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L'Ingegneria e 
l'Astronomia 
PON In viaggio con Archimede 
Prof. Mennea Giovanni
Argomenti 
● Il planetario di Archimede 
● Il principio della leva 
● La nave Syracusia
Il planetario di Archimede 
Il nome di Archimede è indelebilmente legato 
anche all’astronomia. Egli sviluppa una teoria 
sulla distanza dei pianeti, si cimenta con il 
calcolo del diametro apparente della luna e 
del sole, e delle dimensioni della terra. 
Archimede dichiara di avere tentato di misurare 
l’angolo che comprende il Sole e che ha al suo 
vertice l’occhio dell’osservatore, ma lamenta 
anche l’imperfezione degli strumenti a sua 
disposizione.
Il planetario: cenni storici 
Gli studi astronomici di Archimede sono strettamente 
connessi alle sue intuizioni sui grandi numeri. 
Ma il nome di Archimede, a dispetto del ritratto che ne 
fa Plutarco, che lo vuole interessato solamente alla pura 
teoria, stupì il mondo di allora con la realizzazione di 
una macchina: il Planetario. 
Di questa meraviglia archimedea abbiamo solamente 
testimonianze letterarie: «Piccola imago dell’immenso 
polo», lo definisce Ovidio nei Fasti, mentre Lattanzio 
Firmiano parla di una sfera concava di metallo.
Il planetario: cenni storici 
Cicerone menziona due volte il planetario, e vale la 
pena riportare questo breve passo tratto dal libro I delle 
Tusculanae Disputationes: 
«Archimede insomma, rappresentando in una sfera il 
corso della luna, del sole e dei cinque pianeti ha fatto 
quello che fece il dio di Platone; il quale nel suo Timeo 
costruisce l’universo, e con una sola rotazione regola il 
moto degli astri, lento in alcuni celere in altri. Se la sola 
potenza di un dio può eseguire questi movimenti nel 
mondo, Archimede li ha potuto imitare in una sfera 
perché dotato di genio divino […]»
Il planetario: cenni storici 
Di Archimede astronomo parlano anche 
Plutarco, Ammiano Marcellino, Macrobio, Proclo. 
Dalle testimonianze si evince che Archimede 
riprodusse una rotazione sintetica, 
comprendente il moto del sole, della 
luna e delle stelle: facendo muovere 
questa sfera, si vedeva la luna 
alternarsi al sole nell’orizzonte 
terrestre.
Macchina di Antikythera 
Nel 1900, un gruppo di pescatori, al largo dell’isola di 
Antikythera, vicina a Creta, alla profondità di circa 
quarantatre metri, scoprì il relitto di un’enorme nave 
affondata, risalente all’87 a.C. Dal relitto della nave emerse 
un meccanismo, in precario stato di conservazione, che agli 
studi degli archeologi si rivelò essere un planetario: il più 
antico calcolatore meccanico conosciuto, mosso da ruote 
dentate, che serviva per calcolare il sorgere del sole, le fasi 
lunari, i movimenti dei cinque pianeti allora conosciuti, gli 
equinozi, i mesi, i giorni della settimana: quel meccanismo è 
oggi noto come 
Macchina di Antikythera
Il ritrovamento ad Olbia 
Nel 2006, ad Olbia, è stato rinvenuto un antico 
ingranaggio. Il restauro del reperto ha riservato 
straordinarie sorprese: la Soprintendenza per i Beni 
Archeologici, ha stabilito che sia da datarsi fra fine del 
III e la metà del II secolo a.C. 
I denti presentano una curvatura che li rende 
incredibilmente simili a quelli degli ingranaggi impiegati 
attualmente, anche la composizione è sorprendente: 
ottone e, benché sia il più antico fra i reperti di questa 
natura, è senza dubbio il più evoluto. La datazione, le 
caratteristiche uniche hanno convinto alcuni che si tratti 
proprio del planetario di Archimede.
Il principio della leva 
«Dammi un punto d’appoggio e 
ti solleverò il mondo»
Il principio della leva 
Questa esclamazione, divenuta poi proverbiale, 
è estrema ed efficace sintesi di una della 
principali scoperte del genio archimedeo: 
il principio della leva. 
