1. CARTA GEOGRAFICA
GGI NON È un buon giorno. È
stato ucciso un ragazzo, l’altro
ieri, pensavamo per faccende
di armi o droga, ma abbiamo
scoperto che era per avere
una casa. Abbiamo paura, molta paura, è agua a fer-
ver [acqua che bolle]». Susana Monteiro lavora da an-
ni nei quartieri malfamati e nelle favelas e, nono-
stante tutti i suoi sforzi, sa che non avrà protezione
alcuna sul «luogo di lavoro».
Europa occidentale, Portogallo, Cascais, Fim do
Mundo. Anche qui, come negli slums di Los Angeles
o Ahmenabad, in India, o nelle favelas di São Paulo
e Fortaleza, in Brasile, quando una persona di car-
nagione bianca si aggira per le rovine arrangiate e
maleodoranti dei più poveri del mondo, è facile sen-
tirsi ospiti sgraditi in una delle tante «Ciudade de
Deus» [Città di Dio] descritte nel film di Fernando
Meirelles. È la fine del mondo, dove non ci sono più
speranze e prospettive: «So che un giorno quando
morirò riposerò… questa vita non è niente, la gen-
te se lo scorda, quindi non m’importa se ora sono
stanchissima, un giorno avrò da Dio quello che mi
merito». Vitoria Fernandez Simedo, 39 anni, origi-
naria di Capo Verde, non sogna neanche più un do-
mani migliore su questa Terra: «Il ricco deve dividere
con il povero, ma tanto ognuno ha quel che si meri-
ta ed io l’avrò nel Regno dei cieli». Parla così, men-
tre culla suo figlio, avvolto in uno scialle. Vitoria è
una delle abitanti di Fim do Mundo, una delle tante
baraccopoli vicino Lisbona.
Un «bairro social»
La differenza tra le bidonville italiane, francesi,
spagnole e quelle portoghesi sta nel fatto che in Por-
togallo il fenomeno non è locale e circoscritto, ma na-
zionale. Per questo da quattordici anni in Portogal-
lo si elaborano soluzioni a un problema che presto ri-
guarderà molti paesi dell’Unione europea, Italia com-
presa.
Fim do Mundo, definito dai tecnici «bairro social»,
cioè quartiere di interesse sociale, è un insieme di ba-
racche, detriti, spazzatura. Si sviluppa in una valle
scoscesa, anche se parlare di «sviluppo» in questo
luogo è totalmente inappropriato. Gli uomini sono si-
lenziosi, a prescindere dall’età, così come le donne di
origine «chigana» [zingara]. Le donne di origine afri-
cana invece parlano a voce alta delle ansie quoti-
diane del bairro, e il cellulare è anche qui un bene al-
la portata di tutti. Loro, che non hanno una casa, pos-
siedono cellulari, scarpe Nike, cappelli Timberland,
pantaloni Adidas: anche gli adolescenti esclusi dal-
la società ambiscono al consumo. Ci sono anche gli
«integralisti», quelli che vestono con indumenti afri-
cani, che ascoltano rap hardcore o kizomba capo-
verdiana, quelli che ti squadrano con disprezzo e che
suggeriscono la ribellione montante rappresentata
nell’«Odio», il film di Mathieu Kassovitz, e poi esplo-
sa nelle rivolte delle banlieues francesi del novem-
bre 2005: non a caso, su un muro di Fim do Mundo,
si legge una frase scritta in nero: «Paris em todos os
lados» [Parigi ovunque].
I visi degli abitanti sono provati dalle privazioni,
gli occhi tristi, preoccupati, ma anche attenti a pre-
servare il territorio, soprattutto quando un bianco
gira per il bairro. Non è la generica diffidenza ver-
so giornalisti o estranei curiosi: qui ci
sono grossi traffici di armi e droga. Al
secondo sopralluogo nel bairro sono
stato messo in guardia, dopo che Zé,
28 anni, è stato accoltellato a morte
per un appartamento: «Già abbiamo
avuto conflitti interni, ma questo è di
portata immensa: coinvolge due fa-
miglie di etnie differenti e tutti gli
abitanti di origine africana. Tu sei
bianco, se giri ti potrebbero identifi-
care come poliziotto in borghese o trafficante av-
versario, potrebbe succederti il peggio… è agua a fer-
ver», così ci spiega Susana Monteiro, sociologa del-
la Divisione di intervento socio-territoriale del co-
mune di Cascais, dove lavora insieme alle sue col-
leghe Marta Cotrim e Milan Jafar.
«Siamo molto vicini alla popolazione di Fim do
mundo, perché siamo quotidianamente in contatto
Viaggio
con le persone nelle baracche - Susana parla con
sguardo fermo ma preoccupato - La fine del piano di
rialloggiamento era prevista per il 2007, ma si arri-
verà a fine 2008. Il problema è capire quante fami-
glie ci sono nel bairro». Il piano di rialloggiamento,
o Per [Projecto para a discussão dos criterios de rea-
lojamento], applicato nel bairro nasce da una legge
specifica, la numero 163, approvata nel 1993 e che
prevede la demolizione delle baraccopoli
offrendo in cambio agli abitanti apparta-
menti in condomini costruiti apposita-
mente, con affitti «popolari», anzi simboli-
ci, in genere 5 euro al mese.
