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Il suono corrisponde alla propagazione in un mezzo fluido dell’energia di
compressione e di rarefazione, conseguenti al movimento di un corpo, solido ed
elastico, messo in vibrazione.
Dal punto di vista fisico, si tratta della formazione di onde sinusoidali, che
corrispondono alla compressione ed alla rarefazione del fluido e che si trasmettono
con una velocità variabile.
La differente velocità di propagazione del suono nei diversi fluidi è funzione di:
1. una variabile qualitativa, che corrisponde alla natura del fluido;
2. una variabile densitometrica, che è connessa con le variazioni di densità del
fluido stesso, per effetto della temperatura e della pressione.
La velocità di propagazione del suono è misurata in metri al secondo, m/sec.
A zero gradi ed alla pressione di un’atmosfera, la velocità di propagazione del suono
nell’aria è di 331,8 m/sec, con un incremento di circa 0,5 m/sec per ogni grado di
temperatura incrementale. Espressa in chilometri/ora, la velocità di propagazione del
suono è uguale a 1.217,16 Km/h. Con un termine primitivamente aeronautico, a
questo valore è attribuito la sigla identificativa di MAC1.
La velocità di propagazione è nettamente superiore nell’acqua, essendo pari a 1480
m/sec. Le variazioni incrementali sono una funzione diretta della densità e della
durezza, condizione per la quale si passa dai 1558 m/sec, come valore medio nel
corpo umano, ai 5.000 – 6.000 m/sec degli acciai temprati.
Affinché la vibrazione sia apprezzata come energia, occorre che essa, trasmessa
attraverso il mezzo fluido, sia in grado di raggiungere un altro corpo e di determinare
un nuovo effetto energetico. Questo può consistere in una nuova messa in vibrazione,
nella produzione di calore, nell’effettuazione di lavoro (forza contro resistenza). In
sintesi, si può in concreto affermare che il suono è la conseguenza della variazione
energetica in un mezzo recettore della variazione di pressione, determinata in un
fluido dal movimento di un mezzo solido ed elastico, cui sia stata fornita energia.
L’energia primitivamente fornita al mezzo solido ed elastico può essere di varia
natura, potendo distinguersi:
 una fornitura energetica meccanica (per esempio, un colpo su un diapason, una
bacchettata su un tamburo, il colpo di un pistone di pressa);
 una fornitura energetica termica (per esempio, il riscaldamento di un liquido fino
al superamento della tensione superficiale);
 una fornitura energetica cinetica (per esempio, il veloce spostamento di fluidi per
depressurizzazione o variazioni di calibro dei conduttori, che mettono in
vibrazione le pareti dei conduttori stessi o mezzi solidi interposti, così come
accade negli strumenti a fiato).
Generalmente la definizione di suono è applicata al fatto che la trasmissione di
energia nel mezzo fluido si trasforma in sensazione uditiva per effetto della messa in
1
SUONO E RUMORE
vibrazione della membrana del timpano ed il conseguente innesco dei meccanismi di
trasmissione e percezione uditiva.
Più correttamente, secondo una definizione di tipo fisico, deve essere inteso come
energia sonora tutta quella prodotta dalla vibrazione del mezzo solido,
indipendentemente dai modi con i quali essa è percepita (qualora il recettore sia il
corpo umano) o dai tipi prodotti di energia secondaria.
Come vedremo più dettagliatamente in seguito, la vibrazione di un mezzo solido, che
produca energia esclusivamente in bande frequenziali molto basse, non determina
sensazione uditiva (o, per lo meno, determina una poco apprezzabile sensazione
uditiva in rapporto con l’energia effettivamente posseduta). Ciò non di meno, la quota
d’energia trasmessa per interposizione di un mezzo fluido, tipicamente l’aria, che è in
grado di mettere in movimento recettori differenti dalla membrana del timpano, in
termini fisici è egualmente un’energia sonora.
PARAMETRI DEL SUONO
Il suono è caratterizzato da una serie di parametri, che ne definiscono,
rispettivamente, il contenuto energetico, le caratteristiche di propagazione, i rapporti
con il tempo.
INTENSITÀ SONORA
L’intensità sonora, o ampiezza del suono, corrisponde alla quantità di energia, che
l’onda sonora trasporta.
Sebbene la compressione del mezzo fluido e la rarefazione conseguente di esso siano
già espressione di un’energia, l’intensità sonora è misurata come energia d’impatto
su superfici. Essa esprime l’energia dell’onda sonora per unità di superficie quadrata,
perpendicolarmente alla direzione di propagazione, ed è ricavata dalla relazione:
Peff.2
I =
D x C
dove
Peff = pressione effettiva dell’onda sonora, misurata in dyne/cm2
, unità di misura di
una forza applicata ad una superficie, o in bar, unità di misura della pressione (per la
pressione sonora è usato il sottomultiplo microbar).
D = densità del mezzo di propagazione
C = velocità del suono
Dalla relazione sopra riportata si ricava la misurazione dell’intensità sonora assoluta.
Comunemente l’intensità sonora è misurata come valore relativo, in altro modo come
rapporto tra l’intensità sonora in esame e quella di un suono ipotetico di riferimento.
2
In questo caso, la formula da sviluppare è la seguente
P2
P
I = 10log P0
2
= 20 log P0
dove
P = intensità o pressione sonora del suono in esame
P0 = intensità o pressione sonora del suono di riferimento
Le intensità sonore, in esame e di riferimento, possono essere espresse in dyne/cm2
,
in microbar o in micropascal
Il valore numerico, ottenuto dallo sviluppo dell’espressione aritmetica, costituisce
l’unità di misura, molto semplificata, della pressione sonora. Essa è definita Bell (B).
Nella misura dell’intensità sonora si utilizza, con frequenza d’uso quasi assoluta, il
sottomultiplo decimale del Bell o decibel (dB).
Come tutte le misure fisiche, il valore di P0 è stato fissato convenzionalmente,
assumendo come valore di riferimento (0,0002 dyne/cm2
oppure 20x10-6
micropascal)
Questo valore corrisponde:
• alla minima soglia uditiva di un soggetto normoudente per un tono puro, alla
frequenza di 1.000 Hertz;
oppure
 alla pressione sonora esercitata da una sfera di sughero di un cm di diametro,
che cade da un metro su una superficie di legno di un metro quadrato.
La scelta metodologica di utilizzare un’unità di misura, che sviluppa un calcolo
logaritmico, deriva da due considerazioni fondamentali:
• la sensazione acustica è proporzionale al logaritmo dell’energia di eccitazione;
• l’ampia variabilità delle pressioni acustiche è ben misurata da un sistema
logaritmico, in cui, ad ogni intervallo incrementale di 2,7 decimali, corrisponde
un raddoppio dell’intensità misurata in bar o dyne/cm2
(in pratica, nel
passaggio da 70 a 72,7 decibel, l’energia sonora espressa in bar è doppia).
Classificazione dei suoni in funzione dell’intensità
Sebbene non esista un criterio rigoroso di discernimento del suono in rapporto con
l’intensità, nel senso che è molto arbitraria la fissazione di valori limite, che
consentano di definire differenti categorie di intensità sonora, comunemente si adotta
la distinzione seguente:
• < o = 60 dB  suoni deboli
• 61 – 90 dB  suoni medi
• 91 db  suoni forti
3
FREQUENZA DEL SUONO
La frequenza corrisponde al numero di oscillazioni complete nell’unità di tempo, in
altro modo a quante volte, nella considerata unità di tempo, è percorso l’intero spazio
da una cresta (punto più alto dell’onda) a quella successiva.
La frequenza è misurata in cicli al secondo (cps) o in Hertz (Hz).
Direttamente connesso con la frequenza è il concetto di Periodo.
Il periodo, che s’identifica con la lettera greca lambda, corrisponde alla durata di
ciascuna singola oscillazione. Da questo deriva immediatamente che esso è un valore
inverso alla frequenza, nel senso che quanto maggiore è questa, in altre parole,
quanto maggiore è il numero delle oscillazioni nell’unità di tempo, tanto più breve è
la durata di ciascuna singola oscillazione.
Classificazione dei suoni in funzione della frequenza.
Nel caso delle variazioni di frequenza, sono molto meglio identificabili gli intervalli,
che consentono di attribuire al suono caratteristiche differenti.
Generalmente le differenti caratteristiche sono riferite alla percezione uditiva, sia
intesa come risposta differenziata dell’orecchio alla stimolazione, sia come
compartecipazione di altri organi ed apparati alla stimolazione acustica.
Correttamente, invece, la distinzione del suono in funzione della frequenza deriva
dalla capacità di messa in risonanza di strutture di differente durezza e densità, dal
differente grado di abbattimento energetico in seguito ad impatti con differenti tipi di
superfici.
In funzione della frequenza i suoni sono distinti in:
• ultrasuoni  hanno frequenze superiori ai 20.000 Hz, che è l’allocazione
frequenziale massima, in grado di determinare stimolazione acustica;
• acutissimi  hanno frequenze < a 20.000 Hz e > a 8.000 Hz
• acuti  hanno frequenze < a 8.000 Hz e > a 2.000 Hz
• medi  hanno frequenze < a 2.000 Hz e > a 500 Hz
• gravi  hanno frequenze < a 500 Hz e > a 20 Hz
• infrasuoni  hanno frequenze < a 20 Hz, che è l’allocazione frequenziale
minima, in grado di determinare stimolazione acustica.
Nell’ambito di questi intervalli, che, come si è notato, sono basati sulla stimolazione
acustica, sono necessarie alcune annotazioni aggiuntive.
La voce parlata ha, in media, intervalli frequenziali compresi tra 800 e 1.500 Hz.
Particolari stimolazioni delle corde vocali o artifici sui modi e tempi d’emissione
dell’aria possono modificare gli intervalli frequenziali della voce parlata, più ancora
se cantata, oltre i range di oscillazione, dovuti alla struttura anatomica della laringe e
del torace. L’emissione forzata di aria a glottide stretta innalza la frequenza della
voce, conferendo ad essa un tono sopranile. Al contrario, l’emissione lenta e
cadenzata, che da luogo alla formazione di vortici d’aria nella laringe, favorisce
l’abbassamento della frequenza, conferendo alla voce il tono baritonale.
4
Al di là di queste annotazioni sulle caratteristiche della voce, la conoscenza degli
intervalli fisiologici della frequenza della voce parlata è necessaria alla valutazione
del grado di compromissione, che è presente in un soggetto con deficit uditivo.
Maggiore importanza ha la distinzione tra i suoni acuti e gravi nell’individuazione dei
danni, conseguenti a stimolazioni di alta intensità.
I suoni gravi sono percepiti, oltre che dall’orecchio, dai recettori pressori degli organi
cavi e dei grossi vasi. Sotto ai 100 Hz, la stimolazione dei pressocettori prevale su
quell’acustica, con la conseguente comparsa di reazioni fisiologiche, parafisiologiche
e patologiche maggiori di quelle uditive.
Un colpo di cannone ha una composizione frequenziale tale che le maggiori intensità
sono collocate tra i 100 ed i 200 Hertz. Qualora il corpo umano si trovi ad occupare
una posizione ortogonale alla direzione di propagazione del suono, l’impatto
dell’onda sui pressocettori supera quello sulla membrana del timpano, generando un
effetto sul cuore e sui grossi vasi (reazione vagale) di gran lunga più dannoso di
quello uditivo.
Timbro
Il timbro esprime la qualità del suono, sia dal punto di vista fisico, sia da quello
dell’adattamento soggettivo.
La definizione fisica del timbro richiede, innanzi tutto, che sia fissato il concetto di
Tono.
Il tono è la caratteristica di oscillazione di una struttura molecolare. Quando essa è
ritmica regolare, in altro modo caratterizzata da spostamenti sempre uguali, si
parla di Tono puro.
Da quanto riferito, deriva che la produzione di toni puri è funzione:
• della natura del materiale messo in vibrazione
• della purezza del materiale stesso
Un diapason, una corda di strumento a pizzico o a percussione sono costruiti con
materiali selezionati e puri, tali da far sì che, in seguito alla stimolazione
meccanica (applicazione di una forza), le oscillazioni sono talmente regolari da
definire un tono puro (per esempio, una nota musicale).
5
Il tono puro è difficilmente ottenibile in natura.
Più frequentemente la vibrazione di un corpo elastico produce una serie di toni, dalla
cui armonia deriva la differenziazione tra suono e rumore.
Il concetto fisico di armonia è connesso con la dimensione spazio-temporale
dell’oscillazione sonora.
Qualunque oscillazione in un corpo solido tende ad esaurirsi. In altro modo lo spazio
percorso dal corpo in movimento tende a diventare sempre più piccolo, sino al
raggiungimento di un nuovo stato di quiete.
Se l’entità della diminuzione dello spostamento è uniforme, nel senso ogni
spostamento successivo equivale ad un sottomultiplo del precedente, realizzando
una condizione di moto uniformemente decelerato, si ricava che lo smorzamento
dell’oscillazione è avvenuto in maniera armonica.
Il fenomeno prodotto dall’oscillazione del mezzo solido è, in tale caso, un suono.
Alla presenza di uno smorzamento non regolare dell’oscillazione, il fenomeno
prodotto è un rumore.
L’armonia o regolarità dello smorzamento è funzione, oltre che dalla natura
molecolare del mezzo solido, di variabili esterne, che possono agire sulla
disposizione delle molecole. Tra queste sono fondamentali:
la trazione, cui il mezzo è sottoposto (una corda di chitarra richiede di essere tenuta in
tensione tra due morsetti per produrre un suono armonico);
la temperatura, che agisce sulla densità (una membrana di tamburo può perdere
l’armonia per innalzamenti di temperatura).
Riprendendo quanto già detto in precedenza, un tono puro è difficilmente repertabile
in natura. Anche gli strumenti musicali, che sono costituiti da più generatori di toni
puri, nei momenti d’uso producono più toni contemporaneamente (a meno di non
suonare con una sola nota, che limiterebbe molto l’ottenimento “dell’armonia
musicale”).
Alla presenza di più toni, il concetto di armonia si amplia. In questi casi si parla di
suono se:
• i singoli toni si smorzano regolarmente;
• pur appartenendo i toni a bande frequenziali differenti, le attenuazioni o
smorzamenti di ciascun tono si realizzano senza spostamenti in altre bande;
• gli intervalli di frequenza tra toni, di differente ampiezza dell’oscillazione,
sono regolari e sempre uguali tra essi (ottave e terzi di ottava).
Molto più semplice o semplicistica è la differenziazione tra suono e rumore in
funzione di variabili soggettive.
In rapporto con la sensazione soggettiva, si possono considerare differenti
definizioni, delle quali sono riportate di seguito le principali.
“Rumore – qualsiasi suono non desiderato (ANSI, American National, Standard
Institute)
6
“Rumore – qualsiasi stimolo sonoro percepito come fastidioso, in grado di arrecare
danno all’integrità biopsichica dell’uomo” (Codice Civile della Repubblica italiana)
La definizione psichica del rumore ha una sua importanza per quanto attiene ai criteri
di valutazione del rischio sonoro e, di conseguenza, ai criteri di prevenzione.
