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SMARTPHONE, SOCIAL NETWORK
E INTERNET: SIAMO DIPENDENTI?
LA DIPENDENZE TECNOLOGICHE
A. CAVIGLIA
PERCHÉ QUESTA PRESENTAZIONE?
2
Ciao! Quello che ho raccolto in questa presentazione è il primo
capitolo della mia tesi di laurea triennale in Marketing, corso che
ho frequentato alla Università degli Studi di Genova -
Dipartimento di Economia. È quindi una presentazione con molto
testo, ma l’intento è proprio quello di riportare integralmente la
mia tesi, per presentare in maniera più completa possibile queste
tematiche.
All’interno di questa tesi, ho affrontato nel primo capitolo le
dipendenze da social network e da smartphone e poi ho
presentato una possibile, limitata soluzione al problema.
Ho deciso di pubblicare questo capitolo perché mi sto sempre più
dedicando agli aspetti sociali che i device che usiamo ogni giorno
stanno radicalmente instaurando nella nostra vita e, seppur non
abbia un background socio-psicologico, mi affascinano queste
tematiche.
Inoltre, sono sicuro che, seppur limitatamente, ognuno di noi
possa ritrovarsi all’interno di almeno uno dei casi descritti
successivamente e possa quindi mettere in atto comportamenti
consapevoli per limitarne gli effetti.
CONOSCERE SE STESSI È L’INIZIO
DELLA SAGGEZZA [ARISTOTELE]
INSIEME, MA SOLI - SHERRY TURKLE
3
La riflessione parte dal lavoro di Sherry Turkle, professoressa di Studi sociali su Scienza e Tecnologia al
Massachusetts Institute of Technology, nonché sociologa e psicologa clinica. La dott. ssa Turkle studia
da anni l’interazione tra l’uomo e la tecnologia e ha pubblicato numerosi libri sul tema, tra cui “Alone
Together: Why We Expect More from Technology and Less from Each Other”.
In una TED talk del 2012, la sociologa parla appunto dei problemi che la tecnologia sta evidenziando, di
come non siamo più in grado di avere una conversazione, di come siamo ormai incapaci di stare da soli.
L’analisi della dottoressa parte dall’idea che la tecnologia non solo sta cambiando quello che facciamo,
ma ha cambiato direttamente noi. L’idea non è solo di non riuscire più a relazionarsi con gli altri, ma
bensì di non capire più come stare con sé stessi.
Credo sia capitato ad ognuno di noi di essere con amici o magari in una riunione e controllare
ossessivamente il proprio cellulare: le persone vogliono stare insieme ai propri amici, ma al tempo
stesso vogliono essere ovunque nel mondo, connessi con tutti e tutto. Il vero problema è che le persone
stanno iniziando a stare insieme ma soli.
Secondo quanto affermato all’interno del suo talk, numerose persone hanno confidato alla dott. ssa
Turkle la speranza di avere, un giorno, un assistente vocale che possa essere più un amico, che un
semplice software. Oltre a evidenziare grandi problemi etici, il vero problema è la continua necessità di
avere qualcuno che possa ascoltarci. In questi anni stanno anche nascendo sempre più robot sociali,
programmati per essere nostri compagni o aiutanti, magari in determinate situazioni, come con gli
anziani o con in bambini. Vuole questo dire che non abbiamo più speranza gli uni degli altri? Come
spiega Alec Ross nel suo libro “Il nostro futuro”, in determinate situazioni, come la cura degli anziani in
Paesi con lunga aspettativa di vita come il Giappone, la necessità di avere robot in grado di svolgere
lavori anche a contatto con persone sarà imprescindibile. Ma dovranno essi rivestire anche ruoli che
richiedono empatia con le persone? È questa una domanda alla quale non possiamo rispondere e che
apprenderemo solo in futuro.
A. CAVIGLIA
CONDIVIDO, DUNQUE SONO
Quello che è certo, continua la sociologa, è che si stanno creando tecnologie che ci daranno l’illusione
della compagnia ma senza il bisogno dell’amicizia. I nostri telefoni ci offrono tre fantasie gratificanti:
“Uno, che possiamo rivolgere l'attenzione dovunque vogliamo; due, che saremo sempre ascoltati; e
tre, che non dovremo più essere soli”.
La paura di restare soli porta le persone a voler essere sempre connesse: ma in questo caso la
connessione è più un sintomo che una cura, che sta creando un intero nuovo modo di essere.
“Penso, dunque sono.” scriveva Cartesio. “Condivido, quindi sono”, scriviamo nel terzo millennio. Se
non riusciamo ad avere una connessione, non proviamo effettivamente quella sensazione. Se non
possiamo condividere quella emozione, allora la rinchiudiamo, la uccidiamo. Secondo la dottoressa
Turkle, il continuo desiderio di essere connessi ci rende sempre più soli, poiché, dal momento in cui
non siamo più in grado di stare da soli, tenderemo a sentirci ancora più soli.
La necessità è quella di “cominciare a pensare alla solitudine come una cosa buona”, di creare uno
spazio per la solitudine e per la conversazione, cercando di capire dove la tecnologia ci sta guidando,
che cosa la tecnologia ci sta costando.
Secondo uno studio del 2012 condotto da due università del Essex, la presenza di un cellulare su un
tavolo induce due persone, posizionate a quel tavolo con il compito di parlare per una decina di minuti,
a sentirsi più distanti, meno in empatia con il proprio partner. I ricercatori hanno scoperto anche che la
presenza del cellulare è determinante a seconda della qualità della discussione stessa: più sono
significativi e profondi i discorsi affrontati, più le persone rimanevano fredde nei confronti del proprio
interlocutore. La tecnologia, nata con lo scopo di unirci, ha completamente cambiato il modo in cui noi
vogliamo esserlo: se anche solo venti anni fa i bambini passavano il dopocena giocando nella piazza
della città, i loro coetanei del 2017 lo passano connessi al cellulare, giocando o sui social media.
La sociologa conclude il suo TED Talk invitando ad usare la tecnologia in una maniera diversa, in un
modo che possa ricondurci alle nostre vite, alle nostre comunità, alla politica e al pianeta. È importante
segnalare come la dottoressa Turkle non sia contraria alla tecnologia, ma bensì voglia segnalarci
l’importanza di un utilizzo consapevole e diverso di essa, per rendere più vere le nostre esistenze.
