1. La Newsletter dell’Ambasciata di Palestina
Roma, Italia
No 60
13 marzo 2017
“Non ci sono confini per le domande. Non ci sono confini per la patria. Ora voglio un confine, anche
se in seguito lo odierò”
Mourid Barghouti, poeta e scrittore palestinese
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NEWSLETTER No 60
Indice:
I) La Delegazione del Parlamento Europeo spinge per il riconoscimento dello Stato
di Palestina
II) ONU e UE contro le demolizioni nell’Area C
III) I pesticidi israeliani avvelenano i cittadini palestinesi
IV) Visto negato a Human Rights Watch
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I – La Delegazione del Parlamento Europeo spinge per il riconoscimento dello Stato
di Palestina
La Delegazione del Parlamento Europeo per le Relazioni con la Palestina, guidata da Neoklis Sylikiotis
e composta da cinque membri, ha visitato Gerusalemme e la Cisgiordania dal 20 al 24 febbraio.
Al termine della missione di accertamento, Sylikiotis ha dichiarato che “l’Unione Europea e il
Parlamento Europeo sostengono con forza la soluzione dei due Stati come l’unica possibile per
conseguire la pace in Medio Oriente”. E siccome non ci può essere una soluzione a due Stati senza
che vi siano due Stati, “L’Unione Europea e i suoi Stati Membri devono riconoscere la Palestina come
Stato. Noi come Parlamento Europeo abbiamo fatto la nostra parte”.
Durante la visita, i parlamentari di
diversi partiti europei hanno avuto
modo di incontrare rappresentanti
dell’Autorità Nazionale Palestinese
(ANP), comunità a rischio di
trasferimento forzato e organizzazioni
della società civile che resistono
all’espansione degli insediamenti
israeliani. A questo proposito, il Capo
Delegazione ha così commentato: “La
costruzione e l’espansione degli
insediamenti crescono in maniera
esponenziale, e c’è un’evidente
correlazione tra la demolizione di case e scuole, alcune delle quali finanziate con aiuti dell’Unione
Europea, e l’espansione degli insediamenti nell’Area E1”. Per poi aggiungere: “Ricordiamo a Israele
che i trasferimenti forzati secondo il diritto internazionale costituiscono un crimine”.
Nel corso della visita presso il tribunale militare di Ofer, i parlamentari europei hanno osservato che
c’è molta poca giustizia in questi tribunali: “Dopo aver visto Ofer, non possiamo che chiedere
urgentemente all’Unione Europea di mettere giustizia e processi equi in cima all’agenda di qualsiasi
dialogo con Israele”, ha detto Sylikiotis.
Da parte loro, le autorità israeliane hanno di nuovo negato alla delegazione l’accesso a Gaza, dove
il Parlamento Europeo non riesce a mettere piede dal 2011.
In conclusione, Sylikiotis ha ammesso che “Dopo mezzo secolo di occupazione risulta evidente come
le nostre politiche non funzionino per porre termine al conflitto e raggiungere la pace”. Per quel che
riguarda l’Unione Europea, è importante “che metta in pratica le sue Linee Guida sulle etichette che
distinguono i prodotti degli insediamenti”, non dimenticando mai di rispettare le proprie leggi e
quelle che fanno riferimento al diritto internazionale.
Vedi:
http://english.wafa.ps/page.aspx?id=8mwjH7a54210899127a8mwjH7
II – ONU e UE contro le demolizioni nell’Area C
Un monito speciale contro la demolizione delle strutture palestinesi nell’Area C della Cisgiordania è
giunto il 22 febbraio da parte dell’Unione Europea insieme a quello delle Nazioni Unite. Ad
innescarlo, le procedure burocratiche intraprese da Israele per demolire l’intero villaggio di Al-Khan
Al-Ahmar, situato ai margini della Route 1, appena fuori dall’insediamento di Kfar Adumim.
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Il Coordinatore delle Nazioni Unite per gli
Aiuti Umanitari e le Attività di Sviluppo nei
Territori Palestinesi Occupati, Robert Piper, e
il Direttore dell'Agenzia delle Nazioni Unite
per il Soccorso e l'Occupazione (UNRWA) dei
rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente, Scott
Anderson, hanno infatti visitato il villaggio,
descrivendolo come “una delle comunità più
vulnerabili della Cisgiordania, che cerca a
gran fatica di mantenere uno standard di vita
minimo, nonostante le insistenti pressioni
delle autorità israeliane affinché si sposti
altrove secondo i loro piani”. “Questo è inaccettabile e deve finire”, ha detto Piper, considerando
che ci sono 35 famiglie che vivono lì, abitando in baracche e capanne. E ha aggiunto: “Al-Khan Al-
Ahmar non è un caso unico. Migliaia di famiglie convivono con la paura di subire una demolizione in
qualsiasi momento, e intere comunità vivono in condizioni di instabilità cronica”. Ad essere
duramente colpito è anche il diritto all’istruzione: “Questo crea un ambiente coercitivo che
costringe alcune comunità palestinesi a spostarsi altrove (…) contravvenendo agli obblighi che
Israele dovrebbe rispettare in qualità di potenza occupante, secondo il diritto internazionale”.