Attribuendo, infatti, valore alla sensazione soggettiva, scaturisce inevitabilmente che
la corrispondenza a standard di qualità degli ambienti di lavoro o di vita rispetto
all’inquinamento sonoro non è funzione solo della potenzialità di danno acustico o
extra acustico, rispettivamente effetto di frequenze alte o basse. In termini pratici
questo si traduce nell’esigenza di non valutare esclusivamente le dosi di rumore
assorbito dai lavoratori o dai cittadini, come potenziali effettori di danno di organi,
ma di considerare parimenti la sonorità ambientale nella sua complessità,
introducendo criteri di stima di quella massima tollerabile e di quella minima
necessaria.
7
ANDAMENTO TEMPORALE DEL RUMORE
L’andamento temporale definisce il rapporto tra le variazioni di intensità sonora ed il
tempo.
Un suono o un rumore difficilmente, possiamo affermare quasi mai, sono
caratterizzati dalla costanza dell’intensità sonora. Nella quasi totalità dei casi,
questa muta continuamente, con oscillazioni che possono consentire di
differenziare differenti tipi di suono o rumore.
Innanzi tutto è necessario stabilire in quale modo debba essere considerato il
parametro “tempo”, da mettere in relazione con le variazioni di intensità.
Il tempo può essere rappresentato da una delle unità di misura di esso (variazioni in
un secondo, un’ora e così di seguito). Essendo troppo breve la durata di un
secondo (in archi lunghi di durata del rumore si avrebbero troppe
oscillazioni), si è convenzionalmente stabilito di utilizzare, come unità di
riferimento, il minuto.
Con questo criterio di stima, l’andamento temporale del rumore può essere ricavato
dal valore delta di oscillazione dell’intensità sonora rispetto a quella media
del rumore o suono in esame, misurata in un minuto.
Il tempo può essere rappresentato da un valore arbitrario, di volta in volta fissato, che
corrisponde alla durata complessiva della misurazione. In questo caso,
l’andamento temporale del rumore può essere ricavato dal valore delta
di oscillazione dell’intensità sonora rispetto a quella media del rumore
o suono in esame, misurata per tutto il tempo della misurazione.
La scelta dell’uno o dell’altro criterio non è casuale. In realtà nemmeno la scelta del
tempo di misura è del tutto arbitraria, giacché è sempre necessario eseguire la
misura dell’andamento temporale in un minuto, per poter adeguatamente
selezionare intervalli di misura più lunghi. Infatti, nei casi in cui le oscillazioni in
un minuto sono molto contenute, un tempo di misura relativamente più lungo non
modifica significativamente le differenze. La condizione contraria si verifica nei
casi in cui le variazioni sono molto significative.
In rapporto con le variazioni di intensità nell’unità di tempo (minuto), i suoni o
rumori si distinguono in:
• continui – le oscillazioni non superano i 5 decibel in più o in meno del valore
medio;
• semicontinui – le oscillazioni sono comprese tra 5,1 e 20 decibel in più o in
meno del valore medio;
• impulsivi – sono presenti oscillazioni maggiorative dell’intensità sonora di
oltre 20,1 decibel rispetto al valore medio.
La definizione di rumore impulsivo è connessa con l’innalzamento dei livelli sonori
istantanei oltre i 20 decibel rispetto alla sonorità media del rumore in esame.
8
Il riscontro dell’andamento temporale di tipo impulsivo richiede un’ulteriore
valutazione, che è connessa con il numero di impulsi nell’unità di tempo e con la
regolarità o meno della reiterazione degli impulsi stessi.
In funzione del numero di impulsi nell’unità di tempo o nel periodo di misura, i
rumori impulsivi si distinguono in:
• sporadici o occasionali – gli impulsi sonori sono < o = a 5;
• frequenti – gli impulsi sono > 5 e > 20
• costanti - gli impulsi sono > 20
In funzione della regolarità di reiterazione degli impulsi, si ha la seguente
classificazione:
• rumori impulsivi asincroni – gli impulsi si succedono ad intervalli non regolari
• rumori impulsivi ripetitivi o periodici – gli impulsi si ripetono ad intervalli
regolari
Esiste anche una differente classificazione del rumore in funzione delle variazioni
nell’unità di tempo, che è utile conoscere, anche se essa poco utile alle esigenze del
Medico del Lavoro.
Da questa classificazione emergono solo tre tipi di rumore in rapporto con il tempo,
che, peraltro, non è definito sempre in maniera precisa:
rumore intermittente – è caratterizzato da variazioni alte dell’intensità sonora
rumore fluttuante – è caratterizzato da variazioni contenute dell’intensità sonora
rumore impulsivo – è caratterizzato da variazioni maggiorative dell’intensità sonora,
di 30 – 40 decibel, di durata estremamente contenuta (< 0,5 sec)
CLASSIFICAZIONE DEL RUMORE IN FUNZIONE DELLE SORGENTI
La maggior parte dei fisici è concorde nel ritenere che si debba intendere per rumore
di fondo quello non antropico, in altre parole non prodotto da attività umane.
Il rumore antropico può essere classificato in funzione della dimensione della
sorgente e della mobilità della stessa.
Nel primo caso, si distinguono:
• rumori a banda stretta – sono prodotti da sorgenti singole, che possono essere
omologate a sorgenti puntiformi
• rumori a banda larga – sono originati da più sorgenti, insistenti
contemporaneamente in una dimensione spaziale definita (per esempio, tutte le
macchine all’interno di un capannone industriale)
Nel secondo caso, si distinguono:
• rumori da sorgenti aerali – originano da fonoproduttori fissi, a banda stretta o
larga
• rumori da sorgenti lineari – originano da fonoproduttori in movimento
(esempio, il rumore di automobili o aerei).
9
PROPAGAZIONE DEL SUONO O DEL RUMORE
Le onde sonore si propagano uniformemente in tutte le direzioni dalla sorgente
(oggetto messo in vibrazione).
Durante la propagazione, le intensità diminuiscono progressivamente, con una
variabilità, che è funzione del tipo di mezzo fluido, nel quale si realizza la
propagazione.
Nell’aria l’entità della diminuzione è pari a 6 dB per ogni metro. In pratica, un
rumore di 70 decibel alla sorgente diventa pari a 64 dB ad un metro di distanza da
essa, pari a 58 dB a due metri e così via.
Questa condizione è, tuttavia, solo ideale. Essa, infatti, è presente solo se:
la sorgente sonora è a banda stretta, omologa ad una puntiforme;
non vi sono oggetti bloccanti o riflettenti lungo tutte le traiettorie di propagazione del
suono.
L’assenza d’ostacoli alla propagazione del suono e/o d’oggetti riflettenti costituisce la
“condizione di campo libero”.
Nella maggioranza dei casi, le sorgenti sono multiple (sorgenti a banda larga) ed il
suono incontra ostacoli nella sua propagazione.
La conseguenza della propagazione o diffusione in “condizione di campo occupato”
è costituita da una serie di fenomeni.
Sommazione – è l’effetto della contemporanea presenza di più fonti di
fonoproduzione;
Riflessione – è la conseguenza della restituzione di parte del suono al fluido
circostante, nel verso opposto a quello d’incidenza, con una variazione di direzione
da 1 a 90° rispetto a quell’incidente e con una variazione d’intensità, che dipende
dalla natura e struttura del mezzo riflettente;
Trasmissione – consiste nel passaggio del suono attraverso l’ostacolo; la variazione
d’intensità tra il suono incidente e quello emergente è funzione della natura
dell’ostacolo (composizione molecolare), della macrostruttura (spessore e forma),
della microstruttura (dimensione delle maglie d’aria).
e
10
Suono incidente
Suono riflesso
Suono trasmesso
Calcoli dei fenomeni di sommazione, riflessione e trasmissione del suono
La valutazione della sommazione del suono deriva da un calcolo integrato tra i
decrementi, conseguenti alla distanza da ogni singola sorgente del punto di
misurazione, e gli incrementi, dovuti alla distanza tra le sorgenti stesse.
Considerando due sorgenti puntiformi di rumore, l’intensità misurata al centro tra
esse si ricava dallo sviluppo dell’espressione
Ip = (I1
– D) + (I2
– D) x (1/D) 2
Dove
Ip = intensità sonora nel punto in esame
I1
= intensità sonora della sorgente sonora 1
I2
= intensità sonora della sorgente sonora 2
D = distanza del centro dalle due sorgenti
La trasmissione è la quota di suono, che passa attraverso un ostacolo. Di maggiore
utilità è il suo valore inverso, in altro modo la stima della quota di suono, che è
trattenuta da un ostacolo. Si parla, in questo caso, d’assorbimento del suono.
L’assorbimento, oltre che dalle caratteristiche dell’ostacolo già elencate in
precedenza, dipende dalla lunghezza d’onda del suono incidente.
La lunghezza d’onda interagisce sia con la macrostruttura dell’ostacolo (dimensione e
spessore soprattutto), sia con la microstruttura.
Un suono con bassa frequenza e relativa alta lunghezza d’onda è bloccato solo da
ostacoli di dimensione e spessore, tali da superare la distanza tra due creste
successive (macrostruttura). Un’alta lunghezza d’onda è parimenti in grado di
superare le maglie d’aria d’interposizione tra gli aggregati molecolari
(microstruttura), riducendo al minimo o escludendo l’assorbimento.
In maniera opposta si comportano i suoni con alta frequenza e relativa bassa
lunghezza d’onda.
Per calcolare la percentuale d’abbattimento di un ostacolo, bisogna conoscere:
1. la lunghezza d’onda del suono
2. la dimensione e lo spessore dell’ostacolo
3. la costante d’abbattimento dell’ostacolo K (i valori negativi di K
corrispondono a strutture molecolari ed a macrostrutture che riflettono il
suono, senza abbatterlo minimamente)
L’espressione di calcolo è:
A = (Iλ
xD x Sp) x K
Dove
Iλ
= intensità alla lunghezza d’onda in esame;
D e Sp, rispettivamente dimensione e spessore dell’ostacolo
K = costante d’abbattimento
11
FENOMENI SONORI ACCESSORI
Diffrazione – Cambiamento di direzione di un’onda sonora al superamento di un
ostacolo di grandezza uguale o simile alla sua lunghezza d’onda
Dissonanza – Grado di disaccordo tra due o più toni puri
Distorsione – Modifica della forma di un’onda sonora durante la propagazione
Distorsione del ripetitore – Modifica non desiderata dell’onda sonora da parte di un
mezzo destinato alla riproduzione di essa
CONTENUTI E METODI DELLE RILEVAZIONI FONOMETRICHE
Le rilevazioni fonometriche consistono nella misurazione di tutti i parametri, che
caratterizzano il suono (o il rumore).
Essi sono costituiti da:
1. Intensità,
2. frequenza,
3. andamento temporale,
4. eventuali fenomeni sonori accessori (distorsioni, riverberi)
Per la misurazione di tutti i parametri sono utilizzati specifici apparecchi, denominati
“Fonometri”.
Nell’accezione più semplice, un fonometro è un misuratore dell’intensità sonora. La
misurazione avviene grazie alla trasformazione dell’energia pressoria, prodotta dal
suono e percepita dalla membrana del microfono, in energia elettrica. Da questo si
deduce che il fonometro è omologabile ad un galvanometro, in altro modo ad un
apparecchio in grado di trasformare in energia elettrica altre forme d’energia
(termica, chimica, meccanica). Nei fonometri di generazione relativamente recente, la
presenza di circuiti integratori consente di misurare le intensità sonore direttamente in
unità di pressione (millibar) ed in decibel.
Schema di un fonometro
M A1
C.p
A2
RMS
12
M = Microfono
A1
= Primo amplificatore del segnale pressorio
Cp
= Circuiti di pesatura (filtri A, B e C)
A2
= Secondo amplificatore
RMS = rettificatore di segnale (galvanometro e integratore per la trasformazione in
decibel)
D = display
MISURA DELL’INTENSITÀ SONORA
L’intensità sonora corrisponde all’energia posseduta dal suono.
L’energia sonora origina dall’energia meccanica di un oggetto solido, messo in
vibrazione.
Prima di effettuare la misurazione dell’intensità sonora, allo scopo di avere
misurazioni efficaci, in altro modo tecnicamente corrette, ed efficienti, in altro modo
corrispondenti all’esigenza di ponderazione del rischio e d’individuazione dei
correttivi eventualmente necessari, è necessario ricordare alcuni aspetti caratteristici
dell’inquinamento sonoro e delle potenzialità del suono.
La prima considerazione è relativa alla necessità di avere, in ciascun ambiente
esaminato, sia una stima dei suoni o rumori, che costantemente si modificano, sia
valutazioni medie dell’entità dell’inquinamento sonoro e delle dosi di rumore o suono
effettivamente assorbiti.
In pratica quanto sopra riportato si traduce nel fatto che lo sfruttamento di tutte le
potenzialità di un fonometro consente di misurare:
 il sound pression level o S.P.L., che è la pressione sonora istantanea, di volta in
volta misurata dall’apparecchio;
 il livello equivalente o Leq, che è la media ponderata dei rumori mutevoli presenti,
corretta da un rapporto tra la durata di ciascuna singola intensità ed il tempo di
riferimento;
 il livello di dose assorbita o Lep, che è la quota di rumore effettivamente assorbita
durante un turno di lavoro.
Il secondo aspetto da considerare in occasione delle misurazioni fonometriche è
quello derivante dalla peculiarità della percezione sonora umana. Rispetto all’energia
totale posseduta dal suono, la ricezione sonora è modificata, giacché l’orecchio
umano, per effetto della struttura del padiglione auricolare e dell’impedenza della
membrana timpanica, riduce l’intensità dei suoni a frequenze basse ed alte (< 250 Hz,
> 6.000 Hz). Questa caratteristica dell’orecchio è simulata dai fonometri grazie
all’esistenza di specifici circuiti di ponderazione.
Normalmente un buon fonometro possiede un circuito di ponderazione, definito A,
che percepisce il suono alla stessa maniera dell’orecchio umano medio, in altre parole
attenuando le intensità < a 250Hz e > a 6.000 Hz di circa il 20% dell’energia
effettivamente posseduta, mentre riduzioni da 5 al 10% sono realizzate nelle bande
frequenziali interne ai due valori estremi riportati.
13
Per valutare la potenzialità di danno sull’apparato uditivo è, pertanto, necessario
misurare il rumore con il circuito di ponderazione A (comunemente si parla di
misurazioni “in decibel A”).
Il circuito di ponderazione C, che è presente in tutti i fonometri, misura il rumore
come grandezza fisica. In altro modo esso misura tutta l’energia posseduta alle
diverse bande di frequenza.
La doppia misurazione in decibel A o C è utile a cogliere le differenze tra le intensità
sonore del suono “fisico” e di quello “percepito”, ma non limita solo a questo la sua
funzione.
In rapporto con il fatto che la potenzialità lesiva del rumore varia sensibilmente in
rapporto con la distribuzione in frequenza, essendo differenti gli organi recettori delle
frequenze basse (pressocettori vasali e digerenti) e di quelle alte (strutture compatte,
quali ossa e articolazioni), e che questi differenti recettori non esplicano alcun effetto
riduttivo delle intensità, la misurazione in decibel C è sempre necessaria per valutare
tutte le potenzialità lesive del rumore.
