di DNA, codificante la proteina di interesse, clonato in vettori di espressione (elementi di DNA circolare) e inseriti (trasformazione o transfezione) all’interno di un organismo ospite. I principali ospiti sono: E. coli (un batterio presente anche nel tratto intestinale dell’uomo), Saccharomyces cerevisiae (un lievito simile a quelli usati per fare il pane) o ancora cellule di Drosophila (moscerino della frutta) e di Chinese hamster ovary (cellule di criceto cinese). L’esempio più rappresentativo di questo tipo di farmaci è l’insulina. Una volta veniva estratta dal pancreas dei maiali con costi molto elevati, oggi, invece, l’insulina che viene usata è quella umana. Produrre una proteina di un mammifero in un organismo batterico non può, però, essere sempre fattibile. Può funzionare con una piccola proteina come l’insulina, ma molte altre proteine umane necessitano, per essere attive, di alcune modifiche dette post-traduzionali, che un batterio non è in grado di mimare. Per questo motivo, molto spesso, vengono utilizzate cellule molto più complesse, come cellule di mammifero, perché essendo intimamente simili alle cellule umane possono produrre proteine di elevata complessità. L’inconveniente delle cellule di mammifero, rispetto ad un batterio, è la minore produzione di proteina e la maggiore complessità nelle tecniche di coltivazione e di purificazione.
  • 11. La somatotropina, nota anche come ormone della crescita, è un ormone peptidico dell’adenoipofisi. La sua funzione principale è di stimolare lo sviluppo dell’organismo umano promuovendo l’accrescimento e la divisione mitotica delle cellule di quasi tutti i tessuti. È impiegato clinicamente per il trattamento della patologie caratterizzate da deficit di ormone della crescita nei bambini e negli adulti. Più precisamente, nei bambini è utilizzato nel nanismo ipofisario. Negli adulti, invece, è impiegato nella terapia sostitutiva in pazienti con deficit di ormone della crescita congenito o secondario a patologie ipotalamiche o ipofisarie. L’eritropoietina è probabilmente il fattore di crescita più conosciuto, essa è un ormone glicoproteico prodotto negli esseri umani dai reni, che ha come funzione principale la regolazione dell’eritropoiesi (produzione di glubuli rossi). E’ prevalentemente utilizzata nei casi di anemia con insufficienza renale cronica e con anemia causata dalla chemioterapia in certi malati di cancro. Le citochine, sono molecole che attivano il sistema immunitario, regolano la differenziazione delle cellule immunitarie, sono importanti messaggeri coinvolti nella riparazione tissutale e influenzano la risposta infiammatoria. L’interleukina-2, prodotta in E. coli, è un farmaco utilizzato contro il cancro renale e il melanoma. Non è ancora chiaro quale sia il meccanismo di azione dell’IL-2; tuttavia è certo che stimola i globuli bianchi a riconoscere e a combattere alcuni tipi di cellule neoplastiche.
  • 12. Gli interferoni sono una potente classe di citochine che agiscono contro i virus e contro la proliferazione incontrollata delle cellule. Ne esistono di 3 tipi: alfa, beta e gamma. L’interferone alfa ricombinante è utilizzato in pazienti con epatite da virus B,C cronica, leucemia mieloide cronica e linfoma follicolare. L’interferone beta, invece, è utilizzato in pazienti affetti da sclerosi multipla. I fattori di coagulazione, sono prodotti prevalentemente per la cura dell’emofilia. L’emofilia è una malattia di origine genetica, dovuta ad un difetto della coagulazione del sangue. La patologia, nella sua forma congenita, colpisce quasi totalmente individui maschi e normalmente viene trasmessa dalla madre al figlio maschio. Questa patologia si caratterizza per l’assenza nel sangue di una proteina prodotta dal fegato. Nell’emofilia A, è presente una forte carenza del fattore VIII della coagulazione. Nell’emofilia B, invece, manca invece il fattore IX della coagulazione. Questi deficit possono causare emorragie di gravità variabile, a seconda della carenza di attività del fattore coagulante. Il trattamento per l’emofilia consiste nella somministrazione del fattore mancante (fattore VIII nell’emofilia A, fattore IX nella B). Negli anni 90, sono stati resi disponibili i fattori VIII e IX della coagulazione ottenuti per mezzo dell’ingegneria genetica (ricombinanti), che costituiscono ad oggi la migliore possibilità terapeutica per il trattamento dell’emofilia. Gli anticorpi monoclonali (mAb): sono delle immunoglobuline, o meglio, delle proteine prodotte dai linfociti B in seguito ad uno stimolo antigenico, cioè in seguito al riconoscimento di un elemento estraneo all’organismo. Nella terapia antitumorale, il compito principale degli mAb è quello di coadiuvare l’azione chemioterapica. Attraverso diversi meccanismi, sono in grado di rallentare la crescita tumorale e colpire in modo vario le cellule malate. In terapia, sono al momento presenti due tipologie di mAb. Anticorpi monoclonali cosiddetti “nudi”, ovvero, senza altre molecole collegate. Possono agire legandosi a specifici antigeni dalle cellule tumorali ed attivare il sistema immunitario, richiamando cellule killer contro il tumore. Oppure, possono legarsi a specifici recettori delle cellule malate e bloccarne così alcune attività impedendo la trasmissione di alcuni segnali di crescita.
  • 13. I coniugati ad un farmaco, possono direzionare e liberare il farmaco selettivamente nella cellula cancerosa. Gli anticorpi monoclonali vengono utilizzati anche nei trattamenti di patologie autoimmuni. I migliori risultati clinici sono stati ottenuti individuando come bersaglio il fattore di necrosi tumorale o TNF. Questa è una citochina che possiede un ampio spettro di attività biologica, tra le quali la regolazione di alcune importanti mediatori dell’infiammazione, in particolare, nelle patologie come l’artrite reumatoide e il morbo di Crohn. Infliximab, ad esempio, è un anticorpo chimerico con elevata affinità di legame nei confronti della forma solubile e transmembrana del recettore per il TNFalfa. Nel trattamento dell’ artrite reumatoide, Infliximab permette la riduzione dell’infiltrazione delle cellule infiammatorie nelle articolazioni. Allo stesso modo nei pazienti con morbo di Crohn trattati con Infliximab è possibile osservare diminuzione della concentrazione sierica di marcatori dell’infiammazione e una riduzione dell’infiltrazione di cellule dell’infiammazione nelle aree dell’intestino coinvolte. I vaccini ricombinanti, da poco in Italia si propone il vaccino anti HPV (virus del papilloma umano). Il vaccino viene somministrato prima dell’esposizione al virus, prevenendo le lesioni genitali precancerose (del collo dell’utero, della vulva e della vagina), riducendo così la possibilità di sviluppo di una neoplasia maligna. Il vaccino anti HPV è composto dalle cosiddette proteine L1, cioè particelle simil-virali, associate a sostanze adiuvanti, purificate e prodotte con le tecniche del DNA ricombinante. Non utilizzando il genoma (DNA) del virus, infatti, non vi è alcuna possibilità che il vaccino provochi l’infezione da HPV. Dopo la somministrazione del vaccino, il sistema immunitario del soggetto inizia a produrre anticorpi contro queste proteine e quindi nel caso di un eventuale attacco da Papilloma virus, l’organismo riconosce immediatamente le cellule patogene impedendo al virus di arrecare danno. Il numero di vaccini sul mercato è ancora ridotto, a causa di difficoltà di carattere tecnico (l’antigene da produrre per via ricombinante deve essere esattamente identico a quello presente nel virus reale senza risultare patogeno).