Anderson ha insistito sul fatto che molte di queste famiglie di rifugiati hanno già dovuto sopportare
la demolizione della propria casa in più di un’occasione nel corso degli ultimi anni, chiedendo alle
autorità israeliane di “interrompere qualsiasi progetto e qualsiasi pratica che possa direttamente o
indirettamente portare ad un altro spostamento forzato dei rifugiati”.
Dello stesso avviso la Missione UE di Gerusalemme e Ramallah, che ha denunciato la distruzione di
135 strutture e il trasferimento obbligato di 218 palestinesi dell’Area C solo in questi primi mesi del
2017. Lo scorso anno, ha poi spiegato, le strutture distrutte erano state 872, di cui molte - per un
valore superiore al milione di euro - finanziate dall’Unione Europea; mentre gli sfollati erano stati
6.088, di cui 1.663 bambini.
Vedi:
http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/UN-EU-call-for-halt-to-demolition-of-Area-C-
structures-482357
III – I pesticidi israeliani avvelenano i cittadini palestinesi
Il commercio illegale, la manifattura e l’uso di pesticidi tossici negli insediamenti illegali israeliani
provocano serie violazioni dei diritti umani e contribuiscono all’insicurezza alimentare della
Cisgiordania Occupata. Queste le conclusioni a cui è giunta la missione guidata dal Gruppo Arabo
per la Protezione della Natura (APN) e dalla Rete d’Azione sui Pesticidi per l’Asia e il Pacifico
(PANAP).
L’indagine ha infatti rivelato la presenza di pesticidi altamente pericolosi e per questo banditi
dall’Autorità Nazionale Palestinese, introdotti illegalmente nei Territori Palestinesi Occupati.
Paradossalmente, l’ANP non è nelle condizioni di disfarsene in modo sicuro, mentre Israele rifiuta
di farlo.
In questo modo, nonostante le attente proibizioni emanate dall’Autorità Palestinese, le aziende
agricole, le fattorie e le sorgenti d’acqua palestinesi finiscono per essere avvelenate dai pesticidi.
Aree ad alta densità scolastica sono colpite da questo fenomeno, reso ancor più difficile da
combattere dal fatto che l’ANP non ha accesso ad alcuna informazione relativa ai prodotti chimici
utilizzati negli insediamenti.
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Il Direttore Esecutivo della PANAP, Sarojeni
Rengam, ha per questo spiegato che il
lancio della petizione online e dei due
Rapporti preparati sui pesticidi non è
avvenuto per caso, il 20 febbraio scorso, in
occasione della Giornata Mondiale per la
Giustizia Sociale, ma ha voluto così
rimarcare che Israele e le aziende
israeliane dovrebbero pagare “il prezzo
della propria illegalità e delle ingiustizie a
cui sottopongono il popolo palestinese”.
Vedi:
https://panap.net/2017/02/israels-toxic-pesticides-poison-palestine-reports-find/
IV – Visto negato a Human Rights Watch
Le autorità israeliane hanno recentemente negato il visto di lavoro al Direttore di Human Rights
Watch (Hrw) per Israele e Palestina Omar Shakir, perché "l'Ong
non è una vera organizzazione umanitaria e fa propaganda
palestinese". Lo ha riferito la stessa Organizzazione in una nota.
Il Portavoce del Ministero degli Esteri israeliano, Emmanuel
Nachshon, avrebbe spiegato che gli israeliani sono “stanchi di
porgere l'altra guancia" e non sono mica “masochisti".
Shakir, invece, è un cittadino iracheno-americano che nel corso
della sua carriera si è occupato spesso di diritti umani, e che in un
comunicato all'Associated Press ha contestato duramente la
decisione di Israele: "Segna un cambio inquietante dopo circa un
trentennio durante il quale lo staff dell'Organizzazione ha avuto
regolare accesso senza impedimenti in Israele e in Cisgiordania”, anche se non a Gaza.
Quest’ultimo divieto tuttavia non sorprende, perché ultimamente sono sempre più numerosi i casi
di respingimento alla frontiera di “persone non grate” al governo di Tel Aviv.
Vedi:
http://www.repubblica.it/esteri/2017/02/24/news/israele_nega_il_visto_a_human_rights_watch_fa_prop
aganda_palestinese_-159090381/?ref=HREC1-23