Calcolo del livello equivalente e del livello di dose assorbita
Il livello equivalente corrisponde al valore di un ipotetico rumore costante per tutto il
tempo di esposizione. Considerando che ciascuna variazione di intensità sonora ha
una durata e considerando parimenti che essa è una frazione dell’intera durata
d’esposizione al rumore, il livello equivalente congloba i rapporti intensità/durata,
come se per tutto il tempo la pressione sonora fosse stata costante.
Per convenzione il calcolo dei rapporti intensità/durata è fondato su una proiezione a
8 ore (Leq8 o LeqD), utilizzato nei casi di esposizione continua a rumore, o a 40 ore
(Leq 40 o LeqW), utilizzato nei casi di esposizione discontinua o di lavori itineranti.
La formula di calcolo è la seguente
LeqT = 10 log 1/T [Pt/P0]2
dt
Dove
T = durata dell’intervallo di rappresentatività del Leq (8 o 40)
Pt = pressione acustica istantanea, ponderata in A
P0 = 20 micropascal
Dt = durata di ciascuna pressione misurata
Il livello di dose assorbita corrisponde alla quantità di energia sonora effettivamente
assorbita. Evidentemente si tratta di un rapporto tra le variazioni di intensità sonora,
espresse come media ponderata Leq, e l’effettivo tempo d’esposizione
La formula di calcolo è la seguente
LepT = 10 log 1/Te [Pt/P0]2
dt
14
Dove
Te = durata dell’esposizione personale di un lavoratore al rumore
T0 = 8 ore
Pt = pressione acustica istantanea, ponderata in A
P0 = 20 micropascal
Dt = durata di ciascuna pressione misurata
ANALISI DELLE FREQUENZE
L’analisi della distribuzione frequenziale delle intensità sonore è definita “Analisi
spettrale del suono o rumore”.
L’analizzatore dello spettro è uno strumento a corredo del fonometro. Esso consiste
in un sistema di filtri, in grado di selezionare ristretti intervalli di frequenza, nei quali
misurare l’intensità sonora.
La misurazione delle intensità sonore a differenti frequenze può avvenire con un
sistema statico o un altro dinamico.
La misurazione con sistema statico consiste nella selezione preliminare della
frequenza, in cui misurare l’intensità.
La misurazione con sistema dinamico è detta anche registrazione della curva
d’andamento frequenziale o curva di composizione del rumore. Attraverso la
registrazione manuale delle intensità alle diverse frequenze ed il successivo riporto di
esse su un sistema cartesiano frequenze-intensità, è possibile costruire una curva, che
identifica il rapporto intensità-frequenza. Nei fonometri corredati di analizzatore
grafico, l’ottenimento della curva è immediato e completamente automatizzato.
MISURA DELL’ANDAMENTO TEMPORALE DEL RUMORE
E’ la tecnica che consente di identificare il rapporto tra variazioni di intensità e
tempo.
Per pervenire a questo tipo di stima è necessario misurare le intensità sonore
istantanee e ricavare il valore medio di esse (che non è il livello equivalente, ma una
semplice media aritmetica). Più correttamente, è necessario frazionare il tempo di
misura in unità temporali elementari di breve durata (per esempio, un secondo). Una
volta che è stato individuato e selezionato un tempo complessivo di misura, si
calcoleranno, in ciascun intervallo elementare si calcoleranno i valori medi di
intensità sonora e s’individueranno quelli minimi e massimi. Sommando i valori
medi, minimi e massimi di tutti gli intervalli temporali individuati e dividendo le
somme per il numero di essi, si perviene ad un valore medio globale delle intensità
sonore medie, minima e massima. Dai valori differenziali tra il livelli minimi e
massimi rispetto a quelli medi si ricava l’appartenenza del rumore in esame ad una
delle differenti possibilità di andamento temporale.
Direttamente connesso con la misurazione dell’andamento temporale del rumore è il
time weighting o dinamica di acquisizione dei suoni.
Il time weighting esprime la capacità di un fonometro di recepire la variabilità
dell’intensità sonora. Questo avviene grazie alla presenza di variazioni di resistenza
15
del circuito trasduttore nel fonometro, che consentono di dare una risposta di
differente velocità allo stimolo pressorio, esercitato dal suono sul microfono.
Nei fonometri di moderna generazione esistono tre dinamiche d’acquisizione del
suono, rispettivamente Impulse, Fast e Slow, in funzione della rapidità decrescente
dell’acquisizione stessa.
L’uso delle differenti dinamiche è funzione del tipo di andamento temporale
dominante. I rumori continui e semicontinui sono ben ponderati da dinamiche lente e
semilente, mentre i rumori impulsivi sono ponderati esclusivamente da quelle veloci
o impulsive.
DIREZIONE DI PROPAGAZIONE DEL SUONO
Il suono si propaga in ogni direzione, anche quando proviene da una sorgente unica a
banda stretta. E’, tuttavia, possibile che in alcune direzioni l’intensità sia maggiore
per effetto della presenza di ostacoli riflettenti.
La presenza di più sorgenti o la dimensione a banda larga, magari i due fenomeni
contemporaneamente, possono condizionare la diffusione non uniforme del suono.
Tutte le condizioni sopra riportate aggiungono un’ulteriore esigenza di discernimento
nella misurazione dell’inquinamento sonoro. Si tratta, infatti, di individuare le/le
direzione/i in cui il suono ha intensità più alte.
Questa possibilità c
À di misura è resa possibile dalla presenza di diaframmi rettilineizzatori sul
microfono, che consentono di cogliere il suono proveniente solo dalla direzione
ortogonale (misurazione in posizione frontal). L’esclusione del diaframma consente
di misurare il rumore proveniente da tutte le direzioni (è definita misurazione in
posizione random).
16
EFFETTI DEL RUMORE
Il senso comune porta a ritenere che gli effetti patogeni del rumore si manifestino
esclusivamente sulla funzione uditiva, in altro modo che il rumore faccia
esclusivamente diventare sordi.
Sempre il senso comune tende a connettere tale tipo d’effetto soprattutto con
l’intensità del rumore.
Al più, si attribuiscono al rumore altri tipi di effetti, quelli così detti extra uditivi,
secondo criteri generici e poco scientifici, nei quali sembrano prevalere le
componenti di tipo reattivo (per esempio, si tende a dare enfasi alle sensazioni
soggettive di fastidio).
Nelle pagine precedenti, abbiamo già fatto cenno alla presenza di effetti su più
organi, talvolta in forma isolata, talaltra in sovrapposizione.
Nella trattazione sistematica degli effetti conseguenti all’impatto dell’energia sonora
sul corpo umano, è necessario primitivamente stabilire che essi sono in connessione
diretta con l’intensità sonora e che interessano organi differenti in rapporto con i
differenti parametri del suono o rumore (frequenza, durata temporale, timbro).
Per esplicare un’azione patogena, è necessario, innanzi tutto, che il suono possegga
valori energetici sufficienti a superare le capacità di adattamento del corpo umano.
Infatti, nel corpo umano una stimolazione energetica di svariata natura determina una
reazione di segno opposto, tendente al mantenimento dell’equilibrio. Ad esempio, un
corpo acuminato, del tipo di un ago o una lama, lede la superficie cutanea solo
quando la forza applicata supera la resistenza offerta dalla cute e dalla contemporanea
reazione del sottocute.
Nel caso del suono è, dunque, necessario che l’intensità sonora, espressione
dell’energia dell’onda, abbia valori sufficienti a superare la resistenza meccanica
della membrana del timpano per determinare la rottura di essa, a determinare
movimenti intensi della perilinfa per danneggiare le cellule dell’organo del Corti, a
mettere in pressione i pressoccettori oltre i valori della resistenza elastica di essi per
determinare alterazione funzionali degli organi cavi.
Una volta fissato il criterio generale, secondo il quale “la comparsa di effetti è
funzione dell’intensità della stimolazione”, è possibile operare la distinzione
tipologica.
EFFETTI DIPENDENTI DALLA VARIAZIONE DI FREQUENZA
La frequenza del suono consente di rendere prevalenti gli effetti su recettori diversi.
La composizione frequenziale dei suoni o dei rumori, cui comunemente è esposto
l’uomo, è tale da determinare contemporanea stimolazione di più recettori.
Ciò non di meno, è indispensabile distinguere tra:
• una stimolazione prevalentemente acustica, dovuta a frequenze superiori a 250
Hz ed inferiori a 8.000 Hz;
• una stimolazione prevalentemente pressoria dei pressocettori degli organi cavi,
dovuta a frequenze inferiori a 250 Hz;
17
• una stimolazione esclusiva pressoria dei pressocettori, dovuta a frequenze
inferiori a 20 Hz;
• una stimolazione meccanica (messa in risonanza) di organi duri e compatti
(osso) prevalente o esclusiva, per valori frequenziali rispettivamente tra 6.000 e
20.000 Hz, o superiori a 20.000 Hz.
Da quanto esposto emerge che “la variazione di frequenza fa variare l’organo
recettore della maggiore intensità sonora”.
EFFETTI DEL SUONO E DEL RUMORE AD ALTA FREQUENZA
I suoni a frequenze medie ed alte sono maggiormente connessi con la sensazione
uditiva o con la comparsa di danno acustico.
La sensazione uditiva deriva da un primitivo convogliamento delle onde sonore verso
la membrana del timpano.
La funzione di convogliamento è espletata dal padiglione auricolare e dal meato
acustico. La struttura tridimensionale di entrambe le strutture determina
l’attenuazione delle intensità nelle bande frequenziali più alte e più basse, con
variazioni inter individuali poco significative.
La seconda tappa del processo uditivo è rappresentata dalla messa in risonanza della
membrana del timpano e dal conseguente trasferimento di energia meccanica
all’orecchio interno, attraverso la messa in movimento della catena di ossicini
dell’orecchio medio.
Complessivamente l’orecchio esterno e medio sono deputati alla trasmissione diretta
dell’energia attraverso sistemi meccanici. I deficit di funzione di una o entrambe le
sezioni dell’orecchio caratterizzano le riduzioni della sensazione uditiva di tipo
trasmissivo.
Il passaggio di energia meccanica alla perilinfa dell’orecchio interno, con
conseguente creazione di un moto ondoso, da luogo al momento percettivo. La
fluttuazione delle estremità ciliari delle cellule dell’organo del Corti da origine ad un
impulso elettrico, che è trasferito al cervello attraverso il nervo acustico. L’organo del
Corti è, pertanto, un trasduttore elettrico di segnale, mentre il nervo acustico può
essere omologato ad un conduttore.
Le anomalie di funzionamento del trasduttore o del conduttore si traducono in deficit
della sensazione uditiva di tipo percettivo, rispettivamente cocleari o retrococleari a
secondo della sede di ridotto a assente funzionamento.
L’esposizione a rumore o suono modifica sempre la sensazione uditiva. Tuttavia la
durata della variazione consente di discernere tra eventi fisiologici, parafisiologici e
francamente patologici. La discriminante è costituita dalla durata dell’alterazione
della performance uditiva.
Fatica uditiva – è costituito dall’innalzamento temporaneo e reversibile della soglia
uditiva, tipico di tutti i soggetti esposti a rumore ed indipendente dalla frequenza. La
causa della fatica uditiva è da ricercare in un’alterazione biochimica, consistente nella
riduzione temporanea dell’ossigeno dopo stimolazione acustica. Benché si tratti di un
18
fenomeno assolutamente reversibile, la reiterazione di eventi sonori, produttori di
fatica uditiva, innalza il rischio di sordità. Attualmente, infatti, si tende a considerare
la riduzione della performance uditiva di soggetti residenti in zone ad alta sonorità
ambientale più dipendente da ripetuti eventi di fatica uditiva che da senescenza.
Spostamento temporaneo della soglia uditiva o STS - è costituito da un
innalzamento reversibile della soglia uditiva, di durata variabile da pochi secondi sino
a 16 ore, dose e tipo dipendente.
Il concetto di tipo dipendenza è connesso con il fatto che lo STS è tipico delle alte
frequenze (da 2.000 a 4.000 Hz), mentre la dipendenza dalla dose corrisponde al fatto
che è necessaria un’intensità sonora di almeno 60 dB perché il fenomeno sia
apprezzabile.
In rapporto con la durata dello spostamento di soglia, si distinguono:
1. STS cortissimo – dura meno di un secondo
2. STS breve o ½ – dura a ½ minuto
3. STS 2 – dura fino a 2 minuti
4. STS lungo o 16 – dura da pochi minuti fino ad un massimo di 16 ore
Spostamento patologico della soglia uditiva – innalzamento della soglia uditiva,
che permane oltre le 16 ore dalla cessazione dell’esposizione al rumore
L’introduzione dei valori di 16 ore nel calcolo della durata dello spostamento è
derivata dall’identificazione con la codifica temporale media delle attività lavorative.
Poiché l’esposizione a rumore caratterizza prevalentemente le attività lavorative, in
funzione della durata media di un turno di lavoro, che è pari ad 8 ore, la permanenza
di un deficit di sensazione oltre il previsto tempo di recupero, che corrisponde alle
rimanenti 16 ore della giornata, determina una nuova esposizione ancora in
condizione di handicap. Da questa condizione deriva l’impossibilità di realizzare un
vero recupero, da cui deriva la stabilizzazione patologica del danno.
L’esposizione a suono o a rumore provoca la comparsa di un danno stabilizzato della
funzione uditiva o ipoacusia.
Le condizioni deterministe del danno sono rappresentate:
1. dall’intensità del suono o rumore
2. dalla frequenza del suono o rumore
3. dalla durata dell’esposizione.
Per quanto attiene alla frequenza, si è gia visto che lo spostamento temporaneo della
soglia uditiva si manifesta a frequenze superiori a 2.000 Hz.
Il danno uditivo stabile è, pertanto, conseguente all’esposizione a rumore o suono ad
alta frequenza.
Le motivazioni induttive della maggiore capacità di determinazione del danno
acustico da parte del rumore ad alta frequenza sono due.
La prima motivazione è di tipo strettamente anatomo funzionale. Nell’organo del
Corti è presente una compartimentazione delle cellule deputate all’elaborazione dei
19
segnali provenienti dalle diverse frequenze. La particolarità della struttura anatomica
determina una maggiore vorticosità della perilinfa proprio nella zona elettivamente
deputata alla percezione delle frequenze alte. Da questa condizione derivano un più
rapido esaurimento funzionale delle cellule ed una più precoce involuzione
anatomica.
La seconda motivazione è di tipo prettamente statistico. I rumori, cui è esposto un
essere umano, specialmente un lavoratore, sono caratterizzati dalla prevalenza di alte
intensità proprio nelle frequenze medio-alte. Questa caratteristica di composizione
del rumore determina una più costante ed intensa stimolazione della zona deputata
alla percezione delle alte frequenze, da cui deriva la precocità d’usura rispetto alle
rimanenti zone dell’organo del Corti.
L’intensità sonora minima efficiente alla determinazione di spostamento temporaneo
della soglia uditiva è valutata corrispondente a 60 dB circa.
La compromissione stabile della funzione uditiva richiede intensità sonore ancora più
alte. E’ sufficientemente dimostrato che l’intensità sonora media, espressa come
livello sonoro equivalente, necessaria all’instaurazione di deficit uditivi stabili è di
almeno 85 dB. In rapporto con questo valore discriminante sono state tracciate le
differenti linee guida di protezione dal danno da rumore, su cui sono state elaborate le
Norme di protezione nelle diverse Nazioni.
