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R E T I , S C I A M I , S H A R I N G E C O N O M Y E P O L I T I C H E P U B B L I C H E
C O L L A B O R A R E C O N I C I T TA D I N I Q U A N D O S I O R G A N I Z Z A N O S E N Z A O R G A N I Z Z A Z I O N I , L A
R A P P R E S E N TA N Z A N O N F U N Z I O N A E I L C O N C E T T O D I P O R TAT O R E D I I N T E R E S S E N O N H A
N E S S U N S I G N I F I C AT O .
A L B E R T O C O T T I C A
MILANO SHARING CITY – LA CITTÀ IN CONDIVISIONE
Buongiorno. Qui siete tutti interessati alla sharing economy. Il mio ruolo è quello di provare a inserire la sharing economy nel contesto più generale
dell’aumentata capacità di auto-organizzarsi delle società del ventunesimo secolo. Spero di contribuire a capire tutti insieme perché è così difficile
inventarsi politiche pubbliche sensate quando si parla di sharing economy e in generale di cittadini connessi.
T H E N E T W O R K E D C I T I Z E N RY
C’è un nuovo gioco in città. C’è un nuovo tipo di attore sociale: lo chiameremo “la cittadinanza connessa”, o “i giovani connessi”. Consiste di grandi
agglomerati di gente comune, armata di strumenti di coordinamento semplici e praticamente gratis, che lavorano in modo coordinato per produrre effetti
di grande scala. Nasce quando le persone si accorgono che possono avere impatto senza passare attraverso organizzazioni come partiti politici, sindacati,
imprese e charities.
Ecco alcune cose che non richiedono organizzazioni formali e che non sono sharing economy:
I N F R A S T R U C T U R E : D I G I TA L
Costruire e mantenere artefatti immateriali molto grandi, come Wikipedia e il suo equivalente geografico, OpenStreetMap.
I N F R A S T R U C T U R E : P H Y S I C A L
Costruire e mantenere artefatti materiali – come Guifi, la “Telco del popolo” spagnola, che connette 30.000 “nodi” contribuiti dai vari soci. Guif è la più
grande rete mesh del mondo, irradia gran parte della Spagna e fornisce servizi di cloud sofisticati.
… o strade. Questa è Al-Mutamidya, un sobborgo del Cairo, e queste persone stanno costruendo quattro rampe che daranno alla comunità accesso
diretto alla tangenziale. La comunità locale ha fornito il denaro, la manodopera e la progettazione; ha costruito le rampe con le stesse specifiche usate
dagli appaltatori pubblici, ma con solo un quarto dei costi di questi ultimi. Tecnicamente quello che stanno facendo è illegale, ma siamo nel 2011, la
Primavera Araba sta spazzando via il governo e la polizia ha altro da fare. Il governo post-rivoluzione ha poi deciso di legalizzare le rampe.
R E L I E V E A N D R E B U I L D
Comunità auto-organizzate di giovani connessi tendono a essere le più veloci ed efficienti a reagire in caso di disastri naturali. Le persone in questa foto
sono alcuni dei 12000 volontari che sono scesi in strada il giorno dopo che un’alluvione aveva colpito la città di Tbilisi, Georgia, a giugno 2015. L’iniziativa
è stata presa da un gruppo di giovani ambientalisti, e coordinata attraverso un gruppo Facebook fondato per l’occasione e che ha raggiunto i 30,000
membri in circa 30 ore. Una cosa simile è accaduta in Nepal dopo i terremoti di maggio; il nostro gruppo ha notizia di 141 iniziative spontanee, per la
maggior parte dirette alle aree rurali più difficili da raggiungere.
A volte questi fenomeni di auto-organizzazione cambiano il modo di vivere la città senza nemmeno provarci, come effetto collaterale delle loro attività.
Questa è Cairo Runners, un altra iniziativa coordinata attraverso un gruppo su Facebook. Ogni venerdì 5000 persone si trovano a correre per le strade
della megalopoli inquinata e trafficata, e così facendo la trasformano, rendendola più sicura, più amichevole per i bambini e le persone con problemi di
mobilità, e più divertente. Uno sviluppo recente: la polizia ha cominciato a proteggere i corridori.