  • 14. Il processo di sviluppo di un farmaco biologico è altamente elaborato e sofisticato La produzione di un farmaco biologico richiede una serie di fasi di processo biologiche e biochimiche, seguite da riempimento e confezionamento del prodotto sterile. Mentre queste ultime due fasi sono simili a quelle necessarie per la produzione di un farmaco iniettabile sterile, le fasi di sintesi biologica e purificazione di un farmaco biologico sono alquanto differenti. La qualità di un farmaco biologico è fortemente influenzata dalle condizioni produttive, tuttavia anche le fasi di riempimento e confezionamento di un farmaco biologico pongono maggiori rischi a causa della sua maggiore sensibilità alla temperatura, all’attrito e alla luce. La produzione di piccole molecole da materie prime ben definite e la loro purificazione da una serie di sotto-prodotti di reazione sono ben definite dai principi primari della chimica e della fisica. Tuttavia, la sintesi e la purificazione dei biologici sono contraddistinte dall’uso di materie prime complesse e da diversi passaggi di processo biologici e biochimici che non possono essere completamente caratterizzati dai principi primari della chimica e della fisica. Pertanto, non è facile capire come le condizioni di produzione possano influire sulla qualità del biologico. La qualità delle materie prime, la temperatura o il pH possono modificare in modo imprevedibile la qualità o la potenza del prodotto. Ne consegue che ogni passaggio produttivo debba essere sottoposto a controlli analitici per valutare la presenza di eventuali proteine contaminanti causa di immunogenicità e garantire l’eventuale rimozione. Un’ulteriore differenza tra i biologici e le piccole molecole è la diversa capacità dei test di controllo qualità di determinarne identità, qualità e purezza. Per i principi attivi sintetizzati chimicamente, tali attributi possono essere controllati con un numero limitato di test analitici. Viceversa, a causa della complessità strutturale dei biologici, molti dei loro attributi non possono essere verificati con i test di routine, che non sono in grado di rilevare varianti atipiche o impurità che possono comparire inaspettatamente. La qualità del prodotto non può essere confermata da test di routine, ma deve essere invece dedotta dalla totalità dei dati di produzione.
  • 15. I processi produttivi dei biologici comprendono tipicamente diverse fasi critiche:  Espansione cellulare da un’unica banca cellulare di produzione;  Produzione biologica utilizzando cellule vive;  Recupero del prodotto e purificazione per la produzione del principio attivo (sostanza medicinale);  Il prodotto finale è formulato e immesso nel contenitore primario in un impianto per iniettabili sterili.
  • 16. Chiarimenti sulla produzione Date queste premesse ne consegue che la produzione di farmaci biologici necessita di un processo solido, di una progettazione della struttura, di una rigorosa conformità alle normative e di una forza lavoro altamente qualificata. A causa delle complesse caratteristiche dei biologici e della loro sensibilità alle condizioni di produzione e gestione, la produzione di questi farmaci richiede anche un’organizzazione produttiva di alta affidabilità. Tale organizzazione deve monitorare lo stato di controllo del processo produttivo. Il personale tecnico deve essere costituito da esperti altamente impegnati con una cultura di gestione che promuova l’analisi approfondita dei risultati inaspettati, l’attenta valutazione dei rischi e l’attuazione tempestiva ed efficace di misure di limitazione. http://www.infomedics.it
  • 18. Le biotecnologie moderne hanno avuto un notevole sviluppo nell’ultimo trentennio e uno dei maggiori campi di intervento è stato nel settore medico e nello sviluppo dei farmaci. Tra questi, si può considerare una pietra miliare la descrizione,da parte di Köhler e Milstein (1975) del metodo per l’ottenimento di anticorpi monoclonali.
  • 19. PRODUZIONE DI ANTICORPI MONOCLONALI TRAMITE IBRIDOMA.  Cosa sono gli anticorpi? Gli anticorpi (o immunoglobuline) sono glicoproteine prodotte dai linfociti B del sistema immunitario umorale. Tali proteine sono in grado di riconoscere e legarsi in maniera specifica ad altri tipi di proteine definite “antigeni". La funzione degli anticorpi è quella di riconoscere e neutralizzare gli agenti estranei e/o patogeni, come, ad esempio, virus, batteri o tossine. Ciò è possibile grazie alla particolare struttura di queste molecole. Gli anticorpi, infatti, sono proteine globulari dotate di una particolare conformazione a "Y”. All'interno di questa struttura proteica vi sono una regione cosiddetta costante e delle regioni variabili, corrispondenti alle braccia della "Y". È proprio a livello delle regioni variabili che si trovano i siti di legame specifici per l'antigene. Ogni linfocita B è in grado di produrre milioni di anticorpi, a loro volta in grado di riconoscere diversi tipi di antigeni (anticorpi policlonali). Una volta che l'anticorpo si lega all'antigene per cui è specifico, l'anticorpo stesso si attiva e dà origine alla risposta immunitaria che porterà all'eliminazione dell'agente estraneo.  Cosa sono gli anticorpi monoclonali? Gli anticorpi monoclonali sono particolari tipi di anticorpi, più correttamente, gli anticorpi monoclonali possono essere definiti come proteine omogenee ibride, ottenute da un singolo clone di linfocita:le cellule figlie derivate da uno specifico linfocita B per divisione cellulare costituiscono dei cloni e producono lo stesso anticorpo, detto appunto anticorpo monoclonale.