La leva è una macchina semplice composta 
essenzialmente da una barra rigida che ruota 
attorno ad un punto d’appoggio, detto fulcro. Agli 
estremi della barra, vengono applicate due forze, 
l’una detta potenza, l’altra resistenza, che 
tendono a farla ruotare.
Il primo genere della leva 
Le leve sono di tre diversi generi: quello più 
elementare – il primo genere – è il principio che 
permette il funzionamento delle gru meccaniche, 
della bilancia, delle forbici, solo per fare semplici 
esempi dell’importanza della scoperta di 
Archimede. 
Il geniale siracusano, certamente, non fu il primo 
a far uso della leva; e non fu neppure il primo a 
descriverne il principio in senso 
generale.
Nel Corpus aristotelico 
Nel Corpus aristotelico troviamo così esposto il 
problema della leva: 
«Perché un piccolo peso può sollevare un peso più grande cui si 
aggiunge anche il peso della leva? La risposta è la seguente: […] 
poiché la leva richiede tre elementi, cioè il fulcro – corrispondente 
alla corda di sospensione della bilancia e coincidente con i suo 
centro - e due pesi, uno esercitato dalla persona che usa la leva 
l’altro è il grave che deve essere sollevato; così il peso che deve 
essere mosso sta al peso movente come inversamente stanno il 
braccio che sopporta il peso col braccio su cui agisce la potenza. 
Più lontana è questa dal fulcro più agevolmente si solleva il peso; 
la ragione sta in ciò che è stato già stabilito, vale a dire che un 
braccio più lungo descrive un cerchio più grande».
La genialità di Archimede 
La caratteristica fondamentale che fa di 
Archimede il più grande scienziato dell’antichità, 
e lo rende così straordinariamente moderno, 
risiede però nella differenza di metodo e di 
rigore argomentativo. 
Archimede deduce il principio generale della leva 
sulla base di postulati matematici. Nell’opera 
Sull’equilibrio dei piani ovvero sui centri di 
gravità dei piani afferma che la forza che si deve 
esercitare per sollevare un dato peso diminuisce 
man mano che ci si allontana dal fulcro.
La genialità di Archimede 
Nelle sue parole si può leggere: 
«le grandezze […] saranno in equilibrio a distanze 
inversamente proporzionali alle grandezze» 
Il siracusano sembra così leggere nel mondo i 
segni di una trama essenzialmente geometrica e 
matematica. Archimede è il primo a confrontarsi 
con questo problema non sulla sola base di 
combinazioni sapienziali, ma di deduzioni 
scientificamente fondate.
La Syracusia 
Le fonti antiche ci riferiscono che Archimede 
prese alla costruzione ed il varo di una nave di 
dimensioni per l’epoca sbalorditive: la 
Syracusia. 
Si ritiene che sia stata costruita nel 240 a. C., da 
Archia di Corinto, sotto la supervisione di 
Archimede, per volontà del Re Gerone II. Fanno 
riferimento al varo della Syracusia, fra gli altri, 
Plutarco ed Ateneo di Naucrati.
Caratteristiche 
Lunga circa 55 metri, è considerata tra le più grandi 
imbarcazioni dell'antichità. 
Moschione nei suoi scritti descrive l'equipaggiamento 
della nave, impreziosito da decorazioni e armi di difesa, 
nonché dalla presenza di uno scafo inaffondabile 
perché rivestito di piombo, contro gli speronamenti di 
altre navi. 
Era capace di portare un peso massimo di 1.000 
tonnellate, 400 soldati e 100 passeggeri ospitati in 
apposite cabine. La nave aveva al suo interno una 
biblioteca, dei bagni e persino una cappella dedicata ad 
Afrodite.
Il varo della nave in mare 
Una volta costruita, per vararla servì una sorta di 
leva dentata che permetteva di moltiplicare la 
forza di decine di uomini. 
Plutarco è l’unico a porre in relazione la famosa 
frase con l’altrettanto famoso esperimento 
dimostrativo nel quale Archimede avrebbe spinto 
in mare una nave da solo, grazie a una 
macchina da lui progettata. L’episodio della nave 
è però raccontato anche da Proclo che lo 
riferisce al varo della nave Syracusia.
Il varo della nave in mare 
Ateneo parla del varo omettendo particolari 
fantasiosi come quello della macchina azionata 
da un solo uomo, ma sottolinea il contributo 
essenziale di Archimede. 