Nei barrios, di conseguenza, si può mo-
rire per accaparrarsi il diritto ad una nuo-
va abitazione. Recentemente, Lisbona è
stata teatro di una manifestazione per il di-
ritto all’abitazione, dove si accusavano al-
cune fondazioni private di aver stipulato
accordi sottobanco con i comuni per accaparrarsi gli
affitti dei nuovi stabili, al fine di alzarli fino al 15 mi-
la per cento rispetto ai tassi stabiliti dal comune.
«Nel bairro c’è molta solidarietà tra gli abitanti,
aspetto tipico degli africani, ma non si riesce a crea-
re un comitato rappresentativo», spiega Susana.
Della stessa opinione è anche Carlos Agostinho, 54
anni, originario della Guinea-Bissau, che vive da 16
di Gianluca Schinaia
O
a Fim
Cascais,sullacostaportoghese,
apochichilometridaLisbona.
Nonlontanodallespiaggedeituristi
edelsurf,c’èunafavelaabitata
damigrantiafricaniedarom.
Ilcomunehaunpianoperabbatterla,
eperunacasapopolaresipuòmorire.
do mundo
Nella favela cresce la rabbia.
E su un muro qualcuno
ha scritto con lo spray:
«Paris em todos os lados»
«
seconda parte9 6-03-2007 20:08 Pagina 18
2. SLUMS, BARACCHE E FAVELAS
Unmiliardodipersone
U
N’AGENZIA delleNazioniunite[Unhabitat]nelsuorapportodel2003«TheChal-
lengesofslums»hafornitolestimeufficialidellapopolazionechevivenellebi-
donville del pianeta: circa 1 miliardo e 15 milioni di persone. Cifra, secondo le
proiezioni, destinata a raddoppiare entro il 2030. Si tratta di esseri umani che vivono
senzaaccessoall’acquapotabile,aiserviziigienici,senzagaranziedipossesso,inspa-
zivitaliinsufficienti[inmedia3personeinstanzeda4metriquadrati]inabitazionifa-
tiscenti. Le cause di tutto questo sono i ritmi vorticosi dell’incremento demografico
globale. Londra impiegò 130 anni per passare da un milione di abitanti a 8, Bangkok
nehaimpiegati45,Dacca37,Seul25ecisonocittànelMedioorientecheraddoppianolapopolazioneogni
dieci anni. Secondo l’Onu, la formazione degli slum è connessa anche ai cicli economici, alla distribuzione
nazionaledelredditoe,negliannipiùrecenti,allepolitichedisviluppoeconomico.Inaltreparole,aglieffetti
negatividellaglobalizzazione.Nonsitrattadirealtàlontanedal Vecchiocontinente.Trentaannifalebarac-
copoli circondavano Parigi e Marsiglia, oggi sono a Barcellona e Napoli: 34 milioni di persone in Europa.
Carta n.9 No news / 19
A
na Cristina Xavier de Pina è una bella ragazza di
21 anni, sguardo profondo e maturo, tranquilla
e pacata nei gesti ma determinata e combattiva
nelle parole che ci dedica.
Come sei arrivata a Fim do Mundo?
Ho lasciato l’Angola quando avevo due anni. Mia nonna
abitava qui e l’abbiamo trovata in una baracca...non do-
vevamo rimanere qui, ma poi mia madre si è ammalata e
gli anni sono passati. Alla fine degli anni novanta un fun-
zionario del Comune di Cascais ci disse che non valeva la
pena aspettare una casa perchè tanto mia nonna non
avrebbe visto il ventunesimo secolo... invece è ancora su
questa terra. Ora abitiamo in un appartamento con due ca-
mere, ma la famiglia è cresciuta.
Aveteavutounacasa,alcontrariodimoltialtri,perchéri-
tieni che abbiate diritto ad una seconda abitazione?
Abitiamo qui da vent’anni e mia nonna da trenta, non è
giusto che a mia madre non sia stata assegnata una casa.
Ci sono persone che comprano casa fuori dal bairro ma
continuano a mantenere il diritto a un appartamento. La
vita qui è una palla di neve: arrivi casualmente da giova-
ne, non c’è educazione e non si usano preservativi o pillole
e quindi molte ragazze rimangono incinte e dovranno cre-
scere figli nelle baracche, per noi emarginati non c’è lavoro
quindi arriva la delinquenza...
Com’è la vita di ogni giorno nel bairro?
Mai avuto problemi con gli altri, ma conoscevo Zé [il ra-
gazzo ucciso, ndr.] e non è la prima tragedia che capita da
queste parti. È grande, il problema della droga: dopo l’ab-
battimento delle baracche del Bairro das Marianas il traf-
fico è passato nel nostro. Ci sono zone dove vivi nella pau-
ra, manca il lavoro e c’è esclusione sociale. Chi vive qui,
non esiste.
Tu sei riuscita ad integrarti nel mondo «di fuori»?
