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Relazione dell'On. Stefania Fuscagni
Tema: la famiglia e le politiche degli enti locali
Un ringraziamento a Donato Vallescura per aver voluto anche quest’anno organizzare questo
convegno che è, di fatto, un confronto a più voci e con più angolature ma con un solo filo
conduttore: la famiglia.
A me è dato di sviluppare un segmento molto preciso e cioè il rapporto tra le politiche familiari
e gli enti locali.
Dico subito che, rispetto allo scorso anno, non ci sono molte novità se non il dato – che
preoccupa e dirò anche perché- legato alle nuove e molte povertà.
Il malessere diffuso delle cosiddette zone grigie e la prossimità degli enti locali (Comuni ma
anche Province) ai Cittadini rendono le politiche familiari sempre di più politiche sociali. Se
ciò è un bene perché risponde ad un bisogno, a lungo andare ciò può rappresentare anche un
male perché il sociale non racchiude in sé tutte le questioni legate alle politiche familiari.
Anzi: le politiche per la famiglia dovrebbero essere al massimo grado politiche di crescita più
che politiche di sostentamento; politiche di sviluppo più che politiche di supporto; politiche di
promozione più che politiche di aiuto.
Va da sé che in un tempo di crisi complessiva l’idea di fondo è aiutare le famiglie ma non
perdiamo di vista che l’idea fondante è far crescere le famiglie in quanto esse sono centro di
valori, motore di sviluppo, crocevia di generazioni che fanno staffetta.
Questa riflessione mi porta ad impostare il ragionamento in un due ambiti forse periferici, ma
sono sicura di non andare fuori tema.
Il primo ambito: vanno bene le politiche di sostegno, ma evitiamo di creare meccanismi di
sudditanza. Mi spiego meglio: gli enti locali non riducano le famiglie - e più ancora le
associazioni familiari - a muoversi con il cappello in mano o con fare necessariamente
questuante.
Aiuti sì, ma configurati in quadri di intervento stabili e duraturi non rinnovati anno per anno per
cui ogni anno l’ente locale dà un obolo. Su questo dobbiamo essere chiari e per farvi capire
porto un esempio.
Il mio. Regione Toscana, proposta di legge per la promozione ed il supporto della famiglia,
bocciata due volte prima come legge di iniziativa consiliare, poi come legge di iniziativa
popolare (a nulla servirono 9mila firme!).
Una legge che prevedeva molte provvidenze e che le avrebbe rese stabili e non opinabili. Al
contrario Regione Toscana che fa?
Quando – molto raramente- stabilizza gli interventi per la famiglia essi si inseriscono in testi di
legge non ad hoc ma con più e diversi soggetti interessati.
E’ il caso della legge toscana n. 45 del 2 agosto 2013 “Interventi a sostegno finanziario in
favore delle famiglie e dei lavoratori in difficoltà, per la coesione e per il contrasto al disagio
sociale” dove si prevedono “voci” dedicate in particolare alle famiglie in disagio.
Qui, come si vedrà, il punto essenziale è la “difficoltà” di famiglie e lavoratori e non le famiglie
o i lavoratori.
Nella maggior parte dei casi, però, la Toscana non stabilizza queste provvidenze, bensì le
finanzia una tantum e spesso ad anni alterni.
Oggi un po’ di soldi per le paritarie, poi un fondo per le giovani coppie, poi un aiuto per
l’affitto alle famiglie numerose. Sempre con la ghigliottina della discrezionalità.
Certo, si dirà, meglio così che niente, ma così si crea a lungo andare un sistema peggiore che
clientelare – che almeno potrebbe essere paritario – ma di sudditanza.
Sudditanza delle famiglie agli enti locali. In questo senso il richiamo, chiaro, è vigilare con
forza e chiedere agli Enti locali progetti ed iniziative stabili non finanziamenti legati al volere
dell’Assessore, del Sindaco o del Presidente di turno.
2. 4
Devo dire che le stesse associazioni familiari non sempre hanno dimostrato di essere all’altezza di
questa sfida.
Il secondo ambito: la cultura intorno alla famiglia. Spesso, lo facciamo anche noi, ci
interroghiamo su che cosa sia la famiglia.