  • 20.  Come ottenere un anticorpo specifico per un certo antigene? Si inietta i un topo l’antigene purificato, Tale procedura è simile alla vaccinazione:il sistema immunitario del topo è stimolato a produrre diversi cloni di linfociti B,ciascuno secernente un diverso anticorpo .Per selezionare uno specifico clone, si isolano i linfociti B dalla milza del topo, che vengono posti in coltura assieme a specifiche cellule tumorali( di mieloma):in condizioni opportune, le plasmacellule (linfociti) del topo si fondono con le cellule tumorali per generare un tipo di cellule ibride detto ibridoma. Queste vengono poi selezionate sfruttando 2 caratteristiche: • le cellule tumorali muoiono se poste in terreni di coltura selettivi; • le plasmacellule derivate dalla milza sopravvivono solo per poche generazioni al di fuori dell’organismo. Quindi,in presenza del terreno di coltura selettivo, solo le cellule ibride sopravvivono: esse infatti hanno acquisito la capacità di moltiplicarsi indefinitamente tipica delle cellule tumorali e allo stesso tempo possiedono un metabolismo normale grazie alle plasmacellule. A questo punto le cellule dell’ibridoma vengono diluite in speciali camere di coltura, in modo che rimanga una sola cellula per camera . Queste dividendosi producono dei cloni, ciascuno dei quali secerne un diverso anticorpo monoclonale. Dal clone di cellule che producono lo specifico anticorpo è poi possibile clonare il gene corrispondente per inserirlo in altri organismi per la produzione su larga scala( es. le piante di tabacco)
  • 21.  Quale è il loro meccanismo d'azione? Gli anticorpi monoclonali agiscono con il medesimo meccanismo d'azione appena descritto per gli anticorpi policlonali. Gli anticorpi monoclonali, infatti, possiedono un'affinità altamente specifica per un determinato tipo di antigene e si legano ad esso, consentendo in questo modo di ottenere una marcata risposta immunitaria nei confronti di quella tossina, proteina, cellula maligna o agente patogeno.  Come possiamo classificarli? Una prima suddivisione: • Anticorpi monoclonali nudi (ossia non coniugati ad altre molecole); • Anticorpi monoclonali coniugati a farmaci o a isotopi radioattivi.
  • 22. Con la coniugazione di uno o più farmaci agli anticorpi monoclonali è possibile direzionare con estrema precisione quello stesso principio attivo verso il target di interesse, evitando di coinvolgere altri distretti dell’organismo; in questo modo si possono ridurre gli effetti indesiderati e aumentare le probabilità di efficacia terapeutica. La coniugazione di isotopi radioattivi agli anticorpi monoclonali, invece, è una tecnica che viene sfruttata sopratutto nella terapia antitumorale , più precisamente si parla di radioimmunoterapia.
  • 23. ANTICORPI MONOCLONALI PER LA RICERCA, LA TERAPIA E LA DIAGNOSTICA.  Anticorpi monoclonali impiegati in ambito diagnostico: Gli anticorpi monoclonali sono utilizzati nel campo della ricerca biomedica. Questa tipologia di anticorpi monoclonali viene utilizzata per diagnosticare la presenza di un determinato antigene e, se necessario, perfino per misurarne la quantità. Gli anticorpi monoclonali, pertanto, possono essere impiegati per individuare agenti batterici o virali, particolari tipi di proteine o cellule e marker tumorali. Appare quindi chiaro come questi possano essere sfruttati in laboratori clinici per la diagnosi di patologie ma non solo. Infatti, gli anticorpi monoclonali impiegati in quest'ambito vengono ampiamente utilizzati anche nei cosiddetti kit diagnostici d'uso domestico, quali, ad esempio, i test di gravidanza e i test dell'ovulazione.
  • 24. Sempre facendo riferimento alle applicazioni nella diagnostica possiamo citare la immunoscintigrafia, con la quale è possibile utilizzare anticorpi marcati con isotopi radioattivi per evidenziare la presenza di cellule tumorali nell’organismo: gli anticorpi si legano alle proteine di superficie presenti sulle cellule tumorali e la radiazione emessa viene registrata da un’apparecchiatura, che fornisce una mappatura dettagliata delle zone in cui è presente il tumore. Questa tecnica è in grado di rilevare tumori quali il tumore al seno o il linfoma in stadi molto precoci.
  • 25.
  • 26.  Anticorpi monoclonali impiegati in ambito terapeutico: Sono diversi i tipi di anticorpi monoclonali ad essere impiegati per fini terapeutici; possiamo suddividerli in funzione dell'attività da essi esercitata: -Anticorpi monoclonali ad azione antinfiammatoria: appartengono a questo gruppo farmaci quali l‘ “infliximab”. Questi anticorpi monoclonali sono maggiormente coinvolti nella sintomatologia di patologie infiammatorie su base autoimmune, come, ad esempio, l'artrite reumatoide e l'artrite psoriasica. -Anticorpi monoclonali ad azione immunosoppressiva: Appartengono a questo gruppo di anticorpi monoclonali i farmaci impiegati nel trattamento di patologie autoimmuni e nella prevenzione del rigetto nei trapianti d'organo, fra cui ricordiamo il “rituximab”, il “basiliximab”e l‘”omalizumab”, impiegato nel trattamento dell'asma allergica. -Anticorpi monoclonali ad azione antitumorale: Il target di questi anticorpi monoclonali è costituito perlopiù da fattori fondamentali per lo sviluppo delle cellule maligne, oppure da proteine che vengono sovraespresse quando sono presenti determinati tipi di tumori, come avviene, ad esempio, nel caso dei tumori della mammella. In questo caso, per il trattamento di questa forma tumorale, si utilizza l'anticorpo monoclonale “trastuzumab”.
  • 27.  Immunoprofilassi in gravidanza(ambito terapeutico): La somministrazione di anticorpi monoclonali è impiegata anche per l’immunoprofilassi contro le complicazioni durante la gravidanza per le donne Rh negative, cioè che non possiedono il fattore Rh sui loro globuli rossi. Se il nascituro presenta questo antigene, ma la madre ne è priva, si può sviluppare una grave reazione contro il feto. La somministrazione di anticorpi diretti contro il fattore Rh evita che questo accada, in quanto protegge la madre dall’antigene del figlio nel caso che il sangue materno e quello fetale vengano a contatto durante il parto.