4A. CAVIGLIA
UN ANNO SENZA INTERNET
Lo scrittore e giornalista tecnologico Paul Miller ha raccontato, in una TEDx, la sua esperienza senza
internet durata un anno, tra il 2012 e il 2013. All’interno del suo discorso, Miller usa queste parole “I
also had very different interactions with people, and this is something that’s been talked by so many
people so much about. You know, this Facebook really bring us together with people or are we just
hiding in our computers pretending that we have friends? And what I found is that without the
internet I could be with a person in a much more intense and much more personal way. Those are
words people use, like that was intense, it was intense hanging out with you”.
La sorella di Miller, a seguito di un loro appuntamento, gli ha confermato questa sensazione,
definendo il fratello più “emotionally available”. Questa esperienza personale sembra confermare
quanto provato dagli studi citati dalla dottoressa Turkle.
Il consiglio di Miller, generato dopo il suo ritorno all’utilizzo di internet, è quello di prendere
controllo su di esso, visto che è ciascuna persona a modificare le proprie abitudini in base ad internet:
nel momento in cui la connessione prende il sopravvento, dobbiamo essere noi stessi a disconnetterci
da essa. Bisogna trovare l’equilibrio.
5A. CAVIGLIA
LA DIPENDENZA DA SMARTPHONE
Secondo quanto riportato sul Mobility Report di Ericsson il numero di smartphone nel 2016 era vicino ai quattro miliardi, mentre il
numero di sottoscrizioni a device mobile ammontava a circa sette miliardi e mezzo di sottoscrizioni. Le proiezioni al 2022 segnalano una
crescita del numero di smartphone fino a 6,8 miliardi.
L’avvento di una nuova tecnologia come quella degli smartphone ha creato anche quella che è stata definita una vera e propria dipendenza.
In una ricerca condotta nel 2007 da V. Hooper e Y. Zhou intitolata “Addictive, dependent, compulsive? A study of mobile phone usage”
vengono evidenziati, in base alla letteratura, sei diverse tipologie di comportamenti che si possono riscontrare sui soggetti che utilizzano il
cellulare.
Le sei tipologie sono:
1. Addictive behaviour: un addiction behaviour, così come definito da Hanley e William nel 1992, è una attività, oggetto o
comportamento che è diventato il maggior focus di una persona nella propria vita fino ad escludere altre attività. In questo caso, un
incontrollabile e involontario uso del cellulare porta a definire queste persone come addicted.
2. Compulsive behaviour: secondo O’Guinn e Faber (1989) un compulsive behaviour è un comportamento ripetitivo che l’individuo
affetto sperimenta continuamente l’urgenza di fare. Tale comportamento è veramente difficile da fermare e porta anche a
conseguenze economiche, psicologiche o sociali.
3. Dependant behaviour: questo comportamento è diverso dalla addiction precedentemente descritta in quanto è spesso motivata dalla
correlata importanza di una norma sociale, che in questo caso è la comunicazione.
4. Habitual behaviour: comportamenti che molti individui regolarmente eseguono possono essere considerati abituali, poiché sono
compiuti con una bassa consapevolezza mentale (Biel et al, 2005).
5. Voluntary behaviour: comportamento guidato da specifiche motivazioni, collegato spesso ad un impatto positivo (Kang, Lee, Lee e
Choi, 2007).
6. Mandatory behaviour: comportamento che necessita di essere svolto, seguito o rispettato, generalmente perché ufficialmente
richiesto (Aoki e Downes, 2003).
Dopo l’analisi del sondaggio somministrato a 184 studenti universitari, lo studio ha evidenziato fattori attendibili (in base all’alpha di
Cronbach calcolato) solo su tre dei sei comportamenti descritti precedentemente e in particolare per i mandatory, voluntary e dependent
behaviours, evidenziandoli quindi come i comportamenti più comuni tra gli universitari.
Si fa notare che, nella sezione “Conclusion and directions for future research”, i due ricercatori scrivono “Future research would need to
explore mobile phone usage in terms of each behaviour type (except possibly addictive behaviour) in greater depth.”, quasi a segnalare
come un comportamento di tipo addictive potesse non essere neppure contemplato in futuro.
6
6,8
MILIARDI DI
SMARTPHONE
NEL 2022
CIRCA 4
MILIARDI DI
SMARTPHONE
NEL 2016
A. CAVIGLIA
UNA VERA E PROPRIA ADDICTION
La stessa tipologia di ricerca è stata condotta nel 2012 dal professor Richard Shambare della Tshwane University of Technology in
Sud Africa su un campione di 93 studenti, liceali e universitari. I risultati della ricerca sono stati poi pubblicati in una ricerca dal titolo
evocativo “Are mobile phones the 21st century addiction?”. A differenza di quanto scoperto da Hooper e Zhou, le tre tipologie di
comportamento evidenziate da questa ricerca sono state dependant, habitual e addictive behaviours, mostrando quindi un deciso
aggravamento delle condizioni di utilizzo dei cellulari.
In un paper scritto dal Dottor Mark Griffiths, Professore di Studi sul gioco di azzardo alla Nottingham Trent University, i veri e propri
casi di dipendenza sono pochi. Infatti, secondo la sua ricerca, la dipendenza dallo smartphone si ha esclusivamente quando si
risponde “Sì” ad almeno sei delle seguenti domande:
- Il mio telefono cellulare è la cosa più importante della mia vita;
- Sono nati alcuni conflitti tra me e la mia famiglie e/o il mio partner sull’ammontare di tempo che spendo al cellulare;
- L’utilizzo del mio telefono cellulare spesso ostacola altre importanti cose che dovrei fare, come lavorare, studiare, ecc.;
- Spendo più tempo sul mio cellulare che in qualsiasi altra attività;
- Uso il mio cellulare come un modo per cambiare il mio mood;
- Col tempo, ho aumentato l’ammontare delle ore che passo sul cellulare durante il giorno;
- Se non posso utilizzare il mio cellulare mi sento lunatico e irritabile;
- Ho spesso forti urgenze di usare il mio telefono cellulare;
- Se taglio l’ammontare di ore che passo sul mio cellulare e poi ricomincio ad usarlo nuovamente, finisce sempre che passo più
tempo sul telefono di quanto facessi prima;
- Ho mentito ad altre persone circa il tempo di utilizzo del mio telefono cellulare.