Photo: scottks
Ormai abbiamo tutti sentito parlare di Bitcoin, una valuta la cui affidabilità si basa non sul fatto che è affidata a un’istituzione centrale a sua volta ritenuta
affidabile (come la Banca Centrale Europea per l’Euro, o la Federal Reserve per il dollaro), ma su un sistema distribuito che ne certifica i pagamenti. Dietro
a Bitcoin ci sono software open source e – avete indovinato – una comunità di sviluppatori e investitori senza forma legale o struttura di comando. Il suo
inventore è anonimo, e nessuno sa esattamente quanto numerosa sia la sua comunità di utenti. Uno studio molto citato prevede cinque milioni di utenti
per il 2019.
C O M M U N I T Y- D R I V E N C A R E
Photo: IndoGirl
Da circa un anno in Edgeryders ci stiamo interessando delle attività delle comunità auto-organizzate nel produrre servizi di cura. Di recente ci siamo
imbattuti in una rete di 68 “community clinics” che copre tutta la Grecia. Le cliniche non hanno nessuna forma legale, non accettano offerte in denaro e
offrono assistenza sanitaria gratuita alle persone che, avendo perso il lavoro, hanno perso anche il diritto all’assistenza sanitaria. Questa rete è cresciuta in
soli 4 anni, per iniziativa di alcuni medici preoccupati dalla crisi. La più grande è a Helliniko, un sobborgo di Atene: ha 300 volontari, di cui circa la metà
sono medici, e ha fornito 40,000 trattamenti in quattro anni. Nei prossimi due anni cercheremo di raccogliere altre esperienze di questo tipo e usarle per
progettare servizi di cura community-driven, in un progetto che si chiama OpenCare e in cui Edgeryders è partner del Comune di Milano e di altri. Se vi
interessa, chiedete, siamo molto aperti a collaborazioni di tutti i tipi.
!
Photo: Jonathan Rashad
E, naturalmente, questi sciami intelligenti di persone comuni possono scendere nell’arena politica. Primavera araba in Africa del nord, EuroMaidan in
Ucraina, Electric Yerevan in Armenia, Podemos in Spagna, il Partito Pirata in Svezia e Islanda, Occupy. In questi giorni è il turno della Romania. Notate che
in tutti questi casi un moltissime persone di una generazione che gli analisti, cinque minuti prima, descrivevano come disinteressate e apatiche, si sono
trasformate in agenti attivi del cambiamento. Gli analisti non avevano necessariamente torto, ma guardavano nella direzione sbagliata. Sia la decisione
delle persone di farsi coinvolgere, che l’impatto del loro coinvolgimento non dipende da chi gli individui sono e da cosa fanno, ma dipende da cosa fanno
insieme. È una funzione del riconoscersi come interdipendenti senza dovere passare da un comando centrale, come uno stormo di uccelli o uno sciame di
api.
N E T W O R K S , N O T E N T I T I E S
spero di avervi convinto che le reti spontanee di cittadini sono un attore sociale importante. Il problema è: nessuno sa come gestirlo. Perché? Perché non
sono entità. Non sono “cose”. Sono reti, cioè patterns di relazioni. Sono sciami, cioè proprietà emergenti di miriadi di interazioni locali. In queste
condizioni, fare il mestiere del governo diventa molto difficile. Gli strumenti di pressione o coercizione a disposizione delle autorità sono pensati per le
persone o le organizzazioni, e non funzionano con le reti. Non si può convincere, demoralizzare, cooptare, multare, corrompere, denunciare o
imprigionare una rete. Naturalmente si possono fare tutte queste cose ai singoli membri della rete, ma in genere questi sono troppo numerosi perché
questa possa essere una tattica generalizzata, e le reti sono molto resistenti alla rimozione di singoli nodi.
Questi concetti sono, secondo me, applicabili alla sharing economy. Da questa angolazione, la sharing economy appare come una particolare
manifestazione dell’aumentata capacità di coordinamento tra persone, che sono più in grado di prima di coordinarsi per mettere a valore piccole sacche
di capacità eccedente (una stanza per gli ospiti, un’automobile, un po’ di tempo).