  • 28.  Limiti ed Effetti collaterali: Gli effetti collaterali che possono manifestarsi durante la terapia a base di anticorpi monoclonali dipendono da molte variabili, quali il tipo di principio attivo scelto, la patologia che s'intende trattare, la coniugazione o meno dell'anticorpo con altri farmaci o isotopi radioattivi, le condizioni generali e la sensibilità dei pazienti nei confronti dello stesso farmaco. Tuttavia, vi sono dei limiti che accomunano tutti i tipi di terapia a base di anticorpi monoclonali, indifferentemente dal tipo di principio attivo scelto. Più precisamente, stiamo parlando dell'elevato costo di produzione e dell'immunogenicità di questi farmaci. In altre parole, può accadere che l'organismo dei pazienti sviluppi egli stesso degli anticorpi atti a contrastare gli anticorpi monoclonali introdotti con la terapia, poiché li riconosce come agenti estranei, portando così all'inefficacia del trattamento. Ad ogni modo, vista l'elevata potenzialità della terapia a base di anticorpi monoclonali, la ricerca in quest'ambito è tuttora in costante sviluppo, nel tentativo di individuare molecole sempre più efficaci e con meno effetti collaterali possibili.
  • 30. Cos’è la terapia genica? Molte malattie sono causate dalla mancanza o dal malfunzionamento di una proteina: nel primo caso, i problema dipende dall’inattivazione del gene che codifica per quella proteina, mentre nel secondo caso è dovuto alla presenza di mutazioni che alterano la sequenza nucleotidica e di conseguenza la catena polipeptidica. Lo scopo della terapia genica è correggere i difetti del genoma che sono alla base delle malattie geniche.
  • 31. I primi successi e le prime delusioni… 1990  French Anderson e Michael Blaise curarono una bambina malata di Ada-Scid. La procedura consisteva nel correggere il Dna dei linfociti T della bambina, «ma funzionò parzialmente» racconta Bordignon, «perché quando le cellule corrette esaurirono il loro ciclo vitale sparì anche l’effetto terapeutico». Per rendere permanente il beneficio, il ricercatore pensò quindi di modificare cellule destinate a durare per sempre, di mirare, cioè, la terapia genica sulle staminali del midollo osseo. «Riuscimmo così a guarire i primi due pazienti dall’Ada-Scid e pubblicammo il risultato su Science» ricorda Bordignon. 1999  Il giovane Jessie Gelsinger morì nel corso di una sperimentazione all’Università della Pennsylvania, per una violentissima reazione immunitaria nei confronti del vettore che avrebbe dovuto curarlo. «La morte di Gelsinger destò scalpore perché la sperimentazione non era stata condotta in modo corretto» ricorda Bordignon. «Quel rischio infatti era già emerso negli studi sugli animali, ma era stato ignorato». 2002  A Parigi, alcuni bambini si ammalarono di leucemia in seguito a una terapia genica.
  • 32. Per alcuni anni le ricerche rimasero ferme visto che nessuna azienda era più disposta ad investire nel settore, ed i pochi ricercatori che proseguirono si resero conto che era necessario fare un passo indietro e abbandonare per un po’ i test sui pazienti, per mettere a punto metodi più sicuri. «Servivano nuove verifiche sulla sicurezza. Inoltre, negli Usa non c’era più nessuno disposto a finanziarci. Tornai in Italia, e ho potuto proseguire le ricerche grazie ai fondi Telethon », ricorda Naldini. 2009  Video in cui un bambino cammina sicuro seguendo un percorso tracciato sul pavimento. Quel bambino però era quasi cieco fino a poche settimane prima ma grazie alla terapia genica riuscì a sconfiggere l’amaurosi di Leber (una rara malattia genetica che provoca la degenerazione della retina), essa si era basata sui virus adenoassociati, che non si integrano nel Dna delle cellule bersaglio. «Sono vettori sicuri, ma non vanno sempre bene» spiega Alberto Auricchio. «Per esempio, non funzionano su cellule che si dividono, come le staminali, e possono trasportare solo geni piccoli. Lo studio, pubblicato su Lancet, aveva coinvolto 12 pazienti fra gli 8 e i 44 anni, dando buoni risultati soprattutto sui più giovani ». 2013 Naldini e altri ricercatori riuscirono a curare tre bambini che nell’arco di breve tempo avrebbero altrimenti sviluppato la leucodistrofia metacromatica (una rara malattia genetica neurodegenerativa) e altri tre affetti dalla sindrome di Wiskott-Aldrich, che colpisce le cellule del sangue. In entrambi i casi, i lentivirus con i geni terapeutici sono stati introdotti nelle staminali del midollo osseo.
  • 33. Metodi I due principali metodi utilizzati per il trasferimento di geni sono: ex vivo e in vivo:  Nel trasferimento ex vivo si trasferiscono geni clonati in cellule dello stesso individuo, per evitare che esse vengano rigettate dal sistema immunitario del paziente trattato. Questo metodo è applicabile ai soli tessuti che possono essere prelevati dal corpo, modificati geneticamente e reintrodotti nel paziente, dove sopravvivono per un lungo periodo di tempo, come ad esempio le cellule del sistema ematopoietico e della pelle.  La terapia in vivo viene attuata in tutti quei casi in cui le cellule non possono essere messe in coltura o prelevate e reimpiantate, come quelle del cervello o del cuore e della maggior parte degli organi interni. Inoltre, rappresenta un modello terapeutico di più difficile applicazione, visto che in questo caso il gene d'interesse viene inserito nell'organismo, tramite un opportuno vettore, direttamente per via locale o sistemica.
  • 34. I vettori virali Essi si basano sull’utilizzo di virus opportunamente modificati in modo tale da poter veicolare il loro genoma all’interno delle cellule bersaglio, senza dare malattia. Vettori virali Retrovirus Lentivirus Adenovirus Virus adenoassociati Herpes simplex virus
  • 35.  RETROVIRUS, sono stati i primi virus ad essere studiati nella terapia genica, il loro genoma è costituito da un singolo filamento di RNA. Una volta infettata la cellula, attraverso un processo di trascrizione inversa si forma il doppio filamento di DNA che si integra nel genoma della cellula ospite esprimendo così le proteine virali.  LENTIVIRUS, appartengono alla famiglia dei retrovirus di cui condividono la morfologia ed il ciclo replicativo ma, a differenza dei precedenti, possono infettare anche cellule non replicanti come quelle del cuore o del sistema nervoso centrale.  ADENOVIRUS, Una volta all'interno della cellula, non si integra nel genoma ma si replica nel nucleo come un episoma (può replicarsi autonomamente nel citoplasma o inserirsi nel cromosoma batterico e replicarsi con esso). VANTAGGI: • I transgeni possono essere espressi per tutta la vita dell’ospite; • Capacità di infettare efficientemente una vasta gamma di tipi cellulari; • Inducono scarsa risposta immunitaria nell'ospite. SVANTAGGI: • Sono difficili da coltivare; • Infettano solo cellule in attiva divisione; • Si integrano nel genoma dell’ospite in molteplici siti. VANTAGGI: • Infettano sia cellule in divisione che quiescenti; • I transgeni possono essere espressi per tutta la vita dell’ospite. SVANTAGGI: • Sono difficili da coltivare; • Possono provocare malattia nell'uomo; • Si integrano nel genoma dell’ospite in molteplici siti. VANTAGGI: • Facilmente manipolabili; • Possono veicolare inserti di grosse dimensioni. SVANTAGGI: • Alta risposta immunitaria.