Per quanto attiene alla durata d’esposizione, non è possibile stabilire con rigore un
tempo minimo efficiente, essendo la sordità funzione combinata dei rapporti multipli
tra frequenze, intensità e durata. Esistono, tuttavia, buone possibilità di calcolo
predittivo, che consentono di stimare l’entità del rischio dall’incrocio tra intensità
sonora e durata d’esposizione. Da questi calcoli emerge che, per intensità sonore
comprese tra 85 e 90 dB, fatte salve alcune situazioni di particolare suscettibilità
individuale, è necessario un tempo minimo d’esposizione lavorativa di 10 anni,
caratterizzata da regolari turni lavorativi giornalieri di 8 ore, per riscontrare ipoacusia
in almeno il 30 % dei lavoratori esposti.
CARATTERISTICHE E CLASSIFICAZIONE DELLE IPOACUSIE DA RUMORE
Il rumore determina la comparsa di un’ipoacusia di tipo neurosensoriale o percettivo
cocleare.
L’ipoacusia da rumore è tipicamente bilaterale (non sono escludibili, tuttavia, le
forme monolaterali).
Il tracciato audiometrico di un’ipoacusia da rumore ha un andamento tipicamente
caratterizzato da una significativa caduta della percezione uditiva a 4.000 Hz (nelle
forme più scolastiche) o dai 3.000 ai 6.000 (nella maggior parte dei casi).
I criteri di classificazione dell’audiogramma da rumore si fondano sulla
contemporanea valutazione dell’entità della perdita di percezione sonora, misurata in
decibel, e delle bande frequenziali, nelle quali la perdita si manifesta.
Da questa combinazione, si ricavano le seguenti forme interpretative:
20
Trauma acustico iniziale – la perdita è localizzata solo a frequenze da 3.000 a 4.000
Hz e non supera i 30 dB; il danno ha caratteristiche di reversibilità
Trauma acustico avanzato – le frequenze interessate sono le stesse ma l’entità della
perdita uditiva è superiore a 30 dB; il danno ha minori possibilità di recupero
Ipoacusia da rumore di lieve grado – sono interessate anche le frequenze medie
(1.000- 2.000 Hz), con perdita in dB non superiore a 30
Ipoacusia da rumore di medio grado – caratteristiche frequenziali analoghe, ma
perdita in dB fino a 50 dB
Ipoacusia da rumore di grave grado – caratteristiche frequenziali analoghe, ma
perdita in dB superiore a 60
Ipoacusia non da rumore – tutte le altre forme di deficit uditivo, con tracciati
differenti da quelli precedentemente elencati
Rispetto all’interpretazione diagnostica audiologica, alla quale necessita innanzi tutto
la discriminazione della sede del danno, la pratica audiologica preventiva, adoperata
in Audiologia del Lavoro, ha due tipi di necessità:
valutare la connessione tra esposizione a rumore e eventuale perdita di performance
uditiva;
mettere rapidamente in evidenza le alterazioni uditive, al fine di realizzare una valida
prevenzione.
Per quanto attiene alla connessione, è indispensabile che la pratica diagnostica sia
accompagnata da un’attenta anamnesi lavorativa, che serve a mettere in evidenza
l’entità dell’esposizione e la durata di essa.
La positività per esposizione al rumore può derivare:
• dall’appartenenza del lavoratore in esame ad una delle attività lavorative, nelle
quali è riconosciuta per normativa di legge la sussistenza del rischio rumore;
• dai dati fonometrici, che indicano il grado di sonorità cui il lavoratore è
esposto.
Questi due criteri saranno indispensabili anche nella fase di definizione assicurativa.
In quest’evenienza, non sarà sufficiente solo che il tracciato audiometrico mostri le
caratteristiche di un danno da rumore, essendo indispensabile poter ricostruire la
storia espositiva, sia in termini di entità d’esposizione sia in termini di durata.
Un’altra caratteristica, che differenzia l’Audiologia diagnostica da quella del Lavoro,
è relativa ai tempi d’esecuzione degli esami audiometri ci. Mentre l’Audiologia
diagnostica non ha interessi ai rapporti tra periodo d’osservazione e pausa dalla
cessazione dell’esposizione, l’Audiologia del Lavoro si giova di controlli effettuati
direttamente sui posti di lavoro, con un periodo di intervallo tra esposizione ed esame
solo superiore ai due minuti corrispondenti allo spostamento breve della soglia
uditiva. Al contrario, l’Audiologia legale, che ha lo scopo di accertare il danno ai fini
indennizzativi, esegue gli esami necessariamente dopo il periodo di pausa acustica tra
i turni di lavoro (almeno 16 ore dopo la cessazione dell’attività).
21
EFFETTI DEL SUONO O DEL RUMORE A BASSA FREQUENZA
I suoni e rumori a bassa frequenza stimolano i recettori pressori degli organi cavi,
dando origine ad una serie di reazioni, proprie di ciascun organo.
La risposta dell’apparato digerente è costituita, tipicamente, dalla comparsa di
movimenti antiperistaltici (moti di verso opposto a quelle del transito normale), che
determinano disturbi variabili dal senso di vuoto allo stomaco (tipicamente avvertito
in prossimità di strumenti a percussione o di amplificatori di segnale acustico) sino
alla comparsa di vomito.
Più stabile e tendente alla cronicizzazione è la risposta dell’apparato cardiovascolare.
L’esposizione a rumori o suoni a bassa frequenza induce una risposta tipicamente
vagale, con bradicardia ed ipertensione diastolica. Nel caso di intensità alte e
frequenze molto basse, è possibile che l’entità immediata della risposta vagale sia
tanto intensa da provocare arresto cardiaco. Una risposta simile si può verificare
qualora un’onda sonora di alta intensità, superiore a 120 dB, e frequenza inferiore a
100 Hz, colpisca ortogonalmente la superficie toracica, condizione che può
verificarsi, per esempio, quando il corpo umano si trovi a sostare nella traiettoria di
rinculo di un cannone.
Un ulteriore effetto del rumore o suono a bassa frequenza è costituito dalla
liberazione di catecolamine durante il periodo d’esposizione, con un tipico quadro di
eccitazione psicomotoria, cui consegue, per un feed-back negativo, il rallentamento
della liberazione delle stesse catecolamine al termine dell’esposizione, con
conseguente allungamento dei tempi di reazione e riduzione della risposta d’allarme.
Questa condizione si verifica, tipicamente, durante e dopo un periodo d’esposizione a
suono a bassa frequenza, così come accade in una discoteca.
L’efficienza del suono o rumore a bassa frequenza nella determinazione di effetti non
desiderati è maggiore di quella posseduta dalle frequenze medio alte. Questo
comporta che l’intensità sonora minima necessaria è collocata a valori discriminanti
di 70-75 dB, nettamente inferiori agli 85 dB necessari alla determinazione del danno
acustico.
EFFETTI DELL’ANDAMENTO TEMPORALE
La variazione degli effetti del rumore, dovuta all’andamento temporale, è connessa
con la caratteristica di risposta alla percezione sonora.
Schematizzando al massimo, si può affermare che, una volta trasformato in segnale
elettrico, il suono è trasferito dall’orecchio interno al cervello attraverso il nervo
acustico.
In realtà il nervo acustico conduce il suono ai tubercoli quadrigemini. Da questi si
dipartono due ordini di fibre, delle quali un gruppo è diretto alla corteccia ed un altro
direttamente all’ipotalamo. Un terzo fascio di fibre nervose connette la corteccia con
l’ipotalamo.
Da quest’impalcatura di connessione deriva il fatto che la stimolazione sonora
determina contemporaneamente un segnale elaborato dalla corteccia ed un altro di
tipo neurovegetativo, di natura ipotalamica. La connessione cortico ipotalamica ha la
funzione di regolare l’entità della risposta neurovegetativa.
22
Un rumore continuo o semicontinuo consente di realizzare un efficace controllo
corticale della funzione ipotalamica. In conseguenza di ciò, l’entità della risposta
stressogena è contenuta entro limiti fisiologici.
Un rumore impulsivo o, comunque, improvviso, determina un’accelerazione del
trasporto nella direzione ipotalamica ed una conseguente attivazione del sistema
ipotalamp-ipofisi-corticosurrene. La condizione, che è denominata “reazione
d’allarme” si traduce nell’accentuazione della risposta stressogena.
PREVENZIONE DEL DANNO DA RUMORE.
Pur non potendo del tutto eliminare il rischio in quanto il rumore rappresenta il più
diffuso inquinante presente negli ambienti industriali (si pensi al fatto che nelle
casistiche INAIL le otopatie da rumore sono al primo posto tra le malattie
professionali denunciate), esistono criteri di prevenzione sufficientemente idonei a
contenere la comparsa dei danni uditivi.
Del resto, la attuazione di un sistema di prevenzione ambientale, oltre che essere
suggerita dai vari Organismi Internazionali preposti all'individuazione di criteri
preventivi, è sancita anche dal Codice Civile che, all'articolo. 2087, "obbliga
l'Imprenditore ad adottare le misure che attraverso l'esperienza e la tecnica
siano ritenute necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei
Lavoratori". Quest’obbligo è stato recentemente reiterato dal D.L. 626/94, che
rappresenta la sistematizzazione di tutta la precedente legislazione in tema di
salvaguardia della salute e della sicurezza dei luoghi di lavoro. Con il D.L. 626 la
sussistenza di ambienti di lavoro a rischio, senza attuazione di misure contenitive di
esso, costituisce un reato operato dai Datori di lavoro che sono perseguibili
penalmente e non solo con ammende.
Sino a prima del 1991, la Legislazione italiana, pur non definendo un livello quali-
quantitativo di riferimento, stabiliva, attraverso le "Norme per l'igiene del lavoro"
art. 24 del D.P.R. N° 303/56, che "nelle lavorazioni che producono rumori
dannosi per i Lavoratori si debbano adottare i provvedimenti suggeriti dalla
tecnica per diminuire l'intensità".
Tra tutti i metodi di prevenzione del danno acustico da rumore la raccomandazione
dell'A.C.G.I.H., accettata dalla Società italiana di Medicina del lavoro, relativa al
rapporto tra tempi di esposizione ed intensità sonore, appare a tutt'oggi la più valida.
Attraverso l'esperienza di studi epidemiologici condotti nel tempo essa fissa a 85
dBA, espressi come Leq, il limite massimo di esposizione per 8 ore giornaliere per 5
giorni alla settimana, come garante della non comparsa di ipoacusia da rumore nella
media gaussiana della popolazione esposta. Per ogni incremento di livello sonoro di 5
dB consiglia il dimezzamento del tempo di esposizione come da schema seguente:
23
livello sonoro ore consentite
dBA 85 8
dBA 90 4
dBA 95 2
dBA 100 1
dBA 105 12
dBA 110 14
dBA 115 18
Il livello di 115 dBA non può essere superato per la possibile rottura traumatica della
membrana del timpano.
L'intervento sul tempo di esposizione si rende necessario giacché, dal punto di vista
strettamente fisico, ad ogni aumento di intensità sonora di circa 3 dB corrisponde il
raddoppio della pressione sonora esercitata sulla membrana timpanica.
Tenendo in considerazione questa valutazione meramente fisica si giustificano le
direttive impartite da Organismi differenti dall'A.C.G.I.H. che consigliano il
dimezzamento per ogni incremento di soli 3 dB.
Va, tuttavia, precisato che il criterio basato sul dimezzamento per ogni 5 dB è ancora
quello raccomandato dalle Direttive C.E.E. e che esso trova giustificazione nel fatto
che l'entità del suono percepito dall'orecchio interno non corrisponde esattamente alla
pressione esercitata sulla membrana timpanica per le capacità di attenuazione delle
vie trasmissive, come accennato in precedenza.
Il D.P.R. 277 dell'agosto 1991, che ha fissato per la prima volta i livelli di
permissibilità dell'inquinamento da rumore negli ambienti di lavoro, rappresenta un
arretramento rispetto alle raccomandazioni sopra citate.
Se questo Decreto ha il merito di avere obbligato tutti i contesti lavorativi, anche di
tipo terziario, a certificare agli Organi competenti (Ispettorato del Lavoro e A.S.L.
competente per territorio) l'entità del proprio inquinamento sonoro, ha fissato limiti di
tollerabilità molto più elevati che in precedenza nel momento in cui il limite di 85
dBA si riferisce a dosi effettivamente assorbite e non a rumorosità medie ponderate
degli ambienti di lavoro. Infatti, il raggiungimento di un LepD di 85 decibel come
minimo livello di intervento corrisponde ad una rumorosità generale, espressa come
livello equivalente, senz'altro superiore. Ora, se anche può essere accettato il criterio
per cui solo il rumore effettivamente assorbito è causa di danno uditivo, non si deve
trascurare di considerare che una rumorosità elevata è dannosa anche per altri
apparati ed è, comunque, soggettivamente molto fastidiosa.
Accanto agli interventi sui tempi di esposizione, che evidentemente sono diretti
sull'uomo e presuppongono la non contenibilità del fenomeno rumore, vanno presi in
considerazione tutti quei criteri che mirano a ridurre in maniera efficace l'entità delle
immissioni sonore nel caso di attività produttive.
24
La prevenzione del danno da rumore in ambienti industriali si articola in fasi diverse:
• prevenzione tecnologica: consiste nel creare apparecchiature che producano
quantità minime di rumore, nella manutenzione delle stesse al fine di evitare la
creazione di rumorosità accessorie dovute a fenomeni di risonanza o di usura,
nell'opportuno distanziamento delle fonti sonore al fine di evitare i fenomeni di
sommazione e nella utilizzazione di materiali di costruzione degli opifici
industriali che non creino fenomeni di riflessione e distorsione del rumore,
nella perimetrazione e segnalazione delle zone ad elevata rumorosità per le
quali non sia stato possibile realizzare alcun intervento di contenimento del
rumore;
• prevenzione igienico-ambientale: consiste nel controllo periodico dell'entità
dello inquinamento sonoro degli ambienti di lavoro e nell'adozione di mezzi di
protezione ambientale quali i pannelli fonoassorbenti e l'incapsulamento delle
fonti di rumore isolate, finalizzati ad evitare la propagazione del suono a
distanza;
• prevenzione sul lavoratore: consiste, oltre che nella regolamentazione dei
tempi di esposizione secondo quanto espresso in precedenza, nella dotazione ai
lavoratori dei mezzi di protezione individuale (tappi e cuffie fonoassorbenti).
Un avanzamento nel campo della prevenzione dei danni da rumore, previsto del
D.P.R. 277/91, consiste nell'opera di informazione e formazione dei lavoratori che i
Datori di lavoro devono fare, direttamente o attraverso soggetti preposti alla
prevenzione. L'informazione consiste nella illustrazione della situazione sonora
presente in ciascun contesto lavorativo e nella istruzione circa i danni che possono
derivare da un'incondizionata esposizione a rumore. La formazione, invece, consiste
nell'attuazione di programmi educativi che insegnino ai lavoratori a rispettare le
norme prudenziali previste in funzione dell'entità dell'inquinamento sonoro (non
sostare nelle zone perimetrate per tempi superiori a quelli ammissibili, alternarsi nelle
lavorazioni più rumorose secondo gli schemi previsti dagli Igienisti del lavoro,
utilizzare correttamente e costantemente i mezzi di otoprotezione).