“ R E G U L AT I O N ” ?
Photo: Joseph De Palma
E infatti si vede benissimo la difficoltà delle autorità pubbliche nel capire come porsi rispetto alla sharing economy. Molti policy makers cercano rifugio in
categorie familiari: Amazon è come un supermercato, Uber è una specie di cooperativa di taxisti, Airbnb è più o meno una catena di alberghi, BlaBlaCar è
un autotrasportatore. Queste analogie sono deboli, e soprattutto concentrano l’attenzione sulle aziende Amazon, Uber e Airbnb – che sono entità, e
quindi familiari – invece che sulle reti che si appoggiano intorno a queste aziende, e sul come queste reti inneschino dinamiche economiche di utilizzo di
excess capacity che esisterebbero anche senza le aziende. Se domani Airbnb dovesse chiudere, questo non cambierebbe il fatto che la nostra camera
degli ospiti ha un problema di efficienza, perché la usiamo per gli ospiti forse tre settimane all’anno. Per citare un proverbio cinese, quando il saggio
indica la luna, il governo cerca di regolamentare il sito web della luna.
S TA K E H O L D E R D I A L O G U E D O E S N O T W O R K
Un’altra reazione comune è il classico “mettiamoci intorno a un tavolo”. Ma il dialogo tra stakeholders non funziona con questi fenomeni, e quindi non
funziona in generale per le società che li contengono. Il dialogo tra stakeholders, con tutti i suoi vantaggi e il suo curriculum, richiede che tutti i soggetti
importanti si siedano intorno a un tavolo a negoziare. Con i cittadini connessi questo non può succedere, perché si tratta di un soggetto importante che
(1) non è identificabile a priori. Nessuno avrebbe immaginato che alcuni podisti amatoriali diventassero una forza importante nell’urbanistica del Cairo, e
nessun policy maker, per quanto inclusivo, avrebbe pensato di invitarli a dire la loro sulle scelte di pianificazione cittadina. (2) se anche un policy maker
dotato del dono della profezia, loro stessi si sarebbero stupiti; è il successo di Cairo Runners a determinare, ex post, il suo ruolo, non viceversa. E (3) anche
se, per qualche miracolo, i podisti Caireni fossero stati invitati a una riunione di city planning e si fossero presentati, Cairo Runners non ha leader né
gerarchie, non è un’organizzazione ma una proprietà emergente di migliaia di decisioni individuali prese in una rete, dunque non può prendere impegni al
tavolo negoziale.
Edgeryders sta lavorando con il programma di sviluppo delle Nazioni Unite per collaudare una modalità di interazione con i cittadini connessi basata su un
concetto diverso: sostituire l’azione comune al dialogo tra portatori di interesse. Non ho tempo per parlarne ora, ma se vi interessa cercatemi a fine panel.
A 2 0 T H C E N T U RY S U C C E S S S T O RY
Mi rendo conto che tutto questo può sembrare strano e inquietante. Vi ho raccontato un mondo in cui le persone si organizzano senza organizzazioni; la
leadership si esercita senza rappresentazione; il dialogo tra portatori di interessi non funziona; e ci sono altre stranezze che qui non cito. La verità è questa:
questa roba in realtà è abbastanza intuitiva nel quadro del pensiero scientifico contemporaneo.
Abbiamo una scienza dei sistemi adattivi complessi e dell’emergenza; abbiamo le reti, strumenti semplici per generare modelli matematicamente solidi di
dinamiche sociali emergenti. Niente di quello che vi ho detto suonerebbe strano per un biologo o un fisico del 21esimo secolo.
E voi vi chiederete: beh, non perché non adottare questo nuovo modo di pensare, se è più adeguato a trattare i problemi che abbiamo di fronte? Beh,
perché il policy making moderno è figlio del 20esimo secolo, e ha un rapporto speciale con il modo di pensare dell’età industriale.