Lo dico subito: per me è quella che riconosce il diritto naturale e che ben richiama la Costituzione.
Che poi le evoluzioni sociali e di costume indichino l’affermarsi di altre forme di convivenza è
vero, vanno normate, non vanno mortificate e ne va preso atto nel rispetto delle persone.
Ma la famiglia è un’altra cosa, né peggiore né migliore – se volete!- ma un’altra cosa.
Bene.
Non raramente questo dato viene messo in discussione ed io vi posso dimostrare – e lo farò con un
caso specifico e drammatico – che la messa in discussione del principio finisce per avere esiti
violenti sui quali è bene riflettere.
Il caso che vi racconto è incredibile, ma vi prego di credere a ciò che vi dico.
Siamo in Toscana, anni ’70. Un signore di nome Rodolfo Fiesoli insieme ad un coetaneo di nome
Goffredi ed ad altri costituiscono un gruppo che poi diventerà una comunità ed una cooperativa
agricola. Si richiamano – vedremo poi solo nominalmente – a Don Milani, al bisogno di tornare
alla purezza del lavoro della terra, alla democrazia diffusa, al lavoro che nobilita l’uomo.
Bene.
Ma non solo: in questa comunità – che presto diventerà una comune- si dichiara che la famiglia
naturale vada decostruita per costruire la famiglia funzionale.
Cos’è la famiglia funzionale?
E’ un particolare e singolare modo di intendere le relazioni tra persone per cui il figlio, spesso
affidatario anche perché vengono scoraggiati i normali rapporti tra persone, sono di tutti e la
coppia che se ne prende cura, tra l’altro costituita da persone che spesso neppure si conoscono, è
funzionale a far entrare quel minore in quella comunità.
E’ la comunità il bene.
Lasciamo perdere che poi in quella comunità avvenissero violenze, maltrattamenti, abusi sessuali,
sfruttamento e che il tutto sia potuto durare più di trent’anni.
Lasciamo perdere che le visite degli assistenti sociali avvenissero solo con preavviso, che ci fosse
un humus culturale e politico che guardava con favore questo “mondo”, che ci fossero politici che
ci chiudevano le campagne elettorali e magistrati che andavano lì regolarmente a cena. Lasciamo
stare.
La domanda è: com’è stato possibile non solo che questo inferno durasse, ma che cominciasse?
E’ stato possibile perché un punto forte di questo inferno – e vi prego di crede che tale è stato e
che si tratta di una storia che mostra il peggiore dei volti umani possibili (leggete la relazione della
commissione d’inchiesta fatta dalla Regione Toscana) – fu fin dall’inizio l’aggressione culturale
alla famiglia “borghese”. Intorno a questo magistrati, politici, uomini e donne di cultura, si
unirono e da allora in poi fu impossibile raccontare il contrario che pure molti, da anni, sapevano.
Semmai si trattava si storture fisiologiche, ma l’idea era buona!
Una guerra ideologica figlia degli anni ’70 ebbe la meglio sulla realtà fatta di storie drammatiche
che si pensano impossibili.
La connessione con gli enti locali dove sta? Sta nel fatto che chi negli enti locali ci sta ha l’obbligo
di vigilare moltissimo sul messaggio culturale che sulla famiglia si dà.
La storia del Forteto dimostra molte cose ed una tra queste è che quando la famiglia la si snatura,
la si vuol modificare a forza, la si vuole stravolgere l’esito è violento non solo per la famiglia in sé
ma per quel demoniaco mondo che ne viene fuori.
Un mondo di una violenza che molti di voi non possono neanche immaginare.
Eppure questo è successo ed è una storia locale che per gravità nulla ha da “invidiare” alla storia
del Mostro di Firenze.
3. 4
Prenderne atto, al di là del dolore, significa voler capire; io mi sono fatta un’idea: far violenza alla
famiglia naturale - al fatto cioè che un uomo e una donna che si vogliono bene e stabilmente
vogliano creare un duo che è più della loro singola somma e mettere al mondo dei figli - significa
creare un mondo perverso, diabolico e spaventoso.
Se lo dico è perché una porzione di questo mondo “a rovescio” si è trovato nel Mugello.
Se è successo può risuccedere semmai in forme diverse difficilmente peggiori, ma non per questo
va abbassata la guardia.