In tutti i contesti lavorativi, in cui sia presente un rischio rumore, assume un carattere
di necessità il controllo delle condizioni uditive dei lavoratori con una periodicità
che è funzione dei livelli sonori presenti.
La necessità del controllo audiometrico scaturisce sia dall'esigenza di realizzare un
controllo parallelo a quello ambientale che da quella di salvaguardare anche quelle
persone che dovessero risultare più sensibili al danno uditivo (quelle al di fuori del
doppio della deviazione standard della media gaussiana).
Nell'ambito della regolamentazione dei controlli periodici, il D.P.R. 277 ha stabilito
che essi sono devono avere una cadenza biennale per dosi di rumore superiore a 85
decibel mentre possono essere eseguiti con intervalli minori qualora i lavoratori ne
facciano richiesta o il Medico responsabile del controllo periodico generale ne
intraveda la necessità.
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  • 1. Il suono corrisponde alla propagazione in un mezzo fluido dell’energia di compressione e di rarefazione, conseguenti al movimento di un corpo, solido ed elastico, messo in vibrazione. Dal punto di vista fisico, si tratta della formazione di onde sinusoidali, che corrispondono alla compressione ed alla rarefazione del fluido e che si trasmettono con una velocità variabile. La differente velocità di propagazione del suono nei diversi fluidi è funzione di: 1. una variabile qualitativa, che corrisponde alla natura del fluido; 2. una variabile densitometrica, che è connessa con le variazioni di densità del fluido stesso, per effetto della temperatura e della pressione. La velocità di propagazione del suono è misurata in metri al secondo, m/sec. A zero gradi ed alla pressione di un’atmosfera, la velocità di propagazione del suono nell’aria è di 331,8 m/sec, con un incremento di circa 0,5 m/sec per ogni grado di temperatura incrementale. Espressa in chilometri/ora, la velocità di propagazione del suono è uguale a 1.217,16 Km/h. Con un termine primitivamente aeronautico, a questo valore è attribuito la sigla identificativa di MAC1. La velocità di propagazione è nettamente superiore nell’acqua, essendo pari a 1480 m/sec. Le variazioni incrementali sono una funzione diretta della densità e della durezza, condizione per la quale si passa dai 1558 m/sec, come valore medio nel corpo umano, ai 5.000 – 6.000 m/sec degli acciai temprati. Affinché la vibrazione sia apprezzata come energia, occorre che essa, trasmessa attraverso il mezzo fluido, sia in grado di raggiungere un altro corpo e di determinare un nuovo effetto energetico. Questo può consistere in una nuova messa in vibrazione, nella produzione di calore, nell’effettuazione di lavoro (forza contro resistenza). In sintesi, si può in concreto affermare che il suono è la conseguenza della variazione energetica in un mezzo recettore della variazione di pressione, determinata in un fluido dal movimento di un mezzo solido ed elastico, cui sia stata fornita energia. L’energia primitivamente fornita al mezzo solido ed elastico può essere di varia natura, potendo distinguersi:  una fornitura energetica meccanica (per esempio, un colpo su un diapason, una bacchettata su un tamburo, il colpo di un pistone di pressa);  una fornitura energetica termica (per esempio, il riscaldamento di un liquido fino al superamento della tensione superficiale);  una fornitura energetica cinetica (per esempio, il veloce spostamento di fluidi per depressurizzazione o variazioni di calibro dei conduttori, che mettono in vibrazione le pareti dei conduttori stessi o mezzi solidi interposti, così come accade negli strumenti a fiato). Generalmente la definizione di suono è applicata al fatto che la trasmissione di energia nel mezzo fluido si trasforma in sensazione uditiva per effetto della messa in 1 SUONO E RUMORE
  • 2. vibrazione della membrana del timpano ed il conseguente innesco dei meccanismi di trasmissione e percezione uditiva. Più correttamente, secondo una definizione di tipo fisico, deve essere inteso come energia sonora tutta quella prodotta dalla vibrazione del mezzo solido, indipendentemente dai modi con i quali essa è percepita (qualora il recettore sia il corpo umano) o dai tipi prodotti di energia secondaria. Come vedremo più dettagliatamente in seguito, la vibrazione di un mezzo solido, che produca energia esclusivamente in bande frequenziali molto basse, non determina sensazione uditiva (o, per lo meno, determina una poco apprezzabile sensazione uditiva in rapporto con l’energia effettivamente posseduta). Ciò non di meno, la quota d’energia trasmessa per interposizione di un mezzo fluido, tipicamente l’aria, che è in grado di mettere in movimento recettori differenti dalla membrana del timpano, in termini fisici è egualmente un’energia sonora. PARAMETRI DEL SUONO Il suono è caratterizzato da una serie di parametri, che ne definiscono, rispettivamente, il contenuto energetico, le caratteristiche di propagazione, i rapporti con il tempo. INTENSITÀ SONORA L’intensità sonora, o ampiezza del suono, corrisponde alla quantità di energia, che l’onda sonora trasporta. Sebbene la compressione del mezzo fluido e la rarefazione conseguente di esso siano già espressione di un’energia, l’intensità sonora è misurata come energia d’impatto su superfici. Essa esprime l’energia dell’onda sonora per unità di superficie quadrata, perpendicolarmente alla direzione di propagazione, ed è ricavata dalla relazione: Peff.2 I = D x C dove Peff = pressione effettiva dell’onda sonora, misurata in dyne/cm2 , unità di misura di una forza applicata ad una superficie, o in bar, unità di misura della pressione (per la pressione sonora è usato il sottomultiplo microbar). D = densità del mezzo di propagazione C = velocità del suono Dalla relazione sopra riportata si ricava la misurazione dell’intensità sonora assoluta. Comunemente l’intensità sonora è misurata come valore relativo, in altro modo come rapporto tra l’intensità sonora in esame e quella di un suono ipotetico di riferimento. 2
  • 3. In questo caso, la formula da sviluppare è la seguente P2 P I = 10log P0 2 = 20 log P0 dove P = intensità o pressione sonora del suono in esame P0 = intensità o pressione sonora del suono di riferimento Le intensità sonore, in esame e di riferimento, possono essere espresse in dyne/cm2 , in microbar o in micropascal Il valore numerico, ottenuto dallo sviluppo dell’espressione aritmetica, costituisce l’unità di misura, molto semplificata, della pressione sonora. Essa è definita Bell (B). Nella misura dell’intensità sonora si utilizza, con frequenza d’uso quasi assoluta, il sottomultiplo decimale del Bell o decibel (dB). Come tutte le misure fisiche, il valore di P0 è stato fissato convenzionalmente, assumendo come valore di riferimento (0,0002 dyne/cm2 oppure 20x10-6 micropascal) Questo valore corrisponde: • alla minima soglia uditiva di un soggetto normoudente per un tono puro, alla frequenza di 1.000 Hertz; oppure  alla pressione sonora esercitata da una sfera di sughero di un cm di diametro, che cade da un metro su una superficie di legno di un metro quadrato. La scelta metodologica di utilizzare un’unità di misura, che sviluppa un calcolo logaritmico, deriva da due considerazioni fondamentali: • la sensazione acustica è proporzionale al logaritmo dell’energia di eccitazione; • l’ampia variabilità delle pressioni acustiche è ben misurata da un sistema logaritmico, in cui, ad ogni intervallo incrementale di 2,7 decimali, corrisponde un raddoppio dell’intensità misurata in bar o dyne/cm2 (in pratica, nel passaggio da 70 a 72,7 decibel, l’energia sonora espressa in bar è doppia). Classificazione dei suoni in funzione dell’intensità Sebbene non esista un criterio rigoroso di discernimento del suono in rapporto con l’intensità, nel senso che è molto arbitraria la fissazione di valori limite, che consentano di definire differenti categorie di intensità sonora, comunemente si adotta la distinzione seguente: • < o = 60 dB  suoni deboli • 61 – 90 dB  suoni medi • 91 db  suoni forti 3
  • 4. FREQUENZA DEL SUONO La frequenza corrisponde al numero di oscillazioni complete nell’unità di tempo, in altro modo a quante volte, nella considerata unità di tempo, è percorso l’intero spazio da una cresta (punto più alto dell’onda) a quella successiva. La frequenza è misurata in cicli al secondo (cps) o in Hertz (Hz). Direttamente connesso con la frequenza è il concetto di Periodo. Il periodo, che s’identifica con la lettera greca lambda, corrisponde alla durata di ciascuna singola oscillazione. Da questo deriva immediatamente che esso è un valore inverso alla frequenza, nel senso che quanto maggiore è questa, in altre parole, quanto maggiore è il numero delle oscillazioni nell’unità di tempo, tanto più breve è la durata di ciascuna singola oscillazione. Classificazione dei suoni in funzione della frequenza. Nel caso delle variazioni di frequenza, sono molto meglio identificabili gli intervalli, che consentono di attribuire al suono caratteristiche differenti. Generalmente le differenti caratteristiche sono riferite alla percezione uditiva, sia intesa come risposta differenziata dell’orecchio alla stimolazione, sia come compartecipazione di altri organi ed apparati alla stimolazione acustica. Correttamente, invece, la distinzione del suono in funzione della frequenza deriva dalla capacità di messa in risonanza di strutture di differente durezza e densità, dal differente grado di abbattimento energetico in seguito ad impatti con differenti tipi di superfici. In funzione della frequenza i suoni sono distinti in: • ultrasuoni  hanno frequenze superiori ai 20.000 Hz, che è l’allocazione frequenziale massima, in grado di determinare stimolazione acustica; • acutissimi  hanno frequenze < a 20.000 Hz e > a 8.000 Hz • acuti  hanno frequenze < a 8.000 Hz e > a 2.000 Hz • medi  hanno frequenze < a 2.000 Hz e > a 500 Hz • gravi  hanno frequenze < a 500 Hz e > a 20 Hz • infrasuoni  hanno frequenze < a 20 Hz, che è l’allocazione frequenziale minima, in grado di determinare stimolazione acustica. Nell’ambito di questi intervalli, che, come si è notato, sono basati sulla stimolazione acustica, sono necessarie alcune annotazioni aggiuntive. La voce parlata ha, in media, intervalli frequenziali compresi tra 800 e 1.500 Hz. Particolari stimolazioni delle corde vocali o artifici sui modi e tempi d’emissione dell’aria possono modificare gli intervalli frequenziali della voce parlata, più ancora se cantata, oltre i range di oscillazione, dovuti alla struttura anatomica della laringe e del torace. L’emissione forzata di aria a glottide stretta innalza la frequenza della voce, conferendo ad essa un tono sopranile. Al contrario, l’emissione lenta e cadenzata, che da luogo alla formazione di vortici d’aria nella laringe, favorisce l’abbassamento della frequenza, conferendo alla voce il tono baritonale. 4
  • 5. Al di là di queste annotazioni sulle caratteristiche della voce, la conoscenza degli intervalli fisiologici della frequenza della voce parlata è necessaria alla valutazione del grado di compromissione, che è presente in un soggetto con deficit uditivo. Maggiore importanza ha la distinzione tra i suoni acuti e gravi nell’individuazione dei danni, conseguenti a stimolazioni di alta intensità. I suoni gravi sono percepiti, oltre che dall’orecchio, dai recettori pressori degli organi cavi e dei grossi vasi. Sotto ai 100 Hz, la stimolazione dei pressocettori prevale su quell’acustica, con la conseguente comparsa di reazioni fisiologiche, parafisiologiche e patologiche maggiori di quelle uditive. Un colpo di cannone ha una composizione frequenziale tale che le maggiori intensità sono collocate tra i 100 ed i 200 Hertz. Qualora il corpo umano si trovi ad occupare una posizione ortogonale alla direzione di propagazione del suono, l’impatto dell’onda sui pressocettori supera quello sulla membrana del timpano, generando un effetto sul cuore e sui grossi vasi (reazione vagale) di gran lunga più dannoso di quello uditivo. Timbro Il timbro esprime la qualità del suono, sia dal punto di vista fisico, sia da quello dell’adattamento soggettivo. La definizione fisica del timbro richiede, innanzi tutto, che sia fissato il concetto di Tono. Il tono è la caratteristica di oscillazione di una struttura molecolare. Quando essa è ritmica regolare, in altro modo caratterizzata da spostamenti sempre uguali, si parla di Tono puro. Da quanto riferito, deriva che la produzione di toni puri è funzione: • della natura del materiale messo in vibrazione • della purezza del materiale stesso Un diapason, una corda di strumento a pizzico o a percussione sono costruiti con materiali selezionati e puri, tali da far sì che, in seguito alla stimolazione meccanica (applicazione di una forza), le oscillazioni sono talmente regolari da definire un tono puro (per esempio, una nota musicale). 5
  • 6. Il tono puro è difficilmente ottenibile in natura. Più frequentemente la vibrazione di un corpo elastico produce una serie di toni, dalla cui armonia deriva la differenziazione tra suono e rumore. Il concetto fisico di armonia è connesso con la dimensione spazio-temporale dell’oscillazione sonora. Qualunque oscillazione in un corpo solido tende ad esaurirsi. In altro modo lo spazio percorso dal corpo in movimento tende a diventare sempre più piccolo, sino al raggiungimento di un nuovo stato di quiete. Se l’entità della diminuzione dello spostamento è uniforme, nel senso ogni spostamento successivo equivale ad un sottomultiplo del precedente, realizzando una condizione di moto uniformemente decelerato, si ricava che lo smorzamento dell’oscillazione è avvenuto in maniera armonica. Il fenomeno prodotto dall’oscillazione del mezzo solido è, in tale caso, un suono. Alla presenza di uno smorzamento non regolare dell’oscillazione, il fenomeno prodotto è un rumore. L’armonia o regolarità dello smorzamento è funzione, oltre che dalla natura molecolare del mezzo solido, di variabili esterne, che possono agire sulla disposizione delle molecole. Tra queste sono fondamentali: la trazione, cui il mezzo è sottoposto (una corda di chitarra richiede di essere tenuta in tensione tra due morsetti per produrre un suono armonico); la temperatura, che agisce sulla densità (una membrana di tamburo può perdere l’armonia per innalzamenti di temperatura). Riprendendo quanto già detto in precedenza, un tono puro è difficilmente repertabile in natura. Anche gli strumenti musicali, che sono costituiti da più generatori di toni puri, nei momenti d’uso producono più toni contemporaneamente (a meno di non suonare con una sola nota, che limiterebbe molto l’ottenimento “dell’armonia musicale”). Alla presenza di più toni, il concetto di armonia si amplia. In questi casi si parla di suono se: • i singoli toni si smorzano regolarmente; • pur appartenendo i toni a bande frequenziali differenti, le attenuazioni o smorzamenti di ciascun tono si realizzano senza spostamenti in altre bande; • gli intervalli di frequenza tra toni, di differente ampiezza dell’oscillazione, sono regolari e sempre uguali tra essi (ottave e terzi di ottava). Molto più semplice o semplicistica è la differenziazione tra suono e rumore in funzione di variabili soggettive. In rapporto con la sensazione soggettiva, si possono considerare differenti definizioni, delle quali sono riportate di seguito le principali. “Rumore – qualsiasi suono non desiderato (ANSI, American National, Standard Institute) 6