L’autore più recente, Tzetzes, racconta l’episodio 
della nave senza porlo in relazione con la 
Siracusia, ma aggiungendovi di suo che 
Archimede l’avrebbe spinta in mare con la sola 
mano sinistra.

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  • 1. L'Ingegneria e l'Astronomia PON In viaggio con Archimede Prof. Mennea Giovanni
  • 2. Argomenti ● Il planetario di Archimede ● Il principio della leva ● La nave Syracusia
  • 3. Il planetario di Archimede Il nome di Archimede è indelebilmente legato anche all’astronomia. Egli sviluppa una teoria sulla distanza dei pianeti, si cimenta con il calcolo del diametro apparente della luna e del sole, e delle dimensioni della terra. Archimede dichiara di avere tentato di misurare l’angolo che comprende il Sole e che ha al suo vertice l’occhio dell’osservatore, ma lamenta anche l’imperfezione degli strumenti a sua disposizione.
  • 4. Il planetario: cenni storici Gli studi astronomici di Archimede sono strettamente connessi alle sue intuizioni sui grandi numeri. Ma il nome di Archimede, a dispetto del ritratto che ne fa Plutarco, che lo vuole interessato solamente alla pura teoria, stupì il mondo di allora con la realizzazione di una macchina: il Planetario. Di questa meraviglia archimedea abbiamo solamente testimonianze letterarie: «Piccola imago dell’immenso polo», lo definisce Ovidio nei Fasti, mentre Lattanzio Firmiano parla di una sfera concava di metallo.
  • 5. Il planetario: cenni storici Cicerone menziona due volte il planetario, e vale la pena riportare questo breve passo tratto dal libro I delle Tusculanae Disputationes: «Archimede insomma, rappresentando in una sfera il corso della luna, del sole e dei cinque pianeti ha fatto quello che fece il dio di Platone; il quale nel suo Timeo costruisce l’universo, e con una sola rotazione regola il moto degli astri, lento in alcuni celere in altri. Se la sola potenza di un dio può eseguire questi movimenti nel mondo, Archimede li ha potuto imitare in una sfera perché dotato di genio divino […]»
  • 6. Il planetario: cenni storici Di Archimede astronomo parlano anche Plutarco, Ammiano Marcellino, Macrobio, Proclo. Dalle testimonianze si evince che Archimede riprodusse una rotazione sintetica, comprendente il moto del sole, della luna e delle stelle: facendo muovere questa sfera, si vedeva la luna alternarsi al sole nell’orizzonte terrestre.
  • 7. Macchina di Antikythera Nel 1900, un gruppo di pescatori, al largo dell’isola di Antikythera, vicina a Creta, alla profondità di circa quarantatre metri, scoprì il relitto di un’enorme nave affondata, risalente all’87 a.C. Dal relitto della nave emerse un meccanismo, in precario stato di conservazione, che agli studi degli archeologi si rivelò essere un planetario: il più antico calcolatore meccanico conosciuto, mosso da ruote dentate, che serviva per calcolare il sorgere del sole, le fasi lunari, i movimenti dei cinque pianeti allora conosciuti, gli equinozi, i mesi, i giorni della settimana: quel meccanismo è oggi noto come Macchina di Antikythera
  • 8.
  • 9. Il ritrovamento ad Olbia Nel 2006, ad Olbia, è stato rinvenuto un antico ingranaggio. Il restauro del reperto ha riservato straordinarie sorprese: la Soprintendenza per i Beni Archeologici, ha stabilito che sia da datarsi fra fine del III e la metà del II secolo a.C. I denti presentano una curvatura che li rende incredibilmente simili a quelli degli ingranaggi impiegati attualmente, anche la composizione è sorprendente: ottone e, benché sia il più antico fra i reperti di questa natura, è senza dubbio il più evoluto. La datazione, le caratteristiche uniche hanno convinto alcuni che si tratti proprio del planetario di Archimede.
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  • 11. Il principio della leva «Dammi un punto d’appoggio e ti solleverò il mondo»
  • 12. Il principio della leva Questa esclamazione, divenuta poi proverbiale, è estrema ed efficace sintesi di una della principali scoperte del genio archimedeo: il principio della leva. La leva è una macchina semplice composta essenzialmente da una barra rigida che ruota attorno ad un punto d’appoggio, detto fulcro. Agli estremi della barra, vengono applicate due forze, l’una detta potenza, l’altra resistenza, che tendono a farla ruotare.