“ S O C I E T Y I S A M A C H I N E ”
Photo: Grant Hutchinson
La sua storia è affascinante, e qui non ho il tempo nemmeno di riassumerla. Il concetto fondamentale è questo: nel Novecento, i governi hanno capito che
la società si può vedere come una macchina, certamente grande e complicata, ma comprensibile alla scienza moderna. Tu premi il bottone giusto e
succede quello che vuoi, dalle vittorie militari all’aumento dell’occupazione. L’economia di piano della Germania durante la I Guerra Mondiale, con il suo
successo straordinario, ha creato un esempio fortissimo che tutti gli stati dell’epoca hanno cercato di imitare.
Per poterlo fare, però, gli stati hanno dovuto modificarsi in profondità. Acquisire nuove competenze, assumere moltissime persone, estendere la sua sfera
di influenza molto di più rispetto ai secoli precedenti. Per lo stato si trattava di uno scenario win-win-win: (1) l’interesse generale veniva perseguito, (2) in
un modo coerente con il paradigma scientifico dell’epoca, e (3) allo stesso tempo il suo potere e la sua influenza – come quella dei singoli dirigenti della
macchina pubblica – crescevano di molto.
Questa ideologia della società come macchina ha ispirato sforzi eroici: alcuni benigni (il New Deal di Roosevelt) altri tragici (la collettivizzazione
dell’agricoltura da parte di Stalin negli anni 30). In tutte queste storie, l’eroe è il pianificatore: la società gioca un ruolo passivo, di materiale grezzo da
plasmare. Le macchine, si sa, non hanno volontà propria.
L E A R N I N G F R O M O U R FA I L U R E S
Photo: h.koppdelaney
I modelli sono sempre semplificazioni della realtà. Ma certamente considerare la società come una macchina semplice, che reagisce in modo prevedibile
alla somministrazione di certi stimoli, è oggi una semplificazione molto meno accettabile che nel 1915. E allora perché sembra così difficile abbracciare un
nuovo modo di progettare politiche pubbliche, basato sull’accettazione della complessità?
Beh, intanto c’è un problema di incentivi. Le organizzazioni – lo notava già Weber – hanno tra i loro obiettivi quello di sopravvivere e possibilmente di
crescere. È difficile che un’organizzazione ti consenta di fare carriera se il tuo obiettivo è di smantellarla, o di ridurne molto il peso. E in più, l’idea che la società
possa essere ridotta a una macchina semplice, a materia prima più o meno inerte, in qualche senso si autorealizza. Ecco come: il policy maker decide che un
certo pezzo di società ha bisogno del suo intervento, non può “salvarsi da solo”; adotta nei suoi confronti un atteggiamento paternalistico, prendendo tutte le
decisioni dall’alto; nel tempo, le forze vive di quel pezzo di società si atrofizzano, o vanno altrove, e a quel punto è diventato vero che ha bisogno del policy
maker.
Questo produce effetti di lock-in, per cui sembra che, per cambiare gli strumenti di policy, bisognerebbe cambiare tutto. Cambiare tutto è difficile, e quindi
finiamo per tenerci anche strumenti e pratiche che non ci piacciono. Questi strumenti e queste pratiche continuano a spingere nella direzione di sminuire la
capacità di autorganizzarsi della società, e di accrescere la centralità degli stati. E lo stato è diventato MOLTO centrale: il rapporto tra bilancio pubblico e PIL
negli USA era 6% nel 1902, e 40% nel 2010.
( B A D ) S U S TA I N A B I L I T Y
Photo: José Luìs Mieza
In conclusione, la cattiva notizia è: il pensiero del 20esimo secolo nelle politiche pubbliche è molto sostenibile, non perché produce buone politiche ma
perché riproduce sé stesso. In controtendenza, in questo momento, ci sono alcuni comuni italiani: Milano, Bologna, Matera. Queste realtà hanno adottato
un approccio di “soft power” alla regolamentazione, e stanno facendo un vero sforzo per capire i fenomeni che hanno di fronte. Non credo sia una scelta
del tutto libera: dopo anni di tagli alla spesa pubblica i comuni non hanno denaro e non hanno (molto) potere di comando, quindi l’unica arma veramente
a loro disposizione è l’intelligenza. Non sono sicuro di come andrà a finire questa storia. Penso che nessuno lo sia, e spero di ascoltare oggi il vostro
parere.