Sono contenta, oggi, lavoro per il comune di Cascais come
animatrice sociale e così è successo ad altri, ma ognuno
sceglie il proprio cammino e moltissimi si sono persi...
La discriminazione è frutto di circostanze isolate o il pro-
dotto di una sottocultura nazionale?
Il Portogallo è arretrato, c’è molta discriminazione, qui non
trovi banchieri con capelli lunghi e orecchini o comunque
di colore come in altre città europee. Ma questa genera-
zione deve portare cambiamenti e per i nostri figli sarà piú
facile scegliere strade come la mia.
anni a Fim do Mundo: «Ma ci sappiamo organiz-
zare anche senza rappresentanti». Come la mag-
gior parte degli abitanti del suo bairro, è un ope-
raio edile. Vive con sua moglie e due figli ed at-
tende la casa a cui ha diritto. Sorride: «Per me qui,
lavoro e casa, casa e lavoro. Ho sofferto a porta-
re la mia famiglia qui, così come quella notte,
quando un ragazzo, un ‘patrizio’ [cioè compa-
triota: gli africani si considerano
dello stesso Paese] angolano mi ha
puntato una pistola perché ero usci-
to a dirgli che faceva casino e mi ti-
rava la spazzatura sul tetto della ca-
sa». Carlos è entusiasta comunque
dell’Europa, e dice: «Qui sto bene,
quando son venuto pensavo di mi-
gliorare realmente le mie condizioni,
ma alla fine…».
Invece Vitoria, la madre che ab-
biamo incontrato all’inizio del giro nel bairro, non
ha diritto a ricevere una casa popolare: «Voglio
una casa... fa comodo anche a voi se i poveri pa-
gano luce ed elettricità. L’acqua è sudicia, il mio
tetto, le pareti, tutto è bucato, entra di tutto, l’u-
midità sta facendo a pezzi mio figlio, e lui non de-
ve soffrire quanto ho sofferto io», dice.
Vitoria è dura e determinata, mentre parla: «È
il mio primo e ultimo figlio, perché su questa Terra
non c’è abbastanza speranza per crescerne di più».
Pedro Costa, regista portoghese, ha ritratto nel
suo «Juventude em marcha» [Gioventù in marcia] il
disagio esistenziale che prova chi non ha mai avuto
poco più che una baracca e poi entra nella normalità
di una casa. Eppure a Lisbona ci sarebbero case vuo-
te per 250 mila cittadini [ancora poche, rispetto al-
le abitazioni inutilizzate potenzial-
mente utili a 400 mila persone che sono
state censite a Roma]. Per questo gli abi-
tanti dei bairros di Lisbona e quelli del-
la baraccopoli di Fim do Mundo stanno
protestando.
Molti di loro non hanno diritto ad
una casa, a causa della matematica bu-
rocratica, e dovranno perdere la propria
baracca perché in ogni caso il terreno al-
la Fine del Mondo verrà espropriato.
Curiosamente, servirà alla costruzione di una chie-
sa e di un grandissimo oratorio, che voci ben infor-
mate attribuiscono alla sfera di influenza dell’Opus
Dei. Un ragazzo che perderà presto la sua baracca e
non avrà in cambio un’abitazione compensativa
riassume lo sconcerto e la rabbia di tutti gli abitan-
ti del bairro: «Dio non può costruire la propria casa
sulle disgrazie degli uomini».
Zé aveva 28 anni ed è stato accoltellato perché fratello di una donna che
contesta il diritto alla casa al suo ex marito: l’assassino di Zé è il cugino di
quest’ultimo.LoscorsosettembreèbruciatalacasadiEdina,madredicin-
que figli, tutti arsi vivi, un mese prima di ottenere la tanto agognata abita-
zione. Fim do Mundo ha cinquant’anni, i primi abitanti erano zingari e por-
toghesi poverissimi. Poi arrivarono gli immigrati africani e altri portoghe-
si, in entrambi i casi persone che fuggivano dalle guerre coloniali, come
vittime o come reduci. Oggi la popolazione è quasi totalmente composta
da immigrati africani, soprattutto della Guinea-Bissau e di Capo Verde, e
da zingari, anche se è possibile trovare qualche portoghese. Ci sono 250
nucleifamiliarinellabaraccopolipiùconosciutadiCascaisedaltri190so-
no già stati rialloggiati. Gli uomini lavorano principalmente come operai e
le donne come domestiche. Gli abitanti delle favelas portoghesi sono sta-
ti censiti nel 1993: il punto è che solo chi è stato censito nel ’93 ha diritto a
un appartamento, e però tutte le baracche dovranno essere abbattute.
ZÉ È MORTO PER LA CASA
Cascais
Nella foto grande,
di Vladimiro Bilancetti,
uno scorcio della favela
di Fim do mundo.
In alto, un gruppo
di abitanti
del «bairro»
e più sotto
gli ombrelloni
di uno dei tanti
stabilimenti balneari
di Cascais.
di Gi. Sc.
«Quilavitaècome
unapalladineve»
o
Le barracche di lamiera
dovrebbero sparire.
Al loro posto una chiesa
e un oratorio dell’Opus Dei
seconda parte9 6-03-2007 20:08 Pagina 19