Come è facilmente comprensibile leggendo le frasi sopra riportate, la dipendenza è una condizione medica molto rara e difficile da
riscontrare. Molto più probabilmente, quello che molte persone riscontrano è una ossessione, più che una dipendenza, osserva il
dottor Larry Rosen, Professore emerito del Dipartimento di Psicologia alla California State University. L’utilizzo dello smartphone
sembra correlato ad una ricerca di un mezzo per ridurre l’ansia. In uno studio, ad alcuni tester, divisi tra heavy, middle e light user del
proprio smartphone, sono stati sottratti i cellulari per un periodo di 75 minuti. I loro livelli di ansia sono stati quindi registrati dopo
dieci, trenta e cinquanta minuti. L’esperimento ha dimostrato una significativo aumento del livello di ansia per gli heavy user, un
aumento minore per i middle e nessun aumento per low user, correlando quindi in maniera empirica il livello di ansia con la mancata
possibilità di utilizzo del proprio cellulare. Un altro studio ha evidenziato un crescente livello di ansia nel momento in cui non è
consentito ad alcuni tester di rispondere al proprio iPhone: aumento del battito cardiaco, aumento della pressione sanguigna,
sudorazione eccessiva e decremento delle performance cognitive sono stati i sintomi riscontrati dai ricercatori sui tester in esame.
7
“MOBILE PHONE USAGE IS
A COMPULSIVE AND
ADDICTIVE DISORDER
WHICH LOOKS SET TO
BECOME ONE OF THE
BIGGEST NON-DRUG
ADDICTIONS IN THE 21ST
CENTURY” (MADRID, 2003).
A. CAVIGLIA
NOMOFOBIA E TEXTAPHRENIA
Il Collins Dictionary definisce la nomofobia come “uno stato di stress causato dalla mancanza di
accesso o dall’impossibilità di usare il proprio cellulare”. Deriva dalla crasi tra le parole no – mobile
e fobia ed è stata usata per la prima volta nel 2008.
Urbandictionary definisce invece la textaphrenia come “la sensazione di aver sentito l’arrivo di un
nuovo messaggio quando in realtà non è successo”. Questa parola è stata coniata dai ricercatori del
MRIT dell’Università di Melbourne, nel 2010.
Una ricerca condotta dall’azienda di sicurezza informatica SecurEnvoy nel 2012 su un gruppo di
mille cittadini inglesi ha rilevato che almeno due terzi degli intervistati soffriva di nomofobia, l’11%
in più rispetto ad un test simile di quattro anni prima. Il sondaggio evidenzia una correlazione tra
l’età e la predisposizione alla nomofobia: il gruppo di rispondenti più giovane, con una età compresa
tra i 18 e i 24 anni, ha evidenziato una percentuale di affetti da nomofobia pari al 77%, l’11% in più
rispetto al gruppo successivo (25-34 anni). La ricerca avverte anche che coloro che passano più di tre
ore al giorno sul proprio smartphone sono ovviamente più predisposti per la nomofobia.
La dottoressa Carroll del Royal Melbourne Institute of Technology, autrice di uno studio sulla
textaphrenia, ha evidenziato come questa sensazione di disagio porta gli adolescenti a ritenere che
nessuno pensi a loro, visto che non ricevono messaggi. Questo disordine post-traumatico porta a
conseguenze fisiche e mentali, come insicurezza, ansia, delusione, fino alla depressione.
Sono stati anche evidenziati casi di crescita abnorme del pollice causati dal troppo texting tra
adolescenti giapponesi.
8A. CAVIGLIA
FOMO - FEAR OF MISSING OUT
Nata come idea la paura di perdersi una festa a cui non si può mancare, la “Paura di mancarlo / di essere tagliati fuori” ha assunto negli ultimi anni una connotazione relativa agli ambienti dei social
network. Comparsa per la prima volta nel 2004, coniata dal Patrick McGinnis in un articolo pubblicato sul magazine dell’Harvard Business Review, la FoMO è definita su urbandictionary.com come
“A form of social anxiety - a compulsive concern that one might miss an opportunity or satisfying event, often aroused by posts seen on social media websites.”. Come si può capire dalla definizione
stessa, la FoMO è una condizione che nasce in un mondo ancora poco pervaso dai social network. La loro diffusione, però, ha fatto in modo che aumentassero drasticamente le possibilità di vedere i
propri amici e conoscenti impegnati in attività di cui non si era a conoscenza, a cui si avrebbe voluto partecipare.
La correlazione tra la FoMO e i social network è stata studiata successivamente. Nell’Aprile 2013, un gruppo di ricercatori di Psicologia di varie università, guidati da Andrew K. Przybylski, Ph. D
di Oxford, ha condotto la prima ricerca sperimentale sulla FoMO, arrivando ad una serie di conclusioni:
- La FoMO è la forza che guida i social network;
- I livelli di FoMO più alti si riscontrano nei giovani ed, in particolare, nei maschi;
- Bassi livelli di soddisfazione della propria vita sono correlati ad alti livelli di FoMO;
- La FoMO è alta in coloro che si distraggono alla guida;
- La FoMO è alta negli studenti che si distraggono durante le lezioni.
È palese quindi notare come ci sia correlazione stretta tra l’utilizzo di social network e la FoMO ed anzi, come quest’ultima sia drasticamente aumentata a causa di essi. Infatti, i social media non
solo sono utilizzati per conoscere le attività svolte dai propri contatti, ma anche per lamentarsi della propria condizione, spesso messa in confronto con quanto i propri coetanei fanno nello stesso
momento. Si pensi, ad esempio, a quando si scorre la bacheca di Facebook durante il sabato sera: post di persone in festa si alternano con foto di piumone e tv con commenti come “Mentre i miei
coetanei si divertono, io…”. Sebbene inconsapevolmente e senza conseguenze, anche questi sono esempi di FoMO.
Ma esistono rimedi per superare questa paura?
Secondo quanto afferma Martha Beck, sociologa e life-coach statunitense, ci sono almeno tre rimedi per superare tale condizione:
1. Essere consapevoli che la FoMO è basata su bugie: i social raccontano solo la miglior parte di ciascuno di noi. Difficilmente le persone raccontano dei minuti passati in coda in banca o
comunque dei momenti in cui svolgono attività “normali”. I racconti sui social riguardano i momenti speciali, quelli per cui veramente può nascere l’invidia sociale;
2. Combattere la FoMO con la FoMO: bisogna cambiare il significato che diamo all’acronimo FoMO. Invece che Fear of Missing Out, la possiamo definire “Feel Okay More Often”;
3. Fermarsi: rendersi conto che le cose importanti stanno succedendo qui ed ora, non in un immaginario e “facebookiano” cyber mondo.
9A. CAVIGLIA
HIKIKOMORI
La parola giapponese hikikomori, coniata nel 1998 dallo psicologo giapponese Tamaki Saitō, è formata
dalle parole hiku "tirare" e komoru "ritirarsi" e vuole dire “stare in disparte, isolarsi” ed identifica un
fenomeno nato in Giappone dalla metà degli anni Ottanta. Le persone affette da tale fenomeno tendono
ad escludersi volontariamente dalla vita sociale, isolandosi completamente per lunghi periodi di tempo,
mesi, anni se non addirittura per tutta la vita.