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Reti, sciami, politiche pubbliche

  • 1. R E T I , S C I A M I , S H A R I N G E C O N O M Y E P O L I T I C H E P U B B L I C H E C O L L A B O R A R E C O N I C I T TA D I N I Q U A N D O S I O R G A N I Z Z A N O S E N Z A O R G A N I Z Z A Z I O N I , L A R A P P R E S E N TA N Z A N O N F U N Z I O N A E I L C O N C E T T O D I P O R TAT O R E D I I N T E R E S S E N O N H A N E S S U N S I G N I F I C AT O . A L B E R T O C O T T I C A MILANO SHARING CITY – LA CITTÀ IN CONDIVISIONE Buongiorno. Qui siete tutti interessati alla sharing economy. Il mio ruolo è quello di provare a inserire la sharing economy nel contesto più generale dell’aumentata capacità di auto-organizzarsi delle società del ventunesimo secolo. Spero di contribuire a capire tutti insieme perché è così difficile inventarsi politiche pubbliche sensate quando si parla di sharing economy e in generale di cittadini connessi.
  • 2. T H E N E T W O R K E D C I T I Z E N RY C’è un nuovo gioco in città. C’è un nuovo tipo di attore sociale: lo chiameremo “la cittadinanza connessa”, o “i giovani connessi”. Consiste di grandi agglomerati di gente comune, armata di strumenti di coordinamento semplici e praticamente gratis, che lavorano in modo coordinato per produrre effetti di grande scala. Nasce quando le persone si accorgono che possono avere impatto senza passare attraverso organizzazioni come partiti politici, sindacati, imprese e charities. Ecco alcune cose che non richiedono organizzazioni formali e che non sono sharing economy:
  • 3. I N F R A S T R U C T U R E : D I G I TA L Costruire e mantenere artefatti immateriali molto grandi, come Wikipedia e il suo equivalente geografico, OpenStreetMap.
  • 4. I N F R A S T R U C T U R E : P H Y S I C A L Costruire e mantenere artefatti materiali – come Guifi, la “Telco del popolo” spagnola, che connette 30.000 “nodi” contribuiti dai vari soci. Guif è la più grande rete mesh del mondo, irradia gran parte della Spagna e fornisce servizi di cloud sofisticati.
  • 5. … o strade. Questa è Al-Mutamidya, un sobborgo del Cairo, e queste persone stanno costruendo quattro rampe che daranno alla comunità accesso diretto alla tangenziale. La comunità locale ha fornito il denaro, la manodopera e la progettazione; ha costruito le rampe con le stesse specifiche usate dagli appaltatori pubblici, ma con solo un quarto dei costi di questi ultimi. Tecnicamente quello che stanno facendo è illegale, ma siamo nel 2011, la Primavera Araba sta spazzando via il governo e la polizia ha altro da fare. Il governo post-rivoluzione ha poi deciso di legalizzare le rampe.
  • 6. R E L I E V E A N D R E B U I L D Comunità auto-organizzate di giovani connessi tendono a essere le più veloci ed efficienti a reagire in caso di disastri naturali. Le persone in questa foto sono alcuni dei 12000 volontari che sono scesi in strada il giorno dopo che un’alluvione aveva colpito la città di Tbilisi, Georgia, a giugno 2015. L’iniziativa è stata presa da un gruppo di giovani ambientalisti, e coordinata attraverso un gruppo Facebook fondato per l’occasione e che ha raggiunto i 30,000 membri in circa 30 ore. Una cosa simile è accaduta in Nepal dopo i terremoti di maggio; il nostro gruppo ha notizia di 141 iniziative spontanee, per la maggior parte dirette alle aree rurali più difficili da raggiungere.
  • 7. A volte questi fenomeni di auto-organizzazione cambiano il modo di vivere la città senza nemmeno provarci, come effetto collaterale delle loro attività. Questa è Cairo Runners, un altra iniziativa coordinata attraverso un gruppo su Facebook. Ogni venerdì 5000 persone si trovano a correre per le strade della megalopoli inquinata e trafficata, e così facendo la trasformano, rendendola più sicura, più amichevole per i bambini e le persone con problemi di mobilità, e più divertente. Uno sviluppo recente: la polizia ha cominciato a proteggere i corridori.