  • 36.  VIRUS ADENOASSOCIATI, sono piccoli virus non patogeni per l'uomo, hanno un genoma formato da una molecola di DNA a singolo filamento. Per replicarsi autonomamente necessitano però di un altro virus che in genere è un adenovirus o un herpesvirus. • HERPES SIMPLEX VIRUS, è costituito da un doppio filamento di DNA e contiene più di 80 geni, la metà dei quali non risulta essenziale per la crescita in cellule di coltura. Una volta eliminati tali geni è possibile inserire un transgene di grosse dimensioni. VANTAGGI: • Alta efficienza di trasferimento genico; • Non sono patogeni per l’uomo; • Infettano sia cellule in divisione che non. SVANTAGGI: • Dimensioni ridotte del transgene . Recentemente la capacità di questi vettori è stata aumentata utilizzando due vettori, ciascuno codificante metà della proteina di interesse; Grazie alla loro naturale capacità di stabilire infezioni latenti nei neuroni, vengono utilizzati per il trasporto di geni nel sistema nervoso centrale.
  • 37. I vettori non virali Essi si basano sull’uso di DNA, da solo o complessato a molecole che ne facilitino l’ingresso nella cellula.  DNA NUDO, è la procedura più lineare. Consiste nell'iniettare il gene terapeutico, legato ad un plasmide, direttamente nella cellula;  LIPOSOMI, è possibile far complessare ad essi il DNA, Il complesso DNA-liposoma può fondersi con la membrana cellulare . Successivamente il DNA viene liberato nel citoplasma, entra nel nucleo e viene espresso;  POLIMERI CATIONICI, i complessi DNA-policatione vengono inglobati dalla cellula per endocitosi, e possono essere attivamente indirizzati verso specifiche linee cellulari o tessuti utilizzando anticorpi o altre molecole direzionanti.
  • 38. Ultime notizie…  Una nuova terapia genica multipla, permette con una sola somministrazione di contrastare ben quattro malattie legate all'avanzare dell'età (scompenso cardiaco, insufficienza renale, obesità e diabete), migliorando la salute generale e allungando la vita. I ricercatori lo hanno verificato iniettando tre geni legati alla longevità (FGF21, sTGF beta R2 e alfa-Klotho), usati singolarmente o in combinazione fra loro, in topi obesi, diabetici, con scompenso cardiaco o insufficienza renale. I risultati indicano che FGF21 da solo combatte obesità e diabete, mentre la sua combinazione con sTGF beta R2 riduce del 75% l'atrofia renale. L'insufficienza cardiaca è migliorata del 58% con sTGF beta R2 da solo e in combinazione con uno degli altri due geni: insieme a FGF21 in particolare, ha portato benefici contro tutte e quattro le malattie, migliorando la salute e la sopravvivenza dei topi.Uno degli aspetti più interessanti della ricerca, spiegano gli autori, è che i geni iniettati (veicolati nell'organismo da un virus reso innocuo) non si integrano nel Dna originale delle cellule dell'organismo, non lo alterano in alcun modo, e di conseguenza non rischiano di essere trasmessi ad altri individui o alle generazioni successive;  Oggi la leucemia è la forma di tumore infantile più diffusa e ogni anno il 20% dei bambini colpiti non riesce a vincerla. La onlus ha deciso di donare oltre 630mila euro alla ricerca inoltre finanzia il Laboratorio Interdipartimentale di Terapia Cellulare e Genica «Stefano Verri» e il suo intero staff di ricercatori all’interno del San Gerardo di Monza, polo di eccellenza in Italia per la cura delle leucemie infantili.
  • 40.  DEFINIZIONE: Le cellule staminali sono cellule primitive non ancora dotate di specializzazione, ma capaci di trasformarsi in diversi tipi di cellule del corpo, con funzioni speciali; sono cellule «madri» che rimangono immature, finché non interviene uno stimolo che le induce a differenziarsi in cellule specializzate per adempiere ad una specifica funzione (diventare organi o tessuti).  CARATTERISTICHE FONDAMENTALI DI UNA CELLULA STAMINALE: Le cellule staminali possiedono 2 fondamentali proprietà: 1. la capacità di autorinnovarsi, ovvero rinnovare se stesse attraverso la divisione cellulare, a volte dopo lunghi periodi di inattività detti di latenza o dormienza. La capacità di auto- rinnovamento implica il fatto che almeno una delle due cellule che si originano in seguito alla divisione cellulare, debba restare staminale per cui c’è sempre una riserva di staminali a disposizione. 2. la capacità di specializzarsi, di diventare cioè cellule di tessuti o di organi specifici con funzioni particolari.
  • 41.  COME POSSONO ESSERE CLASSIFICATE LE CELLULE STAMINALI? Le cellule staminali si possono suddividere, in base alla loro capacità di differenziazione, in quattro tipi: 1. totipotenti in grado di sviluppare un intero organismo ed anche dei tessuti extra- embrionali come lo zigote. 2. Pluripotenti in grado di differenziarsi in tutti i tipi di cellule di un individuo adulto tranne che nelle cellule extra- embrionali. 3. Multipotenti in grado di differenziarsi solamente in alcuni tipi di cellule come quelle del sangue. 4. Unipotenti in grado di specializzarsi in un solo tipo di cellula.