Tali persone presentano caratteristiche comuni:
- Rifiuto scolastico e/o lavorativo;
- Ritiro completo dalla società per lunghi periodi;
- Depressione;
- Comportamenti ossessivo-compulsivi;
- Ritmi circadiani completamente invertiti.
All’origini di questa auto-esclusione vi sono diverse possibili cause:
- Disturbi pervasivi dello sviluppo: una evoluzione di questi disturbi (di cui fanno parte anche la
sindrome di Asperger e l’autismo) potrebbe essere alla base di alcuni casi di hikikomori;
- Competitività sociale: vista la forte competizione che la società giapponese instaura nei propri
giovani, dove il mancato riconoscimento accademico e lavorativo è visto come un grave
fallimento, si instaura negli hikikomori un desiderio di isolarsi per non conformarsi alla società;
- Ijime: fenomeno che può essere assimilato a quello che in Italia viene definito “bullismo”;
- Vergogna: molto spesso, gli hikikomori sono ragazzi che provano un profondo senso di vergogna,
dovuto a condizioni economiche o sociali, e che preferiscono quindi non mostrarsi fisicamente
nella società per non sentire questo sentimento di vergogna.
Le ricerche, ad oggi, non associano il fenomeno degli hikikomori con quello della dipendenza da internet,
poiché spesso risulta che durante la loro auto reclusione, essi passino tempo leggendo, guardando film o
scrivendo. Tuttavia è evidente la correlazione tra l’utilizzo di internet e la condizione di hikikomori, visto
che molto spesso essi creano nel mondo digitale le proprie relazioni, prediligendo la messaggistica alla
videochat e instaurando relazioni attraverso i social media e internet in generale. Il mezzo di internet
viene spesso utilizzato anche dai medici per avvicinare gli hikikomori, per diagnosticare la condizione e
per provare a curarla, spesso non presentandosi come medici ma come coetanei degli hikikomori.
In Italia, il fenomeno è presente, con stime che si aggirano intorno ai trentamila individui.
10A. CAVIGLIA
A. CAVIGLIA
CONCLUSIONI
Partendo da queste riflessioni sulla dipendenza, più o meno grave, più o meno manifesta, che riguarda la maggior parte delle persone ed anche noi stessi, dai social
network, dal proprio cellulare e da Internet, si è provato a capire come creare uno strumento che possa aiutare a combattere queste condizioni.
Vediamo due possibili soluzioni al problema, in antitesi tra loro.
La prima consiste nel totale rifiuto della tecnologia. Vediamo però questa ipotesi come utopica: cellulari, social network ed internet sono e saranno presenti nelle nostre
vite, ancora per alcuni anni almeno.
La seconda soluzione consiste nell’utilizzare la tecnologia come supporto per favorire le relazioni sociali, tentando, in seconda istanza, di combattere queste tipologie di
problemi, provando a far tornare indietro le persone, a quando la vita si viveva molto di più offline che online.
Tenendo a mente queste considerazioni si è deciso di partire da una app per iOS e Android.
Per questo motivo è stata creata JoinMeApp.
11
FONTI IN ORDINE DI PRESENTAZIONE
‣ Sherry Turkle, “Connected, but alone?”, risorsa reperibile al link: http://www.ted.com/talks/sherry_turkle_alone_together (consultato in data 2 luglio 2017)
‣ Jessica Love, “We need to chat”, risorsa reperibile al link: https://theamericanscholar.org/we-need-to-chat/# (consultato il 2 luglio 2017)
‣ Paul Miller, “A year offline, what I have learned”, TEDxEutropolis, risorsa reperibile al link: https://www.youtube.com/watch?v=trVzyG4zFMU (consultato il 2 luglio 2017)
‣ Ericsson Mobility Report, novembre 2016, risorsa reperibile al link: https://www.ericsson.com/assets/local/mobility-report/documents/2016/ericsson-mobility-report-
november-2016.pdf (consultato il 2 luglio 2017)
‣ Hooper V., Zhou Y., 2007, “Addictive, dependent, compulsive? A study of mobile phone usage”https://pdfs.semanticscholar.org/f940/1cd66fd7e86eafc30f019d3a480ff7bf182d.pdf
(consultato il 2 luglio 2017)
‣ Griffiths M.D., 2013, “Adolescent mobile phone addiction: A cause for concern?”, risorsa reperibile al link: http://www.academia.edu/3372702/
Griffiths_M.D._2013_._Adolescent_mobile_phone_addiction_A_cause_for_concern_Education_and_Health_31_76-78 (consultato il 2 luglio 2017)
‣ Cheever N., Rosen L., Carrier M., Chavez A., “Out of sight is not out of mind: The impact of restricting wireless mobile device use on anxiety levels among low, moderate and high
users” risorsa reperibile al link: http://www.csudh.edu/psych/Out_of_sight_is_not_out_of_mind-Cheever,Rosen,Carrier,Chavez_2014.pdf (consultato il 2 luglio 2017)
‣ R. Clayton, G. Leshner e A. Almond, “The extended iSelf: the impact of iPhone separation on cognition, emotion and physiology”, risorsa reperibile al link: http://
onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/jcc4.12109/full (consultato il 2 luglio 2017) Definizione di nomofobia, https://www.collinsdictionary.com/it/dizionario/inglese/nomophobia
‣ Definizione di textaphrenia, http://www.urbandictionary.com/define.php?term=Textaphrenia
‣ Kung V., “Rise of 'nomophobia': More people fear loss of mobile contact”, risorsa reperibile al link: http://edition.cnn.com/2012/03/06/tech/mobile/nomophobia-mobile-addiction/
(consultato il 2 luglio 2017)
‣ A. K. Przybylski, K. Murayama, C. R. DeHaan, V. Gladwell, “Motivational, emotional, and behavioral correlates of fear of missing out”, risorsa reperibile al link: http://
www.demardsivas.com/yonetim/tarifediger/erzurum/deneme-fomos.pdf (consultato il 2 luglio 2017)
‣ “Hikikomori: gli adolescenti chiusi in una stanza Il disagio giapponese dilaga in Italia”, “L’Espresso” online, risorsa reperibile al link: http://espresso.repubblica.it/visioni/societa/
2015/06/17/news/hikikomori-gli-adolescenti-chiusi-in-una-stanza-il-disagio-giapponese-dilaga-in-italia-1.217500/amp/ (consultato il 2 luglio 2017)
12A. CAVIGLIA
A. CAVIGLIA
SE VUOI CONNETTERTI CON ME
13
ALBERTO CAVIGLIA
@ILNONNOALBERTO
@ILNONNOALBERTO

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Smartphone, Social Network e Internet: siamo dipendenti?