  • 7. “Rumore – qualsiasi stimolo sonoro percepito come fastidioso, in grado di arrecare danno all’integrità biopsichica dell’uomo” (Codice Civile della Repubblica italiana) La definizione psichica del rumore ha una sua importanza per quanto attiene ai criteri di valutazione del rischio sonoro e, di conseguenza, ai criteri di prevenzione. Attribuendo, infatti, valore alla sensazione soggettiva, scaturisce inevitabilmente che la corrispondenza a standard di qualità degli ambienti di lavoro o di vita rispetto all’inquinamento sonoro non è funzione solo della potenzialità di danno acustico o extra acustico, rispettivamente effetto di frequenze alte o basse. In termini pratici questo si traduce nell’esigenza di non valutare esclusivamente le dosi di rumore assorbito dai lavoratori o dai cittadini, come potenziali effettori di danno di organi, ma di considerare parimenti la sonorità ambientale nella sua complessità, introducendo criteri di stima di quella massima tollerabile e di quella minima necessaria. 7
  • 8. ANDAMENTO TEMPORALE DEL RUMORE L’andamento temporale definisce il rapporto tra le variazioni di intensità sonora ed il tempo. Un suono o un rumore difficilmente, possiamo affermare quasi mai, sono caratterizzati dalla costanza dell’intensità sonora. Nella quasi totalità dei casi, questa muta continuamente, con oscillazioni che possono consentire di differenziare differenti tipi di suono o rumore. Innanzi tutto è necessario stabilire in quale modo debba essere considerato il parametro “tempo”, da mettere in relazione con le variazioni di intensità. Il tempo può essere rappresentato da una delle unità di misura di esso (variazioni in un secondo, un’ora e così di seguito). Essendo troppo breve la durata di un secondo (in archi lunghi di durata del rumore si avrebbero troppe oscillazioni), si è convenzionalmente stabilito di utilizzare, come unità di riferimento, il minuto. Con questo criterio di stima, l’andamento temporale del rumore può essere ricavato dal valore delta di oscillazione dell’intensità sonora rispetto a quella media del rumore o suono in esame, misurata in un minuto. Il tempo può essere rappresentato da un valore arbitrario, di volta in volta fissato, che corrisponde alla durata complessiva della misurazione. In questo caso, l’andamento temporale del rumore può essere ricavato dal valore delta di oscillazione dell’intensità sonora rispetto a quella media del rumore o suono in esame, misurata per tutto il tempo della misurazione. La scelta dell’uno o dell’altro criterio non è casuale. In realtà nemmeno la scelta del tempo di misura è del tutto arbitraria, giacché è sempre necessario eseguire la misura dell’andamento temporale in un minuto, per poter adeguatamente selezionare intervalli di misura più lunghi. Infatti, nei casi in cui le oscillazioni in un minuto sono molto contenute, un tempo di misura relativamente più lungo non modifica significativamente le differenze. La condizione contraria si verifica nei casi in cui le variazioni sono molto significative. In rapporto con le variazioni di intensità nell’unità di tempo (minuto), i suoni o rumori si distinguono in: • continui – le oscillazioni non superano i 5 decibel in più o in meno del valore medio; • semicontinui – le oscillazioni sono comprese tra 5,1 e 20 decibel in più o in meno del valore medio; • impulsivi – sono presenti oscillazioni maggiorative dell’intensità sonora di oltre 20,1 decibel rispetto al valore medio. La definizione di rumore impulsivo è connessa con l’innalzamento dei livelli sonori istantanei oltre i 20 decibel rispetto alla sonorità media del rumore in esame. 8
  • 9. Il riscontro dell’andamento temporale di tipo impulsivo richiede un’ulteriore valutazione, che è connessa con il numero di impulsi nell’unità di tempo e con la regolarità o meno della reiterazione degli impulsi stessi. In funzione del numero di impulsi nell’unità di tempo o nel periodo di misura, i rumori impulsivi si distinguono in: • sporadici o occasionali – gli impulsi sonori sono < o = a 5; • frequenti – gli impulsi sono > 5 e > 20 • costanti - gli impulsi sono > 20 In funzione della regolarità di reiterazione degli impulsi, si ha la seguente classificazione: • rumori impulsivi asincroni – gli impulsi si succedono ad intervalli non regolari • rumori impulsivi ripetitivi o periodici – gli impulsi si ripetono ad intervalli regolari Esiste anche una differente classificazione del rumore in funzione delle variazioni nell’unità di tempo, che è utile conoscere, anche se essa poco utile alle esigenze del Medico del Lavoro. Da questa classificazione emergono solo tre tipi di rumore in rapporto con il tempo, che, peraltro, non è definito sempre in maniera precisa: rumore intermittente – è caratterizzato da variazioni alte dell’intensità sonora rumore fluttuante – è caratterizzato da variazioni contenute dell’intensità sonora rumore impulsivo – è caratterizzato da variazioni maggiorative dell’intensità sonora, di 30 – 40 decibel, di durata estremamente contenuta (< 0,5 sec) CLASSIFICAZIONE DEL RUMORE IN FUNZIONE DELLE SORGENTI La maggior parte dei fisici è concorde nel ritenere che si debba intendere per rumore di fondo quello non antropico, in altre parole non prodotto da attività umane. Il rumore antropico può essere classificato in funzione della dimensione della sorgente e della mobilità della stessa. Nel primo caso, si distinguono: • rumori a banda stretta – sono prodotti da sorgenti singole, che possono essere omologate a sorgenti puntiformi • rumori a banda larga – sono originati da più sorgenti, insistenti contemporaneamente in una dimensione spaziale definita (per esempio, tutte le macchine all’interno di un capannone industriale) Nel secondo caso, si distinguono: • rumori da sorgenti aerali – originano da fonoproduttori fissi, a banda stretta o larga • rumori da sorgenti lineari – originano da fonoproduttori in movimento (esempio, il rumore di automobili o aerei). 9
  • 10. PROPAGAZIONE DEL SUONO O DEL RUMORE Le onde sonore si propagano uniformemente in tutte le direzioni dalla sorgente (oggetto messo in vibrazione). Durante la propagazione, le intensità diminuiscono progressivamente, con una variabilità, che è funzione del tipo di mezzo fluido, nel quale si realizza la propagazione. Nell’aria l’entità della diminuzione è pari a 6 dB per ogni metro. In pratica, un rumore di 70 decibel alla sorgente diventa pari a 64 dB ad un metro di distanza da essa, pari a 58 dB a due metri e così via. Questa condizione è, tuttavia, solo ideale. Essa, infatti, è presente solo se: la sorgente sonora è a banda stretta, omologa ad una puntiforme; non vi sono oggetti bloccanti o riflettenti lungo tutte le traiettorie di propagazione del suono. L’assenza d’ostacoli alla propagazione del suono e/o d’oggetti riflettenti costituisce la “condizione di campo libero”. Nella maggioranza dei casi, le sorgenti sono multiple (sorgenti a banda larga) ed il suono incontra ostacoli nella sua propagazione. La conseguenza della propagazione o diffusione in “condizione di campo occupato” è costituita da una serie di fenomeni. Sommazione – è l’effetto della contemporanea presenza di più fonti di fonoproduzione; Riflessione – è la conseguenza della restituzione di parte del suono al fluido circostante, nel verso opposto a quello d’incidenza, con una variazione di direzione da 1 a 90° rispetto a quell’incidente e con una variazione d’intensità, che dipende dalla natura e struttura del mezzo riflettente; Trasmissione – consiste nel passaggio del suono attraverso l’ostacolo; la variazione d’intensità tra il suono incidente e quello emergente è funzione della natura dell’ostacolo (composizione molecolare), della macrostruttura (spessore e forma), della microstruttura (dimensione delle maglie d’aria). e 10 Suono incidente Suono riflesso Suono trasmesso
  • 11. Calcoli dei fenomeni di sommazione, riflessione e trasmissione del suono La valutazione della sommazione del suono deriva da un calcolo integrato tra i decrementi, conseguenti alla distanza da ogni singola sorgente del punto di misurazione, e gli incrementi, dovuti alla distanza tra le sorgenti stesse. Considerando due sorgenti puntiformi di rumore, l’intensità misurata al centro tra esse si ricava dallo sviluppo dell’espressione Ip = (I1 – D) + (I2 – D) x (1/D) 2 Dove Ip = intensità sonora nel punto in esame I1 = intensità sonora della sorgente sonora 1 I2 = intensità sonora della sorgente sonora 2 D = distanza del centro dalle due sorgenti La trasmissione è la quota di suono, che passa attraverso un ostacolo. Di maggiore utilità è il suo valore inverso, in altro modo la stima della quota di suono, che è trattenuta da un ostacolo. Si parla, in questo caso, d’assorbimento del suono. L’assorbimento, oltre che dalle caratteristiche dell’ostacolo già elencate in precedenza, dipende dalla lunghezza d’onda del suono incidente. La lunghezza d’onda interagisce sia con la macrostruttura dell’ostacolo (dimensione e spessore soprattutto), sia con la microstruttura. Un suono con bassa frequenza e relativa alta lunghezza d’onda è bloccato solo da ostacoli di dimensione e spessore, tali da superare la distanza tra due creste successive (macrostruttura). Un’alta lunghezza d’onda è parimenti in grado di superare le maglie d’aria d’interposizione tra gli aggregati molecolari (microstruttura), riducendo al minimo o escludendo l’assorbimento. In maniera opposta si comportano i suoni con alta frequenza e relativa bassa lunghezza d’onda. Per calcolare la percentuale d’abbattimento di un ostacolo, bisogna conoscere: 1. la lunghezza d’onda del suono 2. la dimensione e lo spessore dell’ostacolo 3. la costante d’abbattimento dell’ostacolo K (i valori negativi di K corrispondono a strutture molecolari ed a macrostrutture che riflettono il suono, senza abbatterlo minimamente) L’espressione di calcolo è: A = (Iλ xD x Sp) x K Dove Iλ = intensità alla lunghezza d’onda in esame; D e Sp, rispettivamente dimensione e spessore dell’ostacolo K = costante d’abbattimento 11
  • 12. FENOMENI SONORI ACCESSORI Diffrazione – Cambiamento di direzione di un’onda sonora al superamento di un ostacolo di grandezza uguale o simile alla sua lunghezza d’onda Dissonanza – Grado di disaccordo tra due o più toni puri Distorsione – Modifica della forma di un’onda sonora durante la propagazione Distorsione del ripetitore – Modifica non desiderata dell’onda sonora da parte di un mezzo destinato alla riproduzione di essa CONTENUTI E METODI DELLE RILEVAZIONI FONOMETRICHE Le rilevazioni fonometriche consistono nella misurazione di tutti i parametri, che caratterizzano il suono (o il rumore). Essi sono costituiti da: 1. Intensità, 2. frequenza, 3. andamento temporale, 4. eventuali fenomeni sonori accessori (distorsioni, riverberi) Per la misurazione di tutti i parametri sono utilizzati specifici apparecchi, denominati “Fonometri”. Nell’accezione più semplice, un fonometro è un misuratore dell’intensità sonora. La misurazione avviene grazie alla trasformazione dell’energia pressoria, prodotta dal suono e percepita dalla membrana del microfono, in energia elettrica. Da questo si deduce che il fonometro è omologabile ad un galvanometro, in altro modo ad un apparecchio in grado di trasformare in energia elettrica altre forme d’energia (termica, chimica, meccanica). Nei fonometri di generazione relativamente recente, la presenza di circuiti integratori consente di misurare le intensità sonore direttamente in unità di pressione (millibar) ed in decibel. Schema di un fonometro M A1 C.p A2 RMS 12
  • 13. M = Microfono A1 = Primo amplificatore del segnale pressorio Cp = Circuiti di pesatura (filtri A, B e C) A2 = Secondo amplificatore RMS = rettificatore di segnale (galvanometro e integratore per la trasformazione in decibel) D = display MISURA DELL’INTENSITÀ SONORA L’intensità sonora corrisponde all’energia posseduta dal suono. L’energia sonora origina dall’energia meccanica di un oggetto solido, messo in vibrazione. Prima di effettuare la misurazione dell’intensità sonora, allo scopo di avere misurazioni efficaci, in altro modo tecnicamente corrette, ed efficienti, in altro modo corrispondenti all’esigenza di ponderazione del rischio e d’individuazione dei correttivi eventualmente necessari, è necessario ricordare alcuni aspetti caratteristici dell’inquinamento sonoro e delle potenzialità del suono. La prima considerazione è relativa alla necessità di avere, in ciascun ambiente esaminato, sia una stima dei suoni o rumori, che costantemente si modificano, sia valutazioni medie dell’entità dell’inquinamento sonoro e delle dosi di rumore o suono effettivamente assorbiti. In pratica quanto sopra riportato si traduce nel fatto che lo sfruttamento di tutte le potenzialità di un fonometro consente di misurare:  il sound pression level o S.P.L., che è la pressione sonora istantanea, di volta in volta misurata dall’apparecchio;  il livello equivalente o Leq, che è la media ponderata dei rumori mutevoli presenti, corretta da un rapporto tra la durata di ciascuna singola intensità ed il tempo di riferimento;  il livello di dose assorbita o Lep, che è la quota di rumore effettivamente assorbita durante un turno di lavoro. Il secondo aspetto da considerare in occasione delle misurazioni fonometriche è quello derivante dalla peculiarità della percezione sonora umana. Rispetto all’energia totale posseduta dal suono, la ricezione sonora è modificata, giacché l’orecchio umano, per effetto della struttura del padiglione auricolare e dell’impedenza della membrana timpanica, riduce l’intensità dei suoni a frequenze basse ed alte (< 250 Hz, > 6.000 Hz). Questa caratteristica dell’orecchio è simulata dai fonometri grazie all’esistenza di specifici circuiti di ponderazione. Normalmente un buon fonometro possiede un circuito di ponderazione, definito A, che percepisce il suono alla stessa maniera dell’orecchio umano medio, in altre parole attenuando le intensità < a 250Hz e > a 6.000 Hz di circa il 20% dell’energia effettivamente posseduta, mentre riduzioni da 5 al 10% sono realizzate nelle bande frequenziali interne ai due valori estremi riportati. 13
  • 14. Per valutare la potenzialità di danno sull’apparato uditivo è, pertanto, necessario misurare il rumore con il circuito di ponderazione A (comunemente si parla di misurazioni “in decibel A”). Il circuito di ponderazione C, che è presente in tutti i fonometri, misura il rumore come grandezza fisica. In altro modo esso misura tutta l’energia posseduta alle diverse bande di frequenza. La doppia misurazione in decibel A o C è utile a cogliere le differenze tra le intensità sonore del suono “fisico” e di quello “percepito”, ma non limita solo a questo la sua funzione. In rapporto con il fatto che la potenzialità lesiva del rumore varia sensibilmente in rapporto con la distribuzione in frequenza, essendo differenti gli organi recettori delle frequenze basse (pressocettori vasali e digerenti) e di quelle alte (strutture compatte, quali ossa e articolazioni), e che questi differenti recettori non esplicano alcun effetto riduttivo delle intensità, la misurazione in decibel C è sempre necessaria per valutare tutte le potenzialità lesive del rumore. Calcolo del livello equivalente e del livello di dose assorbita Il livello equivalente corrisponde al valore di un ipotetico rumore costante per tutto il tempo di esposizione. Considerando che ciascuna variazione di intensità sonora ha una durata e considerando parimenti che essa è una frazione dell’intera durata d’esposizione al rumore, il livello equivalente congloba i rapporti intensità/durata, come se per tutto il tempo la pressione sonora fosse stata costante. Per convenzione il calcolo dei rapporti intensità/durata è fondato su una proiezione a 8 ore (Leq8 o LeqD), utilizzato nei casi di esposizione continua a rumore, o a 40 ore (Leq 40 o LeqW), utilizzato nei casi di esposizione discontinua o di lavori itineranti. La formula di calcolo è la seguente LeqT = 10 log 1/T [Pt/P0]2 dt Dove T = durata dell’intervallo di rappresentatività del Leq (8 o 40) Pt = pressione acustica istantanea, ponderata in A P0 = 20 micropascal Dt = durata di ciascuna pressione misurata Il livello di dose assorbita corrisponde alla quantità di energia sonora effettivamente assorbita. Evidentemente si tratta di un rapporto tra le variazioni di intensità sonora, espresse come media ponderata Leq, e l’effettivo tempo d’esposizione La formula di calcolo è la seguente LepT = 10 log 1/Te [Pt/P0]2 dt 14