  • 42.  PARTIAMO DALL’EMBRIONE: Occorre partire dall’origine della vita, cioè dal momento in cui due cellule sessuali, la cellula uovo e lo spermatozoo, si incontrano e si fondono in un’unica cellula detta zigote. La cellula staminale per eccellenza, quella totipotente, è proprio lo zigote in quanto è in grado di dare origine ad un organismo completo. Nella specie umana la prima divisione cellulare dello zigote avviene dopo circa 24 ore dalla fecondazione e porta alla formazione di 2, 4, 8 cellule, dette blastomeri. Fu il biologo tedesco Hans Driesch (1867-1941) il primo ad introdurre il concetto di potenza alla fine dell’800, grazie alle sue ricerche sull’uovo di riccio di mare: egli notò che separando un embrione composto da due sole cellule, ciascuna di esse poteva dare vita ad un animale completo. Queste cellule sono appunto totipotenti.  QUANTO DURA LA TOTIPOTENZA? La totipotenza non dura a lungo in seguito alle divisioni dello zigote, ma viene persa dopo lo stadio a otto cellule. In altre parole, se si separassero gli otto blastomeri che formano l’embrione in questa fase dello sviluppo potrebbero generarsi potenzialmente otto individui identici o gemelli monozigoti. Superato questo momento, alla successiva divisione cellulare, si assiste alla formazione di un abbozzo sferico di 16 cellule, somigliante al frutto della mora (da cui il nome morula, piccola mora, che viene dato all’embrione a questo stadio). Le cellule della morula non possono più dare origine ad un individuo completo se separate dal resto in quanto posseggono già destini in qualche modo segnati. Siamo intorno al 4° giorno dalla fecondazione.
  • 43.  DOVE SI TROVANO LE CELLULE STAMINALI PLURIPOTENTI? Solo le cellule staminali dell’embrione hanno la possibilità di trasformarsi in tutti i tipi di cellule che si trovano in un organismo adulto. A circa una settimana dalla fecondazione, l’embrione si trova allo stadio di blastocisti. Le cellule del nodo embrionale sono staminali pluripotenti, poi- ché possono originare tutti i vari tipi di cellule specializzate, ma non sono più capaci di formare un organismo intero se prese singolarmente.  CHI HA SCOPERTO LE CELLULE STAMINALI EMBRIONALI? •Era il 1981 quando due genetisti dell’Università di Cardiff in Inghilterra riuscirono per la prima volta ad isolare queste cellule da embrioni di topo e a farle crescere in laboratorio fino ad ottenere le cosiddette cellule staminali embrionali. •Nel 1998, presso l’Università del Wisconsin (Stati Uniti), James Thomson isolò per la prima volta delle cellule staminali embrionali umane, riuscendo a generare delle linee cellulari stabili nel tempo. Nello stesso anno la rivista scientifica Science pubblicò questa ricerca con un articolo intitolato “Linee di cellule staminali embrionali derivate da blastocisti umane”. La notizia ebbe un eco grandissimo sui media, anche perché generò enormi polemiche in quanto la ricerca aveva comportato la distruzione di embrioni umani. • Nel 2007 il gruppo di Thomson ha riportato un metodo per convertire le cellule della pelle in cellule che somigliano molto alle cellule staminali embrionali. Anche questi risultati hanno attirano molta attenzione perché rappresentano una speranza per porre fine alla controversia sul piano etico sulla ricerca sulle staminali embrionali.
  • 44.  COME SI OTTENGONO CELLULE SPECIALIZZATE DALLE STAMINALI EMBRIONALI? Grazie all’elevata capacità delle cellule pluripotenti di trasformarsi in ogni tipo cellulare, i ricercatori sono riusciti a ottenere in laboratorio, a partire dalle staminali embrionali, cellule di diversi tipi come cellule epiteliali, muscolari, nervose e così via. Naturalmente per ottenere in laboratorio un tipo di cellula piuttosto che un altro i ricercatori devono dosare in maniera opportuna le condizioni con cui vengono coltivate le cellule, come la quantità di ossigeno o il tipo di materiale con cui vengono a contatto.  I TRE FOGLIETTI EMBRIONALI: Il periodo di tempo durante il quale una cellula staminale embrionale è pluripotente, in grado cioè di trasformarsi in ogni tipo di cellula dell’organismo, è breve. Al termine della seconda settimana dalla fecondazione inizia infatti un processo per cui l’embrione acquista la forma di un sacco a doppia parete, al quale viene dato il nome di gastrula, e cominciano a delinearsi tre strati di cellule distinti detti foglietti embrionali: • il foglietto esterno è detto ectoderma che da origine alla pelle, agli occhi e al sistema nervoso; • Il foglietto interno è detto endoderma che da origine al rivestimento interno del tubo digerente e a molti organi, come i polmoni, il fegato e il pancreas; • Tra i due strati cellulari rimane una cavità (blastocele) nella quale si trovano le cellule da cui origina il terzo foglietto embrionale, detto mesoderma che da origine ai muscoli, alle ossa, al tessuto connettivo, al sangue, agli organi dell’apparato riproduttivo e dell’apparato escretore. Pertanto, le cellule staminali che costituiscono l’embrione hanno acquisito dei tratti specifici che ne limitano la capacità di specializzazione. Man mano che lo sviluppo embrionale procede, le cellule staminali embrionali perdono progressivamente la loro potenza. Si parla in questo caso di multipotenza.
  • 45.  QUANDO LE STAMINALI POSSONO SPECIALIZZARSI IN UN SOLO TIPO DI CELLULA Ci sono infine cellule staminali che non hanno la minima possibilità di scelta: sono le cellule staminali unipotenti. Si tratta di cellule staminali che possono trasformarsi unicamente in solo tipo di cellula specializzata. Queste si trovano solo nell’organismo adulto e costituiscono un serbatoio per i tessuti ad elevato ricambio come la pelle e l’intestino. Un esempio classico di cellule staminali unipotenti è fornito proprio dalle cellule staminali che formano lo strato più profondo dell’epidermide, detto strato basale o germinativo. Le cellule di questo strato si dividono continuamente, dando origine ad una cellula staminale unipotente.
  • 46. UN’ALTRA CLASSIFICAZIONE… Un’altra classificazione comune delle cellule staminali si basa sulla loro sede di origine. Esistono infatti:  cellule staminali embrionali: sono staminali pluripotenti che si trovano nell"embrione; possono essere raccolte e dunque impiegate solo a costo della distruzione o forte manipolazione dell"embrione stesso; per questo motivo il loro uso rappresenta un tema controverso sul piano bioetico.  cellule staminali del cordone ombelicale: si tratta di staminali contenute nel sangue cordonale. Vengono raccolte subito dopo il parto, senza alcuna conseguenza negativa per il neonato, né per la madre. Per questa ragione, l’uso di cellule staminali del cordone ombelicale non solleva alcuna problematica di tipo morale.  cellule staminali adulte: tali cellule sono contenute verosimilmente in tutti i tessuti e gli organi dell’individuo adulto. Le cellule staminali adulte più utilizzate per applicazioni cliniche sono quelle ematopoietiche, che generano ogni cellula del sangue esistente e quelle mesenchimali, che invece danno origine a più tipi cellulari (come, per esempio, cellule cartilaginee e adipose).