  • 1. SMARTPHONE, SOCIAL NETWORK E INTERNET: SIAMO DIPENDENTI? LA DIPENDENZE TECNOLOGICHE
  • 2. A. CAVIGLIA PERCHÉ QUESTA PRESENTAZIONE? 2 Ciao! Quello che ho raccolto in questa presentazione è il primo capitolo della mia tesi di laurea triennale in Marketing, corso che ho frequentato alla Università degli Studi di Genova - Dipartimento di Economia. È quindi una presentazione con molto testo, ma l’intento è proprio quello di riportare integralmente la mia tesi, per presentare in maniera più completa possibile queste tematiche. All’interno di questa tesi, ho affrontato nel primo capitolo le dipendenze da social network e da smartphone e poi ho presentato una possibile, limitata soluzione al problema. Ho deciso di pubblicare questo capitolo perché mi sto sempre più dedicando agli aspetti sociali che i device che usiamo ogni giorno stanno radicalmente instaurando nella nostra vita e, seppur non abbia un background socio-psicologico, mi affascinano queste tematiche. Inoltre, sono sicuro che, seppur limitatamente, ognuno di noi possa ritrovarsi all’interno di almeno uno dei casi descritti successivamente e possa quindi mettere in atto comportamenti consapevoli per limitarne gli effetti. CONOSCERE SE STESSI È L’INIZIO DELLA SAGGEZZA [ARISTOTELE]
  • 3. INSIEME, MA SOLI - SHERRY TURKLE 3 La riflessione parte dal lavoro di Sherry Turkle, professoressa di Studi sociali su Scienza e Tecnologia al Massachusetts Institute of Technology, nonché sociologa e psicologa clinica. La dott. ssa Turkle studia da anni l’interazione tra l’uomo e la tecnologia e ha pubblicato numerosi libri sul tema, tra cui “Alone Together: Why We Expect More from Technology and Less from Each Other”. In una TED talk del 2012, la sociologa parla appunto dei problemi che la tecnologia sta evidenziando, di come non siamo più in grado di avere una conversazione, di come siamo ormai incapaci di stare da soli. L’analisi della dottoressa parte dall’idea che la tecnologia non solo sta cambiando quello che facciamo, ma ha cambiato direttamente noi. L’idea non è solo di non riuscire più a relazionarsi con gli altri, ma bensì di non capire più come stare con sé stessi. Credo sia capitato ad ognuno di noi di essere con amici o magari in una riunione e controllare ossessivamente il proprio cellulare: le persone vogliono stare insieme ai propri amici, ma al tempo stesso vogliono essere ovunque nel mondo, connessi con tutti e tutto. Il vero problema è che le persone stanno iniziando a stare insieme ma soli. Secondo quanto affermato all’interno del suo talk, numerose persone hanno confidato alla dott. ssa Turkle la speranza di avere, un giorno, un assistente vocale che possa essere più un amico, che un semplice software. Oltre a evidenziare grandi problemi etici, il vero problema è la continua necessità di avere qualcuno che possa ascoltarci. In questi anni stanno anche nascendo sempre più robot sociali, programmati per essere nostri compagni o aiutanti, magari in determinate situazioni, come con gli anziani o con in bambini. Vuole questo dire che non abbiamo più speranza gli uni degli altri? Come spiega Alec Ross nel suo libro “Il nostro futuro”, in determinate situazioni, come la cura degli anziani in Paesi con lunga aspettativa di vita come il Giappone, la necessità di avere robot in grado di svolgere lavori anche a contatto con persone sarà imprescindibile. Ma dovranno essi rivestire anche ruoli che richiedono empatia con le persone? È questa una domanda alla quale non possiamo rispondere e che apprenderemo solo in futuro. A. CAVIGLIA
  • 4. CONDIVIDO, DUNQUE SONO Quello che è certo, continua la sociologa, è che si stanno creando tecnologie che ci daranno l’illusione della compagnia ma senza il bisogno dell’amicizia. I nostri telefoni ci offrono tre fantasie gratificanti: “Uno, che possiamo rivolgere l'attenzione dovunque vogliamo; due, che saremo sempre ascoltati; e tre, che non dovremo più essere soli”. La paura di restare soli porta le persone a voler essere sempre connesse: ma in questo caso la connessione è più un sintomo che una cura, che sta creando un intero nuovo modo di essere. “Penso, dunque sono.” scriveva Cartesio. “Condivido, quindi sono”, scriviamo nel terzo millennio. Se non riusciamo ad avere una connessione, non proviamo effettivamente quella sensazione. Se non possiamo condividere quella emozione, allora la rinchiudiamo, la uccidiamo. Secondo la dottoressa Turkle, il continuo desiderio di essere connessi ci rende sempre più soli, poiché, dal momento in cui non siamo più in grado di stare da soli, tenderemo a sentirci ancora più soli. La necessità è quella di “cominciare a pensare alla solitudine come una cosa buona”, di creare uno spazio per la solitudine e per la conversazione, cercando di capire dove la tecnologia ci sta guidando, che cosa la tecnologia ci sta costando. Secondo uno studio del 2012 condotto da due università del Essex, la presenza di un cellulare su un tavolo induce due persone, posizionate a quel tavolo con il compito di parlare per una decina di minuti, a sentirsi più distanti, meno in empatia con il proprio partner. I ricercatori hanno scoperto anche che la presenza del cellulare è determinante a seconda della qualità della discussione stessa: più sono significativi e profondi i discorsi affrontati, più le persone rimanevano fredde nei confronti del proprio interlocutore. La tecnologia, nata con lo scopo di unirci, ha completamente cambiato il modo in cui noi vogliamo esserlo: se anche solo venti anni fa i bambini passavano il dopocena giocando nella piazza della città, i loro coetanei del 2017 lo passano connessi al cellulare, giocando o sui social media. La sociologa conclude il suo TED Talk invitando ad usare la tecnologia in una maniera diversa, in un modo che possa ricondurci alle nostre vite, alle nostre comunità, alla politica e al pianeta. È importante segnalare come la dottoressa Turkle non sia contraria alla tecnologia, ma bensì voglia segnalarci l’importanza di un utilizzo consapevole e diverso di essa, per rendere più vere le nostre esistenze. 4A. CAVIGLIA