  • 15. Dove Te = durata dell’esposizione personale di un lavoratore al rumore T0 = 8 ore Pt = pressione acustica istantanea, ponderata in A P0 = 20 micropascal Dt = durata di ciascuna pressione misurata ANALISI DELLE FREQUENZE L’analisi della distribuzione frequenziale delle intensità sonore è definita “Analisi spettrale del suono o rumore”. L’analizzatore dello spettro è uno strumento a corredo del fonometro. Esso consiste in un sistema di filtri, in grado di selezionare ristretti intervalli di frequenza, nei quali misurare l’intensità sonora. La misurazione delle intensità sonore a differenti frequenze può avvenire con un sistema statico o un altro dinamico. La misurazione con sistema statico consiste nella selezione preliminare della frequenza, in cui misurare l’intensità. La misurazione con sistema dinamico è detta anche registrazione della curva d’andamento frequenziale o curva di composizione del rumore. Attraverso la registrazione manuale delle intensità alle diverse frequenze ed il successivo riporto di esse su un sistema cartesiano frequenze-intensità, è possibile costruire una curva, che identifica il rapporto intensità-frequenza. Nei fonometri corredati di analizzatore grafico, l’ottenimento della curva è immediato e completamente automatizzato. MISURA DELL’ANDAMENTO TEMPORALE DEL RUMORE E’ la tecnica che consente di identificare il rapporto tra variazioni di intensità e tempo. Per pervenire a questo tipo di stima è necessario misurare le intensità sonore istantanee e ricavare il valore medio di esse (che non è il livello equivalente, ma una semplice media aritmetica). Più correttamente, è necessario frazionare il tempo di misura in unità temporali elementari di breve durata (per esempio, un secondo). Una volta che è stato individuato e selezionato un tempo complessivo di misura, si calcoleranno, in ciascun intervallo elementare si calcoleranno i valori medi di intensità sonora e s’individueranno quelli minimi e massimi. Sommando i valori medi, minimi e massimi di tutti gli intervalli temporali individuati e dividendo le somme per il numero di essi, si perviene ad un valore medio globale delle intensità sonore medie, minima e massima. Dai valori differenziali tra il livelli minimi e massimi rispetto a quelli medi si ricava l’appartenenza del rumore in esame ad una delle differenti possibilità di andamento temporale. Direttamente connesso con la misurazione dell’andamento temporale del rumore è il time weighting o dinamica di acquisizione dei suoni. Il time weighting esprime la capacità di un fonometro di recepire la variabilità dell’intensità sonora. Questo avviene grazie alla presenza di variazioni di resistenza 15
  • 16. del circuito trasduttore nel fonometro, che consentono di dare una risposta di differente velocità allo stimolo pressorio, esercitato dal suono sul microfono. Nei fonometri di moderna generazione esistono tre dinamiche d’acquisizione del suono, rispettivamente Impulse, Fast e Slow, in funzione della rapidità decrescente dell’acquisizione stessa. L’uso delle differenti dinamiche è funzione del tipo di andamento temporale dominante. I rumori continui e semicontinui sono ben ponderati da dinamiche lente e semilente, mentre i rumori impulsivi sono ponderati esclusivamente da quelle veloci o impulsive. DIREZIONE DI PROPAGAZIONE DEL SUONO Il suono si propaga in ogni direzione, anche quando proviene da una sorgente unica a banda stretta. E’, tuttavia, possibile che in alcune direzioni l’intensità sia maggiore per effetto della presenza di ostacoli riflettenti. La presenza di più sorgenti o la dimensione a banda larga, magari i due fenomeni contemporaneamente, possono condizionare la diffusione non uniforme del suono. Tutte le condizioni sopra riportate aggiungono un’ulteriore esigenza di discernimento nella misurazione dell’inquinamento sonoro. Si tratta, infatti, di individuare le/le direzione/i in cui il suono ha intensità più alte. Questa possibilità c À di misura è resa possibile dalla presenza di diaframmi rettilineizzatori sul microfono, che consentono di cogliere il suono proveniente solo dalla direzione ortogonale (misurazione in posizione frontal). L’esclusione del diaframma consente di misurare il rumore proveniente da tutte le direzioni (è definita misurazione in posizione random). 16
  • 17. EFFETTI DEL RUMORE Il senso comune porta a ritenere che gli effetti patogeni del rumore si manifestino esclusivamente sulla funzione uditiva, in altro modo che il rumore faccia esclusivamente diventare sordi. Sempre il senso comune tende a connettere tale tipo d’effetto soprattutto con l’intensità del rumore. Al più, si attribuiscono al rumore altri tipi di effetti, quelli così detti extra uditivi, secondo criteri generici e poco scientifici, nei quali sembrano prevalere le componenti di tipo reattivo (per esempio, si tende a dare enfasi alle sensazioni soggettive di fastidio). Nelle pagine precedenti, abbiamo già fatto cenno alla presenza di effetti su più organi, talvolta in forma isolata, talaltra in sovrapposizione. Nella trattazione sistematica degli effetti conseguenti all’impatto dell’energia sonora sul corpo umano, è necessario primitivamente stabilire che essi sono in connessione diretta con l’intensità sonora e che interessano organi differenti in rapporto con i differenti parametri del suono o rumore (frequenza, durata temporale, timbro). Per esplicare un’azione patogena, è necessario, innanzi tutto, che il suono possegga valori energetici sufficienti a superare le capacità di adattamento del corpo umano. Infatti, nel corpo umano una stimolazione energetica di svariata natura determina una reazione di segno opposto, tendente al mantenimento dell’equilibrio. Ad esempio, un corpo acuminato, del tipo di un ago o una lama, lede la superficie cutanea solo quando la forza applicata supera la resistenza offerta dalla cute e dalla contemporanea reazione del sottocute. Nel caso del suono è, dunque, necessario che l’intensità sonora, espressione dell’energia dell’onda, abbia valori sufficienti a superare la resistenza meccanica della membrana del timpano per determinare la rottura di essa, a determinare movimenti intensi della perilinfa per danneggiare le cellule dell’organo del Corti, a mettere in pressione i pressoccettori oltre i valori della resistenza elastica di essi per determinare alterazione funzionali degli organi cavi. Una volta fissato il criterio generale, secondo il quale “la comparsa di effetti è funzione dell’intensità della stimolazione”, è possibile operare la distinzione tipologica. EFFETTI DIPENDENTI DALLA VARIAZIONE DI FREQUENZA La frequenza del suono consente di rendere prevalenti gli effetti su recettori diversi. La composizione frequenziale dei suoni o dei rumori, cui comunemente è esposto l’uomo, è tale da determinare contemporanea stimolazione di più recettori. Ciò non di meno, è indispensabile distinguere tra: • una stimolazione prevalentemente acustica, dovuta a frequenze superiori a 250 Hz ed inferiori a 8.000 Hz; • una stimolazione prevalentemente pressoria dei pressocettori degli organi cavi, dovuta a frequenze inferiori a 250 Hz; 17
  • 18. • una stimolazione esclusiva pressoria dei pressocettori, dovuta a frequenze inferiori a 20 Hz; • una stimolazione meccanica (messa in risonanza) di organi duri e compatti (osso) prevalente o esclusiva, per valori frequenziali rispettivamente tra 6.000 e 20.000 Hz, o superiori a 20.000 Hz. Da quanto esposto emerge che “la variazione di frequenza fa variare l’organo recettore della maggiore intensità sonora”. EFFETTI DEL SUONO E DEL RUMORE AD ALTA FREQUENZA I suoni a frequenze medie ed alte sono maggiormente connessi con la sensazione uditiva o con la comparsa di danno acustico. La sensazione uditiva deriva da un primitivo convogliamento delle onde sonore verso la membrana del timpano. La funzione di convogliamento è espletata dal padiglione auricolare e dal meato acustico. La struttura tridimensionale di entrambe le strutture determina l’attenuazione delle intensità nelle bande frequenziali più alte e più basse, con variazioni inter individuali poco significative. La seconda tappa del processo uditivo è rappresentata dalla messa in risonanza della membrana del timpano e dal conseguente trasferimento di energia meccanica all’orecchio interno, attraverso la messa in movimento della catena di ossicini dell’orecchio medio. Complessivamente l’orecchio esterno e medio sono deputati alla trasmissione diretta dell’energia attraverso sistemi meccanici. I deficit di funzione di una o entrambe le sezioni dell’orecchio caratterizzano le riduzioni della sensazione uditiva di tipo trasmissivo. Il passaggio di energia meccanica alla perilinfa dell’orecchio interno, con conseguente creazione di un moto ondoso, da luogo al momento percettivo. La fluttuazione delle estremità ciliari delle cellule dell’organo del Corti da origine ad un impulso elettrico, che è trasferito al cervello attraverso il nervo acustico. L’organo del Corti è, pertanto, un trasduttore elettrico di segnale, mentre il nervo acustico può essere omologato ad un conduttore. Le anomalie di funzionamento del trasduttore o del conduttore si traducono in deficit della sensazione uditiva di tipo percettivo, rispettivamente cocleari o retrococleari a secondo della sede di ridotto a assente funzionamento. L’esposizione a rumore o suono modifica sempre la sensazione uditiva. Tuttavia la durata della variazione consente di discernere tra eventi fisiologici, parafisiologici e francamente patologici. La discriminante è costituita dalla durata dell’alterazione della performance uditiva. Fatica uditiva – è costituito dall’innalzamento temporaneo e reversibile della soglia uditiva, tipico di tutti i soggetti esposti a rumore ed indipendente dalla frequenza. La causa della fatica uditiva è da ricercare in un’alterazione biochimica, consistente nella riduzione temporanea dell’ossigeno dopo stimolazione acustica. Benché si tratti di un 18
  • 19. fenomeno assolutamente reversibile, la reiterazione di eventi sonori, produttori di fatica uditiva, innalza il rischio di sordità. Attualmente, infatti, si tende a considerare la riduzione della performance uditiva di soggetti residenti in zone ad alta sonorità ambientale più dipendente da ripetuti eventi di fatica uditiva che da senescenza. Spostamento temporaneo della soglia uditiva o STS - è costituito da un innalzamento reversibile della soglia uditiva, di durata variabile da pochi secondi sino a 16 ore, dose e tipo dipendente. Il concetto di tipo dipendenza è connesso con il fatto che lo STS è tipico delle alte frequenze (da 2.000 a 4.000 Hz), mentre la dipendenza dalla dose corrisponde al fatto che è necessaria un’intensità sonora di almeno 60 dB perché il fenomeno sia apprezzabile. In rapporto con la durata dello spostamento di soglia, si distinguono: 1. STS cortissimo – dura meno di un secondo 2. STS breve o ½ – dura a ½ minuto 3. STS 2 – dura fino a 2 minuti 4. STS lungo o 16 – dura da pochi minuti fino ad un massimo di 16 ore Spostamento patologico della soglia uditiva – innalzamento della soglia uditiva, che permane oltre le 16 ore dalla cessazione dell’esposizione al rumore L’introduzione dei valori di 16 ore nel calcolo della durata dello spostamento è derivata dall’identificazione con la codifica temporale media delle attività lavorative. Poiché l’esposizione a rumore caratterizza prevalentemente le attività lavorative, in funzione della durata media di un turno di lavoro, che è pari ad 8 ore, la permanenza di un deficit di sensazione oltre il previsto tempo di recupero, che corrisponde alle rimanenti 16 ore della giornata, determina una nuova esposizione ancora in condizione di handicap. Da questa condizione deriva l’impossibilità di realizzare un vero recupero, da cui deriva la stabilizzazione patologica del danno. L’esposizione a suono o a rumore provoca la comparsa di un danno stabilizzato della funzione uditiva o ipoacusia. Le condizioni deterministe del danno sono rappresentate: 1. dall’intensità del suono o rumore 2. dalla frequenza del suono o rumore 3. dalla durata dell’esposizione. Per quanto attiene alla frequenza, si è gia visto che lo spostamento temporaneo della soglia uditiva si manifesta a frequenze superiori a 2.000 Hz. Il danno uditivo stabile è, pertanto, conseguente all’esposizione a rumore o suono ad alta frequenza. Le motivazioni induttive della maggiore capacità di determinazione del danno acustico da parte del rumore ad alta frequenza sono due. La prima motivazione è di tipo strettamente anatomo funzionale. Nell’organo del Corti è presente una compartimentazione delle cellule deputate all’elaborazione dei 19
  • 20. segnali provenienti dalle diverse frequenze. La particolarità della struttura anatomica determina una maggiore vorticosità della perilinfa proprio nella zona elettivamente deputata alla percezione delle frequenze alte. Da questa condizione derivano un più rapido esaurimento funzionale delle cellule ed una più precoce involuzione anatomica. La seconda motivazione è di tipo prettamente statistico. I rumori, cui è esposto un essere umano, specialmente un lavoratore, sono caratterizzati dalla prevalenza di alte intensità proprio nelle frequenze medio-alte. Questa caratteristica di composizione del rumore determina una più costante ed intensa stimolazione della zona deputata alla percezione delle alte frequenze, da cui deriva la precocità d’usura rispetto alle rimanenti zone dell’organo del Corti. L’intensità sonora minima efficiente alla determinazione di spostamento temporaneo della soglia uditiva è valutata corrispondente a 60 dB circa. La compromissione stabile della funzione uditiva richiede intensità sonore ancora più alte. E’ sufficientemente dimostrato che l’intensità sonora media, espressa come livello sonoro equivalente, necessaria all’instaurazione di deficit uditivi stabili è di almeno 85 dB. In rapporto con questo valore discriminante sono state tracciate le differenti linee guida di protezione dal danno da rumore, su cui sono state elaborate le Norme di protezione nelle diverse Nazioni. Per quanto attiene alla durata d’esposizione, non è possibile stabilire con rigore un tempo minimo efficiente, essendo la sordità funzione combinata dei rapporti multipli tra frequenze, intensità e durata. Esistono, tuttavia, buone possibilità di calcolo predittivo, che consentono di stimare l’entità del rischio dall’incrocio tra intensità sonora e durata d’esposizione. Da questi calcoli emerge che, per intensità sonore comprese tra 85 e 90 dB, fatte salve alcune situazioni di particolare suscettibilità individuale, è necessario un tempo minimo d’esposizione lavorativa di 10 anni, caratterizzata da regolari turni lavorativi giornalieri di 8 ore, per riscontrare ipoacusia in almeno il 30 % dei lavoratori esposti. CARATTERISTICHE E CLASSIFICAZIONE DELLE IPOACUSIE DA RUMORE Il rumore determina la comparsa di un’ipoacusia di tipo neurosensoriale o percettivo cocleare. L’ipoacusia da rumore è tipicamente bilaterale (non sono escludibili, tuttavia, le forme monolaterali). Il tracciato audiometrico di un’ipoacusia da rumore ha un andamento tipicamente caratterizzato da una significativa caduta della percezione uditiva a 4.000 Hz (nelle forme più scolastiche) o dai 3.000 ai 6.000 (nella maggior parte dei casi). I criteri di classificazione dell’audiogramma da rumore si fondano sulla contemporanea valutazione dell’entità della perdita di percezione sonora, misurata in decibel, e delle bande frequenziali, nelle quali la perdita si manifesta. Da questa combinazione, si ricavano le seguenti forme interpretative: 20