  • 47. RECENTI SCOPERTE… Recentemente sono state scoperte le cellule staminali del liquido amniotico e, grazie al lavoro del ricercatore e premio Nobel Shinya Yamanaka, sono state create in laboratorio delle staminali “artificiali”, le cosiddette staminali pluripotenti indotte (Ipsc, Induced Pluripotent Stem Cells).  COME SI OTTENGONO? Le cellule iPS sono ottenute introducendo 4 particolari geni (Oct3/4, Sox2, Klf4, e c- Myc) nelle cellule somatiche tramite retrovirus che trasportano il DNA. Dopo qualche settimana in coltura, si è osservato che potevano essere riprogrammate fino a tornare pluripotenti in uno stato simile a quello delle cellule staminali embrionali. Infine potevano essere differenziate in cellule nervose, del cuore, del fegato (epatociti) e del pancreas (β-cellule pancreatiche). Si è scoperto che è possibile creare iPS anche con combinazioni di geni diversi (Oct3/4, Sox2, Nanog and Lin28) e usando plasmidi o molecole di RNA sintetico al posto dei retrovirus.
  • 48. NOBEL 2012, PER LA MEDICINA ASSEGNATI A SHINYA YAMANAKA E JOHN GURDON • I due specialisti sono stati premiati per le ricerche che hanno consentito di scoprire che "le cellule mature possono essere riprogrammate per diventare pluripotenti" ovvero non più differenziate per un particolare tipo di tessuto. • Con la riprogrammazione delle cellule umane gli scienziati hanno creato nuove opportunità di studio delle malattie e di sviluppo dei metodi per la diagnosi e la terapia. Il Nobel per la Medicina dato a John Gurdon e a Yamanaka premia le 'staminali etiche'. • Il lavoro dei due ricercatori ha infatti permesso di scoprire che è possibile 'riprogrammare' le cellule adulte fino ad uno stato 'pluripotente' (da cui la sigla Ips, Induced Pluripotent Stem Cells), in cui sono in grado di dar vita a diversi tipi di tessuto. Primo di questa loro scoperta queste cellule staminali potevano essere ottenute solo attraverso la distruzione degli embrioni. • Nel 1962 il ricercatore britannico ha scoperto studiando una rana che il DNA delle cellule adulte contiene tutte le informazioni necessarie per trasformarle in qualunque altro tipo di cellula, contraddicendo tutte le teorie precedenti che invece affermavano che la trasformazione in adulta fosse irreversibile. La ricerca, inizialmente contestata, è poi stata largamente confermata, e ha portato ad esempio allo sviluppo di metodi per la clonazione degli animali. • Nel 2006 invece Yamanaka, che ha 50 anni, è riuscito a sfruttare l'informazione raccolta da Gurdon dimostrando che delle cellule della pelle di topi possono essere riprogrammate e diventare immature. Il lavoro del ricercatore giapponese è partito dalla ricerca dei geni che mantengono le cellule pluripotenti ottenute dalle staminali embrionali immature. Dopo averne trovati quattro li ha inseriti, in differenti combinazioni, nei fibroblasti, le cellule del tessuto connettivo, scoprendo che 'basta' inserirli tutti e quattro per farle regredire.
  • 49. POTENZIALITA’: • Le cellule iPS sono una grande promessa per la cura di numerose patologie ad oggi incurabili. Esse infatti costituiscono una fonte di cellule per la sostituzione e la rigenerazione di tessuti danneggiati a causa di malattie, lesioni, difetti congeniti o invecchiamento. Si pensa che potranno anche essere usate per la creazione di farmaci. RISCHI: • Nonostante ciò, ci sono ancora molti problemi da risolvere. Uno dei geni usati (c-Myc) per ottenere le iPS è un noto oncogene che promuove la formazione di tumori come è stato riscontrato nei primi topi in cui sono state trapiantate. In seguito, il team di Yamanaka è riuscito nella creazione delle iPS senza utilizzare il c-Myc e, nonostante il processo sia più lungo e dia origine a meno cellule, nessuno dei 26 topi in cui sono state trasferite ha evidenziato la formazione di tumori. Lo stesso può essere fatto con cellule iPS ottenute da fibroblasti umani. • Altri studi hanno rivelato che le cellule derivate dalle iPS hanno un tasso di morte cellulare (apoptosi) più elevato di quelle derivate da cellule staminali embrionali. Inoltre, la loro capacità di proliferazione è molto minore. Le anomalie delle cellule iPS potrebbero essere dovute all'utilizzo dei virus nella loro formazione. • Infine, è stato recentemente dimostrato che il processo di riprogrammazione è responsabile di anomalie genetiche e danni sul DNA sotto forma di cancellazione o ingrandimento di regioni di genoma su alcuni cromosomi. Queste mutazioni alterano le proprietà delle cellule staminali impedendone l'utilizzo nella cura di malattie o nella creazione di farmaci. https://www.youtube.com/ watch?v=tXmmLGplyNc
  • 50. LE STAMINALI SONO ALLA BASE DELLA MEDICINA RIGENERATIVA La medicina rigenerativa a base di cellule staminali segue due filoni principali: 1. la terapia cellulare, che utilizza le cellule staminali così come sono; 2. la terapia genica, che modifica il corredo genetico delle cellule così che vengano corretti i difetti genetici che altrimenti continuerebbero a trasmettere la malattia nell’organismo.