  • 5. UN ANNO SENZA INTERNET Lo scrittore e giornalista tecnologico Paul Miller ha raccontato, in una TEDx, la sua esperienza senza internet durata un anno, tra il 2012 e il 2013. All’interno del suo discorso, Miller usa queste parole “I also had very different interactions with people, and this is something that’s been talked by so many people so much about. You know, this Facebook really bring us together with people or are we just hiding in our computers pretending that we have friends? And what I found is that without the internet I could be with a person in a much more intense and much more personal way. Those are words people use, like that was intense, it was intense hanging out with you”. La sorella di Miller, a seguito di un loro appuntamento, gli ha confermato questa sensazione, definendo il fratello più “emotionally available”. Questa esperienza personale sembra confermare quanto provato dagli studi citati dalla dottoressa Turkle. Il consiglio di Miller, generato dopo il suo ritorno all’utilizzo di internet, è quello di prendere controllo su di esso, visto che è ciascuna persona a modificare le proprie abitudini in base ad internet: nel momento in cui la connessione prende il sopravvento, dobbiamo essere noi stessi a disconnetterci da essa. Bisogna trovare l’equilibrio. 5A. CAVIGLIA
  • 6. LA DIPENDENZA DA SMARTPHONE Secondo quanto riportato sul Mobility Report di Ericsson il numero di smartphone nel 2016 era vicino ai quattro miliardi, mentre il numero di sottoscrizioni a device mobile ammontava a circa sette miliardi e mezzo di sottoscrizioni. Le proiezioni al 2022 segnalano una crescita del numero di smartphone fino a 6,8 miliardi. L’avvento di una nuova tecnologia come quella degli smartphone ha creato anche quella che è stata definita una vera e propria dipendenza. In una ricerca condotta nel 2007 da V. Hooper e Y. Zhou intitolata “Addictive, dependent, compulsive? A study of mobile phone usage” vengono evidenziati, in base alla letteratura, sei diverse tipologie di comportamenti che si possono riscontrare sui soggetti che utilizzano il cellulare. Le sei tipologie sono: 1. Addictive behaviour: un addiction behaviour, così come definito da Hanley e William nel 1992, è una attività, oggetto o comportamento che è diventato il maggior focus di una persona nella propria vita fino ad escludere altre attività. In questo caso, un incontrollabile e involontario uso del cellulare porta a definire queste persone come addicted. 2. Compulsive behaviour: secondo O’Guinn e Faber (1989) un compulsive behaviour è un comportamento ripetitivo che l’individuo affetto sperimenta continuamente l’urgenza di fare. Tale comportamento è veramente difficile da fermare e porta anche a conseguenze economiche, psicologiche o sociali. 3. Dependant behaviour: questo comportamento è diverso dalla addiction precedentemente descritta in quanto è spesso motivata dalla correlata importanza di una norma sociale, che in questo caso è la comunicazione. 4. Habitual behaviour: comportamenti che molti individui regolarmente eseguono possono essere considerati abituali, poiché sono compiuti con una bassa consapevolezza mentale (Biel et al, 2005). 5. Voluntary behaviour: comportamento guidato da specifiche motivazioni, collegato spesso ad un impatto positivo (Kang, Lee, Lee e Choi, 2007). 6. Mandatory behaviour: comportamento che necessita di essere svolto, seguito o rispettato, generalmente perché ufficialmente richiesto (Aoki e Downes, 2003). Dopo l’analisi del sondaggio somministrato a 184 studenti universitari, lo studio ha evidenziato fattori attendibili (in base all’alpha di Cronbach calcolato) solo su tre dei sei comportamenti descritti precedentemente e in particolare per i mandatory, voluntary e dependent behaviours, evidenziandoli quindi come i comportamenti più comuni tra gli universitari. Si fa notare che, nella sezione “Conclusion and directions for future research”, i due ricercatori scrivono “Future research would need to explore mobile phone usage in terms of each behaviour type (except possibly addictive behaviour) in greater depth.”, quasi a segnalare come un comportamento di tipo addictive potesse non essere neppure contemplato in futuro. 6 6,8 MILIARDI DI SMARTPHONE NEL 2022 CIRCA 4 MILIARDI DI SMARTPHONE NEL 2016 A. CAVIGLIA
  • 7. UNA VERA E PROPRIA ADDICTION La stessa tipologia di ricerca è stata condotta nel 2012 dal professor Richard Shambare della Tshwane University of Technology in Sud Africa su un campione di 93 studenti, liceali e universitari. I risultati della ricerca sono stati poi pubblicati in una ricerca dal titolo evocativo “Are mobile phones the 21st century addiction?”. A differenza di quanto scoperto da Hooper e Zhou, le tre tipologie di comportamento evidenziate da questa ricerca sono state dependant, habitual e addictive behaviours, mostrando quindi un deciso aggravamento delle condizioni di utilizzo dei cellulari. In un paper scritto dal Dottor Mark Griffiths, Professore di Studi sul gioco di azzardo alla Nottingham Trent University, i veri e propri casi di dipendenza sono pochi. Infatti, secondo la sua ricerca, la dipendenza dallo smartphone si ha esclusivamente quando si risponde “Sì” ad almeno sei delle seguenti domande: - Il mio telefono cellulare è la cosa più importante della mia vita; - Sono nati alcuni conflitti tra me e la mia famiglie e/o il mio partner sull’ammontare di tempo che spendo al cellulare; - L’utilizzo del mio telefono cellulare spesso ostacola altre importanti cose che dovrei fare, come lavorare, studiare, ecc.; - Spendo più tempo sul mio cellulare che in qualsiasi altra attività; - Uso il mio cellulare come un modo per cambiare il mio mood; - Col tempo, ho aumentato l’ammontare delle ore che passo sul cellulare durante il giorno; - Se non posso utilizzare il mio cellulare mi sento lunatico e irritabile; - Ho spesso forti urgenze di usare il mio telefono cellulare; - Se taglio l’ammontare di ore che passo sul mio cellulare e poi ricomincio ad usarlo nuovamente, finisce sempre che passo più tempo sul telefono di quanto facessi prima; - Ho mentito ad altre persone circa il tempo di utilizzo del mio telefono cellulare. Come è facilmente comprensibile leggendo le frasi sopra riportate, la dipendenza è una condizione medica molto rara e difficile da riscontrare. Molto più probabilmente, quello che molte persone riscontrano è una ossessione, più che una dipendenza, osserva il dottor Larry Rosen, Professore