  • 8. Photo: scottks Ormai abbiamo tutti sentito parlare di Bitcoin, una valuta la cui affidabilità si basa non sul fatto che è affidata a un’istituzione centrale a sua volta ritenuta affidabile (come la Banca Centrale Europea per l’Euro, o la Federal Reserve per il dollaro), ma su un sistema distribuito che ne certifica i pagamenti. Dietro a Bitcoin ci sono software open source e – avete indovinato – una comunità di sviluppatori e investitori senza forma legale o struttura di comando. Il suo inventore è anonimo, e nessuno sa esattamente quanto numerosa sia la sua comunità di utenti. Uno studio molto citato prevede cinque milioni di utenti per il 2019.
  • 9. C O M M U N I T Y- D R I V E N C A R E Photo: IndoGirl Da circa un anno in Edgeryders ci stiamo interessando delle attività delle comunità auto-organizzate nel produrre servizi di cura. Di recente ci siamo imbattuti in una rete di 68 “community clinics” che copre tutta la Grecia. Le cliniche non hanno nessuna forma legale, non accettano offerte in denaro e offrono assistenza sanitaria gratuita alle persone che, avendo perso il lavoro, hanno perso anche il diritto all’assistenza sanitaria. Questa rete è cresciuta in soli 4 anni, per iniziativa di alcuni medici preoccupati dalla crisi. La più grande è a Helliniko, un sobborgo di Atene: ha 300 volontari, di cui circa la metà sono medici, e ha fornito 40,000 trattamenti in quattro anni. Nei prossimi due anni cercheremo di raccogliere altre esperienze di questo tipo e usarle per progettare servizi di cura community-driven, in un progetto che si chiama OpenCare e in cui Edgeryders è partner del Comune di Milano e di altri. Se vi interessa, chiedete, siamo molto aperti a collaborazioni di tutti i tipi.
  • 10. ! Photo: Jonathan Rashad E, naturalmente, questi sciami intelligenti di persone comuni possono scendere nell’arena politica. Primavera araba in Africa del nord, EuroMaidan in Ucraina, Electric Yerevan in Armenia, Podemos in Spagna, il Partito Pirata in Svezia e Islanda, Occupy. In questi giorni è il turno della Romania. Notate che in tutti questi casi un moltissime persone di una generazione che gli analisti, cinque minuti prima, descrivevano come disinteressate e apatiche, si sono trasformate in agenti attivi del cambiamento. Gli analisti non avevano necessariamente torto, ma guardavano nella direzione sbagliata. Sia la decisione delle persone di farsi coinvolgere, che l’impatto del loro coinvolgimento non dipende da chi gli individui sono e da cosa fanno, ma dipende da cosa fanno insieme. È una funzione del riconoscersi come interdipendenti senza dovere passare da un comando centrale, come uno stormo di uccelli o uno sciame di api.
  • 11. N E T W O R K S , N O T E N T I T I E S spero di avervi convinto che le reti spontanee di cittadini sono un attore sociale importante. Il problema è: nessuno sa come gestirlo. Perché? Perché non sono entità. Non sono “cose”. Sono reti, cioè patterns di relazioni. Sono sciami, cioè proprietà emergenti di miriadi di interazioni locali. In queste condizioni, fare il mestiere del governo diventa molto difficile. Gli strumenti di pressione o coercizione a disposizione delle autorità sono pensati per le persone o le organizzazioni, e non funzionano con le reti. Non si può convincere, demoralizzare, cooptare, multare, corrompere, denunciare o imprigionare una rete. Naturalmente si possono fare tutte queste cose ai singoli membri della rete, ma in genere questi sono troppo numerosi perché questa possa essere una tattica generalizzata, e le reti sono molto resistenti alla rimozione di singoli nodi. Questi concetti sono, secondo me, applicabili alla sharing economy. Da questa angolazione, la sharing economy appare come una particolare manifestazione dell’aumentata capacità di coordinamento tra persone, che sono più in grado di prima di coordinarsi per mettere a valore piccole sacche di capacità eccedente (una stanza per gli ospiti, un’automobile, un po’ di tempo).