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  • 14. Il primo genere della leva Le leve sono di tre diversi generi: quello più elementare – il primo genere – è il principio che permette il funzionamento delle gru meccaniche, della bilancia, delle forbici, solo per fare semplici esempi dell’importanza della scoperta di Archimede. Il geniale siracusano, certamente, non fu il primo a far uso della leva; e non fu neppure il primo a descriverne il principio in senso generale.
  • 15. Nel Corpus aristotelico Nel Corpus aristotelico troviamo così esposto il problema della leva: «Perché un piccolo peso può sollevare un peso più grande cui si aggiunge anche il peso della leva? La risposta è la seguente: […] poiché la leva richiede tre elementi, cioè il fulcro – corrispondente alla corda di sospensione della bilancia e coincidente con i suo centro - e due pesi, uno esercitato dalla persona che usa la leva l’altro è il grave che deve essere sollevato; così il peso che deve essere mosso sta al peso movente come inversamente stanno il braccio che sopporta il peso col braccio su cui agisce la potenza. Più lontana è questa dal fulcro più agevolmente si solleva il peso; la ragione sta in ciò che è stato già stabilito, vale a dire che un braccio più lungo descrive un cerchio più grande».
  • 16. La genialità di Archimede La caratteristica fondamentale che fa di Archimede il più grande scienziato dell’antichità, e lo rende così straordinariamente moderno, risiede però nella differenza di metodo e di rigore argomentativo. Archimede deduce il principio generale della leva sulla base di postulati matematici. Nell’opera Sull’equilibrio dei piani ovvero sui centri di gravità dei piani afferma che la forza che si deve esercitare per sollevare un dato peso diminuisce man mano che ci si allontana dal fulcro.
  • 17. La genialità di Archimede Nelle sue parole si può leggere: «le grandezze […] saranno in equilibrio a distanze inversamente proporzionali alle grandezze» Il siracusano sembra così leggere nel mondo i segni di una trama essenzialmente geometrica e matematica. Archimede è il primo a confrontarsi con questo problema non sulla sola base di combinazioni sapienziali, ma di deduzioni scientificamente fondate.
  • 18. La Syracusia Le fonti antiche ci riferiscono che Archimede prese alla costruzione ed il varo di una nave di dimensioni per l’epoca sbalorditive: la Syracusia. Si ritiene che sia stata costruita nel 240 a. C., da Archia di Corinto, sotto la supervisione di Archimede, per volontà del Re Gerone II. Fanno riferimento al varo della Syracusia, fra gli altri, Plutarco ed Ateneo di Naucrati.
  • 19. Caratteristiche Lunga circa 55 metri, è considerata tra le più grandi imbarcazioni dell'antichità. Moschione nei suoi scritti descrive l'equipaggiamento della nave, impreziosito da decorazioni e armi di difesa, nonché dalla presenza di uno scafo inaffondabile perché rivestito di piombo, contro gli speronamenti di altre navi. Era capace di portare un peso massimo di 1.000 tonnellate, 400 soldati e 100 passeggeri ospitati in apposite cabine. La nave aveva al suo interno una biblioteca, dei bagni e persino una cappella dedicata ad Afrodite.
  • 20. Il varo della nave in mare Una volta costruita, per vararla servì una sorta di leva dentata che permetteva di moltiplicare la forza di decine di uomini. Plutarco è l’unico a porre in relazione la famosa frase con l’altrettanto famoso esperimento dimostrativo nel quale Archimede avrebbe spinto in mare una nave da solo, grazie a una macchina da lui progettata. L’episodio della nave è però raccontato anche da Proclo che lo riferisce al varo della nave Syracusia.
  • 21. Il varo della nave in mare Ateneo parla del varo omettendo particolari fantasiosi come quello della macchina azionata da un solo uomo, ma sottolinea il contributo essenziale di Archimede. L’autore più recente, Tzetzes, racconta l’episodio della nave senza porlo in relazione con la Siracusia, ma aggiungendovi di suo che Archimede l’avrebbe spinta in mare con la sola mano sinistra.