emerito del Dipartimento di Psicologia alla California State University. L’utilizzo dello smartphone sembra correlato ad una ricerca di un mezzo per ridurre l’ansia. In uno studio, ad alcuni tester, divisi tra heavy, middle e light user del proprio smartphone, sono stati sottratti i cellulari per un periodo di 75 minuti. I loro livelli di ansia sono stati quindi registrati dopo dieci, trenta e cinquanta minuti. L’esperimento ha dimostrato una significativo aumento del livello di ansia per gli heavy user, un aumento minore per i middle e nessun aumento per low user, correlando quindi in maniera empirica il livello di ansia con la mancata possibilità di utilizzo del proprio cellulare. Un altro studio ha evidenziato un crescente livello di ansia nel momento in cui non è consentito ad alcuni tester di rispondere al proprio iPhone: aumento del battito cardiaco, aumento della pressione sanguigna, sudorazione eccessiva e decremento delle performance cognitive sono stati i sintomi riscontrati dai ricercatori sui tester in esame. 7 “MOBILE PHONE USAGE IS A COMPULSIVE AND ADDICTIVE DISORDER WHICH LOOKS SET TO BECOME ONE OF THE BIGGEST NON-DRUG ADDICTIONS IN THE 21ST CENTURY” (MADRID, 2003). A. CAVIGLIA
  • 8. NOMOFOBIA E TEXTAPHRENIA Il Collins Dictionary definisce la nomofobia come “uno stato di stress causato dalla mancanza di accesso o dall’impossibilità di usare il proprio cellulare”. Deriva dalla crasi tra le parole no – mobile e fobia ed è stata usata per la prima volta nel 2008. Urbandictionary definisce invece la textaphrenia come “la sensazione di aver sentito l’arrivo di un nuovo messaggio quando in realtà non è successo”. Questa parola è stata coniata dai ricercatori del MRIT dell’Università di Melbourne, nel 2010. Una ricerca condotta dall’azienda di sicurezza informatica SecurEnvoy nel 2012 su un gruppo di mille cittadini inglesi ha rilevato che almeno due terzi degli intervistati soffriva di nomofobia, l’11% in più rispetto ad un test simile di quattro anni prima. Il sondaggio evidenzia una correlazione tra l’età e la predisposizione alla nomofobia: il gruppo di rispondenti più giovane, con una età compresa tra i 18 e i 24 anni, ha evidenziato una percentuale di affetti da nomofobia pari al 77%, l’11% in più rispetto al gruppo successivo (25-34 anni). La ricerca avverte anche che coloro che passano più di tre ore al giorno sul proprio smartphone sono ovviamente più predisposti per la nomofobia. La dottoressa Carroll del Royal Melbourne Institute of Technology, autrice di uno studio sulla textaphrenia, ha evidenziato come questa sensazione di disagio porta gli adolescenti a ritenere che nessuno pensi a loro, visto che non ricevono messaggi. Questo disordine post-traumatico porta a conseguenze fisiche e mentali, come insicurezza, ansia, delusione, fino alla depressione. Sono stati anche evidenziati casi di crescita abnorme del pollice causati dal troppo texting tra adolescenti giapponesi. 8A. CAVIGLIA
  • 9. FOMO - FEAR OF MISSING OUT Nata come idea la paura di perdersi una festa a cui non si può mancare, la “Paura di mancarlo / di essere tagliati fuori” ha assunto negli ultimi anni una connotazione relativa agli ambienti dei social network. Comparsa per la prima volta nel 2004, coniata dal Patrick McGinnis in un articolo pubblicato sul magazine dell’Harvard Business Review, la FoMO è definita su urbandictionary.com come “A form of social anxiety - a compulsive concern that one might miss an opportunity or satisfying event, often aroused by posts seen on social media websites.”. Come si può capire dalla definizione stessa, la FoMO è una condizione che nasce in un mondo ancora poco pervaso dai social network. La loro diffusione, però, ha fatto in modo che aumentassero drasticamente le possibilità di vedere i propri amici e conoscenti impegnati in attività di cui non si era a conoscenza, a cui si avrebbe voluto partecipare. La correlazione tra la FoMO e i social network è stata studiata successivamente. Nell’Aprile 2013, un gruppo di ricercatori di Psicologia di varie università, guidati da Andrew K. Przybylski, Ph. D di Oxford, ha condotto la prima ricerca sperimentale sulla FoMO, arrivando ad una serie di conclusioni: - La FoMO è la forza che guida i social network; - I livelli di FoMO più alti si riscontrano nei giovani ed, in particolare, nei maschi; - Bassi livelli di soddisfazione della propria vita sono correlati ad alti livelli di FoMO; - La FoMO è alta in coloro che si distraggono alla guida; - La FoMO è alta negli studenti che si distraggono durante le lezioni. È palese quindi notare come ci sia correlazione stretta tra l’utilizzo di social network e la FoMO ed anzi, come quest’ultima sia drasticamente aumentata a causa di essi. Infatti, i social media non solo sono utilizzati per conoscere le attività svolte dai propri contatti, ma anche per lamentarsi della propria condizione, spesso messa in confronto con quanto i propri coetanei fanno nello stesso momento. Si pensi, ad esempio, a quando si scorre la bacheca di Facebook durante il sabato sera: post di persone in festa si alternano con foto di piumone e tv con commenti come “Mentre i miei coetanei si divertono, io…”. Sebbene inconsapevolmente e senza conseguenze, anche questi sono esempi di FoMO. Ma esistono rimedi per superare questa paura? Secondo quanto afferma Martha Beck, sociologa e life-coach statunitense, ci sono almeno tre rimedi per superare tale condizione: 1. Essere consapevoli che la FoMO è basata su bugie: i social raccontano solo la miglior parte di ciascuno di noi. Difficilmente le persone raccontano dei minuti passati in coda in banca o comunque dei momenti in cui svolgono attività “normali”. I racconti sui social riguardano i momenti speciali, quelli per cui veramente può nascere l’invidia sociale; 2. Combattere la FoMO con la FoMO: bisogna cambiare il significato che diamo all’acronimo FoMO. Invece che Fear of Missing Out, la possiamo definire “Feel Okay More Often”; 3. Fermarsi: rendersi conto che le cose importanti stanno succedendo qui ed ora, non in un immaginario e “facebookiano” cyber mondo. 9A. CAVIGLIA