  • 12. “ R E G U L AT I O N ” ? Photo: Joseph De Palma E infatti si vede benissimo la difficoltà delle autorità pubbliche nel capire come porsi rispetto alla sharing economy. Molti policy makers cercano rifugio in categorie familiari: Amazon è come un supermercato, Uber è una specie di cooperativa di taxisti, Airbnb è più o meno una catena di alberghi, BlaBlaCar è un autotrasportatore. Queste analogie sono deboli, e soprattutto concentrano l’attenzione sulle aziende Amazon, Uber e Airbnb – che sono entità, e quindi familiari – invece che sulle reti che si appoggiano intorno a queste aziende, e sul come queste reti inneschino dinamiche economiche di utilizzo di excess capacity che esisterebbero anche senza le aziende. Se domani Airbnb dovesse chiudere, questo non cambierebbe il fatto che la nostra camera degli ospiti ha un problema di efficienza, perché la usiamo per gli ospiti forse tre settimane all’anno. Per citare un proverbio cinese, quando il saggio indica la luna, il governo cerca di regolamentare il sito web della luna.
  • 13. S TA K E H O L D E R D I A L O G U E D O E S N O T W O R K Un’altra reazione comune è il classico “mettiamoci intorno a un tavolo”. Ma il dialogo tra stakeholders non funziona con questi fenomeni, e quindi non funziona in generale per le società che li contengono. Il dialogo tra stakeholders, con tutti i suoi vantaggi e il suo curriculum, richiede che tutti i soggetti importanti si siedano intorno a un tavolo a negoziare. Con i cittadini connessi questo non può succedere, perché si tratta di un soggetto importante che (1) non è identificabile a priori. Nessuno avrebbe immaginato che alcuni podisti amatoriali diventassero una forza importante nell’urbanistica del Cairo, e nessun policy maker, per quanto inclusivo, avrebbe pensato di invitarli a dire la loro sulle scelte di pianificazione cittadina. (2) se anche un policy maker dotato del dono della profezia, loro stessi si sarebbero stupiti; è il successo di Cairo Runners a determinare, ex post, il suo ruolo, non viceversa. E (3) anche se, per qualche miracolo, i podisti Caireni fossero stati invitati a una riunione di city planning e si fossero presentati, Cairo Runners non ha leader né gerarchie, non è un’organizzazione ma una proprietà emergente di migliaia di decisioni individuali prese in una rete, dunque non può prendere impegni al tavolo negoziale. Edgeryders sta lavorando con il programma di sviluppo delle Nazioni Unite per collaudare una modalità di interazione con i cittadini connessi basata su un concetto diverso: sostituire l’azione comune al dialogo tra portatori di interesse. Non ho tempo per parlarne ora, ma se vi interessa cercatemi a fine panel.
  • 14. A 2 0 T H C E N T U RY S U C C E S S S T O RY Mi rendo conto che tutto questo può sembrare strano e inquietante. Vi ho raccontato un mondo in cui le persone si organizzano senza organizzazioni; la leadership si esercita senza rappresentazione; il dialogo tra portatori di interessi non funziona; e ci sono altre stranezze che qui non cito. La verità è questa: questa roba in realtà è abbastanza intuitiva nel quadro del pensiero scientifico contemporaneo. Abbiamo una scienza dei sistemi adattivi complessi e dell’emergenza; abbiamo le reti, strumenti semplici per generare modelli matematicamente solidi di dinamiche sociali emergenti. Niente di quello che vi ho detto suonerebbe strano per un biologo o un fisico del 21esimo secolo. E voi vi chiederete: beh, non perché non adottare questo nuovo modo di pensare, se è più adeguato a trattare i problemi che abbiamo di fronte? Beh, perché il policy making moderno è figlio del 20esimo secolo, e ha un rapporto speciale con il modo di pensare dell’età industriale.