  • 21. Trauma acustico iniziale – la perdita è localizzata solo a frequenze da 3.000 a 4.000 Hz e non supera i 30 dB; il danno ha caratteristiche di reversibilità Trauma acustico avanzato – le frequenze interessate sono le stesse ma l’entità della perdita uditiva è superiore a 30 dB; il danno ha minori possibilità di recupero Ipoacusia da rumore di lieve grado – sono interessate anche le frequenze medie (1.000- 2.000 Hz), con perdita in dB non superiore a 30 Ipoacusia da rumore di medio grado – caratteristiche frequenziali analoghe, ma perdita in dB fino a 50 dB Ipoacusia da rumore di grave grado – caratteristiche frequenziali analoghe, ma perdita in dB superiore a 60 Ipoacusia non da rumore – tutte le altre forme di deficit uditivo, con tracciati differenti da quelli precedentemente elencati Rispetto all’interpretazione diagnostica audiologica, alla quale necessita innanzi tutto la discriminazione della sede del danno, la pratica audiologica preventiva, adoperata in Audiologia del Lavoro, ha due tipi di necessità: valutare la connessione tra esposizione a rumore e eventuale perdita di performance uditiva; mettere rapidamente in evidenza le alterazioni uditive, al fine di realizzare una valida prevenzione. Per quanto attiene alla connessione, è indispensabile che la pratica diagnostica sia accompagnata da un’attenta anamnesi lavorativa, che serve a mettere in evidenza l’entità dell’esposizione e la durata di essa. La positività per esposizione al rumore può derivare: • dall’appartenenza del lavoratore in esame ad una delle attività lavorative, nelle quali è riconosciuta per normativa di legge la sussistenza del rischio rumore; • dai dati fonometrici, che indicano il grado di sonorità cui il lavoratore è esposto. Questi due criteri saranno indispensabili anche nella fase di definizione assicurativa. In quest’evenienza, non sarà sufficiente solo che il tracciato audiometrico mostri le caratteristiche di un danno da rumore, essendo indispensabile poter ricostruire la storia espositiva, sia in termini di entità d’esposizione sia in termini di durata. Un’altra caratteristica, che differenzia l’Audiologia diagnostica da quella del Lavoro, è relativa ai tempi d’esecuzione degli esami audiometri ci. Mentre l’Audiologia diagnostica non ha interessi ai rapporti tra periodo d’osservazione e pausa dalla cessazione dell’esposizione, l’Audiologia del Lavoro si giova di controlli effettuati direttamente sui posti di lavoro, con un periodo di intervallo tra esposizione ed esame solo superiore ai due minuti corrispondenti allo spostamento breve della soglia uditiva. Al contrario, l’Audiologia legale, che ha lo scopo di accertare il danno ai fini indennizzativi, esegue gli esami necessariamente dopo il periodo di pausa acustica tra i turni di lavoro (almeno 16 ore dopo la cessazione dell’attività). 21
  • 22. EFFETTI DEL SUONO O DEL RUMORE A BASSA FREQUENZA I suoni e rumori a bassa frequenza stimolano i recettori pressori degli organi cavi, dando origine ad una serie di reazioni, proprie di ciascun organo. La risposta dell’apparato digerente è costituita, tipicamente, dalla comparsa di movimenti antiperistaltici (moti di verso opposto a quelle del transito normale), che determinano disturbi variabili dal senso di vuoto allo stomaco (tipicamente avvertito in prossimità di strumenti a percussione o di amplificatori di segnale acustico) sino alla comparsa di vomito. Più stabile e tendente alla cronicizzazione è la risposta dell’apparato cardiovascolare. L’esposizione a rumori o suoni a bassa frequenza induce una risposta tipicamente vagale, con bradicardia ed ipertensione diastolica. Nel caso di intensità alte e frequenze molto basse, è possibile che l’entità immediata della risposta vagale sia tanto intensa da provocare arresto cardiaco. Una risposta simile si può verificare qualora un’onda sonora di alta intensità, superiore a 120 dB, e frequenza inferiore a 100 Hz, colpisca ortogonalmente la superficie toracica, condizione che può verificarsi, per esempio, quando il corpo umano si trovi a sostare nella traiettoria di rinculo di un cannone. Un ulteriore effetto del rumore o suono a bassa frequenza è costituito dalla liberazione di catecolamine durante il periodo d’esposizione, con un tipico quadro di eccitazione psicomotoria, cui consegue, per un feed-back negativo, il rallentamento della liberazione delle stesse catecolamine al termine dell’esposizione, con conseguente allungamento dei tempi di reazione e riduzione della risposta d’allarme. Questa condizione si verifica, tipicamente, durante e dopo un periodo d’esposizione a suono a bassa frequenza, così come accade in una discoteca. L’efficienza del suono o rumore a bassa frequenza nella determinazione di effetti non desiderati è maggiore di quella posseduta dalle frequenze medio alte. Questo comporta che l’intensità sonora minima necessaria è collocata a valori discriminanti di 70-75 dB, nettamente inferiori agli 85 dB necessari alla determinazione del danno acustico. EFFETTI DELL’ANDAMENTO TEMPORALE La variazione degli effetti del rumore, dovuta all’andamento temporale, è connessa con la caratteristica di risposta alla percezione sonora. Schematizzando al massimo, si può affermare che, una volta trasformato in segnale elettrico, il suono è trasferito dall’orecchio interno al cervello attraverso il nervo acustico. In realtà il nervo acustico conduce il suono ai tubercoli quadrigemini. Da questi si dipartono due ordini di fibre, delle quali un gruppo è diretto alla corteccia ed un altro direttamente all’ipotalamo. Un terzo fascio di fibre nervose connette la corteccia con l’ipotalamo. Da quest’impalcatura di connessione deriva il fatto che la stimolazione sonora determina contemporaneamente un segnale elaborato dalla corteccia ed un altro di tipo neurovegetativo, di natura ipotalamica. La connessione cortico ipotalamica ha la funzione di regolare l’entità della risposta neurovegetativa. 22
  • 23. Un rumore continuo o semicontinuo consente di realizzare un efficace controllo corticale della funzione ipotalamica. In conseguenza di ciò, l’entità della risposta stressogena è contenuta entro limiti fisiologici. Un rumore impulsivo o, comunque, improvviso, determina un’accelerazione del trasporto nella direzione ipotalamica ed una conseguente attivazione del sistema ipotalamp-ipofisi-corticosurrene. La condizione, che è denominata “reazione d’allarme” si traduce nell’accentuazione della risposta stressogena. PREVENZIONE DEL DANNO DA RUMORE. Pur non potendo del tutto eliminare il rischio in quanto il rumore rappresenta il più diffuso inquinante presente negli ambienti industriali (si pensi al fatto che nelle casistiche INAIL le otopatie da rumore sono al primo posto tra le malattie professionali denunciate), esistono criteri di prevenzione sufficientemente idonei a contenere la comparsa dei danni uditivi. Del resto, la attuazione di un sistema di prevenzione ambientale, oltre che essere suggerita dai vari Organismi Internazionali preposti all'individuazione di criteri preventivi, è sancita anche dal Codice Civile che, all'articolo. 2087, "obbliga l'Imprenditore ad adottare le misure che attraverso l'esperienza e la tecnica siano ritenute necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei Lavoratori". Quest’obbligo è stato recentemente reiterato dal D.L. 626/94, che rappresenta la sistematizzazione di tutta la precedente legislazione in tema di salvaguardia della salute e della sicurezza dei luoghi di lavoro. Con il D.L. 626 la sussistenza di ambienti di lavoro a rischio, senza attuazione di misure contenitive di esso, costituisce un reato operato dai Datori di lavoro che sono perseguibili penalmente e non solo con ammende. Sino a prima del 1991, la Legislazione italiana, pur non definendo un livello quali- quantitativo di riferimento, stabiliva, attraverso le "Norme per l'igiene del lavoro" art. 24 del D.P.R. N° 303/56, che "nelle lavorazioni che producono rumori dannosi per i Lavoratori si debbano adottare i provvedimenti suggeriti dalla tecnica per diminuire l'intensità". Tra tutti i metodi di prevenzione del danno acustico da rumore la raccomandazione dell'A.C.G.I.H., accettata dalla Società italiana di Medicina del lavoro, relativa al rapporto tra tempi di esposizione ed intensità sonore, appare a tutt'oggi la più valida. Attraverso l'esperienza di studi epidemiologici condotti nel tempo essa fissa a 85 dBA, espressi come Leq, il limite massimo di esposizione per 8 ore giornaliere per 5 giorni alla settimana, come garante della non comparsa di ipoacusia da rumore nella media gaussiana della popolazione esposta. Per ogni incremento di livello sonoro di 5 dB consiglia il dimezzamento del tempo di esposizione come da schema seguente: 23
  • 24. livello sonoro ore consentite dBA 85 8 dBA 90 4 dBA 95 2 dBA 100 1 dBA 105 12 dBA 110 14 dBA 115 18 Il livello di 115 dBA non può essere superato per la possibile rottura traumatica della membrana del timpano. L'intervento sul tempo di esposizione si rende necessario giacché, dal punto di vista strettamente fisico, ad ogni aumento di intensità sonora di circa 3 dB corrisponde il raddoppio della pressione sonora esercitata sulla membrana timpanica. Tenendo in considerazione questa valutazione meramente fisica si giustificano le direttive impartite da Organismi differenti dall'A.C.G.I.H. che consigliano il dimezzamento per ogni incremento di soli 3 dB. Va, tuttavia, precisato che il criterio basato sul dimezzamento per ogni 5 dB è ancora quello raccomandato dalle Direttive C.E.E. e che esso trova giustificazione nel fatto che l'entità del suono percepito dall'orecchio interno non corrisponde esattamente alla pressione esercitata sulla membrana timpanica per le capacità di attenuazione delle vie trasmissive, come accennato in precedenza. Il D.P.R. 277 dell'agosto 1991, che ha fissato per la prima volta i livelli di permissibilità dell'inquinamento da rumore negli ambienti di lavoro, rappresenta un arretramento rispetto alle raccomandazioni sopra citate. Se questo Decreto ha il merito di avere obbligato tutti i contesti lavorativi, anche di tipo terziario, a certificare agli Organi competenti (Ispettorato del Lavoro e A.S.L. competente per territorio) l'entità del proprio inquinamento sonoro, ha fissato limiti di tollerabilità molto più elevati che in precedenza nel momento in cui il limite di 85 dBA si riferisce a dosi effettivamente assorbite e non a rumorosità medie ponderate degli ambienti di lavoro. Infatti, il raggiungimento di un LepD di 85 decibel come minimo livello di intervento corrisponde ad una rumorosità generale, espressa come livello equivalente, senz'altro superiore. Ora, se anche può essere accettato il criterio per cui solo il rumore effettivamente assorbito è causa di danno uditivo, non si deve trascurare di considerare che una rumorosità elevata è dannosa anche per altri apparati ed è, comunque, soggettivamente molto fastidiosa. Accanto agli interventi sui tempi di esposizione, che evidentemente sono diretti sull'uomo e presuppongono la non contenibilità del fenomeno rumore, vanno presi in considerazione tutti quei criteri che mirano a ridurre in maniera efficace l'entità delle immissioni sonore nel caso di attività produttive. 24
  • 25. La prevenzione del danno da rumore in ambienti industriali si articola in fasi diverse: • prevenzione tecnologica: consiste nel creare apparecchiature che producano quantità minime di rumore, nella manutenzione delle stesse al fine di evitare la creazione di rumorosità accessorie dovute a fenomeni di risonanza o di usura, nell'opportuno distanziamento delle fonti sonore al fine di evitare i fenomeni di sommazione e nella utilizzazione di materiali di costruzione degli opifici industriali che non creino fenomeni di riflessione e distorsione del rumore, nella perimetrazione e segnalazione delle zone ad elevata rumorosità per le quali non sia stato possibile realizzare alcun intervento di contenimento del rumore; • prevenzione igienico-ambientale: consiste nel controllo periodico dell'entità dello inquinamento sonoro degli ambienti di lavoro e nell'adozione di mezzi di protezione ambientale quali i pannelli fonoassorbenti e l'incapsulamento delle fonti di rumore isolate, finalizzati ad evitare la propagazione del suono a distanza; • prevenzione sul lavoratore: consiste, oltre che nella regolamentazione dei tempi di esposizione secondo quanto espresso in precedenza, nella dotazione ai lavoratori dei mezzi di protezione individuale (tappi e cuffie fonoassorbenti). Un avanzamento nel campo della prevenzione dei danni da rumore, previsto del D.P.R. 277/91, consiste nell'opera di informazione e formazione dei lavoratori che i Datori di lavoro devono fare, direttamente o attraverso soggetti preposti alla prevenzione. L'informazione consiste nella illustrazione della situazione sonora presente in ciascun contesto lavorativo e nella istruzione circa i danni che possono derivare da un'incondizionata esposizione a rumore. La formazione, invece, consiste nell'attuazione di programmi educativi che insegnino ai lavoratori a rispettare le norme prudenziali previste in funzione dell'entità dell'inquinamento sonoro (non sostare nelle zone perimetrate per tempi superiori a quelli ammissibili, alternarsi nelle lavorazioni più rumorose secondo gli schemi previsti dagli Igienisti del lavoro, utilizzare correttamente e costantemente i mezzi di otoprotezione). In tutti i contesti lavorativi, in cui sia presente un rischio rumore, assume un carattere di necessità il controllo delle condizioni uditive dei lavoratori con una periodicità che è funzione dei livelli sonori presenti. La necessità del controllo audiometrico scaturisce sia dall'esigenza di realizzare un controllo parallelo a quello ambientale che da quella di salvaguardare anche quelle persone che dovessero risultare più sensibili al danno uditivo (quelle al di fuori del doppio della deviazione standard della media gaussiana). Nell'ambito della regolamentazione dei controlli periodici, il D.P.R. 277 ha stabilito che essi sono devono avere una cadenza biennale per dosi di rumore superiore a 85 decibel mentre possono essere eseguiti con intervalli minori qualora i lavoratori ne facciano richiesta o il Medico responsabile del controllo periodico generale ne intraveda la necessità. 25