  • 51. Il punto di forza delle cellule staminali è la loro capacità di trasformarsi in diversi tipi di cellule e i ricercatori nel mondo stanno studiando i processi di differenziazione cellulare. Così come tutto l’organismo umano, le staminali rispondono all’ambiente circostante e, se si riuscissero a capire i metodi per influenzarle in modo appropriato, si potrebbero migliorare le tecniche di ricostruzione dei tessuti danneggiati. Fino ad oggi, la maggior parte delle ricerche sono state fatte su supporto statico su cui vengono poi messe le cellule ma un team multidisciplinare, composto da ricercatori di diverse università e istituti tedeschi, ha utilizzato un'impalcatura dinamica. Gli scienziati si sono serviti di un foglio di polimero (SMPA) che si comporta come un muscolo artificiale e che risponde in modo reversibile ai cambiamenti di temperatura. L’idea è di far allungare il foglio man mano che la temperatura passa da quella corporea (37°C) a 10°C e, viceversa, di farlo contrarre quando viene riscaldato, in un ciclo di 60 minuti. Gli SMPA sono unici in questo senso, dato che hanno una buona resistenza (circa 500 cicli di cambio di temperatura). Una volta pronta e testata la base, sono state aggiunte le cellule staminali. Grazie allo stimolo termico e meccanico, le cellule staminali sono state indotte a trasformarsi in cellule ossee. Sfruttando le variazioni di temperatura e il ripetuto movimento del foglio polimerico, le cellule vengono in qualche modo istruite a fare quello che i ricercatori vogliono. L’importanza della scoperta di materiali programmabili che permettono il controllo sulle colture cellulari è fondamentale per aumentare il numero di sperimentazioni nell’ambito dell’ingegneria tissutale, abbassare i costi legati ai dispositivi di controllo utilizzati finora e replicare l’ambiente complesso in cui le cellule vivono. In questo caso sono state utilizzate le cellule staminali mesenchimali: un tipo di cellule multipotenti, note per la loro capacità di dare origine a diversi tipi di cellule del tessuto scheletrico (come ad esempio la cartilagine, le ossa ed il grasso), e particolarmente sensibili alle caratteristiche fisiche dell’ambiente circostante. Le applicazioni di questa tecnologia sono molteplici, ad esempio essere utilizzati per curare le fratture ossee più gravi e difficili da trattare, che il corpo non riesce a riparare in autonomia. Infatti, dopo un prelievo di cellule staminali del midollo osseo del paziente, queste ultime potrebbero essere coltivate sul foglio polimerico e applicate in seguito sull’osso rotto. Questo impiego delle staminali dovrebbe rafforzare l’osso in modo diretto e potrebbero diventare parte della tecnologia a disposizione dei chirurghi ortopedici per gestire le fratture complesse. È però fondamentale approfondire gli studi per comprendere quali combinazioni di stimoli siano le più efficaci per produrre tessuti utili alla rigenerazione del corpo umano. UNO STUDIO TEDESCO HA DIMOSTRATO COME DETERMINATI STIMOLI POSSANO INDURRE LE CELLULE STAMINALI A DIFFERENZIARSI IN TESSUTO OSSEO, IPOTIZZANDO APPLICAZIONI NELL’AMBITO DELLE FRATTURE GRAVI.
  • 52. Un cuore che non riceva il corretto apporto di ossigeno è destinato a morire. I tessuti si atrofizzano e non riescono più svolgere la loro funzione mandando il paziente incontro al rischio di infarto del miocardio (si parla allora di cardiopatia ischemica). Infatti, la causa di questa situazione è l’aterosclerosi che concorre all’ostruzione delle coronarie e aumenta il rischio di infarto. Per contrastare questa realtà i ricercatori hanno puntato all’utilizzo di cellule staminali e un team di ricerca guidato dal prof. Yoshiki Sawa, del Dipartimento di Chirurgia Cardiovascolare dell’Università di Osaka, è così riuscito a eseguire il primo trapianto di cellule muscolari cardiache al mondo. Tali cellule sono state ottenute da cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) del paziente stesso, sono state coltivate in laboratorio e, per la prima volta, sono state trapiantate, al posto di un nuovo organo, sul paziente. Si perché quando l’angioplastica o il bypass non siano più sufficienti, gli individui affetti da cardiopatia ischemica sono costretti a sottoporsi a un trapianto di cuore. Il prof. Sawa, che ha alle spalle una lunga esperienza in fatto di trapianti cardiaci e ha una grossa esperienza nel settore della terapia genica e della medicina rigenerativa, ha studiato la possibilità di prelevare cellule della pelle e del sangue per riportale ad uno stato embrionale pluripotente. È così che ha ottenuto le iPSC del paziente stesso. Tali cellule sono state poi indotte a differenziarsi in cellule cardiache da somministrare al cuore malato, sperando di vederle crescere e rimpiazzare quelle non più funzionanti per risparmiare così al paziente un intervento invasivo come il trapianto che non è privo di rischi. LO STUDIO CLINICO, CONDOTTO IN GIAPPONE, È IL PRIMO AL MONDO AD AVER UTILIZZATO CELLULE STAMINALI PLURIPOTENTI INDOTTE OTTENUTE IN LABORATORIO PER IL TRAPIANTO SUL CUORE DEL PAZIENTE.
  • 53. Un piccolo paziente colpito da una devastante malattia genetica che provoca lesioni sulla pelle è guarito grazie al trapianto di una nuova pelle generata a partire dalle sue cellule staminali, modificate con terapia genica. Il risultato è stato raggiunto con il lavoro fondamentale di un gruppo di ricercatori italiani. Li chiamano "bambini farfalla" perché hanno la pelle fragile come le ali di questi insetti. Sono i bambini che soffrono di epidermolisi bollosa, devastante malattia genetica che colpisce la pelle provocando la formazione di bolle, ulcere e lesioni in seguito al minimo trauma. La storia di questo doppio successo comincia nel giugno 2015, quando all'ospedale pediatrico di Bochum, in Germania, arriva Hassan, un bambino di sette anni affetto da epidermolisi bollosa giunzionale, una delle forme più gravi della malattia. A causarla, nel suo caso, è una mutazione del gene LAMB3, codificante per una componente di una proteina chiamata laminina-332, coinvolta nell'ancoraggio dell'epidermide. Se la laminina manca o è difettosa l'ancoraggio non funziona, provocando un'estrema fragilità della pelle. Le condizioni di Hassan sono sempre state piuttosto complicate; i medici non possono fare molto, salvo indurre un coma farmacologico per risparmiare dolore al bambino e spiegare ai genitori che l'unica possibilità per cercare di salvarlo è un approccio sperimentale che combina terapia con cellule staminali e terapia genica, messo a punto da un gruppo di ricerca italiano. I genitori acconsentono. Quella realizzata è una terapia genica classica: le cellule staminali recuperate da una biopsia cutanea del bambino sono state trattate con un vettore virale contenente la versione corretta del gene LAMB3, cioè una sequenza di materiale genetico virale opportunamente modificato per accogliere e veicolare il gene di interesse, in modo che possa integrarsi nel genoma dell'ospite e fare le veci di quello difettoso. A questo punto, le cellule corrette sono state coltivate fino a ottenere tanti fazzoletti di pelle transgenica (quadrati dal lato compreso tra i 7 e i 12 centimetri), pronti per essere trapiantati. Tutto lavoro fatto a Modena che ha raggiunto poi la Germania in meno di 48 ore perché i tessuti, una volta pronti, non possono aspettare. Per non correre rischi, la prima volta la pelle transgenica ha viaggiato su un jet privato, fino alla sala operatoria di Bochum. La conferma che ne era assolutamente valsa la pena è arrivata dieci giorni dopo il primo intervento, quando la rimozione delle garze ha rivelato una pelle rosea e sana. UNA NUOVA PELLE TRANSGENICA PER IL BAMBINO FARFALLA