  • 10. HIKIKOMORI La parola giapponese hikikomori, coniata nel 1998 dallo psicologo giapponese Tamaki Saitō, è formata dalle parole hiku "tirare" e komoru "ritirarsi" e vuole dire “stare in disparte, isolarsi” ed identifica un fenomeno nato in Giappone dalla metà degli anni Ottanta. Le persone affette da tale fenomeno tendono ad escludersi volontariamente dalla vita sociale, isolandosi completamente per lunghi periodi di tempo, mesi, anni se non addirittura per tutta la vita. Tali persone presentano caratteristiche comuni: - Rifiuto scolastico e/o lavorativo; - Ritiro completo dalla società per lunghi periodi; - Depressione; - Comportamenti ossessivo-compulsivi; - Ritmi circadiani completamente invertiti. All’origini di questa auto-esclusione vi sono diverse possibili cause: - Disturbi pervasivi dello sviluppo: una evoluzione di questi disturbi (di cui fanno parte anche la sindrome di Asperger e l’autismo) potrebbe essere alla base di alcuni casi di hikikomori; - Competitività sociale: vista la forte competizione che la società giapponese instaura nei propri giovani, dove il mancato riconoscimento accademico e lavorativo è visto come un grave fallimento, si instaura negli hikikomori un desiderio di isolarsi per non conformarsi alla società; - Ijime: fenomeno che può essere assimilato a quello che in Italia viene definito “bullismo”; - Vergogna: molto spesso, gli hikikomori sono ragazzi che provano un profondo senso di vergogna, dovuto a condizioni economiche o sociali, e che preferiscono quindi non mostrarsi fisicamente nella società per non sentire questo sentimento di vergogna. Le ricerche, ad oggi, non associano il fenomeno degli hikikomori con quello della dipendenza da internet, poiché spesso risulta che durante la loro auto reclusione, essi passino tempo leggendo, guardando film o scrivendo. Tuttavia è evidente la correlazione tra l’utilizzo di internet e la condizione di hikikomori, visto che molto spesso essi creano nel mondo digitale le proprie relazioni, prediligendo la messaggistica alla videochat e instaurando relazioni attraverso i social media e internet in generale. Il mezzo di internet viene spesso utilizzato anche dai medici per avvicinare gli hikikomori, per diagnosticare la condizione e per provare a curarla, spesso non presentandosi come medici ma come coetanei degli hikikomori. In Italia, il fenomeno è presente, con stime che si aggirano intorno ai trentamila individui. 10A. CAVIGLIA
  • 11. A. CAVIGLIA CONCLUSIONI Partendo da queste riflessioni sulla dipendenza, più o meno grave, più o meno manifesta, che riguarda la maggior parte delle persone ed anche noi stessi, dai social network, dal proprio cellulare e da Internet, si è provato a capire come creare uno strumento che possa aiutare a combattere queste condizioni. Vediamo due possibili soluzioni al problema, in antitesi tra loro. La prima consiste nel totale rifiuto della tecnologia. Vediamo però questa ipotesi come utopica: cellulari, social network ed internet sono e saranno presenti nelle nostre vite, ancora per alcuni anni almeno. La seconda soluzione consiste nell’utilizzare la tecnologia come supporto per favorire le relazioni sociali, tentando, in seconda istanza, di combattere queste tipologie di problemi, provando a far tornare indietro le persone, a quando la vita si viveva molto di più offline che online. Tenendo a mente queste considerazioni si è deciso di partire da una app per iOS e Android. Per questo motivo è stata creata JoinMeApp. 11
  • 12. FONTI IN ORDINE DI PRESENTAZIONE ‣ Sherry Turkle, “Connected, but alone?”, risorsa reperibile al link: http://www.ted.com/talks/sherry_turkle_alone_together (consultato in data 2 luglio 2017) ‣ Jessica Love, “We need to chat”, risorsa reperibile al link: https://theamericanscholar.org/we-need-to-chat/# (consultato il 2 luglio 2017) ‣ Paul Miller, “A year offline, what I have learned”, TEDxEutropolis, risorsa reperibile al link: https://www.youtube.com/watch?v=trVzyG4zFMU (consultato il 2 luglio 2017) ‣ Ericsson Mobility Report, novembre 2016, risorsa reperibile al link: https://www.ericsson.com/assets/local/mobility-report/documents/2016/ericsson-mobility-report- november-2016.pdf (consultato il 2 luglio 2017) ‣ Hooper V., Zhou Y., 2007, “Addictive, dependent, compulsive? A study of mobile phone usage”https://pdfs.semanticscholar.org/f940/1cd66fd7e86eafc30f019d3a480ff7bf182d.pdf (consultato il 2 luglio 2017) ‣ Griffiths M.D., 2013, “Adolescent mobile phone addiction: A cause for concern?”, risorsa reperibile al link: http://www.academia.edu/3372702/ Griffiths_M.D._2013_._Adolescent_mobile_phone_addiction_A_cause_for_concern_Education_and_Health_31_76-78 (consultato il 2 luglio 2017) ‣ Cheever N., Rosen L., Carrier M., Chavez A., “Out of sight is not out of mind: The impact of restricting wireless mobile device use on anxiety levels among low, moderate and high users” risorsa reperibile al link: http://www.csudh.edu/psych/Out_of_sight_is_not_out_of_mind-Cheever,Rosen,Carrier,Chavez_2014.pdf (consultato il 2 luglio 2017) ‣ R. Clayton, G. Leshner e A. Almond, “The extended iSelf: the impact of iPhone separation on cognition, emotion and physiology”, risorsa reperibile al link: http:// onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/jcc4.12109/full (consultato il 2 luglio 2017) Definizione di nomofobia, https://www.collinsdictionary.com/it/dizionario/inglese/nomophobia ‣ Definizione di textaphrenia, http://www.urbandictionary.com/define.php?term=Textaphrenia ‣ Kung V., “Rise of 'nomophobia': More people fear loss of mobile contact”, risorsa reperibile al link: http://edition.cnn.com/2012/03/06/tech/mobile/nomophobia-mobile-addiction/ (consultato il 2 luglio 2017) ‣ A. K. Przybylski, K. Murayama, C. R. DeHaan, V. Gladwell, “Motivational, emotional, and behavioral correlates of fear of missing out”, risorsa reperibile al link: http:// www.demardsivas.com/yonetim/tarifediger/erzurum/deneme-fomos.pdf (consultato il 2 luglio 2017) ‣ “Hikikomori: gli adolescenti chiusi in una stanza Il disagio giapponese dilaga in Italia”, “L’Espresso” online, risorsa reperibile al link: http://espresso.repubblica.it/visioni/societa/ 2015/06/17/news/hikikomori-gli-adolescenti-chiusi-in-una-stanza-il-disagio-giapponese-dilaga-in-italia-1.217500/amp/ (consultato il 2 luglio 2017) 12A. CAVIGLIA
  • 13. A. CAVIGLIA SE VUOI CONNETTERTI CON ME 13 ALBERTO CAVIGLIA @ILNONNOALBERTO @ILNONNOALBERTO