On. Stefania Fuscagni
Consigliere regionale della Toscana

4.4

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Relazione dell'On. Stefania Fuscagni

  • 2. Tema: la famiglia e le politiche degli enti locali Un ringraziamento a Donato Vallescura per aver voluto anche quest’anno organizzare questo convegno che è, di fatto, un confronto a più voci e con più angolature ma con un solo filo conduttore: la famiglia. A me è dato di sviluppare un segmento molto preciso e cioè il rapporto tra le politiche familiari e gli enti locali. Dico subito che, rispetto allo scorso anno, non ci sono molte novità se non il dato – che preoccupa e dirò anche perché- legato alle nuove e molte povertà. Il malessere diffuso delle cosiddette zone grigie e la prossimità degli enti locali (Comuni ma anche Province) ai Cittadini rendono le politiche familiari sempre di più politiche sociali. Se ciò è un bene perché risponde ad un bisogno, a lungo andare ciò può rappresentare anche un male perché il sociale non racchiude in sé tutte le questioni legate alle politiche familiari. Anzi: le politiche per la famiglia dovrebbero essere al massimo grado politiche di crescita più che politiche di sostentamento; politiche di sviluppo più che politiche di supporto; politiche di promozione più che politiche di aiuto. Va da sé che in un tempo di crisi complessiva l’idea di fondo è aiutare le famiglie ma non perdiamo di vista che l’idea fondante è far crescere le famiglie in quanto esse sono centro di valori, motore di sviluppo, crocevia di generazioni che fanno staffetta. Questa riflessione mi porta ad impostare il ragionamento in un due ambiti forse periferici, ma sono sicura di non andare fuori tema. Il primo ambito: vanno bene le politiche di sostegno, ma evitiamo di creare meccanismi di sudditanza. Mi spiego meglio: gli enti locali non riducano le famiglie - e più ancora le associazioni familiari - a muoversi con il cappello in mano o con fare necessariamente questuante. Aiuti sì, ma configurati in quadri di intervento stabili e duraturi non rinnovati anno per anno per cui ogni anno l’ente locale dà un obolo. Su questo dobbiamo essere chiari e per farvi capire porto un esempio. Il mio. Regione Toscana, proposta di legge per la promozione ed il supporto della famiglia, bocciata due volte prima come legge di iniziativa consiliare, poi come legge di iniziativa popolare (a nulla servirono 9mila firme!). Una legge che prevedeva molte provvidenze e che le avrebbe rese stabili e non opinabili. Al contrario Regione Toscana che fa? Quando – molto raramente- stabilizza gli interventi per la famiglia essi si inseriscono in testi di legge non ad hoc ma con più e diversi soggetti interessati. E’ il caso della legge toscana n. 45 del 2 agosto 2013 “Interventi a sostegno finanziario in favore delle famiglie e dei lavoratori in difficoltà, per la coesione e per il contrasto al disagio sociale” dove si prevedono “voci” dedicate in particolare alle famiglie in disagio. Qui, come si vedrà, il punto essenziale è la “difficoltà” di famiglie e lavoratori e non le famiglie o i lavoratori. Nella maggior parte dei casi, però, la Toscana non stabilizza queste provvidenze, bensì le finanzia una tantum e spesso ad anni alterni. Oggi un po’ di soldi per le paritarie, poi un fondo per le giovani coppie, poi un aiuto per l’affitto alle famiglie numerose. Sempre con la ghigliottina della discrezionalità. Certo, si dirà, meglio così che niente, ma così si crea a lungo andare un sistema peggiore che clientelare – che almeno potrebbe essere paritario – ma di sudditanza. Sudditanza delle famiglie agli enti locali. In questo senso il richiamo, chiaro, è vigilare con forza e chiedere agli Enti locali progetti ed iniziative stabili non finanziamenti legati al volere dell’Assessore, del Sindaco o del Presidente di turno. 2. 4