  • 15. “ S O C I E T Y I S A M A C H I N E ” Photo: Grant Hutchinson La sua storia è affascinante, e qui non ho il tempo nemmeno di riassumerla. Il concetto fondamentale è questo: nel Novecento, i governi hanno capito che la società si può vedere come una macchina, certamente grande e complicata, ma comprensibile alla scienza moderna. Tu premi il bottone giusto e succede quello che vuoi, dalle vittorie militari all’aumento dell’occupazione. L’economia di piano della Germania durante la I Guerra Mondiale, con il suo successo straordinario, ha creato un esempio fortissimo che tutti gli stati dell’epoca hanno cercato di imitare. Per poterlo fare, però, gli stati hanno dovuto modificarsi in profondità. Acquisire nuove competenze, assumere moltissime persone, estendere la sua sfera di influenza molto di più rispetto ai secoli precedenti. Per lo stato si trattava di uno scenario win-win-win: (1) l’interesse generale veniva perseguito, (2) in un modo coerente con il paradigma scientifico dell’epoca, e (3) allo stesso tempo il suo potere e la sua influenza – come quella dei singoli dirigenti della macchina pubblica – crescevano di molto. Questa ideologia della società come macchina ha ispirato sforzi eroici: alcuni benigni (il New Deal di Roosevelt) altri tragici (la collettivizzazione dell’agricoltura da parte di Stalin negli anni 30). In tutte queste storie, l’eroe è il pianificatore: la società gioca un ruolo passivo, di materiale grezzo da plasmare. Le macchine, si sa, non hanno volontà propria.
  • 16. L E A R N I N G F R O M O U R FA I L U R E S Photo: h.koppdelaney I modelli sono sempre semplificazioni della realtà. Ma certamente considerare la società come una macchina semplice, che reagisce in modo prevedibile alla somministrazione di certi stimoli, è oggi una semplificazione molto meno accettabile che nel 1915. E allora perché sembra così difficile abbracciare un nuovo modo di progettare politiche pubbliche, basato sull’accettazione della complessità? Beh, intanto c’è un problema di incentivi. Le organizzazioni – lo notava già Weber – hanno tra i loro obiettivi quello di sopravvivere e possibilmente di crescere. È difficile che un’organizzazione ti consenta di fare carriera se il tuo obiettivo è di smantellarla, o di ridurne molto il peso. E in più, l’idea che la società possa essere ridotta a una macchina semplice, a materia prima più o meno inerte, in qualche senso si autorealizza. Ecco come: il policy maker decide che un certo pezzo di società ha bisogno del suo intervento, non può “salvarsi da solo”; adotta nei suoi confronti un atteggiamento paternalistico, prendendo tutte le decisioni dall’alto; nel tempo, le forze vive di quel pezzo di società si atrofizzano, o vanno altrove, e a quel punto è diventato vero che ha bisogno del policy maker. Questo produce effetti di lock-in, per cui sembra che, per cambiare gli strumenti di policy, bisognerebbe cambiare tutto. Cambiare tutto è difficile, e quindi finiamo per tenerci anche strumenti e pratiche che non ci piacciono. Questi strumenti e queste pratiche continuano a spingere nella direzione di sminuire la capacità di autorganizzarsi della società, e di accrescere la centralità degli stati. E lo stato è diventato MOLTO centrale: il rapporto tra bilancio pubblico e PIL negli USA era 6% nel 1902, e 40% nel 2010.
  • 17. ( B A D ) S U S TA I N A B I L I T Y Photo: José Luìs Mieza In conclusione, la cattiva notizia è: il pensiero del 20esimo secolo nelle politiche pubbliche è molto sostenibile, non perché produce buone politiche ma perché riproduce sé stesso. In controtendenza, in questo momento, ci sono alcuni comuni italiani: Milano, Bologna, Matera. Queste realtà hanno adottato un approccio di “soft power” alla regolamentazione, e stanno facendo un vero sforzo per capire i fenomeni che hanno di fronte. Non credo sia una scelta del tutto libera: dopo anni di tagli alla spesa pubblica i comuni non hanno denaro e non hanno (molto) potere di comando, quindi l’unica arma veramente a loro disposizione è l’intelligenza. Non sono sicuro di come andrà a finire questa storia. Penso che nessuno lo sia, e spero di ascoltare oggi il vostro parere.