  • 3. Devo dire che le stesse associazioni familiari non sempre hanno dimostrato di essere all’altezza di questa sfida. Il secondo ambito: la cultura intorno alla famiglia. Spesso, lo facciamo anche noi, ci interroghiamo su che cosa sia la famiglia. Lo dico subito: per me è quella che riconosce il diritto naturale e che ben richiama la Costituzione. Che poi le evoluzioni sociali e di costume indichino l’affermarsi di altre forme di convivenza è vero, vanno normate, non vanno mortificate e ne va preso atto nel rispetto delle persone. Ma la famiglia è un’altra cosa, né peggiore né migliore – se volete!- ma un’altra cosa. Bene. Non raramente questo dato viene messo in discussione ed io vi posso dimostrare – e lo farò con un caso specifico e drammatico – che la messa in discussione del principio finisce per avere esiti violenti sui quali è bene riflettere. Il caso che vi racconto è incredibile, ma vi prego di credere a ciò che vi dico. Siamo in Toscana, anni ’70. Un signore di nome Rodolfo Fiesoli insieme ad un coetaneo di nome Goffredi ed ad altri costituiscono un gruppo che poi diventerà una comunità ed una cooperativa agricola. Si richiamano – vedremo poi solo nominalmente – a Don Milani, al bisogno di tornare alla purezza del lavoro della terra, alla democrazia diffusa, al lavoro che nobilita l’uomo. Bene. Ma non solo: in questa comunità – che presto diventerà una comune- si dichiara che la famiglia naturale vada decostruita per costruire la famiglia funzionale. Cos’è la famiglia funzionale? E’ un particolare e singolare modo di intendere le relazioni tra persone per cui il figlio, spesso affidatario anche perché vengono scoraggiati i normali rapporti tra persone, sono di tutti e la coppia che se ne prende cura, tra l’altro costituita da persone che spesso neppure si conoscono, è funzionale a far entrare quel minore in quella comunità. E’ la comunità il bene. Lasciamo perdere che poi in quella comunità avvenissero violenze, maltrattamenti, abusi sessuali, sfruttamento e che il tutto sia potuto durare più di trent’anni. Lasciamo perdere che le visite degli assistenti sociali avvenissero solo con preavviso, che ci fosse un humus culturale e politico che guardava con favore questo “mondo”, che ci fossero politici che ci chiudevano le campagne elettorali e magistrati che andavano lì regolarmente a cena. Lasciamo stare. La domanda è: com’è stato possibile non solo che questo inferno durasse, ma che cominciasse? E’ stato possibile perché un punto forte di questo inferno – e vi prego di crede che tale è stato e che si tratta di una storia che mostra il peggiore dei volti umani possibili (leggete la relazione della commissione d’inchiesta fatta dalla Regione Toscana) – fu fin dall’inizio l’aggressione culturale alla famiglia “borghese”. Intorno a questo magistrati, politici, uomini e donne di cultura, si unirono e da allora in poi fu impossibile raccontare il contrario che pure molti, da anni, sapevano. Semmai si trattava si storture fisiologiche, ma l’idea era buona! Una guerra ideologica figlia degli anni ’70 ebbe la meglio sulla realtà fatta di storie drammatiche che si pensano impossibili. La connessione con gli enti locali dove sta? Sta nel fatto che chi negli enti locali ci sta ha l’obbligo di vigilare moltissimo sul messaggio culturale che sulla famiglia si dà. La storia del Forteto dimostra molte cose ed una tra queste è che quando la famiglia la si snatura, la si vuol modificare a forza, la si vuole stravolgere l’esito è violento non solo per la famiglia in sé ma per quel demoniaco mondo che ne viene fuori. Un mondo di una violenza che molti di voi non possono neanche immaginare. Eppure questo è successo ed è una storia locale che per gravità nulla ha da “invidiare” alla storia del Mostro di Firenze. 3. 4
  • 4. Prenderne atto, al di là del dolore, significa voler capire; io mi sono fatta un’idea: far violenza alla famiglia naturale - al fatto cioè che un uomo e una donna che si vogliono bene e stabilmente vogliano creare un duo che è più della loro singola somma e mettere al mondo dei figli - significa creare un mondo perverso, diabolico e spaventoso. Se lo dico è perché una porzione di questo mondo “a rovescio” si è trovato nel Mugello. Se è successo può risuccedere semmai in forme diverse difficilmente peggiori, ma non per questo va abbassata la guardia. On. Stefania Fuscagni Consigliere regionale della Toscana 4.4